IL MONACHESIMO CLUNIACENSE: EVIDENZE ARCHEOLOGICHE

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IL MONACHESIMO CLUNIACENSE: EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
IL MONACHESIMO CLUNIACENSE: EVIDENZE ARCHEOLOGICHE
Inquadramento topografico e storico.
Prima di ripercorrere le tappe della storia di Cluny, esaminando in particolare i risultati delle
indagini archeologiche, è indispensabile evidenziare le caratteristiche topografiche del luogo dove si
è sviluppata l’abbazia, un rilievo le cui caratteristiche geomorfologiche sono state progressivamente
cancellate dall’estendersi del tessuto urbano.
Cluny sorge in Borgogna, su una terrazza alluvionale posta sulla riva sinistra del fiume
Grosne, affluente della Saône soggetto a rapide variazioni del suo livello, alla confluenza con il
corso del Médasson; è circondato da una serie di colline, le alture di Bois-Clair e di Boursier che lo
separano da Mâcon, e quelle più occidentali che elevano una barriera naturale tra le sue verdi
campagne e quelle di Charolles1. L’agglomerazione si è sviluppata tra i 240 e i 300 m di altitudine,
sulle pendici delle due collinette di Saint-Odile e Saint-Mayeul (Fig. 1).
L’ottimale posizione del sito, ubicato nel regno di Francia ma vicino alla frontiera con
l’impero, in collegamento con Roma attraverso il Rodano e con i principali centri artistici della
Francia attraverso la Senna, giocò senza dubbio un ruolo fondamentale nella localizzazione del
monastero e nello sviluppo del suo borgo2.
Il monastero di Cluny fu fondato da Guglielmo II il Pio, duca di Aquitania e conte di
Mâcon, che lo cedette, secondo quanto si apprende dall’atto redatto nel 910, a Bernone, abate di
Gigny nel Jura svizzero, rinunciando a qualsiasi diritto su di esso. Cluny crebbe esente da qualsiasi
giurisdizione civile ed ecclesiastica, soggetto unicamente alla volontà del papa, che garantì sempre
il suo appoggio. A quest’ultimo e all’operato di alcuni grandi abati -Odone (927-942) e Maiolo
(954-994) nel sec. X; Odilone (994-1049) e Ugo di Semur (1049-1109) nei secoli XI e XII – il
monastero deve la sua fioritura e il suo prestigio, in costante crescita al punto da renderlo casamadre di oltre mille cenobi e sede del più grande ordine monastico dell’Occidente medievale,
capace di giocare un ruolo di mediatore tra i poteri politici dell’epoca e il papato.
Le tappe fondamentali della rapida ascesa si possono riassumere in alcuni momenti
essenziali per comprenderne l’incisività nel panorama religioso dei secoli dopo il Mille. Nel 931 un
privilegio del papa accordò all’abate di Cluny di occuparsi di qualunque monastero volesse seguire
il modello benedettino e di accogliere tutti i “fuoriusciti” di quei cenobi che invece si rifiutavano di
1
ROLLIER 2000.
Si conservano tracce della rete stradale più antica a S e ad W della moderna cittadina: si tratta di una via romana che si
dipartiva lungo la valle della Grosne, collegando Mâcon ad Autun. Ad Occidente della collina Saint-Odile sono stati
individuati, per mezzo della fotografia aerea, i resti di un sito di epoca gallo-romana; la penuria dei sondaggi
archeologici non permette tuttavia alcuna precisazione sulla natura e le caratteristiche di questa occupazione (ROLLIER
1994, p. 10).
2
seguire la regola di Benedetto: il primo passo verso l’identificazione di Cluny con il monachesimo
benedettino era compiuto. Erano gli anni del primo grande e lungo abbaziato di Cluny, che ha come
protagonista ODONE (927-942), al quale si rivolse un membro dell’aristocrazia romana, Alberico
II “principe dei Romani”, che chiamò in Italia Sant’Odone, affidandogli il compito di riformare i
monasteri della città di Roma. Fu il primo contatto ufficiale ed il primo ingresso di Cluny in Italia,
che segnò l’apertura di un lungo percorso in cui l’influenza del monastero borgognone si manifestò
in misura molto incisiva sotto diverse forme. Odone procedette al compito che gli era stato
assegnato, oltrepassando poi i confini romani e raggiungendo anche altre località del Meridione,
come Salerno e il Gargano. La sua opera riformatrice andò incontro di fatto ad un unico fallimento,
a Farfa. L’opera riformatrice di Odone, che diffuse ampiamente il modello di vita cluniancese e la
spiritualità che esso implicava, non si tradusse tuttavia in una dipendenza istituzionale dei monasteri
riformati da Cluny, secondo una soluzione che rimase tipica di tutta la prima ondata di influsso
cluniacense in Italia e fuori dall’Italia.
Sulla stessa linea si mosse un altro grande successorie di Odone, MAIOLO (954-994), che si
recò più volte in Italia e soprattutto a Pavia, capitale del regno ove nel X secolo stavano fiorendo
numerosi monasteri, grazie alla protezione degli Ottoni, i quali ne favorirono l’indipendenza
dall’ingerenza sia laica che vescovile, andando incontro dunque allo spirito di Cluny, che qui trovò
terreno fertile per un’irradiazione che raggiunse anche la Liguria e il Piemonte: se con l’abbaziato
di Odone erano stati soprattutto Roma e il Sud dell’Italia ad essere coinvolti nello spirito di riforma
cluniacense, con Maiolo il Nord diventò il grande protagonista. Durante l’abbaziato di Maiolo viene
inoltre inaugurata la grande chiesa di Cluny (Cluny II, completata però nell’abbaziato di Odilone),
che sostituì il primitivo impianto, imprimendo al rinnovato complesso una monumentalità inedita, a
riflesso dell’importanza che il cenobio aveva assunto; nello stesso tempo il centro acquisì una
posizione nuova nel mondo cristiano, grazie all’arrivo delle reliquie di Pietro e Paolo direttamente
da Roma: si trattava di un trasferimento dall’altissimo valore ideologico, che di fatto implicava
l’identificazione di Cluny con una sorta di “piccola Roma”, nuovo centro della cristianità
occidentale, strettamente legata del resto al papato romano, e nello stesso tempo la nascita di un
centro di pellegrinaggio visitato da devoti provenienti da aree sempre più lontane, desiderosi di
entrare in contatto con le reliquie di Pietro. In questo contesto si inquadra l’atto con cui il papa
Gregorio V nel 998 accordò a Cluny l’esenzione da qualsiasi ingerenza del potere vescovile,
sancendo così di diritto una situazione già di fatto propria al monastero, che divenne pertanto
un’isola di giurisdizione religiosa indipendente nell’ambito della diocesi.
Tale processo si completa sotto l’abbaziato di ODILONE (994-1049), che nel 1024 ottenne
dal papa un’esenzione dall’autorità diocesana per tutti i monasteri cluniacensi, quindi anche per le
dipendenze. È di fatto l’atto costitutivo della congregazione cluniancense, una grande rete
monastica in cui tutte le dipendenze, organizzate gerarchicamente in abbazie, priorati e
sottopriorati, sono libere da qualsiasi vincolo rispetto all’autorità laica e vescovile, e rispondono
tutte indistintamente soltanto all’abate della casa madre, il quale ha come unica autorità superiore il
papa a Roma.
Sotto l’abbaziato di UGO DI SEMUR (1049-1109) iniziò il grande cantiere della chiesa di
Cluny III; dalla metà del sec. XII, dopo l’abbaziato di PIETRO IL VENERABILE (1122-1156),
Cluny passò un periodo in cui difficoltà economiche e morali si accentuarono, il controllo delle
dipendenze lontane divenne più difficile, ma la vera decadenza si ebbe a partire dal XV secolo,
passando sotto la protezione del Re di Francia, ulteriormente aggravata, nel XVI secolo, dalle
guerre di Religione: L’antico splendore del monastero rifulse nuovamente solo nel XVIII secolo,
quando vennero trasformati tutti gli edifici di epoca medievale, eccetto quelli ubicati ad occidente e
l’abbaziale.
Ma fu un lasso di tempo breve: la Rivoluzione francese portò infatti alla dispersione dei
pochi monaci ancora sul posto e infine nel 1798 l’intera abbazia fu venduta come bene nazionale. A
seguito di ciò alcuni edifici furono smantellati da mercanti di materiali, tra cui la monumentale
chiesa abbaziale di Cluny III, demolita quasi interamente tra 1798 e 1823 per il recupero di
materiale da costruzione. E se le strutture oggi visibili non sono altro che un pallido riflesso
dell’antico monastero, a questa paradossale storia trasse beneficio la città di Cluny, che fagocitando
a poco a poco gli edifici conventuali si presenta attualmente come uno dei pochi borghi medievali
archeologicamente ben conservati.
L’articolazione strutturale del complesso monastico.
Per ricostruire quella che fu la più importante abbazia benedettina dell’Occidente è
necessario integrare in una prospettiva globale i lacerti delle strutture esistenti con i dati che si
evincono da documenti di archivio, fonti materiali e iconografiche.
Le fonti scritte L’11 settembre 910 Guglielmo II, duca di Aquitania, donò a Bernone: “villam,
cum cortile et manso indominicato, et capella quae est in honore sanctae Dei genetricis Mariae et
sancti Petri, apostolorum principis, cum omnibus rebus ad ipsam pertinentibus, villis siquidem,
capellis, mancipiis utriusque sexus, vineis, campis, pratis, silvis, aquis earumque decursibus,
farinariis, exitibus et regressibus, cultum et incultum, cum omni integritate…”3. Egli aveva infatti
ottenuto in eredità dalla sorella la villa di Cluny, con una cappella dedicata alla Vergine, un
3
Il documento della carta di fondazione, denominato “testamento di Guglielmo il Pio”, è trascritto nella Bibliotheca
Cluniacensis (coll. 1-4); si veda inoltre il più recente lavoro a cura di ATSMA-VEZIN 1997 e la traduzione e il
commento in PACAUT 1986, pp. 49-71.
“mansus indominicatus”, ossia una residenza signorile, una serie di altre costruzioni non meglio
precisate, le relative vie di accesso ed una serie generica di altri beni (vigne, giardini, campi, mulini,
corsi d’acqua etc.); vi era tutto il necessario per una piccola comunità monastica alle sue origini.
La documentazione iconografica. Contrariamente al periodo medievale, che non ha lasciato
nessuna documentazione grafica, l’epoca più moderna può beneficiare di una serie di disegni
preziosi per la conoscenza dell’antico monastero cluniacense e del suo sviluppo; tra questi due
planimetrie sono state particolarmente utilizzate da storici ed archeologi, quella di un anonimo,
realizzata verso il 1700, e quella di “Philibert fils”, del 1790.
La prima è la più antica pianta d’insieme conservata fino ad ora (Fig. 5)4; disegnata verso il
1700 in una scala relativamente piccola, che utilizza il piede del re (0,3248 m), come di consueto in
quest’epoca, mostra l’organizzazione degli edifici e dei giardini prima della grande ricostruzione
che interessò l’abbazia nel sec. XVIII. Si staglia nel centro del foglio l’immagine dell’abbaziale
voluta da Ugo di Semur (la cosiddetta Cluny III, realizzata tra la fine del sec. XI e gli inizi del XII),
lunga più di 187 m; sul suo fianco meridionale si articolano intorno ad un chiostro di forma
rettangolare il dormitorio, la sala capitolare, il refettorio e la cucina. La piccola cappella triconca
ubicata a E del chiostro è associata al cimitero dei monaci, mentre la cappella triabsidata, dedicata
alla Vergine, è in relazione con l’infermeria. Di nessuno degli edifici claustrali è nota con
precisione la datazione, conosciuta invece per l’abside della seconda chiesa abbaziale, situata contro
il braccio meridionale del grande transetto di Cluny III; nel disegno sono dunque raffigurati edifici
di epoche diverse, come le due abbaziali. Questa pianta, sebbene riunisca in sé otto secoli di storia
costruttiva del monastero, servì di base all’archeologo americano Kenneth John Conant per
collegare i dati messi in luce durante le sue indagini e ricostruire l’articolazione del complesso
monastico in epoca medievale.
La pianta di Philibert fils (Fig.6), eseguita nel 1790, è accompagnata da una legenda che
risale invece al 1866, quando l’abbazia fu trasformata in École des arts et métiers5. Rispetto alla
precedente planimetria questa rappresenta dei nuovi edifici, disposti ad U e con il lato aperto verso
oriente; sono indicate anche le volte di tutte le strutture, un’indicazione assente nei precedenti
disegni. Questa pianta rappresenta l’abbazia nelle sue ultime giornate come monastero, prima che
venisse sconvolta dalla demolizione degli edifici e dalla collocazione della Scuola delle Arti e dei
Mestieri. Il disegno è sostanzialmente preciso; le imprecisioni ivi contenute sono dovute ai metodi
4
La sua origine non è nota. Nel 1910 fu pubblicata una copia di essa da Jean Virey, in occasione di un importante
congresso di studi tenutosi a Cluny (Millénaire de Cluny 1910); la pianta venne accompagnata dalla legenda
dell’incisione di Louis Prévost (datata 1668-1672) e dal testo del Dénombrement di Jacques de Veny d’Arbouze (1623).
5
Il documento è pubblicato per la prima volta in PENJON 1872.
di rilievo, che prende in considerazione solo gli assi principali delle strutture, sebbene ciò comporti
talvolta alcune asimmetrie6.
Le indagini archeologiche (Figg. 7-8). I francesi iniziarono gli scavi a Cluny nel lato Nord del
grande transetto nel 1913-1914 e a coordinare i lavori fu designato l’architetto M. Edmond Malo; le
aspettative di quelle prime indagini vennero però frenate dallo scoppio della guerra, nel 1914. Le
campagne di scavi più note realizzate in questo sito sono quelle condotte sotto la direzione
dell’americano Kenneth John Conant per conto della Mediaeval Academy of America, avviate nel
1928 e terminate nel 19507. Nelle sue interpretazioni egli integrò pesantemente i risultati della
stratigrafia, ricostruendo spesso edifici e ambienti senza fondarsi su alcun supporto archeologico ma
dando una veste materiale alle suggestioni provenienti dalla lettura di documenti e testi scritti
relativi al monastero.
Per facilitare la comprensione di questi dati, estremamente articolati, si è scelto di
sintetizzare prima i risultati proposti da Conant sulla successione delle abbaziali (Cluny A, Cluny
I, Cluny II e Cluny III), distinguendoli da quelli relativi all’organizzazione degli edifici claustrali;
in secondo luogo si tenterà di rivedere queste tesi alla luce di nuovi interventi stratigrafici condotti a
Cluny recentemente, e attualmente in corso8.
-
Cluny A: sulla base di lacerti di muri in pietra intonacati ritrovati sotto l’abside di Cluny II due lacerti che avrebbero suddiviso la struttura in navate (figg. 9-10) - Conant ricostruisce
una chiesa a tre navate, lunga circa 9,67 m e larga 6,45, circondata da un corridoio, e vi
riconosce la cappella della Vergine citata nella carta di fondazione9. Successivamente
ipotizza l’aggiunta a Nord di una camera funeraria e trasformazioni a seguito dell’arrivo di
probabili reliquie (Fig. 9)10.
I resti di fondazioni trovati a Est e ad Ovest del cortile principale sono stati invece collegati
alla villa di cui si è detto (Fig. 10), che avrebbe occupato l’area dell’attuale chiostro; quelli a
N e S rimanderebbero a costruzioni monastiche più solide e ugualmente di epoca antica11.
6
Ad esempio la cappella della Congregazione, che si sostituisce a quella dell’abate, è rappresentata parallela al muro
meridionale dell’abbaziale, mentre in realtà è orientata lievemente in senso S-W/N-E.
7
I risultati degli scavi furono pubblicati, a intervalli regolari, nella rivista “Speculum” (cfr. ad esempio CONANT 1963)
e poi editi integralmente, insieme ad uno studio dei documenti di archivio, in CONANT 1968.
8
Per un inquadramento complessivo aggiornato si veda il testo Cluny 2004, che esamina il monastero sotto diversi
aspetti.
9
CONANT 1968, pp. 49-50.
10
CONANT 1968, pp. 53-54.
11
I testi antichi suggeriscono una frequentazione monastica anteriore a quella di Bernone, nel corso del IX secolo; su
questo argomento le opinioni della critica sono diverse: cfr. CONANT 1968, pp. 49-50; CONSTABLE 2002 e IOGNAPRAT 2002.
-
Cluny I, dedicata nel 927 (Fig. 10), mentre Cluny A fu conservata come cappella della
Vergine12. Le indagini sembrerebbero condurre verso uno spazio che sarà occupato
dall’estremità meridionale del transetto di Cluny III (collocandosi dunque a N della futura
Cluny II), ma lo sviluppo successivo del monastero ne ha fatto sparire ogni traccia, sebbene
sia stata proposta addirittura una divisione in tre navate, unicamente per analogia con altre
abbaziali dell’epoca. Le dimensioni originarie erano modeste (in lunghezza non raggiungeva
i 20 m) ma venne dotata presto di una galilea e un portico d’entrata per un totale di circa m
35 x 10. Secondo l’ipotesi di Conant –che si basa a sua volta sui lavori di Sir A. Clapham e
Miss. R. Graham- con la costruzione di Cluny II la parte orientale di Cluny I fu utilizzata
come sacrestia e quella occidentale come atelier dei calzolai.
-
Cluny II (Fig. 11), che sostituì la precedente chiesa abbaziale, fu consacrata sotto Maiolo
nel 981 ma completata definitivamente solo agli inizi dell’abbaziato di Odilone (994-1049).
Di dimensioni maggiori, in accordo con lo sviluppo del monastero, presentava una
lunghezza di circa 50 m e una larghezza complessiva di 14, 70 m (la larghezza del transetto
era invece di 27, 42 m), divisa in tre navate, ed era dotata di una torre campanaria alta 27 m.
Difficile è però fornire una descrizione precisa dell’alzato, in quanto le conoscenze si
fondano unicamente sulle indicazioni, piuttosto generiche, e sulle misure fornite da un testo
della prima metà del sec. XI13: si ipotizza una chiesa rischiarata da 63 finestre con un
transetto basso, un coro coperto da volte e una navata centrale all’origine a soffitto piano,
voltata però al tempo di Odilone14. La pianta è stata evidenziata a partire dagli scavi della
Mediaeval Academy of America (tracce di Cluny II sono emerse infatti a S di ciò che rimane
attualmente di Cluny III): aveva un coro triabsidato (con un’abside centrale e due absidiole
laterali a ferro di cavallo) e due ambienti annessi di pianta rettangolare; uno stretto transetto
era preceduto da un corpo longitudinale di sette campate 15. Intorno al Mille Odilone
aggiunse alla chiesa una galilea, anch’essa a tre navate, voltata e preceduta da un ampio
atrio, ricostruito da Conant come quelli di epoca paleocristiana; la presenza della galilea è
collegabile allo sviluppo delle processioni liturgiche a Cluny, di cui ci informano
ampiamente i testi.
-
Cluny III. Il suo cantiere ebbe inizio sotto l’abbaziato di Ugo di Semur, nel 1088, e durò
circa cinquanta anni, espandendosi dal coro fino al lato occidentale 16. Le sue dimensioni
12
Cfr. CONANT 1968, pp. 46, 50-52.
Si tratta delle Consuetudines di Farfa; in proposito cfr. infra.
14
Singolare è il fatto che Conant traduca il termine crypta con “chambre voûtée”, senza dare molto peso alla distinzione
se si tratti di uno spazio sopra o sotto terra.
15
Secondo Conant (CONANT 1968, p. 54) il transetto avrebbe occupato tutta la larghezza del cortile della villa sul lato
E, al punto che Maiolo sarebbe stato costretto a trasformare in chiostro uno o due cortili laterali a S del vecchio cortile;
per maggiori delucidazioni su Cluny II cfr. CONANT 1968, pp. 54-59.
16
SALET 1968 contraddice questa ipotesi e vede l’inizio della costruzione nel braccio meridionale del grande transetto.
13
sono eccezionali: più di 187 m dall’abside all’avant-nef e con un altezza che supera i 30 m
sotto le volte (Fig. 12). Il corpo longitudinale, suddiviso in tredici campate, aveva cinque
navate; tra i due transetti, di diversa ampiezza, sormontati da quattro campanili impostati su
cupole, erano comprese due campate di coro a cinque navate. Al di là del piccolo transetto, a
Est, il coro proseguiva con una campata a tre navate, seguita da un deambulatorio più stretto
con cinque cappelle radiali; l’intero edificio era illuminato da numerose finestre (Fig. 13).
Secondo Conant le dimensioni di Cluny III sarebbero stabilite a partire da un numero
perfetto (Fig. 14) e da proporzioni calcolate secondo i principi di Vitruvio17.
Già da tempo le tesi proposte da Conant hanno dato luogo a posizioni divergenti nella
critica, che sintetizzò le voci di dissenso nelle teorie espresse da F. Salet, sostenuto dalla scuola di
archeologia di Parigi18. Le divergenze riguardarono, in sintesi, temi di carattere storico ma anche
tecnico. Nel primo gruppo si evidenziano: l’attività di “architetti” di alcuni monaci, tra i quali
l’abate Ugo; la cronologia dei lavori; il ruolo di Cluny come prototipo di una “scuola cluniacense”,
subordinata ai dettami delle sue Consuetudines. Tra i motivi di dissenso di carattere tecnico vi è
divergenza sulle misure e la cronologia dei singoli elementi architettonici e decorativi, in quanto le
interpretazioni suggerite da Conant riguardo l’organizzazione strutturale del monastero nella sua
fase originaria e in quelle successive paiono basarsi su una trasposizione troppo rapida dei risultati
delle sue ricerche e sulle suggestioni che gli provengono dalla lettura di testi di epoca decisamente
più tarda.
Oggi è possibile tuttavia effettuare una lettura critica dei suoi lavori, tenendo conto dei
risultati degli scavi recenti; essi motivano nuove proposte costruttive rispetto alle tesi di Conant19,
senza la pretesa di considerare questi dati come risultati definitivi, bensì come ulteriori tappe di
lavoro, destinate per loro stessa natura ad essere superate dallo sviluppo della ricerca ma ponendosi
nel frattempo come un diverso punto di partenza per l’avanzamento degli studi su questo importante
monumento.
Forzata appare in primo luogo l’interpretazione che vede le strutture della villa di epoca
carolingia determinare strettamente la pianta del primo Cluny, in linea con una tradizione di studi
che collega rigidamente la disposizione degli ambienti monastici alla planimetria delle “ville
rustiche”20. Il testo della fondazione di Cluny e i documenti del X secolo non danno informazioni
17
Lo studioso ricerca in modo quasi ossessionante un valore simbolico nei numeri ricorrenti nelle misure di Cluny II e
III, evidenziandone nei testi di Ireneo, Gerolamo, Agostino, Cassiodoro e Isidoro di Siviglia la pregnanza spirituale ed
allegorica.
18
SALET 1968, ampio saggio che rappresenta una puntuale verifica e discussione delle affermazioni del Conant.
19
Si tratta in prevalenza di sondaggi e limitati interventi condotti da Anne Baud e Gilles Rollier a partire dagli inizi
degli anni Novanta, sfociati fino ad ora in alcune pubblicazioni preliminari (Archéologie, monastère 1993; ROLLIER
1994 e BAUD 2002).
20
Si veda ad esempio DE ANGELIS D’OSSAT 1961. Ha avuto probabilmente un’influenza notevole a questo riguardo
il fatto che S. Benedetto abbia riutilizzato le strutture della villa romana di Nerone per costruire il cenobio di Subiaco,
utili per ricostruire forme e organizzazione delle prime strutture monastiche: la carta di fondazione
menziona solo una cappella dedicata alla Vergine e una mansus indominicatus (è l’espressione
impiegata nel documento), di cui non sono fornite ulteriori precisazioni. Nulla si conosce dunque
dell’impianto cultuale originario: verosimilmente fu proprio la residenza signorile, il mansus, ad
essere convertita in originaria residenza per i monaci (i casi di reimpiego di villae rusticoresidenziali non sono infrequenti a livello monastico 21), ma non vi sono i dati archeologici per
provarlo.
Dopo un lungo “silenzio stratigrafico”, che non ha visto nessuno scavo scientifico tra il 1951
e il 1990, la ripresa delle indagini archeologiche all’interno di un progetto organico promosso dal
Service des Monuments Historiques, accompagnata da nuovi studi di archivio, ha iniziato a
rileggere le tesi di Conant evidenziando, per l’articolazione delle chiese di Cluny A, Cluny I e
Cluny II, l’inesattezza dell’ubicazione, i tratti costruttivi o la stessa identificazione.
In primo luogo, le strutture murarie che secondo Conant rappresenterebbero la divisione in
tre navate di Cluny A sembrano invece appartenere, data la loro morfologia e la posizione, ai resti
della cripta dell’abbaziale di Cluny II, non identificata invece durante le sue indagini.
Le tracce archeologiche collegate a Cluny I, anch’esse praticamente minime, sono state
riviste alla luce delle campagne di scavi condotte sotto il grande transetto e nel cortile della
Congregazione22: è emerso che i lacerti murari considerati da Conant come Cluny I sono invece
relativi ad un edificio contemporaneo a Cluny III, sebbene rimanga ancora incerta la sua
destinazione funzionale (cappella, sacrestia?).
Esclusa dunque con molte probabilità l’esistenza di Cluny A e Cluny I, per quanto concerne
Cluny II, oltre alla presenza della cripta, sembra diversa la tipologia dell’avant-nef. Non vi sono
infatti ragioni per “accorciare” la galilea, come fa Conant, anteponendole un atrio; sulla base delle
misure indicate nel Liber tramitis e dell’avant-nef di Tournus, della stessa epoca (prima metà del
sec. XI), Sapin ha corretto la planimetria ricostruendo una galilea non preceduta da atrio, articolata
in tre navate di cinque campate, per una lunghezza totale di 22 m e una larghezza di 16, 50 m, e con
un piano sopraelevato (Figg. 18-19)23. Cluny II è una chiesa a tre navate con transetto piuttosto
sviluppato, concluso alle estremità da due cappelle absidate; in corrispondenza della crociera si erge
una torre; il coro è concluso da tre absidi scalate contenenti gli altari dedicati ai titolari del
monastero, Pietro e Paolo, le cui reliquie sono conservate nell’altare maggiore, e alla Vergine. È la
spinto certo da evidenti ragioni: in primo luogo alcuni degli antichi edifici potevano essere abitati nell’immediato, quasi
senza rifacimenti; in secondo luogo la villa occupava l’area topograficamente più favorevole, che assicurava
approvvigionamento idrico ed uno spazio coltivabile. Per le ultime indagini condotte sul sito dalla Soprintendenza
Archeologica per il Lazio cfr. FIORE CAVALIERE 1995.
21
Tra le fondazioni cluniacensi si veda Payerne, in Svizzera, dove indagini archeologiche e materiali riconducono ad
una villa di epoca romana (SENNHAUSER 1991).
22
BAUD, ROLLIER 1993.
23
Cfr. SAPIN 1990.
galilea, di cui si dirà in seguito, la vera innovazione dell’architettura cluniacense, nata in risposta a
specifiche esigenze.
Cluny III. Riguardo ad essa le possibilità di studio sono più ampie perché parte degli edifici
sono ancora oggi visibili. Sulla base delle indagini di scavo e delle analisi degli elevati, condotte da
A. Baud a partire dal 1991 nel braccio meridionale del grande transetto (fig. 158) (dove si è
conservata nelle sue forme originarie, mentre tutte le altre parti hanno subito le distruzioni massicce
del primo Ottocento), è possibile evidenziare alcune caratteristiche fondamentali per comprendere
le tecniche medievali di costruzione e cosa rappresentò veramente il cantiere di questa chiesa per le
conoscenze architettoniche della fine dell’XI secolo24. In particolare:
- cinque navate (riferimento all’antico e al mondo paleocristiano di Roma), transetto molto
aggettante, raddoppiato (per aumentare il numero degli altari su cui celebrare messe votive),
terminazione con deambulatorio su cui si aprono cappelle a raggiera, galilea (caratteristiche
tipicamente romaniche);
- è un monumentale edificio di pellegrinaggio, in virtù della presenza delle reliquie dei santi
apostoli; ha numerosi campanili per segnalare ai pellegrini anche da lontano il luogo in cui sorge la
chiesa;
- dimensioni ragguardevoli: 187 m di lunghezza (dall’abside all’avant-nef), e 30 di altezza, più di
10 metri oltre le altezze massime sino ad allora raggiunte;
- tecnica costruttiva diversificata: a) muratura a blocchetti (fig. 165); b) messa in opera secondo la
“tecnica orizzontale”, a strati sovrapposti e progressivamente livellati; stilatura dei giunti con la
cazzuola, tipica degli edifici dell’XI secolo nella regione borgognona; c) grand appareil (fig. 167),
ovvero la muratura in grandi blocchi di pietre perfettamente squadrate, utilizzato però soltanto per
ridotti spessori a rivestire muri interni (riferimento ai monumenti antichi e soprattutto a Roma);
- soluzione tecnica innovativa: non si ricorre a edifici laterali su cui il peso delle volte si possa
scaricare, bensì alla realizzazione di un’ossatura portante che si regga in sé stessa, attraverso un
ingegnoso equilibrio di supporti, a creare un vero e proprio scheletro dell’edificio; l’elevato si
struttura con una serie di arcature cieche decorate da pilastri e da finestre (figg. 166-167); per la
prima volta nella storia dell’architettura romanica si fa ampio uso della volta ad ogiva, funzionale
alla copertura su simili altezze ;
L’abbaziale voluta da Ugo di Semur, consacrata nel 1088, è dunque un progetto audace, che
unisce tradizione e innovazione giungendo talora al limite della sperimentazione architetturale. La
pianta rappresenta la risposta a precise esigenze liturgiche- quali la creazione di spazi per le grandi
24
Per la bibliografia essenziale cfr. i contributi di PALAZZO 1988; CHRISTE 1996; ROLLIER, HANSELMANN
2002.
folle di pellegrini che si radunavano nell’abbazia- e si rispecchia nelle grandi basiliche martiriali
romane; la presenza del deambulatorio a cappelle radiali e lo sdoppiamento del transetto innovano
però la tradizione per venire incontro alla necessità di altari destinati alla celebrazione delle
numerose messe votive.
Le norme liturgiche non dettano invece l’organizzazione degli alzati, in cui domina
unicamente il desiderio di grandezza, di elevazione, a dimostrazione del prestigio del monastero, in
una tensione costante verso nuove forme costruttive. Gli elevati di Cluny III presentano una tecnica
muraria che combina i grandi blocchi squadrati, utilizzati nell’ossatura dell’edificio per tutti gli
elementi architettonici e strutturali, e le pietre sbozzate, poste a filari orizzontali nei paramenti
murari25 (Fig. 20). Il sistema di costruzione è particolarmente innovativo, con la creazione di
un’ossatura attraverso un’ingeniosa articolazione dei supporti, considerati come scheletri
dell’edificio, che si arricchisce poi di arcate cieche, pilastri e alte finestre; rimane dunque un alzato
costruito “per livelli”, che culmina con volte ogivali ed ampie cupole (Fig. 21). Cluny III, la c.d.
Maior ecclesia, rappresenta la traduzione materiale dell’idea di una grande Congregazione che,
come un corpo che funzioni in armonia, ha un capo – Cluny e la sua chiesa, cuore pulsante
dell’intero monastero – e le membra, che sono le sue numerosissime e anche lontane dipendenze,
unite al capo dalla unanimitas, in piena concordia e sintonia con il centro.
Si conosce, sebbene parzialmente, anche la pavimentazione di questa chiesa: dagli scavi
provengono infatti grandi lastre quadrangolari in calcare, con il lato di 67, 5 cm, decorate attraverso
intarsi di paste vitree (Fig. 22a e 22b). Durante un intervento di emergenza, condotto alla fine degli
anni Ottanta nell’area occupata dall’avant-nef, sono stati inoltre recuperati numerosi frammenti
scolpiti, interpretati come elementi dell’arredo liturgico (Fig. 23), analoghi ad altri messi in luce già
in precedenza in diversi spazi dell’abbazia.
Da questi lavori provengono anche alcuni capitelli frammentari e lacerti di intonaco che
riconducono ad un importante edificio monastico di epoca preromanica di cui non è ancora certa la
planimetria; sono stati evidenziati inoltre molti sistemi di drenaggio e canalizzazione delle acque,
dei quali si ignorava l’esistenza, che testimoniano come l’abbaziale sia stata installata in una
posizione topografica particolarmente umida, che ha richiesto corposi interventi di risanamento 26.
Insospettato è stato anche il ritrovamento di alcune strutture, non ancora messe in luce prima d’ora,
come un grande muro di contenimento E-O realizzato all’epoca della costruzione dell’avant-nef27.
In occasione degli scavi nell’area del transetto sono emersi due tipi di murature anteriori a
Cluny III e non un tipo solo, come aveva visto Conant nell’ambiente identificato come la Torre del
25
Per approfondite considerazioni sull’analisi degli elevati cfr. BAUD 2002.
ROLLIER 1993.
27
BAUD, ROLLIER 1993.
26
Tesoro: la tessitura muraria di quest’ultima, in opus spicatum, può appartenere al monastero degli
inizi del sec. XI ma è preceduta da un’altra più antica. Sono state indagate anche aree di
frequentazione di un’epoca ancora più remota, che i frammenti ceramici riconducono
all’altomedioevo. Queste cronologie e la funzione di queste strutture attendono ancora un
approfondimento delle ricerche ma già allo stato attuale rappresentano una pagina importante della
storia dell’abbazia borgognona, i cui dati più antichi si limitavano ad un frammento decorato con un
intreccio, reimpiegato sul muro meridionale della cappella di Saint-Denis (Fig. 24).
Le indagini recenti mettono in evidenza la potenziale ricchezza del sottosuolo di Cluny per
la ricerca futura, soprattutto nelle zone dove lo spessore dei sedimenti di accumulo è più consistente
(le aree del noviziato e dell’infermeria). Le campagne archeologiche di questi ultimi anni non hanno
fornito fino ad ora molte indicazioni sull’organizzazione del monastero ma unicamente sulle chiese
abbaziali. Solo con la redazione del Liber Tramitis aevi Odilonis abbatis, nel secondo quarto
dell’XI secolo (sono le Consuetudini cluniacensi raccolte al tempo di Odilone28), si possiede una
descrizione degli edifici monastici che riporta anche le dimensioni delle strutture, come già aveva
indicato Conant; il tentativo dell’archeologo americano di pianificare sul terreno quest’articolazione
spaziale senza l’ausilio di dati di scavo e aiutandosi con le planimetrie del 1700 rimane però una
ricostruzione ideale. Il testo infatti non suggerisce una visione d’insieme simile a quella della pianta
di S. Gallo, da cui Conant rimane influenzato al punto di individuare analogie e paralleli troppo
precisi, che si rivelano pertanto azzardati (Fig. 25). Nel Liber gli edifici sono indicati l’uno dopo
l’altro con misure, una sommaria descrizione e talora alcune particolarità, ma non viene fornita la
ricostruzione della disposizione generale e il rapporto tra i diversi spazi è lasciato
all’immaginazione del lettore.
Attraverso la lettura di questo documento è stata ipotizzata di recente la seguente
successione di ambienti per l’XI secolo29, in aderenza a quanto ancora visibile in altri complessi
monastici di quest’epoca, spesso vicini al mondo cluniacense; questo piano di base, in molti punti
analogo a quello di Conant, può però tradursi nella sua topografia reale in tanti modi diversi, a
seconda del posto e dell’ingombro che si vuole attribuire agli ambienti angolari (cucina, sala
riscaldata):
-
nell’ala orientale, a sud dell’abbaziale, al piano terra si susseguono prima la sala capitolare
(Capitulum, n. 4), poi il parlatorio (auditorium, n. 5) e in seguito la camera (n. 6), cioè una
28
Consuetudines di Farfa, testo in seguito pubblicato sotto il titolo di Liber Tramitis aevi Odilonis abbatis Si veda
l’edizione di DINTER 1980 nel Corpus Consuetudinum Monasticarum, X.
29
SAPIN 2002, pp. 100-101; in assenza di basi archeologiche non è possibile spostarsi dal puro campo delle ipotesi,
tutte ugualmente valide. In quest’epoca, quando venne edificata Cluny II, si calcola che la comunità monastica fosse di
oltre cento monaci.
grande sala lunga 90 piedi destinata alle diverse attività lavorative che si svolgevano nel
monastero (analogamente alla grande sala conservata a Digione, chiamata spesso “sala dei
monaci”). Riguardo la sala capitolare abbiamo in questo testo una delle prime menzioni di
essa; le sue dimensioni sono di 45 per 34 piedi, e si affaccia con il lato occidentale verso il
chiostro, attraverso 12 aperture, come ancora è possibile vedere a San Benigno di Digione;
la divisione spaziale attraverso due file di colonne proposta da Conant pare invece molto
ipotetica30. Al di sopra di tutti questi ambienti si estende per l’intera lunghezza il
dormitorio, lungo 165 piedi e largo 34, illuminato attraverso 97 finestre vetrate, larghe due
piedi e mezzo e alte quanto un uomo in piedi con le braccia alzate. Perpendicolare a
quest’ala vi erano le latrine e vicino i bagni, con dodici stanze riscaldate tramite vapore.
Tutto sembra frutto di un’attenta pianificazione ragionata in base alle esigenze, dalle
dimensioni degli spazi, spiegabili in relazione ad una comunità che contava più di un
centinaio di monaci, ai più piccoli particolari, come il deposito per la biancheria da
rammendare, collocata sotto la scala del dormitorio.
-
Spostandosi verso l’ala meridionale dopo un piccolo locale riscaldato, di forma quadrata e
con il lato di 25 piedi vi era il refettorio, parallelo alla chiesa, lungo 90 piedi, largo 25 e alto
23, con otto finestre che lo rischiaravano. Dopo di esso era ubicata la cucina dei monaci
(Coquina regularis) e poi quella dei laici (Coquina Laicorum), delle stesse dimensioni (30 x
25 piedi).
-
Passando nell’ala occidentale si trovava la dispensa, lunga 70 piedi e larga 60, simile a
quella conservata parzialmente a Tournus. Con questo locale si è giunti alla chiesa,
preceduta solo dalla sala dell’elemosina e dalla galilea.
-
A Nord della chiesa: laboratori artigianali per la vita quotidiana dell’abbazia e gli edifici di
accoglienza per gli ospiti (ancora in progetto forse, c’è uil congiuntivo), distinti per donne e
uomini e soprattutto funzionali al cantiere di ricostruzione della chiesa abbaziale (grande
fornace per la fusione dei metalli).
-
I luoghi di sepoltura erano a Est dell’abbaziale, nel cosiddetto “cortile della Congregazione”,
in un’area in cui le fonti più tarde attestano una “cappella del cimitero”, forse nell’ambito
del cimitero per i monaci; il cimitero per i laici sorgeva invece probabilmente a Nord della
chiesa.
-
Vi erano poi oratori interni al monastero: la cappella di S.Maria del cimitero (a Est
dell’abbaziale); a Est della sala capitolare esisteva un altro oratorio dedicato a S. Maria, che
svolgeva un ruolo importante nelle processioni solenni (analogamente alla galilea), per le
30
Per approfondimenti sulla genesi della sala capitolare, forme e funzioni di essa in Occidente cfr. GILLON 1998.
celebrazioni mattutine e serviva anche come chiesa dei malati, forse in relazione ai locali
dell’infermeria;
Questa disposizione dei principali ambienti monastici intorno ad un cortile/chiostro, secondo
una pianificazione organica, è ricostruita in continuità con gli schemi carolingi, analogamente a
quanto appare a Digione e a Tournus agli inizi dell’XI secolo. Riguardo il chiostro il testo scritto
non fornisce alcun dettaglio; solo la Vie de saint Odilon, della metà dell’XI secolo, racconta che
l’abate ricevette dal predecessore un chiostro di legno e lo trasformò in uno marmoreo31., ma ciò può
essere interpretato come una formula retorica e i pochi capitelli conservati negli spazi museali non
rappresentano la soluzione del problema.
La localizzazione della foresteria pare invece che non sia da situarsi a Nord-Ovest
dell’abbaziale, bensì che sia ancora “in progetto” 32. Solo in questo modo infatti si può cercare di
spiegare la presenza del congiuntivo nel testo del Liber tramitis, che usa questo tempo verbale
quando parla della casa per gli ospiti, ed anche del noviziato, delle officine, delle stalle; cercare di
dare forzatamente un posto a tutti questi locali significa vedere uno sviluppo troppo influenzato da
quello della pianta di S. Gallo.
A livello di sistema difensivo doveva esistere probabilmente la grande torre meridionale
verso il fiume Grosne, la tour des Fèves, detta in seguito la tour des Fromages perché venduta alla
fine dell’Ottocento ad un mercante di formaggi; risale nella sua parte inferiore all’epoca
dell’abbaziato di Odilone, e potrebbe appartenere ad una cinta in pietra che avrebbe sostituito una
precedente palizzata lignea.
Inoltre gli scavi recenti hanno messo in luce più tappe di lavoro per la sistemazione di
terrazze destinate a compensare la pendenza del sito verso la Grosne33, ragioni che hanno certo
determinato l’articolazione strutturale del monastero nelle sue varie fasi (Fig. 26). Gli ambienti
dell’epoca di Odilone occuperebbero, secondo la ricostruzione proposta, l’area della terrazza
intermedia, una posizione protetta dalle piene della Grosne ma che risentiva dei vantaggi offerti
dalla vicinanza del corso d’acqua. Le vetrerie, le officine per l’attività dell’abbazia e probabilmente
per l’edificazione di Cluny III sarebbero invece riferibili ad una fase cronologica posteriore (la
seconda metà del sec. XI), e si collocherebbero nell’estremità orientale dello spazio monastico,
quello occupato dall’infermeria (che già nel Liber contava quattro ambienti); nei pressi di essa
31
L’attività di Odilone, come grande costruttore e fautore del prestigio dell’abbazia, è ricordata con ammirazione
dall’amico Jotsald, che scrisse verso la metà del sec. XI la Vita Sancti Odilonis (per l’edizione cfr. FINI 1975 e, per un
recente panorama sull’agiografia abbaziale, IOGNA-PRAT 1992).
32
ROLLIER 1994, p. 17.
33
Per lo studio di questi terrazzamenti e dell’attività dei monaci a riguardo cfr. ROLLIER 2000. La configurazione
naturale del rilievo di Cluny spiega le sorprendenti contiguità tra spessori di sedimenti archeologici molto differenti e la
profondità del substrato geologico, che da 0,70 m può giungere a più di 4 m.
sono stati messi in luce abbondanti accumuli di scorie che rimandano ad una fucina e un
appartamento dell’abate che si installa alla fine del medioevo34.
L’articolazione degli edifici monastici è più chiara sotto l’abbaziato di Ugo di Semur (10491109), quando la comunità era formata da oltre 400 monaci e il monastero era al culmine del suo
apogeo: il chiostro e gli edifici che gravitavano intorno ad esso vengono interamente rinnovati e
riadattati alle nuove esigenze della congregazione (il refettorio, largo ora 70 piedi e lungo 120,
viene diviso in tre navate; il muro di cinta si amplia a più riprese). Anche per quest’epoca le ipotesi
di K.-J. Conant, preoccupato di fornire tutti i possibili dettagli architettonici e le fasi cronologiche
delle costruzioni, non risultano convincenti circa l’organizzazione del complesso monastico (Fig.
27), ricostruito attraverso documenti testuali e grafici del XVII secolo, seguendo un ragionamento
che implica necessariamente la perennità delle strutture. I limiti di tale metodo sono ben evidenti, in
quanto piante e testi moderni presentano il risultato di una forte dinamica costruttiva, iniziata nel X
secolo e proseguita sino al XVII. Con l’inizio del cantiere di Cluny III si determinò infatti una
ricostruzione di molti edifici monastici. La miglior prova archeologica, ancora adesso visibile, sono
le cosiddette scuderie di S. Ugo, parte di una nuova foresteria che era lunga in totale 53 m per 14,
80; rimane oggi come testimonianza un edificio più piccolo, realizzato in petit appareil con ampie
finestre simili a quelle del grande transetto. La dendrocronologia ha confermato una data tra il 1095
e il 1107; la struttura era completata da portici che la costeggiavano ai lati.
Dietro le scuderie di S. Ugo limitati sondaggi realizzati in occasione della risistemazione della
piazza del Mercato hanno messo in luce resti di murature; la presenza di sepolture anteriormente
agli edifici della fine dell’XI secolo pone il problema della posizione delle zone cimiteriali prima
della realizzazione, nel XII secolo, della cinta35. Infatti la cappella triconca di “Notre-Dame-duCimetière”, posta ad E dell’abbaziale e di cui si ha menzione dalla fine dell’XI secolo, sebbene
possa forse risalire al X secolo, segna lo spazio del cimitero monastico, diviso nei testi da quello dei
laici, ubicato verosimilmente a N della galilea di Cluny II36.
La cantina-granaio (“farinier”) è stata datata in base ad uno studio recente dell’elevato alla
seconda metà del XIII secolo: era formata da una cantina, al piano inferiore, forse destinata anche
ad attività artigianali, in quanto utilizzava un ruscello canalizzato, e un piano superiore per lo
stoccaggio; accanto vi è la Torre del Mulino, a pianta quadrata e ancor’oggi visibile, strutturata da
più piani e con un mulino idraulico.
34
SAPIN 2002, p. 101.
ROINE 1993.
36
Il problema della localizzazione delle aree cimiteriali nell’abbazia e della distinzione tra spazi per i monaci e spazi per
i laici è complesso e soggetto a continue revisioni a seguito delle ricerche in corso; per una sintesi si veda BAUD 1999.
35
L’articolazione del monastero a partire dal XIV secolo è meglio documentata e su di essa la
critica è sostanzialmente concorde; per questo motivo non è stata presa in considerazione
nell’economia del presente lavoro37.
Peculiarità dell’architettura cluniacense.
Un elemento che pare caratteristico delle fondazioni cluniacensi, o comunque di abbazie con
forti legami con Cluny, è la galilea38.
Con questo termine si intendono architettonicamente i corpi occidentali che precedono le
navate (fig.), spesso organizzati in più campate e suddivisi all’interno in due piani, di cui quello
inferiore può essere chiuso o aprirsi all’esterno mediante arcate, mentre quello superiore ospita una
cappella, conclusa verso oriente - e dunque verso la navata - da un’abside il cui catino si affaccia
sulla navata sottostante.
Lo spazio della galilea ha delle specifiche funzioni:
o A) il nome della regione della Palestina veniva tradotto in latino sin dall’età carolingia
come “transizione” da uno stato di vita imperfetto ad uno perfetto, rappresentato dalla
fede, o anche, in termini più generali, transizione dalla morte alla vita eterna, seguendo il
Cristo resuscitato. Del resto è in Galilea che Gesù riappare ai discepoli dopo la
resurrezione: la Galilea è allora il simbolo dell’incontro con il Signore alla fine dei
tempi, è il simbolo della transizione alla vita eterna. Ruolo del piano inferiore della
galilea nella liturgia processionale della domenica, giorno della resurrezione per
eccellenza: essa diventa il luogo simbolico della visione del Cristo resuscitato;
o B) funzioni della cappella al primo piano: si trovava in questo luogo l’altare al quale
erano celebrate tutte le messe per i defunti, in una liturgia commemorativa di fatto
perenne; esso era sufficientemente lontano dal presbiterio per non disturbare (sono
messe cantate) la normale liturgia che si svolgeva all’interno della chiesa;
contemporaneamente si trovava nel luogo più a contatto con l’esterno, a soddisfare
dunque quell’intenzione di visibilità al mondo laico e di presentazione della chiesa
cluniacense come luogo della commemorazione;
o C) dalla fine dell’XI secolo: il significato della galilea, fino ad allora espresso soltanto
mediante la liturgia, si esplicita anche a livello figurativo. Uno dei casi più significativi è
la galilea di Vézelay (Borgogna), dove si possono ammirare capitelli con scene di riti
funebri e di battaglie tra angeli e demoni per la salvezza delle anime nel giorno finale
(fig. ).
La galilea divenne una caratteristica di Cluny e delle dipendenze cluniacensi in quanto Odilone
si fece anche promotore di un grande sviluppo della liturgia dei defunti, imponendo una
moltiplicazione delle messe per i morti39. L’attenzione per la preghiera in suffragio dei defunti non è
37
Si vedano in particolare i contributi di ROLLIER 1994, pp. 28-49; RICHE 2002; SALVÊQUE 2002; IOGNA-PRAT
2002.
38
Se la galilea di Cluny è soltanto ricostruibile, non senza ancora qualche incertezza, sulla base dei dati di scavo,
conosciamo abbastanza bene questi edifici grazie ad alcune dipendenze cluniacensi in cui essi si sono ben conservati.
39
Il culmine diquesta importante innovazione liturgica è rappresentato dalla festa di tutti i defunti (2 novembre) che
Odilone istituisce nel 1030, festa cluniacense per eccellenza, la quale nel giro di qualche decennio si diffonde in tutta la
certo una novità cluniacense, ma è ben presente già nel mondo carolingio, dove i monaci assicurano
delle commemorazioni globali: durante la messa vengono cioè idealmente ricordati tutti i morti il
cui nome era scritto nel liber vitae o liber memorialis, deposto sull’altare durante la celebrazione.
La novità di Cluny risiede invece nel ricordare nominativamente i defunti, monaci o benefattori
laici che siano, i cui nomi sono annotati in appositi libri detti “obituari” perché accanto al nome del
defunto veniva annotata anche la data di morte, appunto l’obit. Questa “individualizzazione” della
commemorazione si accompagna allo sviluppo di messe specifiche, celebrate per i singoli defunti, a
date fisse e cadenze regolari (trenta messe per tutti i trenta giorni dopo la morte, anniversari).
I monaci di Cluny divengono così i depositari di una liturgia della morte che si fa sempre più
articolata ecomplessa e che ha ricadute anche economiche di notevole importanza, in particolare in
relazione alle aperture al mondo laico: i benefattori possono beneficiare delle preghiere e della
commemorazione da parte dei monaci e la donazione diventa sempre più spesso il mezzo per essere
sepolti all’interno del complesso monastico.
cristianità occidentale.