La Sicilia - Armando Editore
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LA SICILIA GIOVEDÌ 22 NOVEMBRE 2012 ggi Cultura .21 MUSICA SCAFFALE/2 John Cage, genio e provocazione Il Vangelo di Marco molto teologico 4’33”, quattro minuti e trentatré secondi di silenzio ininterrotto. E’ questa, forse, l’opera più rivoluzionaria e geniale dell’intero panorama musicale del Novecento del secolo scorso. Lo stesso autore, John Cage, la ritiene la sua opera più importante, lam più indicata, probabilmente, ad essere ritenuta un’opera d’arte definitiva. Ed è proprio da qui che parte e prende spunto il libretto di David Sylvester “John Cage” (Castelvecchi, Collana Eccetera, pp. 64, euro 7,00). Si tratta del dialogo a tre voci tra Sylvester, uno dei più accreditati critici musicali a livello internazionale, il compositore Richard Smalley, e lo stesso Cage, registrato per la Bbc nel dicembre 1966. E’ l’occasione per compiere un viaggio a ritroso, attraverso una serie di aneddoti, spiegazioni, concetti, nella storia di John Cage, nelle sue opere e nelle idee che hanno costituito le basi della sua teoria segnando la storia dell’arte contemporanea. Satie, Bach, Stravinskij e, soprattutto, il suo maestro Schoenberg, sono i capisaldi di una teorizzazione della musica che, spesso, trascende dal classico modo di intendere l’arte offrendone una visione più ampia, capace di spunti di riflessione filosofica e sociale. “Non c’è nulla da studiare nell’armonia che non si possa imparare in venti minuti. Dopodiché, con dieci minuti in più, si potrebbe aggiungere tutta l’armonia moderna fino alla teoria classica” racconta Cage, maestro di provocazione come pochi altri. Considerato a lungo il più antico dei quattro Vangeli, quello redatto da San Marco è stato studiato con particolare attenzione dai biblisti che, al di là dell’apparente semplicità lessicale, vi hanno ravvisato un testo di notevole spessore teologico. Tale consapevolezza ha incoraggiato il fiorire di ricerche sugli aspetti narrativi e letterari dello scritto marciano. In questo contesto va a collocarsi il recente denso volume di David Pratesi, «Le parole e l’incanto, I lineamenti testuali del Vangelo secondo Marco» (Armando Editore, pp. 204, euro 19), nel quale l’autore, docente di lingue e specialista in linguistica testuale, esplora il Vangelo di Marco proprio come il «luogo di uno straordinario manifestarsi del linguaggio». La sicura competenza di Pratesi conduce il lettore in ambiti poco noti, senza sacrificare il più semplice e genuino rapporto che ogni persona può e deve instaurare con il testo sacro. Anzi: le analisi e gli approfondimenti aiutano a comprendere meglio la valenza esistenziale della parola evangelica, capace di comunicare il mistero per eccellenza, quello della salvezza recata al mondo da un Dio fattosi uomo che si è messo a parlare la lingua degli uomini, affinché tutti fossero in grado di capirlo e potessero rispondere alla sua chiamata. Dall’indagine di Pratesi emerge la finalità relazionale della narrazione evangelica mirante a permettere l’incontro salvifico tra Cristo e ogni uomo. LEONARDO LODATO MAURIZIO SCHOEPFLIN Entrambi i registi prediligono volti grotteschi, spettrali, cupi e naif mutuati da Fellini e Pasolini che sceglievano i visi più strani, deformi, stralunati ME T I C A M Il Parlamento da proteggere E’ come la casa di Dio MARIO BRUNO ’uno è il re del brivido, l’altro il maestro (e il poeta) delle immagini e di indimenticabili storie siciliane (e non solo). Sì, sono Dario Argento e Peppuccio Tornatore, apparentemente così diversi eppure simili, con non pochi denominatori in comune. Entrambi si apprestano a tornare sugli schermi: il primo con «Dracula in 3D» tratto dal capolavoro gotico di Bram Stoker; il secondo con «The best offer», vicenda ambientata nel mondo dell’alta finanza e degl’intrighi di potere annessi. Chi sospetterebbe che i due cineasti hanno delle affinità, delle analogie? Nessuno, eppure è così, il regista di «Profondo rosso» e quello di «Nuovo cinema Paradiso» condividono più di una peculiarità, nonostante i generi diversi che affrontano nei loro film. Peculiarità che adesso esamineremo. Tutt’e due anzitutto prediligono l’uso del dolly, tecnica appresa da Sergio Leone (ricordiamo che Argento firmò, assieme a Bernardo Bertolucci, la sceneggiatura di «C’era una volta il West»). Dario ama far salire la macchina da presa per passare da un campo medio a un campo lunghissimo e lo ha dimostrato in «Phenomena», «Opera» e «Trauma» (girato a Minneapolis), mentre memorabili sono le progressive riprese dall’alto di Tornatore nel film con cui ha vinto l’Oscar («Nuovo cinema Paradiso»), ne «L’uomo delle stelle», ne «La leggenda del pianista sull’oceano» e in «Baaria». Ma come sottacere i magistrali effetti dolly di «Malèna» sulla piazza Duomo di Ortigia a Siracusa? Semplicemente spettacolari. Altri «dettagli» in comune: le facce. Volti grotteschi, spettrali, cupi e naif mutuati da Fellini e Pasolini che sceglievano i visi più strani, deformi, stralunati. Nel caso di Argento basti pensare all’ovale da paura di Clara Calamai o alle rughe da strega di Stefania Casini e della Mater suspirorum di «Suspiria», L ANTONIO RAVIDÀ C Dario Argento sul set de «La terza madre» e Giuseppe Tornatore sul set di «The best offer» Tornatore e Argento insospettate affinità dei due registi mentre spigolosi e carichi di lirismo sono i visi dei paesani truffati da Castellitto in «L’uomo delle stelle». Argento, poi, come Fellini bada molto ai colori, ritoccando la pellicola con rossi vividi e intense sfumature di giallo, azzurro e verde smeraldo. Ed entrambi curano con maniacale attenzione la fotografia, sempre nitida e impeccabile. E adesso la Sicilia, adorata da Peppuccio che ha girato ovunque, da Ragusa Ibla a Catania, dalla citata Siracusa al Palermitano con in testa la sua Bagheria; ma amata pure da Argento, benché tutti i suoi film siano stati ambientati altrove, principalmente a Torino e Roma, ma pure negli Stati Uniti e a Friburgo, in Germania. Tornatore ha girato una lunga sequenza di «Baaria» nella famosa Villa dei mostri, e anche Dario visitò questa storica residenza, anni fa, con l’intento di farne una location per uno dei suoi thriller, ma poi qualcosa non funzionò e il progetto fu accantonato. Tornatore tenta l’avventura paranormale con l’ottimo “Una pura formalità” interpretato dai grandi Gérard Depardieu e Roman Polansky e si cimenta pure in un blando horror con “La sconosciuta”, dove un cinico Michele Placido viene accoltellato senza pietà da Xenia Rappoport con vistoso spargimento di sangue. Sia Dario sia il suo collega siculo hanno un attore prediletto: Gabriele Lavia, bravissimo in «Profondo rosso» e «Non ho sonno» di Argento così come ne «La leggenda del pianista sull’oceano» di Tornatore. Altra caratteristica comune: la scelta di rinomati attori stranieri. Con Tornatore hanno lavorato Tim Roth, la succitata russa Xenia Rappoport, Ben Gazzara, Jacques Perrin, Philippe Noiret e Brigitte Fossey; con il mago della paura Tony Musante, David Hemmings, Anthony Franciosa, John Saxon, Catherine Spaak, Max Von Sydow, Karl Malden, James Franciscus, Jennifer O’ Connelly, John Steiner, Cristina Marsillach, Jessica Harper. Sarebbe bello se i due fuoriclasse firmassero un film a quattro mani ambientato ovviamente nella nostra meravigliosa isola. Chissà… BESTSELLER Glenn Cooper stasera a Messina Glenn Cooper ha venduto oltre 1 milione e mezzo di copie del libro «I custodi della biblioteca» seguito de «La biblioteca dei morti» e de «Il libro delle anime», romanzi incentrati sulla figura di Will Piper. Nel 1296, abbazia di Vectis, gli scrivani dai fulvi capelli sono tutti morti. Come cloni autistici, si sono tramandati di generazione in generazione il compito di comporre la biblioteca dove venivano conservati i libri contenenti le date di nascita e di morte di tutte le persone vissute dall’ VIII secolo in poi. Ora nessuno di loro è vivo, si sono tolti la vita in silenzio, scrivendo un’ultima data, il 9 febbraio del 2027. Clarissa non sa di essere lei la causa di quel gesto, desidera fuggire lontano da quel luogo misterioso e lugubre, non sa nemmeno che quando darà alla luce il bambino che porta in grembo, quell’incubo farà ritorno. A distanza di secoli, il mistero ricompare, come era accaduto nel 2009, quando decine di persone avevano ricevuto una lettera con la data della morte. L’autore in mini tournée italiana incontra il pubblico stasera a Messina, Santa Maria Alemanna ore18.30. IL LIBRO DI PASQUALE MUSARRA Provocazioni «matèliche» della poesia GRAZIA CALANNA n queste provocazioni matèliche c’è tutta la consapevolezza e la constatazione di una realtà al confine e al limite dei quali il nostro autore si ferma in tempo e vi si siede sopra; forse per non svelare cosa sta al di là del muro». Con le parole dell’aedo Alfio Patti per introdurre la trattazione di «Matelica. Dalla Parola al Tempo… la fine della Poesia», ultima fatica letteraria di Pasquale Musarra (Armando Siciliano Editore). Un versificare veemente, prospero di passioni che guizzano dal petto dell’autore al letto del niveo foglio, fino a penetrare l’intelletto (tutto) del lettore assorto, «Siamo noi che costruiamo i ricordi, / fluide illusioni e certezze su vaghi pensieri». Versi dondolati dal tempo, orchestrati dal verbo, consacrati all’intimo (sacrosanto) fragore dei sogni, «sorridono e danzano, a volte, / su scene di luci irradiate da fi« PASQUALE MUSARRA I asi di coscienza in tempi ardui come i nostri non ne mancano. Un cattolico praticante può averne facilmente uno se al momento del segno della pace fosse accanto a «Batman» Franco Fiorito, l’ex capogruppo del Pdl alla Regione Lazio arrestato per aver fatto razzia di soldi pubblici a milioni dalle casse del partito dal quale è stato cacciato. E lo stesso può dirsi per i suoi innumerevoli epigoni di quasi tutti i partiti, per chi ha «mangiato» e ha fatto «mangiare». Un po’ di luce comincia a vedersi mentre uno scandalo tira l’altro come le ciliegie: la legge anticorruzione, sebbene non perfetta e bisognosa di adeguate riforme del Codice Penale, è stata votata; inoltre fra la gente comune, come confermano i test, si fa sempre più largo il disprezzo per i moltissimi politici che rubano a man bassa e con ostinata protervia non comprendono come non sia più rinviabile il rinnovamento da tutti richiesto. Davanti al ciclopico da farsi che ci attende tutti, viene alla mente l’ «evitare lo scandalo» della prima lettera di Paolo ai Corinzi con il monito «Nessuno cerchi l’utile suo, ma quello altrui». C’è da fare tesoro, ma davvero e non a parole, dei testamenti spirituali di Giovanni Paolo II, Carlo Maria Martini, Salvatore Pappalardo e anche dei nostri Santi siciliani come ha ricordato un recente editoriale su questo giornale. Una volta di più è bene riflettere sull’uso e sull’abuso del denaro per cui appare appropriato il proverbio di Salomone noto come lo straricco sovrano delle favolose miniere che era anche un grande saggio: «A che serve il denaro in mano allo stolto? Forse a comprare la sapienza se egli non ha senso». Arricchimenti rapidi, spropositati e inspiegabili, eccessi di potere, comportamenti immorali che offrono pessimi esempi ai bambini «che capiscono tutto» e ai giovani che non sanno come cavarsela, non possono essere ritenuti peccati veniali e, quando viene disatteso, il comandamento «Non rubare» dev’essere adeguatamente punito anche dalla Chiesa. In proposito il Vecchio Testamento fornisce indicazioni interessanti. Nel suo primo discorso Eliu, fiducioso, osserva che non vi è tenebra, non densa oscurità dove possano nascondersi i malfattori. E se la Chiesa educa i cristiani al perdono, li invita a porgere l’altra guancia, a non odiare chi ti fa del male, propone la parabola del figliol prodigo, ecc. riconduce pure a Gesù che scaccia i mercanti dal tempio. Giovanni riferisce che su tutte le furie Gesù ordinò: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato». Una sede parlamentare o consiliare è la casa comune, anche la casa di Dio. Senza furori persecutori e senza l’ipocrita supponenza di quanti, ritenendosi immuni dal peccato, scagliano la prima pietra, deve essere ferreo il proposito di eliminare dalla politica i ladri e gli inetti e premiare i volenterosi e i capaci. Il cardinale Paolo Romeo ha espresso riserve sull’esigua legittimazione popolare in Sicilia per il solo 42% dei votanti ma non va dimenticato che sono stati eletti democraticamente Presidente e deputati e che fino a prova contraria bisogna prendere atto della volontà di correttezza da loro espressa. nestre socchiuse. / Alleluia, ai sogni che dormono, / nascosti tra cuscini di sonno per rendere omaggio / ai vecchi canuti e alle loro gesta d’amore. / Evviva ai sogni / che brillano di luce sanguigna / tra i fumi di un movimento nascosto! / I sogni sono le bocche delle verità / che mangiano carne, / e a volte, cantano / e non ascoltano gli orologi della musica, / perché non conoscono parole». All’eloquente proferire del colore, «cromature di fango / offendono l’azzurro, il verde perde / le speranze cromatiche. / Timidi fiori d’aprile / tornano assorbiti da rami protettori. Il vento giocherellone, / architetto dei destini, eccitato, / si diverte a confondere gli orizzonti, / dimenandosi tra chiome vulnerabili». Al vigore vitale della memoria, «l’odore della notte, / insaporita da filamenti di stelle, / copre di fiati, linee mozzate. / Serviti, su piatti di luna argillosa sorretta da rocce di ricordi, / quei visi fermati / echeggiano lontani suoni di voci». «Non c’è più spazio per la metamorfosi kafkaiana, la poesia si risignifica come paradosso, estremo tentativo di fornire senso al tempo: lotta continua contro la fine, la morte, per riafferrare in quell’infinitesimo attimo l’essenzialità. La poesia si pone come atto titanico, forse unico e sicuramente privilegiato, per tentare di dare senso al flusso temporale, alla svolta dei momenti, alle trasfigurazioni del tempo da vivere. Qual è allora la vera autenticità della parola poetica, e quale il senso del fare poesia nell’oggi? Al momento intuiamo che la poesia è una metafora, una caverna di ombre parlanti, una biblioteca di segni, una melodia per i ballerini della storia, una voce scritta nell’acqua oppure e semplicemente un soffio di vita nelle casa del tempo cadenzata da rumori. Ancora, la poesia è essa stessa una fetta di tempo fermata, tra un passato e un futuro, un antiDopo, che con difficoltà il nostro buon senso riesce a raccogliere».