L`utilizzo dei modelli per il rischio di credito per la stima del

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L`utilizzo dei modelli per il rischio di credito per la stima del
Di prossima pubblicazione in: Masciandaro D., Bracchi G., VII° Rapporto sul sistema finanziario italiano,
Fondazione Rosselli, Bancaria Editrice, settembre 2002.
I modelli per il rischio di credito: un’applicazione al
pricing dell’assicurazione dei depositi
Aurelio Maccario*
Unicredit Banca Mobiliare e Università “LUISS-Guido Carli”
[email protected]
Andrea Sironi*
Università “Luigi Bocconi”
[email protected]
Cristiano Zazzara*
Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi e Università “LUISS-Guido Carli”
[email protected]
Sintesi
Recentemente, l’agenzia di assicurazione dei depositi statunitense, la Federal Deposit
Insurance Corporation (FDIC), ha iniziato a esplorare i modelli per la misurazione del
rischio di credito utilizzati dalle grandi banche internazionali, per verificare la possibilità di
un loro utilizzo ai fini della misurazione del rischio del proprio portafoglio di esposizioni al
rischio di insolvenza delle banche i cui depositi sono coperti da assicurazione. Utilizzando i
dati di bilancio e del mercato azionario relativi a un campione di 15 grandi banche italiane
quotate, il presente lavoro applica alcuni di questi modelli per stimare sia il rischio di
insolvenza su base individuale sia il rischio di portafoglio per un’agenzia di assicurazione
dei depositi chiamata a rimborsare i depositi delle banche in caso di insolvenza delle stesse.
L’analisi empirica consente di stimare la distribuzione di probabilità delle perdite.
Quest’ultima può a sua volta essere utilizzata per: (i) valutare la congruità della consistenza
patrimoniale del fondo di un’agenzia di assicurazione dei depositi, (ii) determinare il
contributo marginale al rischio complessivo del portafoglio connesso a una singola banca,
(iii) stimare una formula alternativa di pricing dell’assicurazione dei depositi rispetto a
quella più diffusa in letteratura basata sui modelli di option pricing. Tale formula, essendo
fondata sul rischio connesso a uno specifico livello di confidenza, consente a nostro avviso
di cogliere il rischio in maniera più appropriata.
Codici JEL: G21, G28, G11, G33
Parole chiave: Rischio di credito, Crisi bancarie, Assicurazione dei depositi, Correlazione
Le opinioni espresse sono da attribuire agli autori e non coinvolgono in alcun modo le istituzioni di appartenenza.
Desideriamo ringraziare Marco Pellegrini per la preziosa assistenza nell’attività di ricerca e Luca Di Marco per gli utili
commenti e suggerimenti forniti a una prima versione di questo lavoro. Un ringraziamento particolare va inoltre alla società
KMV per averci cortesemente fornito alcuni dei dati utilizzati nell’analisi empirica.
*
1. Introduzione
La valutazione del grado di rischio cui sono soggette le istituzioni finanziarie
rappresenta uno degli argomenti recentemente più dibattuti dalle autorità di vigilanza
nazionali e sovranazionali, la quali mirano a preservare la stabilità del sistema finanziario
mediante l’imposizione di requisiti patrimoniali ponderati per il rischio, lo sviluppo di un
adeguato ed efficace sistema di supervisione e il rafforzamento della disciplina esercitata
dal mercato. Le banche, in particolare, sono istituzioni soggette a un’intensa attività di
supervisione e di tutela a causa degli effetti che una crisi sistemica potrebbe avere sul
sistema economico in generale.. Tali effetti sono legati ai fenomeni di riduzione dell’offerta
di moneta (Friedman e Schwarz, 1963) e di incremento nel costo dell’intermediazione
creditizia (Bernanke, 1983), i quali possono ripercuotersi negativamente sull’economia
reale (Gilbert et al., 1999).
Così, le banche di tutto il mondo sono vigilate, attentamente e costantemente,
attraverso sistemi di monitoraggio off-site, basati su informazioni di bilancio, e sistemi onsite, attraverso i quali gli organi di vigilanza analizzano l’adeguatezza – organizzativa,
informativa e manageriale - dei sistemi di misurazione, controllo e gestione dei rischi
assunti dalle banche. In questo sistema di vigilanza prudenziale un ruolo centrale è svolto
dal sistema di adeguatezza patrimoniale originariamente proposto nel 1988 dal Comitato di
Basilea sulla Vigilanza Bancaria (Basel Committee on Banking Supervision, 1988). Tale
sistema prevede che le banche mantengano una dotazione patrimoniale minima
commisurata al grado di rischio delle attività detenute in portafoglio (in misura pari
all’8%). Attualmente, è in atto un profondo processo di riforma dell’Accordo sul Capitale
del 1988 per consentire alle banche di utilizzare una versione semplificata dei loro modelli
di portafoglio allo scopo di determinare il requisito di capitale a fronte dei rischi assunti,
prendendo atto delle notevoli evoluzioni verificatesi nel campo della misurazione del
rischio di credito (Basel Committee on Banking Supervision, 2001).
Le banche sono inoltre soggette a una particolare rete di sicurezza (safety net), volta
ad evitare che singoli fenomeni di crisi bancarie possano trasmettersi ad altre istituzioni
finanziarie e minare in questo modo la stabilità del sistema finanziario (Diamond e Dybvig,
1
1983). Nella maggioranza dei paesi economicamente sviluppati, questa rete di sicurezza si
concretizza nella funzione di prestatore di ultima istanza (lending of last resort) svolta dalla
banca centrale, limitata ai casi di crisi di liquidità, e nella presenza di un sistema di
assicurazione dei depositi, chiamato a intervenire in caso di crisi di solvibilità..
Recentemente, l’agenzia di assicurazione dei depositi statunitense, la Federal
Deposit Insurance Corportation (FDIC), ha iniziato a esplorare i
modelli per la
misurazione del rischio di credito utilizzati dalle grandi banche internazionali, per verificare
la possibilità di un eventuale utilizzo ai fini della misurazione del rischio del proprio
portafoglio, composto dalle banche coperte da assicurazione (Federal Deposit Insurance
Corporation, 2000).
Nel presente lavoro l’attenzione è focalizzata sulla misurazione del rischio
individuale e di portafoglio delle banche quotate italiane. In particolare, l’analisi empirica,
fondata esclusivamente su informazioni pubblicamente disponibili, è basata sui dati di
bilancio e di mercato azionario relativi a un campione di 15 grandi banche italiane quotate
alla Borsa di Milano.
Dopo una breve rassegna della letteratura relativa ai modelli per il rischio di credito
e alle loro applicazioni, descriverli lavoro illustra come questi modelli possano essere
utilizzati da un’agenzia per l’assicurazione dei depositi per stimare l’impatto di crisi
bancarie individuali o eventualmente di crisi sistemiche derivanti dalla simultanea
insolvenza di più banche (Perraudin e Nickell, 1999). Il paragrafo 3 illustra la metodologia
successivamente utilizzata nell’analisi empirica. In particolare, viene definita in dettaglio la
derivazione degli input del modello, analizzando separatamente la metodologia di stima
della probabilità di insolvenza individuale delle banche sulla base dei relativi prezzi
azionari e quella connessa alla stima del rischio dell’intero portafoglio. Nel paragrafo 4
vengono illustrati e commentati i risultati empirici ottenuti dall’applicazione della
metodologia descritta in precedenza, delineando i possibili utilizzi di questi “output”
(determinazione dell’ammontare di risorse necessarie per far fronte a probabili crisi entro
un orizzonte temporale determinato; nuovo sistema di pricing dell’assicurazione dei
2
depositi). Infine, il paragrafo 5 è dedicato a un esame sintetico delle principali conclusioni
del lavoro e a una discussione relativa alle possibili future aree di ricerca.
2. I modelli per il rischio di credito: un’applicazione all’assicurazione dei depositi
2.1. Alcuni aspetti metodologici e una breve rassegna della letteratura
I modelli per la misurazione del rischio di credito possono essere classificati in due
principali categorie: 1) Default Mode (DM) e 2) Mark-to-Market (MTM). Nel primo caso, il
rischio di credito è identificato con il rischio di insolvenza della controparte. In questo
senso, dunque, l’ipotesi sottostante è che vi siano due soli possibili eventi: l’insolvenza o la
sopravvivenza. Nel secondo caso, invece, vengono considerate anche le eventuali
variazioni del merito creditizio della controparte, denominate in termini tecnici “migrazioni
creditizie”. La differenza tra i due approcci risiede sostanzialmente nella quantità di
informazioni di partenza necessarie per alimentare il modello: limitata nel caso di un
modello default mode, ben più ampia nell’approccio mark-to-market. Per tali ragioni,
l’approccio default mode è quello più comunemente utilizzato dalle banche, e a questo
modello ha recentemente fatto riferimento il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria
per la definizione dei “nuovi” requisiti patrimoniali relativi al rischio di credito (Comitato
di Basilea, 2001).
L’output principale di un modello per il rischio di credito è la funzione di densità
delle probabilità delle perdite su crediti del portafoglio di esposizioni (nota con il termine
tecnico di PDF, dall’inglese probability density function). Dall’analisi di questa
distribuzione, un’istituzione finanziaria può stimare la perdita attesa e inattesa del proprio
portafoglio di crediti. La perdita attesa, che è equivalente alla media della distribuzione
stessa, rappresenta la perdita che la banca si attende di subire nel proprio portafoglio entro
un determinato intervallo temporale (generalmente pari a 1 anno). La perdita inattesa,
invece, rappresenta la “deviazione” media dalla perdita attesa e misura l’effettivo grado di
rischio del portafoglio. Una delle misure di rischio comunemente utilizzate in pratica è
rappresentata dalla volatilità delle perdite attorno al valore atteso, ossia dalla deviazione
standard della funzione di densità delle probabilità. Questa misura è tuttavia significativa
unicamente nel caso di distribuzioni “normali”. Per questo motivo essa risulta di scarsa
3
utilità nel campo del rischio di credito, essendo la distribuzione delle perdite creditizie
generalmente caratterizzata da un elevato grado di asimmetria e da un grado di curtosi
superiore a quello di una distribuzione normale. Concretamente, ciò significa che la
probabilità di perdite elevate (estreme) è superiore a quella implicita in una normale (“fat
tails”)1.
Il rischio di credito e i modelli per la sua misurazione hanno recentemente assunto
un ruolo importante sia in campo operativo, sia in campo accademico, come chiaramente
testimoniato dall’ampio numero di studi teorici ed empirici dedicati a questo tema
pubblicati nelle principali riviste internazionali. Le caratteristiche tecniche dei principali
modelli per il rischio di credito utilizzati dalle banche internazionali è peraltro rappresentata
dai documenti tecnici che accompagnano i modelli stessi. Due di questi documenti, riferiti
ai modelli CreditMetrics (Gupton et al., 1997) e CreditRisk+ (Wilde, 1997), sono
pubblicamente disponibili e consentono di acquisire tutte le informazioni necessarie per
applicare tali impianti metodologici a casi concreti.
Partendo dall’esame di tali documenti tecnici e dei relativi software applicativi di
questi modelli sponsorizzati dall’industria bancaria, la ricerca accademica si è rivolta in
diverse direzioni. Una delle prime e più importanti questioni è stata quella relativa alle
differenze tra i principali modelli, sia dal punto di vista strettamente teorico, sia da quello
empirico. A livello concettuale, oltre alla distinzione già menzionata fra modelli default
mode e mark-to-market, una distinzione importante (Frey e McNeil, 2001) è quella tra
modelli latent variable, come CreditMetrics™ e KMV, e modelli mixture, che includono
CreditRisk+™ e CreditPortfolioView. Nel primo gruppo, l’insolvenza di una controparte
è determinata da una variabile non osservata (latente, appunto) che supera una certa soglia,
e le dipendenze tra le insolvenze sono causate dall’esistenza di fattori di rischio comuni che
“governano” le variabili latenti. Nel secondo gruppo, invece, le insolvenze delle singole
controparti sono conditionally independent dati i valori di un insieme di fattori economici.
Malgrado questa distinzione formale, vari autori hanno riscontrato sostanziali
similitudini tra i vari modelli. Gordy (2000), ad esempio, ha effettuato un’analisi comparata
1
Come illustrato in seguito, è comunque possibile utilizzare questa statistica anche nel campo del rischio di credito.
4
dei modelli CreditMetrics™ e CreditRisk+™, riscontrando che, a parte alcune differenze
nelle ipotesi relative alla forma funzionale della distribuzione delle perdite, questi due
modelli hanno una simile struttura metodologica. Le simulazioni effettuate hanno infatti
rivelato che essi forniscono analoghi risultati quando applicati a portafogli prestiti di media
qualità e che, inoltre, gli stessi risultano particolarmente sensibili ai coefficienti di default
correlations e alle assunzioni sulle distribuzioni dei fattori di rischio sistematici.
Koylouglu and Hickman (1998) hanno invece confrontato i modelli CreditMetrics™,
CreditRisk+™ e CreditPortfolioView™, concludendo che le relative metodologie sono
teoricamente equivalenti.
Secondo questi autori,
il più importante fattore di
differenziazione è rappresentato dalla modalità con cui viene misurato il grado di
correlazione fra le diverse esposizioni di un portafoglio (correlazione fra eventi di
insolvenza, o default correlation, versus correlazione fra i rendimenti degli attivi, o asset
correlation). Altri autori, tra i quali Crouhy, Galai e Mark (2000), Phelan e Alexander
(1999), hanno analizzato in modo dettagliato i modelli suddetti, senza addentrarsi
nell’esame delle relative caratteristiche comuni.
2.1. Un’applicazione dei modelli all’assicurazione dei depositi
Le istituzioni finanziarie utilizzano i modelli menzionati con un principale obiettivo:
stimare il capitale “economico” necessario per supportare il rischio connesso al proprio
portafoglio di esposizioni creditizie. In questo contesto, il ruolo degli accantonamenti per le
perdite su crediti è quello di coprire eventuali perdite attese2. Il ruolo del capitale
economico è invece quello di far fronte alle perdite inattese, ossia al vero e proprio rischio
di credito.
In modo analogo, la logica sottostante questo approccio può essere applicata anche
al portafoglio di esposizioni creditizie cui è implicitamente esposta un’agenzia per
l’assicurazione dei depositi. Quest’ultima può infatti considerare la perdita attesa stimata
attraverso un modello per il rischio il credito come una misura dell’ammontare di riserve
necessarie a coprire queste perdite in un arco di tempo predefinito (ad esempio, pari a 1
2 Come discusso in Jones and Mingo (1998), il ruolo delle riserve è quello di coprire le perdite attese. Inoltre, anche secondo i
principi contabili internazionali GAAP (Generally Accepted Accounting Principles) le riserve devono far fronte a perdite probabili e
stimabili.
5
anno). Analogamente, l’adeguatezza dei fondi di un’agenzia di assicurazione dei depositi
può essere valutata sulla base della perdita inattesa del portafoglio, allo stesso modo in cui
un’istituzione finanziaria utilizza tale misura per la determinazione dell’appropriato livello
di capitale economico sulla base del target di insolvenza desiderato.
Infine, i modelli per la misurazione del rischio di credito possono essere utilizzati a
scopo di pricing dell’assicurazione dei depositi, in alternativa ai modelli proposti in
letteratura basati sul pricing delle opzioni, ossia per la determinazione del premio di
contribuzione di ciascuna banca aderente al sistema di assicurazione dei depositi, così come
le istituzioni finanziarie utilizzano gli stessi modelli a scopo di pricing dei singoli prestiti.
Come noto, le distribuzioni empiriche delle perdite su crediti dei portafogli prestiti
non sono del tipo “normale”, ossia non sono simmetriche attorno al valore medio3. In
particolare, queste distribuzioni sono caratterizzate da un’asimmetria verso valori elevati
delle perdite: per date medie e deviazioni standard, la probabilità di incorrere in perdite
estreme è superiore a quella che si verificherebbe nel caso in cui la distribuzione fosse
normale. Un’agenzia di assicurazione dei depositi si trova ad affrontare una situazione
analoga: in un dato periodo, vi è un’elevata probabilità di incorrere in perdite contenute
derivanti dall’insolvenza di piccole banche, ed una corrispondente bassa probabilità di
subire ampie perdite a causa di insolvenze di una o più grandi banche. Dal momento che la
distribuzione è asimmetrica, la stima precisa dei quantili estremi della distribuzione è un
fattore importante. Un errore di stima può infatti generare errori particolarmente elevati
nella dimensione delle perdite corrispondenti al livello di confidenza desiderato.
La stima del rischio di insolvenza da parte di un’agenzia per l’assicurazione dei
depositi chiamata a intervenire in caso di insolvenza di una banca può quindi essere
associata a quella effettuata da una banca per la gestione del rischio di un portafoglio di
prestiti. La metodologia da adottare è sostanzialmente la stessa, anche se gli input di
partenza che alimentano il modello sono differenti. Così, nel caso di una banca le
esposizioni sono rappresentate dai prestiti, mentre nel caso di un’agenzia di assicurazione
dei depositi le stesse sono rappresentate dall’ammontare dei depositi coperti da
3
Cfr. Jones e Mingo (1998, 1999).
6
assicurazione. Anche in questo caso tuttavia, è possibile pervenire a misure di rischio di
portafoglio aggregando le singole esposizioni per determinare una distribuzione cumulata
delle perdite. Ogni banca ha, infatti, una bassa probabilità di insolvenza, che potrebbe
causare una possibile perdita all’agenzia di assicurazione dei depositi. In teoria, per
l’agenzia di assicurazione dei depositi vi è un’elevata probabilità di subire delle perdite
modeste. Esiste però anche una probabilità (anche se minima) di incorrere in perdite elevate
derivanti dall’insolvenza di una o più grandi banche.
Benché sia ragionevole assumere l’esistenza di un’analogia tra il rischio associato
alla detenzione di un portafoglio di prestiti e quello associato ad un portafoglio di
“esposizioni” bancarie, bisogna ammettere che l’evento di insolvenza che si considera nei
due casi è diverso. L’insolvenza di un prestito esprime l’incapacità di un prenditore di far
fronte ai pagamenti previsti. Tuttavia, anche se l’insolvenza di un prenditore può
determinare l’insolvenza di una banca, il rischio di credito non è l’unico motivo di crisi
della banca, che è dovuto di solito ad una combinazione di rischi, quali quello di credito, di
mercato e operativo.
Un’altra distinzione tra l’insolvenza di un prenditore e quello di una banca è che
quest’ultimo è un evento regolamentare: solamente l’autorità di vigilanza può “chiudere”
una banca. Da questo punto di vista, una banca tecnicamente insolvente potrebbe
continuare a operare grazie all’intervento dell’organo di vigilanza se quest’ultimo adotta
politiche di bail-out fondate ad esempio su politiche di too big to fail (TBTF).
Una delle difficoltà connesse alla stima dei parametri dei modelli per il rischio di
credito è la carenza di dati4. Poche banche, infatti, dispongono di serie storiche
sufficientemente ampie e dettagliate relative ai tassi di insolvenza sui crediti del loro
portafoglio. Il problema è principalmente legato al fatto che l’insolvenza di un’impresa è, in
generale, un evento raro. Questo problema risulta accentuato nel caso delle insolvenze
bancarie: il numero limitato di insolvenze rende infatti criticabile un approccio statistico
alla misurazione del rischio. Una delle rare eccezioni a questo problema è rappresentata
4
Cfr. Jones e Mingo (1998), Basel Committee on Banking Supervision (1999), Carey e Hrycay (2001) sull'aspetto
dell'insufficienza dei dati interni per la gestione del rischio di credito.
7
dall’elevato numero di fallimenti bancari avvenuti nel sistema statunitense durante i primi
anni '90 nell'ambito della crisi delle Casse di Risparmio (Savings and Loans). In generale, è
sulla base dei dati del sistema statunitense che alcuni modelli come quello sviluppato da
KMV stimano le frequenze storiche di insolvenza relative a banche con diverso grado di
rischio. Nel caso del sistema bancario italiano, la carenza di dati rende impossibile calibrare
sulla base delle frequenze storiche i dati ottenuti dall’applicazione di un modello à la
Merton. Come si avrà modo di illustrare meglio nel corso dei successivi paragrafi, ciò rende
necessario stimare le probabilità di insolvenza delle banche (expected default frequency –
EDF) sulla base delle probabilità teoriche piuttosto che empiriche.
3. La metodologia per la stima del rischio individuale e di portafoglio
In questo paragrafo viene illustrato un modello per la stima della distribuzione delle
perdite di un’agenzia per l’assicurazione dei depositi. Questa distribuzione può essere
utilizzata per determinare l’appropriato livello di risorse necessarie per far fronte a future
crisi bancarie e per definire un’eventuale sistema di pricing dell’assicurazione dei depositi
basato sul rischio. L’agenzia di assicurazione dei depositi può infatti essere assimilata a una
banca che misura il rischio di insolvenza delle proprie controparti. Nel caso di una banca le
controparti sono rappresentate dagli affidati, mentre nel caso di un’agenzia di assicurazione
dei depositi le controparti sono rappresentate dalle banche stesse, con esposizioni pari ai
depositi coperti da assicurazione. Di seguito viene illustrata dapprima la metodologia di
stima del rischio a livello di singola banca e, successivamente, quella relativa al rischio di
portafoglio.
3.1. La stima della probabilità di insolvenza di una singola banca quotata
Confinando l‘analisi empirica alle sole banche quotate diviene possibile utilizzare
un approccio analogo a quello utilizzato dal modello CreditMonitor di KMV per la stima
delle probabilità di insolvenza individuali (Crosbie, 1999). In particolare, la probabilità di
insolvenza individuale viene stimata sia in base a informazioni di mercato (prezzi azionari)
sia utilizzando informazioni contabili (dati di bilancio). Il modello sfrutta la relazione
teorica tra il valore di mercato delle attività aziendali (pari alla somma del valore di
mercato del capitale azionario e del valore di mercato del debito) e la relativa probabilità di
8
insolvenza5. Il modello si basa su due relazioni teoriche: (i) il valore del capitale azionario
(equity) può essere considerato equivalente al un valore di un’opzione call sul valore delle
attività aziendali, e (ii) il legame tra la volatilità (osservata) dei rendimenti del capitale
azionario e la volatilità (non osservata) dei rendimenti delle attività aziendali. La stima
della probabilità di insolvenza avviene in 3 fasi: (1) stima del valore delle attività aziendali
e della relativa volatilità , (2) calcolo della distanza dall’insolvenza (distance-to-default),
pari al numero di deviazioni standard dal punto di insolvenza (default point), (3)
calibrazione della distance-to-default nella relativa probabilità di insolvenza. Il valore di
mercato delle attività e la relativa volatilità sono derivati da un modello di pricing delle
opzioni. Dopo aver stimato il valore di mercato delle attività, il modello CreditMonitor
valuta se questo valore delle attività sia superiore o inferiore al punto di insolvenza (default
point). Il default point, ossia il valore delle attività al di sotto del quale il valore del debito6
diviene superiore al valore dell’attivo e dunque l’azienda diviene insolvente — è pari alle
passività a breve termine più la metà delle passività a lungo termine. KMV calcola la
distance-to-default (pari al valore di mercato delle attività aziendali meno il default point,
tutto diviso per il prodotto del valore delle attività e della corrispondente volatilità). La
distance-to-default misura il numero di deviazioni standard delle attività aziendali dal punto
di insolvenza. Infine, la distance-to-default viene trasformata in probabilità di insolvenza
sulla base di evidenze empiriche dei tassi di insolvenza per classi di distanza
dall’insolvenza.
3.2. L’approccio di portafoglio per la stima della perdita attesa e del rischio marginale
In un modello di tipo default-mode, dove si considerano esclusivamente gli eventi di
insolvenza e sopravvivenza, la perdita attesa del portafoglio (ELP) è pari alla somma del
prodotto tra le singole esposizioni (EXPi), le rispettive probabilità di insolvenza (EDFi) e le
perdite in caso di insolvenza (LGDi).
(1)
n
EL P = ∑ EXPi ∗ EDFi ∗ LGDi
i =1
5
Cfr. Merton (1974) e Crosbie (1999).
9
La stima delle perdite inattese avviene, invece, in due fasi. Nella prima, si calcola la
perdita inattesa relativa ad ogni singola esposizione del portafoglio (ULi), che è pari alla
deviazione standard delle perdite. Assumendo che la LGD sia una variabile fissa (ad es.,
pari al 50%), si ottiene la seguente formulazione:
(2)
ULi = EXPi * LGDi ∗ EDFi ∗ (1 − EDFi )
Nella seconda fase, si aggregano le volatilità delle singole esposizioni in una misura
di volatilità dell’intero portafoglio, tenendo in considerazione le correlazioni tra le
insolvenze (default correlation) delle varie esposizioni, ρ i, j 7:
(3)
n
n
∑∑ ρ
UL P =
i, j
∗ ULi ∗ UL j
i =1 j =1
Questo semplice modello evidenzia come sia importante stimare in modo corretto
tutti i parametri rilevanti (EDFi, EXPi, LGDi e ρ i, j ) per la definizione di misure di
portafoglio. La qualità di queste stime può avere un impatto importante sull’accuratezza
degli output dei modelli per il rischio di credito.
La perdita inattesa del portafoglio, ULP , può anche essere espressa come soma delle
perdite inattese marginali, ULCi, attribuibili ad ogni singola esposizione del portafoglio:
(4)
N
UL P = ∑ ULC i
i =1
dove:
(5)
ULC i =
∂UL P
∗ ULi .
∂ULi
Così, la perdita inattesa marginale dell’esposizione i è data dalla derivata parziale
della perdita inattesa del portafoglio rispetto alla perdita inattesa della medesima
esposizione. Come mostrato da Ong (1999), eseguendo questa derivata parziale si ottiene la
6 Per la definizione del default point il modello di KMV utilizza come valore del debito la somma delle passività a breve
termine e della metà di quelle a medio-lungo termine.
7 Per maggiori dettagli sulla derivazione di questa formula di volatilità, cfr. Ong (1999).
10
seguente formula “chiusa” per il calcolo della perdita inattesa marginale di ogni singola
esposizione:
n
(6)
ULC i =
ULi * ∑ (UL j * ρ i , j )
j =1
UL P
Il contributo al rischio del portafoglio di esposizioni dell’agenzia di assicurazione dei
depositi derivante dalla banca i-esima non dipende infatti dalla sua perdita attesa, ma
piuttosto dalla perdita “inattesa”. In particolare, il contributo al rischio di portafoglio della
i-esima banca, ULCi, è funzione di due variabili: 1) la perdita inattesa associata alla banca
i-esima, la quale è a sua volta funzione della probabilità di insolvenza della singola banca e
dell’esposizione nei confronti della stessa banca, e 2) il grado di correlazione di tale perdita
con il resto del portafoglio. Come si avrà modo di osservare in seguito, il contributo al
rischio di portafoglio rappresenta un fattore che può essere utilizzato come parametro
fondamentale per la definizione di un sistema di pricing dell’assicurazione dei depositi
basato sul rischio (cfr. paragrafo 3.4).
3.3. La generazione della distribuzione empirica delle perdite del portafoglio bancario
L’approccio “media-varianza” descritto in precedenza non consente di definire
l’intera distribuzione delle possibili perdite per un’ agenzia di assicurazione dei depositi.
Come ricordato in precedenza, infatti, la distribuzione delle perdite su crediti non è del tipo
“normale”, non consentendo così l’applicazione di un semplice multiplo alla deviazione
standard del portafoglio (ULP) per ottenere il livello di perdita massima potenziale (e, di
conseguenza, il VaR del portafoglio8), ad un certo intervallo di confidenza. A tal fine, è
possibile ricorrere a una tecnica di simulazione Monte Carlo per generare la distribuzione
empirica delle perdite, così da ottenere analiticamente ogni possibile scenario di perdita con
la relativa probabilità di occorrenza. Questo risultato consente inoltre di derivare un
multiplo empirico da applicare alla deviazione standard (noto come capital multiplier), così
da sfruttare le formule “chiuse” descritte nel paragrafo 3.2.
8 Il VaR del portafoglio, ad un certo intervallo di confidenza statistico, è infatti pari alla differenza tra la perdita massima
potenziale e la perdita attesa.
11
La simulazione viene eseguita nel seguente modo. Dopo aver stimato il valore delle
attività di mercato delle banche seguendo la logica del modello di KMV descritta sopra, si
deriva la matrice completa delle correlazioni fra gli attivi delle banche quotate del
portafoglio e si utilizzano queste correlazioni come parametro di una distribuzione normale
multivariata. Come in un modello à-la-Merton, infatti, si assume che: (i) un’istituzione vada
incontro all’insolvenza quando il suo valore dell’attivo scende al di sotto di un certo livello
“critico”, (ii) il valore delle sue attività segue una distribuzione normale, e (iii) i valori delle
attività di più aziende seguano una distribuzione normale multivariata.
Si estraggono così dei numeri casuali correlati9 e si confrontano con il livello soglia
d’insolvenza, pari alla distribuzione inversa normale standard della probabilità di
insolvenza. Così, se il numero casuale correlato è superiore alla soglia di insolvenza, la
banca non va in crisi e assume un valore 0 della variabile casuale bernoulliana, mentre nel
caso contrario (ossia, numero casuale correlato < soglia di insolvenza) la banca fallisce e
assume un valore 1. Per ogni banca che diviene insolvente durante la simulazione, il
modello calcola la perdita attesa per l’agenzia di assicurazione dei depositi (ELi) come
prodotto tra l’esposizione (EXPi) e la perdita in caso di insolvenza (LGDi)10. Infine, si
procede alla somma delle singole perdite attese fino ad arrivare alla perdita attesa per una
specifica simulazione. Ripetendo la simulazione Monte Carlo un certo numero di volte (nel
nostro caso, 30.000) si ottiene la distribuzione empirica delle perdite del portafoglio, dalla
quale è possibile determinare il livello della perdita corrispondente a ogni possibile livello
di confidenza (percentile), nonché il multiplo da applicare alla deviazione standard
calcolata in precedenza (ULi) per ottenere direttamente la massima perdita possibile
all’intervallo di confidenza desiderato.
9 Nella nostra applicazione numerica (paragrafo 4), per ottenere numeri casuali correlati abbiamo scomposto la matrice delle
asset return correlation con il metodo di Cholesky.
12
Figura 1 – Schema della Simulazione Monte Carlo per il rischio di portafoglio
1. Stima delle probabilità di default (EDFs)
2. Stima della matrice delle asset return correlation
3. Generazione di numeri casuali correlati (attraverso la scomposizione della matrice delle asset
return correlation -- Cholesky factorization )
4. Definizione della soglia di insolvenza per ogni banca, pari all'inversa normale standard della
probabilità di insolvenza
5. Assegnazione dei valori 0 oppure 1 della variabile casuale bernoulliana Di, secondo la regola:
numero casuale correlato > soglia di insolvenza = 0 (Di)
numero casuale correlato < soglia di insolvenza = 1 (Di)
6. Somma di tutte le perdite verificatesi durante un ciclo, secondo la formula (nel 1° ciclo):
n
L1 = ∑ Di1 * Expi
i =1
7. Creazione di un istogramma di frequenza per riassumere i risultati della simulazione
3.4. Un modello di pricing dell’assicurazione dei depositi basato sul rischio
Nel caso dell’assicurazione dei depositi, la metodologia descritta in precedenza
consente un’immediata applicazione alla determinazione del premio assicurativo che
dovrebbe essere imputato alle banche partecipanti al sistema. Il premio dovrebbe coprire
almeno le perdite attese, in modo analogo a quanto lo spread fra tasso di interesse attivo
applicato dalle banche sui prestiti concessi alla propria clientela e tasso di rendimento privo
di rischio copre interamente il tasso di perdita attesa. Il pricing dell’assicurazione dei
depositi fondato sulla perdita attesa per l’agenzia di assicurazione presenta due vantaggi. A
livello sistemico, stabilire un prezzo dell’assicurazione per ogni banca pari alla perdita
10 Nel nostro caso, la LGD è fissa e pari al 50%. E’ comunque possibile assumere che la LGD sia stocastica, con una
determinata volatilità attorno al valore medio.
13
attesa garantisce che gli introiti derivanti dai premi siano sufficienti a coprire le perdite
medie in un periodo di tempo piuttosto lungo, rendendo così capiente il fondo per eventuali
interventi nel tempo. Inoltre, questo sistema di pricing basato sul rischio individuale
scoraggia il fenomeno del moral hazard: le banche più rischiose risultano infatti penalizzate
da premi più elevati.
Se il pricing fondato sulle perdite attese consente di controllare il rischio su base
individuale, esso non permette tuttavia di valutare il contributo al rischio di portafoglio
delle singole esposizioni. La contribuzione della singola esposizione bancaria alla perdita
inattesa del portafoglio (ULCP) è funzione della perdita attesa, della correlazione e
dell’esposizione. Pertanto, un pricing basato sul rischio che tenga conto dell’effettivo
assorbimento di capitale economico richiede l’incorporazione del contributo alla perdita
inattesa (ULC). Nel caso dell’assicurazione dei depositi, il pricing per una banca sarebbe
semplicemente pari alla relativa
perdita attesa più il contributo alla perdita inattesa
moltiplicato per un tasso espressivo del premio al rischio di mercato, stimato come
differenza fra rendimento del portafoglio di mercato (RM) e tasso privo di rischio (RF)11.
Analiticamente12:
(7)
Pi = ELi + ( RM − R F ) ⋅ ULC i
La stima empirica della ULC può risultare onerosa dal punto di vista
computazionale, soprattutto se effettuata nell’ambito di una simulazione. In questo caso,
infatti, per determinare il contributo alla perdita inattesa dell’esposizione i-esima occorre
confrontare la perdita inattesa (ad un certo intervallo di confidenza) calcolata su tutte le
esposizioni in portafoglio con quella derivante dall’eliminazione dell’esposizione i-esima13.
La logica seguita nell’analisi è analoga a quella seguita da una banca nel determinare lo spread fra il tasso attivo connesso a
un prestito nei confronti di una controparte affidata e il proprio costo dei fondi. Il meccanismo di pricing seguito dalle principali
banche che adottano i modelli per il rischio di credito si fonda infatti sulla somma di due componenti: il tasso di perdita attesa
e il prodotto fra quantità di rischio – approssimata dal VaR – e prezzo del rischio – approssimata dalla differenza fra costo del
capitale di rischio e tasso risk-free. Nel caso di un fondo avente natura mutualistica come quello italiano (Fondo Interbancario
di Tutela dei Depositi – FITD), nel quale le singole banche aderenti si impegnano a fornire i fondi necessari al rimborso dei
depositi di banche che divengono insolventi, è come se le singole banche assumessero il rischio connesso all’eventuale
insolvenza delle altre banche aderenti. In questo senso, dunque, essere devono essere remunerate per l’assunzione di tale
rischio sulla base di un premio al rischio di mercato.
12 Per semplicità, non si sono considerati eventuali amministrativi.
13 Questo metodo, comunemente definito “leave-one-out”, è piuttosto oneroso in termini di calcolo. Richiede, infatti,
l'effettuazione di un numero di simulazioni pari al numero delle esposizioni in portafoglio.
11
14
Alternativamente, si può ricorrere alla formula “chiusa” proposta in precedenza,
n
ULC i =
ULi * ∑ UL j *ρ i , j
j =1
UL P
, una volta che è stato stimato (con simulazione) il fattore
moltiplicativo da applicare alla deviazione standard della distribuzione delle perdite per
ottenere il livello di confidenza prescelto.
In generale, le banche maggiori richiedono una minore remunerazione per la perdita
attesa ma una remunerazione maggiore per la perdita inattesa, dal momento che il loro
contributo alla volatilità delle perdite del portafoglio dell’agenzia di assicurazione dei
depositi (o autorità di vigilanza) è molto elevato. Questo è dovuto al fatto che l’insolvenza
di una grande banche potrebbe mettere a rischio la solvibilità del fondo stesso.
4. Un’applicazione alle banche italiane quotate
In questo paragrafo presentiamo un’applicazione della metodologia proposta alle
banche italiane quotate. Seguendo la logica adottata dal modello CreditMonitor di KMV
si stimano le probabilità di insolvenza teoriche delle banche oggetto dell’analisi, utilizzando
sia i dati di bilancio sia le relative quotazioni azionarie della Borsa di Milano. Sempre
all’interno di questo impianto modellistico, si deriva la matrice delle correlazioni fra i
rendimenti degli attivi (asset return correlation),. I valori di mercato degli attivi sono a
loro volta stimati sulla base di un modello à-la-Merton. Successivamente, dalla matrice di
correlazione fra gli attivi si deriva la corrispondente matrice delle correlazioni fra le
insolvenze delle banche (default correlation), sfruttando la nota relazione che lega queste
due grandezze14. Con queste informazioni si è così in grado di:
1) generare la distribuzione empirica delle perdite del portafoglio e di stimare la
perdita attesa e inattesa per l’agenzia di assicurazione dei depositi derivante da
future insolvenze delle banche quotate italiane;
2) determinare il pricing dell’assicurazione dei depositi, corretto per il rischio, basato
sia sulla perdita attesa sia sul contributo al rischio di portafoglio di ogni singola
esposizione.
14
Per maggiori dettagli su questa metodologia di calcolo, cfr. Zazzara (2002).
15
3) definire la congruità della consistenza patrimoniale del fondo di un’agenzia di
assicurazione dei depositi.
4.1. L'esposizione al rischio di insolvenza e il tasso di recupero
Come mostrato nella Tabella 1, le banche incluse nel campione di analisi rappresentano
le maggiori 15 istituzioni italiane per totale dell’attivo e che a loro volta rappresentano più
del 60% dell'attivo totale della popolazione di banche commerciali italiane (banche
costituite sotto forma di SpA). Queste banche sono anche oggetto di classificazione da parte
delle più importanti agenzie di rating internazionali (Moody's, Standard and Poor's,
FitchIBCA), come mostrato nella Tabella 2, la quale riporta i rispettivi rating a lungo
termine. Ai nostri fini, l'esposizione al rischio di insolvenza (EXP) di un'agenzia di
assicurazione dei depositi è costituita dai debiti verso clientela delle banche (per lo più
depositi in conto corrente). Questo valore viene considerato come proxy dell'ammontare dei
depositi rimborsabili dall'agenzia di assicurazione in caso di crisi bancarie (nel caso
italiano, il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi)15. L'esposizione al rischio di
insolvenza viene successivamente corretta per tener conto di un tasso di recupero fisso pari
al 50%, ottenendo così i valori riportati nell'ultima colonna della Tabella 1.
Tabella 1 -- Le 15 banche oggetto dell'analisi
N°
Sigla
Denom.
Tot. Attivo
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
IBC
UCT
SIM
BDR
MPS
BNL
RLB
BPC
BPM
BPV
BPE
BPN
CRF
CRE
BTS
IntesaBci
UniCredito Italiano
San Paolo IMI
Banca di Roma
Banca Monte dei Paschi di Siena
Banca Nazionale del Lavoro
Rolo Banca 1473
Banca Popolare di Bergamo - Credito Varesino
Banca Popolare di Milano
Banca Popolare di Verona
Banca popolare dell'Emilia Romagna
Banca Popolare di Novara
Cassa di Risparmio di Firenze
Credito Emiliano
Banca Toscana
331.364
202.649
172.101
132.729
108.033
87.940
47.044
37.579
28.282
27.633
21.528
20.959
15.251
15.148
14.512
Esposizione a
rischio, corretta
Debiti verso clientela
per il tasso di
recupero
76.162
48.503
64.718
31.081
31.759
23.650
11.784
10.726
8.828
7.610
8.708
5.859
5.332
4.074
5.478
Totale esposizioni --->
Fonte: nostre elaborazioni su dati BankScope, aprile 2002 (Bureau Van Dijk and Fitch-IBCA).
16
38.081
24.252
32.359
15.541
15.880
11.825
5.892
5.363
4.414
3.805
4.354
2.929
2.666
2.037
2.739
172.136
Tabella 2 -- I ratings assegnati dalle principali agenzie di internazionali
Fitch
Moody's
S&P's
Fitch
Banca
Individual
Long Term
Long Term Long Term
Rating
IBC
A+
C
A1
A
UCT
AAB
Aa3
A+
SIM
AAB/C
Aa3
A+
BDR
BBB+
D/E
A2
MPS
A+
C
A1
A
BNL
BBB+
C/D
A2
BBB+
RLB
AAA/B
Aa3
A+
BPC
A2
A
BPM
AC
A2
ABPV
A+
B
A2
A
BPE
BBB+
C
BBB+
BPN
BBB+
D
CRF
AC
A2
CRE
A
B/C
BTS
A2
A
Fonte: nostre elaborazioni su dati BankScope, aprile 2002 (Bureau Van Dijk and Fitch-IBCA).
Si noti come alcune banche (BNL, BPT e BDR), pur presentando un rating
tradizionale investment grade (A2 Moody’s o BBB+ FitchIBCA o S&P), siano
caratterizzate da un rating FitchIBCA Individual16 molto basso. Ciò indica che, a fronte di
condizioni economico-finanziarie fortemente negative, le banche in esame sono giudicate
beneficiarie di un significativo supporto dell’organo di vigilanza o del governo in caso di
crisi.
4.2. La stima della probabilità di insolvenza individuale
Come già accennato in precedenza, la stima della probabilità di insolvenza teorica è
stata effettuata seguendo il modello CreditMonitor di KMV, il quale consente di derivare
questa misura sulla base dei dati di bilancio e dei prezzi azionari. In particolare, conoscendo
15 In realtà, l'ammontare di depositi rimborsabili è inferiore a questo importo, perché riferito ai depositi oggetto di tutela fino al
valore di circa 103.000 euro per depositante.
16 Il rating FitchIBCA Individual rappresenta una valutazione del merito creditizio delle singole banche prescindendo da
eventuali garanzie o supporti che possono derivare da parti terze quali governi o autorità di vigilanza. Diversamente dagli altri
rating riportati nella tabella, si tratta dunque di una valutazione delle condizioni economico-finanziarie dell’emittente e non
della vera e propria probabilità di insolvenza. La scala utilizzata da FitchIBCA per questo rating è composta da cinque classi
(A, B, C, D, E) a cui si sommano quattro classi intermedie o notches (A/B, B/C, C/D, D/E).
17
il valore dell'equity (dato dal prodotto del prezzo azionario corrente per il numero di azioni
in circolazione) e la sua volatilità (nel nostro caso, la deviazione standard dei rendimenti
storici) è possibile stimare il valore di mercato delle attività aziendali e la deviazione
standard di tale variabile (sfruttando la teoria sottostante i modelli di valutazione delle
opzioni).
Nella Tabella 3 sono riportate le statistiche descrittive relative ai rendimenti
logaritmici dei valori mensili dell'equity delle banche del campione, riferite al periodo
marzo 1997 - marzo 200217. Seguendo una prassi consolidata, i dati stimati sulla base delle
frequenze mensili sono stati annualizzati moltiplicando la media per 12 e la deviazione
standard per 12 , ipotizzando dunque indipendenza seriale dei rendimenti. I dati di
volatilità annua così stimati rappresentano un input del motore di calcolo del modello
CreditMonitor™ necessario per la stima della probabilità di insolvenza (EDF) delle banche
oggetto di analisi.
Tabella 3 - Statistiche descrittive sui rendimenti dell'equity (3/97-3/02)
Deviazione
Banca
Media
standard
IBC
2,10%
39,84%
UCT
8,40%
21,13%
SIM
-5,82%
27,50%
BDR
11,19%
39,00%
MPS
9,58%
33,87%
BNL
-3,24%
32,17%
RLB
5,50%
20,90%
BPC
20,26%
17,34%
BPM
-0,44%
36,91%
BPV
2,05%
27,16%
BPE
20,92%
18,42%
BPN
26,73%
36,18%
CRF
10,83%
21,15%
CRE
12,46%
42,15%
BTS
20,40%
26,26%
Fonte: nostre elaborazioni su dati Datastream.
Tuttavia, in alcuni casi, la stima è basata su un periodo di riferimento più breve, in funzione della data di quotazione in
borsa. Questo aspetto è stato tenuto in debita considerazione anche nella successiva stima dei coefficienti di correlazione.
17
18
Per la definizione del punto di insolvenza (Default Point), seguendo quanto previsto
dal modello di KMV, si è considerato il debito a breve termine a cui si è sommata la meta
del debito a lungo termine. Sulla base di evidenze empiriche, si ipotizza infatti che la
singola azienda riesca a sopravvivere, entro l'orizzonte temporale definito (1 anno), anche
qualora l'attivo non sia in grado di coprire la totalità del debito. La Tabella 4 riporta i valori
di bilancio e di mercato necessari per il calcolo della EDF delle 15 banche del campione. Il
valore di mercato dell'equity si riferisce al marzo 2002, mentre le passività bancarie e il
relativo Default Point si riferiscono al bilancio del 31 dicembre 2000.
Tabella 4 - Input necessari per alimentare il modello CreditMonitor (valori di bilancio
in milioni di euro)
VEQ
Banca
EVL
LBS
DPT
IBC
21.327
39,84%
297.060
238.623
UCT
23.965
21,13%
178.977
149.291
SIM
17.744
27,50%
153.963
128.485
BDR
3.481
39,00%
120.202
100.458
MPS
8.233
33,87%
95.709
78.965
BNL
5.178
32,17%
81.383
68.271
RLB
8.274
20,90%
41.111
35.138
BPC
2.629
17,34%
33.371
27.923
BPM
1.649
36,91%
24.851
20.360
BPV
2.882
27,16%
23.995
20.985
BPE
2.132
18,42%
18.698
15.703
BPN
2.100
36,18%
18.653
14.622
CRF
1.410
21,15%
13.323
11.375
CRE
1.808
42,15%
13.446
10.839
BTS
1.259
26,26%
12.514
10.965
Legenda
Valore di mercato dell'equity
EVL
Volatilità dell'equity
VEQ
Passività bancarie
LBS
Default Point
DPT
Fonte: nostre elaborazioni su dati BankScope e Datastream.
Utilizzando i dati relativi al valore di mercato e alla volatilità dell’equity è possibile
ricavare il valore di mercato e la volatilità dell’attivo18. Per la determinazione della EDF
18
cfr. Crosbie, 1999.
19
relativa a ogni singola banca l’analisi si è invece fondata sull’utilizzo dei dati forniti
direttamente da KMV. Ciò in quanto il risultato espresso in termini di “distance to default”
che sarebbe possibile ricavare dalle nostre stime andrebbe successivamente calibrato sulla
base delle frequenze di insolvenza storiche relative ai soggetti con simile distanza
dall’insolvenza. In questo senso, le EDF riportate di seguito sono puramente teoriche, dal
momento che sono calibrate su insolvenze empiriche di banche e società finanziarie non
italiane (soprattutto statunitensi e asiatiche)19. Nella Tabella 5 sono riportati i risultati.
Tabella 5 – Probabilità di insolvenza individuali delle banche del campione (03/2002)
Banca
AVL
ASG
EDF
IBC
317.547
4%
0,14%
UCT
205.100
3%
0,02%
SIM
171.799
4%
0,12%
BDR
121.875
3%
0,23%
MPS
104.826
3%
0,04%
BNL
86.276
3%
0,16%
RLB
49.126
6%
0,45%
BPC
36.189
3%
0,04%
BPM
26.251
4%
0,18%
BPV
26.976
3%
0,13%
BPE
20.997
3%
0,06%
BPN
20.989
4%
0,06%
CRF
14.803
3%
0,09%
CRE
15.198
6%
0,39%
BTS
13.824
3%
0,14%
Legenda
Valore stimato delle attività
AVL
Volatilità delle attività
ASG
Probabilità di insolvenza
EDF
Fonte: nostre elaborazioni su dati BankScope e Creditmonitor.
In Italia, infatti, i casi "effettivi" di insolvenza (tecnicamente, le liquidazioni coatte amministrative) di banche commerciali
sono molto rari, se non inesistenti. La probabilità effettiva di insolvenza sarebbe pertanto pari a zero in corrispondenza di
qualsiasi livello di Distance-to-default [pari a: (Attivo di mercato - Default Point) / (Attivo di mercato * volatilità Attivo di
mercato)].
19
20
4.3. Il rischio di portafoglio e il pricing dell’assicurazione dei depositi
Dopo aver definito e stimato le variabili di rischio su base individuale, è possibile
procedere ad analizzare il rischio a livello di portafoglio. Nel passaggio a un approccio di
portafoglio, la variabile chiave è rappresentata dalla correlazione, definita come misura di
movimento congiunto di due o più attività. In particolare, per sviluppare le misure di rischio
riportate nei paragrafi 3.2 e 3.3 è necessario stimare due tipi di correlazione: 1) la
correlazione tra gli eventi di insolvenza (default correlation); 2) la correlazione tra i
rendimenti degli attivi (asset return correlation).
I coefficienti di default correlation vanno ad alimentare il motore di calcolo della
perdita inattesa del portafoglio (ULP) nel caso dell'approccio media-varianza, mentre i
coefficienti di asset return correlation sono utilizzati nella generazione della distribuzione
empirica delle perdite del portafoglio, ottenuta tramite una simulazione Monte Carlo.
Disponendo del valore di mercato dell'equity e del valore di mercato degli attivi, stimato
secondo il modello CreditMonitor di KMV20, è possibile stimare la matrice delle asset
return correlation. Nella Tabella seguente è riportata la matrice dei coefficienti di
correlazione fra i rendimenti logaritmici mensili dell'equity, stimati sulla base dei dati
relativi al periodo marzo 97- marzo 2002. Nell’ultima colonna della matrice sono inoltre
riportati i coefficienti di correlazione fra i rendimenti dell'equity di ciascuna banca e i
rendimenti di un indice di mercato della Borsa di Milano21 (denominato "MKT"). Dai dati
della Tabella si nota che queste correlazioni sono piuttosto elevate, sia tra i rendimenti dei
prezzi azionari bancari sia tra questi e l'indice di mercato considerato. In particolare, i
coefficienti vanno da un minimo di 8% ad un massimo dell'81%, con una media pari al
52%22. Questo andamento è naturale se si considera che si tratta di prezzi azionari di
aziende di uno stesso settore, che denota a sua volta caratteristiche cicliche.
Seguendo una prassi comunemente adottata dai modelli per la misurazione del rischio di credito, la matrice delle asset return
correlation è stimata utilizzando i rendimenti dei valori di mercato dell’equity invece che quelli relativi ai valori stimati degli attivi.
In questo modo, infatti, si ha il vantaggio di utilizzare dati effettivi anziché stimati.
21 Questo indice è fornito da Datastream e copre la quasi totalità delle aziende quotate sul mercato italiano.
20
21
Tabella 6 - La matrice delle "asset return correlations" (marzo 1997-marzo 2002)
IBC UCT SIM BDR MPS BNL RLB BPC BPM BPV BPE BPN CRF CRE BTS MKT
IBC 100% 72% 70% 61% 61% 53% 62% 47% 23% 57% 49% 58% 75% 61% 43% 75%
UCT 72% 100% 77% 46% 66% 38% 63% 38% 21% 62% 50% 57% 80% 66% 43% 76%
SIM 70% 77% 100% 62% 74% 41% 81% 45% 20% 49% 66% 53% 68% 52% 33% 77%
BDR 61% 46% 62% 100% 65% 73% 75% 69% 20% 57% 71% 65% 59% 60% 23% 74%
MPS 61% 66% 74% 65% 100% 61% 74% 48% 14% 48% 34% 69% 60% 56% 34% 63%
BNL 53% 38% 41% 73% 61% 100% 45% 59% 25% 49% 48% 58% 47% 67% 20% 62%
RLB 62% 63% 81% 75% 74% 45% 100% 53% 10% 50% 54% 64% 77% 61% 26% 84%
BPC 47% 38% 45% 69% 48% 59% 53% 100% 25% 59% 50% 60% 52% 61% 41% 55%
BPM 23% 21% 20% 20% 14% 25% 10% 25% 100% 30% 27% 23% 19% 34% 43% 22%
BPV 57% 62% 49% 57% 48% 49% 50% 59% 30% 100% 64% 78% 76% 74% 36% 52%
BPE 49% 50% 66% 71% 34% 48% 54% 50% 27% 64% 100% 49% 61% 49%
8%
58%
BPN 58% 57% 53% 65% 69% 58% 64% 60% 23% 78% 49% 100% 73% 77% 42% 56%
CRF 75% 80% 68% 59% 60% 47% 77% 52% 19% 76% 61% 73% 100% 78% 51% 76%
CRE 61% 66% 52% 60% 56% 67% 61% 61% 34% 74% 49% 77% 78% 100% 41% 67%
BTS 43% 43% 33% 23% 34% 20% 26% 41% 43% 36%
8%
42% 51% 41% 100% 38%
MKT 75% 76% 77% 74% 63% 62% 84% 55% 22% 52% 58% 56% 76% 67% 38% 100%
Fonte: nostre elaborazioni su dati Datastream.
Da quest'ultima matrice viene ricavata la corrispondente matrice di default
correlation, riportata nella tabella 7.
Tabella 7 - La corrispondente matrice delle "default correlations" (03/1997-03/2002)
IBC UCT SIM BDR MPS BNL RLB BPC BPM BPV BPE BPN CRF CRE BTS
IBC 100% 14% 17% 12%
9%
7%
13%
4%
1%
9%
5%
8%
20% 12%
4%
UCT 14% 100% 17%
3%
9%
2%
8%
1%
0%
8%
3%
6%
20%
9%
2%
SIM 17% 17% 100% 12% 17%
3%
27%
3%
1%
6%
12%
6%
14%
8%
2%
BDR 12%
3%
12% 100% 11% 21% 25% 13%
1%
9%
16% 12%
9%
13%
1%
MPS
9%
9%
17% 11% 100% 9%
16%
3%
0%
4%
1%
13%
8%
7%
2%
BNL
7%
2%
3%
21%
9% 100% 6%
8%
1%
6%
5%
8%
5%
16%
1%
RLB 13%
8%
27% 25% 16%
6% 100% 6%
0%
7%
7%
12% 22% 14%
2%
BPC
4%
1%
3%
13%
3%
8%
6% 100% 1%
8%
4%
8%
5%
9%
3%
BPM
1%
0%
1%
1%
0%
1%
0%
1% 100% 2%
1%
1%
1%
3%
4%
BPV
9%
8%
6%
9%
4%
6%
7%
8%
2% 100% 11% 22% 22% 21%
3%
BPE
5%
3%
12% 16%
1%
5%
7%
4%
1%
11% 100% 4%
9%
5%
0%
BPN
8%
6%
6%
12% 13%
8%
12%
8%
1%
22%
4% 100% 17% 20%
3%
CRF 20% 20% 14%
9%
8%
5%
22%
5%
1%
22%
9%
17% 100% 24%
6%
CRE 12%
9%
8%
13%
7%
16% 14%
9%
3%
21%
5%
20% 24% 100% 4%
BTS
4%
2%
2%
1%
2%
1%
2%
3%
4%
3%
0%
3%
6%
4% 100%
Fonte: nostre elaborazioni su dati Datastream.
In questo caso, i coefficienti di correlazione sono sensibilmente inferiori ai
precedenti riferiti ai rendimenti degli attivi, andando da un valore minimo dello 0% ad uno
22
Questo valore è stato calcolato come media fra i coefficienti di correlazione al di fuori della diagonale principale.
22
massimo del 27% e con un valore medio pari all'8%. Il rapporto fra i coefficienti medi di
asset return correlation e di default correlation è quasi pari a 723.
4.3.1. La stima della deviazione standard del portafoglio
Utilizzando i coefficienti di default correlation è a questo punto possibile
determinare la deviazione standard del portafoglio, ottenendo:
n
UL P =
n
∑∑ ρ
i, j
∗ ULi ∗ UL j = 2.766 milioni di euro
i =1 j =1
Applicando anche le altre formule descritte nel paragrafo 3.2, è possibile stimare la
perdita attesa del portafoglio (ELP), la deviazione standard di ogni esposizione (ULi) e la
perdita inattesa marginale attribuibile a ciascuna esposizione (ULCi), la cui somma deve
essere pari alla deviazione standard del portafoglio definita in precedenza. Nella Tabella 8
vengono sintetizzati i risultati delle stime.
Così, con una esposizione totale pari a 172.136 milioni di euro, ci si attende di
perdere 218 milioni di euro (un importo piuttosto modesto), che è pari alla somma delle
singole perdite attese su ogni esposizione (pari al prodotto delle esposizioni per le rispettive
EDFs). La somma delle singole perdite inattese, pari ad 1 deviazione standard attorno al
valore atteso, è invece molto superiore e pari a 5.735 milioni di euro. Questo valore risulta
tuttavia superiore alla deviazione standard del portafoglio nel suo complesso, in quanto non
tiene conto del beneficio della diversificazione connesso all’imperfetta correlazione fra le
esposizioni. La somma dei contributi marginali alla deviazione standard del portafoglio
( ∑ ULC i ) risulta pari a 2.766 milioni di euro, esattamente equivalente al perdita inattesa
i
del portafoglio ( ULP ).
Crouhy et al. (2000) affermano che tale rapporto negli Stati Uniti è pari all'incirca a 10 per correlazioni fra gli attivi
comprese tra 20% e 60%.
23
23
Tabella 8 – Perdita attesa, inattesa e contributo marginale al rischio del portafoglio
Banca
Esposizione
(mil. Euro)
IBC
UCT
SIM
BDR
MPS
BNL
RLB
BPC
BPM
BPV
BPE
BPN
CRF
CRE
BTS
Totale
38.081
24.252
32.359
15.541
15.880
11.825
5.892
5.363
4.414
3.805
4.354
2.929
2.666
2.037
2.739
172.136
EDF
EL
UL
ULCi
0,14%
0,02%
0,12%
0,23%
0,04%
0,16%
0,45%
0,04%
0,18%
0,13%
0,06%
0,06%
0,09%
0,39%
0,14%
53
5
39
36
6
19
27
2
8
5
3
2
2
8
4
218
1.424
343
1.120
744
318
473
394
107
187
137
107
72
80
127
102
5.735
990,4954
108,4121
704,2756
366,616
102,1453
150,1807
178,0265
16,04212
16,24857
28,54538
20,78286
14,83627
26,06158
34,61438
8,907077
2.766
Fonte: nostre elaborazioni su dati BankScope e Creditmonitor.
4.3.2. La stima del capital multiplier e del VaR e il pricing dell'assicurazione dei depositi
L'approccio media-varianza illustrato nel precedente paragrafo, essendo fondato su
dati di deviazione standard, non consente di cogliere la natura asimmetrica della
distribuzione delle perdite del portafoglio. È dunque necessario ricorrere a una simulazione
Monte Carlo per generare tutti gli scenari di perdita possibili e i relativi livelli di
confidenza. Applicando lo schema riprodotto nella figura 1 e utilizzando la matrice delle
asset return correlation riportata nella tabella 6, si ottengono i risultati riportati nella
tabella 9.
24
Tabella 9 - Sintesi dei risultati della Simulazione Monte Carlo (50.000 ripetizioni)
Perdita attesa
218
Intervallo di
Max perdita
VaR
Confidenza
99,00%
8.607
8.389
99,50%
17.530
17.312
99,90%
52.295
52.077
99,95%
66.866
66.648
99,99%
87.165
86.947
Fonte: nostre elaborazioni su dati BankScope e Creditmonitor.
Adottando un intervallo di confidenza del 99,50% si ottiene una massima perdita
possibile pari a 17.530 milioni di euro. Sottraendo a questo valore la perdita attesa di 218
milioni, si ottiene un VaR di portafoglio pari a 17.312 milioni di euro. Come illustrato in
precedenza, per evitare di effettuare calcoli onerosi per la determinazione della perdita
inattesa marginale relativa a ogni singola esposizione (e dunque del relativo VaR
marginale), necessaria per la formula di pricing dell'assicurazione dei depositi, si ricorre al
metodo del capital multiplier piuttosto che a quello del già citato "leave-one-out"24. A
questo scopo viene stimato il multiplo da applicare alla deviazione standard del portafoglio
(ULP) per ottenere la massima perdita possibile all'intervallo di confidenza desiderato. Nel
nostro caso, i multipli "empirici" sono quelli riportati nella tabella 10.
Tabella 10 - La stima dei Capital Multiplier
Perdita attesa
218
Intervallo di
Max perdita
VaR
ULp
Confidenza
99,00%
8.607
8.389
2.766
99,50%
17.530
17.312
2.766
99,90%
52.295
52.077
2.766
99,95%
66.866
66.648
2.766
99,99%
87.165
86.947
2.766
Capital
Multiplier
3,11
6,34
18,90
24,17
31,51
Fonte: nostre elaborazioni su dati BankScope e Creditmonitor.
Secondo questo metodo, il VaR marginale di una singola esposizione è stimato come differenza fra il VaR complessivo del
portafoglio e il VaR del portafoglio ottenuto eliminando l’esposizione in esame. Nel caso di numerose esposizioni, questo
metodo richiede un elevato tempo di calcolo.
24
25
Applicando questi multipli alle perdite inattese marginali (ULCi) calcolate in
precedenza, si ottengono le perdite inattese marginali "empiriche", non vincolate alla
distribuzione normale. Il pricing risulta pari alla somma della perdita attesa (EL) e del
prodotto tra il VaR Marginale della singola esposizione, pari alla differenza tra la ULCi e la
ELi25, e un tasso espressivo del premio al rischio di mercato, così come previsto dalla (7). Il
premio al rischio utilizzato nell’analisi empirica è pari al 5%. I risultati sono riportati nella
tabella 11.
Tabella 11 - Il pricing dell'assicurazione dei depositi basato sul Value at Risk (99,5% c.l.)
Banca
Esposizione
(mil. Euro)
IBC
UCT
SIM
BDR
MPS
BNL
RLB
BPC
BPM
BPV
BPE
BPN
CRF
CRE
BTS
Totale
38.081
24.252
32.359
15.541
15.880
11.825
5.892
5.363
4.414
3.805
4.354
2.929
2.666
2.037
2.739
172.136
EDF
EL
UL
ULCi
ULCi* capital
multiplier
VaRi
al 99,5%
0,14%
0,02%
0,12%
0,23%
0,04%
0,16%
0,45%
0,04%
0,18%
0,13%
0,06%
0,06%
0,09%
0,39%
0,14%
53
5
39
36
6
19
27
2
8
5
3
2
2
8
4
218
1.424
343
1.120
744
318
473
394
107
187
137
107
72
80
127
102
5.735
990,4954
108,4121
704,2756
366,616
102,1453
150,1807
178,0265
16,04212
16,24857
28,54538
20,78286
14,83627
26,06158
34,61438
8,907077
2.766
6.277
687
4.463
2.323
647
952
1.128
102
103
181
132
94
165
219
56
17.530
6.224
682
4.424
2.288
641
933
1.102
100
95
176
129
92
163
211
53
Pricing
(à-la-VaR,
99,5%)
364,50
38,96
260,05
150,12
38,40
65,56
81,60
7,12
12,70
13,74
9,07
6,37
10,54
18,51
6,47
1.083,72
Variazione
Pricing
premio rispetto
(%)
a EL
0,96%
0,16%
0,80%
0,97%
0,24%
0,55%
1,38%
0,13%
0,29%
0,36%
0,21%
0,22%
0,40%
0,91%
0,24%
584%
703%
570%
320%
505%
247%
208%
232%
60%
178%
247%
262%
339%
133%
69%
Fonte: nostre elaborazioni su dati BankScope e Creditmonitor.
Come già evidenziato in precedenza, le banche più rischiose (non necessariamente
quelle più grandi in termini di depositi verso clientela) contribuiscono maggiormente in
termini di perdita attesa, mentre le banche maggiori, quelle verso le quali l'agenzia di
assicurazione ha le esposizioni di maggiori dimensioni, contribuiscono maggiormente in
termini di perdita inattesa. Come si può notare dai dati riportati nell'ultima colonna della
Tabella 11, la differenza tra un premio basato esclusivamente sulla perdita attesa (EL) ed
uno basato anche sul rischio di portafoglio è superiore per le banche verso le quali si hanno
le maggiori esposizioni.
25
Se non si sottraesse alla ULCi la relativa perdita attesa (ELi), si conterebbe due volte la EL nella formula del pricing.
26
Infine, rapportando il totale dei premi delle 15 banche così calcolati (1.083,72
milioni di euro) al totale delle esposizioni (172.136 milioni di euro) si ottiene il valore
teorico d'intervento dell'agenzia di assicurazione dei depositi, entro l'intervallo di tempo
considerato (1 anno). Questo valore risulta pari allo 0,63% del totale delle esposizioni, e si
colloca nell'intervallo 0,4%-0,8% stabilito dallo statuto del Fondo Interbancario di Tutela
dei Depositi. A questi premi andrebbero aggiunti anche quelli delle restanti banche
consorziate per ottenere così il limite d'intervento teorico del sistema dell'assicurazione dei
depositi nel suo complesso.
5. Conclusioni
Nel nostro paese, così come in altri paesi europei, l’agenzia per l’assicurazione dei
depositi è responsabile dell’intervento in caso di insolvenza di una banca ma non dispone di
alcun potere di vigilanza sulle banche i cui depositi sono oggetto di assicurazione. Questa
situazione anomala, che potrebbe definirsi di “powerless responsibility”, fa sì che il Fondo
Interbancario di Tutela dei Depositi sia chiamato a coprire le perdite connesse all’eventuale
insolvenza delle banche aderenti senza che esso disponga di alcuno strumento di controllo
sulle politiche di assunzione del rischio delle stesse banche.
In una simile situazione, il problema del moral hazard tipicamente connesso alla
presenza di un sistema di assicurazione dei depositi risulta accentuato per il fatto che
l’organismo responsabile della tutela dei depositanti non dispone di alcun potere di
controllo del rischio assunto dalle banche. Data la natura mutualistica del Fondo
Interbancario di Tutela dei Depositi, si potrebbe inoltre argomentare che al problema del
moral hazard si accompagna in questo caso un problema di free-riding, nel senso che gli
azionisti delle singole banche aderenti hanno convenienza ad adottare politiche aggressive
di assunzione di rischio consapevoli del fatto che le eventuali conseguenze negative di tali
politiche verrebbero sostenute dalle altre banche del sistema.
In questo contesto vi è un unico strumento a disposizione dell’agenzia per
l’assicurazione dei depositi che consenta di bilanciare questi potenziali problemi
disincentivando l’assunzione di rischio da parte delle banche aderenti: un efficace
meccanismo di pricing dell’assicurazione fondato sul grado di rischio effettivo che le
27
singole banche comportano per il fondo. Da questo punto di vista, un’agenzia di
assicurazione dei depositi è assimilabile a una banca che concede dei finanziamenti alla
propria clientela. Nel caso di una banca, il rischio è rappresentato dall’insolvenza delle
controparti affidate. Nel caso di un’agenzia di assicurazione dei depositi, il rischio è invece
rappresentato dall’insolvenza delle banche i cui depositi sono coperti da assicurazione.
Seguendo questa semplice logica, il presente lavoro ha utilizzato un approccio
analogo a quello di un modello CreditVaR di tipo default mode per quantificare il rischio
cui è esposta un’agenzia di assicurazione dei depositi. In particolare, a questo scopo si sono
utilizzati i dati di bilancio e del mercato azionario relativi a un campione di 15 grandi
banche italiane quotate. Ciò ha consentito di stimare sia il rischio di insolvenza su base
individuale sia il rischio di portafoglio per un’agenzia di assicurazione dei depositi
chiamata a rimborsare i depositi delle banche in caso di insolvenza delle stesse. L’analisi
empirica ha dunque consentito di stimare, mediante l’utilizzo di una simulazione Monte
Carlo, la distribuzione di probabilità delle perdite. Si è inoltre illustrato come quest’ultima
possa essere a sua volta utilizzata per: (i) valutare la congruità della consistenza
patrimoniale del fondo di un’agenzia di assicurazione dei depositi, (ii) determinare il
contributo marginale al rischio complessivo del portafoglio connesso a una singola banca,
(iii) stimare una formula alternativa di pricing dell’assicurazione dei depositi rispetto a
quella più diffusa in letteratura basata sui modelli di option pricing.
I risultati empirici ottenuti con riferimento a quest’ultima applicazione hanno
mostrato come il modello utilizzato produca risultati ragionevoli e coerenti con la prassi
attualmente in uso presso il Fondi Interbancario di Tutela dei Depositi. A fronte di un
importo complessivo di premi coerente con l’attuale impegno del FITD, tuttavia, si sono
ottenuti risultati di pricing fortemente differenziati fra le banche del campione. Tali
differenze riflettono da un lato il diverso grado di rischio individuale di queste ultime e
dall’altro la maggiore incidenza, a parità di rischio individuale, sul rischio complessivo del
portafoglio delle banche di dimensioni più elevate.
28
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