Ministero dell`Università e della Ricerca A.F.A.M Accademia di Belle

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Ministero dell`Università e della Ricerca A.F.A.M Accademia di Belle
Ministero dell’Università
e della Ricerca
A.F.A.M
Accademia di Belle Arti
di Palermo
Diploma Accademico
di I livello in
Progettazione della Moda
Storia ed Evoluzione del
Corsetto
Tesi
di
Brigida Orecchio
Matricola 6099
Relatore
Francesca Pipi
A.A
2011 . 2012
1
2
Indice
Introduzione
Pag.7
Capitolo.1: Evoluzione del Corsetto in riferimento
all’Abbigliamento Femminile
Pag. 9
Paragrafo.1: Prime Testimonianze dell’Abbigliamento Pag. 9
Paragrafo.2: XI e XII secolo
Pag.13
Paragrafo.3: Fra Duecento e Trecento
Pag.14
Paragrafo.4: Quattrocento
Pag.16
Paragrafo.5: Primo Cinquecento
Pag.18
Paragrafo.6: Primo Seicento
Pag.25
Paragrafo.7: Il Settecento
Pag.32
Paragrafo.8: L’Ottocento
Pag.42
Paragrafo.9: Novecento
Pag.48
Paragrafo.10: Tra la fine del Millennio e il XXI secolo Pag.61
Capitolo.2: La storia della Sartoria e della costruzione
sartoriale del Corsetto
Pag.65
Paragrafo.1: Prime Testimonianze Sartoriali
Pag.65
Paragrafo.2: I primi modelli sartoriali a Creta
Pag.65
Paragrafo.3: Duecento e Trecento: il Sarto nel Gotico
Cortese
Pag.67
Paragrafo.4: Quattrocento: Sarto, Maestro e Creatore del
Metodo Moderno
Pag.68
Paragrafo.5: Cinquecento: Manuali di Taglio e Resa Grafica
dei Modelli in piano
Pag.69
Paragrafo.6: Tra Seicento e Settecento: Nascita delle
Corporazioni dei Sarti
Pag.70
Paragrafo.7: Fine Settecento inizio Ottocento: Periodo
Interessante per le Tecniche Sartoriali
Pag.72
Paragrafo.8: Ottocento: Secolo della Grande Couture Pag.73
Paragrafo.9: Fine Ottocento inizio Novecento: Nascita del
Progettista e dell’Alta Moda
Pag.74
Paragrafo.10: Novecento Futurista
Pag.75
Paragrafo.11: Novecento:Secolo di Grandi Innovazioni Pag.76
3
Paragrafo.12: Lo Stay: Dal 1670 alla fine del Diciottesimo
Secolo
Pag.78
Paragrafo.13: Il Corsetto: Dall’inizio del Diciannovesimo
Secolo al 1925
Pag.87
Paragrafo.14: Costruzione dei Corsetti
Pag.104
Paragrafo.15: Supporti per Corsetti, Crinoline, ecc… Pag.122
Paragrafo.16: Stecca di Balena
Pag.124
Capitolo.3: L’arte del Sedurre: Busti e Reggiseni
Pag.131
Prefazione:
Pag.131
Paragrafo.1: I Reggiseni Antichi
Pag.131
Paragrafo.2: I protoreggiseni
Pag.133
Paragrafo.3: Il Seno Medievale: Piccolo e Sodo
Pag.135
Paragrafo.4: Dalla Rigidità alla Virtù
Pag.137
Paragrafo.5: Seni Rivoluzionari
Pag.138
Paragrafo.6: Trionfo del Corsetto
Pag.141
Paragrafo.7: Intimo della Terza Repubblica
Pag.142
Paragrafo.8: Cadolle firma il Primo Reggiseno
Pag.144
Paragrafo.9: La Guerra contro il Corsetto
Pag.146
Paragrafo.10: Tecniche di Punta
Pag.148
Paragrafo.11: I Seni a Obice
Pag.151
Paragrafo.12: L’intimo della Signorina negli Anni Verdi
Pag.154
Paragrafo.13: Il Big-Bang delle Grandi Coppe
Pag.158
Paragrafo.14: Dal Corsetto di pizzo al Body di Poliestere
Pag.160
Paragrafo.15: Il Reggiseno: una sfida tecnica
Pag.161
Paragrafo.16: La teoria sul Seno, del dottor Gros
Pag.162
Paragrafo.17: Corsetto ed Erotismo
Pag.163
Paragrafo.18: Corsetto nel 2000: Vezzo per Feticisti o Nuovo
Stile Nascente?
Pag.165
Paragrafo.19: Il Corsetto: Fonte d’Ispirazione degli Stilisti
Pag.166
Paragrafo.20: Ritorno al passato: le linee seducenti della
collezione Intimissimi 2012 – 2013
Pag.169
4
Capitolo.4: Cambiamenti Anatomici
Pag.173
Paragrafo.1: L’ideale Corporeo Attraverso la Storia Pag.173
Paragrafo.2: L’evoluzione della Rappresentazione dei Corpi
Pag.178
Paragrafo.3: Lo sguardo sulle Donne e la consapevolezza di
essere sotto Giudizio
Pag.179
Paragrafo.4: L’influenza dei Media
Pag.182
Paragrafo.5: L’ideale di snellezza della Donna Moderna
Pag.183
Paragrafo.6: I Modelli Ideali
Pag.184
Capitolo.5: Il Progetto
Pag.187
Introduzione
Pag.187
Realizzazione del Corsetto dell’800
Pag.188
Realizzazione del Corsetto Rivisitato di Jean-Paul Gaultier
Pag.195
Bibliografia
Pag.203
5
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Introduzione
Perché vestirsi?
Agli inizi degli studi sul costume, gli studiosi tendevano a riconoscere le origini e le motivazioni del vestire in due funzioni distinte: quella di protezione fisica e spirituale (contro il
freddo, il caldo, gli animali, la magia ostile …) e quella estetico - ludica (bello, brutto, buffo, serio …). Oggi si pensa che
queste motivazioni furono presenti contemporaneamente nelle
realizzazioni delle prime forme d’abbigliamento, includendo
in queste sia vere e proprie vesti sia decorazioni temporanee
o permanenti come le pitture corporali e i tatuaggi. Questi ultimi ci introducono al terzo elemento che si aggiunge a questa analisi: il bisogno di distinguersi dai propri simili, usando
l’abbigliamento come indice di status e ruolo sociale, nonché
di prestigio personale.
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Capitolo.1
Evoluzione del Corsetto in riferimento
all’Abbigliamento Femminile
Paragrafo.1
Prime Testimonianze dell’Abbigliamento
Le prime immagini raffiguranti essere umani, apparvero agli
studiosi di allora primitive e impudiche, visto che si trattava
quasi sempre di donne e nude. I grandi seni, il ventre prominente, i glutei, facevano passare in secondo ordine ogni genere
di considerazione che non avesse una connotazione in qualche
modo “sessuale”. Le statuette di Willendorf (Fig.1), di Lespugue (Fig.2), per citare le più famose, vennero chiamate “Veneri”, in parte perché le si riteneva rappresentanti dell’ideale
femminile preistorico, in parte perché spesso apparentemente
gravide e dunque sessualmente attive quanto la dea greca della
bellezza e dell’amore. Pare certo che queste figure fossero utilizzate in rituali magico – propiziatori volti ad esaltare la donna come madre e creatrice di vita, probabilmente siamo in presenza di raffigurazioni della Dea Madre, alla quale ci si poteva
rivolgere nel tentativo di ottenere protezione e rassicurazione
sul futuro proprio e della propria gente. La famosa acconciatura della “venere” di Willendorf ne nasconde i tratti facciali,
ma se osserviamo con attenzione non si tratta né di riccioli né
di treccine, quanto piuttosto di una acconciatura concentrica
di linee a zigzag, secondo un segno grafico che ancora ai nostri giorni in molte culture è simbolo femminile e acqueo (il
triangolo del pube, le onde dell’acqua); ci può suggerire anche
un interesse per le tecniche dell’intreccio, dapprima dei capelli, ma estensibili anche ad altre fibre, vegetali o animali. Si
può dire che con ogni probabilità è stata una cintura il primo
“abito” e certamente decorazioni di vario tipo potevano essere
presenti sulla pelle e sui capelli. Vista da dietro la “venere” di
Lespugue presenta una sorta di “grembiule” visibilmente composto da corde ritorte sospese a una stringa serrata ai fianchi,
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sotto le rotondità dei glutei. Le corde terminano in una sfrangiatura di fibre non filate. Si tratta in effetti proprio di “filo” e,
indirettamente abbiamo notizia di un procedimento di filatura.
Gonnellini in corda simili a quelli della venere di Lespugue
si vedono su altre figure preistoriche, e gonnellini simili sono
presenti tuttora, nelle stesse aree geografiche dei rinvenimenti preistorici, negli abiti folkloristici femminili. Il presumibile stato climatico dell’Europa preistorica, caratterizzato
da periodi più o meno lunghi di glaciazioni, nonché i ritrovamenti cronologicamente molto più recenti ci danno modo
di ipotizzare che l’abbigliamento era composto da pellicce.
Fig.1-2
Fig.1 Cosiddetta”venere” di Willendorf e dettaglio dell’acconciatura, Naturhistorisches Museum, Vienna, circa 28000-18000 a.C.
Fig.2 Cosiddetta “venere” di Lespugue, dettaglio del grembiule
posteriore, Musée de l’Homme, Parigi, circa 28000-18000 a.C.
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Creta e Micene
Dai reperti in ceramica e dai quadri ritrovati, abbiamo la testimonianza che il corsetto aderente era la forma più tipica
dell’abbigliamento Cretese (Fig.3). Era in uso offrire alla dea
cibi e bevande ma anche vestiti, veri o in ceramica. Le testimonianze in ceramica spesso mostrano abiti leggermente diversi da quelli di solito raffigurati negli affreschi: sono chiusi
anteriormente senza traccia di una esposizione del seno. In effetti però una delle caratteristiche più particolari dell’abbigliamento femminile cretese è l’apertura del davanti del corsetto,
che in più di una occasione mostra il seno fuoriuscire. La famosa Dea dei Serpenti indossa un corsetto molto aderente che
espone il seno, un’alta cintura, un grembiule e una gonna a
balze. Un’altra figura in ceramica, anch’essa probabilmente
relativa alla stessa dea, espone i seni addirittura tenendoli con
le mani, quasi a offrire il latte. Si riteneva che le figure a seno
scoperto erano pertinenti a momenti e atteggiamenti rituali e
cerimoniali, mentre le più umili e personali testimonianze di
gente comune che dona vesti di ceramica alla propria divinità
mostrerebbe l’aspetto quotidiano dell’abbigliamento. L’abbigliamento miceneo segue molto da vicino quello cretese, le
donne portano corpetti analoghi a quelli cretesi, mentre le
gonne sembrano più simili a gonne pantalone, nell’abbigliamento cretese molto più rare, sempre però con ricchi e colorati
volant. I materiali più usati furono il lino e la lana, il primo
forse importato, la seconda derivante dall’importante attività
pastorizia che esisteva sull’isola. Altri materiali che gli studiosi ritengono abbiano potuto costruire una vera arte presso
i Cretesi erano la pelle e il cuoio. Stampati, lavorati e colorati
erano forse usati non solo per l’abbigliamento ma anche per
l’arredamento. Da alcune iscrizioni possiamo dedurre che le
vesti erano divise a seconda del costo e della qualità, attribuite
in base al rango e decorate da bordi colorati di varia fattura,
anch’essi facenti parte di un vero e proprio codice. I tessuti
risultano molto colorati, soprattutto nella gamma dei blu, dei
rossi contrapposti al bianco, oppure gialli, neri e violacei. Le
decorazioni tessili risultano abbastanza semplici da realizzare,
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in parte giocando con le armature tele a saie, in parte mediante l’alternanza e l’aggiunta di più colori. Il ricamo poteva
rifinire un disegno aggiungendo qualche tocco complicato.
Fig.3 Modello in ceramica di veste, da un deposito rituale, Creta
Grecia
L’abbigliamento Greco è caratterizzato dall’himation, dai
chitoni dai pepli. Entrambi i sessi facevano uso di vesti
drappeggiate, anche se alcune parti dell’abito erano cucite,
come ad esempio nel peplo ionico, nell’egkuklion e nei chitoni. Il solo indumento femminile che svolge la stessa funzione del corsetto è un indumento intimo, lo Stròphion, una
larga fascia indossata sul corpo nudo: molto colorata e riccamente decorata era indossata sotto al chitone con l’ovvio
scopo di sostenere, accentuare o comprimere il seno. (Fig.4)
Fig.4 Da pitture vascolari
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Popolazioni Italiche
Il territorio Italico è abitato fin dalla preistoria ma nell’età
del Ferro cominciano ad affermarsi delle realtà locali che si
possono identificare come popolazioni con precise caratteristiche. Dapprima saranno gli Etruschi a dominare gran parte
del territorio tra Nord e Centro Italia, poi, mentre Roma stava
ancora rafforzando la sua posizione, soprattutto nel Centro, le
invasioni galliche del IV secolo distrussero il sistema politico
ed economico creato dagli Etruschi, portando nuovi contributi e nuove trasformazioni di ordine territoriale, economico e
culturale. Nel 386 i Galli raggiunsero Roma e la saccheggiarono, provocando una forte reazione che condurrà, nel corso
del III e II secolo, ad una espansione territoriale dei Romani,
che raggiungeranno il Sud e il Nord Italia, e sottometteranno
definitivamente gli Etruschi, i Greci e i Fenici, creando un ampia rete di strade che faciliterà non solo gli scambi economici
e culturali, ma anche l’avanzamento militare verso zone più
a nord, oltre le Alpi. Nell’89 a.C. la Lex Iulia, concedendo la
cittadinanza romana a tutte le genti italiche, creerà le premesse
per la potenza di Roma Imperiale. Via via che Roma cresce i
popoli che le sono accanto vengono romanizzati. La tunica è
l’indumento base sia per le donne che per gli uomini. Sotto le
vesti indossano una fascia per il seno, simile a quella greca, lo
strophium o fascia (quest’ultimo termine indica ogni genere di
bendaggio). Abbigliamento analogo a quello Romano è quello dei Longobardi, dalle informazioni che abbiamo sull’uso
di indumenti intimi, anche le donne longobarde come quelle
romane e greche, indossavano la fascia di tessuto a sostenere
il seno.
Paragrafo.2
XI e XII secolo.
I termini “Medievale” e “Feudalesimo” nel parlare comune di
oggi sembrano identificare l’età oscura per eccellenza, emblema negativo della decadenza tra la civiltà antica e la rinascita
umanistica del XIV secolo. In verità tra l’XI e il XII secolo il
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periodo delle invasioni era terminato , la popolazione aveva
ripreso ad aumentare, la circolazione economica e commerciale aveva iniziato ad intensificarsi, il mondo ecclesiastico
aveva rafforzato il suo potere, scontrandosi con l’impero,
componendo il proprio sistema attorno al potere del papa.
Erano anche i secoli in cui l’epica ei romanzi d’amore e avventura raccontano di belle eroine e giovani eroi, vestiti in
modo raffinato ed elegante. L’abbigliamento faceva parte del
codice sociale, e quando veniva donato diventava parte di un
vero rito di elevazione sociale, come dimostrava il fatto che
abiti nuovi erano donati in occasione dell’investitura a cavaliere o per la cerimonia del matrimonio. Le vesti femminili
potevano essere anche molto strette, quasi a modellare il corpo: una lunga cintura girata due volte attorno alla figura ne
sottolineava la vita sottile. Un uso simile a quello di un corsetto, l’aveva il doublet, che esisteva sia in versione femminile
che in quella maschile, era una specie di camiciotto di tela di
lino rinforzata, dal quale discenderà la tipologia trecentesca,
che in Italia sarà chiamata zuparello, una versione imbottita,
il doublet à armer, si indossava sotto la cotta d’armi, come più
tardi si indosserà il farsetto, versione militare dello zuparello.
Paragrafo 3
Fra Duecento e Trecento
In questo periodo si assiste alla nascita di nuove tipologie decorative nei tessuti, allo sviluppo di nuovi modelli di abiti,
alla comparsa di rifiniture e accessori nell’abbigliamento e
in generale a una sorta di differenziazione dei codici sociali
che evidenzia il “ruolo” sociale. Il concetto dell’uso politicosociale dell’abbigliamento avrà due importanti conseguenze:
la prima sarà la distinzione visiva tra abbigliamento femminile
(lungo) e abbigliamento maschile (corto), la seconda l’introduzione di mode elitarie che rendono difficoltoso il muoversi
e in generale ogni tipo di “lavoro”. La distinzione degli abiti tra l’uomo e la donna vuole sottolineare il ruolo attivo del
primo contrapposto a quello passivo della seconda; le vesti
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innaturalmente aderenti e rigide, o che impongono al corpo
comportamenti non naturale (come le gorgiere che impediscono perfino di abbassare lo sguardo), pongono una distanza
sempre più incolmabile tra il mondo di chi lavora per vivere e
il mondo dell’aristocrazia. Inoltre nel momento in cui la quantità di tessuto utilizzata o la sua preziosità non basteranno più
a diversificare i ceti sociali interverrà una progressiva stratificazione del numero di capi indossati, e da modelli semplici
si arriverà a forme sempre più complesse con la necessaria
introduzione della figura di uno specialista: il sarto. L’abbigliamento segue una linea gotica: le vesti maschili si fanno
corte per i giovani e restano lunghe per gli anziani, si arricchiscono di volumi, intagli, preziosità ricamate e applicate; le
vesti femminili diventano più seducenti, mettendo in evidenza
il seno e il ventre, in un richiamo sottile e sensuale alla fertilità
e alla gravidanza. Per entrambi i sessi la linea diventa snella,
allungata, simile alle cattedrali, preziose come scrigni e innalzate verso il cielo come torri. La figura femminile negli scritti
degli stilnovisti è quella della donna angelica, figura a metà tra
il Cielo e la Terra, ispiratrice d’Amore, idealizzata rispetto alla
vita reale delle donne del Medioevo. Ma il pensiero comune
sulla donna è, nelle parole dei misogini 1 predicatori, quello di
una frivola e vanesia creatura, interessata più alle belle vesti,
alle mode, alle feste, ai balli, a volte crudele ed altre libidinosa. Per nostra fortuna sono proprio le invettive dei moralisti
a fornirci maggiori informazioni sulle vesti del tempo, oltre
come di consueto, alle immagini dell’arte. Nelle sfuriate contro i comportamenti riprovevoli, i frati predicatori descrivevano ciò che vedevano e intendevano condannare. Nel Duecento
l’insieme delle vesti prende il nome di roba, nei documenti
si trovano anche i termini doublectos, un corsetto foderato di
lino o di cotone, simile al doublet francese, giubba, un corpetto che copre il torace ed è quasi sempre di seta. (Fig.5)
-------------------------------------------------------------------------Nota1: persona che rifiuta e avversa le donne.
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Fig.5 Statua di legno di Santa, XV secolo, Galleria Nazionale
dell’Umbria, Perugia
Paragrafo 4
Quattrocento: Tempo della Rinascita, tra Rinascimento
e Umanesimo.
Italia
In questo secolo i ceti superiori prediligono lo stile gotico–cortese, giungendo a veri eccessi per lo spreco di tessuto e denaro, invece il ceto mercantile in ascesa utilizza lo stesso genere
di linguaggio autocelebrativo ma con maggiore accortezza,
uno sguardo al “ben vestire” e l’altro al portamonete, prediligendo uno stile misurato, di gusto “Rinascimentale”. Nel momento in cui viene abbandonato l’abito gotico (tra il secondo
e il terzo quarto del secolo) l’abito acquista una struttura più
umano centrica, più regolare e armoniosa, classicheggiante
che mette in risalto “l’Umanità” degli uomini. Le diversi corti, d’Italia e d’Europa gareggiano tra sé per la creazione dello
stile più raffinato e quindi nuove mode e nuove fogge trovano
ampia diffusione. Da adesso in poi risulta più difficile e complicato seguire l’evoluzione della moda poiché ogni nazione
sviluppa un vocabolario proprio con molteplici ramificazioni.
Dai documenti risulta comunque una generale divisione degli
abiti tra vesti per di sotto e per di sopra. Inoltre a partire da
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questa epoca che il teatro si trasforma in un genere indipendente e il costume acquista un senso più specifico al suo interno. La nobildonna è la rappresentante del marito quando
egli è lontano per la guerra, è colta, sa suonare e danzare.
Le donne colte sono amministratrici dei beni mobili della
famiglia, attente nel provvedere alle necessità del marito e
della corte, sovrintendono alla realizzazione e distribuzione
delle vesti e degli accessori, delle livree e dei doni, da calibrare attentamente a seconda di attente valutazioni politiche e sociali, perché l’abbigliamento era inteso come parte
della rappresentazione di sé che la nobiltà voleva offrire al
mondo. Le vesti femminili erano suddivise in vesti per di sopra: roboni, guarnacche, giornèe, cioppe e mantelli facevano
parte delle sopravvesti. E vesti per di sotto: cotte e gamurra.
Fiandre
Il fasto e lo splendore della corte borgognona consentirono agli artisti e alle mode fiamminghe di divenire, assieme
a quelle italiane, un punto di riferimento per l’Europa, raggiungendo vertici del vestire mai ottenuti in altre terre, e fu
per tre quarti di secolo il riferimento cerimoniale di tutta
Europa. La moda fiamminga vede le linee trecentesche svilupparsi attraverso le forme del gotico cortese, con slancio
verticale della figura e accessori a punta. Le vesti sono attillate al torace, sia per le donne che per gli uomini. Da quando Filippo il Buono scelse come proprio il colore nero questo divenne una delle tonalità più apprezzate nella moda di
corte, poiché nelle corti gotiche, i cortigiani, i guerrieri e gli
ufficiali governativi vestissero nei colori del proprio signore, il nero si afferma come colore degli uffici, compiendo il
primo passo per la nascita dell’uniforme in senso moderno.
Germania
Prende piede il taglio decorativo delle stoffe, inizialmente
lungo i bordi e gli orli, in seguito anche nelle superfici piane. Questa moda raggiunge la Francia e l’Inghilterra attorno al 1430, divenendo parte integrante dello stile cortese.
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In Germania l’influenza del gotico cortese sarà in vigore per tutto il secolo, ma il gusto per gli stratagli e le frappature non conoscerà interruzioni e riprenderà con vigore nella prima metà del XVI secolo.
Spagna
Nel corso del secolo la politica spagnola acquista più peso nelle
relazioni internazionali, ma a proposito del costume è in Spagna
che si verifica una delle innovazioni tra le più importanti che
avrà grandi conseguenze, fino al XIX secolo: la comparsa del
Verdugo. È l’anticipatore di tutte le forme strutturate dell’abbigliamento femminile e avrà grande diffusione anche in Francia, in Inghilterra, e in Italia, con nomi diversi. Appare come
una serie di cerchi rigidi e imbottiti che vengono cuciti sulla
gonna del brial spagnolo (il brial è analogo alla italiana gamurra o cotta), sempre in colori contrastanti a quello. La sua evoluzione non conoscerà più soste fino alla crinolina ottocentesca.
Paragrafo 5
Primo Cinquecento: nel Cuore del Rinascimento
Italia
Nel Cinquecento si vanno delineando i caratteri nazionali anche nell’abbigliamento e alcuni di essi influenzano in modo
diretto gli altri, tanto da poter indicare una prima fase ancora
di gusto italiano, una seconda di gusto spagnolo, e agli inizi
del secolo successivo, una terza fase di gusto francese. Nella
prima metà del secolo l’abbigliamento esprime le ricchezza
delle idee e le varianti, anche di stile, sono molteplici tra luogo
e luogo. Più tardi vi sarà una generale uniformità del gusto
che seguirà, la rigidità delle forme in voga in Spagna, anche in
seguito all’azione della Controriforma. Si delinea la tendenza
di dividere la veste in una parte superiore e in una inferiore e nell’irrigidire entrambe, soprattutto nell’abbigliamento
delle donne. Le scollature sono ampie e quadrate all’inizio
del secolo, mentre tenderanno a chiudersi inseguito. Le vesti
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sono attillate al busto e tagliate in vita (Fig.6), con la gonna che
si allarga verso l’orlo, con un po’ di strascico, mentre i volumi
delle maniche sono ampi, come per gli uomini. Quando la veste è divisa in due, anche nel guardaroba femminile troviamo
il giubbone o anche vestura, diploide, casso, busto e corpetto,
che diviene sempre più rigido, inizialmente per mezzo di semplici infustiture con altri tessuti di rinforzo, e in seguito con
l’introduzione di fasci di sottili stecche metalliche o in altri materiali. Il Corpetto femminile nel corso del Cinquecento subisce una evoluzione, legata all’introduzione dell’uso del busto,
o corsetto, che irrigidisce le forme femminili. Le nuove forme
delle donna, che si muovono verso la linea a “clessidra”, non
hanno tanto uno scopo pratico quanto piuttosto uno simbolico. La donna è “corretta” dall’uso del busto, che ne indirizza
i movimenti e il comportamento sociale, in modo analogo al
comportamento maschile, per il quale l’armatura raggiunge
il momento di massima elaborazione, e l’inizio del declino.
Fig.6 Andrea del Sarto, Dama con cestello di fusi, 1520 circa,
Firenze, Uffizi
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Francia
Dopo lunghe opposizioni anche la Francia subirà l’influenza delle prestigiose vesti all’italiana, e in seguito Caterina dè Medici imporrà alla corte di Francia
le linee della moda italiana. Tra Francia e Fiandre le
linee delle vesti rimangono aderenti alla figura, con scollature quadrate all’inizio del secolo, e cuffie aderenti alla testa.
Germania
Tra il 1500 e il 1540 l’influenza tedesco-svizzera nella moda
è forte. I cittadini e le persone di ceto basso indossavano abiti
realizzati in tessuti tedeschi, mentre i più ricchi usavano tessuti inglesi, in tinte scure, considerate molto eleganti. La donna
tedesca prima dell’avvento della Riforma indossa abiti piuttosto aderenti sul seno, il cui corpino è ricamato con motivi tratti
dal repertorio grafico rinascimentale (volute, motivi fitomorfi,
mascheroni ecc) e stretto con lacci sul davanti, dove risalta
uno scollo rettangolare e generoso (Fig.7).
Fig.7 Wolfgang Krodel (not. 1528-1555), Betsabea al Bagno, Vienna, Kunsthistorisches Museum
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La Riforma condannò ogni genere di ornamento eccessivamente vistoso, i colori forti e impose un atteggiamento modesto al vestire maschile e femminile. Le borghesi al
seguito della Riforma vestiranno, come gli uomini, spesso
di nero, con contrastanti e candidissime camicie bianche, e
gioielli no troppo vistosi, per adattarsi al rinnovamento spirituale che condannava la ricchezza della Chiesa Cattolica.
Inghilterra
Sotto Enrico VII (1485-1509), primo re Tudor, le mode del
continente cominciano a farsi sentire anche nella remota Inghilterra. Le scollature quadrate per le donne e i corti giupponi per gli uomini, spesso stratagliati, ricordano
mode italiane e tedesche, che spariranno lentamente attorno agli anni trenta del secolo. Molti grandi sovrani dedicarono un’attenta cura al guardaroba, non solo per vanità, ma
soprattutto perché le decisioni su questo tema prese dalla
casa reale avevano grande impatto sulla produzione di beni
di lusso, ed erano anche un’espressione importante nella
creazione e affermazione di una forte “immagine “ politica.
Spagna
Già all’inizio del Cinquecento le mode spagnole iniziarono a manifestare la loro futura influenza, in uno spirito generale di rigida magnificenza. Sono le caratteristiche che si
sviluppano alla corte di Carlo V ad affermarsi nel corso del
secolo e queste diventano sempre più evidenti durante il regno di suo figlio , Filippo II. L’eleganza maschile in Spagna
diviene emblema di raffinatezza in tutte le corti europee,
tanto che se ne troveranno tracce poi nell’abbigliamento
femminile. È la Spagna che imporrà la voga dell’abito nero.
Primo Cinquecento: in piena Controriforma
Italia
La seconda metà del secolo vede affermarsi uno stile
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dell’abbigliamento più rigido e formale, dove grande importanza assumono le forme della corte di Spagna così come i dettami
religiosi della Controriforma. Il corpo femminile quasi scompare sotto una “armatura” di tessuto, passamanerie e gioielli;
non si vedono le forme naturali e solo la vita rimane a segnare
la sua presenza nell’attaccatura tra gonna e corpetto, le uniche
parti di pelle esposte sono il viso e le mani. La camora d’inizio
secolo si modifica, irrigidendo il busto e rialzando lo scollo
che, verso la metà del secolo, può essere rettangolare (Fig.8),
Fig.8 Bronzino, Maria dè Medici, 1551, Firenze, Uffizi
ma in seguito si innalza fino alla gola. Le forme del busto si
fanno sempre più rigide e costrittive. Per tutto il Cinquecento
e parte del Seicento il seno viene schiacciato e scompare alla
vista, mentre la vita si fa sempre più sottile fino a giungere a
veri eccessi. Nei documenti compare anche il termine baschina, che in Italia designa una veste intera e con le maniche,
spesso con il busto; questo era sempre aderente, attorno agli
anni 40-50 del secolo prevedeva un taglio orizzontale, spinto in una modesta punta appena sotto la linea della vita, nei
decenni successivi presentava una rapida evoluzione che nè
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esaspererà la linea a “V”. I busti in metallo esistenti in alcuni
musei vengono oggi generalmente considerati più come strumenti di correzione ortopedica se non, addirittura, fantasiose
riproduzioni di “corazze” al femminile. Vero è che il busto era
irrigidito con stecche di metallo o di osso di balena, tanto da
apparire quasi una rigida armatura per signore, ma il suo uso
non era soltanto legato alla moda: la forma del busto rendeva
le donne che lo indossavano estremamente consce dei propri
movimenti, che dovevano essere gestiti e misurati, rendendo il
busto un efficiente strumento di controllo sul comportamento
femminile. Donna onesta e virtuosa infatti era colei che manteneva un atteggiamento composto senza mai perdere il controllo, né delle proprie emozioni né tanto meno del proprio
corpo, che essendo ad immagine di quello di Eva, era considerato fonte di peccato e i cui impulsi dovevano essere dominati:
il busto quindi come “correttore” (“co-reggere”) delle donne.
L’abbigliamento femminile contadino mette in evidenza una
estrema funzionalità: anche se le donne indossano il busto, le
maniche sono staccabili, e quelle più ornate sono indossate
solo nei giorni di festa.
Inghilterra
Attorno alla metà del secolo anche in Inghilterra scompariranno le forme e le decorazioni di stampo tedesco, e compariranno stringenti influenze spagnoleggianti. Nel corso del regno di
Elisabetta lo stile delle vesti acquisisce caratteri decisamente
nazionali. Alla corte predomina il bianco reale, colore coscientemente prescelto da Elisabetta forse in omaggio al suo stato
nubile (era chiamata Virgin Queen), utilizzato anche come
onorificenza per i suoi sudditi più fedeli, la cui regina consentiva di indossare vesti bianche in ricompenso dei loro servigi.
La moda alla corte d’Inghilterra rivaleggia per ricchezza con
quella spagnola, ma le forme prescelte da Elisabetta si avvicinano maggiormente a quelle francesi. Da non dimenticare
che la Spagna e l’Inghilterra erano a lungo nemiche, infatti in Inghilterra si prediligeva il bianco e in Spagna il nero.
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Francia
La Francia in questo periodo recluta numerosi artisti per
decorare le magnifiche dimore reali. Il grande Leonardo da
Vinci finirà i suoi giorni proprio in Francia, accolto con ammirazione del re. Caterina dè Medici giunge in Francia per
sposare il futuro re Enrico II, e porta con sé anche un altro
genere di artisti: tra guardarobieri, sarti, camerieri, più di
settanta sono gli italiani presenti alla corte nel 1549. Lo stile della piccola reggina è accolto con grande interesse, anche se le fogge della moda spagnola cominciano a influenzare la moda internazionale. Dopo che lo stile spagnolo sarà
stato adottato in tutta Europa i Francesi cercheranno comunque di distinguersi da quello. Le forme non sono rigidamente spigolose come quelle di Spagna bensì assumono morbide linee ricurve. Le gonne non sono coniche ma cilindriche
(verdugadin à tambur), moda che sarà ripresa in Inghilterra
da Elisabetta I, ed il corsetto appare spesso rigonfio, imbottito esagerando le forme naturali del ventre (panseron).
Spagna
È solo dopo il 1530, dopo il matrimonio di Eleonora d’Asburgo con Francesco I, che le vesti alla spagnola diverranno il
punto di riferimento per la moda di corte. L’abito rigido e formale nasce nel seguito di Carlo V, poi, suo figlio Filippo II,
fece in modo di imporre ai popoli soggetti all’Impero il gusto
per le vesti di tipo “spagnolo”, con l’obbiettivo implicito di
limitare ogni manifestazione di indipendenza. Le donne con
il loro irrigidimento della figura, dato dal busto a punta e dalla gonna a cono e il colore nero, traducono in linee visive la
preoccupazione morale dei teologi della Controriforma e l’ideologia ascetica e rigidamente osservante del clero spagnolo.
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Paragrafo 6.
Primo Seicento: la Francia prende il sopravvento.
Agli inizi del secolo, continuano le mode italiane e spagnole, ma nel frattempo il Francia l’eleganza aristocratica sta per
prendere una strada diversa, in Olanda e nel Nord Europa si
afferma un modo di vestire più informale, legato al successo
del ceto borghese. La galanteria e l’eleganza francese sono
nate in questo periodo, nella chambre bleu della marchesa
Catherine de Rambouillet a Parigi. Mai come in questo periodo in poi il costume è influenzato dall’arte e dal pensiero
contemporaneo, questo è dovuto ad una crescente attenzione
a questo elemento, come parte di modo diverso di intendere
la vita e soprattutto l’estetica. Inizialmente l’abbigliamento
femminile è ancora pomposo e grave, ma quello maschile è
già più svelto e distinto. Nel 1625 e nel 1633 Richelieu emana un editto contro il lusso eccessivo e contro l’importazione indiscriminata di pizzi, passamanerie e ricami. Da questo
momento la moda francese raggiungerà un’elegante e nitida
semplicità che diverrà esempio per tutte le nazioni circostanti.
In Italia il costume riflette le differenze politiche come altrove.
Nell’Europa settentrionale e in Francia, il vertugadin à tambur
continua a essere indossato fino al terzo decennio del secolo,
ma in Spagna e in Italia anche la forma conica del guardinfante comincia a essere lentamente abbandonata a favore di
forme più sciolte della gonna. Un caso estremo è quello che
vede comparire, nel secondo quarto del secolo e nel NordEst italiano, un’ampia veste a vita alta, senza corpetto, la cui
gonna si diparte direttamente dal seno, coperto con eleganti
ruches che salgono fino alla gola, tutt’uno con le ampie maniche da cui tagli si vede la ricca camicia il lino finissimo. In
generale il busto del giuppone (Fig.9) è estremamente rigido
e lungo, talvolta guarnito di corte faldine imitanti quelle maschili (irrigidite da cartone o stecchine di balena), mentre alti
bordi realizzati con passamanerie metalliche sottolineano il
davanti (busto e gonna), in verticale, e gli orli, in orizzontale.
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Fig.9 Tanzio daVarallo, Ritratto di gentildonna, 1620-1625, Milano,
Pinacoteca di Brera
Quando il vertugadin iniziò a scomparire e le gonne divennero
più morbide (a cupola) si affermò l’uso di una corta giacchetta, la brassière (fig.10): in tessuto operato e dalla vita alta, aveva grandi maniche e ampia scollatura, tutta guarnita di pizzi. Il
collo che la decorava era piatto ed ampio, così come ricchissimi erano i polsini (manichetti), entrambi decorati da merletti.
Fig.10 Brassière, Olanda, 1630-1640, Monaco, Bayerisches Nationalmuseum
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Francia
Se in precedenza era stato possibile distinguere nettamente i ceti attraverso il loro costume, questo sarà sempre più
difficile: a seguito del “boom” economico francese anche
i ceti borghesi potranno permettersi abiti e accessori di lusso e per testimoniare il loro prestigio diverrà indispensabile
potersi permettere molti abiti diversi. Le dame eleganti indossano la camicia, guarnita di merletti, un corsetto (non in
vista), diverse gonne e una sopravveste (jupe) che può essere intera o divisata in una parte superiore (corps-de-jupe)
e una inferiore (bas-de-jupe), infine ancora una sopravveste (robe) anch’essa in un pezzo singolo o in due pezzi, in
tessuti lucenti, come rasi e damaschi, o broccati. La linea
della vita è più alta del punto naturale, mentre la scollatura è assai ampia, quadrata o tendente ad essere orizzontale.
Spagna
Nel 1623 Filippo IV emanò i Capitulos de Reformacion, nei
quali si stabilivano e si fissavano le regole del vestire “alla
spagnola” e veniva bandito l’uso dell’habit à la francaise: l’abito spagnolo rimase attaccato alle forme cinquecentesche con
lievi modifiche, con il passare del tempo e la sempre maggiore
influenza delle mode estere, in particolare di quelle francesi.
L’abbigliamento femminile restò più a lungo legato al momento del massimo splendore della Spagna, conservando la
ricca gorgiera con merletti e il verdugale conico, che fu utilizzato a lungo fino ad assumere forme esagerate nel guardinfante. Questa sottostruttura, in vimini o ossa di balena, allargava
enormemente i fianchi e raggiunse le massime dimensioni tra
il 1630 e il 1660. L’unica concessione che venne fatta al trascorrere del tempo fu l’affermarsi di tinte più vivaci nell’abbigliamento delle donne.
Inghilterra
Sul finire del periodo elisabettiano e nel corso del regno di
Giacomo I, anche in Inghilterra si verificano i cambiamenti
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della silhouette. Nell’abbigliamento femminile la vita è alta,
e il corpetto è decorato da passamanerie, ed entra in uso
anche qui la giacchetta corta (brassière). Le linee inglesi si
avvicinano dagli anni 40 alle linee olandesi, caratterizzate
da maggior rigore e sobrietà. Le donne puritane, seguendo
i dettami di una rigida morale religiosa, vestivano in colori
scuri e coprivano scollo e capelli con bianchi lini inamidati.
Secondo Seicento: Luigi XIV e l’Economia della Moda
Una sorta di ricercata sciatteria è quella che si nota nei ritratti della metà del secolo, dove all’eleganza e all’equilibrata ricchezza del Cinquecento si reagisce con una fantastica
e inventiva creatività, che talvolta raggiungeva la bizzarria,
specialmente in Italia. Ma dagli anni 70 l’abbigliamento divenne maggiormente razionale, cominciando dalla Francia
che, in corrispondenza allo stabilizzarsi del regime assolutista
di Luigi XIV, reagì agli eccessi del Barocco italiano con misurato e classicistico approccio. È in questo periodo inoltre che
l’abbigliamento giunge a diversificarsi: si può avere l’abito
da città, da viaggio o da campagna, e per la corte, chiamato
anche “di gala”, secondo una divisione delle funzioni che si
svilupperà sempre più nel corso del tempo, fino a giungere
a veri e propri eccessi nell’Ottocento. L’abito da città prevedeva una maggiore sobrietà, nelle decorazioni e nei colori,
sebbene riflettesse l’abito di corte nelle linee, mentre quello
da viaggio o da campagna (intendendo le campagne militari più che la villeggiatura) poneva l’accento sulla maggiore
comodità, per cavalcare e per sedere in carrozza. Ovviamente l’abito di gala era quello che maggiormente usava tessuti
pregiati, decorazioni lussuose e accessori raffinati. L’abito
diviene strumento di propaganda, usato coscientemente dalle classi sociali superiori, in special modo dalla corte del Re
Sole, Luigi XIV. È proprio il re che non solo impone una
stretta etichetta di corte, regolamentando così anche l’aspetto dei suoi cortigiani, ma che promuove la conoscenza e la
diffusione delle mode di corte, con il duplice scopo di rendere palese la supremazia francese in campo internazionale
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e di incrementare l’economia con la produzione di oggetti,
tessuti e accessori di lusso da vendere all’estero. Essere alla
moda diviene quasi una professione, e certamente vi erano
i professionisti della moda, coloro che si specializzavano in
compiti particolari ad avevano cura di aggiornare il cliente
sulle ultime novità. L’abbigliamento femminile assumeva una
linea più sfilata con il busto a punta, la scollatura orizzontale
e la vita sottile, mentre le gonne erano morbide e quella della
sopravveste si apriva a mostrare quella della veste. Una particolarità dell’abito di corte alla francese, le cui linee vengono definite attorno agli anni 60, ed è caratterizzato da almeno
tre gonne, è che il davantino del corsetto si può staccare e
cambiare: il corsage, o pièce d’estomac, si poteva infatti acquistare già pronto, intessuti e colori diversi, con ricami e applicazioni varie, che consentivano ad uno stesso abito di avere
più varianti. Un curioso accessorio che era usato con le ampie
scollature in voga, era il seno finto, corrispettivo femminile
dei “polpacci” in segatura usati da alcuni gentiluomini. Era
un posticcio, realizzato in cartapesta, che aveva il compito di
supplire con l’artificio là dove la natura non aveva elargito
sufficiente volume. Paragonabile al wonder-bras moderno se
non proprio alla chirurgia plastica. Il Pagnalmino aggiunse
che forse erano usati anche per ripararsi dal freddo, e che non
gli dispiacevano. Appena accennato e probabilmente ancora
non steccato agli inizi del 500, in pieno 600 il busto è ormai
quasi uno strumento di tortura, usato anche per le bambine:
non era raro trovare medici che ne sconsigliavano l’uso e
altri che ne costatavano le potenziali,terribili, conseguenze.
Nel 1665 è registrato il caso della piccola Elisabeth Evelyn,
morta, a due anni, secondo il medico perché il corsetto steccato le aveva premuto lo sterno e costole all’interno fino addirittura a spezzargliele. Busti, abiti di corte e abbigliamento
infantile erano realizzati dai sarti di busti, mentre le sarte potevano eseguire solo camicie e quelle parti delle vesti femminili che non erano attillate, come le gonne e i casacchini.
Il busto di corte era leggermente diverso da quello corrente,
per la maggiore aderenza e per la posizione degli spallini,
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solitamente posti in orizzontale, per creare una ampia scollatura.
Francia
È in questo periodo che si colloca il momento di transizione
tra i due poli di influenza della moda europea: l’abito alla spagnola e l’abito alla francese. Un elemento interessante è dato
dalla grande fortuna delle poupèes à la mode francesi: erano le
bambole di legno e cartapesta, simili a quelle già usate in passato alle corti italiane, che, sotto il regno di Luigi XIV, venivano inviate ai sarti di corte (la grande Pandora, che mostrava
le novità del vestire alla corte di Versilles, ovvero la toilette)
e ai negozi più alla moda (la petite Pandora, dalle vesti meno
cerimoniali e più “quotidiane”, en nègligè) di ogni città europea, dall’Inghilterra alla Russia, da Costantinopoli all’Italia.
Nel Settecento la praticità delle incisioni e delle nuove riviste
di moda finirà col soppiantare queste splendide, ma delicate, “ambasciatrici” di cera e di carta delle mode di Francia.
Inghilterra
Con la Restaurazione la corte ritorna a un abbigliamento
più ricercato, sebbene la modestia dei Puritani venga ancora ammirata e adottata, soprattutto dai ceti borghesi. Già
dal 1666 il re Carlo II ebbe l’idea di indossare una forma
d’abito mutuato sia dal colletto militare che dalle linee diritte dell’abbigliamento di tipo orientale: le ragioni stavano nella ricerca di tipologie di vestiti che meno risentissero
delle variazioni e dei capricci della moda. Si presentano le
forme che saranno tipiche del secolo successivo: la marsina, la sottoveste e i calzoni. Questo abbigliamento rimase in voga per pochi anni e, già attorno agli anni Settanta,
le mode francesi ripresero a influenzare anche l’Inghilterra.
Fine Seicento: L’area Fiamminga
Benchè un’influenza spagnola sia ancora percettibile nell’abbigliamento fiammingo d’inizio secolo, in questo periodo è
già possibile notare alcune differenze che evolveranno verso
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un abbigliamento più informale e “borghese”. Le vicende
storiche ebbero conseguenze anche nel modo di vestirsi: le
Province del Sud, più a lungo sotto il dominio asburgico-spagnolo, ne conservarono le influenze anche nel costume; quelle
del Nord entrarono nell’orbita dell’abbigliamento tedescoanseatico, di stampo riformato, diffuso soprattutto tra le classi
medie e medio-basse, mentre la classe aristocratica restava indietro nello sviluppo di nuove tendenze. In effetti, la borghesia
gode in questo periodo di una crescente prosperità e questo
si riflette anche nei suoi abiti. Sono soprattutto i grandi mercanti e gli armatori navali che investivano nell’abbigliamento:
gli abiti erano scelti tra quelli provenienti dall’Inghilterra e
dalle stesse Fiandre. La silhouette femminile e maschile, arricchisce la zona del busto creando una forma affusolata alle
estremità ma piena nel mezzo, la cosiddetta linea a “botte”.
Anche nell’abbigliamento femminile la distinzione è analoga
tra influenza spagnola e linee nordiche. Ancora attorno agli
anni venti nelle Province meridionali le donne indossavano
i lunghi e accollati busti tipici delle linee cinquecentesche,
con le gonne sostenute dal verdugadin. La linea a botte viene
poi adottata anche dalle donne. Taglio caratteristico è quello del corsetto che si ritrova nei dipinti di Vermeer, di Gerard Ter Boch, o di altri, la cui linea delle spalle è in pratica
orizzontale, mentre davanti e dietro presentano un’ampia V
che slancia la figura (fig.11) . In genere la borghesia veste in
modo austero e semplice, lontana dagli orpelli della moda
francese, che invece incontrava i favori delle dame dei ceti più
alti, che in tal modo esprimevano la diversità del loro censo.
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Fig.11 Gerard Ter Borch, La Presentazione, 1662 circa, Polesden
Lacey, National Museum
Paragrafo 7.
Il Settecento: dal 1715 al 1789
La ricchezza e le premesse del secolo nascente, i governi illuminati dell’Austria in Lombardia, dei Lorena in Toscana e di
Carlo III di Borbone a Napoli, il periodo di relativa pace che
la penisola italiana gode nella seconda metà del secolo, consentono una certa ripresa del commercio e un rinvigorirsi delle
iniziative intellettuali e artistiche. La ricchezza dei tessuti e lo
splendore delle rifiniture negli abiti nobiliari pongono una distanza abissale con il contemporaneo abbigliamento popolare,
ma città come Venezia, Genova e Lucca, vedono i propri nobili vestire (almeno nelle cerimonie pubbliche) “sobriamente”
di nero, per limitare lo spreco e il lusso. I messaggi simbolici
affidati alle vesti restano in uso nell’abbigliamento nobiliare
anche se le idee illuministe e razionaliste ne delimiteranno il
campo di applicazione lasciando ampio spazio alle “mode”,
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sempre meno “significanti” e sempre più estemporanee.
Esempio è quello che vede l’uso del colore bianco come emblema dell’aristocrazia “illuminata”: sia le vesti interamente
bianche, come le acconciature incipriate, vengono usate nel
corso del secolo come segno distintivo dell’illuminazione
interiore e della superiorità sociale, ritenute entrambe capacità e diritti conferiti da Dio stesso ai rappresentanti dei ceti
superiori. Le forme delle vesti ormai preludono a quello che
conosciamo oggi, anche la Moda, viene dalla Francia: tutto il
secolo è permeato dalle influenze francesi, anche se rimangono sfumature geografiche. Fenomeno opposto è quello che
vede ratificare la presenza dell’abbigliamento “popolare” diverso da luogo a luogo, tanto che si cominciava ad interessarsene collezionando stampe che raffigurano i costumi cittadini. Dai seicentesco manteau, attraverso la robe volante della
Reggenza, si formavano le linee base dell’habit à la francaise
(Fig.12), caratterizzato dalla presenza del panier come sottostruttura rigida, sul quale si indossavano una o più gonne, una
pettorina (compères se era un falso davantino, in alternativa
al vero corpetto) e una sopravveste aperta davanti e aderente
in vita, che mostrava la pettorina e la gonna sottostante. La
robe à la francaise si caratterizza per la posizione precisa di
alcune delle decorazioni, una delle quali le decorazioni complesse e fantasiose della pettorina (esempio tipico la èchelle
de ruban, o scala di nastri, che vedeva fiocchi di dimensioni
degradanti coprire la pettorina dal petto alla vita). Lo stesso
impianto decorativo era presente nell’habit de court, sebbene le forme potevano raggiungere dimensioni eccezionali e i
tessuti e i ricami una ricchezza sbalorditiva, oppure viceversa
prediligere per la sopravveste un velluto o una seta nera, da
raccogliere sul dietro e da lasciar scendere in un lungo strascico, aprendosi davanti su un sottanino di colore. Il grand habit
usato nel cerimoniale principesco poteva anche non utilizzare
la stratificazione delle vesti ma presentare un solo imponente e lussuoso abito che non si apriva sul davanti, mantenendo e esasperando, l’ampio panier, nonchè le altre caratteristiche, quali la guarnizione della pettorina e delle maniche.
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Alternativa alla robe à la francaise si presenterà nell’ultimo quarto del secolo, l’habit à la anglaise , in parte derivato dalla redingote di linea maschile, usata per l’equitazione delle signore anglosassoni. Sia la robe à la
anglaise che la robe à la francaise potevano essere aderenti
al busto o presentare una variante interessante e comoda
sul retro della schiena, le pieghe della andrienne (Fig.13).
Fig.12 a)Habit à la Francaise b) Habit à la Anglaise Abito di
corte ricamato in seta e filato d’argento, Inghilterra,1744, Londra,
Victoria and Albert Museum
Fig.13 Andrienne
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Non si conosce con esattezza l’inventrice di questa foggia
ampia che si allarga progressivamente, dalle spalle all’orlo.
Probabilmente corrispondeva ad una esigenza di abbigliamento informale che si faceva sentire sempre più da parte delle
signore, soprattutto in caso di gravidanza. La donna colta e
alla moda del 700 difficilmente poteva sopportare l’allontanamento dalla società, dovuta ai mesi in cui non poteva indossare il busto e l’abito ufficiale. L’andrienne rispondeva a questa
nuova esigenza di visibilità sociale, perché sotto alle ampie
pieghe del dietro un particolare accorgimento consentiva di
ampliare a piacimento la circonferenza dell’addome, restando
del tutto invisibile davanti. Nel 1778 si concede alle dame di
corte di usare l’Andrienne invece del busto e della veste, e dal
1780 essa è considerata alla pari dell’habit de court, costituendo uno degli ultimi abiti di gala del secolo. Le forme dell’abbigliamento popolare femminile sono simili a quelle nobiliari,
si differenziano per la qualità dei tessuti e per la quantità dei
pezzi e degli accessori: la camicia di cotone o di lino bianco, il
bustino, la gonna, talvolta il coraco o casacchino, come complemento del bustino, in testa la cuffia e non sempre le scarpe.
Usavano le maniche interscambiabili come nel passato, per
comodità, perché spesso il bustino restava invariato per i giorni di lavoro e per quelli di festa, e a esso venivano appunto
unite le maniche così da renderlo festivo. Tra la fine del Settecento e la fine dell’Ottocento anche l’abbigliamento popolare
raggiungerà le sue forme (giacca o bustino, camicia e pantaloni o gonna corta), e saranno quelle che, dopo la decisiva frattura delle Rivoluzioni americana e francese, condurranno allo
sviluppo dell’abito contemporaneo. Per quanto riguarda l’abbigliamento femminile infantile, nella prima metà del secolo
ancora vestono come gli adulti, con tanto di bustino con ampi
paniers. Verso la fine del 1775-80 le mode vedono diffondersi
un uso pratico e igienico, dovute alle teorie illuministe e allo
stile inglese, che consentono per certe fasce di età, di vestirsi
in modo più naturale, senza seguire le mode dei genitori. Fin
dai primi mesi di vita le bambine vestono una lunga vesticciola, fino a circa i tre anni, come fanno anche per i maschietti.
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Poi le bambine sebbene ancora indossino il busto, perdono il panier, e le gonne ricadono morbide attorno ai fianchi,
spesso ornate di un grazioso grembiulino di tela o di mussola. La scollatura del bustino è bassa, mentre le maniche sono
aderenti e consentono buona libertà di movimento (Fig.14).
Fig.14 Giuseppe Boldrighi, La famiglia di Fi-lippo Borbone, seconda metà XVIII secolo, Parma, Galleria Nazionale
Il Settecento: dal 1789 al 1799
Con la Rivoluzione Francese 1789 e la decapitazione di Luigi XVI e di Maria Antonietta 1793, aveva termine non solo
l’Ancien Règime, ma anche tutto il sistema politico che aveva
avuto inizio con le teorie assolutiste di Giacomo Stuart e Luigi
XIV, mentre si ponevano le basi per lo sviluppo delle democrazie del XIX a XX secolo. Il terrore però non poteva durare
a lungo, e dopo la caduta di Robespierre (luglio 1794) in Francia si instaurò il Direttorio (ottobre 1795). In seguito il Direttorio mostrò la sua debolezza e si giunse alla conclusione che
solo un dittatore militare, carismatico e forte, avrebbe potuto
salvare la Francia. Così il Direttorio cadde il 10 novembre del
1799 e Napoleone Bonaparte, rientrato fortunosamente in patria, venne dichiarato Primo Console. Il termine Direttorio non
è solo un’espressione politica, ma diviene anche il modo con il
quale si designa uno stile di transizione, tra le forme dell’Ancien Règime, quelle rivoluzionarie e quelle, subito seguenti,
dell’era di Napoleone. Lo stile Direttorio riprende i motivi decorativi antichi e li riorganizza in spazi e volumi simmetrici.
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Infatti nell’ultimo decennio del XVIII secolo si afferma in tutta Europa una nuova foggia del vestire, soprattutto femminile. Non più la vita sottile e i grandi paniers sui
fianchi. La Bella di fine secolo si slancia in vesti leggere, sciolte, trattenute da un nastro sotto il seno (Fig.15).
Fig.15 Jacques-Louis David, Ritratto di M.me Hamelin, 1797
circa,Washington, National Gallery of Art
Se prima della Rivoluzione, l’abito esprimeva i privilegi di
casta e le differenze tra i gruppi sociali, dopo di essa l’abito
comunica le opinioni personali dell’individuo, come elemento nuovo della società e del costume. In Inghilterra la moda
già da tempo si era semplificata per adattarsi allo stile di vita
sportivo e pratico dei suoi cittadini. È interessante notare che
subito prima della Rivoluzione francese l’abito di corte si era
formalizzato prediligendo le forme più ricche e ufficiali provenienti dalla stessa Francia, ma nell’uso comune e alla moda
le vesti inglesi seguivano le linee degli abiti del Direttorio e
Impero, le vesti di corte invece manterranno l’uso dei cerchi
ancora a lungo. Una contraddizione che esprimeva le preoccupazioni della monarchia inglese (ma anche degli altri Stati
europei) nei confronti delle ideologie rivoluzionarie. La Rivoluzione livellò i ceti sociali con l’oscura lama della ghigliottina, creando un effetto importante anche sull’abbigliamento.
Non solo stabilendo per legge l’obbligo di indossare i colori
e gli accessori patriottici (coccarde, tessuti tricolore, berretti
frigi ecc.), ma soprattutto limitando l’uso di materiale prezioso (come i tessuti broccati d’oro e d’argento), di gran quantità
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di tessuto, di elementi stravaganti. Il tentativo di creare un
“abito nazionale” però non andò a buon fine e presto fu concessa nuovamente una più ampia libertà di abbigliamento. Ma
rimarrà la coscienza della “semplicità” come elemento del
vestire borghese e comune. Con la fine del Terrore la Moda
riprese lentamente le sua vivacità e ricomparvero gli habit à
la anglaise, come anche i coraco e i pet-en-l’air, ma a questi
si aggiunsero altre forme: in particolare la redingote e la camagnola. Non furono però le donne della Rivoluzione a introdurre quella modifica principale nella linea dell’abito che
prese poi il nome di stile Impero: la vita alta. La leggenda
della Moda narra di una duchessa inglese in attesa dell’erede. Costei, arbitro dell’eleganza londinese, che non desiderava ritirarsi dalla scena mondana per i mesi prescritti dalla
gravidanza, decise di utilizzare l’ampia morbidezza offerta
dalle vesti in mussola di cotone in stile inglese (in Francia
la chemise à la Reine), innalzando la linea della vita fin sotto
al seno, legando la sciarpa colorata del suo abito 15 centimetri più in alto del punto-vita naturale. L’influsso dell’interesse rivoluzionario per le idee degli antichi, Romani e Greci, si
fece sentire, dal 1794, soprattutto nel costume femminile del
Direttorio. Le prime ad adottare il costume considerato alla
greca, furono le Merveilleuses, tra le quali troviamo Josephine Beauharnais, futura moglie di Napoleone e imperatrice di
Francia. Le Merveilleuses adottarono un abito-tunica, l’habit
chemise (Fig.16) diritto, sciolto, molto leggero e assolutamente bianco, imitante le tuniche alla romana e alla greca delle
statue antiche e neoclassiche. Dapprima il modello dell’habit
chemise fu senza taglio in vita, una struttura unica da fermarsi
sotto al seno con una sciarpa, ma quasi subito fu trovato che
il taglio in vita, cioè un modello che univa un corpino (nel
quale spesso era inserito un doppio corpetto in lino per sorreggere il seno) e una gonna, donava di più e creava l’illusione di una figura statuaria. Queste chemise erano spesso assai
audaci, realizzate in mussola così sottile da essere in pratica
trasparente, con alti spacchi laterali da cui lasciar vedere la
gamba, scollature basse davanti e dietro e con le braccia nude.
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Fig.16 Modelli di abiti Direttorio: a) habit chemise (1790-98); b)
chemise à la antique (1795-98)
Addirittura le donne giungevano a bagnarsi le vesti di mussola
bianca mentre le avevano indosso, alfine di rendere la stoffa
più trasparente e aderente al corpo. Questa moda provocò un
epidemia di influenza mortale che si diffuse in tutta Europa
(1802-1803), laddove si era adottato questo stile, e in seguito a
questi episodi si pose termine a questo rischioso esperimento.
Gli atteggiamenti ricercati, spregiudicati e ribelli delle Merveilleuses erano in opposizione all’abbigliamento di stampo
rurale dei rivoluzionari, ma essi non rappresentavano neanche
quelli della maggioranza della popolazione all’indomani del
Terrore. Le donne comuni accolsero più lentamente queste
novità, scivolando pian piano dall’abito “semplificato” della
Rivoluzione dentro i fascinosi abiti classicheggianti. Anche
perché non tutte si potevano permettere la seminudità. Tutte
queste stravaganze caratterizzarono un periodo di confusione
e di trasformazione qual era il Direttorio. Per quanto riguarda
l’abbigliamento intimo, anche il busto torna in uso, ma esso
non sottolinea affatto la vita, come quelli dell’Ancien Règime,
al contrario il busto ha il compito di sostenere, alzare e mettere
in evidenza il seno. È in pratica un lungo corsetto, allacciato
più spesso sul dietro, sostenuto alle spalle da sottili bretelle
e con una conformazione particolare sul seno. Non esisteva
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ancora infatti il taglio orizzontale sulla coppa come si usa oggi
e il seno era alloggiato in una slargatura del tessuto, che aveva
però la funzione di schiacciarlo per sollevarlo, dandogli la caratteristica forma alta e tonda, tipica delle scollature di questo
periodo. Fanno la comparsa anche le prime stecche d’acciaio spiraliformi, maggiormente flessibili e robuste di quelle a
listarella: queste ultime però continueranno ad essere usate
ancora per molto tempo, assieme alle ancor più tradizionali
stecche di balena.
Fine Settecento – Inizio Ottocento: 1799-1815,
Consolato e Impero
In pochissimi anni in Francia, tra Rivoluzione e Primo Impero, la moda ha mutato linea e stile (Fig.17), in modo che la
Fig.17 Louis-Lèopold Boilly, Il biliardo, 1799-1805 circa, Ermitage,
San Pietrogurgo
nuova classe dirigente non poteva confondersi neanche per
l’aspetto con coloro che l’avevano preceduta, e che, soprattutto, erano stati sconfitti. La moda dell’Impero conosce una
fortuna incredibile, perché essa rivestiva un carattere spiccatamente politico: nel corso di questo periodo sembra che la
moda sfugga alle mani femminili, mentre compaiono i primi grandi rappresentanti maschili, come i grandi sarti, innanzitutto, Leroy è il primo, ma anche i grandi esperti che
ne fanno una questione di stile, come i dandy, o Napoleone,
per il quale la moda è uno degli elementi strategici che egli
mette in scena sul grande teatro europeo. L’idea di semplicità
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diffusasi fin dall’inizio del periodo rivoluzionario e coincidente con gli ideali estetici inglesi, possiamo rintracciare in questo periodo l’origine dell’abbigliamento borghese, di stampo
più modesto ma altrettanto alla moda di quello aulico, creato
per legarsi a precisi avvenimenti del sociale e perfino ai differenti momenti della giornata. Con insistenza i figurini di moda
propongono abiti per la corte, per la sera, per il mattino, per il
passeggio, da visita, da spiaggia e così via. Più raramente l’abito riporta il luogo di provenienza, più diffusamente invece
indica l’occasione per la quale esso è adatto. Ne è testimonianza la “creazione” dell’abito da sposa in bianco. Se con il
Direttorio si era giunti alle stravaganti follie abbigliamentarie
delle Merveilleuses, l’Impero ristabilisce un ordine, creativo
ma rigoroso, anche nelle fogge delle vesti. La passione per
l’abbigliamento “all’antica” , attraversa indenne la Rivoluzione e il Direttorio, approda anche al Consolato, e prosegue poi
sotto l’Impero. Le vesti femminili erano a vita alta, con maniche lunghe fino a metà mano o molto corte a palloncino, un
modesto strascico seguiva la figura, donando all’andatura un
fascino serpentesco. Lo scollo era ampio e tendenzialmente
squadrato ma se ne avevano anche di rotondi che mostravano
quasi le spalle. Le linee inglesi ben si sposavano con il rigore militare che presto si era affacciato anche nel guardaroba
femminile. Infatti l’ispirazione “guerresca” non si fermava al
mondo maschile, e le vittorie francesi nonché il fascino per
i territori lontani influivano velocemente sui drappeggi delle
signore, già a partire dalla Campagna d’Egitto. Si diffonde l’idea di moda come bon-ton, che nell’era prerivoluzionaria era
riservata a una ristretta cerchia di individui. Per quanto riguarda l’infiltrazione delle nuove mode, in generale si nota dapprima la comparsa di pochi elementi che richiamano il gusto
anticheggiante o le linee Impero, assieme alla permanenza in
uso di vesti ancora tardo settecentesche, in special moda per le
donne di una certa età, che amavano, ad esempio, conservare
l’uso del busto dalla vita bassa. Come sempre sono soprattutto
i giovani ad adottare celermente le nuove fogge. Per quanto riguarda l’abbigliamento intimo, sotto l’Impero il busto,
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eliminato con le libere vesti del Direttorio, compare nuovamente, ma la forma è diversa da quelle precedenti. Anziché sottolineare il punto vita questa tende a slanciare e snellire la figura e
a innalzare il seno. Stesso scopo ha il corsetto, che termina in
vita e, mediante le stecche, sostiene il petto. Nel 1811 compare
il divorce corset, che separa i seni quasi come un reggiseno
moderno ma ancora lungo fino al punto vita naturale. Anche
le donne delle classi popolari indossavano i busti, e i contemporanei notano che i tessuti sembravano di migliore qualità.
Paragrafo 8.
L’Ottocento: dalla Restaurazione alla Belle Epoque
(1815-1880)
Con la Restaurazione si afferma un generale, maggiore, controllo del corpo e delle sue espressione. Le linee degli abiti
recuperano una maggiore compostezza, dei volumi, più ampi
di quelli dell’Impero, e nell’ostentazione del corpo, molto più
castigato. La moda non è più al centro degli interessi dei ceti
dirigenti, i quali erano maggiormente interessati alle conquiste
tecnologiche, nelle quali riconoscevano il vero criterio di differenziazione sociale. Non esisteva più una corte che esercitava
una forte influenza sulle altre, e questo conduceva a uno sviluppo del costume in senso anche borghese. Tra il 1815 e il 1825
si situava un primo periodo di transizione e riorganizzazione,
nel quale la silhouette femminile reinstaurava il punto vita naturale, accompagnandosi a forme esagerate, e talvolta ridicole,
nelle acconciature. Tra il 1825 e la metà del secolo il Romanticismo condiziona anche il costume, e si propone all’attenzione una donna estremamente femminile, con gonne morbide,
ampie e ben guarnite, accompagnate da un bustino serrato e da
accessori di vario genere (Fig.18), che sarà poi il modello dominante per tutto il secolo. Nella seconda metà del secolo, la
maggioranza delle linee guida per la realizzazione degli abiti
proviene dalla Francia. È impossibile distinguere la moda tra
nazione, a meno che non si analizzi il costume tradizionale.
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Fig.18 Abito di raso, Inghilterra, circa 1842, Victoria & Albert
Museum, Londra
La rigida etichetta che entra in vigore nell’alta società, sebbene oggi sembri ridicola ed esagerata, aveva come scopo il
mantenere degli standard di comportamento adeguatamente
civili, in un periodo in cui la rapida industrializzazione metteva a rischio la sopravvivenza di quella stessa società. Essa
si esprimeva anche attraverso l’uso di determinati capi d’abbigliamento, come il cappello, e i guanti, che sopravvivranno, come segni di distinzione e rispettabilità, fino oltre la Seconda Guerra Mondiale. La donna perde, nel corso dell’800,
quell’importanza, anche intellettuale, che aveva avuto tra la
fine dell’Ancien Règime e il periodo Impero: il suo ruolo ritorna ad essere quello di custode dei valori morali della famiglia, nonché testimone del benessere raggiunto dal padre
e dal marito. Questo si traduce in un attenzione forte per l’aspetto esteriore, per i beni di lusso e per la moda. I giornali di
moda fornivano quegli spunti e quelle novità indispensabili
per affermare la propria condizione sociale. Già nel secondo
decennio compaiono forme ispirate agli stili del passato, specialmente neo-medievaleggianti. La vita ritorna lentamente
alla sua posizione naturale, mentre il corpetto diviene meno
aderente sulla schiena e aumenta l’ampiezza dello scollo per
le vesti da sera, accentuando l’effetto delle spalle cadenti e
rotonde, molto apprezzate in quel periodo e per buona parte
del secolo. Tra il 1845 e il 1855 la punta sul davanti del bustino inizia a scomparire lentamente e, verso la metà del secolo,
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si preferiscono abiti con vita rotonda. Per il giorno si preferiva l’abito en blouse, versione più moderna dell’antico habit
chemise, caratterizzato dalla ricchezza della stoffa, raccolta
in vita e sul petto con una fitta increspatura o con una serie
di minute piegoline (Fig.19). ). Per gli abiti da sera lo scollo
è ampio, perfino orizzontale, a scoprire le spalle (Fig.20). Il
busto enfatizzava la linea femminile e la sua punta, steccata,
si appoggiava oltre il cinturino della gonna. Molto in voga
era l’abito da amazzone, per cavalcare, caratterizzato da tessuti uniti, bustino aderente e gonna morbida, accompagnato
da un cappello decorato da veli e piccole piume di struzzo.
Per quanto riguarda l’abbigliamento intimo, si usava per
coprire il busto il copribusto di lino, si usavano anche corsetti da giorno e da notte. Il busto tornava a segnare il punto
vita naturale e a esaltare fianchi e seno, talvolta anche con
l’aiuto di posticci; se ne inventano dei modelli che consentono di essere allacciati anche senza aiuto, con un sistema
a cerniera (Fig.21) o con l’uso di materiali elastici, come il
caucciù. Anche alcuni uomini indossavano il busto, per rendere più snella la propria figura, nella prima metà del secolo.
Fig.19 Abito in taffetà di seta, color acqua, 1845
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Fig.20 K.Brioullov, Ritratto della Signora Bobrinskaja, 1849, Ermitage, San Pietroburgo
Fig.21 Busto con cerniera, stampa, circa 1830
Fine Ottocento – Inizio Novecento: Il Mondo si Rinnova
(1880-1900).
In questo periodo, è la figura del progettista che diventa
la vera protagonista del mondo che cambia. Un progettista molto importante in questo periodo è Charles Frederick Worth, l’ostentazione, di tessuti, di ricami, merletti,
applicazioni, tipica delle sue vesti, corrispondevano alle
esigenze della società del tempo, ma il couturier riusciva a
miscelare con sapienza ogni elemento dell’abito, così da
creare oggetti corrispondenti al buon gusto del momento.
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La radice del suo successo era nella sua capacità di interpretare correttamente il ruolo che la società stessa gli aveva affidato: quella di incarnare l’essenza del gusto e della moda, unico
interprete estetico ufficiale della vita mondana, soprattutto
dopo la fine del Secondo Impero, quando neppure più la corte
si poneva come ideatrice di nuove mode. I suoi abiti riscuotevano grande ammirazione perché era nuovo il concetto che vi
era alle spalle: il couturier realizzava il progetto di una veste
unica, costosa, di alta qualità estetica e sartoriale, che non poteva essere replicata in versioni seriali. In un momento in cui
prendeva piede nella massa l’idea di serialità e di meccanizzazione, l’alta società si riconosceva in un prodotto artistico perché unico. Si celebrava dunque la nascita dell’alta moda e del
ruolo del designer perché egli deteneva le chiavi d’accesso a
quel mondo raffinato, elitario e distante dall’uniformità. È ancora Worth che, dopo l’introduzione del taglio princesse, creava la forma del busto-corazza: un corsetto steccato e modellato, che contribuiva a formare la figura della donna-guerriero,
la donna forte e seducente, pericolosamente vicina ai sogni, o
agli incubi, dell’uomo borghese. Da un lato la femme-fatale
incarnava la visione della donna potente e terribile, dea della
guerra e del sesso, dall’altro la corazza di pizzi e stecche di
cui era rivestita la donna di Worth in qualche modo presentava un’immagine rassicurante, essendo strumento di seduzione
(per l’uomo) e di imprigionamento (per la donna) allo stesso
tempo. Tra il 1870 e il 1890 la silhouette delle signore poteva
includere un evidente sellino (tournure) che esaltava i fianchi
e la vita sottile, esagerandone la linea ad anatra. Agli inizi degli anni ’80 la linea femminile diveniva più verticale, , il busto
modellava sempre di più le forme femminili, anche se, contemporaneamente, nascondeva quelle reali. Il corpetto esasperava la punta anteriore. Negli anni ’90 la silhouette femminile
acquisiva una linea a clessidra, con una vita sottile, il busto
messo bene in evidenza e la gonna a campana, o a corolla (più
svasata verso il fondo). Nel 1881 la viscontessa inglese Haberton fondò The Rational Dress Society, cui appartenne anche
Oscar Wilde, seguita pochi anni dopo da Ada Baillie, con la
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National Health Society. Entrambe cercarono di proporre
vesti ispirate a criteri di igiene e salute (Fig.22), incentrate
soprattutto sul taglio princesse che, non stringendo eccessivamente la vita e partendo dalle spalle, consentiva di limitare l’uso del busto, ormai ritenuto responsabile di ogni
sorta di problema fisico e di pregiudicare la gravidanza.
Fig.22 Pierre-Auguste Renoir (1841-1919), La signora Gaston
Bernheim de Villers
Nonostante i movimenti riformisti fossero anche promotori
della richiesta di emancipazione della donna, ormai pressante,
gli indumenti riformati furono accolti favorevolmente dalla
società borghese, perché il monito che la medicina ufficiale
rivolgeva all’uso sconsiderato del busto sui rischi d’aborto,
rendeva consapevoli di quanto quest’ultimo potesse mettere in
pericolo il ruolo primario della donna: quello materno. Dopo il
1890 la Riforma (1890-1910) proposero una nuova linea, più
morbida e meno forzata da sottostrutture, come il sellino e il
busto, che iniziarono a scomparire o modificarsi. Invece per la
biancheria, il busto conferisce una linea affusolate e il vitino
sottile, di vespa: viene guarnito da pizzi allo scollo e in basso, mentre la stessa disposizione delle stecche, a reggiera, ne
incrementava il design elegante. Anche quando il busto viene
eliminato dalle vesti, rimarrà la pratica di infustire il corpetto degli abiti con stecche leggere. popolare, si usava suddividere il vestire in quattro tipologie: l’abito quotidiano (per
tutti i giorni e lavorativo), l’abito festivo (per la domenica),
l’abito solenne (per le occasioni cerimoniali) e l’abito rituale
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(per determinate celebrazioni religiose, o ex voto). La donna era considerata la depositaria dei valori della famiglia
e della tradizione. La maggioranza delle persone difficilmente si poteva permettere il vero e proprio abito tradizionale e si contentava di aggiungere qualche elemento all’abbigliamento quotidiano, come il corpetto e lo scialle per le
donne, magari acquistandoli sul fiorente mercato dell’usato.
Paragrafo 9.
Novecento: Tra Belle Epoque e la realtà della Grande
Guerra (1900-1918)
In questo periodo il cinema colpisce fortemente l’immaginazione popolare agli inizi del secolo, anche se, ancora per
qualche tempo, i ceti borghesi preferivano sempre il teatro e
l’Opera. Il cinema degli inizi del secolo è veicolo delle nuove
tendenze, delle nuove mode, nonché fiducia di sviluppo delle
star, e dei grandi divi del tempo. Il rapporto tra moda e cinema
si instaura già fin dai primissimi ciak, e il successo di alcuni
attori è in parte dovuto anche alla loro abilità nello scegliere
il proprio look. Il primo quarto del nuovo secolo è stato un
periodo di grandi cambiamenti e crescita del settore moda in
Occidente: solo a Parigi, in questo periodo, furono aperti almeno venti nuovi atelier di haute couture, mentre la città si
riaffermava, per l’ennesima volta, come leader mondiale in
questo campo. Tra l’altro la Francia riconobbe il ruolo della
moda come punto di forza per la propria economia, e sarà proprio questa consapevolezza il motore della ripresa, sia dopo
la prima che dopo la seconda guerra mondiale. Le donne eleganti di tutto il mondo, giungevano a Parigi attorno alla fine di
febbraio per scegliere il nuovo guardaroba primavera-estate, e
alla fine di agosto per quello autunno-inverno. La linea d’inizio secolo prevedeva una vita stretta (Fig.23), spesso segnata
da alte cinture-bustino, con gonne che coprono il piede e braccia inguainate in lunghe maniche o lunghi guanti. La linea a S,
che esaltava seno e fianchi, era ancora in vigore, assieme alla
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più sensuale linea a clessidra, amata in particolare dalle belle
rappresentanti del demi-monde, le donne che rendevano frizzanti e vivaci le notti dei cafè-chantant, dei ritrovi alla moda,
dei teatri e dei locali notturni. Lo stile delle vesti delle nobildonne era più classico e maestoso di quello delle demi-mondaine, delle ballerine e delle attrici, che amavano invece la creatività appariscente, il lusso sfarzoso e le innovazioni. Ancora
diverso quello delle suffragette, le femministe che lottavano,
ormai in tutto il mondo occidentale, per il riconoscimento dei
diritti delle donne: il loro è uno stile più formale, quasi sempre limitato a un tailleur dal taglio particolarmente maschile,
in colori scuri, con accessori severi e quasi nessun gioiello.
Fig.23 Klavdi Stepanov, Ritratto di M.me Youssoupova, 1903,
Ermitage, San Pietroburgo
Nel 1902 compare lo scollo a V. Nel 1907 i tailleur prevedevano una giacca lunga quasi fino al ginocchio, con manica diritta
e rever in colori contrastanti, mentre la gonna è stretta (fig.24).
Fig.24 Linea a clessidra, abito Riforma, tailleur
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Nel 1908 a Parigi compaiono abiti aderentissimi che fanno scandalo perché consentono di vedere le forme del corpo senza busto e piedi. Ma è lo stilista Paul Poiret ad andare anche oltre, perché propone una silhouette di donna
dalla figura snella, diritta e slanciata, cui il busto è ormai
di troppo: dapprima si ispira alla linea Impero e Direttorio, inseguito ha dei richiami alle culture arabe e orientali. Il busto però era ancora utilizzato per l’abbigliamento
da nuoto, infatti la tunica corta e stretta era diventata ampia
nella gonna e più scollata, con maniche cortissime sul busto.
Fig.25 Les Nouvelles Merveilleuses, 1908, Parigi
A causa della Grande Guerra nel 1909 avviene un profondo
cambiamento nell’aspetto delle uniformi, perché si introduce la
divisa grigio-verde mentre i colori di quelle preesistenti restano nell’uso di alcuni reggimenti per le uniformi da cerimonia.
La prima guerra mondiale, con la micidiale introduzione del
trinomio reticolato-trincea-mitragliatrice (senza dimenticare i
gas), cambia definitivamente le regole del gioco, ed impone una
dura revisione a tutto l’impianto bellico dei Paesi coinvolti. La
guerra d’impeto e di coraggio cede il passo a quella d’attesa e
di mimetizzazione, e le uniformi si adeguano al nuovo meccanismo. La guerra modifica anche l’aspetto delle vesti femminili, introducendo ad esempio le gonne corte, abiti più adeguati ai nuovi ruoli delle donne nella vita pubblica e nel lavoro.
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Novecento: 1918-1930
Nell’ Europa dell’Est, in seguito alla Rivoluzione del’17, il
sistema comunista considerava inutile e dannosa la moda, in
quanto elemento tipico del vivere borghese. Il partito optava
per la produzione di indumenti in serie, funzionali e pratici, e
molte sartorie passarono sotto il diretto controllo statale cessando l’attività in proprio. Per i costruttivisti russi gli abiti
dovevano essere semplici e sottolineare l’aspetto funzionale,
mentre l’abito lineare e dal taglio sportivo doveva sostituire
l’abbigliamento borghese ante-rivoluzionario. Dopo il 1918 la
ginnastica e l’attività fisica in genere sono viste come mezzi
educativi e salutari delle masse, non solo in U.R.S.S., ma anche dal regime nazista in Germania e da quello fascista in Italia.
I regimi totalitari richiedevano alla donna di essere una brava
fattrice e all’uomo un virile combattente, mentre di altro genere
è la bellezza femminile promossa in America e Francia, dove
l’industria del lusso e della cosmesi vede protagoniste donne
truccate e sempre più magre. La donna formosa d’inizio secolo non è più di moda, e comincia a farsi strada la giovane, vagamente androgina, la cui silhouette è sottile e snella (Fig.26).
Fig.26 Alle corse di auto. 1922
Nell’autunno del 1927 le ginocchia femminili sono ormai diventate uno spettacolo accettato, gradito e perfino rispettabile
in società. I completi diventano più mascolini, le giacche in
tweed ed i completi pantaloni (per la casa e lo sport) si abbinano alle scarpe basse con i lacci, mentre per la sera la nuova
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voga del charleston e del jazz promuove abiti corti, che lasciano libere le gambe, con lunghe applicazioni di perline e
canutiglie che oscillano nei ritmi veloci della danza, accentuando la sensazione del movimento. Gli accessori e il trucco, nonché gli atteggiamenti spregiudicati (di gran moda
il lungo bocchino usato per fumare), confermavano l’idea
di una donna libera ed emancipata, volutamente trasgressiva. La nuova silhouette slanciata e androgina all’apparenza
non prevedeva busto di sorta. Tuttavia proprio per ottenere una linea così snella spesso si utilizzavano corsetti che
schiacciavano il seno: non più in materiali rigidi come le
antiche stecche di balena, i nuovi bustini si avvalevano della gomma per modellare la figura. Nascosti seno e fianchi,
sono le gambe a essere ora al centro dell’attenzione erotica.
Novecento: 1930-1945
Una ennesima rivoluzione della moda si verifica proprio nell’estate del 1930, quando gli stilisti e i designer decisero che era
ora di abbandonare le linee angolose e rigide del modernismo,
per preferire nuove morbidezze e linee curve nei drappeggi degli abiti, nelle linee ondulate delle acconciature e negli arredi.
Gli abiti diventano leggermente ampi attorno al busto, ma la
vita è nuovamente marcata, mentre le gonne iniziano ad allargarsi e a scendere a metà polpaccio e fino alla caviglia (Fig.27).
Fig.27 Silhouette anni’30: abiti, intimo, tagli particolari
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Il taglio delle vesti, si fa estremamente importante, e la moda
viene considerata una forma d’arte dalle riviste del periodo.
Il crollo di Wall Street del’29 ebbe molte conseguenze anche
nel campo della moda, sia in America che all’estero. Le case
francesi, ad esempio, videro ridurre drasticamente la clientela
americana, e furono costrette ad assentire alle richieste di acquisto delle sole tele e dei modelli, mentre gli abiti originali
restavano appesi negli armadi degli atelier parigini. Il danno
economico, fu altissimo, e diede inizio al sistema delle copie illegali degli abiti e delle tele (sia da parte di privati che
delle sartorie), che è proseguito fino ai primi anni Settanta.
Nel 935 l’attacco italiano all’Etiopia provocò dure sanzioni
economiche da parte degli altri Stati europei, mentre dal 1936,
la più stretta vicinanza con la Germania nazista ebbe come
effetto quello di creare un allontanamento effettivo delle altre
nazioni. Sia la Germania che l’Italia conoscono una tendenza in cui si rafforzano le produzioni nazionali (autarchia), e
contemporaneamente si favorisce il ritorno dell’abbigliamento tradizionale, nel clima di rinnovata xenofobia (avversione
contro tutti gli stranieri senza motivazioni) dei regimi. A causa
della necessità di un Ente che sovrintendesse alla produzione
e all’immagine di una moda veramente italiana, nel’35 nasce
l’Ente Nazionale della Moda. Sebbene tra questa data e la fine
della guerra la moda italiana non abbia avuto modo di esprimersi veramente a livello internazionale, l’E.N.M. ebbe il
merito di sollecitare a realizzare una istituzionalizzazione del
sistema di produzione dalla moda in Italia, e, pur con tutte le
sue lentezza burocratiche, la pesante retorica nazionalista, le
prese di posizione talvolta indecise e confuse, riuscì a porre le
basi sulle quali sarebbe poi stato costruito il fenomeno dell’alta moda italiana dopo la guerra. Dal’37, anche i film realizzati
in Italia erano obbligati a utilizzare solo abiti italiani, approvati dall’Ente. Per tutti gli anni di governo il fascismo promosse
una moda nazionale (Fig.28) che fosse anche lussuosa, consapevole, soprattutto dopo un’inchiesta nel’31, che in Italia
importava abbigliamento e accessori per un valore incredibile,
assorbendo, da sola, quasi un terzo della produzione francese.
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Fig.28 Abiti di lana per un mattino di primavera, la donna, la casa, il
bambino, 1937, collezione d’autore
La moda, per l’Italia, rappresentava già un motivo d’orgoglio
nazionale, un alto giro d’affari e, da non sottovalutare, un potente mezzo di propaganda politica. Per le donne, fianchi morbidi e cosce snelle furono il nuovo ideale di sex-appeal del decennio. I nuovi tessuti elasticizzati (lastex e stretch) permisero
nuove invenzioni per la seduzione femminile. I bustini morbidi, i reggiseni imbottiti e le guaine di lastex fatte a mutandina
alta (culotte) o a bustino conferivano una procace sensualità e
una maggiore sicurezza di sé anche alle meno dotate. Spesso
alle guaine e ai bustini elasticizzati erano sospesi i reggicalze. Con la guerra, e gli uomini al fronte, la seduzione perse
in gran parte l’importanza che aveva avuto in precedenza, ed
inoltre le industrie specializzate in lingerie e nella lavorazione di sete e tessuti elasticizzati furono trasformate in fabbrica
per la produzione di materiale bellico. Si rafforza quindi la
confezione casalinga della biancheria, che in alcuni ceti proseguirà ancora ben oltre negli anni Cinquanta. Come indumento
da notte si afferma, anche per le donne, l’uso del pigiama.
Novecento: 1945-1960.
La moda cerca di orientarsi verso una normalità fortemente voluta dopo la crisi della guerra. Il modello di
donna proposto da Christian Dior è conseguenza di questa volontà, e le gonne lunghe e la vita di vespa riscoprono una silhouette formalizzata e astratta, pur tuttavia di
grande successo. Il busto modella nuovamente il corpo,
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imponendo una rigida stilizzazione dimenticata da molto tempo. Dall’altra parte Chanel nel’54 propone invece un modello
di donna formale ma funzionale, con abiti che non invecchiano mai nel guardaroba della vera persona di classe. L’abito
comodo finirà per prevalere e ciò che si affermerà veramente
è il concetto della pluralità delle mode, facendo tramontare
l’epoca delle esagerazioni a favore dello stile, che sarà migliore tanto più sarà personale. Yves Saint Laurent e Mary Quant
lo comprendono, e saranno tra i grandi protagonisti del decennio successivo. La genesi del New Look sta nel periodo
della guerra stessa, nelle privazioni e nella testarda resistenza
con la quale gli atelier parigini affrontano le problematiche
della vita quotidiana durante il conflitto. Nell’autunno del’44,
conscia di quanta importanza avesse la moda per l’economia
della nazione, la Chambre Syndicale decise di organizzare una
manifestazione per pubblicizzare nuovamente la vitalità del
settore moda: nacque così l’idea di realizzare una mostra di
bambole vestite dai sarti francesi, con tessuti francesi, con la
collaborazione di artisti francesi per gli accessori e gli scenari:
era nato il “Thèatre de la Mode”. Le linee creative e fantasiose
proposte dagli stilisti, come Balmain, Lelong, Fath, Balenciaga, Nina Ricci, Jacques Heim, lo stesso Dior (che lavorava per
Lelong), anticiparono quelle che verranno di lì a poco conosciute come “New look”. Il modello Bar (Fig.29) della collezione Dior primavera-estate del 1947 è diventato il simbolo di
questo profondo rinnovamento nell’alta moda parigina, tanto
potente da far pensare che la stessa moda di Parigi si identificasse quasi nello stile di Christian Dior. La vita sottile, il
seno sottolineato, i fianchi esaltati nelle larghissime gonne del
modello Corolle: il corsetto, dal sapore vagamente ottocentesco, rielaborava le linee del corpo femminile, riscoprendone
le nuove rotondità. Tutto concorreva a creare una nuova immagine, che la giornalista Carmel Snow chiamò con successo
New Look, termine rimasto a definire la nascita di un nuovo
periodo d’oro della moda francese. Fin da quando la moda
parigina era divenuta sinonimo di Moda è esistito il fenomeno dell’imitazione dei capi presentati a Parigi, fenomeno che
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trova la sua massima espressione nei croquis, schizzi eseguiti
da un disegnatore, talvolta anche giornalista, direttamente alle
sfilati francesi, per essere portati in Italia al fine di imitarne le
linee principali.
Fig.29 Christian Dior, Modello Bar, 1947
Ma è a Firenze che Giovan Battista Giorgini, resident buyer
per i grandi magazzini americani, nel febbraio del 1951 ebbe
l’idea di investire sulla moda per lanciare la prima manifestazione internazionale di moda italiana: in una cornice suggestiva e appropriata, quale era quella della Sala Bianca di
Palazzo Pitti (22 luglio 1952). La sua idea era quella di mettere insieme alcuni dei nomi italiani più interessanti con sfilate
collettive che, lontane dall’idea di segretezza tipicamente parigina, confrontavano e condividevano gli spunti creativi dei
vari stilisti, creando un clima di festa di corte, e avvalorato
dalla presenza, tra gli stilisti, i compratori e le clienti, di molti
nomi dell’aristocrazia italiana, a partire dal marchese Pucci.
Con questo evento l’alta moda italiana iniziava il suo cammino sotto l’egida di numerosi titolari, sia tra gli stilisti, che tra
le modelle e tra le personalità invitate, e questo rendeva più
appetibile per la stampa, sia italiana che estera, la partecipazione all’evento fiorentino. A causa di alcune gelosie, le manifestazioni, negli anni, si trasferirono a Roma e Milano, ma il
seme dell’alta moda italiana era ormai ben germogliato, e produce i suoi frutti ancora oggi. La moda italiana poi si distingueva per una maggiore sobrietà e linearità dei modelli che,
anche se anch’essi eleganti, suntuosi, con tessuti splendidi ed
esclusivi, perseguivano comunque una maggiore funzionalità
e portabilità, avviandosi già verso il concetto di prét-à-porter.
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Novecento: gli Anni’60
Niente più ispirazione al passato, non più citazioni colte:la
moda giovane deve essere nuova, interamente dedicata all’avvenire, cui fa riscontro l’allunaggio del 1969. La modernità è
rappresentata da un corpo giovane e libero da costrizioni, da
una abbigliamento che rifuge dal considerare la donna come
un oggetto e facilità invece una vita attiva e agile, sia per la
donna come per l’uomo. Gli abiti femminili si racchiudono
in forme geometriche pure (come la linea a trapezio di Yves
Saint Laurent), si accorciano mostrando il ginocchio, oppure
una camicia leggera o un maglione e un pantalone compongono l’insieme della donna e dell’uomo. La moda si adegua alle
necessità dei nuovi protagonisti, i giovani, offrendo materiali
e colori adatti alle nuove realtà e tensioni sociali che si delineano con sempre maggiore chiarezza. Pierre Cardin, Andrè
Courrèges e Paco Rabanne sono i promotori-innovatori rivolti
a questo pubblico giovane, anche se l’Alta Moda, proprio nel
momento in cui raccoglieva i massimi consensi, aveva anche
cominciato a non essere più così influente nella creazione delle
tendenze e del gusto del pubblico, sostituita da altri fenomeni,
come la musica e l’arte. Alcuni tra gli stilisti più all’avanguardia compresero cosa stava succedendo e si volsero alla realizzazione di linee pronte, distribuite in boutique monomarca, gli
altri che non si adattarono ai cambiamenti finirono per chiudere. Nel 1965 una larga fetta della popolazione occidentale è
composta da giovani sotto i venti anni, che, nati nel momento
del “boom” economico, sono adesso pronti per reclamare i
propri spazi e avanzare le proprie richieste. Fin dalla metà degli anni Cinquanta il mercato giovanile aveva visto crescere le
proprie necessità: mai grandi magazzini e la confezione non
riuscivano a stare al passo con queste nuove esigenze, mentre
l’Alta Moda era decisamente fuori dagli interessi e dalle possibilità degli adolescenti. Erano nati quindi dei comportamenti e degli abbigliamenti particolari, estemporanei, gli “stili”
della contromoda, che si alimentavano autonomamente, traendo spunto spesso dal mondo dell’arte, del cinema e della
musica. Teddy Boys e Rochers, Mods, Beatnicks e Hippies
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e tutti coloro che si rivolsero alla moda pop furono i protagonisti del cambiamento vestimentario che coinvolse tutti i
giovani del mondo occidentale. Benchè la maglieria fosse già
affermata da decenni sul suolo nazionale, è tra il anni’50 e ’60
che essa si afferma come genere indipendente e importante.
Novecento: gli Anni’70
La contestazione giovanile che aveva avuto inizio alla metà degli anni ’60 giungeva adesso al suo culmine: ciò che si pone in
discussione è ormai il modello borghese e tradizionale della società occidentale. I giovani arrivano a rifiutare ciò che viene prodotto a livello industriale e consumistico, preferendo rivolgersi
a linee ispirate agli abbigliamenti etnici, alle aree pre-capitalistiche, alle società e ai gruppi emarginati dal sistema (Fig.30).
Fig.30 Skinhead, Glam, Rastafari, Punk
La liberazione degli stili, proposta con entusiasmo a cavallo dei due decenni, ha come conseguenza la crescita dei temi
d’ispirazione. In quest’epoca si afferma con forza il ruolo
creativo dello stilista, al quale le aziende iniziano ad affidare
la progettazione e la propria immagine. L’Alta Moda vive un
periodo di difficoltà, anche se è adesso che compaiono i nuovi importanti designer, come Kenzo o Jean Paul Gaultier ( il
quale in seguito proporrà diversi, e fantasiosi, modelli di corsetti), ma anche stilisti italiani come Armani, Ferrè o Missoni.
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Se fino ad allora il prèt-à-porter si era caratterizzato nell’offerta di abiti destinati a risolvere le esigenze della gente che
lavora offrendo prodotti classici e lineari e senza inutili stravaganze, fin da subito il prèt-à-porter di Armani (dapprima con
Gft e poi come Emporio Armani) offre una ricerca estetica
raffinata, qualità e prezzi accessibili finalizzati al mondo dei
giovani. Tra il 1976 e 1978 il movimento Punk aveva ormai
raggiunto una ampia diffusione. Partito da quegli strati giovanili dove era forte la disoccupazione, rappresentava una
estrema reazione al problema. Un fenomeno anti-autoritario,
anti-sistema, apolitico e in lotta contro gli stereotipi tradizionali dell’identità sessuale, che esprimeva le sue caratteristiche
più appariscenti con il culto del brutto, dell’irriverenza e del
feticismo, causando forti reazioni in tutta Europa. I bollenti
anni Sessanta si stemperano nel freddo abbraccio degli anni
Settanta: la donna che ne emerge è alla ricerca di se stessa, e
gli stilisti ne propongono infinite variabili. Dal 1971 le donne
ripudiano i canoni tradizionali della bellezza femminile, bruciano il reggiseno nelle piazze e adottano abiti larghi e informi
che nascondono il corpo. Desiderano modificare il loro status
e per questo entrano nel mondo del lavoro, superando diffidenze e proponendosi come nuovi protagonisti del mercato
sociale. La nuova libertà sessuale si manifesta anche attraverso un’accentuata ostentazione del corpo: per tutto il decennio
furoreggiano gli hot pants (pantaloncini bollenti), look irriverente e audace, amato dalle showgirl ma anche dalle donne
comuni che lo reinterpretano abbinandolo spesso a maglioni o
cappotti lunghi. Nel 1976 la donna in carriera sceglie il cosiddetto Big Look, uno stile che esalta la femminilità ma senza
mostrare veramente il corpo, basato si un abbigliamento di
ispirazione folk con un occhio attento per la comodità. L’abbigliamento sportivo comincia ad avere successo anche tra le
donne, che prediligono indumenti attillati e tessuti elasticizzati, con body in lycra o in raso elasticizzato, dai colori vivaci,
da abbinare a tute da ginnastica, calzamaglie e scaldamuscoli,
eventualmente da portare anche in discoteca. A partire dalla
metà del decennio una rinnovata attenzione per la femminilità
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crea le condizioni perché le donne tornino a giocare con la
seduzione: se le femministe avevano bruciato il reggiseno e nascosto il corpo, la conquistata libertà sessuale spinge le donne a desiderare il sentirsi nuovamente attraenti.
Nel’78, a Parigi, fa la sua comparsa il bustier, versione moderna dell’antico bustino, fatto per essere portato in vista e
apprezzato soprattutto come capo per le serate in discoteca. Contemporaneamente la lingerie diventa un prodotto
particolarmente apprezzato anche dalle giovani e la grande distribuzione ne tiene conto. Entra in commercio una
biancheria che utilizza fibre di cotone e lycra, elasticizzata, molto confortevole ed anche gradevole esteticamente.
Novecento: gli Anni’80.
La moda è ormai indissolubilmente legata alla pubblicità e al
design. Gli anni Ottanta recuperano lusso e formalismo nelle
collezioni ufficiali, mentre gli streetstyles diventano uno dei
punti di riferimento per i designer d’avanguardia. In genere
è più facile seguire le tendenze già presentatesi che tentare
novità destrutturanti, rischiose per un sistema moda ormai radicato nel prèt-à-porter, che deve piacere al pubblico ancor
prima di essere messo in produzione. Le differenze tra maschile e femminile sono nuovamente marcate, anche se lo stile
femminile si ispira direttamente ai modelli di potere dell’abbigliamento da uomo. Ognuno è libero di scegliere il proprio
stile e l’abbigliamento si adatta alle diverse situazioni sociali
in cui ci si trova. La moda ritorna su se stessa, e, verso la fine
del decennio, compaiono numerose le ispirazioni revival che
resteranno un po’ come caratteristica di tutti gli anni ’90. La
moda inoltre diventa globale. Cresce l’importanza della pubblicità, dell’immagine e del marchio. È anche il tempo di certe
riflessioni sulla moda e sulla società, che danno vita ai nuovi
studi sociologici, di storia del costume, di marketing, ma nelle
collezioni è ancora prevalente una generale superficialità. La
moda diventa neobarocca, con un forte accento sull’artificio
e sul falso, dai materiali sintetici e luccicanti, agli accessori
in plastica, alle finte pellicce. La moda è anche postmoderna,
60
dove il termine indica l’idea che si debba andare oltre ai valori, un tempo positivi, del modernismo, verso un recupero di
diverse forme espressive come quelle dell’ambiguità e della
critica. Le donne in carriera privilegiano uno stile elegante e
pratico, fatto di tailleur dalla vita stretta e dalle spalle larghe,
con gonna o con pantalone maari maliziosamente accompagnato da una lingerie di classe in morbida seta. Il trucco è forte
ma non volgare e sottolinea uno sguardo deciso e freddo. Per
la sera invece si prediligono abiti di lusso, dai colori decisi,
spesso laminati e scintillanti e dall’aspetto aggressivamente
seducente. È soprattutto Valentino che si fa interprete dello
stile italiano.
Jean Paul Gaultier (1952). Creativo e innovatore, Gaultier rappresenta uno dei più interessanti stilisti dei nostri tempi. Giovanissimo, debutta nel 1977 conquistandosi la fama di enfant
terrible, eppure i suoi abiti presentano spesso citazioni colte,
tratte dalle fonti più diverse. Gaultier mescola i generi sessuali
con intelligenza e studiosa preoccupazione (uomini con gonne
e donne con gli anfibi militari), ma è anche capace di dare un
nuovo volto al “brutto” e al “ diverso”, e per primo manda in
passerella gente comune, promuovendo una nuova attenzione
sociologica per la tolleranza in tutte le sue forme. Nel 1990
conquista una straordinaria notorietà quando veste la cantante Madonna (per la tournèe Blonde Ambition) con un bustier
provocante e scintillante d’oro, ma il suo stile graffiante non si
è certo fermato a questo. Le sue collezioni però non sono solo
fantasiose e ipercreative: al di là dell’eccentricità gli abiti sono
divertenti e portabili.
Paragrafo 10
Tra la fine del Millennio e il XXI secolo
Quarant’anni fa l’immaginario comune creava scenari inquietanti per il Nuovo Millennio, ed in parte la realtà odierna ne
rispecchia i timori, tuttavia le forme ipotizzate sono lontane dall’essere quelle reali a conferma di quanto sia difficile
azzeccare le previsioni, anche in un campo apparentemente
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semplice e frivolo qual è quello della moda. Gli anni 90 hanno
visto risorgere il concetto di durata e di memoria, e le collezioni si sono riempite di abiti che sembravano già usati.
Sono diventati di moda i jeans dèlavè e quelli con rifinitura
stone-washed, mentre Vivienne Westwood, Jean Paul Gaultier
e John Galliano reinterpretano la storia del costume con originalità, smontando e ricomponendo abiti e dettagli in nuovi
insiemi. L’idea di vintage degli anni Novanta è diversa però da
quella del reciclare degli abiti delle nonna degli anni Sessanta
e Settanta: è un recupero di capi firmati, un griffato di seconda
moda, che aggiunge al fascino del passato quello della “firma”
famosa. I giovani riscoprono il corpo e il piacere della trasformazione: i tatuaggi e il body building, ma anche il piercing, le
diete e la chirurgia plastica, nel tentativo di realizzare se stessi
in profondità e in linea con la cultura del corpo che si è affermata nel corso del XX secolo, e in particolare dalla seconda
guerra mondiale in poi. Il gusto della trasformazione, della
naturalezza e della carnalità si uniscono, dando vita a nuovi
interessi, dei quali le antimode sono solo un aspetto. Il nuovo millennio nasce all’insegna del globale, i giovani rifiutano
però la globalizzazione proposta dal capitalismo e dalle convenzioni sociali “ufficiali”, a loro volta le possibilità di scelta
offerte dagli streetstyles sembrano moltiplicarsi all’infinito,
ma la diversità include la fusione dei gruppi. Tra la fine del
secolo e i primi anni del 2000 le donne in gran parte hanno
adottato i comodi pantaloni, in numerose versioni che sono indossate “dagli 0 ai 100 anni”, specialmente nella quotidianità.
Ma se ogni stilista propone la sua moda, ogni forma cambia
velocemente, viene sostituita da altre che si assomigliano e si
integrano ad altre ancora: è impossibile definire con certezza
quale sia la “linea-tipo” di questo periodo, che risulta “confuso” in molti settori della vita. La ricerca tendenza è oggi
una delle più richieste fonti d’ispirazione per proporre sempre
nuoci capi, aggiornati e compatibili sul mercato. La realizzazione di un book tendenze, che deve necessariamente guardare
innanzi di uno, due, tre anni, è piuttosto complessa, e richiede
grande attenzione al mondo esterno da parte degli operatori.
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In parte basata su ricerche di mercato e in parte sulla logica
dell’istinto, richiede abilità e intuito e grande professionalità.
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Capitolo 2
La storia della Sartoria e della costruzione sartoriale del
Corsetto
Paragrafo 1
Prime Testimonianze Sartoriali
I primi ritrovamenti archeologici europei di aghi risalgono
al Solutreano (19000-16000 a.C.) e già per la maggior parte sono forniti di cruna, sono di solito semplici lesine di corno, osso o avorio, il cui principale inconveniente è costituito
del non poter essere sottilissimi e resistenti, ma svolgevano
egregiamente la loro funzione per cucire pelli o fibre intrecciate. È certamente grazie all’ago che si sviluppa la “Sartorialità” delle vesti, che si possono realizzare vesti aderenti
al corpo, più adatte a proteggersi dal freddo rispetto a quelle drappeggiate. Le prime testimonianze sartoriali le abbiamo grazie ai ritrovamenti archeologici e in particolare alla
veste di Otzi, la così detta Mummia del Similaum, dove i
ricercatori hanno ipotizzato che le strisce chiare e scure siamo state alternate volutamente nell’intento di realizzare una
decorazione, del resto nell’analisi degli abiti la cura con la
quale sono eseguiti i punti di struttura dichiara la maestria di
chi ha realizzato il capo. Anche il berretto della figura incisa su pietra denota una notevole inventiva, mentre le ricostruzioni di aghi preistorici consentono di comprendere che
le tipologie di lavoro potevano essere anche molto raffinate.
Paragrafo 2.
I primi modelli sartoriali a Creta
L’abilità e le conoscenze sartoriali espresse a Creta sono veramente interessanti. È indubbio che abbiano abilmente applicato tutte le tecniche già conosciute nell’uso dell’ago, ma
non ci dobbiamo stupire, abbiamo già visto quanto accurate potesse essere una veste nell’età del Bronzo con Otzi,
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l’uomo del Similaun. Ipotizzando un modello sartoriale del
corpetto (Fig.31) (31.a) possiamo vedere che in definitiva si tratta di una T, e anche se potrebbe trattarsi di un taglio senza cucitura alla spalla, del tipo oggi denominato
kimono, l’apertura anteriore faciliterebbe qualsiasi movimento della spalla. Negli affreschi si vede bene come la cucitura sia sul fianco che sotto e sopra il braccio, coperta da
un bordo che gira attorno a ogni orlo: questo bordo avrebbe anche funzione di rafforzare il modello stesso, specie se
viene “tirato” sul davanti per rendere tutto molto aderente.
Fig.31 a) Cartamodello corsetto, gonna, grembiule dall’affresco
della Casa delle Donne, Thera; b) dettaglio di Divinità femminile,
Fitzwilliam Museum, Cambridge; c) Sigillo Minoico; d) dettaglio
dell’affresco della Casa delle Donne, Thera, XVII-XV secolo a.C.
Un’alternativa suggerita da alcune strisce colorate, in diagonale sul braccio, potrebbe consistere nell’inserto di un triangolo aggiuntivo di tessuto tra lo scalfo della manica e la manica
vera e propria. Questo faciliterebbe il movimento perché crea
una specie di pala alla manica, ma testimonianze di questo
metodo di lavorazione si trovano solo attorno al XIV secolo
d.C. Per rendere il busto così attillato non è detto che ci dovesse essere per forza una struttura metallica, come ipotizzato
da alcuni studiosi. Lo stesso effetto potrebbe essere ottenuto
mediante una doppiatura del busto, fino alla spalla, di tessuto resistente, tela di lino ad esempio, secondo un metodo che
nel costume “folkloristico” europeo si è mantenuto fino al
XX secolo d.C. Alcune semplici stecche a intervalli regolari
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(ne bastano 4), forse anche di legno, come quelle suggerite
dalla statuetta di Dea del Fitzwilliam Museum di Cambridge
(31.b), possono aver servito facilmente allo scopo. Potrebbero
anche essere stati usati modelli d’abito in pelle, che rendono l’aderenza più semplice da realizzare, ma non vi è alcuna evidenza né di tipo archeologico né di tipo iconografico.
Paragrafo 3
Duecento e Trecento: il Sarto nel Gotico Cortese
Nel momento in cui la quantità di tessuto utilizzata o la sua
preziosità non basteranno più a diversificare i ceti sociali interverrà una progressiva stratificazione del numero di capi indossati, e da modelli semplici si arriverà a forme sempre più
complesse con la necessaria introduzione della figura di uno
specialista: il sarto. Dalla metà del Trecento le professione di
sarto subisce un cambiamento radicale, perché la confezione
dei nuovi abiti richiede un abilità di mestiere fino ad allora
sconosciuta. Adesso compare il taglio in vita e la gonna a pieghe o increspata, le maniche sono rese estremamente aderenti
tramite l’uso di bottoni, o, al contrario sono così ampie e ingombranti da essere paragonate a sacchi. Il termine italiano
sarto deriva dal termine tardo-latino sartor, con significato di
“rammendatore”, mentre l’inglese tailor deriva dal francese
tailleur, “tagliatore”. In questo periodo si trova attestato in Italia anche il termine “forbici”, ad indicare il mastro sarto, con
il termine analogo al ciseaux (francese) e scissors (inglese).
L’epoca in cui si formano e si diffondono questi diversi termini attesta anche l’evoluzione della sartoria. In epoca medievale la costruzione di una veste comincia a presentare maggiori
difficoltà e queste possono richiedere la partecipazione di un
esperto che, come ad altri mestieri, per essere “mastro” deve
saper padroneggiare il vero strumento del suo lavoro, in questo caso le forbici ed il taglio sartoriale. È anche il momento in
cui compare quello che potremmo chiamare lo stilista, anche
se si tratta sempre di artisti, talvolta di grande levatura (come
Pisanello) che vengono incaricati di realizzare modelli per
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tessuti e abiti. Però questi erano compiti che facevano parte delle loro consuete attività ma ne erano solo una parte marginale: l’artista di corte comunque era in grado di
soddisfare ogni richiesta, sia che si trattasse di realizzare un affresco sia che si trattasse di disegnare un tessuto.
Paragrafo 4.
Quattrocento: Sarto, Maestro e Creatore del Metodo
Moderno
In questo secolo, l’accortezza sartoriale si concentra in dettagli quasi invisibili, ma assolutamente evidenti per chi sa guardare. Per tutto il Medioevo le corporazioni e le associazioni di
sarti avevano conosciuto un progressivo sviluppo. In Inghilterra già dal 1100 erano stati riconosciti privilegi reali ai sarti
mentre in Francia lo statuto dei Sarti di Parigi è del 1293. Il
procedimento sartoriale aveva come momento fondamentale
quello del taglio, riservato solo al Mastro Tagliatore e generalmente svolto con l’aiuto di modelli. I modelli erano di solito
in pelle o in carta, ma venivano modificati di volta in volta
direttamente sul tessuto da tagliare (con l’ausilio del gessetto)
per adattarsi alle misure del cliente, secondo un procedimento ancora oggi in uso là dove si lavora su misura e nell’alta
moda. Il Mastro era il depositario dei segreti di bottega che
potevano essere rivelati all’apprendista solo attraverso regole stabilite per contratto e molto severe, oppure per eredità
al figlio. Il conto del sarto incideva molto modestamente sul
valore finale dell’abito. Si può dire che il metodo moderno
di taglio e di modellatura delle vesti ha probabilmente avuto inizio nel Quattrocento. Le vesti cominciano a modificare
l’aspetto del corpo mediante imbottiture, creando effetti artificiali come l’ampliamento delle spalle. Verso la fine del secolo
la gonna si stacca dal busto e questo comincia ad irrigidirsi; si
usano più spesso l’increspatura, l’arricciatura e le pieghe negli abiti e nelle sopravvesti, l’effetto increspato è visibilmente
reso permanente mediante l’introduzione di strati sottostanti,
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invisibili, cui il tessuto superiore viene cucito. Inoltre si ha una
modellatura manuale del busto.
Paragrafo 5
Cinquecento: Manuali di Taglio e Resa Grafica dei
Modelli in piano
L’evoluzione tecnologica tocca anche il mondo del tessile e
della sartoria. Si diffondono i manuali di taglio, e vi si applicano le prime teorie di misurazione e resa grafica dei modelli in
piano. Compaiono accessori particolari: oltre ai sostegni per le
gonne, i sostegni per le collarette sono anch’essi realizzati in
metallo. La maglieria da semplice arte domestica e funzionale
diviene una vera e propria risorsa economica con l’invenzione
del telaio meccanico di William Lee. Gli strumenti e le tecniche per stirare conoscono una rapida evoluzione che vede il
perfezionamento del ferro da stiro e la nascita anche di forme
particolari adatte ad esigenze precise, come i ferri conici per le
collarette. In molti ritratti nordici, dalle Fiandre all’Inghilterra
è possibile vedere semplici spilli che trattengono veli e cuffie
sulla testa delle signore. Essi sono una relativa novità, visto
che vengono prodotti in acciaio, e come tali vengono orgogliosamente sfoggiati. La produzione di aghi d’acciaio inizia
in Europa già nel XIV secolo, con la nascita della corporazione dei fabbricanti d’aghi di Norimberga (1370 circa). In Italia,
Spagna, Francia e Inghilterra ne seguirono presto l’esempio.
Uno dei primi manuali di sartoria fu quello del Libro di sartoria dell’Alcega, i primi avvisi che faceva al lettore erano
quelli di prendere bene le misure per ottenere un buon risultato
di taglio e fattura, e con quelle seguire il modello. Dalla sua
collezione privata e “segreta” (conosciuta solo dalla famiglia
e dai più stretti collaboratori) il sarto traeva il campione cartaceo (o di pelle) che per misura e foggia maggiormente si avvicinava alla figura e ai desideri del cliente. Poi, appoggiandolo
sul tessuto prescelto lo modificava con il gessetto e procedeva
al taglio. E’ con il testo dell’Alcega che compare per la prima
69
volta un sistema di rappresentazione grafica del cartamodello in scala, elemento fondamentale per il futuro sviluppo di una uniformazione dei sistemi di taglio.
Paragrafo 6.
Tra Seicento e Settecento: Nascita delle Corporazioni
dei Sarti
Seicento e Settecento vedono fiorire in tutte le più grandi città
d’Europa delle corporazioni dei sarti, con i loro Statuti dai
quali si possono trarre interessanti osservazioni, ad esempio
sulla distribuzione del lavoro, sulla vicinanza o meno a centri di produzione e lavorazione tessile. Modellisticamente vi
sono notevoli evoluzioni, soprattutto nella modellatura della
manica, che agli inizi del XVII secolo comincia a mostrare
una lieve stonatura superiore (la pala) ed è ormai conoscenza comune la possibilità di dividere la manica in due teli. In
alcuni musei della Gran Bretagna, come anche in Svezia, in
Danimarca, in Germania, e in Italia, sono conservati alcuni
abiti di questo periodo, molto preziosi per studiare le tecniche
sartoriali e le tipologie tessili. Anziché a “braccia” il tessuto
nel Settecento si vendeva a velada o a camisiola, in seguito si
comincerà a preparare il tessuto in pezza, direttamente con il
disegno e i ricami. Questa tecnica, detta à desposition, si affermerà nella seconda metà del secolo, consentendo di acquistare
un taglio di tessuto sul quale erano stampate (oppure anche
ricamate) intere bordure per le vesti femminili, ad esempio i
falpalà decorativi per l’apertura anteriore delle vesti à la francaise. In questo caso il taglio conteneva ogni elemento per
realizzare l’intero capo o la decorazione, tranne le fodere e le
infustiture. Si trattava di una produzione semi-economica e
in serie. Nell’abbigliamento femminile si afferma la presenza
della sarta, a cui competeva la costruzione sartoriale di alcuni
degli elementi base del vestito: la sopravveste, le camicie, le
gonne. È in nome della morale che il ruolo delle donne viene riconosciuto tra i professionisti della sartoria, visto che in
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precedenza spettava al solo sarto la lavorazione delle vesti, sia maschili che femminili, e questo era giudicato con
sospetto. Poiché però il busto (Fig.32) è la parte più “costruita” dell’abbigliamento femminile, esso resterà prerogativa del sarto, mentre alla sarta competerà ogni altro
elemento, e in particolare la realizzazione delle parti “morbide” delle vesti, tanto da dare origine alla categoria delle lingères, le specialiste della confezione e commerciodell’intimo e di alcuni accessori (come le pantofole ecc).
Fig.32 Busti e paniers
Dal 1675 i tailleurs (sarti) avevano ceduto una parte della produzione, quella che riguardava i bambini e, appunto, le donne,
alle couturières, alle quali si affiancavano le lingères. Nel corso del Settecento saranno proprio le couturières, le lingères e
le marchandes de modes, le professioniste della moda e le creatrici di stile nell’abbigliamento. Nel 1794, a causa dell’influsso dell’interesse rivoluzionario per le idee degli antichi, Romani e Greci, che si fece sentire anche nel costume femminile
del Direttorio, il sarto dovette adottare il “taglio in vita”, cioè
un modello che univa il corpino, nel quale spesso era inserito
un doppio corpetto di lino per sorreggere il seno, e una donna, che creavano l’illusione di una figura statuaria (Fig.33) .
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Fig.33 Modelli di abiti del Direttorio: a) habit chemise, 1790-98
Paragrafo 7
Fine Settecento inizio Ottocento: Periodo Interessante
per le Tecniche Sartoriali
Il sarto parigino più famoso di questo tempo travagliato è Hippolyte Leroy, che attraversa indenne tutta l’epoca, dall’Ancien Règime alla Restaurazione: un tipo poco raccomandabile, dicono le cronache, venuto dal niente e destinato a essere
considerato l’unico sarto per signore degno di tale nome. In
effetti sembra che Leroy, partito come marchand de modes,
abbia iniziato la sua fortuna associandosi con M.me Raimbauld, famosissima sarta del tempo e vera artefice delle vesti
per l’incoronazione dell’imperatrice: presto la collaborazione
entrò in crisi e Leroy riuscì a estromettere M.me Raimbault,
appropriandosi dell’atelier e delle sue clienti. Entrato nelle
grazie di Josephine, Leroy fece in modo di applicare con astuzia le regole della pubblicità, e pubblicando i suoi modelli su
Le Journal des Dames et de la Mode, la rivista più famosa del
momento a cui si rifaranno tutte le pubblicazioni del genere
in tutta Europa, conobbe un imperituro successo. Dal punto
di vista della tecnica sartoriale questo periodo è tra i più interessanti per due motivi in particolare: le vesti leggere che si
indossano senza busto costringono i sarti a studiare il corpo
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femminile in modo nuovo, prevedendo, ad esempio, sistemi di ritenzione del seno mai necessari in precedenza
(Fig.34), e adattamenti del tessuto alle forme naturali del
corpo, non costruite artificialmente sulla costrizione del
busto. Sono questi input iniziali che consentiranno l’incredibile sviluppo della sartoria nel corso del XIX secolo.
Fig.34 Abito Impero appartenuto alla baronessa Eleonora Nencini,
1804-15, Museo Stibbert, Firenze
Paragrafo 8.
Ottocento: Secolo della Grande Couture
L’Ottocento è il secolo della grande couture, il secolo della
vera affermazione della sartoria, quando i sarti osannati o criticati, apprezzati per il taglio sofisticato o penalizzati per una
manifattura non curata. È attorno alla metà del secolo che, prima in Inghilterra, poi in Francia e infine in Italia (1856), si diffonde il taglio raglan, dal nome di lord James H.S.F. Raglan.
Nel 1865-68 compare il taglio princesse per gli abiti femminili
(in verità molto antico e già presente nel Medioevo), che unisce corpetto e gonna nel medesimo taglio: la linea acquista
una forma svasata e affusolata, e, sebbene non subito, verrà
sempre più adottata. Nel quarto decennio invece si perfeziona
lo scalfo della manica, che consente di adattare perfettamente il tessuto al movimento della spalla. Non più un identico
arco convesso per il lato interno e quello esterno della manica, adesso la pala della manica, in alto, presenta una curva
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convessa, ma in corrispondenza dell’ascella la manica mostra
un taglio incavato e sfuggente. Questa è una vera rivoluzione sartoriale e renderà possibile ulteriori avanzamenti tecnici,
che condurranno al perfezionamento della sartoria nella seconda metà del secolo. Le sartorie cominciano ad avere propri
magazzini di tessuti, tra i quali il cliente sceglie quelli con cui
far realizzare i propri abiti nuovi, invece di attendere che sia
il cliente a portare la stoffa, garantendo una qualità sicura al
capo finito. La produzione seriale e la diversificazione gonnacorpetto consentono anche la vendita di tessuti prestampati (à
disposition): già visti nel ‘700, diventano adesso ancor più comuni, soprattutto nella vendita di prodotti dal costo accessibile alla popolazione media. Il francese Thimonnier brevettò nel
1830 una macchina da ricamo a un ago, che fu in seguito sviluppata nella macchina per cucire da Isaac Singer, in America.
Nel 1853 Isaac Singer crea la prima macchina da cucire domestica, che competerà direttamente con la lavorazione a mano.
Paragrafo 9.
Fine Ottocento inizio Novecento: Nascita del Progettista
e dell’Alta Moda
In questo secolo si sviluppa la figura del progettista, maggiore
esponente fu Worth. Le sue vesti corrispondevano alle esigenze della società del tempo, riuscendo a miscelare con sapienza
ogni elemento dell’abito. Il suo successo risiedeva nella sua
capacità di interpretare correttamente il ruolo che la società
stessa gli aveva affidato: quella di incarnare l’essenza del gusto e della moda, unico interprete estetico ufficiale della vita
mondana, soprattutto dopo la fine del Secondo Impero. I suoi
abiti riscuotevano grande ammirazione perche era “nuovo” il
concetto che vi era alle spalle: il couturier realizza il progetto
di una veste unica, costosa, di alta qualità estetica e sartoriale,
che non può essere replicata in versioni seriali. L’alta società
si riconosce in un prodotto artistico perchè unico, celebrando
la nascita dell’alta moda e del ruolo del design perché egli
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detiene le chiavi d’accesso a questo mondo raffinato, elitario e distante dall’uniformità. Worth dopo l’introduzione del
taglio princesse, crea la forma del busto-corazza: un corsetto steccato e modellato, che contribuisce a formare la figura
della donna-guerriero, la donna forte e seducente, pericolosamente vicina ai sogni, o agli incubi, dell’uomo borghese.
Gli abiti Riformati di questo periodo, 1890-1910, sono ispirati a criteri d’igiene e salute: con il taglio princesse, che non
stringe eccessivamente la vita e parte delle spalle, era possibile limitare l’uso del busto, ormai ritenuto responsabile di
ogni sorta di problema fisico e di pregiudicare la gravidanza.
Paragrafo 10
Novecento Futurista
Il Novecento si apre con il Manifesto del Futurismo di Marinetti, è un’ode intensa e vibrante del futuro, un’aggressiva
presa di posizione nei confronti del mondo intero, inneggiante
alla velocità, alla potenza, alla lotta, contro la cultura e l’arte del passato, contro la sensibilità e la debolezza, contro la
donna. Il vestito “passatista” non è inadeguato solo perché è
“antico”, ma perché irrigidisce le potenzialità mentali dell’uomo: ecco dunque che la moda deve recuperare il senso del
possibile e del cambiamento, e i vestiti si arricchiscono non
solo di colori vistosi, sgargianti, contrastanti, ma anche di materiali estranei a quelli in uso nella sartoria, come fili elettrici,
materiali plastici, e perfino lampadine. Il taglio stesso delle
vesti viene progettato in modo diverso, con angolazioni asimmetriche ed inserti in colori differenti. Nel 1918-19 Thayaht
progettò la tuta: inizialmente pensata per un pubblico intellettuale ed elitario, divenne presto l’indumento prescelto per
scopi pratici, come quelli per lo sport e per il lavoro. Thayaht
negli anni Venti lavorò a Parigi per Madeleine Vionnet, non
a caso vero genio del taglio, come disegnatore figurinista.
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Paragrafo 11.
Novecento: Secolo di Grandi Innovazioni
Le vere differenze della moda non sono più molto evidenti,
ma si concentrano in dettagli significativi, come la scelta dei
tessuti, il taglio e la confezione, i particolare, come le cuciture
a mano o a macchina, le applicazioni di rifinitura, i bottoni, i
colori. L’analisi di tutte queste variabili consentiva di trarre
conclusioni sull’eleganza di una persona e di inquadrarla socialmente. Verso gli anni trenta del Novecento, Schiaparelli,
artista geniale e creativo, introduce nei suoi modelli la zip, la
chiusura-lampo, che diviene un complemento molto di moda
sia negli abiti che negli accessori, e la cui fortuna non conosce
ancora tramonto. La chiusura-lampo consente di evitare dettagli potenzialmente ridondanti come i bottoni o altro genere
di allacciature, per definire una silhouette ancor più sintetica
e slanciata: la finalità estetica non è poi da sottovalutare, visto
che la zip si presta a essere essa stessa motivo decorativo. Le
cuciture sono sottolineate da impunture decorative, realizzate
spesso in filati contrastanti, mentre là dove ci sono, i bottoni
sono estremamente curati ed originali. La comparsa di tessuti
elastici, come stretch e lastex accanto al preesistente jersey,
nonché i nuovi tessuti sintetici, come il nylon, e l’intensivo
uso del taglio in tralice produrranno cambiamenti e modifiche anche alle metodologie di lavorazione sartoriale, con il
perfezionamento dei punti morbidi ed elastici, che consentono
al tessuto di “muoversi” senza strappare le cuciture. Il termine prèt-à-porter venne lanciato sul finire degli anni Quaranta
in Francia , e conobbe una vera istituzionalizzazione nel’56,
quando “VOGUE” pubblicò un numero speciale interamente
dedicato a esso. Era la traduzione letterale del termine inglese ready-to-wear, ma i Francesi seppero coglierne l’aspetto
che maggiormente interessava alla nuova clientela che veniva
fuori dalla guerra: un prodotto di gusto, di buona qualità, accessibile alla nuova società benestante che si affacciava alle
vetrine dei negozi di lusso e dei grandi magazzini per appagare i propri desideri. In Italia l’industria della confezione si era
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specializzata nell’adozione del sistema di taglio e vestibilità
mutuato direttamente dai modelli americani, senza però incidere più di tanto sulla creazione di un gusto personale della
clientela. Restava invece molto forte la produzione artigianale
della sartoria, che ha continuato a esistere almeno fino ai primi anni’80, contribuendo a generare l’idea di una produzione
italiana di alta qualità, hand-made. Viceversa il Francia il prètà-porter, assieme alle riviste di moda, tendeva a fornire più
un nuovo sistema per creare tendenze e mode, piuttosto che
specifici riferimenti a modelli particolari. Le donne, seguendo
le indicazioni delle riviste, trovavano nella rete di boutique
e grandi magazzini, un prodotto alternativo a quello di alta
moda, ma anch’esso di stile e di qualità analoghi. Negli anni
’60 del Novecento, la sartoria italiana continuava a proporre
abiti di qualità, ma stava ormai isterilendosi nella rielaborazione di linee e di modelli francesi, mentre la confezione non
riusciva a trovare il modo di riconvertire la propria produzione
per adeguarsi alle novità del momento. Il modello francese
e inglese della boutique, un luogo dove trovare abiti di tendenza, da poter provare e comprare al momento, con musica
ad alto volume e giovani commesse, divenne l’esempio da
seguire. Vi si potevano trovare abiti importanti dall’estero e
anche creazioni originali prodotte direttamente dalla boutique.
Il procedimento che investiva la realizzazione di queste novità, basato spesso su una lavorazione semi-artigianale e quasi
sempre sulla maglieria (tecnica che consentiva una lavorazione veloce e versatile), giunse a cambiare le regole della produzione anche nel settore della grande confezione. Si comprese
che era l’industria a doversi adeguare alle nuove idee dello
stilista, per produrre un capo appetibile dal mercato, e non
era più valido il sistema precedente, che metteva a frutto le
macchine già esistenti nell’industria stessa ma condizionando anche l’inventiva del creatore di moda. Nasce così anche
la figura dello stilista freelance, colui che non lavora per un
unico marchio e per sempre, ma che si muove liberamente
nel mondo della moda, apportando le proprie competenze anche a più aziende nello stesso tempo. Tra la fine del Millennio
77
e l’inizio del XXI secolo, accanto al sistema di accentramento
del “marchio” e al “branding” internazionale, si trovano sistemi di decentramento della produzione verso zone dove il costo
della manodopera è più basso, con il rischio dello sfruttamento. Queste scelte pericolose, suscitano la reazione preoccupata
dell’opinione pubblica verso ogni genere di interferenza del
“marchio” nella vita culturale, sociale o politica, tendenza accentuatasi negli ultimi anni ’90 e all’inizio del 2000
con numerose manifestazioni internazionali di no-global.
Paragrafo 12
Lo Stay: Dal 1670 alla fine del Diciottesimo Secolo
Quando si parla di corsetti del diciottesimo secolo si è soliti
riferirsi allo stay (in italiano sempre “corpetto”), che trae la
propria origine dai corpetti steccati risalenti al diciassettesimo secolo. Intorno al 1650 questo corpetto partiva dalla vita
e si estendeva in basso. Ciò si otteneva allungando il pezzo
centrale anteriore e quello centrale posteriore. Anche i lati del
corpetto si estendevano sui fianchi, dove venivano tagliati fino
alla vita, formando così delle linguette che si stendevano per
garantire la rotondità dei fianchi. Il busque si trovava sotto le
linguette per evitare che si “conficcasse” nel corpo. Il corpetto
presentava adesso delle cuciture che partivano dalla manica e
proseguivano diagonalmente arrivando quasi fino al busque,
mentre sul retro andavano dalla manica fino quasi all’altezza
della vita, al centro. La stecca di balena era inserita direttamente sottobraccio, ma si estendeva fino a seguire le cuciture.
Questa disposizione conferiva una forma più arrotondata e di
conseguenza snelliva la figura, che partendo dall’ampio collare di forma ovale sembrava restringersi quasi fino a scomparire. La cucitura centrale anteriore era spesso dalla forma ricurva, forma che veniva seguita anche dal busque. La struttura di
base di questo corsetto era ancora composta da due livelli di
lino pesante, o in alternativa di tela rinforzata con pasta adesiva o colla, mentre le stecche di balena inserite nel mezzo erano
78
fissate da lunghe file di cuciture. Il corpetto veniva di solito allacciato sul retro, al centro, ma talvolta anche sul davanti, sempre al
centro. Poteva essere interamente steccato (baleiné) o parzialmente (demi-baleiné). Questa struttura veniva così ricoperta
dal tessuto, con le cuciture che non dovevano necessariamente
combaciare. In seguito si attaccavano le maniche (Fig. 35-36).
Fig.35
Fig.36
79
La moda prevedeva che questo corpetto s’indossasse con
la lunga parte anteriore fuori dalla gonna del vestito, mentre le parti laterali e quella posteriore andavano sotto.
Talvolta venivano anche fornite degli anelli a cui agganciare le gonne per far sì che non si muovessero (Fig.37).
Fig.37
Negli anni 70 del Seicento entrò in voga l’abito modello soprabito e di conseguenza il corpetto steccato, indossato sotto,
diventò di nuovo lo stay. Lo stay veniva ormai riconosciuto quale parte essenziale dell’abbigliamento femminile, e il
bustaio (staymaker, o tailleur de corps baleiné) divenne un
vero e proprio specialista del settore. Le lunghe linee sottili
proprie dell’architettura nonché dei mobili del diciassettesimo secolo vennero riproposte negli abiti alla moda dell’epoca
- per esempio, l’alto copricapo “Fontange”, la figura esile, e
il lungo strascico. Agli stays veniva conferita una linea più
sottile tramite l’aggiunta di altre cuciture, che si estendevano
e restringevano fino alla vita, mentre le stecche di balena venivano inserite in modo da non essere viste, per dare eleganza a una figura altrimenti troppo rigida. Le spalline partivano
dall’alto delle spalle per proseguire la sottile linea verso l’alto:
venivano attaccate alla schiena, erano di solito allacciate sul
davanti e talvolta anch’esse erano munite di stecche. Gli stays
di questo periodo sono identificabili dal numero di cuciture
nonché dalla rifinitura piuttosto grezza. Questi corpetti erano
solitamente rivestiti di seta, broccato o ricamo (Fig.38-39-40).
80
Fig.38
Fig.39
Fig.40
81
Nella metà del diciottesimo secolo l’abilità tecnica dei bustai aveva raggiunto standard molto elevati. Oltre alle stecche di balena inserite nella struttura del corpetto e la stecca
centrale del busque separata, posizionata di fronte, vennero
aggiunte ulteriori stecche per dare forma, disposte all’interno degli stays (baleines de dressage). Due o più pezzi ricurvi,
fatti di stecche di balena più pesanti, venivano stesi sulla parte superiore frontale per dare rotondità al busto, e dei pezzi
dritti sulle spalline per mantenere il retro liscio. La direzione
dell’ossatura poteva variare, ma era sempre posizionata in diagonale sui lati della parte anteriore così da snellire la figura.
Per tutto il periodo gli stays erano interamente o parzialmente
steccati. Quand’erano steccati completamente, le stecche erano posizionate una vicino all’altra e potevano essere larghe
tre millimetri. Se si pensa che le cuciture venivano realizzate
interamente a mano, e ogni singola stecca di balena doveva
essere tagliata a strisce - con lo spessore diverso in base alla
posizione nella struttura - non si può che ammirare la maestria
con cui venivano realizzati i corsetti nel diciottesimo secolo. Esistevano anche diversi modi di allacciarli, al centro sul
retro, al centro sul davanti, o entrambi; inoltre sembra che si
legassero lateralmente in caso di gravidanza. Quando si allacciavano sul davanti al centro, l’apertura era lasciata più ampia
sopra e stretta verso la vita; la pettorina era separata e inserita
sotto i lacci o a coprirli (Fig.41). Quando il vestito si apriva
sul davanti per mostrare il corpetto, l’allacciatura era spesso
una vera e propria caratteristica del design del vestito. Qualora si usasse una pettorina essa era solitamente decorata. Le
tipologie migliori di stays appartenenti agli inizi del secolo
mostravano numerose cuciture e una pregevole lavorazione.
Erano di solito rivestite di seta o broccato, talvolta ricamo. Il
corpetto inglese era generalmente più rigido di quello francese, che in questo periodo era spesso distinto da cuciture più
fini. È opportuno ricordare che tra il 1720 e il 1740 l’abito battante era la moda francese: questo vestito lungo e ampio veniva generalmente tenuto aperto, mostrando il corpetto di sotto,
il quale di conseguenza era importante quanto il vestito stesso.
82
Fig.41
Gli stays si potevano anche trovare rivestiti di cotone, che
veniva fissato ai pezzi della base così che la cucitura fosse
visibile dall’esterno (corps piqué). Nella seconda metà del
diciottesimo secolo i bustai si resero conto che la forma dei
corsetti era principalmente data dalla direzione delle stecche di balena e dalle stecche interne di sostegno, così da
quel momento in poi vennero utilizzate meno cuciture. La
base veniva a quel punto tagliata in pochi pezzi, di solito
sei: due centrali anteriori, due centrali posteriori, due spalline. Ciò era reso possibile anche dalla scollatura frontale
molto più bassa, scollatura che adesso si fermava all’inizio del busto, mentre sul retro rimaneva lunga (Fig.42-43).
Fig.42
Fig.43
83
Gli stays di questo periodo hanno meno cuciture, e
sono più frequentemente rivestiti di pura seta o cotone; sono spesso molto rigidi e dalla forma sottile, questo poiché una volta completati gli stays venivano modellati pressandoli sotto del ferro bollente (Fig.44-45).
Fig.44 - 45
Esiste anche un’altra variante di corsetti che viene spesso tralasciata, ovvero il bustino steccato dell’abito di Corte (le grand
corps o le corps de cour). Quando la moda subì un mutamento
intorno al 1680, ci si accorse che le spalle scoperte e il corpetto aderente facevano da sfondo perfetto ai numerosi gioielli,
agli elaborati ricami, ai ricchi broccati e pizzi che abbellivano gli abiti da cerimonia, così il bustino con le stecche venne
mantenuto. Le cuciture seguivano la fodera in quel momento
di moda, ma le spalline non coprivano mai le spalle. In Francia
il corpetto di questo tipo, indossato con un’enorme crinolina e strascico, era obbligatorio nell’abbigliamento formale di
corte e così rimase fino alla Rivoluzione. In Inghilterra si era
meno rigidi da questo punto di vista, e il bustino molto steccato e le spalle scoperte sembravano riservate esclusivamente ai casi eccezionali (cerimonie d’incoronazione, matrimoni
reali, ecc...). Alcuni degli stays superbamente ricamati che si
possono ammirare nei musei possono essere stati in origine
dei bustini da Corte; probabilmente venivano usate balze di
84
splendido merletto per le maniche, adesso ovviamente mancanti. È ovvio che gli stays molto decorati dovevano essere visibili, dato che nel diciottesimo secolo gli artigiani non sprecavano mai la propria arte. Similmente, i corpetti decorati nella
parte anteriore si sarebbero indossati solo con un abito aperto
sul davanti. Gli stays del diciottesimo secolo sono sempre difficili da datare, specialmente quelli che sono stati realizzati palesemente in casa e non da un bustaio professionista. I bustini
più piccoli erano per bambini, dato che era consuetudine vestire i bambini - sia maschi che femmine - in questo modo quando cominciavano a camminare, così che avessero fin da subito
un’andatura diritta. Dalla fine del diciassettesimo secolo stoffe di cotone stampate vennero portate in Inghilterra e Francia
dall’Oriente. Divennero così popolari, indossate e riprodotte
che le industrie di seta e lana si mossero in protesta. Sebbene
alcune leggi passate proibissero che si stampassero e indossassero i materiali in cotone e lino, le proteste non ebbero successo, e dal 1759 in Francia e 1774 in Inghilterra tutte queste
restrizioni furono rimosse. Inizialmente i vestiti realizzati con
materiali stampati erano in linea con quelli di seta rigida, ma
col tempo quelli in cotone iniziarono a imporre il proprio stile.
Un tipo di vestito più largo, più négligé prese a svilupparsi. Il
semplice abito di mussola degli anni 80 del Settecento, con le
ampie fasce, è ben noto grazie ai ritratti del periodo. Intorno al
1793 la fascia divenne più stretta e di conseguenza divenne di
moda la vita alta. Insieme a questi stili più semplici iniziarono
a indossarsi stays più leggeri, all’inizio confezionati come i
precedenti ma con materiali meno rigidi e con meno stecche;
quando i vestiti si accorciarono anche i corpetti si strinsero,
la parte posteriore diventò ancora più stretta e quella davanti
ancora più bassa. Le linguette partivano dalla vita alta o venivano direttamente eliminate (Fig.46). I corpetti si possono ancora trovare interamente steccati, più di frequente steccati solo
in parte, o perfino con nessuna stecca (Fig.47-48). Alla fine
del secolo, i disordini che seguirono la Rivoluzione Francese
e il culto dello stile antico semplificarono ancor più gli abiti.
Tutto il materiale in eccesso venne abbandonato, compresi gli
85
stays: furono ridotti a una semplice fascia o del tutto rimossi.
Il lungo regno del bustino steccato di ossi di balena era giunto
così al termine.
Fig.46
Fig.47
Fig.48
86
Paragrafo 13
Il Corsetto: Dall’inizio del Diciannovesimo Secolo al
1925
All’inizio del diciannovesimo secolo, l’ideale di bellezza a cui
ogni donna aspirava era quello greco, di un corpo armonioso
e naturale (seni alti e rotondi, braccia e gambe lunghe). Il soffice, leggero vestito di mussola aderiva al corpo della donna
mostrandone i contorni, dunque qualunque indumento intimo
superfluo che avrebbe potuto rovinare la silhouette fu eliminato: tra questi il busto steccato. In Francia, dopo lo sconvolgimento dell’ordine sociale e un conseguente attenuarsi degli
obblighi morali e di portamento, questa moda ebbe più seguito che in Inghilterra. Tuttavia, esistono tanti riferimenti negli
scritti inglesi e francesi dell’epoca, sia sull’uso che il disuso
degli stays, da presumere che entrambi gli stili avessero un
seguito. È probabile inoltre che una ragazza o una donna con
una figura armoniosa evitasse d’indossare bustini, ma quelle
meno ‘fortunate’ dovevano ricorrere a qualche sotterfugio per
indossare vestiti molto semplici e per essere alla moda pur con
le loro forme abbondanti. Molti dei semplici abiti di mussola
del 1800 sono montati su una fodera (“lining”) di cotone con
due parti laterali trasversali separate che attaccano sul davanti,
come sostegno sotto il seno: ciò aveva quasi la funzione di reggipetto (brassiére) ed era spesso l’unico tipo di stay indossato.
Ma in molti casi non era sufficiente: in Inghilterra i corpetti
steccati di ossi di balena del tardo diciottesimo secolo continuarono ad essere portati. Talvolta per adeguarsi alla moda
si portavano abbassati sopra i fianchi, dove le linguette usate
in passato venivano sostituite da rinforzi. Nel caso di donne
molto magre, quest’abito veniva irrobustito con un’imbottitura, mentre per le corporature robuste era densamente steccato.
Dato che questa tipologia di corsetto lungo si può vedere solo
in alcune illustrazioni caricaturali del periodo, probabilmente esso non era ritenuto un indumento alla moda ma soltanto
un espediente per migliorare se possibile una figura non alla
87
moda (Fig.49) Sembra che diversi altri esperimenti siano stati
tentati per ottenere la forma greca autentica: tra questi vi era
un lungo corsetto fatto a maglia in seta o cotone. È degno di
nota che in Francia il vecchio termine corps era più o meno
sparito, e da questo momento in poi qualunque indumento attillato è noto come “corsetto”, moda che fu copiata in Inghilterra sebbene si fosse mantenuto il vecchio termine “stay”.
Fig.49
Nel 1809-1810 circa, i giornali femminili francesi e inglesi
protestarono vivamente contro il ritorno del corsetto: quest’ultimo era infatti tornato in uso come conseguenza della moda
dell’epoca, che prevedeva un abito dalla struttura più lunga,
delle gonne più ampie e un giro di vita più accentuato (Fig.50).
Fig.50
88
Iniziò a prendere forma un nuovo tipo di corsetto, completamente differente dal suo predecessore in stecche di balena. Stavolta l’enfasi non era verso un corpo rigido e lineare, ma su delle linee curve che partivano da una vita sottile.
Ciò ebbe origine da un semplice bustino di cotone resistente
(jean, conosciuto in seguito come coutil). La vita era ancora
alta e due pezzi per il davanti e due per il retro erano sufficienti, talvolta le cuciture della parte centrale anteriore erano sagomate mentre quelle della parte centrale posteriore lo
erano di norma. Per dare rotondità al busto s’inserivano due
o più rinforzi su ogni lato del davanti, nella parte alta, e uno
o più rinforzi su ogni lato alla base per ospitare i fianchi. Poiché la vita si allungava e si definiva a mano a mano, furono aggiunti dei pezzi extra ai lati (Fig.51-52) o, a partire dal
1835 circa, un pezzo a forma di basco che aderiva ai fianchi.
Fig.51
Fig.52
89
All’inizio, quando l’abito era ancora sottile, questo corpetto
era abbastanza lungo sui fianchi, ma si accorciò nel momento
in cui la gonna crebbe in ampiezza, e raggiunta la metà del
secolo poteva arrivare ad essere davvero corto. Sulla parte
centrale del davanti veniva inserita una larga stecca, mentre
sul centro del retro delle sottili stecche di balena. Si potevano anche aggiungere ulteriori stecche nel retro e nei fianchi
nel caso di una taglia più abbondante. Solitamente si allacciava sul retro, al centro, e fino agli anni ’40 aveva le spalline.
Sebbene vi fosse un numero di sarti ben noti specializzati nel
realizzare corsetti - i corsetières - essi venivano spesso fatti
in casa, e le procedure e istruzioni per costruirli si possono
trovare nelle riviste femminili fino al 1860. Questi corsetti
seguivano la silhouette di moda dell’epoca. Il busto fino alla
vita veniva tagliato molto più lungo negli anni ’40 (Fig.53),
per poi accorciarsi molto, nuovamente, negli anni ’50 e ’60.
Fig.53
Con lo sviluppo dell’industria nel diciannovesimo secolo, videro la luce diverse invenzioni che aiutavano la corsetière, tra
cui: le asole in metallo nel 1828; la prima chiusura di stecche
frontale in acciaio nel 1829; altre numerose idee per allacciare
e slacciare. Nel 1832 un Francese, Jean Werly, brevettò i corsetti intessuti: venivano realizzati su un telaio, i rinforzi che
garantivano la forma venivano incorporati durante la tessitura.
90
Questi corsetti, solitamente di cotone bianco e steccati solo
leggermente, erano facili da indossare e di conseguenza molto
popolari, tanto che continuarono ad essere usati fino al 1889.
Alla fine degli anni ’40 dell’Ottocento, in Francia, dove si
preferivano i corsetti più leggeri, fu introdotto un nuovo taglio: un corsetto senza rinforzi, fatto di pezzi separati (da sette
a tredici), ciascuno dei quali modellato alla vita. Negli anni
’60 dell’Ottocento, quando la crinolina era all’apice e il ruolo
principale del corsetto era quello di rendere la vita sottile, questo tipo di corsetto - estremamente corto - era molto popolare,
sebbene venisse indossato più nel Continente che in Inghilterra. I busti della metà del diciannovesimo secolo erano steccati
leggermente, ma rinforzati da cordature e talvolta imbottiture.
Poiché s’indossavano sopra le sottogonne e crinoline, le stecche di balena sul fronte e sul retro erano molto curvate nella
cintola. I corsetti bianchi erano considerati più raffinati, sebbene quelli grigi, beige rossi e neri fossero più economici. In
genere erano di coutille e foderati sempre in bianco (Fig.54).
Fig.54
91
Quando agli inizi del 1870 la crinolina fu abbandonata in favore della tournure e l’abito iniziò a modellare la figura sul
davanti e attorno ai fianchi, il corsetto raggiunse davvero le
vette del successo. Non era più possibile realizzarlo con articoli fatti in casa e l’industria dei corsetti ricevette un incentivo
enorme. Fu sempre intorno a questa data che le riviste femminili cominciarono a mostrare più nel dettaglio le illustrazioni
delle varie parti dell’abito, e diventarono più frequenti anche
le pubblicità dei corsetti, fino ad allora piuttosto rare. Dalle
pubblicità si può constatare la grande varietà di corsetti che
iniziava ad apparire, tutti disegnati per soddisfare i requisiti
della nuova linea di abiti - il cui busto avvolgeva i fianchi - dal
momento che questa nuova forma a cuirasse richiedeva un corsetto che diventò in effetti una vera e propria “corazza”. Sono
molti gli espedienti e le invenzioni propugnati: la difficoltà
maggiore era evitare che il corsetto salisse e si sgualcisse, e
che le stecche si rompessero alla cintola - cosa che accadeva di
frequente a causa della curva esagerata del busto e dei fianchi
nonché della vita enormemente stretta. Vennero sperimentati
diversi metodi di ossatura, venne usato spesso l’acciaio e le
stecche di balena divennero così richieste che scarseggiarono
e aumentarono vertiginosamente di prezzo, cosicché si usarono vari sostituti, tra cui le canne. I due modi di tagliare i
corsetti continuarono a essere usati - o con rinforzi e basco,
o in pezzi separati. Alla fine degli anni ’60 fu introdotta la
sagomatura a vapore: il corsetto, una volta finito, veniva inamidato e asciugato su un manichino di metallo per far sì che
prendesse la forma. Nel 1873 fece la sua apparizione un osso
di balena modellato: stretto in alto, curvo verso la vita, e largo
di sotto fino a formare una base a forma di pera. Era chiamato “stecca a cucchiaio” (busc en poire) e apparve sui modelli
alla moda fino al 1889 (Fig.55) La sagomatura a vapore e il
busc en poire, insieme a un’ossatura e cordatura più fitte, resero il corsetto un indumento molto più pesante e limitante
(Fig.56). Un modello dei primi anni ’80 presenta venti pezzi
sagomati e sedici stecche di balena per ogni lato, così come
un busc en poire. Sebbene in questo periodo si riscontri di
92
Fig.55
Fig.56
solito una chiusura frontale in stecche di balena, è possibile trovare talvolta solo dei lacci, o sul davanti o sul retro,
per mantenere una linea continua sotto il corpetto liscio
e aderente del vestito. Il corsetto veniva indossato sopra le
sottogonne, che erano sistemate su una fascia per evitare
qualunque rigonfiamento attorno alla vita. A volte erano attaccate a una fascia fissata alla fine del corsetto (Fig.57).
Fig.57
93
Le giarrettiere apparvero solo alla fine degli anni ’80, ma fino
alla fine del secolo venivano montate su una fascia separata
legata attorno alla vita. Sebbene ciò risolvesse il problema di
tenere su le calze, ne creava un altro: le sottogonne andavano
ora indossate sopra i corsetti e le giarrettiere e questo interferiva spesso con la linea dell’abito. Il corsetto era ormai diventato un articolo molto elegante del guardaroba femminile
e molta cura veniva data al suo design e alla sua esecuzione.
Si riscontrano alcuni modelli deliziosi risalenti agli anni ’80,
in raso nero lavorato insieme al giallo, blu, rosa o verde, con
le stecche tenute ferme grazie a una varietà di cuciture e ricami: i più costosi potevano essere di satin, come ad esempio
un corsetto da sposa bianco ricamato con fiori arancio. Per
il mercato più economico (riformatori, istituti di beneficenza,
ecc...) si continuavano a produrre modelli fuori moda, solitamente in stoffa grigia o beige con una cordatura invece di
stecche di balena. Alla fine degli anni ’80 la silhouette iniziò
a cambiare, diventando più lunga, rigida e meno rotonda, divenendo nota come la linea “Luigi XV”. I contorni del busto erano inaspriti da file di cordature o strisce trasversali di
stecche di balena, posizionate all’inizio del corsetto (Fig.58).
Fig.58
94
L’osso di balena centrale si strinse nuovamente e, sebbene ancora curvo sull’addome, non s’incavava più nella vita. Veniva
tagliato allo stesso modo, ma si faceva un uso maggiore degli
inserti elastici. L’importanza dell’elastico nella corsetteria era
da lungo apprezzata, ma la qualità era ancora scarsa e non ebbe
davvero successo come materiale per corsetti fino agli anni
’20 del Novecento. I corsetti migliori erano di seta colorata,
raso, o broccato di seta, mentre i più economici di stoffa grigia, beige o nera, sempre foderati. Lo sviluppo del commercio
dei corsetti diede i primi risultati. I materiali e le rifiniture migliorati permettevano ora alla corsetière di produrre un indumento elegante che calzasse a pennello e si adattasse ad ogni
tipo di figura. Dato un tale successo, non deve sorprendere
che i sarti ne trassero un enorme profitto e si lanciarono in una
linea completamente nuova. Le gonne iniziarono ad adattarsi
tutt’intorno alla figura, e i fianchi e il didietro emersero dai loro
secolari drappeggi per poi essere considerati fulcro d’interesse dell’abbigliamento per molto tempo a venire (Fig.59-60).
Fig.59
95
Fig.60
Lungo il diciannovesimo secolo l’enfasi della silhouette si era
concentrata sulla vita sottile e sulle curve: il pesante corsetto
della fine del secolo esagerò tutto ciò ulteriormente finché l’anatomia femminile stava diventando gravemente distorta, con
conseguenze perfino nella salute. Nel 1900 Madame GachesSarraute, di Parigi, una corsetière che aveva studiato medicina,
disegnò un nuovo corsetto per porvi rimedio. La caratteristica
principale era il busque dritto davanti, che partiva più in basso sulla linea del busto e proseguiva sull’addome senza finire
nella vita, mentre nel punto della stecca delle giarrettiere, ora
attaccate al corsetto stesso, facevano tendere la linea fino alle
ginocchia senza interrompersi: aderiva all’addome e lasciava il
torace libero. Il corsetto fu accolto con gioia e immediatamente
adottato dalle donne alla moda. Tuttavia, ben presto subentrò
nuovamente l’esagerazione, dovuta principalmente al desiderio di mantenere la vita sottile, e da ciò ne derivò la famosa curva a “S” - il busto era gonfiato sulla parte inferiore del davanti,
96
e la pelle addominale superflua, pressata dal pesante osso di
balena, fuoriusciva nei fianchi e nel didietro. Questo corsetto
era un miracolo di taglio e sagomatura, un livello mai raggiunto prima e dopo allora. Era formato da numerosi pezzi
curvi - da dieci a quindici su ogni lato, più i rinforzi - tutti
uniti insieme sapientemente e attraversati da una quantità di
stecche di balena di vario peso e spessore (Fig.61). A volte
questi corsetti erano lunghi, altre corti, foderati o meno. I più
costosi erano di raso colorato, seta o broché di set, adornati con pizzi e nastri. Il colore preferito era il cosiddetto blu
“farfalla”. Negli anni 1904-1905 la curva a “S” raggiunse la
massima fama. Da quel momento in poi la linea cominciò
lentamente a raddrizzarsi, anche se fu non prima del 1907,
quando gli stessi abiti iniziarono a perdere ampiezza, che la
nuova linea di moda, lunga e snella, prese davvero forma. Per
venire incontro al sarto il corsetière, ormai padrone indiscusso
della propria arte, produsse di conseguenza un corsetto retto
e molto lungo (Fig.62), ancora più basso nel busto rispetto
al precedente e che ben vestiva sui fianchi. Avendo una linea
più retta veniva tagliato da un numero inferiore di pezzi; si
usavano meno stecche e s’inserivano spesso rinforzi elastici alla base per facilitare i movimenti. Questa linea snella e
sottile era semplice da indossare per le donne magre, ma per
quelle più corpulente l’effetto si poteva ottenere solo sacrificando alcuni centimetri all’altezza della vita. Anche questo
stile raggiunse l’esagerazione: il corsetto divenne così lungo
- 43 cm dalla vita - e così attillato che sfregava sui fianchi, e
in alcuni modelli era impossibile sedersi. Durante il ventesimo secolo vi furono tentativi di ritornare allo stile Impero,
e talvolta un sarto conosciuto produceva un modello a vita
molto alta. Ma questo stile richiede una silhouette snella e fu
davvero accettato solo nel 1910 quando l’abito era diventato
quasi una fodera. Il taglio del corsetto non cambiò, ma dei
materiali e una steccatura più leggeri conferivano finezza e
flessibilità alle linee della figura, ora più visibile sotto le gonne
morbide e aderenti. La vita alta portava l’attenzione al busto
e il bustino diventava un supplemento necessario del corsetto.
97
Fig.61
Fig.62
Lo stile Impero era al massimo sviluppo quando nel 1914
la Prima Guerra Mondiale arrestò ogni sviluppo. Il bustino
era apparso intorno al 1900 quando fece la sua comparsa il
corsetto dritto davanti. Fino ad allora, quando necessario, il
supporto extra richiesto da un busto intero era garantito dalle
spalline sul corsetto, ma con il nuovo modello dal busto basso
ciò non era più possibile. Il corsetto comune aveva cessato di
avere le spalline negli anni ’40 dell’Ottocento, sebbene esse
si possano vedere dal 1890 al 1914 in alcuni modelli speciali
disegnati per essere indossati con degli abiti fatti su misura.
98
Il bustino del 1900 si era evoluto dal precedente “corpetto a
sottogonna” di cotone bianco che s’indossava nel diciannovesimo secolo sopra il corsetto per non farlo sporcare e per
nasconderlo (cache-corset). Adesso, nel 1900, si separò in due
indumenti diversi: una versione più attillata e meno steccata veniva indossata da chi portava il busto intero e divenne
noto come “bustino”; la versione più larga e decorata serviva
a compensare le mancanze delle donne troppo magre, diventando la “canottiera”. L’intimo voluminoso - combinazioni di
lana, e sopra una chemisier di cotonina bianca pesante e ricca
di pieghe, inserti di ricami inglesi e pizzo - veniva tirato giù
sotto il corsetto, rendendo il bustino inutile: ma quando nel
1907 la biancheria intima si semplificò per conformarsi alla
linea più snella, e quando alcuni anni dopo si accettò la vita
stile Impero che richiedeva un busto più alto e arrotondato, allora il bustino entrò di moda e s’iniziò a chiamarlo col termine
francese, più elegante, “brassière”. Gli anni della guerra fermarono qualunque moda esagerata, ma contribuirono all’ingresso di abiti più larghi, comodi e meno aggraziati, compreso il corsetto. Bisogna però notare che i corsetti più leggeri,
quelli sportivi o da indossare con le vesti da camera, avevano già fatto la loro comparsa all’inizio del secolo (Fig.63).
Fig.63
99
Un modello era fatto di nastro, un altro di una trama fatta a
maglia con un leggero elastico, che infine nel 1911 lasciò il
posto alla prima cintura elastica. Erano sempre steccati solo
leggermente, e talvolta abbottonati o agganciati sul lato così
da lasciare libero il busque sul davanti. Questi corsetti più leggeri iniziarono a essere veramente indossati durante la guerra
(Fig.64-65). e solo le donne più anziane continuavano a usare
i modelli fuori moda, in stoffa e con una steccatura pesante.
Fig.64
Fig.65
100
Gli indumenti intimi continuarono a modificarsi, e adesso
erano tagliati con molta semplicità, ornati in modo delicato
e realizzati con i materiali più semplici, sete leggere come la
crêpe de chine, georgette, lo chiffon per gli abiti di lusso, in
caso contrario con cotoni fini e veli. Il colore preferito diventò il rosa, una moda che presto si estese anche ai corsetti e
brassières (con questi nuovi indumenti intimi un brassière era
essenziale). Servirono alcuni anni per far sì che il mondo della
moda si riprendesse dalla guerra, e durante questo periodo si
continuarono a indossare gli abiti larghi e comodi - le tuniche
rette a “chemisier”. Dato che questi vestiti cadevano senza
modellare minimamente il corpo, la scelta del corsetto veniva
basata sulla comodità e non sulla forma. Molte donne si erano
ormai abituate a questa nuova libertà nei movimenti, quindi
non deve forse sorprendere che quando emerse una nuova
moda, nel 1921, era quella della ragazza non matura che non
richiedeva alcun supporto. Ma le donne che seguono la moda
non sono uguali alle studentesse immature, così la corsetière
venne nuovamente in aiuto - stavolta per rendere la figura il
più possibile senza forma. La chemisier diventò più attillata qualora fosse presenta una vita, era sui fianchi - e il problema
era nascondere la vita ed eliminare tutte le curve. Nel 1920 il
corsetto, ora solo una cintura, aveva raggiunto il punto della
vita. Questa cintura a corsetto era sagomata solo leggermente,
dato che una fascia elastica e alcune stecche di balena modellavano quanto bastava. Veniva usato più tessuto elastico, che
arrivava perfino a sostituire l’allacciatura, finché non entrò in
commercio una cintura completamente elastica, la “panciera”,
spesso senza stecche o lacci. Insieme a tutto ciò s’indossava un brassière, realizzato con un pezzo di stoffa retto, leggermente balzato e cucito sul lato, talvolta anche d’elastico,
poiché il suo scopo non era più quello di dare supporto ma di
appiattire il busto ed eliminare così tutte le curve. Purtroppo,
se questi due indumenti venivano indossati da donne più paffute, sporgeva un rotolo di grasso, noto come “tyre” (pneumatico), che rovinava la linea retta. Per appiattire questo rotolo si
aggiungevano delle spalline al brassière per trattenerlo sopra
101
la cintura a corsetto. Ben presto si sarebbero combinate le
due cose, e venne creato il “corsaletto”. Si ottenne una forma
esteriore bella e uniforme tagliando quest’indumento perfettamente retto e legandolo tutt’intorno a delle bretelle, spingendo
così il seno in basso e lo stomaco e i fianchi in alto (Fig.66).
Le donne più giovani, laddove possibile, facevano a meno
di tutti questi indumenti e indossavano solo le bretelle. Non
bisogna dimenticare che l’educazione del ventesimo secolo,
con l’enfasi per l’allenamento fisico, aveva dato vita a una
donna il cui corpo era già sostenuto dai suoi stessi muscoli: indossavano di solito cinture e reggiseni, mentre le donne
più mature usavano il corsaletto e solo quelle molto antiquate
continuavano a portare corsetti steccati di ossi di balena. Si
trattava della progressiva scomparsa del corsetto, iniziata un
centinaio d’anni prima. È interessante andare un attimo oltre il
presente studio, e osservare come la storia si ripete. All’inizio
degli anni ’30 del Novecento apparvero di nuovo le curve,
anche se leggermente, e ancora una volta la corsetière dovette
inventarsi una nuova linea. Gli indumenti senza forma furono
trasformati, e stavolta cercando di causare il minor numero
d’inconvenienti a chi li indossava. Ha inizio così una nuova
era del corsetto, a cui viene dato un nuovo nome: “indumento
modellante”. Il corsetto del sedicesimo/diciassettesimo secolo si era servito delle stecche di balena per sagomare, quello
del diciannovesimo/ventesimo secolo delle stecche di balena
più il taglio, mentre il nuovo corsetto quasi interamente del
taglio. Questi nuovi indumenti sagomanti, realizzati sapientemente con materiali leggeri ed elasticizzati, come il nylon,
combinati con elastici leggeri, vengono indossati direttamente sul corpo e hanno conferito alla donna una nuova pelle
“trattenuta” (Fig.67). La speranza è che la corsetière, avendo
imparato a padroneggiare questi nuovi materiali, permetterà
alle donne di mantenere la loro normale figura. Ma questa
nuova moda dei corsetti è ancora nelle prime fasi, e chi può
dire quali bizzarre distorsioni della figura femminile potrebbe ideare l’artista corsetière, ispirato dalle nuove tecniche?
102
Fig.66
Fig.67
103
Paragrafo 14
Costruzione dei Corsetti
La corsetteria è un ramo altamente specializzato della sartoria:
il disegno, il taglio e la montatura vengono solitamente realizzati da uomini e l’esecuzione da esperte cucitrici, o ai giorni
nostri piuttosto da addetti alla macchina da cucire. Un’esatta
riproduzione dei corsetti d’epoca richiederebbe un’abilità considerevole e molte ore di lavoro. Possono tuttavia essere semplificati se destinati a un uso moderno, purché si mantengano il
taglio corretto e la steccatura principale. La quantità di finitura
cambia se devono essere indossati sotto un vestito per dare la
giusta silhouette o indossati per essere visti, e in base anche al
tempo in cui devono essere usati. Numerosi testi contemporanei vengono citati nelle seguenti istruzioni dal momento che,
aldilà dell’interesse che suscitano, è sempre più facile semplificare il metodo originale di costruzione se esso viene compreso.
Cartamodelli
I diversi pezzi del cartamodello vengono disposti sul foglio
nell’ordine in cui vanno uniti. Rinforzi o baschi supplementari sono collocati nel modo in cui dovrebbero essere
tagliati dal materiale, con i lati retti del foglio che rappresentano gli orditi e le trame. La scala in pollici viene data
per ogni cartamodello. I corsetti andrebbero tagliati due
pollici (5, 08 cm) più piccoli delle misure effettive del busto e della vita, per far sì che si possa allacciare stretto.
Corsetti del sedicesimo, diciassettesimo e diciottesimo
secolo
I modelli dati possono essere tutti indossati dalle donne moderne: l’unico punto che rappresenta qualche difficoltà è l’ampiezza delle spalle. Ciò tuttavia si corregge facilmente, aumentando
la parte centrale posteriore del modello. Questa differenza non
deve sorprendere, ricordando che le bambine iniziavano a indossare corsetti da quando imparavano a camminare: le scapole
104
erano così ritratte in modo permanente, aiutando a sviluppare la schiena dritta e le spalle strette richieste dalla moda,
e di conseguenza si sviluppavano molto di più il petto e il
busto. Questi corsetti non comprimono eccessivamente la
vita, ma causano disagio per altri motivi. Dato che l’enfasi
è sulla lunghezza del corpo, i corsetti premono sui fianchi e
in alto arrivano fino alle ascelle, così come le spalline comprimono le spalle. Insieme a molti corsetti originali si trovano pelli di camoscio attorno ai giromanica e come fodera
delle linguette a partire dalla vita. Se i corsetti non sono indossati con gli abiti del periodo, il corpetto del vestito stesso andrebbe inserito su una base di stecche come i corpetti
della metà del diciassettesimo secolo: la steccatura dovrebbe seguire, ovviamente, il modello usato nei corsetti attuali.
La Costruzione
La descrizione seguente dei corsetti stabilisce i principi in
base ai quali venivano realizzati durante il sedicesimo, diciassettesimo e diciottesimo secolo:
“L’Accademia d’Armeria” di Randle Holme, 1680
Termini utilizzati da Taylors
In un abito femminile (woman’s gown) sono presenti diverse
parti, come
Il corsetto (the stay), ovvero il corpo dell’abito prima che s’inseriscano anche le maniche, o prima che venga rivestito di
materiale esterno. I corsetti sono composti di questi pezzi
La parte anteriore (the fore part), o corpo anteriore (fore body):
la parte del petto, che contiene due pezzi, ovvero:
la parte destra (the right side of the fore-body) e la parte sinistra (the left side of the fore-body) del corpo anteriore; le
due parti ai lati (the two side parts), posizionate ai lati sotto
le braccia.
La parte posteriore (the back).
105
Le spalline (the shoulder heads/shoulder straps): due pezzi che
vanno sopra le spalle e vengono attaccate alla parte anteriore,
attraverso cui si collocano entrambe le maniche.
Scoreing/Strik lines: cucitura dritta su tela.
Stitching: cucire lungo le linee con punti vicini per separare
ogni stecca di balena dall’altra...
spaccare le stecche di balena per ottenere lo spessore che si
desidera.
Steccare i corsetti (boning the stays): inserire le stecche spaccate negli spazi tra ogni cucitura.
Cordy robe skirts: tipi di corsetto tagliati a lambello nella parte
finale, come delle gonne lunghe e sottili.
Foderare i corsetti (lining the stayes): ricoprire l’interno dei
corsetti con fustagno, lino e simili.
Fasciatura del collo (binding the neck): cucire dei nastri al
margine del collo.
Occhielli o asole (eylet holes/eiglet holes): piccoli fori rotondi
sopraggitti tutt’intorno, attraverso cui vengono fatti passare i
lacci per unire un lato all’altro.
La vita (the waist): è l’altezza del corsetto dalle spalle al punto
in cui partono le gonne: adesso si distingue in parte posteriore
(the back waist) e anteriore (the fore body waist), ovvero ogni
lato della pettorina.
Side-waisted: a vita bassa.
Short-waisted: a vita alta.
La pettorina (the stomacher): quel pezzo che è collocato sotto
i lacci o la fasciatura del corpetto dell’abito.
Suddetto corpetto può essere:
Aperto sul davanti (open before): allacciato sul seno.
Aperto sul retro (open behind): allacciato dietro.
The peak: la parte finale della pettorina, che sia davanti o dietro.
Stecca (a busk): un pezzo resistente di legno o osso di balena,
conficcato nel mezzo della pettorina per farla stare dritta e in
modo che né il seno né il ventre sporgano eccessivamente. La
lunghezza di queste stecche viene di solito stabilita in base alle
necessità della persona che l’indossa: se servono a contenere
106
un seno prosperoso, allora si estende fino all’ombelico; se servono ad appiattire il ventre, arriva fino al pube.
Foderare i corsetti (covering the stayes): rivestire il corsetto
con vari materiali, che vengono cuciti su di esso in modi diversi: fodera liscia (smooth covered), grinza (pleated) o ruvida/stropicciata (wrinkled).
Alette (the wings): disposte sopra le spalle, dove il corpetto e
le maniche si uniscono: adesso se ne trovano di vari tipi, alcune strette, altre ampie, altre ancora smerlate.
Corsetti del diciottesimo secolo
Queste direttive si basano su quelle del pamphlet “Le Tailleur de
Corps de Femmes et Enfants”, di M. de Garsault, Parigi 1769. I
diagrammi sono presi dall’Encyclopédie di Diderot, Vol. IX, “Le
Tailleur d’Habits et Tailleur de Corps”, Parigi, 1751 (Fig.68).
Fig.68
Ci sono due tipi di corsetti: quelli che si allacciano solo sul
retro, e quelli che si allacciano sia dietro che davanti. I primi hanno il busque inserito nella parte centrale anteriore,
mentre i secondi hanno di solito un pezzo separato, la pettorina, in cui è conficcato il busque. Va fatta una distinzione
tra i corsetti foderati e quelli cuciti: i corsetti cuciti sono in
semplice cotone, lino o seta, e tutte le cuciture che separano
le stecche di balena sono visibili; i corsetti foderati hanno un
ulteriore strato di materiale ricco che nasconde le cuciture.
107
Le Misure
AB - dalla parte centrale posteriore al giromanica.
CD - dalla parte centrale anteriore al giromanica.
AD - dalla parte centrale posteriore a quella anteriore.
EF - la vita.
CH - dalla parte centrale posteriore all’anca.
DI - la lunghezza della parte centrale anteriore.
Materiali
Sono necessari due strati di materiale, quello superiore in lino
o cotone a maglie strette, mentre quello inferiore in drill o
stoffa rigidi (prima buckram, “tela rigida”, un lino grezzo irrigidito con della colla).
Costruzione
Prendere sufficiente drill in base alle dimensioni e al tipo di
corsetto da realizzare, piegarlo in due e posizionarvi il modello di carta: misurare con attenzione il modello, modificando le
dimensioni se necessario, e in seguito tracciare i contorni con
una rotella da sarto. Distendere il drill e tracciare con una matita i contorni di entrambi i lati del corsetto, dunque ritagliarli,
lasciando 6,35 mm per la svolta. Prendere ciascun pezzo del
corsetto e attaccarlo saldamente a un pezzo corrispondente di
cotonina. Dopo che tutti i pezzi sono stati attaccati in questo
modo, tracciare con una riga su ogni pezzo di drill delle linee
distanti 6,35 mm le une dalle altre, come illustrato nella Figura
7: questo procedimento è per i corsetti interamente steccati.
Per quelli steccati in parte le linee vanno tracciate come nella
Figura 6. Adesso tutti i pezzi vanno cuciti a macchina su ogni
linea con molta precisione: in questo modo si potranno inserire le stecche di balena in tutti gli spazi tra le cuciture. Fino
al diciottesimo secolo gli ossi di balena venivano comprati in
lamine, e il corsettier doveva tagliarli da sé, ma adesso si possono comprare in strisce di varia lunghezza, larghe 6,35 mm
circa. Esiste un’altra variante, venduta in gran quantità, chiamata “osso/stecca di piuma”: è formata da due sottili strisce
d’osso cucite insieme con del cotone, che si può facilmente
108
rimuovere se si desiderano delle strisce ancora più sottili. Bisogna sempre prestare attenzione alla larghezza degli ossi di
balena prima di tracciare le linee in cui andranno inseriti. Tagliare le strisce di osso di balena nella lunghezza desiderata
e limare finemente ogni estremità: una volta pronte, infilarle
tra le due file di cuciture, partendo dalle stecche centrali di
ogni pezzo. Nei due pezzi del retro lasciare uno spazio dopo la
stecca centrale per far posto alle asole: piegare gli orli imperfetti nella parte posteriore, e ricoprirli con una striscia di drill
larga 5,08 cm; a questo punto forare i tre strati di materiale per
creare le asole. Fissare insieme saldamente tutti i pezzi steccati e attaccare le spalline. Pressare dall’interno con un ferro
caldo, e mentre le stecche sono calde curvarle nella forma desiderata: se possibile, posizionarlo su un appendiabiti per farlo
raffreddare. Il corsetto è ora pronto per il fitting, momento in
cui vanno segnate tutte le modifiche. Le spalline richiedono
sempre attenzione dal momento che le spalle variano molto
da persona a persona, e le spalline dovrebbero essere molto
attillate per tenere il corsetto nella giusta posizione. Dopo il
fitting, disfare le cuciture e apportare con molta attenzione le
dovute correzioni: unire nuovamente i pezzi e cucirli a macchina. Aprire le cuciture e cucire accuratamente gli orli imperfetti al corsetto. Fasciare tutt’intorno la parte superiore e
le spalline, così come le linguette in basso, con una striscia
trasversale di cotone o fettuccia in sbieco venduta già tagliata.
Il corsetto è adesso pronto per ulteriori stecche modellanti,
che vanno cucite all’interno come mostrato nella Figura 9. Le
stecche di balena devono essere state modellate con il calore
in precedenza, o se si utilizzano lamiere in acciaio devono essere state piegate secondo la forma stabilita. Le stecche vanno
inoltre posizionate sul retro a partire dalle spalline attraverso
le scapole per appiattirle il più possibile. Una sottile fascia
di tela rigida va cucita attorno alla parte superiore del davanti, e talvolta si può inserire un pezzo alla fine della pettorina,
sulla parte centrale del davanti. Ricordare, quando s’inseriscono tutti questi pezzi modellanti, di tenere il corsetto in
modo tale che le stecche, ecc... conferiscano la giusta forma.
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Stirare dunque il corsetto con il ferro caldo. Per finire la sagomatura, cucire una striscia di drill all’interno del davanti,
dall’inizio alla fine, larga abbastanza affinché contenga il
busque: durante la cucitura, tirare leggermente la parte finale del corsetto per dare la forma. Il busque dovrebbe essere
un pezzo più pesante di osso di balena, ma dal momento che
oggi non è più reperibile si può usare anche l’acciaio. Dovrebbe avere una leggera curvatura verso il punto della vita.
Il corsetto è adesso finito eccetto che per la fodera, qualora
dovesse essere foderato con un materiale più ricco. Quest’ultimo può essere ritagliato dal modello originale, un po’ più
largo, o attillato se si desiderano diverse linee di cucitura. I
pezzi vanno cuciti insieme a macchina e in seguito posizionati
e cuciti sul corsetto. Cucire all’interno una fodera di cotone
soffice. Delle asole o degli anelli vengono cuciti spesso alle
linguette, in vita e più in basso nella parte centrale anteriore
e posteriore, a cui può essere attaccata la sottogonna, la quale
in caso contrario tenderebbe a sollevarsi e rovinerebbe la linea
del corsetto. Il corsetto è infine pronto per essere indossato.
I corsetti parzialmente steccati richiedono molto meno lavoro rispetto a quelli steccati interamente, e conferiscono una
forma ottima. Le stecche modellanti non erano molto usate
prima del 1700. Se è presente una striscia di tela rigida nella
parte superiore del davanti, o un pezzo triangolare al centro,
si possono omettere le stecche modellanti. Quest’ulteriore modellatura dipende, ad ogni modo, dalla forma desiderata nonché dal corpo della donna che indosserà il corsetto.
Corsetti del diciannovesimo e ventesimo secolo
Dato che i corsetti di questo periodo sono spesso molto piccoli, alcuni modelli andrebbero ingranditi. Anche la schiena
potrebbe risultare troppo stretta. I corsetti del diciannovesimo
secolo sono di solito troppo corti per il corpo di una donna
dell’epoca contemporanea e vanno probabilmente allungati. La vita esageratamente stretta, così di moda a partire
dalla metà del diciannovesimo secolo, rende questi corsetti abbastanza scomodi da indossare e raramente si riesce ad
110
allacciarli nella misura desiderata. Quando vengono indossati
non bisogna cercare subito di allacciarli stretti: dopo un’ora che
li si è portati sarà possibile tirare i lacci molto di più. L’imbottitura presente all’interno del corsetto, nel busto e nei fianchi,
contribuisce a conferire quelle curve esagerate che potrebbero
altrimenti essere ottenute solo dopo anni di allacciatura stretta.
La silhouette vittoriana e quella edoardiana cambiavano ogni
decade, eppure mantenevano sempre la cosiddetta vita da vespa, e ciò si può ottenere solo indossando un corsetto allacciato
stretto. Gli abiti stessi erano sempre molto steccati, ma risultava comunque faticoso indossarli anche quando si legavano
con dei lacci. Gli abiti retti, non steccati indossati poco prima
e dopo la Prima Guerra Mondiale perdono gran parte del loro
stile peculiare se non si usa nessun indumento modellante.
Corsetti degli inizi del diciannovesimo secolo
“La Guida dell’Operaia”, di una Signora, 1838
Stays o Corsetti
È impossibile stabilire un modello o misura definitivi per i
corsetti, dato che devono, ovviamente, essere tagliati diversamente in base alla figura a cui vanno adattati, e possono essere
sostenuti da più o meno stecche, secondo l’età, la robustezza
o costituzione di chi dovrà indossarli. Dobbiamo perciò limitarci ad alcune osservazioni riguardo la loro realizzazione: e
per quanto riguarda in particolare il taglio, si consiglia a chi
realizza da sé i propri corsetti... di acquistarne da un corsettier
esperto un paio che vestano alla perfezione, e inoltre un paio
già tagliati ma non costruiti, da utilizzare come modelli per i
corsetti fatti in casa.
Stays femminili
Se destinati alle dame, sono fatti di satin, o ancora meglio di
jeans (denim) francese, ampio 45,72 cm. Se di qualità inferiore, sono fatti di jeans bianco, marrone, grigio o nanchina,
e foderati di cotonina tra le svolte. Il corsetto è generalmente
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foderato tra i due pezzi di jeans con tessuto unito o lino irlandese, in ogni parte tranne i rinforzi. I corsetti vengono tagliati
di solito in quattro parti, tutte trasversali dal momento che ciò
aiuta a farli adattare meglio alla figura. Due dei pezzi partono
dai lati della schiena arrivando fin quasi ai fianchi, e da qui
partono gli altri due che arrivano fino a metà del busque (o lamina d’acciaio). Ci sono due rinforzi su ogni lato per il petto, e
due più grandi su ogni lato per i fianchi. Le stecche necessarie
sono le seguenti:
Una nel mezzo, più stretta in alto che in basso, e contenuta in una robusta pelle di daino prima di essere inserita nella
struttura del corsetto. Due stecche alle estremità per evitare
che i buchi si squarcino. Spesso si aggiunge anche una seconda stecca sul retro di ognuno, dall’altro lato dei fori per i
lacci. Le stecche tra i rinforzi del petto, su ogni lato: tuttavia
queste dovrebbero essere molto sottili ed elastiche, e sono richieste raramente, a meno che chi l’indossa non abbia bisogno di molto sostegno. Altre due stecche, ognuna su un lato,
partendo da poco sotto i giromanica e arrivando alla fine del
corsetto. A volte s’inseriscono anche alcune stecche trasversali. Bisogna anche notare che, a meno che non si tratti di una
persona particolarmente fragile, è sempre preferibile avere il
minor numero di stecche possibili. Quando si tratta di persone in salute, sono più che sufficienti le due stecche sul retro
e il busque sul davanti. L’involucro della stecca sul davanti
è talvolta di elastico, che contribuisce a renderlo più comodo da indossare per le persone asmatiche o delicate (Fig.69).
Fig.69
112
Sulla Realizzazione
L’ago usato per confezionare corsetti è detto ago per trapunta (quilting needle o between needle). Per i corsetti migliori si usa un tipo di seta forte, la seta per corsetti, mentre per
quelli comuni il cotone cerato. Quando si realizzano le cuciture, bisogna fare molta attenzione a piegare correttamente il
materiale, così da avere tutti gli orli imperfetti all’interno del
corsetto: per fare ciò, ripiegare il fuori e il dentro del jeans
su un lato della cucitura, con gli orli imperfetti e la fodera
pronti come per una normale cucitura; fare lo stesso con l’altro lato della cucitura, posizionando le due cuciture preparate
l’una di fianco all’altra, e cucirle insieme. Tenendola fra le
dita avrà l’effetto di una doppia cucitura normale. Il modo di
cucire questi quattro livelli per farli distendere perfettamente
una volta aperti è piuttosto peculiare. Fissare con l’ago tre dei
quattro livelli, lasciando il quarto scucito. Al punto successivo, prendere nuovamente tre pieghe, lasciando l’altra di fuori
scucita: continuare prendendo alternativamente una esterna e
lasciando l’altra, realizzando le cuciture l’una vicina all’altra.
Una volta finito, aprire la cucitura e appiattirla col pollice e
l’indice. I rinforzi vanno poi inseriti tra le svolte del jeans,
e cuciti insieme con cura: le parti iniziali, più strette, vanno
lavorate con cuciture a occhiello. Si passa dunque a realizzare
lo scheletro di stecche, e a cucire le trine (merletti) di cotone.
Si lavorano le asole o i fori per i lacci, e dopo aver inserito le
stecche del corsetto, si legano saldamente il sopra e il sotto
del corsetto con le spalline tramite le fasciature per corsetti.
Rinforzi
A volte sono di filo elastico, altre di gomma, altre ancora di
twill elastico.
Spalline
Sono dello stesso materiale dei corsetti, e cuciti alla parte anteriore e posteriore delle spalle. Alcune si sbottonano sul davanti, il che permette a chi l’indossa di sbottonarle e poter così
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acconciare i capelli con facilità; altre hanno delle asole per far
passare i rocchetti che le legano ai fori corrispondenti del corsetto.
Fori dei lacci
Sono generalmente realizzati con cuciture a occhiello. A volte s’inserisce in ogni foro un anello, detto patent lace-hole,
molto resistente e duraturo ma che si dice distrugga i lacci.
Modesty-Piece
Alla parte superiore del corpetto viene a volte attaccato un piccolo modesty piece (“pezzo di decoro”), che è un’invenzione
utile ad alcune persone, dato che rende il davanti più attillato
e anche delicato. Il pezzo aggiuntivo è tutto in uno, ed è trasversale. Si porta insieme all’intera parte anteriore del corsetto; lo spessore è di circa 2,85 cm sul petto, e distante fino
a 1,42 cm dal busque. Sopra questa fascia aggiuntiva, che è
legata tutt’intorno, viene usata una rocchetta per tirarla su. Se
tirata correttamente, coprirà delicatamente il seno laddove, se
venisse tagliata insieme al corsetto in un unico pezzo sarebbe
più alta, ma spiccherebbe e non otterrebbe l’effetto desiderato.
N.B. Anche se questa descrizione consiglia di tagliare i corsetti nella parte trasversale del materiale, le tipologie esistenti
sono in realtà tagliate di solito su quella retta. Se questi primi
corsetti del diciannovesimo secolo vengono tagliati da soli
quattro pezzi, la parte trasversale del materiale garantirebbe
sicuramente una miglior vestibilità e una forma più delicata.
Corsetti dei primi anni del ventesimo secolo
“Metodi attuali di tagliare e disegnare gli abiti”, Parte
IV,
di M. Prince Browne
N.B. Per usufruire delle seguenti istruzioni si consiglia prima
di prendere un modello di corpetto da una forma d’abito di un
appendiabiti d’epoca che abbia la silhouette desiderata.
114
Per realizzare il cartamodello per corsetti
Va tagliato da un modello di bustino, fino a 17,78 cm sotto la
vita.
Posizionare un foglio di carta da imballaggio su un tavolino o
una tavola e, usando un gessetto da sarto e una riga, tracciare
una linea retta al centro del foglio. Porre i due pezzi frontali
del cartamodello con il punto vita sulla linea di gesso appena
tracciata, e appuntarli saldamente in questa posizione al tavolo
con delle puntine da disegno.
Porre il “pezzo laterale” accanto al “laterale frontale” con la
“linea della cintura” sulla linea di gesso, e appuntare anch’essi
in questa posizione. Appuntare adesso il “busto laterale”, seguito dal “retro” e appuntarli allo stesso modo.
Partendo dal punto vita, misurare e segnare l’altezza che il
corsetto avrà sopra e poi sotto la vita, e tracciare i contorni di
ogni pezzo del modello secondo la forma desiderata, facendo
molta attenzione a rendere ogni pezzo della stessa lunghezza,
alla cucitura, di quello a cui andrà unito.
Prendere una rotella da sarto e tracciare vicino al bordo di ogni
pezzo del cartamodello i contorni del corsetto, fino al punto
massimo sopra e sotto la vita.
Tracciare ora, sempre con la rotella, i contorni del sopra e del
sotto del corsetto, e per ognuno tracciare anche il punto vita.
Rimuovere il modello, e si avranno i contorni del corsetto
tracciati con la rotella sul foglio di carta.
Tracciare una linea di gesso a una distanza di un centimetro e
mezzo dalla linea frontale, e un’altra alla stessa distanza dalla
linea posteriore.
Prima di ritagliare il modello, numerare ogni pezzo sopra la
“linea della cintura” - quelli “frontali” 1-2, il “pezzo laterale”
3, il “busto laterale” 4, e il “retro” 5.
Se non viene fatto questo, sarà molto difficile unire i pezzi
correttamente.
Il sopra di ogni pezzo sarà facile da distinguere grazie al numero sopra la “linea della cintura”.
Tagliare adesso il pezzo 1 dal cartamodello, seguendo la linea
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di gesso sul davanti, e il tracciato della rotella che segna 2, 3,
4 ma senza tagliare attraverso il punto vita.
Tagliare in seguito la parte 5, seguendo la linea di gesso sul
retro, e il tracciato della rotella che segna il sopra, il sotto e la
parte laterale, ma senza tagliare attraverso il punto vita.
Il modello di corsetto è pronto per essere utilizzato (Fig.70).
Fig.70
Tagliare il materiale, e foderare
Prendere il materiale in cui andrà realizzato il corsetto, e piegarlo per lungo (e il rovescio fuori) - i due vivagni insieme - e
posizionarlo sul tavolo.
Posizionare il pezzo numero 1 sul materiale con la “linea frontale” vicina ma non sopra il vivagno, e con la “linea della cintura” perfettamente pari al materiale, e appuntarlo.
Prendere ora il pezzo numero 2 e posizionarlo vicino all’1,
così da tagliare il materiale senza sprecarlo, facendo attenzione che il modello sia messo per lungo, e la “linea della cintura” perfettamente pari al materiale, e appuntarlo.
Posizionare anche i pezzi numero 3, 4 e 5 sul materiale con
la “linea della cintura” perfettamente pari, e appuntarli saldamente.
Tracciare ora con la rotella da sarto una linea lungo il “davanti”, e il retro del modello - un centimetro e mezzo dal
116
bordo - così come lungo il “punto vita”.
Le svolte non sono consentite, a meno che il materiale non si
“sfilacci” facilmente (in quel caso sono necessarie). Tagliare
ogni pezzo con molta attenzione dell’esatta misura del modello.
Staccare il modello da ogni pezzo di materiale, che andrà numerato con un tratto lieve a matita sopra il “punto vita” in
corrispondenza al modello - ovviamente sul rovescio del materiale!
Piegare la fodera per i corsetti nello stesso modo in cui è stato
piegato il materiale; posizionare i pezzi del modello su di essa
e appuntarli alla stessa maniera, ovvero con il “punto vita”
perfettamente pari.
Con la rotella da sarto, tracciare tutti i “punti vita” e le linee
della rotella per tutto il davanti e il dietro.
Non essendoci alcuna svolta, bisogna tagliare ogni pezzo con
molta attenzione nell’esatta misura del modello.
Staccare il modello dalla fodera e numerarlo con tratto lieve
a matita sopra il “punto vita”, in corrispondenza al modello.
Per costruire i Corsetti
Appuntare e fissare insieme le cuciture della fodera di una
metà del corsetto, facendo attenzione a far combaciare perfettamente il punto vita di ogni pezzo, cosicché quando una metà
del corsetto si attacca insieme, i segni della rotella da sarto
possano formare una linea continua.
Appuntare e fissare anche l’altra metà del corsetto allo stesso
modo - ricordando però che le due metà devono “guardarsi”, e
non essere entrambe dallo stesso lato.
Cucire a macchina tutte le cuciture con molta attenzione, a
circa 3,18 mm dal bordo.
Misurare insieme le due metà per vedere se le cuciture di ogni
metà corrispondono perfettamente, e se hanno la stessa esatta
misura. Aprire dunque le cuciture.
Fare una svolta di 6,35 mm sul “davanti” e sul “retro”, e dentellare il secondo all’altezza del “punto vita”, per far sì che le
svolte si distendano: imbastire e stirare queste svolte.
117
Le svolte vanno fatte sullo stesso lato delle cuciture.
Per il momento, lasciare gli “orli imperfetti” del sopra e del
sotto della fodera.
La fodera di metà del corsetto dovrebbe adesso misurare 1,90
cm meno del modello di corpetto.
Prendere il pezzo numero 1 del materiale e imbastirlo al centro
del numero 1 della fodera; con il rovescio del materiale rivolto
verso il rovescio della fodera a coprire gli orli imperfetti delle
cuciture.
Prendere ora il pezzo numero 2, imbastirlo al centro del numero 2 (della fodera) con l’orlo sovrapposto al numero 1 - e
il rovescio del materiale di fronte al rovescio della fodera, a
coprire gli orli imperfetti delle cuciture. Fare lo stesso con i
pezzi numero 3, 4 e 5 - con ogni pezzo sovrapposto all’orlo del
precedente. Fare una svolta di 3,18 mm o più su ogni cucitura
a guardare la fodera, e fissarla saldamente ad ogni cucitura.
Fare una svolta di 6,35 mm sul davanti, farla combaciare alla
perfezione con l’orlo svoltato della fodera e appuntarla, senza però imbastire i due orli insieme, dato che i busque vanno
inseriti tra essi.
Fare una svolta di 6,35 mm anche sul retro, e dentellare questa
svolta al punto vita, per farla distendere e combaciare esattamente con l’orlo svoltato della fodera, e appuntarli insieme
vicino all’orlo. Cucire a macchina lungo ogni cucitura, il più
vicino possibile all’orlo svoltato.
Non cucire lungo il retro.
Realizzare l’altra metà del corsetto nello stesso modo.
Partire dal “davanti” e, dalla fila di cuciture che collegano i
pezzi 1 e 2, misurare e segnare, in direzione del retro, l’ampiezza della stecca di balena, e tracciare una linea della stessa
ampiezza dall’inizio alla fine del corsetto. Imbastire questa
linea (il materiale alla fodera).
Prendere un pezzo di stecca di balena e infilarlo nello spazio tra le file di cuciture e quelle delle imbastiture, per accertarsi che sia della giusta larghezza, e in seguito far uscire di nuovo la stecca. Nella fila successiva di cuciture - che
collegano i pezzi 2 e 3 - misurare, segnare e imbastire tre
118
spazi per le stecche - nella fila di cuciture che collegano i pezzi
3 e 4, misurare, segnare e imbastire tre spazi per stecche. Nella
fila che collega i pezzi 4 e 5 formare altri due spazi allo stesso
modo; in seguito, dalla fila d’imbastitura lungo l’orlo posteriore, misurare e segnare altri due spazi - il primo dei quali è
per una stecca, mentre il secondo per gli occhielli - imbastire
e cucire lungo questo secondo spazio. Tagliare una striscia di
lino resistente o drill larga circa 1,27 cm - sulla parte retta nel senso della cimosa - piegarla in due per lungo e piegarla
in doppio. Staccare l’imbastitura dall’orlo del retro, e inserire
la striscia di lino, o altrimenti tra il materiale e la fodera, il più
vicino possibile alla fila di cuciture appena fatta, e imbastirla
saldamente - questo va fatto per rinforzare il corsetto sotto gli
occhielli - adesso imbastire e cucire lungo il segno successivo
e completare lo spazio per gli occhielli. Imbastire di nuovo
lungo i due orli del retro, vicino all’orlo, e cucire. Si completa
così lo spazio per la stecca sul retro, oltre gli occhielli.
Cucire a macchina tutti gli spazi per le stecche.
È di fondamentale importanza che tutti questi spazi siano della
larghezza precisa per far spazio alle stecche; non troppo stretti
né così ampi da far piegare le stecche, rendendo il corsetto
scomodo e rovinandone la forma.
Partendo dall’orlo della parte frontale, misurare e segnare
l’ampiezza del busque, e tracciare una linea dell’esatta ampiezza dall’inizio alla fine. Imbastire questa linea e dopo cucirla.
Fare lo stesso con la seconda metà del corsetto.
Prendere il busque con gli occhielli, e inserirlo tra la fodera
e il materiale della parte frontale di destra, e cucire insieme i
due orli a mano.
Prendere il busque con i chiodi (studs), e inserirlo tra le fodera
e il materiale della parte frontale di sinistra. Segnare l’esatta
posizione in cui si troverà ogni chiodo, e praticare un foro per
ognuno con uno stiletto - far passare i chiodi attraverso i fori e
cucire i due orli del corsetto insieme.
Misurare e tagliare le stecche di balena della lunghezza necessaria. Le stecche non dovrebbero superare gli orli imperfetti
119
del corsetto più di 1,27 o 1,90 mm. Dopo aver tagliato le
stecche, bisogna raschiarle e smussarle alle punte (per evitare
un eccessivo spessore).
Inserire una striscia di stecca in ogni spazio, tranne quello
per gli occhielli.
Cucire (a mano) il materiale alla fodera - vicino e attorno al
sopra e al sotto di ogni stecca, per tenerli fermi.
Sotto le braccia si possono usare pezzi di metallo invece
delle stecche di balena se si preferisce, ma ciò va ovviamente
deciso prima di formare gli spazi.
Misurare la larghezza dei pezzi di metallo invece delle
stecche, e fare attenzione che anch’essi, come le stecche, non
devono superare gli orli imperfetti del corsetto più di 1,27 o
1,90 mm.
Ora corsetto può essere fasciato attorno al sopra e sotto con
Prussian binding, o con fiocchi di raso (se il corsetto è in
raso), e il sopra può essere adornato con merletto, oppure
ricamato.
Le stecche devono essere piegate alle estremità.
Misurare e segnare la posizione degli occhielli. Fare attenzione a mettere il segno esattamente al centro dello spazio,
e d’inserirne due al punto vita più vicini rispetto agli altri,
dato che in questo punto si tireranno i lacci del corsetto per
legarlo.
Ora si può comprare un attrezzo molto utile che funziona
sia da punzonatrice che da punzone per occhielli. Risulta in
questo modo semplicissimo punzonare il foro e inserire gli
occhielli.
Un possibile miglioramento è quello di avere tre lacci invece
di uno solo più lungo: uno dal sopra fino alla vita, un altro
per la vita, e il terzo dalla vita alla fine del corsetto. Ciò
permette a chi l’indossa di stringere il corsetto alla vita senza
influire sulla “molla/elastico” sotto il punto vita, e senza
contrarre il petto.
Un piccolo fiocco cucito sulla parte superiore del busque è
un bel dettaglio di rifinitura, e un piccolo cuscino (di circa 5
cm2) di nastro, imbottito di cotone idrofilo, cucito da un lato
120
al sopra del busque nel dentro del corsetto, è un altro progresso (Fig.71). Cucire le giarrettiere sul davanti del corsetto, e anche sui lati. Il corsetto è così finito.
Fig.71
Per semplificare
Il lavoro richiesto per realizzare corsetti vittoriani o edoardiani può essere ridotto di molto usando un solo strato di materiale, nel cui caso andrebbe usato un drill pesante.
Tagliare, segnare e imbastire i corsetti insieme con molta attenzione come nelle istruzioni precedenti; dopo le dovute correzioni, il corsetto può essere finito come segue:
Realizzare i rinforzi e gli inserti del basco sempre a cucitura
rovesciata, così come le cuciture lunghe - se queste sono steccate il “rovescio” e le due file di cuciture a macchina dovrebbero essere ampi abbastanza per far spazio alla stecca di balena o al metallo. Oppure cucire a macchina e poi aprire le file
di cuciture, sistemando gli orli imperfetti di queste cuciture
con un nastro cucito a macchina lungo le due file di cuciture,
distanziate se necessario per far posto alla stecca di balena o al
metallo. Cucire anche i nastri a macchina lungo le linee della
steccatura ogni volta che servono più stecche.
Non è sempre possibile comprare i busque che si aprono sul
davanti: in quel caso la parte frontale centrale va cucita insieme
121
a macchina, rivestita con una striscia di drill, e va inserito un
pezzo di metallo su ogni lato della parte frontale centrale. Rinforzare le due parti posteriori del centro rivestendo ognuna
con una doppia striscia di drill larghe circa 2,54 cm cosicché i
fori per gli occhielli siano praticati attraverso tre strati di materiale.
Fasciare tutt’intorno il sopra e il sotto del corsetto dopo che
si è steccato.
Fermare le stecche nella loro posizione tramite un disegno a spina di pesce o un altro tipo di cucitura simile.
Paragrafo 15.
Supporti per Corsetti, Crinoline, ecc…
Benché la stecca di balena fu presto riconosciuta come il materiale ideale per irrigidire bustini e gonne al punto che ben
presto vennero, e sono ancora, conosciuti come busti “steccati”, corsetti “steccati”, ecc... era spesso raro da reperire e
costoso e furono usati diversi sostituti, come il legno e corno
per i busti, le canne per i corsetti e le crinoline. Infine, a metà
del diciannovesimo secolo, l’acciaio prese il posto delle stecche di balena nelle crinoline e nei bustini. All’inizio l’acciaio
non era abbastanza flessibile per i corsetti sagomati e così,
insieme alle canne, un nuovo supporto fece la sua apparizione
alla fine del secolo e diventò molto popolare grazie al prezzo
conveniente: il featherbone (“osso di piuma”). Il miglioramento nella manifattura dell’acciaio, comunque, proseguì e
durante il ventesimo secolo l’acciaio sostituì le stecche, sebbene la stecca di balena fosse ancora usata perfino negli anni
’20 del Novecento. I moderni indumenti di sostegno che sono
in qualche modo steccati, lo sono con pezzi di acciaio molto
flessibili o le nuove “stecche di plastica”: le stecche di balena
non vengono più utilizzate.
Ottobre 1887
Abbiamo tutti sentito parlare, forse troppo spesso, della scarsa
reperibilità delle stecche di balena, e il conseguente aumento
122
di prezzo dei migliori corsetti, così come delle “guarnizioni di
sartoria” e tutti gli ecc... che aumentano i costi. Se noi abbiamo sofferto economicamente, le povere balene hanno sofferto
direttamente, e come noi anch’esse potranno rallegrarsi degli
“ossi di piuma”, un buon sostituto delle stecche di balena, essendo indistruttibile e inalterabile al calore, al freddo o alle
condizioni meteorologiche. Le stecche di piuma sono flessibili
ed è di gran lunga più adattabili ai vestiti ordinari sia rispetto
alle stecche di balena che a qualunque loro sostituto, come
l’acciaio.
Novembre 1890
Adesso che il prezzo delle stecche di balena è così elevato, ed
è probabile che aumenterà ancora, un sostituto completamente soddisfacente è nei nostri tempi una necessità. La maggior
parte dei sostituti è carente in un aspetto o in un altro: alcuni
sono troppo rigidi, altri troppo leggeri e flessibili; un certo tipo
si spezza in due alla minima pressione, un altro non si piega
sotto alcun peso. Ma a me pare che la giusta via di mezzo si sia
trovata nelle nuove stecche di “platino”, che sono prive di tutti
gli svantaggi presenti nelle stecche realizzate in qualsiasi altro
metallo. Il metallo impiegato per esse è una fusione d’argento,
acciaio e platino ed è estremamente flessibile e non soggetto
a ruggine. Le stecche possiedono, infatti, tutta la flessibilità
degli ossi di balena nonché la resistenza e stabilità dell’acciaio, senza però la tendenza di spaccarsi dell’uno e di spezzarsi
dell’altro.
Myra’s Journal
Agosto 1895
Un nuovo metodo di steccare i vestiti è stato ideato di recente
da Mr. G. B. Weekes, di Parigi. La stecca di piuma (il nome
della merce impiegata) è un prodotto ingegnoso che somiglia
all’osso di balena in molti aspetti, ma è superiore ad esso in
altri. Viene ricavata dalle penne d’oca e di tacchino tramite
uno speciale processo: una grande fabbrica è stata costruita al
fine di produrla a St. Just, che dà un impiego a molte centinaia
123
di ragazze e donne. La stecca risulta leggera, flessibile e indistruttibile.
The Queen
Industria di Crinoline, ca. 1858
La più grande ditta di produzione di crinoline era quella di
Thomson a Londra, che possedeva delle filiali a New York,
Parigi e Bruxelles, nonché in Sassonia e Boemia. L’azienda
londinese aveva assunto da sola più di un migliaio di donne
e produceva tra le tre e le quattromila crinoline al giorno. Il
numero di uncini e asole richiesti ammontava a un quarto di
milione al giorno. In dodici anni la filiale in Sassonia produceva da sola 9.597.600 crinoline. La quantità di materiale richiesto per una produzione tale si può dedurre dal fatto che il
filo d’acciaio usato per la struttura di tutte queste gonne equivaleva alla circonferenza terrestre moltiplicata diverse volte.
Ciba Review, No. 46, “Crinoline and Bustle”
Un’azienda a Sheffield ha ricevuto un ordine di 40 tonnellate
d’acciaio arrotolato per crinoline. È inoltre giunto dall’estero
un ordine di una tonnellata a settimana per diverse settimane.
Punch, 18 Luglio, 1857
Paragrafo 16
Stecca di Balena
Nessuno studio di corsetti e crinoline può essere completo
senza alcuna conoscenza della stecca di balena e della sua storia. Stecca di balena è il nome dato alle lunghe, rigide lamine
o falde che in un gruppo di balene, le Eubalaenae, prendono il
posto dei denti. Queste lamine sono collocate nel palato superiore, distanziate l’una dall’altra di 6,25 millimetri. Il numero
delle falde su ciascun lato varia da 260 a 360. Esse variano da
25 a 30 centimetri circa alla base e da 23 a 33 centimetri in
lunghezza. Il numero, così come la qualità, varia con la specie e le dimensioni della balena. Ciascuna lamina è di forma
triangolare. Il bordo esterno si presenta duro e liscio, mentre
124
il bordo interno è frastagliato da lunghe fibre ruvide così che la
volta della parte interna della bocca della balena appare come
se fosse coperta di peli. Queste falde frangiate fanno da setaccio per filtrare dall’acqua i piccoli pesci o alcuni crostacei di
cui le balene si nutrono. “Fanone”, il termine più corretto per
l’osso di balena, è una sostanza dall’apparenza di un corno,
formato da un agglomerato di peli coperti di smalto ed è, infatti, una transizione da pelo a corno. Le fibre dei peli proseguono
parallele e per un buon tratto al punto che una falda di balena
può essere separata fino a raggiungere un qualunque spessore senza però intaccare le sua peculiari qualità di leggerezza,
elasticità e flessibilità. Se ammorbidita nell’acqua calda o accostata a una fonte di calore, mantiene qualsiasi forma data,
purché la si preservi finché non si raffredda. La separazione
delle falde dalle gengive viene fatta in mare; esse vengono
in seguito lavate con acqua salata e asciugate accuratamente
prima di essere impacchettate. Dopo la consegna in fabbrica, i
peli vengono strappati dalle lamine, le quali restano immerse
in acqua tiepida per due o tre settimane e sono poi sottoposte
a vapore per circa un’ora, dopo la quale sono pronte per essere
tagliate a strisce delle dimensioni richieste. Dato che la stecca
di balena è un prodotto naturale, le lamine variano molto consistenza, ed è richiesta una certa abilità ed esperienza per stabilirne la qualità e prepararle secondo le esigenze di mercato.
Le caratteristiche peculiari delle stecche di balena le rendono
particolarmente adatte per formare corsetti e sottogonne steccate; non è dunque sorprendente che esista uno stretto rapporto tra la storia degli indumenti steccati e della pesca di balene,
e che la vanità delle donne abbia contribuito non poco alla
caccia e all’annientamento di quest’interessante e adesso raro
animale. La balena franca nordatlantica (nordcaper o sarda) fu
bersaglio di una prima regolare caccia alle balene, quella dei
Baschi, che ebbe probabilmente origine un centinaio d’anni fa
nel Golfo di Biscaglia. Il valore delle ossa di balena dov’essere stato ben noto molto presto, perché nel 1150 il re Sancho di
Navarra concesse alcuni privilegi alla città di San Sebastián,
e nella cessione è inclusa una lista di articoli di mercanzia
125
insieme ai dazi che vanno pagati per commerciarli: le ossa di
balena hanno un posto importante in questa lista. Possiamo
solo supporre i primi usi delle stecche di balena, ma talvolta
viene menzionato un collegamento con l’abbigliamento medievale come, ad esempio, i pennacchi sugli elmi, rinforzati
per gli elaborati copricapi femminili, e le calzature a punta
lunga. Quando i busti rigidi e i guardinfante apparvero nel sedicesimo secolo, non sarebbe passato molto tempo prima che
le stecche di balena avessero il sopravvento per via della superiorità rispetto ai supporti in legno o canne. La prima descrizione della balena di Biscaglia venne data da Ambroise Paré,
che visitò Biarritz nel 1564: egli descrisse come “des lames
qui sortent de la bouche, on en fait des vertugals, busques pour
les femmes”. Sebbene i documenti siano esigui, un commercio
considerevole di ossi di balena dev’essere nato per incontrare
le richieste delle stravaganti mode elisabettiane e giacobine.
Negli archivi della City di Londra è conservata una lettera,
datata 12 Dicembre 1607, da parte del Lord Mayor indirizzata
ai Lords of the Council, contenente una petizione per alcuni mercanti che commerciavano verso “Biskey” ed “esperti
nel mestiere di fabbricare Vardingales (farthingales), Boddyes
(bodies) e maniche per le donne all’interno e nei dintorni della
City”. La lettera richiedeva che il dazio proposto, sei pence
in sterline sulle pinne di balena, non venisse aumentata. La
balena di Biscaglia venne cacciata fino alla soglia dell’estinzione durante il sedicesimo secolo, finché la pesca non andò
in declino all’inizio del diciassettesimo secolo, proprio il periodo in cui il guardinfante insieme al bustino rigido abbinato
cessarono di essere indossati. La seconda grande caccia alle
balene fu quella della balena della Groenlandia, la quale fu
scoperta attorno a Spitzbergen quando alla fine del sedicesimo secolo s’intrapresero dei viaggi per percorrere la via nordorientale verso l’Estremo Oriente. Sebbene gli Inglesi fossero
stati pionieri nella pesca, gli Olandesi iniziarono a cacciare
balene nel 1612, e con un tale successo che presto ottennero
e mantennero il controllo della pesca in Groenlandia fino al
declino alla fine del diciottesimo secolo. Le ossa della balena
126
della Groenlandia erano particolarmente pregiate, lamine che
andavano da 25 a 38 centimetri, appartenenti a fanoni di qualità superiore. Vennero fatti molti tentativi per riaprire la pesca
inglese in Groenlandia. Nel 1672 una delibera parlamentare
permise ai balenieri britannici di far sbarcare i propri prodotti
senza pagare alcuna tassa. I coloni erano ammessi con una
quota ridotta, mentre gli stranieri dovevano pagare la tassa doganale di 9 sterline a tonnellata per l’olio, e 18 sterline a tonnellata per le ossa di balena. All’inizio del diciottesimo secolo
i prezzi delle ossa di balena salirono in modo considerevole,
probabilmente per via dell’introduzione della crinolina. Un
volantino del 1720 descrive come gli ossi di balena fossero
importati di contrabbando nel paese al fine di evitare le tasse doganali. Un’indagine del commercio in Groenlandia del
1722 così afferma: “Per quanto concerne le pinne di balena,
si evince dai libri doganali che nel porto di Londra siano state
importate dall’anno 1715 al 1721, anno dopo anno, intorno
alle 150 tonnellate all’anno, anche quando il prezzo era molto
caro, ossia 400 sterline a tonnellata, più o meno, il che equivale a 60 000 sterline annuali, oltre a quanto viene importato in
tutti gli altri porti della Gran Bretagna e dell’Irlanda, che dovrebbe ammontare a 100 tonnellate o più. Dunque la somma
pagata per gli ossi di balena ammonta a 100 000 sterline annuali, oltre alla merce che viene importata clandestinamente:
tutto ciò è stata una grande perdita per la Nazione e un chiaro
profitto per le nazioni vicine.” Furono offerte ricompense ai
balenieri britannici e furono rimosse le tasse doganali, ma la
caccia alle balene non riscosse più successo in Inghilterra. Un
altro rapporto del 1771 dice: “Se si rinuncia alla pesca britannica, dovremo dipendere quasi esclusivamente dagli Olandesi
che potrebbero imporre i prezzi che desiderano (e hanno appunto imposto 700 sterline a tonnellata per le pinne di balena),
cosa che porterà a un incredibile salasso annuale per il paese.” .” Alla fine del diciottesimo secolo la caccia alla balena
di Groenlandia era in declino, i prezzi calarono: le crinoline
e i bustini steccati di ossi di balena non erano più di moda.
La terza grande caccia alle balene fu quella americana del
127
diciannovesimo secolo. Sebbene le balene venissero cacciate
al largo delle coste americane già a partire dal diciassettesimo secolo, la pesca americana alle balene ebbe inizio con la
caccia alla grande balena franca nell’Oceano Artico a partire
dagli anni 40 dell’Ottocento. Nelle prime decadi del diciannovesimo secolo la richiesta per gli ossi di balena subì un tale
calo che ben pochi vascelli ne trasportavano. Dopo che, con il
ritorno del corsetto, i prezzi e le richieste aumentarono e con
la scoperta nel 1859 del petrolio, che prese il posto dell’olio
di balena, la pesca americana dipendeva quasi esclusivamente
dagli ossi di balena. La produzione delle ossa di balena per
tutto il diciannovesimo secolo superò il valore di 90 000 000
sterline, circa 450 000 000 dollari americani. Gli anni della
massima espansione della pesca americana furono a metà secolo. Dal 1860 in poi la produzione delle ossa di balena iniziò
a calare. Metodi perfezionati di trasformazione dell’acciaio
ispirarono la prima crinolina a “gabbia” nel 1856, e da quel
momento in poi praticamente tutte le crinoline vennero realizzate con acciaio flessibile. I corsetti della maggior qualità, tuttavia, erano ancora realizzati con stecche di balena, e il
grande sviluppo dell’industria dei corsetti alla fine del secolo
continuò a imporre un pesante dazio sulle sfortunate balene.
Nella prima decade del ventesimo secolo la rarità crescente
della balena franca fece alzare i prezzi fino a vette incredibili:
si giunse a pagare 2800 sterline per tonnellata all’anno. Ma
il corsetto stava lentamente perdendo le sottili curve che solo
le stecche di balena potevano garantire, ed essendo disponibili
dei nuovi sostituti adeguati e di eccellente qualità, gradualmente vennero utilizzate sempre meno stecche di balena nella
corsetteria alla moda. E ancora una volta questi cambiamenti
avvennero giusto in tempo per salvare l’ennesima specie di
balene dal rischio di una totale estinzione.
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129
130
Capitolo 3
L’arte del Sedurre: Busti e Reggiseni
Prefazione
All’alba della storia, l’uomo “civilizzato” volle distinguersi
dagli animali e dai suoi simili “selvaggi” che vivevano nudi,
lasciando che i propri organi sessuali si afflosciassero con l’età. La nascita del pudore, il gusto della seduzione, nascondere
e/o mostrare ciò che si vuole evidenziare, la nostalgia della
giovinezza hanno avuto una parte importante nell’invenzione della biancheria intima. Sia per i Greci classici che per la
donna moderna i seni flosci e ballonzolanti appaiono brutti
quanto ingombranti … Nell’intervallo tra queste due epoche, l’estetica del seno conoscerà tutte le variazioni possibili.
Paragrafo 1
I Reggiseni Antichi
Una delle prime scollature della storia dell’umanità è anche la
più audace: all’inizio del II millennio a.C. le Cretesi portavano
un corsetto che sosteneva il seno alla base e lo metteva in evidenza, esibito e totalmente scoperto. Emblema di questo ideale femminile, “la Dea dei serpenti”, una statuetta di terracotta
policroma che rappresenta una donna molto truccata e con il
seno prominente. Emersa dalla notte dei tempi, è ancora oggetto delle elucubrazioni maschili contemporanee. Elie Faure,
nella sua Histoire de l’art pubblicata all’inizio del secolo, pensava certamente a lei descrivendo le Cretesi come “donne da
seno nudo, le labbra imbellettate, gli occhi bistrati, vestite con
cattivo gusto barbarico di abiti ricchi di balze, come bambole truccate e artefatte”. L’accademico Jacques Laurent, alias
Cècil Saint-Laurent, nella sua Histoire imprèvue des dessous
fèminins critica il punto di vista moralistico di Elie Faure,
commentando: “La loro manifesta sensualità le trasforma in
bambole soltanto agli occhi di un luterano” L’autore di Caroline chèrie, per parte sua, preferisce sognare: “La donna cretese
131
rigogliosa e dalle forme arrotondate grazie al suo ricco abbigliamento intimo, alla varietà delle sue gonne a balze, tutte caratteristiche sottolineate anche dal trucco del viso, denota una
deliberata volontà di seduzione. Una splendida cortigiana!”.
Abbiamo qui due interpretazioni opposte di uomini eruditi,
che proietto su una donna del II millennio a.C. la sensibilità
maschile del XX secolo. Lungi dall’essere semplici oggetti sessuali, le dinne cretesi avevano un ruolo di primo piano
nella società. Partecipavano, come gli uomini, alla caccia al
toro e alle spedizioni marittime, ma soprattutto formavano la
casta delle sacerdotesse dal seno nudo al servizio delle divinità femminili, onorate da tutti. Cosa ancora più importante, lo
studioso di storia greca Nicolas Platon ci informa che la civiltà
minoica fu la prima cultura estetizzante in cui l’abbigliamento
rappresentò un’arte vera e propria, come la pittura e la scultura; per questo motivo, l’abbigliamento cretese deve essere
considerato il precursore diretto della moda del XX secolo.
Come la Parigi del XIX e XX secolo, capitale della moda per
il mondo intero, Crete ebbe un ruolo di primo piano in tutto
il bacino del Mediterraneo: infatti bastava che i suoi abitanti
modificassero le pieghe dei loro perizomi perché poco tempo
dopo gli Egizi e i Fenici li imitassero. Di conseguenza, la “Dea
dei serpenti” non è un’arrogante provocatrice, ma offre il suo
seno, come un frutto, a coloro che la venerano. A suo modo,
per quanto più seducente, è un simbolo di fecondità, proprio
come le Veneri callipigie (dalle enormi natiche) della preistoria. Come le Cretesi, anche le Egizie di alto rango circolavano
con il seno scoperto, con la sola differenza che questo non era
sostenuto e sottolineato dalla pressione di un corsetto. Portava
un vestito morbido e trasparente che cadeva in pieghe naturali
al di sotto del seno. In quanto alle schiave, erano completamente nude o tutt’al più indossavano un perizoma (Fig.72).
132
Fig.72 Dea dei serpenti
Paragrafo 2
I protoreggiseni
I “protoreggiseni” fecero la loro comparsa con la civiltà greca. Fin dal periodo arcaico, all’inizio del I millennio a.C., le
donne adottarono l’apodesmo, una piccola striscia di stoffa,
spesso di colore rosso, che arrotolavano al di sotto del seno.
In epoca classica, nel V secolo a.C., si trasformò in una larga striscia di tela che aveva la funzione di avvolgere il petto per sollevarlo e sostenerlo. In Grecia, l’obbiettivo non era
quello di mettere in evidenza il seno, ma di sostenerlo per
impedire che, camminando ballonzolasse. L’amore dei Greci per l’armonia e la bellezza spiega questa forma di pudore.
In seguito vi furono reggiseni dai nomi lievemente inquietanti: l’anamaskhaliter e il mastodeton (da mastos, mammella), ovvero i nastri che cingevano e fasciavano il seno2.
-------------------------------------------------------------------------Nota2: Il termine “mastodonte”, coniato nel 1812 dallo zoologo Georges Cuvier, è un neologismo colto, formato da mastos e
odontos, dente, usato per indicare i molari a forma di grandi mammelle degli imponenti mammiferi fossili, antenati degli elefanti.
133
All’inizio dell’epoca imperiale, anche le donne romane portavano piccole strisce di stoffa, chiamate fascia, che circondavano il seno allo scopo di contenerne la crescita. Se la natura
prendeva il sopravvento e il petto si sviluppava esageratamente, il mamillare, un reggiseno di morbido cuoio, comprimeva
il petto delle matrone. Per le donne che non avevano un seno
molto grosso, un altro modo di sorreggerlo, consisteva nell’uso dello strophium, una specie di sciarpa posta sotto la tunica,
che avvolgendo i seni, li sosteneva senza comprimerli. I seni
flosci erano quindi intollerabili per lo Stato romano, che si
considerava la punta avanzata della civiltà e disprezzava le
donne barbare dalle mammelle pendule e ballonzolanti. Esistevano anche strani miscugli da applicare sul seno per renderlo sodo e per impedire che si sviluppasse troppo. Con la
caduta dell’Impero romano e le grandi invasioni celtiche e
germaniche, la cura del seno scomparve. Le donne barbare
lo lasciavano libero sotto la tunica o la veste, così come le
cristiane dell’alto Medioevo, e questa pratica continuò per diversi secoli. Bisognerà aspettare l’epoca gotica, quando si imporrà la moda degli abiti aderenti e modellati sul corpo, perché
si senta nuovamente l’esigenza di sostenere il seno (Fig.73).
Fig.73 Atleta si allena nel sollevamento dei pesi
134
Paragrafo 3
Il Seno Medievale: Piccolo e Sodo
Dalla fine dell’antichità greco-romana, la moda pare abbia
avuto lo scopo di nascondere le forme con bende che comprimevano il seno e ampi drappeggi, ma durante il XII e XIII
secolo si indossarono di nuovo abiti che sottolineavano la
figura. Dal momento che questa cultura dava grande risalto
alla magrezza e alla verticalità, il vestito aderiva strettamente al corpo ed era foggiato in modo da slanciare la persona:
le donne finirono così col somigliare a eleganti colonne gotiche. Diversamente dagli antichi, che non attribuivano alcuna
importanza al seno, talvolta gli autori medievali esprimono
turbamento nella rievocazione di piccoli seni bianchi e sodi,
ma va anche detto che negli uomini dell’epoca suscitavano
analoghe fantasie perfino la rotondità del ventre, la punta di un
piede o il profilo del polpaccio. Con questa nuova moda degli
abiti sagomati i mastri sarti, che conservavano gelosamente i
segreti del mestiere, creavano modelli diversi, sagomati direttamente sul corpo e allacciati davanti, dietro o, a volte, di lato:
la cotta, una tunica con lacci in cui alcuni storici della moda
vedono un antenato del corsetto; la tunicella, una specie di
corpetto allacciato dietro o di lato, che serrava il busto come
una corazza ed era cucito ad una gonna a pieghe; una cotta
molto aderente e sagomata, chiamata anche “guardacorpo”
o corsetto; una sovracotta, ovvero un corpetto portato sulla
veste e chiuso da lacci. Quest’ultimo rimarrà in uso fino al
Rinascimento, inizialmente legato dietro e poi davanti. Tutti
questi abiti costringevano il seno fin quasi a nasconderlo. Il
puritanesimo cristiano del Medioevo, ricollegandosi al concetto di virtù romana, controllava che queste nuove libertà
nell’abbigliamento non dessero luogo a eccessi. Nel XII secolo si affermò la mania dei ciondoli e dei pendagli tintinnanti,
fissati alla cintura e alla scollatura (si è sicuramente trattato
del solo caso di seno tintinnante della storia). In Germania, un
editto del consiglio municipale di Norimberga proibì sia agli
uomini sia elle donne di portarli. Nel XIII secolo la scollatura
135
venne nascosta da un triangolo, di regola nero, denominato
“tassello”. Gli ecclesiastici, mentre si mostravano tolleranti, verso la moda nascente delle scollature, condannavano le
donne che portavano gonne troppo corte. Infatti il piede e il
polpaccio, avevano all’epoca un potere conturbante ben più
grande di quello del seno. Tuttavia, più si allungava lo strascico dell’abito femminile, più vertiginosa si faceva la scollatura. Nel XV secolo il ducato di Borgogna, uno degli Stati
più ricchi e potenti d’Europa, anche nel campo della moda
influenzava tutte le corti d’Occidente. Le donne portavano una
larga cintura sotto il petto, adatta a sostenere la base dei seni
e a farne risaltare la forma, simile a quella di due mele rotonde, conferendo alle dame una strana silhouette, con il seno
sollevato verso l’alto. A volte, un gilet piuttosto aderente lo
appiattiva per mettere in risalto il ventre arrotondato, che le
nobildonne ottenevano introducendo sotto la gonna un sacco
imbottito. In un’epoca in cui l’Europa era poco popolata, il
ventre-utero appare sproporzionatamente sottolineato, perché
interpretato come simbolo di fertilità. Nelle Cronache di Jean
Froissart, racconta che Isabella di Baviera, regina di Francia,
inaugurò la scollatura, “sorriso del corpetto”. Mostrare l’inizio del seno fu sempre più alla moda e questa innovazione finì
col suscitare la ferma condanna dei predicatori. Il seno, così
adulato dagli uomini del XV secolo, veniva sempre sostenuto
da un abito esterno, come nel Medioevo, ma con il passar del
tempo questo capo di vestiario si appesantì e si irrigidì. Continuatore delle cotte e di altre sopravvesti medievali, si impose
il corpetto scollato e senza maniche, molto attillato e indossato
su una camicia, per poi essere allacciato sulla schiena. Veniva
reso rigido da un rivestimento in tela inamidato, interamente impunturato e rinforzato da fili di ottone. Anche in questo
capo molti hanno visto l’antenato del corsetto (Fig.74).
136
Fig.74
Paragrafo 4
Dalla Rigidità alla Virtù
Alla fine del Rinascimento e sotto l’influenza della moda spagnola, mentre l’impero di Carlo V dominava l’Europa, l’abbigliamento divenne più cupo e più rigido. Alla moda medievale
della schiena curva, del seno compresso, dei fianchi appiattiti, del ventre evidenziato e delle linee sinuose si sostituisce
una sensibilità nuova, improntata a una severa rettitudine:
per essere alla moda, la donna deve mostrarsi virtuosa (così
come sarà di buon gusto essere libertina nel XVIII secolo).
Durante il regno di Enrico II si affermò la moda impunturata,
che appiattiva il ventre, affinava la vita e conferiva al busto
l’aspetto di un cono, sostenendolo con una stecca (una solida
lama che poteva arrivare a pesare fino a un chilo) infilata in
un fodero cucito nella tela d’imbottitura del corpetto. Questa
stecca poteva essere anche di legno, d’avorio, di madreperla
incisa, d’argento damaschinato o di sterno di tacchino, per i
meno abbienti. In seguito nacque la moda delle stecche preziose o incise con iscrizioni come: <<Ho dalla Signora questa
grazia, Di sostare a lungo sul suo seno, Da dove odo sospirare un amante, Che vorrebbe tanto occupare il mio posto>>.
137
Tutto il XVII secolo risuona di sermoni indignati contro le “nudità del petto”, ma la recita di qualche Padrenostro cancellava
questo peccato veniale. Le dame di corte, comunque, venivano duramente punite per la loro vanità: il corsetto stringeva
talmente lo stomaco che il plesso solare era troppo compresso
e le poverette svenivano in continuazione, soprattutto dopo i
pasti. Dopo i deliri dei bigotti e grazie all’influenza dei filosofi, la ragione riprese a poco a poco il sopravvento (Fig.75).
Fig.75 Bella lettrice, pastello di Jean-Etienne Liotard
Paragrafo 5
Seni Rivoluzionari
Dopo la morte di Luigi XIV nel 1715, il reggente Filippo
d’Orlèans spezzò i rigidi vincoli, per cui nel XVIII secolo non
si ascoltarono più così frequentemente le virulente polemiche
sul seno che avevano contraddistinto l’epoca precedente. Anzi,
cominciarono a moltiplicarsi i discorsi libertini e la scollatura
si fece sempre più profonda. Allo stesso tempo, negli ambienti
eleganti dei salotti la donna regnava incontrastata: dirigeva la
conversazione, dava il suo sostegno ai filosofi e la sua influenza si faceva sentire perfino in politica e in economia. Dal XVI
secolo alla fine del XIX secolo, il corsetto non fu mai osteggiato perché era un simbolo di superiorità sociale che sottolineava il prestigio della classe dirigente, rappresentando un
ostacolo insormontabile a ogni sforzo fisico non strettamente
necessario. In quanto al corpo, dissimulato sotto l’impalcatura
138
assurda, si traduceva simbolicamente in una sagoma stilizzata. Il fatto di indossare un corsetto sottolineava l’imperiosa
necessità (più importante della stessa salute) di distinguersi
dal popolo, dal momento che le donne di modesta estrazione
sociale dovevano lavorare: le contadine non usavano la biancheria che sosteneva il seno, ma indossavano un giubbetto,
erede della cotta medievale, allacciato non troppo stretto, che
metteva in risalto la vita e sosteneva il seno. Inoltre veniva
chiuso davanti, a differenza del corsetto aristocratico, che aveva l’allacciatura sulla schiena e quindi necessitava dell’aiuto
di una domestica. Prima della Rivoluzione, l’appello di JeanJacques Rousseau per un ritorna alla semplicità e alla natura fu
ampliamente ascoltato, influenzando perfino i nobili. Alcune
marchese slacciarono i corsetti e iniziarono ad allattare i loro
figli, cosa che veniva considerata “Rivoluzionaria”. Rousseau
prese parte insieme ad altri dottori a una campagna anticorsetto, perché veniva considerato “spremi corpo”. Infatti un ultimo anacronismo del morente Ancien Règime era l’incredibile
architettura degli abiti delle dame di corte: un corsetto a forma
di clessidra al quale veniva fissato, alla base dei reni, un cuscino imbottito di crine, una specie di finto deretano che inarcava
la sagoma del corpo all’indietro. La Rivoluzione spazzò via
tutte queste impalcature vestimentarie. Nella scia della Rivoluzione, che aveva sconvolto dapprima la società francese e
successivamente l’intera Europa, gli abiti si fecero molto più
semplici e pratici e, soprattutto, la moda raggiunse altri strati
sociali della popolazione. A quell’epoca le donne si invaghirono di un tipo di abbigliamento da servetta: un piccolo corsetto
senza armatura posto sulla camicia e abbinato a una semplice
gonna. In Francia il grande dibattito sulla degenerazione dei
corpi a causa dei corsetti andava di pari passo con la decadenza del regime. Dovevano essere aboliti gli ostacoli di ogni
tipo, dalla fasciatura dei neonati ai corsetti. Tuttavia il tema
sempre in auge del corpo femminile, fragile e morbido, continuava a essere all’ordine del giorno. In seguito il Direttorio
riportò l’antica moda classica e per la prima volta dopo secoli,
le donne abbandonarono i corsetti impunturati: il seno veniva
139
sostenuto da un giubbino di tela. Le donne consideravano una
manifestazione di modernità poter tenere tutto il loro guardaroba in una borsa, mentre sarebbe stato impossibile introdurvi
un corsetto, che non poteva essere piegato a causa delle stecche
di balena, troppo rigide. La moda privilegiava le trasparenze,
la mussolina e il tulle. Le scollature e le nudità, provocarono
numerosi casi di polmonite, in questo modo morirono più donne alla moda in un anno che sotto il regime del Terrore. Ma
l’idea che il corpo dovesse essere scrupolosamente mantenuto
in forma era tanto radicata nella mentalità corrente, che il corsetto ricomparve rapidamente all’epoca del Consolato napoleonico, inizialmente privo di stecche e ricoperto di velluto e di
raso. All’inizio del XIX secolo un’ondata di pudicizia spinse
sempre più le donne a evitare di servirsi di bustai uomini, al
punto che, nel 1800, i produttori di corsetti Lacroix e Furet
si facevano chiamare “chirurghi-fabbricanti di cinti erniari”
perché le loro clienti non si sentissero più a disagio (Fig.76).
Fig.76 Madame Tallien, dipinto di Louis David
140
Paragrafo 6
Trionfo del Corsetto
Nel XIX secolo, epoca molto “abbottonata”, l’estrema pudicizia della borghesia chiuse gli abiti delle donne fin sotto il mento, ma la scollatura continuò a espandersi nei vestiti da sera,
che, paradossalmente, venivano definiti “eleganti”, omaggio a
uno dei principi basilari del concetto epocale di decenza secondo cui l’abbigliamento doveva essere adeguato al luogo e alla
circostanza: ecco perché le signore che si recavano all’Opera
erano pregate di lasciare il capo se non erano abbastanza scollate. Durante l’Impero di Napoleone e la Restaurazione il corsetto regnò da tiranno: la moda prescriveva seni molto distanti
fra loro e si riuscì a realizzare questa acrobazia mammaria con
un sapiente uso delle stecche di balena, elaborato dal bustaio
Leroy. Con la Restaurazione la scollatura divenne più profonda, mentre la vita ritornò alla sua sede naturale riprovando
in auge il giro vita sottile e, di conseguenza, l’uso di corsetti
sempre più torturanti. Ancora una volta, la comodità dovette
cedere il passo all’apparenza. La donna elegante degli anni Rivoluzionari era una lunga liana, mentre la donna del Secondo
Impero appariva ben piantata: a quell’epoca il corsetto scese fino a imprigionare crudelmente le cosce, mentre la moda
prescriveva la scollatura a barca, con spalle nude e cadenti, il
seno piuttosto basso “maestose mammelle pallide e molli, che
non vengono più sollevate verso l’alto, bensì portate rivolte
verso il basso, come due pere raccolte in un paio di ciotole” 3.
In seguito la crinolina scomparve, sostituita dalla tournure, altrimenti detta cul de Paris, che conferiva elle donne una strana
sagoma d’oca. Il seno veniva proiettato in avanti, per così dire
a strapiombo, mentre in basso, nella parte posteriore, quasi
sembrava che le donne trascinassero una chiocciola di lumaca.
-------------------------------------------------------------------------Nota3: Philippe Perrot, Dessus et dessous de la bourgeoisie
141
In questo secolo gli eccessi del corsetto arrivarono al parossismo, mentre i modelli si moltiplicavano e si specializzavano
per ogni occasione. I meccanismi di costrizione ridussero ulteriormente il giro vita di parecchie spanne e per giunta le donne, compresse al centro del corpo a modi di clessidre, dovevano lottare contro un nemico interno: la ruggine che corrodeva
le stecche metalliche. Per fortuna, la ditta americana Warner
avrebbe inventato quelle di acciaio inossidabile (Fig.77).
Fig.77 Rose Caron, cantante, dipinto di Auguste Toulmouche
Paragrafo 7
Intimo della Terza Repubblica
Nel 1857, le madri ripetevano incessantemente alle figlie:
“Non farai mai un buon matrimonio se non stringi il corsetto in vita”. Quindi è normale chiedersi, come deve essere un
buon corsetto? La risposta a questa domanda è quella di Armand Silvestre, che afferma: “Bisogna che sia correttamente
allacciato e la sua pressione, ovunque moderata, deve ulteriormente ridursi nei punti corrispondenti agli organi più sensibili
o meno resistenti. Non deve ostacolare in alcun modo né i
movimenti delle costole e dell’addome nella respirazione, né
la dilatazione dello stomaco e dell’intestino nella digestione.
142
Bisogna che sia abbastanza svasato in alto da sostenere il seno
senza comprimerlo, che il giro manica sia molto confortevole, che le pieghe della stoffa siano poco spesse, ben dislocate
e flessibili, e infine, che abbracci tutto il bacino e trovi sulle
anche un solido punto d’appoggio che segua la linea naturale dei fianchi”. Comunque, alla fine del XIX secolo i corsetti
erano così stretti che le donne non potevano più chinarsi e,
ancor peggio, si servivano di apparecchiature inverosimili:
corsetti sui quali veniva fissato un insieme di giarrettiere ed
elastici per trattenere le calze, impedire loro di torcersi lungo
la gamba e tendere al massimo il corsetto su tutto il corpo o
quasi. Nel 1885, all’Esposizione del Lavoro, il pubblico scoprì i seni artificiali, in pelle di camoscio, in raso imbottito o
in caucciù: fu presentato il “Mammif”, una coppia di mammelle posticce che si adattavano al corsetto, particolarmente
interessanti perché gonfiabili a volontà. C’erano anche seni
artificiali a ventosa, che evitavano imbarazzanti cambiamenti
di proporzioni sotto il vestito, perché non scivolavano fuori
posto. Per quanto riguarda i seni veri, la stampa ebbe per la
prima volta l’idea di svolgere un’inchiesta fra i lettori a questo riguardo. In seguito l’inchiesta si concluse con, trecento
uomini che preferivano il seno a mela e trenta quello a pera.
Nel XIX secolo, mentre le donne sfacciate imbottivano i loro
corsetti, le suore, allo scopo di contenere la protuberanza di
un petto troppo voluminoso, comprimevano le loro ghiandole mammarie con rondelle di un materiale che, fra l’altro,
fungeva anche da esca infiammabile. Witkowski ricorda i
bibliofili maniaci che, sommo orrore, facevano rilegare i libri con pelle di seno di donna: i capezzoli formavano sulle
copertine delle prominenze caratteristiche. Ritornando a fatti
meno feticisti e più razionali, alla fine del XIX secolo alcuni Stati finirono col vietare il corsetto alle ragazze (Fig.78).
143
Fig.78 Pubblicità del corsetto “Thylda”
Paragrafo 8
Cadolle firma il Primo Reggiseno
La ditta Cadolle, fondata nel 1887 a Buenos Aires, si trasferì
a Parigi nel 1910. La sua specialità era, e rimane ancora oggi,
la produzione di abbigliamento intimo femminile su misura.
La fondatrice Herminie Cadolle, era una persona di rigorosi
principi morali, con idee di sinistra venate di ambizioni piuttosto capitaliste, che lasciò Parigi e partì per l’Argentina per
fare fortuna. Impiantò a Buenos Aires una ditta di corsetteria.
Attivissima e piena d’energia, viaggiò moltissimo e capì che
il corsetto era diventato un capo di abbigliamento intimo arcaico. Ebbe la fortuna di arrivare in Argentina nel momento in
cui si cominciava a far uso dell’hevea nell’industria tessile. Si
recò a Lione per convincere i tessitori a servirsi di questo nuovo filato: non sarebbe mai stato possibile inventare il reggiseno senza un materiale elastico. All’Esposizione Universale del
1889, Madame Cadolle espose il suo primo “corsetto-seno”.
L’idea di Herminie, allo stesso tempo semplice e geniale, era
di invertire le forze di supporto, mentre il problema da risolvere consisteva nel mantenere comunque sostenuto il petto.
144
Invece di appoggiarsi sulle anche come il corsetto tradizionale e di raccogliere il seno partendo dal basso, in due coppe,
il principio applicato era di sospendere il petto a due bretelle appoggiate sulle spalle. Fu quindi necessario inventare le
spalline, a cui Herminie aggiunse parti elastiche. Il suo primissimo modello, “Bien-èntre”, non era ancora un semplice
reggiseno, perché veniva legato sulla schiena a un corsetto;
tuttavia, il diaframma era finalmente libero. Nel 1910 Herminie ritornò a vivere in Francia. Oggi la ditta Cadolle è diretta
dalla quinta generazione di donne, in Rue Cambon, a Parigi,
e questa dinastia di bustaie su misura, nei suoi vecchi registri,
annovera una clientela da sogno: infatti, la Cadolle ha cucito i
reggiseni con tasche segrete di Mata Hari e i corsetti che Clèo
de Mèrode dimenticava regolarmente nei salottini privati di
Chez Maxim’s. Durante l’Esposizione Universale di Parigi del
1900, il “Palais des fils, tissus et vètements” presentò capi di
abbigliamento intimo che attirarono l’attenzione dei critici. Il
pubblico poteva anche ammirare i nuovi modelli realizzati da
donne (come Herminie Cadolle) o dal dottor Gaches-Sarraute,
inventore di un corsetto che conteneva e sosteneva il ventre
senza comprimere lo stomaco né le costole. L’unico inconveniente era che non sosteneva il seno. Nel settore biancheria dell’Esposizione, si potevano ammirare l’<<Invisibile>>,
l’<<Ideale>>, il <<Mamellia>> della ditta Samaritaine, il
<<Corsetto-seno>> della vedova Cadolle, il <<Senza Pudore>>, l’<<Espandibile>>, lo <<Scientifico>>, lo <<Scientifico per la salute>>. Le donne ebbero la possibilità di prendere
visione di questi nuovi modelli per un periodo di vari mesi, da
aprile a novembre, cioè per tutta la durata dell’Esposizione,
ma una volta giunta l’estate parigina, gettarono il loro corsetto nel dimenticatoio. In realtà, le sagome inverosimili delle
donne della Belle Epoque sono la manifestazione degli ultimi
sussulti di vita di questo accessorio assurdo quanto erotico.
Nel 1911 il tango furoreggiava in America e l’anno seguente
in tutto il mondo, insieme alla frenesia dei ritmi provenienti
dal Sudamerica, esigevano una maggiore libertà di movimento. Questa passione per i balli latinoamericani avrebbe influito
145
molto sulla decadenza del corsetto. Dall’altra parte dell’Atlantico, l’America segnò un punto in materia di progettazione di
reggiseni quando, nel 1913, Mary Phelps Jacob, più nota con
all’affascinante pseudonimo di Carezza Crosby, inventò un nuovo tipo di reggiseno molto morbido, corto e così ben disegnato
da separare il seno con naturalezza, elaborando il primo reggiseno di concezione moderna, semplice e leggero che, avvolgeva il seno. Ha vissuto abbastanza a lungo (è morta nel 1970) da
vedere gli innumerevoli sviluppi della sua creazione (Fig.79).
Fig.79 La Boutique Cadolle
Paragrafo 9
La Guerra contro il Corsetto
La Prima Guerra Mondiale inferse il colpo di grazia al corsetto. Mentre gli uomini erano chiamati al fronte, le contadine si
fecero carico del lavoro agricolo, le commercianti cominciarono a guidare l’auto e, in periferia, le officine si riempirono di
operaie. Quindi il corsetto rendeva difficili gli spostamenti e le
torturava, causando a poco a poco, il cambiamento dei canoni
della moda. Fu quindi la fine degli abiti sovrapposti ce rendevano goffa la figura, appesantendola: un completo leggero ormai sostituiva i numerosi capi di biancheria. Durante gli anni
del conflitto i corsetti si accorciarono, si fecero più morbidi,
146
e infine furono sostituiti da guaine, perché non era certo ipotizzabile che di colpo si abbandonassero tutte le costrizioni.
Un accessorio comparso in una pubblicità della fine del XIX
secolo, definito “pettorina-seno”, “mantieni-seno” o anche
“reggiseno” , divenne quindi realmente necessario e invase i cassetti della biancheria delle donne occidentali. Con la
scomparsa progressiva del corsetto, divenne il complemento
indispensabile della nuova versione di corsetto corto o della
guaina. Una conseguenza inaspettata dalla guerra fu l’emancipazione femminile: infatti, quando gli uomini le invitarono
fermamente a rientrare nelle loro case e a fare figli, più che
mai necessari dopo l’emorragia demografica dovuta alla mattanza bellica, alcuni ribelli si rifiutarono ed espressero questa
decisione in molti modi, come tagliandosi i capelli, fumando,
portando i pantaloni o indossando abiti succinti. Comunque,
le ragazze degli anni Venti non esibivano certo seni opulenti:
infatti portavano reggiseni particolari, una specie di tracolla
che appiattiva il petto, un po’ come le donne romane. Questi capi d’abbigliamento intimo costituiti da un solo pezzo,
con due leggere pinces sui fianchi, erano di fatto delle bende che le ragazze legavano sulla schiena. I capi intimi alla
moda erano bianchi, neri, color crema o rosa. Queste fasce
che non modellavano il seno, dal momento che erano tagliate
in modo molto approssimativo, conferendo al petto un profilo informe, potevano anche essere confezionate in modo più
sofisticato, per esempio in jersey di seta, con disegni di farfalle ornate di piume o ricami in sete policrome. Il 1923 segnò
l’ingresso del termine “reggiseno” nei dizionari francesi. Gli
anni Venti, vedono anche la nascita dell’uso di capi d’abbigliamento intimo coordinati: guaine, sottogonna, mutande,
tracolle per il seno, sottovesti e corsetti assortiti. A partire
dagli anni Trenta la moda delle donne con i seni piatti iniziò a declinarsi, e i sarti dell’epoca valorizzavano una donna
più dolce e femminile, con vestiti tagliati e sbieco, drappeggi,
in modo da rendere i movimenti fluidi a ogni passo (Fig.80).
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Fig.80 Donna seminuda,1925 circa, acquarelli di Sorine Savelij
Paragrafo 10
Tecniche di Punta
Nel 1923 fu elaborato un corsetto, poco igienico e difficile da
indossare, ricavato da uno dei primi fogli di caucciù. La ditta
Charneaux produsse a sua volta, nel 1930, un altro corsetto,
anch’esso in caucciù, ma traforato per lasciare respirare la pelle. Questo modello lievemente più comodo, ma comunque orrendo quanto il suo processore, fu usato fino al 1960. I bustai,
si imbatterono in un problema molto grave: il lattice o lattex,
ovvero il siero dell’hevea, si coagulava rapidamente, per cui
veniva esportato sotto forma di mattonelle, mentre il caucciù
ricostituito tramite trattamento con prodotti chimici si presentava in forma di fogli che venivano tagliati a strisce. Verso
il 1930 si scoprì la soluzione: mescolando il lattice all’ammoniaca fu possibile esportarlo sotto forma liquida e confezionarlo in barili. Il processo elaborato dalla Dunlop permise,
partendo da questo materiale allo stato liquido, di produrre un
filo elastico molto sottile e di lunghezza praticamente infinita:
il lattice veniva versato il tubi di vetro dello spessore di un
148
capello, poi fatto passare attraverso bagni di acido e, infine,
coagulato. Nacque così il lastex, sottile quanto tutti gli altri
filati. Allo stesso tempo, furono messi a punto macchinari in
grado di lavorare queste fibre elastiche, che produssero i primi tessuti estensibili, così importanti per l’industria dell’abbigliamento intimo: Il corsetto non era più una rigida gabbia
applicata al corpo femminile, ma un capo in grado di modellare le forme, sostenendole e allargandosi assecondando i
movimenti e la respirazione. Grazie al tessuto elastico, non
vi fu più bisogno di ganci, lacci, pinces o riprese, e si potè
finalmente indossare un capo come il famoso “Roll-On”, che
negli Stati Uniti e in Gran Bretagna fece cadere nel dimenticatoio il termine corsetto. Veniva fabbricato con una macchina
che lavorava la maglia circolarmente ed era tubolare come un
calzino. I tessuti elastici si svilupparono e diffusero rapidamente: per esempio, furono lanciati sul mercato la batista e
la mussolina in lastex. I cataloghi degli anni trenta assicurano: “i migliori produttori impiegano il lastex” e dovunque si
parlava solo di questo “filo meraviglioso”. A Partire dal 1930
i produttori cercarono di rispettare ulteriormente la varietà
delle forme femminili, proponendo un abbigliamento intimo
più adattabile e con una maggiore scelta di taglie. Nel 1930 il
reggiseno si impose definitivamente negli Stati Uniti, poiché
veniva accettato il principio che questo capo contribuisse notevolmente a mantenere in forma il petto. Nel 1931 i fratelli
Warner che, pur non avendo niente a che fare con i famosi e
omonimi produttori cinematografici, sono stati anch’essi antesignani nel loro settore, la biancheria moderna, inventarono un
tessuto interamento elastico nei due sensi (trama e ordito), che
rappresentò una piccola rivoluzione. La stessa società creò le
coppe a profondità variabile, da A a D, le spalline elastiche e
infine le coppe modellate senza cuciture, destinate a riscuotere un grande successo negli anni Settanta. Negli Stati Uniti
venne inventato anche il reggiseno senza spalline o quello a
schiena nuda, allacciato all’altezza della vita. Nonostante la
generalizzazione del reggiseno, il corsetto conobbe i suoi ultimi momenti di gloria e le sue ultime innovazioni, come la zip.
149
I primi brevetti di chiusure lampo erano stati depositati alla fine
del secolo scorso da un ingegnere di Chicago, ma questi primi
prototipi rischiavano continuamente di aprirsi. Nel 1911 uno
svedese, Gedeon Sundlback, perfezionò una versione di questo corsetto che poteva essere sfilato in un batter d’occhio, ma
questa invenzione venne esposta sugli scaffali dei negozi soltanto negli anni Trenta: purtroppo, all’epoca, la chiusura metallica risultava particolarmente pesante e il corsetto a zip fu un
successo commerciale, nonostante un nome e un’idea di base
indubbiamente seducenti. Nel 1935 vennero prodotte coppe a
cuscinetti, per rinforzare il seno delle donne troppo magre. Tre
anni dopo apparve il reggiseno ad armatura, che concepito per
conferire al seno un profilo bombato, non ebbe tuttavia successo, messo in ombra dagli anni della guerra: si impose comunque più prepotente negli anni Cinquanta. Antesignana di
questa moda dei seni arroganti, l’attrice Mae West furoreggiò
negli anni Venti e Trenta, ma fu oggetto di una vera e propria
caccia alle streghe a partire dal 1933, quando viene fondato
un ente morale di controllo del cinema americano che proibì
agli studi cinematografici di mostrare donne in abbigliamento
intimo, ombelichi, seni, scene di adulterio o parto, camera da
letto (facevano eccezione quelle con letti gemelli) (Fig.81).
Fig.81 Pubblicità per un classico del genere: un modello “Scandalo”
150
In un epoca in cui i baci venivano cronometrati e le scollature
misurate al centimetro, Mae West, con il suo formidabile seno,
costituiva un insulto vivente alla decenza. Negli Stati Uniti bisognò aspettare la fine della guerra, per accettare e rendere lecite e popolari le bombe di sesso. Nel 1939 venne elaborato il
best-seller della storia del reggiseno, con coppe più profonde
e impunture rilevate e circolari che rendevano il petto molto
appuntito a sagomato (a volte, la punta era anche rinforzata).
Questo modello, che conobbe il massimo della sua gloria negli
anni Cinquanta, sarebbe tornato di moda negli anni Ottanta,
abbinato con felice umorismo a vestiti e bustini, grazie a JeanPaul Gaultier. Durante la guerra, nella corsetteria, i sostegni
d’acciaio vennero ovviamente razionati e anche l’importazione del caucciù subì una battuta d’arresto. Con il reggiseno
si assiste quindi a un rimodellamento completo della figura
femminile: il petto viene portato verso l’alto. La prima sfilata
di costumi da bagno, ebbe luogo a Parigi nel 1946 alla piscina Molitor, traumatizzando i corrispondenti dell’Herald Tribune, soprattutto perché scoprirono una creazione della casa
Rèard: il bikini, un minuscolo costume a due pezzi realizzato con la quantità minima legale di tessuto. Questo modello
rimase in ibernazione fino agli anni Sessanta, quando negli
Stati Uniti esplose la moda dei Beach Boys. Gli anni Quaranta segnano il ritorno della moda che sottolinea la figura.
La gonna si era allungata, il corsetto accorciato a la guèpière,
creata da Marcel Rochas, erano sulla cresta dell’onda.
Paragrafo 11
I Seni a Obice
La donna è l’unico mammifero i cui globi mammari formano
una convessità sempre visibile, esposta sia al suo stesso sguardo che a quello altrui4.
-------------------------------------------------------------------------Nota4: Osservazione del dottor Gros, nel suo libro Le Sein dèvoilè.
151
Nel 1950 la moda prescriveva più che mai seni sferici, spinto
verso l’alto, e l’aspetto delle pin-up è il più apprezzato: Jane
Russell, Gina Lollobrigida, Jane Mansfield, Sophia Loren,
Anita Ekberg e Sandra Milo si alternavano nelle fantasie maschili. Una delle spiegazioni psicanalitiche di questa passione
per seni consimili in cui affondare è che, nella società denutrita del periodo successivo alla seconda guerra mondiale, così
come avveniva, per esempio, nell’epoca postnapoleonica, il
seno femminile ipertrofico fungesse un po’ da cuscino-nutrice
e consolatore. Nei film di Fellini, le donne spesso ostentano
mammelle a dir poco imponenti, che hanno effettivamente
le proporzioni del petto visto dall’occhio di un lattante. Le
donne riuscirono a ottenere seni a forma di ogivale nucleare
grazie al famoso modello a impunture rilevate e circolari inventato nel 1939. In Francia fu Madame Fallère, fondatrice
della ditta Lou, a lanciare il modello “all’americana” (Fig.82).
Fig.82 Famosa rete di “Lou”, modello “Paprika”
Creò il modello Loy, un reggiseno molto apprezzato per le
taglie più forti, perché avvolgeva e dava un grazioso rinforzo
al petto. Negli anni Settanta Madame Fallère fece produrre un
merletto speciale, con cui creò un reggiseno che ebbe un enorme successo: la “rete” di Lou. Infatti, il merletto rassomigliava molto a una rete, quasi un fine reticolato che imprigionava
il seno. Bianco, marron glacè o caramello, questo modello,
152
che conferiva un seno bombato, presentava solo il piccolo inconveniente di stamparsi sulla pelle per cui, quando veniva
tolto, rimaneva un grazioso motivo a griglia sulla punta delle
mammelle. Nonostante ciò, le donne hanno molto apprezzato la “rete” di Lou e Madame Fallèr, personaggio notissimo
sul campo professionale, è stata anche l’ideatrice del metodo
scientifico di prova del reggiseno, consistente nel piegarsi a
squadra finchè i seni non pendono verticalmente, per poi infilare il reggiseno, abbottonandolo dietro la schiena con una
torsione delle braccia. All’inizio degli anni Cinquanta i produttori crearono un nuovo capo di biancheria: una guaina elastica di raso alla quale veniva cucito un reggiseno dotato di
un’armatura così da creare il “combinè”, ovvero il reggiseno
a bustino, molto apprezzato per la sera. Nel 1952 il reggiseno
“Very Secret”, di nylon, formato da cuscini d’aria, fu immesso
sul mercato per dare una mano alle donne troppo magre. Un
anno dopo la Lèjaby inventò il reggiseno “a colombaia” per
seni prosperosi. Il reggiseno per donne prosperose è un modello la cui spallina veniva agganciata all’inizio dell’armatura,
quasi accanto alle ascelle. La coppa avvicina il seno e l’armatura e le spalline lo fanno risalire verso l’alto. Le intelaiature e
le armature (o separatori) sono sottili stecche metalliche inossidabili piegate in modo diverso, a seconda del loro impiego.
Alcune erano poste sotto il seno, mentre altre venivano fissate
al bordo superiore del reggiseno o dei bustini. C’erano anche
separatori a forma di “V”, più piccoli delle intelaiature e sistemati davanti, che permettevano di indossare scollature più
profonde. Nel 1958, a pochi anni dalla rivoluzione sessuale,
persistevano ancora abitudini ereditate dal XIX secolo: nonostante l’impiego della guaina, che si era notevolmente diffuso,
si portavano ancora corsetti e questa pratica non riguardava
solo poche donne attempate, come si può desumere dal libro di Mademoiselle Etienne, dove vengono proposti perfino
modelli per neonati, che sostituiscono e completano le fasce
marca Velpeau, note per sostenere e proteggere il ventre, dal
momento che quest’ultimo tende a svilupparsi eccessivamente
il alcuni bambini come sottolinea l’autrice, che fornisce ogni
153
consiglio necessario per realizzare corsetti per tutte le età.
Paragrafo 12
L’intimo della Signorina negli Anni Verdi
Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, agli inizi degli anni Sessanta, e dopo in Francia, i produttori cominciarono a interessarsi a nuove clienti: le adolescenti. In meno di vent’anni, i
guadagni delle famiglie erano triplicati e i genitori potevano
quindi dare del denaro per le piccole spese alle loro figlie.
Così, tutta una generazione scoprì le gioie della società dei
consumi: dischi, trucco, scarpe piatte modello “ballerina” e
reggiseni. Improvvisamente venne lanciato sul mercato un
nuovo tipo di abbigliamento intimo, più semplice e molto
morbido. La creazione di questi nuovi modelli avrebbe avuto
importanti conseguenze per il futuro, in quanto tutte le ragazze, abituate a minuscoli slip e a reggiseni estremamente comodi, una volta diventate adulte avrebbero ricercato le stesse
caratteristiche nell’abbigliamento intimo. D’altronde queste
tendenze tipiche dei modelli destinati alle adolescenti influenzarono tutta la biancheria femminile: per milioni di donne la
vita quotidiana diventò più semplice e pratica. Nel 1960 un
ulteriore miglioramento rese ancora più facile la loro esistenza: spalline regolabile vennero adattate al reggiseno. Fino a
quel momento, per evitare che ricadessero sulle braccia venivano fissate con una striscia di tessuto e un automatico cucito
all’interno del capo. Sempre nel 1960 vide la luce una delle
più grandi scoperte del secolo: la prima pillola contraccettiva,
realizzata dall’americano Gregory Pincus. Ebbe ripercussioni
inattese sulla biancheria, anni dopo, perché uno dei suoi effetti fu di aumentare di qualche centimetro, in vent’anni, la
circonferenza del seno delle ragazze. Il settore della biancheria, un’attività commerciale sempre più redditizia, organizzò
campagne pubblicitarie innovatrici. Nel 1963, Jean Feldman
dell’agenzia Publicis, diede vita a una rèclame considerata un
evento di grande importanza, concepita per la ditta produttrice
154
di reggiseni Rosy. La fotografia scattata da Jean-Loup Sieff,
rappresentava una donna nuda che nascondeva il seno con le
braccia e teneva una rosa in mano: è la prima volta che non
viene mostrato il prodotto in vendita. Nel 1964, sulle spiagge
di Saint-Tropez, alcune donne non esitarono a scoprire il seno:
apparvero i primi monokini. Sempre negli anni Sessanta una
ditta americana si stabilì in Francia, la Playtex, che negli anni
Cinquanta si dedicò ai reggiseni, dopo essersi dedicati, prima
alle guaine in caucciù, e in seguito alla “spanetta”, una nuova fibra elastica il cui nome proviene da quello del fondatore
dell’azienda. Messa a punto nei laboratori Playtex, servì per
produrre le “guaine 18 ore”, che potevano essere indossate a
lungo senza provocare alcun fastidio. Un famoso modello di
reggiseno Playtex fu “Criss-Cross”, si trattava di un sistema a
incrocio. Il modello “Incredibile, è una guaina”, ampiamente
in testa alla classifica delle vendite, era un capo che sosteneva
notevolmente le forme e pesava soltanto 59 grammi. Il reggiseno “Armagique”, elaborato in seguito, aveva un’armatura plastica, senza metallo. Perchè ormai le donne fra i venticinque e
i quarant’anni preferivano modelli che aumentavano il volume
del seno, simili a quelli delle loro madri negli anni Cinquanta.
Nel 1968 l’elezione di Miss America diede fuoco alle polveri:
alcune femministe buttarono il reggiseno nell’immondizia e vi
appiccarono il fuoco. I marines di guardia all’ingresso del Senato a Washington assistevano imperturbabili al rogo mentre
le scatenate militanti del Women’s Lib urlavano e cantavano.
Il seno si emancipava e sotto i pullover aderenti o le tuniche
indiane si indovinavano le punte dei capezzoli. La grande
scommessa dell’epoca era scoprire se le donne portavano o no
il reggiseno. I sociologi, che cominciavano ad andare di moda,
costatavano che più la società si sviluppa, più la gente mangia
a sazietà e più diventa obbligatoria la magrezza delle donne,
per contro, le culture sottoalimentate ammirano le donne in
carne. In piena società dei consumi, le donne più alla moda
erano le inglesi piatte con grandi ciglia finte come Jane Birkin
o la famosa indossatrice quasi scheletrica Twiggy (Fig.83).
155
Fig.83 Jane Birkin e il suo minuscolo seno
Il rifiuto del reggiseno era in realtà il risultato di molteplici
ragioni: ovviamente, l’esigenza di liberare la donna da tutti gli
impedimenti, dal momento che il reggiseno era rimasto l’ultimo elemento costrittivo dell’abbigliamento femminile; ma
anche il desiderio di differenziarsi dalle generazioni precedenti. Si trattava di affermare la propria giovinezza e la rivolta
contro le madri borghesi, “matusa”, tanto più costrette quanto
più era loro anatomicamente impossibile liberarsi del proprio
reggiseno, come invece faceva la loro figlia ventenne. Uno dei
primi brevetti di coppa modellante venne depositato durante la
guerra, poiché il poliestere e il nylon rendevano possibile questa nuova tecnica di fabbricazione di slip e reggiseni modellati
a temperature molto elevate, prodotti con nuovi macchinari
copiati da quelli che venivano utilizzati nell’industria automobilistica e aeronautica. La Warner mise a punto un nuovo modello con coppe modellate, senza cuciture, battezzato
“special pull”: la donna che le portava dava l’impressione di
essere a seno nudo. In Francia è stata la ditta Huit, innovatrice,
a lanciare sul mercato nazionale il primo reggiseno modellato, nel 1970. L’azienda partì alla conquista delle ragazze e
delle donne più spigliate, vendendo reggiseni morbidi, leggeri
156
come piume, di velo o tulle. Sia il prodotto che il metodo di
distribuzione erano nuovi: infatti per la prima volta fu creata una confezione gadget, ovvero una bolla di plastica all’interno della quale era contenuto il reggiseno. Alla casa Huit
si deve anche la prima forma di pubblicità cinematografica
del reggiseno: si tratta di un breve filmato in cui una sirena
si immerge in acqua e poi risale su uno scoglio. La donnapesce trasmetteva alle spettatrici una sensazione di freschezza e di libertà ed ebbe subito un discreto successo. Del resto,
tutte le pubblicità della Huit mostravano donne che si muovevano su uno sfondo naturale o marino. Mai provocanti,
ma piuttosto pudiche e tenere, queste campagne pubblicitarie hanno sempre preso in contropiede le ditte concorrenti.
Nel 1973 la Huit lanciò i coordinati, in una confezione divisa in due parti, e infine il primo reggiseno senza cuciture: era saldato in tutte le sue parti, impunturato con gli ultrasuoni. Tuttavia, il vero best-seller fu il “Titcha” (Fig.84).
Fig.84 Modello “Rio” di Lou
La Huit è anche stata la prima casa a proporre un reggiseno di seta a buon mercato, così come è stata l’azienda leader della nuova moda dell’intimo di cotone.
157
Quando negli anni Settanta, la moda della donna “naturale” si
sgonfiò, la Huit conobbe alcune difficoltà finanziarie, aggravate dalla prima crisi petrolifera. Nel 1978 la società dichiarò fallimento, perché tutto quello che aveva rappresentato un
successo per la Huit, diventò un difetto: le clienti trovavano i
suoi reggiseni molli, senza sostegno, troppo trasparenti, praticamente inesistenti. La moda del seno in libertà si tradusse
nella scomparsa di numerose case produttrici di biancheria.
Con la liberazione dei costumi e con l’uso della pillola anticoncezionale, frutto dello spirito libertario del Sessantotto, la
circonferenza del seno è aumentata; quindici anni fa la circonferenza media era di 85 centimetri, oggi è di 90, se non anche
95, fra le donne giovani. Nel 1950 la Du Pont di Nemours,
sempre lei, inventò il lycra: un tessuto molto estensibile costituito da due fili, uno sintetico (poliestere o poliammide) e
l’altro formato da una fibra elastica molto leggera (elastane).
Sarà dopo trent’anni che si riuscirà a trovare il dosaggio adatto tra questi due fili. Quindi con questo nuovo tessuto, che
esploderà negli anni Ottanta, furono abbandonate pinces, tagli, chiusure lampo e ganci. Il lycra, filo magico e invisibile, può essere unito ai materiali più fini ed eterei, quali seta,
crèpe, tulle e merletto. Fine, morbido, ultraestensibile, si presenta come una seconda pelle che regala sensazioni inedite
a coloro che lo indossano. È il tessuto sognato per la biancheria intima. Alla fine degli anni Ottanta il lycra, che sapeva
scolpire perfettamente il corpo delle donne, invase il mondo,
inserito sia nelle collezioni degli stilisti d’alta moda, che nel
campo del prèt-à-porter. Oggi è possibile avere anche mussolina elasticizzata o ricami inglesi estensibili, proposti per la
prima volta dalla ditta Anti Flirt in bustini e slip coordinati.
Paragrafo 13.
Il Big-Bang delle Grandi Coppe
Come un eterno e ricorrente pendolo della storia, gli anni Ottanta hanno segnato il ritorno dei seni fiorenti e delle donne in
carne. I reggiseni ad armatura riguadagnarono terreno rispetto
158
agli altri e la grande sacerdotessa che celebrò il culto del
seno racchiuso in balconcini di pizzo fu la creatrice di moda
Chantal Thomass. Tutti riconoscevano in lei l’artefice di questa conquista. Grazie agli stilisti ispirati dalle nuove generazioni di filati tessili, la biancheria conobbe un vero e proprio
big-bang, anche se le possibilità di scelta fra i vari modelli
di reggiseni erano piuttosto limitate: non più di cinque diversi tipi possibili. Le clienti rimanevano comunque abbagliate,
nei reparti di biancheria dei grandi magazzini, dinanzi alla
profusione di modelli che offrivano: infatti i colori, gli stampati, la tessitura delle stoffe si moltiplicavano e si fondevano
all’infinito. Nel 1985 due sorelle originarie del Madagascar,
Loumia e Shama Hiridjee, aprirono a Parigi un negozio con
un bel nome allegro: Princesse Tam Tam. Queste due giovano creatrici suscitarono l’invidia delle grandi ditte del settore,
proponendo una gamma di reggiseni in tessuto scozzese, a
pois, di cotone impunturato e stampato con lamponi e ciliegie, piccoli fiocchi nel punto di incontro dei seni, una decorazione a spighetta sul bordo della scollatura, bustini di velluto arricchiti da passamaneria, pigiami di cotone o felpati,
dal momento che la moda lanciata dal dolce e poetico film
Cocoon prescriveva una biancheria “tenera”, da portare in
casa. Grazie alla rivoluzione nel campo dell’industria tessile, al lycra, alle microfibre che davano ai tessuti la morbidezza della buccia di pesca (i filati erano sempre più sottili), ai
merletti elastici, ai cotoni estensibili e stampati in tutti i modi
immaginabili, dalle fantasie africane ai motivi provenzali, i
reggiseni raggiunsero un livello di comodità e di raffinatezza
mai visto. Una ditta italiana si impose all’epoca in Francia,
a giusto titolo inclusa nel ristretto gruppo dei produttori più
sofisticati e considerata, in soli quattro anni dalla sua comparsa, come la Rolls Royce del reggiseno e degli slip: La Perla.
159
Paragrafo 14
Dal Corsetto di pizzo al Body di Poliestere
Visto che la storia della moda si ripete costantemente, le
guèpière con stecche ritornano di moda e la Poupie Cadolle,
che riforniva di corsetti le ballerine del Crazy Horse, diventò
un baluardo di questo revival, alimentando il rimpianto della vita sottile di un tempo. Anche le donne giapponesi, il cui
seno era aumentato di due taglie in dieci anni a causa del cambio di alimentazione e dell’assunzione della pillola, si fecero
confezionare corsetti per sottolineare la figura che, secondo
la Poupie Cadolle, non appariva naturalmente rigogliosa. In
seguito ci fu il boom della Gym tonic e la biancheria intima
trasse profitto dalla produzione di un nuovo abbigliamento
sportivo e per la danza: i body e i collant erano realizzati in
tessuti elastici e brillanti, dai colori molto vivaci o addirittura
fluorescenti. Nell’opinione pubblica si creò un’associazione
d’idee tra le ragazze in perfetta forma e questo tipo di abbigliamento stretch. D’altra parte, questo desiderio ossessivo di
dimagrire, così come la frenesia di scolpire il proprio corpo, a
prezzo di massacranti sedute di esercizi muscolari, ci riporta
al ritorno mascherato del corsetto, quindi alla consuetudine di
sostenere il corpo, cara alle nostre nonne. La sola differenza
consisteva nel fatto che tutta l’ingombrante impalcatura fatta
di stecche di balena o d’acciaio veniva sostituita dallo sviluppo di una muscolatura d’acciaio e dall’assunzione di prodotti
per bloccare la fame, massicciamente venduti nelle farmacie.
L’ultimo mutamento subito dal reggiseno fu la nuova, audace
concezione del “sotto-sopra”, ovvero body, bustini e reggiseni portati come abiti a pieno titolo. Nel 1988 la Huit lanciò
il primo reggiseno di velluto, mai visto nel settore dell’abbigliamento intimo. Nonostante nessuno fosse disposto a
scommettere sul suo successo, lo si vendette benissimo e l’era
del reggiseno out wear (letteralmente “portato all’esterno”),
fu lanciato da Madonna agli inizi della sua carriera (Fig.85).
160
Fig.85 Madonna, Corsetto di Gaultier
Paragrafo 15
Il Reggiseno: una sfida tecnica
Per realizzare il reggiseno, bisogna assemblare una ventina di
pezzi diversi, di tulle, di maglia o pizzo, di cui alcuni piccolissimi. La prima tappa consiste in un mosaico disegnato dai
produttori perché, al momento del taglio, i chilometri di tessuto utilizzati in laboratorio siano usati nel modo più corretto.
Poi avviene l’assemblaggio che, per un modello mediamente
sofisticato, richiede trenta operazioni e l’intervanto di trenta
operaie. Le impunture devono essere eseguite con estrema
precisione, al millimetro, così come l’annodatura finale delle
cuciture e l’imbastitura, ognuna delle operaie dispone solo di
pochi secondi per intervenire in questo lavoro fatto di “briciole”. Il reggiseno è il capo di abbigliamento più complesso che
ci sia, al punto che i robot automatizzati usati per altre confezioni sono incapaci di maneggiarlo. Ecco perché la corsetteria
rimane un’attività che richiede ancora una notevole mano d’opera. Come avviene anche in molti altri settori dell’industria
tessile, numerose ditte fanno produrre i loro reggiseni all’estero: Portogallo, Tunisia, Marocco, Grecia e Turchia. Dopo aver
impiegato la mano d’opera a buon mercato dei paesi delSud
del mondo, le aziende si sono rivolte anche ai paesi dell’Est
per aprirvi nuove fabbriche. . Per esempio, i sovietici avevano
161
una buona fama in materia di confezione dei reggiseni e
producevano capi di abbigliamento intimo solidi e di buona
qualità. Un effetto negativo della congiuntura internazionale
nel campo della biancheria è stato prodotto dalla guerra del
Golfo, che ha inferto un duro colpo al mondo della moda e,
in particolare, alla produzione di reggiseni di buona qualità.
Per esempio, per quanto riguarda la ditta Cadolle, gran parte
della sua clientela, ovvero ricche americane, rinunciò all’epoca a comprare biancheria di lusso. Nei supermercati si vedono
sempre più marche di reggiseni e le donne giovani possono
acquistarne a meno di ceno franchi, a volte senza neanche provarli: infatti godono di una straordinaria possibilità di scelta e
non sono esigenti quanto la clientela più adulta o anziana, che
rimane fedele ai negozi specializzati. Per conto, si sta sviluppando una nuova generazione di negozi, più intimi e lussuosi,
in cui tutti i modelli vengono esposti su manichini. La biancheria e il suo universo intimista costituiscono un mercato per
il cui predominio gli uomini d’affari si battono ferocemente.
Paragrafo 16.
La teoria sul Seno, del dottor Gros
Il dottor Gros (Le Sein dèvoilè) formula un’audace teoria etnologica che rimanda brutalmente la donna degli anni Novanta a un’epoca preistorica: a suo avviso, i seni artificialmente
bombati (come, per esempio, quelli ottenuti con i reggiseni
forniti di un’armatura) sono “segnali sessuali ottici”. La forma
rotonda, che è particolarmente caratteristica delle donne giovani, si accentua al momento dell’ovulazione e il seno turgido
viene quindi a coincidere con le condizioni biologiche ottimali
per la procreazione. Per il dottor Gros, come per l’antropologo
Desmond Morris, oggi il seno è un sostituto delle natiche (che
del resto Verlaine definiva “le sorelle maggiori del seno”).
Questa somiglianza spiegherebbe l’attrazione che esso suscita
irresistibilmente e che non sarebbe altro che la reminiscenza di un tempo in cui le natiche erano una fonte essenziale
162
di stimolo sessuale: sedotti da queste, gli uomini fecondavano
le donne e i bambini nascevano numerosi, garantendo la sopravvivenza del clan.
Paragrafo 17
Corsetto ed Erotismo
Solo a sentirla pronunciare, la parola “corsetto” evoca immagini a metà tra sofferenza, erotismo, sensualità. La vita sottile
è sempre stata importante nella storia dell’attrazione erotica,
in parte perché è una caratteristica tipicamente adolescenziale,
e quindi è collegata con la verginità. Tuttavia la vita sottile
dà anche idea di fragilità e di sottomissione. Fin dall’epoca
greca si riteneva infatti che la colonna vertebrale non potesse reggersi se non con un’accurata fasciatura, e sappiamo che
fino al secolo scorso nelle nostre campagne i neonati erano
avvolti in bende strette, per raddrizzare la schiena e le gambe.
Il bustino in pelle o tessuto rossi e neri, fa ancora parte del
guardaroba sadomaso. Tuttavia alcuni creatori di moda ispirati dal movimento punk, hanno trasformato i busti in abiti.
Dolce&Gabbana fecero entusiasmare la cantante Madonna col
loro look trasandato e dotato di una forte carica di erotismo.
In particolare i due sarti lanciarono la biancheria che si poteva
portare a vista, con corsetti ricamati, reggiseni a punta (Jean
Paul Gautier), corredati da stivali neri coi lacci. Era un modo
per infrangere tabù e cliché che ebbe un enorme successo, sì
che la cantante (anche grazie al suo temperamento) arrivò alla
sua seconda tournée nel 1984 con una fama molto consolidata.
Anche oggi nelle discoteche si porta il busto, come forma di
attrazione erotica5.
-------------------------------------------------------------------------Nota5: http://it.wikipedia.org/wiki/Corsetto
Nota6: Articolo di MODAIN n° 107 pag 130
163
“Strumento di potere seduttivo, struttura meccanica ideata per
alterare le forme naturali del corpo, il corsetto vanta una storia lunghissima e affascinante, che inizia nel tardomedioevo e
continua oggi, regalando all’immagine femminile nuova bellezza, eterna vanità. Nell’universo” Haute Couture “ il corsetto brilla ancora come una star. Per realizzare bustiers impeccabili, celebri maison del calibro di Ungaro, Dior, Givenchy,
Lapidus, Gaultier si affidano all’esperienza di Hubert Barrere,
attualmente il più famoso creatore di corsetti.Indumento intimo tutt’altro che confortevole, indispensabile protagonista
del guardaroba femminile fino agli anni ‘20 del nostro secolo,
il bustier trionfa nonostante sia un vero e proprio strumento
di tortura, rigido, molto fastidioso, addirittura dannoso, capace di provocare fratture ossee e danni irreversibili agli organi
vitali (specialmente nell’800). Ma corsetti e cocotte, ovvero
la femminilità peccaminosa per eccellenza, mostra questo indumento intimo in bellavista; indimenticabili le “frou frou du
tabarin” ritratte dal celebre pittore Henri Toulouse-Lautrec, i
capelli arruffati rosso fiamma, i rosei decolletè prorompenti, la
vita di vespa, sottile fino all’inverosimile. Simbolo di seduzione ma anche di tortura ( che si sviluppa nel filone sado-maso)
il corsetto nel nostro secolo subisce notevoli trasformazioni,
sintoniche alle esigenze delle donne, decise a liberarsi da ruoli
e oggetti repressivi. Negli anni venti la fluidità degli abiti che
scivolano sui fianchi, i seni piatti che la moda vuole, decretano
la sua fine: il busto cade in disuso, e Chanel è una delle prime
complici di questo cambiamento di stile.Ma in un’altalena di
flussi e riflussi, il corsetto non sparisce mai dal guardaroba
femminile, perde i connotati di strumento di tortura per diventare utile al piacere, dilettevole, non più imposto ma scelto
dalle donne per esaltare ed esibire tutta la bellezza del corpo
sinuoso. Ironia, trasgressione e feticcio: il corsetto per alcune
griffe diventa un emblema, al di là delle tendenze di moda.
Ispirazione settecentesca per i bustier di Vivienne Westwood.
Stravagante e inconfondibile il bustino-armatura di Jean Paul
Gaultier. Indimenticabili i corsetti polimaterici di Thierry Mugler: vere e proprie sculture sartoriali.” 6.
164
Paragrafo 18
Corsetto nel 2000: Vezzo per Feticisti o Nuovo Stile
Nascente?
La corrente Fetish e i suoi numerosi sostenitori, avendo fatto
propri i concetti di dominazione/sottomissione, costrizione ed
erotismo torbido, non potevano non trovare nei corsetti e in
tutto il gioco di atmosfere ai quali essi rimandano, un terreno
fertile sul quale sperimentare. Indossare un corsetto oggi non è
uno scherzo, nel senso che se volete avere una silhouette come
quella della vostra epoca preferita dovrete “allenarvi” molto.
Nell’epoca moderna sono state abolite tutte le forme costrittive nell’abbigliamento per cui si preferisce portare una maglia
aderente su un corpo scolpito dalla ginnastica, piuttosto che
avere un corpo scolpito da un corsetto e dover stare scomode.
La bellezza moderna si esprime nella salute di un corpo ben
modellato ma lasciato libero di crescere secondo la naturale
forma senza dover utilizzare espedienti quali erano i corsetti
delle epoche passate. Inoltre le nostre ave erano costrette a
portare corsetti fin dai primi anni cosi che il loro corpo si modellasse secondo il gusto che vigeva in quel periodo; sarebbe
impossibile oggi poter indossare un corsetto nelle dimensioni
originarie di quell’epoca perchè le misure del corpo di allora
e di quello odierno non coincidono. Il Corsetto che quasi tutti,
anche i non informati, conoscono o di cui hanno visto almeno vagamente da qualche parte un immagine, è il cosiddetto
“Vittoriano”, cioè quello che riduce la vita anche di parecchi
centimetri conferendo al vostro corpo la classica forma a clessidra, con seno e fianchi prominenti. E’ il più conosciuto essendo in pratica l’ultimo modello usato prima della comparsa
del reggiseno, e poi ripreso negli anni 50 con la guepiere. E’
quello che io ritengo più scomodo da portarsi oggi; a meno
che non abbiate una differenza di 25 cm tra vita e seno, per
raggiungere la forma desiderata ci vuole una dose massiccia
di compressione in vita, cosa che può comportare gravi danni
alla salute se fatto in modo sbagliato (non si può ridurre la vita
tutto insieme ma aumentare la compressione di un centimetro
165
alla volta); in realtà è però la forma più contenitiva e più modellante, perciò il più desiderato da tutte noi! Portare un corsetto per lungo tempo richiede un minimo di esperienza se non
si vuole svenire dopo un ora perchè non si riesce a respirare.
I Corsetti tardobarocco e rococò sono ideali per chi ha poco
seno perchè fanno effetto push-up; per chi ha problemi di pancia o di busto corto, meglio optare per un modello che finisce
a punta lunga davanti; infine per problemi di fianchi e di vita
dovrete rassegnarvi a fare un bel pò di training con il corsetto
vittoriano o con i corsetti dei primi anni del 1900. Gli anni
‘70 hanno inferto il più grave colpo al Corsetto, scomparso
dalla totalità dei cassetti di biancheria intima delle ragazze, è
rimasto sepolto per anni e anni in una memoria romantica di
epoche passate. Negli anni successivi il corsetto è rimasto appannaggio di una esigua schiera di feticisti spesso sconfinanti
nell’arte Sado-Maso, che ha portato alla ribalta nuovamente il
Corsetto. Il corsetto è bello perchè scolpisce il corpo, perchè
fa risaltare i volumi in accostamento ai tessuti, perchè stimola
la fantasia e perchè è una citazione storica. Ogni donna può
modellare il proprio corpo con un corsetto, che indossato su
una semplice gonna o su un paio di pantaloni diventa un indispensabile sostituto dell’abito da sera o dell’occasione speciale. I migliori e più resistenti sono quelli fatti con stecche di acciaio a spirale, ma se volete una cosa più soft potete optare per
un modello in stecche di plastica, leggermente più economico
e confortevole (ma di qualità più scadente). Attenzione, mai
scendere oltre la vita se si usa un modello in stecche di plastica
poichè questo tipo di stecca tende a piegarsi o a spezzarsi.
Paragrafo 19
Il Corsetto: Fonte d’Ispirazione degli Stilisti
In ambito moda il corsetto, tra alti e bassi, non ha mai cessato di apparire e sfilare in passerella, soprattutto su quelle dei
maggiori creatori di alta moda che, preoccupandosi più dell’estetica e dell’impatto visivo delle loro opere, ricorrono spesso
166
e volentieri a citazioni tratte dall’arte e dalla storia del costume,
mescolando stili e periodi storici con sapiente maestria. Il fasto del rococò è sicuramente l’epoca da cui attingono di più gli
stilisti nel riproporre modelli contemporanei, in alcune sfilate
vengono addirittura creati abiti a immagine e somiglianza di
quelli originali settecenteschi. I corsetti simil-settecento possono risuonare di echi rivoluzionari oppure smaterializzarsi in
paesaggi metafisici, senza tempo utilizzando le più moderne
stoffe. Qui di seguito sono riportati esempi dai maggiori stilisti
di alta moda6; dall’alto in basso e da sinistra a destra (Fig.86):
Fig.86
167
1. Ferrè propone un settecento metafisico con l’accostamento
di fuxia e nero, quasi decostruito.
2-3.Vivienne Westwood ha usato il corsetto del 700 come emblema della casa rielaborandolo in stoffe stampate e colorate,
con drappeggi e nastri ma sempre molto legato alla storia
4-5. Questi due corsetti di Givenchy mantengono la forma ma
il significato è totalmente traslato: nel primo si fonde con lo
stile marinaro, nel secondo assume connotati fantasy
6. Questo modello di Christian Dior non ha bisogno di commenti, confrontatelo con il ritratto di Madame De Poumpadour e troverete nette somiglianze.
7-8. Christian Lacroix ci propone due modelli legati fortemente al periodo della rivoluzione francese, provate a confrontare
il primo col ritratto di maria antonietta.
9. Anche Jean Paul Gaultier ci offre una versione originale
trattata con materiali un pò metafisici, del pannier e dello stile
di metà settecento
10. Cambiamo epoca, Lacroix in questo modello ci offre una
soluzione moderna dello stile napoleonico, confrontabile con
la raffigurazione dell’incoronazione.
11-12. Per Vivienne Westwood il settecento storico è dominante: vestito da sposa con sposa bendata che ci ricorda l’esecuzione in tempi rivoluzionari; giacca che riprende in modo
molto evidente gli stilemi di fine settecento.
13. Givenchy come lacroix, tenta una trasposizione in chiave
moderna dello stile primo impero, privandolo però del suo significato contrapponendone il colore nero e dando all’immagine connotati indù.
14. Per finire abbiamo John Galliano che ci presenta un giacchino-bustino con tessuti e fantasie settecentesche ma con
vari elementi a mezzo fra lo spagnoleggiante e il vittoriano
farwest.
Attualmente il più grande e riconosciuto maestro artigiano
creatore di corsetti è il francese Hubert Barrere.
-------------------------------------------------------------------------Nota6: http://corsetstory.altervista.org/700.htm
168
Paragrafo 20
Ritorno al passato: le linee seducenti della collezione
Intimissimi 2012 – 2013
Il marchio Intimissimi nasce nel 1996 a Dossobuono di Villafranca di Verona, Italia, come linea dedicata alla biancheria
intima del gruppo Calzedonia7. La produzione del brand si è
poi allargato alla maglieria ed alla pigiameria, pur mantenendo come principale prodotto del marchio la lingerie da uomo
e da donna. Nel 1998 Intimissimi conta 80 punti vendita sul
territorio nazionale, che nei dieci anni successivi arrivano ad
essere oltre mille, con una rete distributiva che copre l’intera
Europa. La nuova collezione di Intimissimi 2012 – 2013, si
rifà al periodo Neoclassico, raffigurata fra gli sfondi della Gipsoteca Canova. Nella nuova collezione vi sono colori eterei e
raffinati, con capi dalla sofisticata ricercatezza, indossati dalla
bellissima Tanya Mityushina (modella) attraverso gli occhi
del fotografo Raphael Mazzucco (Fig.87). Una combinazione di romanticismo e capacità seduttiva, caratterizzata dalla
sensualità del pizzo nero e della perla bianca. Verde antico e
blue klein completano le palette colore, regalando un tocco
glam alla delicata eleganza e al fascino assoluto del brand.
Fig.87
169
Oggi le nuove aziende di lingerie offrono una vasta gamma
di scelta:
-Reggiseni:
Push-Up,
Super
Push-Up,
Senza
spalline, Triangolo, Imbottiti, Balconcino e
Balconcino
non imbottito;
-Slip: Perizoma, Culotte, Slip, Brasiliana;
-Body, Canotte, Corsetti, Guepieres, Sottovesti, Bebydoll,
Giarrettiere e Reggicalze;
-Accessori: Gancetti, Spalline, Pantofole, Coppe;
-Maglieria: Maglie manica lunga e corta, Canotte e Top;
-Easywear, Notte: Maximaglie, Pantaloni, Leggings,
Vestaglie, Camicie da Notte e Pigiami.
Intimissimi, insieme ad altre aziende di Lingerie, contribuisce
a rendere la Lingerie Italiana famosa in tutta Europa, per la sua
eleganza e raffinatezza.
170
171
172
Capitolo 4
Cambiamenti Anatomici
Paragrafo 1
L’ideale Corporeo Attraverso la Storia
Da sempre la donna è considerata l’incarnazione della bellezza. La comunicazione per immagini si impone precocemente
all’interno dell’evoluzione culturale dell’uomo, anticipando
la funzione della parola e quindi una funzione fondamentale. In questo contesto la riproduzione delle forme femminili
ha assunto anche un carattere simbolico per cui la bellezza è
sempre stata associata a linee morbide, rotonde, che possono essere ricondotte all’abbondanza e alla fertilità (Fig.88).
Fig.88 Venere di Willendorf
A partire dal paleolitico si diffondono in un’area vastissima (dall’Europa occidentale alla Siberia) delle sculture
antropomorfe rappresentanti figure femminili dette “veneri”. Tali immagini presentano caratteristiche comuni che
esemplificano con chiarezza un tipo di società patriarcale e vanno intese come simbolo di maternità e fecondità: i
seni e i ventri abbondanti, i contorni rotondeggianti e l’abbondanza delle forme. Durante tutto il rinascimento Scrittori, poeti, pittori e scultori hanno riprodotto le forme della
donna chi con versi chi con opere d’arte, considerandole
creazioni divine, e apprezzandone sempre le linee morbide.
173
L’ideale corporeo in tutto il corso della storia, è stato difficile da raggiungere e spesso innaturale. Le donne
si sono dovute sacrificate e hanno sofferto per ottenerlo.
Cambiamenti nel tempo:
Nel periodo coloniale c’era bisogno che le donne lavorassero i campi e facessero figli per lo stesso motivo. Infatti erano preferite donne fertili, forti fisicamente e abili.
All’inizio del diciannovesimo secolo si preferivano donne
con vita sottile (era desiderabile per un uomo dell’alta società riuscire a cingere la vita dell’amata con le mani). Se
le donne erano troppo fragili per lavorare, i proprietari delle piantagioni potevano giustificare l’uso di schiavi, infatti
molta enfasi è stata posta sulla fragilità femminile che faceva di una donna un candidato più attraente per il matrimonio. In quel periodo il corsetto diventa il top per la moda
nonostante provocasse gravi danni: il fiato era più corto (la
mancanza di respiro poteva portare a polmonite), gli organi viscerali si dislocavano, le donne con importanti risorse finanziarie arrivavano anche a farsi rimuovere le costole.
Tra Ottocento e il Novecento i depositari della bellezza femminile, che vennero a sostituire l’arte figurativa e plastica, furono
la moda, la fotografia ed il cinema. Il loro successo ebbe come
sfondo la fase di espansione della società industriale europea,
la nascita delle metropoli e il fenomeno di urbanizzazione. L’ideale di bellezza femminile si riflette molto nella moda di quel
periodo che non si limitava a vestire il corpo, lo costruiva e lo
rendeva bello con l’ausilio del faux cul, il corsetto, le crinoline. Questa costruzione artificiale della bellezza del corpo femminile si rifà ad un ideale di donna con grandi natiche e genitali, un ideale che qualche decennio prima era incarnato in una
donna di nome Saartjie Baartman 7, che per le sue forme venne soprannominata “Venere ottentotta”. Dal momento che la
moda prende ancora più piede nella società e che un pubblico
sempre più ampio è interessato, in America nasce la stampa di
moda con le riviste Harper’s Bazar (1867) e Vogue (1892) così
174
che la fotografia diventa uno strumento importante nella diffusione di modelli, e di corpi divenuti serialmente riproducibili. Nasce anche il cinema che con la fotografia contribuisce
a diffondere l’idea di una bellezza femminile in conflitto con
la “naturalità”, ricca di travestimenti, acconciature esagerate, e mascheramenti. Dice Boudlaire “La seduzione che si
sprigiona dalla moda è una sollecitazione verso il bello quale ideale che muove lo spirito umano sempre insoddisfatto:
ed è la donna che incarna per eccellenza questa seduzione
legata all’ornamento e all’apparenza”. Si può presupporre
che qui si pongano le basi moderne della concezione del “bel
corpo” sia come “corpo rivestito”, sia come corpo di genere femminile. E quindi del ruolo di principali soggetti della
moda assunto dalle donne. Gli ideali di bellezza influenzano
le mode, come abbiamo visto per il faux cul, e le mode in
quanto rappresentazioni hanno influenza sulla popolazione.
Tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 nuovi ideali muovono le donne e di conseguenza influenzano le mode. Le
istanze di emancipazione che si manifestano dalla metà
dell’800 in Europa e in Nord America con la nascita del
movimento femminista spinsero le donne ad indossare giacca e pantaloni, fasciarsi il seno, tagliare i capelli e fumare sigarette. Le nuove icone di bellezza erano senza curve,
magre e mascoline, simboli di un bisogno e una richiesta
di uguaglianza e parità tra i sessi e dimostrazione di serietà, capacità e voglia di votare, lavorare e andare a scuola.
-------------------------------------------------------------------------Nota7: Saartjie Baartman (1789-1815), di origini Khoikhoi,
venne portata in Inghilterra nel 1815 per essere esibitacome
fenomeno da baraccone in giro per l’Europa, per mostrarne le
sue “enormi” natiche e genitali (per lequali le è stato attribuito
il soprannome di “Venere ottentotta”, e per essere studiata dagli
scienziati dell’epoca. Morta a causa di una malattia infettiva, parti
del suo corpo vennero esposte oscenamente in mostra a Parigi)
175
Durante la seconda guerra mondiale, gli ideali cambiarono
ancora una volta. Gli uomini erano in guerra e le donne lavoravano e facevano sport nel tempo libero, alcune di loro
formarono squadre sportive professionali, di nuovo la società apprezzava donne competenti, forti e abili fisicamente.
Dopo la seconda guerra mondiale, tornati a casa gli uomini, nuovamente si enfatizzano gli ideali della famiglia e del
patriarcato, con la donna a disposizione dei bisogni dell’uomo. Di nuovo negli armadi abiti e gonne e si privilegiano le donne fertili e ricche di curve come Marilyn Monroe.
Nella seconda metà del ventesimo secolo (soprattutto dagli
anni sessanta) riprese campo la lotta per l’emancipazione delle
donne, cambiarono nuovamente le loro rappresentazioni che
non erano più unicamente espressione del ruolo di casalinga
e madre. Nasce in questo periodo e si afferma in Europa e
Nord America negli anni 60 l’ideale della snellezza, rappresentato dall’emancipata supermodella Twiggy, ben lontano
dalle forme tonde e accoglienti della bellezza italiana del secondo dopoguerra8. In Italia per più tempo resistette l’ideale di bellezza rappresentato dalle “maggiorate” il cui corpo
in quel periodo era metafora del sogno di opulenza che viveva il paese e che si sarebbe tradotto nel boom economico.
Mentre nello stesso periodo in Inghilterra e negli Stati Uniti
le donne diventarono protagoniste di un dibattito politico e
sociale, in Italia le donne rimanevano oggetto e non soggetto
sulle questioni intorno al loro ruolo nella società, che rimase
per più tempo quello esclusivo di madri e mogli e finalizzato alla riproduzione della specie. L’ideale di snellezza (sviluppatosi tardivamente anche il Italia), ha radici in significati
ben diversi dal semplice piacere estetico: sminuisce il valore
delle donne inducendole a trasformarsi in oggetti sessuali;
-------------------------------------------------------------------------Nota8: Durante il secondo dopoguerra, in Italia la bellezza
femminile era il tema centrale dei mezzi di comunicazione ed
evasione, primo fra tutti il cinema, che ne divenne il principale luogo di costruzione e propagazione. Accanto al cinema
si pongono i varietà e i concorsi di bellezza come Miss Italia.
176
simboleggia l’allontanamento dal ruolo sessuale e l’ingresso
delle donne nel mondo del lavoro (la ricerca di una carriera
florida ha alzato l’età media delle gravidanze), da cui deriva
l’adesione a determinati valori maschili quali l’autocontrollo,
la disciplina e l’efficienza; la snellezza inoltre è l’espressione
di un se perfettamente gestito e che riesce a regolasi all’interno di una cultura consumistica nella quale è difficile gestire gli
stimoli di fame e sazietà. Il compito di rappresentare la bellezza e i modelli femminili sono quindi passati dall’arte pittorica
e plastica dell’antichità e del Rinascimento, alla fotografia e al
cinema, fino poi al sistema di comunicazione di massa attuale
dove ad affiancare il televisore che si è trasformato da tubo
catodico a schermo al plasma e non ha certo perso di attrattiva
(ancora più importanti sono i cambiamenti avvenuti nei suoi
contenuti), sono la pubblicità, le riviste e il mondo del web
sempre più a portata di mano. Con il tempo è cambiata l’idea
della bellezza femminile la cui figura si è sempre più assottigliata soprattutto negli ultimi decenni. Questo progressivo
snellimento dell’ideale femminile è stato analizzato in diversi
studi che hanno preso in riferimento le copertine delle riviste
di moda nelle quali sono sempre presenti bellezze al femminile, e che testimoniano in modo evidente il fenomeno9.
-------------------------------------------------------------------------Nota9: Saveria Capecchi ed Elisabetta Ruspini, Media, corpi, sessualità: dai corpi esibiti al cybersex, Franco Angeli editore (Derenne L. Jennifer, M.D., Beresin V. Eugene, M.D. Body image, media, and eating
disorders, Academic Psychiatry 2006; 30:257-261).
177
Paragrafo 2
L’evoluzione della Rappresentazione dei Corpi
È ampiamente dimostrato che il modello di prototipo femminile che figura nei layout di moda e pubblicità su riviste
femminili negli ultimi 20-25 anni è giovane (sotto i 30 anni),
alto, gambe lunghe e molto sottili, pancia piatta. Un notevole
numero di studi ha documentato la tendenza ad un aumento
della magrezza nelle modelle delle copertine di Playboy e nelle concorrenti di miss America a partire dagli anni 50. Garner
e colleghi (1980) lo studio più vecchio, analizzò le copertine
e le concorrenti di Miss America nel periodo tra il 1959 e il
1978, mentre Wiseman e colleghi continuarono fino al 1988.
Katzmarzyk e Davis esaminarono i cambiamenti nel peso e
nelle forme corporee delle modelle nelle copertine di Playboy
dal 1978 al 1998. Lo studio più recente, di Voracek e colleghi
ha analizzato i dati antropometrici (altezza, peso, circonferenza petto, vita e fianchi) delle modelle centro pagina di 577 numeri consecutivi della rivista dal dicembre 1953 al dicembre
2001. Tutti gli studi hanno evidenziato una progressiva diminuzione dell’Indice di Massa Corporea (IMC), della circonferenza del petto e dei fianchi ed un aumento della circonferenza
vita. L’IMC è passato da un valore medio leggermente al di
sotto di 20 kg/m2 negli anni 50 ad un valore medio di 18 kg/
m2 nel 200l. Un altro studio (Sypeck, Gray e Ahrens, 2004)
ha esaminato la taglia del corpo delle modelle di copertina di
quattro riviste femminili (Cosmopolitan, Glamour, Mademoiselle e Vogue) dal 1959 al 1999. La taglia corporea delle modelle è diminuita significativamente dal 1980 al 1990, mentre
tra il 1960 e il 1990 si è verificato un aumento significativo
nella frequenza di immagini raffiguranti l’intero corpo delle
modelle, rispetto agli anni ’50 in cui veniva rappresentato solamente il loro viso. Un altro interessante studio si spinse più
indietro nel tempo ed evidenziò altre variazioni: Silverstein,
Peterson, e Perdue (1986), misurando la rotondezza delle modelle riportate nel Ladies Home Journal e Vogue dal 1901 fino
al 1980, trovarono che questa diminuì fortemente durante il
178
periodo tra il 1910 e il 1930, aumentò tra il 1930 e il 1950, e
poi bruscamente diminuì nel corso del 1960 ad un livello costantemente basso alla fine di quel decennio e per tutto il 1970.
Inoltre fu evidente che l’aumento dell’incidenza dell’anoressia
nervosa andò di pari passo con la diminuzione del peso delle
modelle, passando da 0,2 casi per 100.000 abitanti per anno
nel 1941-1950 a 5,4 per 100.000 abitanti per anno nel 19912000. La figura 2 riporta le foto affiancate delle icone di bellezza di tre diversi periodi storici: la moglie di Rubens (16368), Marilyn Monroe (1952) ed Eva Herzigova (2001) (Fig.89).
Fig.89
Paragrafo 3
Lo sguardo sulle Donne e la consapevolezza di essere
sotto Giudizio
Il cambiamento delle rappresentazioni avvenuto nel corso del
tempo è stato accompagnato da un significativo aumento della
loro diffusione e fruibilità volontaria o involontaria che sia.
La quotidiana e continua esposizione di corpi femminili nudi
o poco vestiti, perfetti, giovani e snelli rende conto di quella
che può essere chiamata la “norma dell’esposizione” che fa in
modo che sia considerato normale dalle donne sentirsi esposte
e sottoposte allo sguardo e al giudizio altrui, soprattutto quello
179
maschile, dal quale giudizio poi dovrebbe derivare la loro autostima (da questa norma deriva anche il timore del giudizio
stesso), condizione questa che rende sempre attuale il vecchio
squilibrio di potere dovuto alla disparità tra i sessi. Accendendo la televisione (telefilm, programmi tv e pubblicità), buttando lo sguardo sui cartelloni pubblicitari delle città o su una
qualsiasi rivista rivolta al pubblico femminile o maschile (che
non parli di cucina o motori), ci possiamo accorgere di quanto
sia parte della nostra società l’esposizione femminile, esposizione che in tal modo diventa una norma per qualsiasi donna
che sa di doversi esporre allo sguardo e al giudizio altrui. Ne
deriva uno sbilanciamento dei rapporti di potere tra chi guarda
e chi è guardato, ridefinizione di un antico squilibrio di potere
tra i sessi. Chi è guardato risulta indubbiamente depotenziato
e vulnerabile. Il problema grosso è che questo giudizio non
solo è accettato e ritenuto legittimo dalle donne, ma da esse è
anche interiorizzato in un continuo auto giudizio che segue i
canoni di valutazione maschili. Le donne si sorvegliano come
se fossero sotto lo sguardo maschile, ciò determina in buona
misura i rapporti tra uomini e donne ma ancor più importante
il rapporto delle donne con se stesse avendo dentro di se un
sorvegliante maschio e un sorvegliato femmina. Quindi con
la crescita dell’autonomia, dei diritti e del potere delle donne
è cresciuta anche l’oggettivazione del loro corpo e della loro
immagine costantemente esposta e giudicata. Le donne consapevoli di essere sempre potenzialmente esposte al controllo,
sono costantemente preoccupate per il loro aspetto e spendono
molto tempo ed energie nel controllarne l’adeguatezza. La regola dell’esposizione e l’irraggiungibilità dei modelli richiesti
dal mito della bellezza e della snellezza rendono vulnerabili le
donne andando ad agire sulla loro autostima. Mentre è facile
osservare e capire la dilagante importanza attribuita all’apparenza femminile e all’oggettivazione dei corpi delle donne, è
meno comprensibile il motivo per il quale questo fenomeno
non viene combattuto dalle donne, ma accettato e legittimato.
Una spiegazione può essere che lo squilibrio di potere operato dalla norma dell’esposizione rafforza il senso di sicurezza
180
negli uomini e allo stesso tempo quello di dipendenza e bisogno di approvazione nelle donne. Quali possono essere però
i motivi che impediscono alle donne di ribellarsi a questo fenomeno? In prima battuta ha un ruolo importante il fatto che
questo meccanismo vada a ledere l’autostima delle persone
colpite le quali rimangono in silenzio a causa del senso di vergogna creato dalla norma dell’esposizione. In secondo luogo
non vi è un chiaro specifico agente contro cui lottare. Ogni
giorno le immagini della moda, quelle circolanti attraverso i
media si insinuano nella mente delle persone a piccole dosi
fino a far diventare l’esposizione una cosa normale e accettata.
Potrebbe poi essere posta la domanda: la donna che non cura il
suo corpo, che ha un fisico trascurato e il viso sciupato, non è
forse lei stessa “colpevole” del suo aspetto? Altro aspetto importante: la forma di azione basata sulla lotta e le rivendicazioni non può avere successo in questo contesto, perché anche se
come abbiamo detto si tratta di questioni di rapporti di potere,
questi non sono i primi a saltare all’occhio, infatti è molto più
evidente l’effetto che fa l’apprezzamento estetico sull’autostima femminile e sulla convinzione di poter meritare amore,
ed è difficile pensare ad una lotta contro ciò che ti fa meritare
amore ed essere oggetto di desiderio. Passano così in secondo
piano l’effetto depotenziante e le relazioni di potere tra i sessi.
Ultimo ma non per importanza, il fatto che la competitività
che si forma tra donne per l’approvazione rende impossibile
un’azione comune contro la norme. Il fatto che le donne ricorrano a diete pericolose, alla cosmesi, alla chirurgia estetica
e a tutto ciò che può aiutarle a migliorare il loro aspetto non
deve essere visto come una libera scelta, semplice narcisismo
o piaceri che le donne concedono a loro stesse, ma è la risposta ad una norma che impone loro di adeguarsi a determinati
standard considerati la “normalità”. Il corpo modellato dalle
donne non è un corpo “per se” ma un corpo “per gli altri”10.
-------------------------------------------------------------------------Nota10: Saveria Capecchi ed Elisabetta Ruspini, Media, corpi,
sessualità: dai corpi esibiti al cybersex, Franco Angeli editore.
181
Paragrafo 4
L’influenza dei Media
I media rappresentano da tempo uno degli indicatori più importanti per comprendere e analizzare il mutamento sociale.
Ma allo stesso tempo sono loro stessi importanti soggetti nella
costruzione della realtà sociale. Un primo aspetto importante
da considerare è l’impatto che i modelli di genere veicolati dai
media esercitano sull’immaginario giovanile e sul processo di
costruzione dell’identità soggettiva. Essi dal momento in cui
danno valore positivo o negativo a determinati modelli femminili e maschili (ruoli, comportamenti, azioni, aspetto fisico,
e abbigliamento), influenzano i processi di socializzazione
al genere e orientano i giovani nella formulazione dei propri
progetti identitari, avendo anche posizione privilegiata rispetto alle agenzie di socializzazione tradizionali, grazie alla loro
facile accessibilità, e alla varietà e appetibilità dei contenuti. A
partire dalle rivendicazioni femministe degli anni Sessanta e
Settanta è iniziato un periodo di mutamenti sociali che hanno
visto modificarsi i vecchi stereotipi attribuiti ai generi femminile e maschile, anche la rappresentazione di genere proposta
dai media è diventata piuttosto varia e diversificata, ossia sempre meno ancorata ai tradizionali stereotipi di genere (come la
classica casalinga o l’uomo di successo). Nascono così, per
esempio, la donna moderna e l’uomo nuovo. Attualmente i
modelli proposti sono molteplici, con messaggi e informazioni contrastanti, non c’è più un’unica definizione dei concetti
di “femminilità” e “mascolinità”, i cui confini sono diventati
sempre più permeabili. Alla molteplicità delle rappresentazioni di genere si contrappone l’univocità delle rappresentazioni
dei corpi, per quanto riguarda nello specifico l’aspetto fisico
di donne e di uomini si tende a valorizzare un solo modello
corporeo. Vige l’ideale di snellezza per le donne e quello della tonicità muscolare per gli uomini. Entrambi i sessi inoltre
sono invitati a mantenersi “giovani” il più a lungo possibile.
182
Paragrafo 5
L’ideale di snellezza della Donna Moderna
Ad affiancare le immagini della casalinga e della donna oggetto arriva la figura della donna moderna, emancipata, indipendente e lavoratrice, sempre molto curata, bella e giovane
e sessualmente audace. La rappresentazione di questo tipo di
donna è però ricca di contraddizioni e ambivalenze. Ne sono
un esempio i contenuti di una famosissima rivista di moda,
Cosmopolitan (nata nel 1964 negli stati uniti), e la serie televisiva Sex and the city. La donna qui rappresentata è interprete
delle istanze femministe della liberazione sessuale della donna e della parità tra i sessi ma al contempo è evidente che ogni
sua azione è in funzione dell’uomo che rimane perennemente
al centro dei suoi pensieri, ed è rimasta, come nella cultura patriarcale dipendente dall’approvazione degli uomini (approvazione che la rende sicura). La cura ossessiva del corpo per una
perfetta forma fisica (secondo l’ideale di snellezza) e del look
(cosmesi, abiti, biancheria intima sexy), la volontà di apparire
sexy può essere letta come fonte di gratificazione personale e
di autoaffermazione, ma ancor più come bisogno di piacere e
di essere desiderate, come strumento per l’approvazione da
parte degli uomini. In queste rappresentazioni troviamo la coesistenza di valori conservatori legati alla tradizione come il
sogno romantico del matrimonio e della famiglia, e di valori
contemporanei come l’individualizzazione (desiderio di affermazione personale che esprime la capacità di investire e contare su di sé). Secondo alcune studiose nei prodotti dei media
che hanno come soggetto la donna moderna, il femminismo
viene soppiantato da una posizione postfemminista secondo la
quale le donne sono libere di pianificare la propria vita (valore
dell’individualizzazione femminile) senza che sia necessario
escludere il romanticismo o il piacere di piacere, desideri che
il femminismo storico induceva a sacrificare (“essere libere di
decidere per se”) (Arthurs 2003). Il Femminismo viene soppiantato anche dal narcisismo, il “il piacere di piacere a se stesse” (Rosalind Gill, 2007), l’autoaffermazione, la seduzione
183
attiva e consapevole e l’autoerotismo. La studiosa critica il
fatto che il corpo viene presentato come una forma di potere
femminile (il potere di sedurre), le donne non normalizzano e
oggettivano il loro corpo solo per piacere agli uomini, ma per
piacersi, e si guardano con occhi maschili perché ormai hanno
interiorizzato lo sguardo con cui vengono osservate dagli uomini. E le donne (la maggior parte di esse) si piacciono solo
se il loro corpo rientra nei canoni di bellezza dominanti, quelli
dell’ideale della snellezza, e del mito dell’eterna giovinezza
e sensualità (i personaggi pubblici femminili sono sanzionati negativamente quando sono “fuori forma” o esibiscono il
look “sbagliato” trasgredendo quella che è diventata la norma
e un obbligo sociale: essere sexy sfidando il tempo che passa, il corpo perfetto è il requisito richiesto obbligatoriamente
alle donne di successo). Nasce il mito della Superwoman, è
la donna che ha successo in ogni campo della vita, da quello professionale a quello sessuale e amoroso, dalle relazioni
sociali ai figli. “Se le donne oggi godono di una pseudo-liberazione dai ruoli familiari, sono però divenute schiave della
nuova cultura del narcisismo e del consumismo” Turne 2008.
Paragrafo 6
I Modelli Ideali
L’attuale società occidentale è sempre più fondata sul mondo
dell’apparenza e dell’esteriorità divulgato da riviste, televisione, radio e mezzi multimediali. I modelli estetici rappresentati seppur spesso irrealizzabili per la maggior parte delle
persone, vengono presentati come facilmente raggiungibili
con un po’ di buona volontà, fino a confondere i limiti tra
un ideale di fantasia e la realtà. I livelli di magrezza proposti pericolosi per la salute si scontrano con la normale fisiologia e fisionomia della maggior parte delle persone. Spesso inoltre non si tiene conto del lavoro che si cela dietro le
immagini proposte e uniformate all’insegna della magrezza,
non si parla dell’esercizio fisico, delle restrizioni alimentari,
184
delle operazioni di trucco e di fotomontaggio, che portano al
risultato finale. Purtroppo questo ideale diffuso dai media non
assume soltanto un significato estetico ma è associato a valori più profondi, al successo in qualsiasi campo della vita,
all’apprezzamento e all’accettazione sociale al punto che la
magrezza e il rigido controllo del peso vengono apertamente
“glorificati” mentre la grassezza è svilita fino ad essere definita non salutare, immorale e brutta. L’adesione a certi canoni è
diventato così un bisogno e una necessità.
Esempi di messaggi trasmessi dai media11 possono essere i
seguenti:
1. La bellezza è il principale obbiettivo nella vita di una donna.
2. La magrezza è cruciale per raggiungere il successo e il benessere.
3. L’immagine è sostanziale.
4. È naturale che le donne siano consapevoli del proprio corpo
e che siano
indissolubilmente legate ad esso.
5. Il “grasso” dimostra la loro personale responsabilità per essere deboli, delle fallite
ed impotenti.
6. Una donna “volitiva” e “vincente “ può rinnovarsi e trasformarsi attraverso la
moda, la dieta e l’esercizio fisico rigoroso.
-------------------------------------------------------------------------Nota11: www.positivepress.net/AIDAP , angolo informativo, MASS MEDIA ED IMMAGINE CORPOREA. A cura della Dott.ssa Arianna Banderali.
185
186
Capitolo 5
Il Progetto
Introduzione
Dopo aver svolto una lunga riflessione sul quale sarebbe stato il progetto più adeguato da realizzare alla conclusione della mia tesi, insieme al mio relatore, la professoressa Francesca Pipi, abbiamo deciso di realizzare un
corsetto dell’800; ed in seguito una rivisitazione del corsetto realizzato da Jean-Paul Gaultier, in metallo, per la sfilata presentata a Parigi fashion week, per rendere omaggio al
cinema, con la sua collezione autunno inverno 2012/2013.
Avendo l’opportunità di realizzare due corsetti molto diversi fra loro, ma entrambi avente lo stesso scopo, cioè imprigionare il corpo, per renderlo più affascinante e sensuale.
187
Realizzazione del Corsetto dell’800
Il corsetto dell’800 che ho realizzato, è tratto dal cartamodello
del libro “Corsets and Crinolines di Norah Waugh” (Fig.90).
Fig.90 Black coutil straight-fronted corset. The complicated boning
of the front has not been given in the pattern but can be seen in the
sketch of the corset. The two tabs at the bottom of the front busks
are for suspenders. (Corsets and Crinolines di Norah Waugh pag. 84
fig.43)
Materiali Utilizzati:
Cartamodello, Tessuto Lino, Spilli, Aghi, Filo, Stecche di metallo, Martello, Flex, Nastro isolante, Cordella, Ferro da stiro,
Taglia e cuci, Macchina per cucire, Forbici, Punzonatrice, Macchina per ribattini, Valensien, Nastro di raso,Gancetti di ferro.
188
Fasi Progettuali
Fig.1 Cartamodello del corsetto ingrandito di cinque volte rispetto
l’originale
Fig.2 Cartamodello tagliato e disposto sul tessuto
Fig.3 Tessuto tagliato e messo a modello
189
Fig.4 Corsetto imbastito
Fig.5 Corsetto cucito nella
taglia e cuci
Fig.6 Corsetto cucito nella
macchina da cucire
Fig.7 Inserimento delle stecche
metalliche
Fig.8 Cordella cucita nella
macchina da cucire
Fig.9 Taglio delle stecche in
metallo
190
Fig.10 Stecche limate con il Flex
Fig.12 Stiratura
Fig.14 Punzonatrice
Fig.11 Nastro isolante applicato
nell’estremita delle stecche
Fig.13 Applicazione del merletto
Fig.15 Macchina per ribattini
191
Fine Realizzazione Corsetto dell’800
Fig. 91 Corsetto Realizzato Visione Frontale
192
Fig.92 Corsetto Realizzato Visione Laterale
193
Fig.93 Corsetto Realizzato Visione Posteriore
194
Realizzazione del Corsetto Rivisitato di Jean-Paul
Gaultier
La rivisitazione del Corsetto che ho realizzato è tratto dal Corsetto di metallo di Jean-Paul Gaultier, realizzato per la sfilata
presentata a Parigi fashion week, per rendere omaggio al cinema, con la sua collezione autunno inverno 2012/2013 (Fig.94)
Fig.94 Corsetto, Metallo, Jean-Paul Gaultier collezione autunno
inverno 2012/2013
Materiali Utilizzati:
Acciaio Armonico, Rivetti a strappo, Rivettatrice, Occhielli in Ottone, Macchina per occhielli, Forbici per Acciaio, Flexibile, Punte Trapano per Ferro n° 2, Trapano,
Avvitatore, Metro, Lima piatta, Body, Cordella di Pelle.
195
Fasi Progettuali
Fig.1 Materiale
Fig.2 Taglio dell’Acciaio
Fig.3 Body come punto
di riferimento
Fig.4 Tracciare il punto
vita
Fig.5 Tracciare le linee
base del corsetto
Fig.6 Tracciare le coppe
196
Fig.7 Assottigliare l’acciaio
Fig.9 Limare i fori
Fig.11. Modellazione del
corsetto
Fig.8 Bucare con il trapano
per creare i fori
Fig.10 Rivetti a strappo
Fig.12 Modellare le coppe
197
Fig.13 Sagomare la stecca
d’Acciaio Frontale
Fig.14 Modellare il retro
del Corsetto
Fig.15 Tagliare le stecche
posteriori
Fig.16 Provare le stecche
posteriori
Fig.17 Completare il retro
del Corsetto
Fig.18 Realizzare il
Panier in Acciaio
198
Fine Realizzazione del Corsetto di Jean-Paul Gaultier
Rivisitato
Fig.95 Corsetto Acciaio Realizzato Visione Frontale
199
Fig.96 Corsetto Acciaio Realizzato Visione Laterale
200
Fig.97 Corsetto Acciaio Realizzato Visione Posteriore
201
202
Bibliografia
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-Busti e Reggiseni, L’epopea del seno dall’antichità ai nostri
giorni, Bèatrice Fontanel, Idea Libri;
-Corsets and Crinolines, Norah Waugh, London B.T. Batsford
LTD 1867;
-1000 Dessous, A History of Lingerie, Gilles Nèret, Taschen;
-Intimo, Giorgio Conversi - Susanna Zucchi Piras(1997), Ed.
Idealibri;
-Intimo. Storia immagini, seduzioni della biancheria intima,
Cecil Saint Laurent (1986), Ed. Idealibri;
-I Segreti della Seduzione. Secoli di mutande, Mara Parmegiani Alfonsi (1997),Ed. Marsilio;
-Le Corset à Travers les ages, Lèoty, Ernest, 1893;
-Le Corset dans l’Art, 1933, Libron, F. and Clouzet, H;
-Lingerie Francaise, XIX-XXI siècle, Catherine Ormen, Plon;
-Lingerie. Piccola guida all’abbigliamento della seduzione,
Francesca Tripodi (2010), Ed. Astraea;
-Parliamo di Moda, Sara Piccolo Paci, vol.1-2-3, Cappelli
Editore;
-Storia della biancheria che seduce, Augusto Vecchi (1999),
Ed. Di Fraia;
203
-Storia del reggiseno, Donata Chiadini (1989), Ed. Napoleone;
-The Little Corset Book, Bonnie Holt Ambrose, Costume e
Fashion Press;
-Vestite di un nulla, Elodie Piveteau (2005), Ed. Fitway.
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