progetto solitudine - Mindfulness Project

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progetto solitudine - Mindfulness Project
P
ROGETTO SOLITUDINE
A) Oggetto e scopo del progetto
La situazione di solitudine si presenta in molte forme diverse, che
vanno dall’isolamento, anche fisico, da ogni contatto umano,
all’assenza di comunicazioni significative con altri pur in presenza di
relazioni interpersonali frequenti. Una situazione che non dipende solo
dalle circostanze esterne, ma dalla propria esperienza personale, e che
riporta comunque ad una condizione comune: la mancanza di legami
significativi che uniscano una persona agli altri. L’eremita che affina se
stesso in una caverna himalayana, il poeta che si ripiega in silenzio su di
sé mentre affiorano le sue emozioni profonde, il cittadino che in metropolitana si ripara dietro il giornale
dalla fastidiosa presenza degli altri, la persona singola che in casa non trova nessuno ad attenderla, il marito
e la moglie che scambiano solo poche parole prima di accendere la televisione, tutti questi, e mille altri
ancora, condividono lo stesso stato di separazione dagli altri, la mancanza di comunicazioni importanti, la
situazione di persone fondamentalmente sole.
Il senso in cui vivono questa situazione è però molto diverso. L’eremita e il poeta la vivono come una scelta,
come l’appagamento di un intimo bisogno di ricerca, di crescita, di contatto con il sé più profondo, la loro
solitudine non è fonte di sofferenza, ma di luce interiore: è una solitudine creativa, denominata in inglese
solitude. Il viaggiatore in difesa, il single nella casa vuota e silenziosa, il marito e la moglie che non si parlano
più, si sentono invece, più o meno consapevolmente, privi di un’intesa con qualcuno che vorrebbero fosse
vicino, esclusi dalla possibilità di parlare e sentirsi ascoltati, accolti e capiti: è allora una solitudine di cuore a
pervaderli, un senso di esclusione e di estraneità, di essere rifiutati, e insieme anche un sofferto confronto
con chi solo non è; anche se la realtà degli altri spesso non è migliore, è però così dissimulata che la
sofferenza del confronto rimane: la solitudine è allora triste e depressiva, in inglese loneliness.
In questa seconda accezione, il senso di solitudine può essere quindi, e molto spesso lo è, fonte di
sofferenza profonda. In effetti, esso rappresenta la negazione di uno dei nostri bisogni fondamentali, il
bisogno di appartenenza, di riconoscimento e di affetto. Dal bambino neonato alla persona in più tarda età,
questo bisogno è sempre presente, nella duplice forma di relazione duale e di contiguità sociale, anche se
forse non può mai essere completamente soddisfatto. Nelle sue forme sofferte, il senso di solitudine può
essere considerato un’emozione distruttiva, in termini buddhisti una afflizione mentale, poiché non solo
provoca dolore, ma danneggia l’equilibrio della mente alterando la percezione della realtà: il mondo appare
peggio di come realmente è.
Non esiste una ricetta sicura per porre fine a ogni forma di questa sofferenza. E’ possibile però agire almeno
sul contesto in cui essa opera, sugli atteggiamenti che ne favoriscono l’insorgere e il crescere, e su quei
fattori che invece ne alleviano i sintomi e, non di rado, ne combattono efficacemente le cause. Questo
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progetto intende muoversi in tale direzione, fornendo un aiuto alle persone sole che lo richiedano e
contribuendo così ad affrontare efficacemente la loro sofferenza.
B) Contesto e forme del problema
Da un’indagine demoscopica condotta nel 2008 per conto di Telefono Amico su circa 1.000 persone, è
risultato che per l’80% degli intervistati la sofferenza da solitudine è un’esperienza frequente. Altre indagini
condotte negli Stati Uniti e in Francia hanno fornito analoghi risultati. Il problema riveste quindi
un’ampiezza molto elevata, tenendo anche conto del fatto che la solitudine è spesso dissimulata perché
ritenuta una condizione di inferiorità che non si vuole rendere nota: della solitudine spesso ci si vergogna
come di uno stigma, un fallimento, una colpa, per cui non viene facilmente dichiarata ed è perciò difficile
valutarne la reale estensione.
Questa è oggi particolarmente ampia nella società occidentale, dove i punti di riferimento tradizionali si
sono dissolti, e in alcune categorie di persone la cui situazione interiore o ambientale è più incline a
favorire il senso depressivo della solitudine. Tra queste si possono citare le persone in lutto, gli anziani privi
di una vicinanza affettiva, le persone che vivono sole, i carcerati, i disabili, le mamme i cui figli cresciuti
hanno lasciato la casa, i divorziati, i separati e gli abbandonati in amore, gli ammalati privi di cure
affettuose, le persone che hanno perso chi era più importante per loro, i mal-sposati, i troppo timidi, i senza
casa, gli esclusi dalla corsa al successo e alle cose. Ma basta sentirsi incompresi e indifesi, colpiti e non
consolati, basta che la nostra vulnerabilità ferita non trovi sostegno in nessuno, basta perdere per questi
motivi la fiducia in se stessi e la speranza di un aiuto degli altri, e allora chiunque può subire in varie forme
una tale esperienza.
Questa, nella sua accezione negativa di loneliness, si manifesta in stati d’animo di diversa gravità, che
comprendono le varie forme di depressione, nelle loro componenti di tristezza, auto-commiserazione,
nostalgia dolorosa, senso di colpa, inerzia, disperazione, e l’ansia nel suo aspetto di stress sociale dovuto
all’isolamento e alla mancanza di approvazione nonché in quello di apprensione-preoccupazione per il
proprio futuro. Un senso di isolamento e di chiusura, spesso inconsciamente inteso come una protezione
rispetto a sentimenti dolorosi che sarebbero insopportabili se si restasse aperti emotivamente al mondo. In
ogni caso prevale un senso di esclusione, di distanza dagli altri, di privazione, di vuoto.
Stati d’animo di questo tipo non frequenti, non particolarmente intensi e non duraturi rientrano nella
normale vita emotiva di tutti. Ma se la quantità e la qualità di essi superano questo livello di normalità, il
senso di solitudine può divenire fonte di disturbi più gravi. La solitudine depressiva cronica, o caratterizzata
da un’intensità esagerata, può pregiudicare il normale andamento della vita, e ciò non solo in ambito
mentale, ma anche sul piano della salute fisica: vari studi hanno dimostrato l’esistenza di un legame diretto
tra emozioni e salute, e questo legame è particolarmente intenso in caso di emozioni negative. In questi casi
la situazione diviene patologica e il suo trattamento esula da questo progetto, richiedendo il ricorso a
opportune forme di psicoterapia, non previste e non comprese nel progetto stesso. Correlativamente, altri
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studi hanno messo in luce l’influsso benefico di sentimenti positivi come l’amicizia e la fiducia in se stessi in
termini di mantenimento dello stato di salute e di migliore capacità di guarire.
Anche sotto questo aspetto il problema della solitudine riveste un livello di importanza particolarmente
elevato e la possibilità di offrire un aiuto si rivela ancora più utile.
C) Forme di aiuto
E’ raro che i solitari per scelta richiedano aiuto, e in questo caso la loro solitude è probabilmente una
loneliness dissimulata. E’ la solitudine triste, il bisogno profondo e non appagato di relazioni umane, che
spinge chi non la sopporta più a chiedere aiuto. Non essere visti, non essere capiti, essere ignorati, non
esistere per gli altri: poiché è questa mancanza di relazioni che produce dolore, è sul ristabilimento, sulla
riapertura di queste relazioni che deve puntare in primo luogo un aiuto.
La prima esperienza di apertura può essere lo stesso colloquio della persona sola con chi ha il compito di
aiutarla. L’importanza della relazione tra aiutante e aiutato è particolarmente elevata per la persona sola:
per questa, infatti, il colloquio non è solo un mezzo per risolvere altri problemi, perché il suo problema è
proprio e semplicemente la mancanza di colloqui, e quindi poter parlare, raccontare, sentirsi rispondere è
già un passo importante verso l’attenuazione della sua sofferenza.
Perché questo avvenga è però necessario che tra i due attori del colloquio si instauri un rapporto
caratterizzato da un clima di comunicazione profonda, di reale e mutua comprensione, in sostanza di vera e
propria empatia. E’ colui che aiuta che deve mettere da parte il proprio modo di percepire la realtà per
sentire e reagire alle esperienze dell’altro come se fossero proprie, per viverne i pensieri e le emozioni
come se li avesse generati lui stesso. E’ solo allora, quando chi racconta la sua sofferenza sente che l’altro si
immedesima in essa, che l’aiuto comincia a produrre sollievo. E questo sarà tanto maggiore quanto più la
persona sola sentirà l’autenticità e la sincerità dell’altro, e si sentirà accettato, non giudicato e compreso.
Allora una prima apertura, un primo benefico contatto umano con l’altro, comincia a rompere il suo
isolamento.
Un altro modo fondamentale di aiuto consiste nel rappresentare alla persona sola le possibilità di uscire
dallo stato di separazione dagli altri e nell’indicare vari modi per farlo.
E’ anzitutto una questione di atteggiamento: guardare gli altri come completamente estranei, esserne
diffidenti, averne paura, non avere fiducia in nessuno, chiude la porta a qualunque rapporto sincero e
comporta automaticamente l’allontanamento da tutti. Può diventare invece, con un po’ di attenzione, una
salutare tendenza quella di guardare gli altri con interesse, curiosità e gentilezza. Ascoltarli, chiedere, avere
contatti anche se non particolarmente importanti, significa già cominciare a rompere il ghiaccio, spostare
l’attenzione da sé e sentire fuori qualcosa di nuovo. La gentilezza amorevole, la gioia compartecipe, la
compassione e l’equanimità, le quattro preziose qualità di una mente evoluta, aprono il cuore, scostano il
sipario di indifferenza e sospetto, nello sguardo fanno apparire un sorriso. Uno spostamento dello stato
d’animo dal sé verso gli altri, un riprendere confidenza con le relazioni umane, senza aspettarsi subito tutto,
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ma vincendo il senso di essere esclusi. Anche se non si trovano subito amici, sono già contatti umani e sono
quindi importanti.
Per facilitarli, possono essere indicati vari tipi di esperienze con altri, soprattutto con persone con cui si
hanno interessi in comune. Frequenza di corsi di ogni tipo, dalle lingue alle escursioni in montagna, dalle
facoltà universitarie alle scuole d’arte, partecipazione a conferenze, viaggi, mostre, concerti, iniziative
insomma che portino a un contatto con altri con cui si abbiano obiettivi comuni. Non sempre si familiarizza
con qualcuno, ma è possibile che l’affinità di interessi renda desiderabile proseguire una frequentazione. Il
volontariato è la forma di apertura più ampia e più rapidamente efficace: prendersi cura di altri che ne
hanno bisogno comporta un’uscita immediata non solo dall’isolamento, ma anche dalle eccessive e
ossessive preoccupazioni per noi stessi, delle quali ci si dimentica, almeno per un po’, sostituendole con un
senso di condivisione, di partecipazione a vicende anche più importanti e più gravi. Lì non c’è il rischio di
non essere graditi, viene meno il timore degli altri, l’attenzione all’altro apre le porte del cuore. Lì la
compassione si trasforma da concetto in azione e reca benefici immediati a chi ne ha bisogno e, di riflesso,
anche a noi. Altri modi ancora comprendono le comunità religiose, se si condividono i loro principi, i gruppi
di auto-aiuto, le varie iniziative promosse su internet, con molta attenzione a ciò che contengono e facendo
sì che non vadano a sostituire in modo virtuale le esperienze reali. E poi la lettura che ci mette in contatto
con altri alle cui vicende possiamo sentirci partecipi, e la scrittura che può rappresentare un modo di
raccontare, anche a noi stessi, ciò che non ci sentiamo di esprimere a voce.
E’ comunque l’amicizia, soprattutto, che allontana la solitudine. Non nel senso di contatto anche frequente
ma superficiale, bensì in quello di relazione interpersonale profonda, in cui si condivide ciò che vi è di più
vero in noi. Una vicinanza interiore che proviene da un’affinità di fondo nel modo di percepire la realtà, nel
provare emozioni, nel bisogno di un contatto sincero in cui si possa essere ascoltati, accolti e capiti.
Un’intesa in cui ci si comprende emotivamente, non solo razionalmente, si ricercano insieme significati e
bellezza, si nutre affetto e fiducia nell’altro. Un affetto disinteressato, non sessuale, non finalizzato a
vantaggi concreti, in cui si è delicatamente e spontaneamente vicini e si aiuta l’altro anche nella sua
sofferenza, accettandone le imperfezioni e perdonando gli errori. Non è facile stabilire e vivere una
relazione così elevata e così delicata; ed è inutile cercarla a ogni costo, può accadere solo spontaneamente
in una sorta di serendipità; però occorre togliere ostacoli e aprire porte e finestre del cuore per far sì che le
cose possano accadere da sé.
Ovviamente l’amore, la fusione totale con l’altro, è una forma totale di non-solitudine: ma esula dal tema di
questo progetto, sia perché non abbisogna di alcuna forma di aiuto, dato che è spontaneo o non è, sia
perché apre la via a problemi diversi che vanno al di là della semplice solitudine.
D) Da loneliness a solitude
Il senso di solitudine non rinvia inevitabilmente a un sentimento di malinconia dolorosa, non ispira sempre
e soltanto un senso di mancanza e di angoscia. L’altra forma di solitudine, la solitude, è sentita invece come
una forma di arricchimento interiore con emozioni creative e vitali. Lo spostamento dello stato d’animo nel
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percorso di superamento del senso negativo di solitudine è allora da intendere non solo nei riguardi degli
altri, ma anche come cammino interiore della persona sola dalla solitudine depressiva a quella creativa.
Quanto la prima è un rifugio nel chiuso della mancanza di contatti, nella mancanza di energia, nel rifiuto del
mondo, nell’abbandono dell’immaginario, del simbolico, dello spirituale, tanto la seconda, che muove
dall’accettazione della solitudine come condizione umana fondamentale, è uno stato di ricchezza interiore,
di impegno con se stessi, di ricerca e di crescita, di riflessione e di libertà. Lo stato dell’Eremita che procede
da solo sulla neve con una lanterna che gli illumina la via. La lanterna è la luce interiore che sostituisce il
buio della confusione e delle illusioni dentro di sé e dei rapporti inutili e vuoti con altri. E’ una condizione
creativa di un nuovo modo di contatto con il sé più profondo e con la sconfinata unità del tutto: lo stato di
essere soli senza sentirsi soli. Uno stato in cui si è acquisita la capacità di essere soli, con una ritrovata
fiducia in se stessi, al di là della dipendenza dagli altri, scoprendo e maturando risorse di mente e di cuore
che erano state ammutolite dal rumore degli altri, e che nel ritrovarci, in raccoglimento e in quiete, rivelano
ora tutto il loro valore: la capacità di coltivare e sviluppare le potenzialità interne, di espandere il nostro
spazio interno, di esprimere il nuovo. Un luogo di silenzio, di pace, di libertà dai condizionamenti malsani
della quotidianità e dalle continue interferenze altrui. Un luogo dove la nostalgia non è più dolorosa, il
ricordo di esperienze felici non è rimpianto ma un riemergere, un rivivere la gioia che si era provata e che
diventa così un presente, con la sensazione di una ricchezza acquisita, non di ricchezza perduta. E dove
anche cominciare un tragitto di avvicinamento al contatto con la realtà ultima, la natura buddha, il Regno
dei Cieli, dentro di noi. Una capacità raffinata, evoluta, segno di raggiunta maturità nello sviluppo affettivo.
La meditazione può essere una via di elezione per avvicinarsi a questa realtà, in un cammino di
semplificazione e purificazione, nella progressiva diminuzione di affermatività e di illusioni. Finché si arriva
al vuoto, perché solo dove è il vuoto può entrare la luce. Uno stato luminoso e amorevole, per noi stessi e
per gli altri. Avere cura di sé non è infatti in contraddizione con l’incontro con gli altri: anzi la solitude è un
mezzo per entrare in contatto con gli altri in modo non superficiale, più consapevole, avendo raggiunto una
maturità e una consapevolezza migliori. Tutti i modi “esterni” di cui parla il progetto hanno possibilità di
successo in proporzione alla capacità di progresso interiore, di crescita, che la solitudine creativa può farci
acquisire. Cercare e godere la presenza e l’affetto degli altri senza l’ansia di trovarli a ogni costo o la paura
di perderli, perché si sa che potremmo star bene anche se dovessimo restarne senza, rende questa ricerca e
questa presenza più serene e più intimamente gioiose. Certo, la solitudine può risparmiare i problemi e le
difficoltà insite nell’apertura agli altri, la fatica dello stare in relazione, e può costituire un mantenimento di
un confine del sé e di protezione nei confronti degli altri. Ma non è questa la natura dell’uomo, non è nel
chiudersi costantemente al mondo che può esprimersi la nostra naturale tendenza all’infinito. Apertura e
comunicazione possono segnare cicli ricorrenti, ognuno con i suoi pregi e le sue difficoltà, iscritti in un
orizzonte di speranza, che entrambi siano fonte di crescita.
Anche il Buddha ha indicato il rifugio in sé come luogo di contatto col mondo. Quando stava per morire,
disse ai monaci e alle monache che gli stavano intorno: “Amici cari, prendete rifugio nell’isola del sé. Non
prendete rifugio in nient’altro. Quando tornerete a quest’isola, vi troverete il Buddha, il Dharma ed il
Sangha”. Non è solitudine, è unione.
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Risultati attesi
I risultati che il progetto si attende dalla sua realizzazione sono i seguenti:
una migliore attitudine delle persone aiutate ad avvicinarsi agli altri con simpatia e gentilezza, ad essere
parte in esperienze di comune interesse e a stabilire rapporti di condivisione profonda;
una migliore capacità di vivere esperienze di solitudine creativa e serena, la capacità di essere soli senza
sentirsi soli.
Il progetto si attende che questo dia alla sofferenza da solitudine delle persone aiutate un significativo
sollievo.
Il progetto sarà gestito da un counselor, dr. Franco Cascini, proveniente dalla scuola di counseling
transpersonale "Mindfulness Counseling" gestita da Mindfulness Project.
G) Riferimenti bibliografici
Dalai Lama – Daniel Goleman: Emozioni distruttive – Mondadori, 2003
Daniel Goleman: Intelligenza emotiva – Rizzoli, 1998
Carl Rogers: Un modo di essere – Psycho, 1983
Enzo Morpurgo e Valeria Egidi Morpurgo (a cura di): La solitudine: forme di un sentimento – saggi
psicologici e psicoanalitici - Franco Angeli, 1995
Melania Klein: Sul senso di solitudine – in Il nostro mondo adulto e altri saggi – Martinelli, 1972
D.W.Winnicott: La capacità di essere solo – in Sviluppo affettivo e ambiente - Armando, 1974
Olga Chiaia: Uscire dalla solitudine – URRA, 2010
Fausto Manara: Un angolo tutto per te – Sperling e Kupfer, 2007
What is solitude? in Psychology Today – www.psychologytoday.com
Easing your way out of loneliness – in Psychology Today – www.psychologytoday.com
The dangers of loneliness – in Psychology Today – www.psychologytoday.com
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