Trouble in Paradise (Mancia competente) di William Paul

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Trouble in Paradise (Mancia competente) di William Paul
Trouble in Paradise (Mancia competente)
di William Paul
Trouble in Paradise [Mancia competente, 1932] è divenuto il film più dettagliatamente analizzato e
più lodato tra quelli realizzati da Lubitsch. E' stato comparato alla Restoration comedy
[http://en.wikipedia.org/wiki/Restoration_comedy] e decretato "un film quasi perfetto", "più vicino
alla perfezione di qualunque altro film abbia mai visto", "la più impeccabile commedia di galateo in
un film Americano", "una perfetta miscela di contenuti e forma", infine, e molto più peculiarmente,
"un trionfante gioco immorale". Quando uscì, comunque, anche le più acclamate critiche di Trouble
in Paradise l’hanno giudicato privo di grandi tematiche, e hanno preferito lodarlo per le sue qualità
formali. Alexander Bakshy in The Nation scrisse "La storia, va da sé, è un banale aneddoto" (p.
576), mentre Dwight Macdonald fece un altrettanto noncurante affermazione: "... il racconto. (Il
quale, comunque, è banale - e del tutto irrilevante)" (p. 171). Con il passare del tempo c’è stata una
generale rivalutazione del film, e la maggior parte della critica lo pone fermamente radicato nella
Depressione: è una non troppo segreta critica sociale che fa da sfondo a gran parte della commedia.
Oltre ad essere il film più analizzato tra quelli di Lubitsch, mi pare sia anche il più incompreso, in
modo particolare nel contesto delle sue attitudini sociali. Parte del problema con queste analisi è
semplicemente l'approccio impressionistico che domina a tal modo la critica dei film, ma un'altra
parte è l'incapacità ed il rifiuto dei critici di porre attenzione ai contesti del film: quella prevista dai
film di Lubitsch che lo circondano e di quella prevista dagli altri film del periodo così come le sue
tradizioni generiche. In Trouble in Paradise è presente una critica sociale, ma troppe delle visioni di
Lubitsch sono state distorte per far si che rientrassero nelle attitudini imposte al film.
Dal momento che Trouble in Paradise opera in un contesto sociale più specifico di qualunque film
antecedente, guarderei innanzitutto come le ambientazioni agiscano qui in confronto ai precedenti
film di Lubitsch. Questi film sono ambientati in capitali Europee, e tutti, incluso Trouble in
Paradise, sono realizzate all’interno degli studios, cosicché l'impatto dell'ambientazione è molto più
metaforica che attuale. Sembra ci sia sempre più attenzione per ciò che l'ambientazione possa
significare piuttosto che per la sua realtà fisica. Nei film precedenti, le città straniere, il più delle
volte Parigi, rappresentavano una liberazione ed una raffinatezza che permisero agli attori americani
nella parte di presunti personaggi europei di recitare in un modo che il pubblico americano del
tempo potrebbe considerare inappropriato. Trouble in Paradise è ambientato in due città: un
prologo a Venezia, la parte principale del racconto a Parigi, con lo spostamento da una città all'altra
che suggerisce un cambiamento al tono del film. Richard Koszarski cerca le differenze nei
significati che associazioni familiari delle città possono evocare: "Venezia, nota sin dal
Rinascimento non solo come un gran centro di commercio e scambi, ma anche come centro del
mondo dello spionaggio e del tradimento...Parigi, capitale non finanziaria, ma del romanticismo" (p.
47). Il problema con questa interpretazione è che ignora prove evidenti del film che presentano
Parigi come un luogo commerciale ancor più di Venezia: Parigi è, dopotutto, introdotta tramite una
pubblicità radio, e gran parte dell'attività che i personaggi incorrono a Parigi hanno a che fare con le
attività dell'impero commerciale di Colet [Kay Francis].
E' Venezia qui, almeno all'inizio, che pare prendere il posto di Parigi nei musical: una località
straniera più romantica di qualunque città Americana - canali, gondole, tenori gondolieri che
cantano canzoni d'amore - dove i personaggi americani possono agire nei modi che gli vengono
negati a casa. Ma come Venezia viene inizialmente rivelata suggerisce qualcosa di differente e,
spesso per un regista con un così forte senso dello stile, il “come” è la chiave per comprendere il
“cosa”. L'apertura del film, una delle scene più frequentemente discusse, è stata generalmente
considerata come un conflitto tra apparenza e realtà, sebbene ci siano delle incertezze su cosa sia la
realtà in se. Fin tanto che c'è un conflitto, o almeno una modifica delle aspettative, l'ambiguità è
posta da una scena d’apertura che nega dettagli sul luogo; una semplice inquadratura di un porticato
e una porta, con un secchio dell’immondizia ed un cane che cerca di arrivare ai rifiuti, dove il
dettaglio aggiunto del cane conferisce alla scena una qualità archetipica, a suggerire che questa
scena potrebbe svolgersi in qualsiasi luogo in cui ci siano secchi dell’immondizia e cani. Un addetto
alla raccolta dei rifiuti fa il suo ingresso, aggiungendo alcuni particolari dal suo modo di vestire, ma
il posto rimane non identificato. Solo quando l’uomo carica il bidone e lo trasporta alla sua gondola
parcheggiata nel canale, con la macchina da presa che lentamente allarga l’inquadratura e rivela
l’ambientazione attraverso una panoramica, che è svelato che il luogo è Venezia.
Siamo stati preparati, qui, ad una sorpresa sensazionale, come accade molto frequentemente nei
primi film di Lubitsch, ma è importante, per la direzione assunta dai film più recenti, che la sorpresa
stessa non venga “sgonfiata”. La tipologia di capovolgimento più familiare, in Lubitsch, a partire,
almeno dai drammi storici, è un metodo di riduzione ironica che trasforma il grandioso in luogo
comune. Questo metodo può essere visto qui a tal punto che una delle città più fantastiche del
mondo viene introdotta attraverso un solido, e forse sordido, sprazzo di realtà. Ma, in realtà, è vero
anche il contrario, cioè che Lubisch si muove dal comune all’esotico, sia nell’ambientazione (da
una qualsiasi porta sul retro a Venezia) che nel personaggio (da un ordinario e anonimo raccoglitore
di immondizia ad un brillante tenore romantico). Mentre molto del tono vivace di Trouble in
Paradise deriva dal metodo di capovolgimento ironico semplice tipico dei suoi primi film, in questa
scena, con quel gioco di fluido alternarsi tra realtà e apparenza, Lubitsch ha iniziato a muoversi
nella direzione che intraprenderà nei suoi film più tardivi, a cui attribuirà un tono vagamente più
complesso con la mutazione del suo stile di sorpresa. Laddove i capovolgimenti nei drammi storici
e nei musical che si svolgono in Ruritania suggerivano che, in alcuni sensi, la nobiltà non era poi
così differente dal resto dell’umanità, qui ogni nuova rivelazione non va realmente a contraddire le
apparenze iniziali; il tenore romantico continua ad essere uno spazzino, mentre Venezia, con tutta la
sua atmosfera romantica e fiabesca, continua ad essere un posto in cui le persone devono vivere,
mangiare e portar fuori la spazzatura di notte.
Il significato di Parigi è definito in modo analogo dal modo in cui è introdotta. La transizione verso
Parigi è sorprendentemente diretta; fade out da un’inquadratura del Gran Canale, fade in su un long
shot della Torre Eiffel, un’introduzione ad un’ambientazione che è insolitamente convenzionale per
il Lubitsch di questo periodo. Dopo un attimo, la convenzionalità è eliminata quando dalla torre
iniziano a partire degli irreali fulmini, che trasformano il simbolo più familiare di Parigi in un
simbolo, altrettanto familiare per l’audience dei primi anni trenta, della RKO Pictures. Inizia un
notiziario, che va a creare, con un bollettino sull’ultima avventura di Gaston Monescu [Herbert
Marshall], una connessione con la prima parte del film. Segue rapidamente una pubblicità cantata
dei profumi Colet, e successivamente l’introduzione della stessa Madame Colet ad un incontro del
consiglio d’amministrazione della compagnia di profumi. Questo improvviso cambio dell’ambiente
è accompagnato da un cambiamento nel tipo di comicità, che passa dall’ironia velata della sequenza
d’apertura alla più diretta satira multipla su radio, film, politica e commercio.
La satira introdotta qui rappresenta un certo tipo di ampliamento, un muoversi oltre dal gioco
personale del prologo, poiché gli interessi della commedia sono ora diventati sociali nel senso più
completo del termine. In modo appropriato, questo ampliamento nell’ambientazione è
accompagnato da un immediato e moderatamente improvviso cambio nel nostro senso del periodo.
Fino a questo punto, il film si è svolto nel tempo delle commedie Boulevardier di Lubitsch degli
anni venti. Cioè, vestiti e dettagli rappresentano un periodo approssimativamente contemporaneo,
ma il comportamento e l’ambiente sociale privano il periodo di specificità, cosicché, ad esempio, è
impossibile percepire delle diversità sociali significative tra la scrittura di Lady Windermere’s Fan
di Oscar Wilde nel 1892 e il film che Lubitsch gira nel 1925, nonostante il film possegga un chiaro
aspetto post-Prima Guerra Mondiale.
Con la transizione a Parigi, Lubitsch entra trionfante nel mondo contemporaneo attraverso la
trasformazione della Torre Eiffel, un monumento dell’art nouveau del diciannovesimo secolo, in un
artefatto della tecnologia del ventesimo secolo. L’introduzione della linea narrativa principale
comporta un cambio architettonico dal vecchio mondo veneziano del barocco Grand Hotel a quello
moderno Parigino della mansione di Madame Colet, e con questo passaggio appare un nuovo
interesse nelle questioni contemporanee. Laddove la scena d’apertura si svolgeva con una certa
vivacità, tutto d’un tratto si parla di “tempi come questi”, una frase che diventa una specie di
ritornello durante il resto del film – tagli di stipendio e disoccupazione. Infatti, la Depressione ha
fatto il suo ingresso nel mondo della commedia romantica leggera. Quando, dopo un’apparente
digressione che introduce Mariette Colet, il film finalmente ritorna a Lily [Miriam Hopkins] e
Gaston, questi due personaggi, che non hanno altri interessi al mondo se non il loro stesso
appagamento, si ritrovano presto a confrontarsi con una realtà della società contemporanea che
normalmente non dovrebbe coinvolgere un delinquente: sono senza lavoro. E quando Gaston si
accorge della possibilità di rimediare qualche spicciolo dalla borsetta che aveva rubato a Mariette,
finisce per scimmiottare sardonicamente Herbert Hoover nell’assicurare a Lily che “la prosperità è
appena dietro l’angolo”. Se Parigi rappresenta, in questo film, il mondo contemporaneo del
Business, è proprio a Parigi che questi due abili ladri si trovano a preoccuparsi del futuro dei propri
affari.
L’architettura di Venezia rimanda la città al passato, e non soltanto perché Parigi, nell’ultimo
secolo, è stata il centro dei movimenti stilistici maggiori nell’arte della plastica e del design. In
fondo, fin da Morte a Venezia di Thomas Mann, Venezia, città vecchia di secoli che lentamente
cola a picco nell’oceano, è stata associata al concetto di decadenza. La pubblicità cantata del
profumo, che agisce come un’introduzione musicale alla linea narrativa principale, è strutturalmente
parallela all’introduzione musicale del prologo. Laddove il prologo si apre con dei rifiuti, il corpo
del film si apre con del profumo, ma se l’immondizia funge da scheletro per l’intero primo episodio,
fornisce anche un senso di decadimento che fluttua per tutto il resto del film. Tutto può essere
marcio, come suggerisce lo spot del profumo, fin tanto che sai come camuffare il marcio
artisticamente: “Non importa quello che dici, non importa l’aspetto che hai, ma come profumi”. Il
profumo reale che permea l’intero film è un vago odore di decadenza, poiché è la corruzione a
permeare l’intera società.
La metafora dei rifiuti-profumo in fondo suggerisce una critica nei confronti della società in cui il
film si svolge, per quanto la natura di questo aspetto non sia così univoca come una certa parte della
critica ha affermato. Quanto sia ambigua l’attitudine, qui, può essere visto proprio nello stesso spot,
poiché esso inizia con una satira quantomeno ovvia. Partendo da una pubblicità composta da parole
satiriche, l’umorismo si trasforma quasi in burlesco con un long shot di un quadro per le affissioni
al neon animato in cui un uomo vestito da sera spruzza del profumo sul torace di una donna seminuda, sul letto, che alza le mani per lo spavento. Dopodiché, mentre la canzone prosegue di
sottofondo, portando avanti il tono satirico, l’immagine presenta un improvviso cambio nel tono
quando il quadro per le affissioni è seguito da un primo piano in soft-focus di due meravigliose
donne che si impregnano tra loro di profumo Colet; la finta promessa di incanto della canzone
produce improvvisamente un incanto genuino nell’immagine.
I cambi repentini negli stili visivi in questa breve sequenza compongono un’attitudine definita con
precisione, che non è semplice da isolare. Dalle nitide, chiaramente delineate immagini delle prime
due scene – l’assoluto nero su bianco nel piano medio dell’annunciatore sapientemente contrastato
con il brillante bianco del segnale illuminato su uno sfondo nero – il film passa ad un’immagine soft
di una donna sola, vista in stile bianco-su-bianco. C’è anche un cambiamento complementare nel
movimento, all’interno delle immagini stesse, dai movimenti vivaci dell’annunciatore e
l’animazione traballante del segnale illuminato, ai movimenti più fluidi e languidi delle due modelle
che si cospargono di profumo. La promessa di incanto può essere spuria nella canzone, ma l’incanto
stesso, per Lubitsch, è reale.
La pubblicità termina con il cambio di tono più estremo nell’intera sequenza: un long shot di una
massa di lavoratori che escono dalla fabbrica della Colet and Company. Questa combinazione di
inquadrature, delle modelle di alta classe che collidono con la forza lavoro proletaria, crea una
specie di “montaggio dialettico” che non sarebbe fuori luogo in un film di Sergei Eisenstein, anche
nella sofisticata opposizione visiva che si crea attraverso i tagli, dalle linee curve e i volumi pieni
dei primissimi piani sui volti alla composizione più angolare del long shot sulla fabbrica. Ma se
questa breve sequenza rimanda ad Eisentstein, il significato di queste opposizioni non è mai così
chiaro come sarebbe nell’atmosfera più didattica dei film di Eisenstein.
L’inquadratura dei lavoratori è insolita nel contesto della carriera di Lubitsch, in quanto indica un
livello di vita di tutti i giorni che era sempre stato omesso nei suoi film precedenti, e infatti non è
mostrato in nessun altro punto di Trouble in Paradise. L’inquadratura dei lavoratori funge da ponte
immediato per la scena successiva, l’incontro del consiglio d’amministrazione della Colet & Co, nel
quale si discute la possibilità di un taglio nei salari. Ma nel notare che i lavoratori sono incastrati tra
modelle d’alta classe ed indaffarati uomini d’affari, non vorrei suggerire che il film presenti il
proposito di un attacco ai demoni del capitalismo. Infatti, l’immediato cambio di tono può essere
visto come se effettivamente andasse a minare qualsiasi proposito didattico. Ovvero, l’incanto reale
dei due primi piani squarcia la satira della canzoncina pubblicitaria, come anche il successivo long
shot dei lavoratori di fabbrica squarcia l’incanto dei primi piani.
L’esatto tipo di attitudine che filtra attraverso tutti questi passaggi è molto difficile da descrivere.
“Cinismo” è la parola che più prontamente viene alla mente, ed è sicuramente la parola più evocata
più di frequente dalla critica, ma l’estensione del cinismo di Lubitsch è stata sovrastimata:
semplicemente c’è troppo in cui lui crede, e questo è esemplificato nel migliore dei modi nei
comportamenti che i suoi personaggi assumono nei confronti l’uno dell’altro. Credo sia più
opportuno sorvolare sui cambi di questa sequenza per godere di una sensibilità dialettica che
postulerà sempre l’opposto di ciò che vede. In uno schema più ampio del film, la bionda Lily e la
bruna Mariette sono presentate come opposte, ma comunque la macchina da presa di Lubitsch non
favorisce né una né l’altra, nonostante esse mantengano la loro opposizione per tutta la durata del
film. Nella misura in cui un artista comico può trovare commedia in una situazione seria, come
Lubitsch fa qui con la Depressione, lui è, in fondo, un dialettico. Ma mentre Lubitsch troverà
successivamente elementi della commedia anche nell’invasione nazista e nell’occupazione di
Varsavia, il suo forte senso dialettico, a partire da Angel nel 1937, crescerà sempre più debolmente
ad ogni suo ulteriore movimento verso una visione degli opposti che contiene l’uno e l’altro.
Il personaggio più benestante del film, Mariette Colet, è stato spesso visto in modo negativo dalla
critica, ma la presentazione che ne dà Lubitsch, non senza la sua asprezza, è tutt’altro che negativa.
La sua prima apparizione avviene dopo la richiesta di M. Giron [nome completo del personaggio:
Adolph J. Giron] (C. Aubrey Smith) di un taglio negli stipendi dei lavoratori, e la sua risposta è già
una nota chiave del personaggio per il resto del film:
GIRON: “sono sicuro, Mme Colet, che se suo marito fosse ancora vivo, la prima cosa che farebbe
in tempi come questi sarebbe tagliare i salari!”
MARIETTE: “Sfortunatamente, Monsieur Giron, gli affari mi annoiano a morte – e oltretutto, ho
un appuntamento per il pranzo. Per cui credo che lasceremo gli stipendi lì dove sono. Arrivederci!”
Ad un primo sguardo, Mariette sembra definita dalla sua irresponsabilità, viste le ragioni triviali con
cui rifiuta il taglio dei salari. E ancora, le sue maniere suggeriscono sia una scherzosità che una
generosità che contrastano direttamente con i modi indaffarati ed auto-compiacenti di Giron. Dal
modo sprezzante in cui lui formula la sua richiesta, ad implicare che Mariette non possa essere abile
negli affari come il suo passato marito, Giron in fondo va quasi a richiedere una risposta
“trivializzante”. La replica di Mariette lascia intendere la possibilità che lei sia ben lontana
dall’impazzire con gli affari del consiglio, che, nel giocare su una femminilità convenzionale che le
permette di essere irresponsabile, lei presenta un’argomentazione contro il taglio degli stipendi che
non può essere contestata. Può apparire che lei stia trivializzando, ma dimostra anche un gran senso
di stile che le permette di passar oltre il più fastidioso dei problemi con la più grande facilità.
L’ambiguità apparente del personaggio di Mariette deriva da un conflitto tra la sua funzione nella
trama e il suo carattere, conflitto che credo possa essere definito più esattamente determinando il
contesto generico del film.
Trouble in Paradise è stato elogiato come “una delle creazioni comiche più profonde di Lubitsch, il
progenitore di un’intera linea stilistica di ladruncoli in libri, cinema e televisione” (Carringer and
Sabbath, p.26). È un dato di fatto che Monescu compaia più verso la fine della linea che non
all’inizio, poiché questo affermarsi non solo ignora l’ovvio prototipo delle storie di “Raffles” di E.
W. Hornung pubblicate nel 1902, ma da uno sguardo dall’alto anche ad un’immediata popolarità
delle storie di “ladri gentiluomini” nei tardi anni venti. Secondo l’American Film Institute Catalog
of Motion Pictures Produced in the United States del 1921-30, furono prodotti solo due film tra il
1921 e il 1926 in cui un ladro gentiluomo aveva il ruolo da protagonista, mentre nel periodo che va
dal 1927 al 1930 ci furono sette film relativi a ladri gentiluomini. Credo che sia più che una
coincidenza che questo ciclo miniaturizzato di film sui ladri gentiluomini sia prodotto
parallelamente al trionfo dei gangster film, poiché il “ladro gentiluomo” può essere visto come una
versione d’alta classe del gangster, ed in un certo qual modo Trouble in Paradise opera su entrambi
i fronti.
L’improvviso appoggio dato alla mancanza di legge, in questi film, non è esattamente un prodotto
della stessa Depressione, in quanto i cicli di Gangster e di Ladri Gentiluomini, iniziati nel 1927,
anticipano il crollo della Borsa. Nei film di gangster, almeno, è possibile vedere un riflesso distorto
del vertiginoso trionfo capitalista degli anni venti. Il caos emozionale del Crash potrebbe aver
aiutato a scalare la popolarità questo genere frequentemente anarchico, ma per tutta l’anarchia nel
corpo del lavoro non ci fu mai nessuna questione sull’abilità della legge di riaffermarsi
definitivamente, cosicchè anche nel bel mezzo della Depressione si perpetrava una fiducia nei
confronti del potere rigenerativo della società. La critica del tempo potrebbe essersi lamentata del
fatto che il pubblico spesso acclamava il trasgredire dei gangster, ma anche se i film stessi potevano
aver derivato una parte del loro fascino dall’attrazione per un tipo di comportamento incontrollato,
era comunque un fascino “sano”, in quanto la trama inevitabilmente portava alla distruzione del
gangster come piaga sociale.
Il genere del “ladro gentiluomo” si basava invece su un’aspettativa in qualche modo differente,
nella misura in cui il ladruncolo era, almeno in apparenza, un rappresentante della società, e i suoi
stessi modi gentili proiettavano un senso di ordine. Il gangster, al contrario, proveniva sempre dalle
classi più basse, era spesso un immigrato e, in alcuni casi, appena arrivato; in altre parole, un
forestiero che minacciava l’ordine stabilito tanto da poter presentare un’immagine parodistica dei
valori dell’ordine stesso. Se l’estraneità del gangster suggeriva una soluzione piuttosto semplice ai
problemi da lui creati – la sua espulsione – il ladro gentiluomo presentava un problema più grande: i
pericoli che creava potevano essere più moderati, meno intrusivi, ma erano potenzialmente più
sovversivi. Stranamente, Trouble in Paradise sembra unico nel realizzare semplicemente quanto
sovversivo può arrivare ad essere un ladro gentiluomo. Nel caso di tutti i film sui ladri gentiluomini
presentati nel A. F. I. Catalog [http://afi.chadwyck.com/home] la minaccia del criminale alla società
è negata alla fine del film, sia con la distruzione del ladro da parte della società stessa, o dalla
decisione del ladro, spesso incoraggiata dall’aiuto di una donna convenientemente ricca, di rigar
dritto e non peccare più.
Alcune forme di punizione o riformazione sarebbero state necessarie dopo il Codice di Produzione
irrobustito del 1934, come può essere visto in Desire, scritto e prodotto da Lubitsch stesso, nel
quale la donna ladra Marlene Dietrich finisce per sposarsi con l’onesto uomo d’affari Gary Cooper,
sia come espiazione che come rilascio per le sue attività criminali passate. Ma prima che il Codice
rendesse tale punizione una necessità, il genere stesso sembrava accettarla come inevitabile. Anche
Raffles di E. W. Homung, che era sempre fuggito per cercare la possibilità di un’altra storia, alla
fine dovette pagare i suoi peccati combattendo valorosamente la guerra boera
[http://en.wikipedia.org/wiki/Boer_War] e dando la sua vita. Per quanto nella mia conoscenza,
Trouble in Paradise è l’unico film in cui i ladri non soltanto riescono a fuggire con il bottino, ma
poi proseguono una lieta esistenza di ulteriori ruberie.
Tino Balio ha notato un notevole incremento di “soggetti salaci” sugli schermi americani nel
periodo del 1932-33, come un tentativo di ricatturare un pubblico diminuito, ed è possibile
inquadrare le attitudini più “libere” di Trouble in Paradise come parte di questo movimento.
Sicuramente il cambiamento di queste attitudini può essere visto almeno nel casting dei tre film
relativi a ladri gentiluomini dei primi anni trenta: Raffles (1930) con Ronald Colman, Arsene Lupin
(1932) con John Barrymore, e Jewel Robbery (1932) con William Powell. Questi tre attori avevano
tutti raggiunto la popolarità recitando il ruolo di super-detectives: Colman come Bulldog
Drummond e Powell come Philo Vance, entrambi nel 1929 ed entrambi al loro esordio, mentre
Barrymore aveva fatto Sherlock Holmes negli anni 20. Trouble in Paradise segue questo schema in
qualche modo, dal momento che Herbert Marshall, al suo esordio, aveva la parte di un detective
amatoriale, in Murder! di Alfred Hitchcock. Il casting in questi casi segue il tragitto dei racconti
originali che avevano come protagonista Raffles, nella misura in cui Raffles, una creazione del
cognato di Sir Arthur Conan Doyle, era una sorta di decadente risposta Edwardiana all’Holmes
Vittoriano. Sia Holmes che Raffles vedono loro stessi come superiori al resto della società, ma
laddove Holmes, anche nel perseguire i propri interessi, andava, in ultima analisi, a conformarsi ai
valori della società, Raffles, nel suo elitismo, si metteva da parte. Nonostante tutto, il genere dei
Ladri Gentiluomini è elitista, mentre il genere dei Gangsters Movies è più democratico nella sua
promessa che chiunque può salire, seppur temporaneamente, fino alla vetta della società americana.
In un certo senso c’è una dimensione socio-politica che traspare nella figura del ladro gentiluomo,
considerando che l’attività illegale e antisociale di Raffles deve trovare qualche giustificazione
nell’illegalità della società stessa, se il criminale deve essere accettato come l’eroe romantico che
spesso finisce per essere rappresentato. Il Raffles originario offriva questa spiegazione ai suoi
comportamenti: “Certo che è molto sbagliato, ma non possiamo essere tutti moralisti, e tanto per
cominciare è molto sbagliata anche la distribuzione delle ricchezze”. La giustificazione economica
appare come una vaga riflessione. Raffles non è chiaramente un Robin Hood; il suo rubare ai ricchi
non è certo per dare ai poveri, ma è sia per riempirsi le tasche, sia, elemento importante per Trouble
in Paradise, per puro sport. Non che lui non possa essere un moralista; non vuole esserlo. E le
storie, come i film che ne susseguono, solleticano l’attenzione del pubblico con il suo
comportamento monello.
Gaston non si avvicina a Robin Hood più di quanto non lo facesse Raffles, per quanto la critica che
insiste nel voler cercare della satira nel modo di vedere le classi alte qui fallisca nel notare che
Gaston e Lily non soltanto hanno delle aspirazioni loro stessi, ma sono tanto egoisti quanto
l’oggetto supposto della satira. Leland Poague, sempre alla ricerca di ciò che lui considera valori
umanistici in Lubitsch, arriva tanto lontano da notare un’opposizione sentimentalizzata tra ricchi e
poveri, con una netta simpatia data ai poveri, nella scena in cui Mariette si mette ad intervistare
tutte le persone che potrebbero aver trovato la sua borsetta rubata.
Abbiamo una breve inquadratura doppia di Madame Colet e una piccola povera vecchia signora,
con Madame che tira fuori un vecchio portafoglio imperlato e inzaccherato. Il momento scorre
rapidamente e la nostra simpatia per la povera donna è interrotta dall’ingresso del comico
Bolscevico declamante Trotsky, ma la questione è posta. Per ogni ricca signora, ce ne sarà una
povera in fondo alla scala. (p.69)
Poague non si preoccupa di indicare come questo clichè “piccola vecchia signora” sia reso
congeniale, e che valore questa “questione” possa assumere per il resto del film, e liquida troppo
rapidamente il Bolscevico, il cui ingresso, secondo la maniera dello “squarciamento” che ho
attribuito come nota tipica del film, effettivamente cambia il tono. L’entrata trionfale non
annunciata di Gaston a questo punto comporta il cambiamento d’attitudine finale e rappresenta il
punto drammatico centrale a cui tutte le scene conducono, che mostra la vittoria di Gaston su tutti:
ricchi, poveri, conservatori, radicali.
Il film sicuramente attribuisce una dimensione sociale all’attività di Gaston, nel momento in cui la
sua struttura drammatica conduce fino all’inevitabile confronto di un rispettabile ladro con una
rispettabilità falsata. Lo smascheramento di Gaston operato da Giron, e il susseguente e
complementare smascheramento di Giron da parte di Gaston creano le due azioni cruciali nella
conclusione del film, la prima che esclude la possibilità di una relazione tra Gaston e Mariette, la
seconda che assicura a Gaston di poter uscire dal paese. In questo secondo confronto, Gaston fa un
appunto critico sui comportamenti illeciti di Giron che offre una giustificazione alle sue stesse
attività ben più efficace della giustificazione casuale di Raffles: “Capisco! Hai bisogno di essere un
membro importante della società? per restare fuori dalla galera! Ma quando un uomo parte dal
basso e lavora duro per risalire – un delinquente che si è “fatto da solo”…”
Ovviamente l’uso che Gaston fa della frase “delinquente fatto da solo” è ironico, presenta se stesso
come un democratico tra i ladri quando, in fin dei conti, è in questo caso elitista tanto quanto
chiunque altro nelle classi sociali benestanti. Nonostante il suo evocare un valore onorato nella
società americana, il commento di Gaston non suggerisce che ci siano norme sociali che governano
il suo atteggiamento. Le storie di Raffles ci solleticano perché ci troviamo in accordo con la
rispettabile, morale sensibilità dell’amanuense di Raffles, suo compatriota, che ne trascrive le
avventure; essendo a conoscenza della differenza tra il bene ed il male, noi, con il narratore, siamo
condotti nella trasgressione contro la nostra volontà, ma sempre con la rassicurazione che torneremo
alla fine al comportamento appropriato, alla norma sociale. Nell’invocare il mondo del business
Americano, come spesso i commenti di Gaston fanno, Trouble in Paradise suggerisce una regola
leggermente diversa dall’ordine morale, e almeno in questo senso, il film, in tutta la sua raffinata
eleganza, si allea più da vicino con il ciclo dei gangster.
Sia Robert Warshow che Andrew Bergman hanno suggerito che il film gangster può essere visto
come una versione distorta della tipica storia di successo americana, il progresso incontrollato e
senza scrupoli del capitalismo spietato. In questo stato di libera iniziativa impazzita, il gangster in
virtù della sua sottoscrizione ai valori impliciti della società e della conseguente sua distruzione da
parte di questi, diventa allora, come lo definisce Warshow, una sorta di eroe tragico. Se i gangstermovie sono diventati, fin dal periodo di loro massima popolarità, così identificati con la prima
Depressione, questo è perché il genere stesso implicava una critica dei valori americani di
individualismo ossessivo e aspirazioni illimitate, che il solo fatto della Depressione sembrava
contraddire. Se il gangster si consumava lentamente nei propri desideri, allora la sua malattia
rifletteva una malattia della società stessa. Gaston è più vicino alla figura del gangster che non ai
suoi compagni ladri gentiluomini nel fatto che non si schiera tanto contro le norme della società,
quanto ne rappresenta la più piena incarnazione. Gaston il delinquente è un uomo d’affari, mentre
Giron l’uomo d’affari è un delinquente, cosicché, infine, l’unica differenza tra i due si riduce ad una
questione di stile, e questa, come sempre in Lubitsch, è una differenza chiave.
Come è vero che l’analisi critica della società qui è più vicina ai Gangster film, la fuga finale di
Gaston e Lily segna un’importante differenza. Il fatto che la legge e l’ordine si reintegrano alla fine
di ogni Gangster movie, implica, quantomeno, una fede ottimistica nel futuro della società: il
gangster deve pagare per aver portato i valori della sua società al loro estremo più logico. In ultima
analisi, è l’individuo ad essere corrotto, non l’ordine sociale. D’altra parte, la fuga dei due
ladruncoli alla fine di Trouble in Paradise e l’ovvio compiacimento con il quale è richiesto al
pubblico di osservare la fuga stessa afferma con forza che, difatti, non c’è nulla da punire.
C’e una specie di tema morale peculiare che scorre attraverso il genere del Ladro gentiluomo, nella
misura in cui la vittima in qualche modo si merita di divenire tale al fine di attirare sul protagonista
una certa porzione di complicità da parte del pubblico. Trouble in Paradise aderisce a questa
formula parzialmente, costruendo la sua trama intorno ad una serie di contesti, a partire dalle
ruberie di François [Edward Everett Horton] fino alla battaglia di pedigree con Giron, nei quali
Gaston, in forza di un ingegno e uno stile superiori, riesce a trionfare su tutti i combattenti. Il
contesto, infatti, può essere visto come una metafora che giace sotto ogni singola scena, con i
personaggi che, esplicitamente o meno, si lanciano tra loro delle sfide, avanti e indietro, laddove
principalmente dall’ingegnosità delle armi usate scaturisce il compiacimento del pubblico. C’è una
sorta di codice di condotta darwiniano a governare le azioni dei personaggi qui, con i vincitori che
guadagnano il proprio premio in virtù di uno stile e una ricchezza di risorse superiori. Trasformato
in termini economici, come tutto in questo film, questo codice crea un ambito di capitalismo libero,
costituito da una competizione invisibile, in cui il più preparato non solo sopravvive, ma riesce ad
accumulare anche una concisa, piccola fortuna.
Il darwinismo sociale è un’etica senza una moralità, poiché definisce come opportuno tutto ciò che
possa funzionare per il successo di qualcuno. Noi perdoniamo il furto di Gaston all’inizio del film,
semplicemente perché lui ha l’abilità di farla franca. Sin dalla sua sequenza d’apertura, il film mette
sullo stesso piano il successo nel furto con il successo nel sesso, ed è lo stile a fungere da chiave per
entrambi: la prima ruberia potrebbe allontanare l’esigente François dal suo appuntamento con due
prostitute, ma in ogni caso lui non è all’altezza del gioco di sottile seduzione che Gaston esegue
nella scena successiva. La conclusione inevitabile: lui merita di essere derubato. Mentre François è
un bersaglio facile che merita di diventare vittima, Gaston raggiunge pienamente il suo obiettivo
nella scena che ne sussegue, il duello di furti-provocazioni con Lily; lei ruba il portafoglio a lui, lui
ruba la spilla a lei, lei ruba l’orologio a lui, lui ruba la giarrettiera di lei. In tutti i casi noi non
vediamo mai come questi furti sono eseguiti, mentre allo stesso tempo c’è una escalation di non
plausibilità in ogni furto – lui non solo le ruba la spilla, ma ne apprezza le pietre che vi sono
incastonate, e lei non solo ruba il suo orologio, ma poi lo regola – che raggiunge l’apice nel furto
della giarrettiera. I personaggi sono quasi sovrumani nelle loro abilità professionali, e se non c’è
una questione morale dietro al furto con cui si apre il film, è perché Gaston e François non operano
nello stesso universo.
Nell’atto del perdono dei furti, Gerald Mast vede un punto di vista Marxista, nel suo lavoro, ma poi
finisce con il criticare Lubitsch poiché non prende “il suo Marxismo o realismo sociale molto
seriamente” (P. 218). Questo significa criticare il film per un valore che, di fatto, non presenta, né
approfondisce.
Se non altro, attraverso la battaglia di furti tra Lily e Gaston e l’aumentare di improbabili sorprese,
Lubitsch vuole far sentire al pubblico l’ilarità di una pura competizione. La sua visione in questo
periodo è distintamente elitista, nel momento in cui la battaglia tra i due personaggi si evolve in una
sorta di gioco da cui scaturisce tutto il fervore di un grande evento sportivo, una battaglia uno
contro uno tra due atleti superiori. Una volta catturata l’eccitazione del gioco, lo spettatore finisce
per il rifiutare una società basata sulla competizione. La complicità di Lubitsch giace altrove. Di
nuovo, la particolarità della sua visione sociale può essere vista più chiaramente nel suo modo di
sviluppare Mariette.
Se Mariette inizialmente è caratterizzata dall’irresponsabilità, lei è, nei termini del genere, una
“vittima meritevole” tanto quanto lo è François: il mondo è ai suoi piedi, e lei ci cammina sopra.
Ma, come c’è un’ambiguità ben definita nelle sue affermate ragioni per non imporre il taglio degli
stipendi, resta un’ambiguità nel suo divenire vittima. Qualunque sia il senso nel momento in cui lei
ha semplicemente quello che si merita, quando le è rubata la borsetta, questo è modificato in parte
dalla sua maniera di comprare la borsa stessa, prima di tutto. Un gioielliere le mostra una borsetta
che costa tremila franchi, e lei la rifiuta dicendo che è “decisamente troppo”. Quando ne richiede
un’altra, il gioielliere premette che costa 125.000 franchi, lei risponde, apparentemente senza
nemmeno pensarci, “ma è bellissima, la prenderò!”
Dal momento che quella è la borsetta che poi le verrà rubata, potrebbe sembrare che il furto in realtà
vada a ripagare la sua attitudine, apparentemente noncurante, nei confronti del denaro. Il resto del
film modificherà, infatti, questa attitudine, tanto che nella sua ultima scena verrà mostrato come
questa noncuranza nei confronti della sua situazione sia anche un segno della sua generosità. E’
anche presente in questa scena iniziale, in ogni modo, una qualità da parte di Kay Francis, che
suggerisce un’importante dimensione del personaggio: quella di giocare contro l’apparente trivialità
di lei. Quando lei dice “ma è bellissima!”, la sua recitazione movimentata rallenta bruscamente nel
dare importanza alla parola “bellissima”, quasi come se lei potesse assaporare la parola mentre la
pronuncia. Dopodiché, sorride e ritorna ai suoi modi sbrigativi. La scusa del denaro, qui, come la
scusa tirata fuori a proposito del taglio degli stipendi nella scena precedente, è solo una scusa,
niente più. La valuta reale, con cui questo personaggio tratta, è la sensualità.
Diversamente da Gaston e Lily, Mariette può riuscire ad essere auto-indulgente, grazie alla sua
ricchezza; può vivere alla giornata, perché il futuro è assicurato. Ma se la ricchezza è una fonte di
potere, per lei, questa auto-indulgenza che lei si concede la rende anche la vittima ideale.
L’abbronzata, castana Mariette si crogiola in una specie di passività senza compromessi, tanto
quanto Lily, invece, è costantemente in movimento. Nel primo confronto tra le due donne, una
scena che ha luogo durante la colazione di Mariette, con quest’ultima distesa comodamente sul
letto, Lily deve persino sedersi sulle sue mani per trattenersi dalle sue attività ladresche abituali, uno
stato di passività rinforzata non naturale per questo personaggio. L’evidente sensualità di Mariette,
associata alla passività, da una colorazione masochista al suo personaggio, che è resa più esplicita
quando lei impiega Gaston come suo segretario personale. Quando loro siedono vicini su un
amorino [un tipo di sedia], Gaston la apostrofa per la sua irresponsabilità:
GASTON: Madame Colet, credo che ti meriti una strigliata. In primo luogo, hai perso la tua
borsetta…
MARIETTE: E poi ho smarrito il mio libro contabile…
GASTON: E poi hai usato il rossetto sbagliato…
MARIETTE: E come maneggio il mio denaro!
GASTON: E’ vergognoso!
MARIETTE: Dimmi, Monsieur Laval, che cos’altro sbaglio?
GASTON: Tutto! Madame Colet, se io fossi tuo padre, e, fortunatamente, non lo sono…
MARIETTE: Vedo.
GASTON: …e tu facessi dei tentativi di gestire i tuoi affari, ti darei una bella sculacciata – in senso
affaristico, ovviamente.
MARIETTE: E che cosa faresti se fossi il mio segretario?
GASTON: La stessa cosa.
Mariette si china con far sensuale, esita per un momento nell’osservare accuratamente Gaston, poi
sorride e dice, calma: “sei assunto”. Il suo chinarsi alla promessa di essere sculacciata è il culmine
del significato sessuale nascosto della scena, una sua deliberata sottomissione ad una minaccia
fisica.
Assumendo Gaston e portandolo dentro la sua casa, lei sta inconsciamente disponendosi come
vittima per un furto, ed è una vittima volontaria, vista l’equazione costante del film tra furto e sesso.
Questa equazione potrebbe essere vista, in effetti, come un elemento comune del genere dei Ladri
Gentiluomini, nella misura in cui l’attrazione del furto per il ladro è parzialmente dovuta alla sua
illiceità. Infatti, nelle storie che hanno Raffles come protagonista, ogni avventura criminale si porta
dietro dei toni sessuali, dal momento che Raffles è accompagnato dall’amica Bunny, sulla quale lui
ha un misterioso potere seduttivo, in azioni illegali e immorali, con un suggerimento di
omosessualità nel loro rapporto ad aggravare la natura già proibita della loro compagnia. È
allineandosi con il genere che la prima scena con Lily e Gaston, presenta il furto come un atto di
intimità, la vicinanza fisica che un borseggiatore deve avere con la sua vittima, lo svelare un
segreto, aree strettamente intime che il ladro va a svelare.
Se i reciproci furtarelli tra Lily e Gaston definiscono il loro rapporto inserendolo in un contesto sia
sessuale che professionale, c’è una sorta di competizione anche tra Mariette e Gaston, ma con
un’importante differenza che è definita dal luogo in cui si svolgono le prime scene. All’inizio del
primo incontro con Gaston, Lily è costantemente in movimento all’interno della camera di lui, sia
per esplorarla che per imporre i propri spazi, laddove l’indipendenza dei suoi spostamenti sono
sottolineati da un taglio e una nuova inquadratura ogni volta che lei fa un movimento. Come ogni
nuova inquadratura enfatizza, lei tenta costantemente di allontanarsi da Gaston, mentre lui tenta di
recuperarla rientrando nella sua inquadratura. Il duello tra i due personaggi, quindi, inizia non con i
furti reciproci, ma con questi movimenti di sfida e risposta, e nessuno dei due prova nemmeno ad
avere la meglio. La relazione è quindi evidenziata dalla mutualità, tanto nel complementare gioco di
ruoli nella prima parte della scena, che si muove all’interno di tutta la stanza, quanto nel reciproco
rispetto e nella parità professionale che i furti implicano.
Un parallelo movimento nella prima scena tra Gaston e Mariette appunta la differenza tra le due
coppie. Mariette non può offrire alcuna resistenza a Gaston, che penetra facilmente nelle aree
private della sua casa, muovendosi rapidamente su per le scale della sua casa come per diventare
più intimo, ma poi fermandosi le dice di segnare il suo nome nel registro sotto “Pagamenti”. Come
nella prima scena con Lily, c’è la figura ripetuta, qui, di un personaggio che si muove fuori da
un’inquadratura, seguita da un taglio di quel personaggio solo in uno spazio nuovo. In questo caso,
comunque, è Gaston che lascia l’inquadratura, ma diversamente dalla battaglia precedente con Lily,
con Mariette non c’è una gara; lei lo perde semplicemente di vista per due volte: prima quando lui
si allontana per ammirare un vaso in un’altra stanza, poi quando va ad osservare un letto antico
nella camera della precedente segretaria di Mariette. Di certo Gaston si sta guardando per il
successivo furto, e successivamente troverà anche la cassaforte con i soldi che stava cercando, ma il
punto qui è che lui è realmente distratto dal letto, che diventa oggetto di attrattiva nelle sue
attenzioni. Da un lato, quindi, lui potrebbe essere in grado di fuggire liberamente dalla vista di
Mariette nel perseguire i suoi interessi, ma dall’altro lui è sommerso da qualcos’altro, e in questo
Mariette prova di essere al suo livello.
Tornando indietro, il chinarsi di Mariette quando era seduta sull’amorino, con Gaston che invece
continuava ad essere seduto normalmente, non è poi tanto un gesto di sottomissione, quanto il
lancio di una sfida, la provocazione e l’invito indirizzato a lui di unirsi a lei. Quando l’inquadratura
volge al termine, Gaston iniziava, all’ultimo momento, ad accennare a rilassarsi. In maniera simile,
nell’immagine forse più sensuale del film, lei lo sfida da quella che appare essere una posizione di
inferiorità: in piedi nel mezzo di una scala curva, che forma una gentile diagonale che attraversa
l’immagine, con la sua schiena appoggiata al parapetto in modo che il suo corpo completi la linea
diagonale con una verticale, Mariette invita un Gaston fuoricampo a scendere e danzare con lei.
Un’inquadratura separata di Gaston, lo mostra mentre svetta rigidamente in cima alla scala, in
un’immagine dominata da linee dritte. Lui la rifiuta, e la rigidità della sua posizione nell’immagine
implica la natura del suo rifiuto: si sta ritirando, non può accettare la sfida di Mariette. Se il genere
impone che Mariette deve essere una vittima, le qualità che la rendono tale viste da un’altra
prospettiva come in questo momento, le permettono di avere la meglio.
Le differenze marcate nei movimenti delle due donne nelle loro prime scene con Gaston
definiscono sia le diversità tra i due rapporti in sviluppo, sia la diversità tra i loro personaggi. Lily è
tutta un movimento, mentre Mariette alterna costantemente posizioni statiche. La bionda Lily
generalmente vestita con colori chiari è attiva, dinamica, ricca di risorse, mentre la bruna Mariette,
con il suo guardaroba più scuro, è passiva, lenta, vulnerabile. In termini economici questa
contrapposizione si traduce in una delle ironie centrali del film, laddove la ricchezza di risorse di
Lily deriva da ciò che le manca, mentre la vulnerabilità di Mariette riguarda quello che ha di troppo.
Lily è attiva, poiché deve lavorare per vivere; Mariette è passiva perché può permetterselo. Ma,
come si addice sempre al metodo di complesse ironie e opposizioni dialettiche che dominano la
commedia, questa ironia centrale ne contiene un’altra al suo interno, poiché la stessa passività di
Mariette diventa fonte di potere su Gaston, una tentazione di fermarsi, aspettare un momento, e
abbandonare la sua vita impegnata al rilassante richiamo di questa sirena apparentemente indifesa.
Schierarsi dalla parte di Lily contro Mariette, come molti critici hanno fatto, significa mancare la
parità che Lubitsch si impegna ad attribuire ai due personaggi. Le due sono differenti, ma nelle loro
rispettive relazioni con Gaston rappresentano due nozioni di amore esclusive. Ma per Lubitsch sono
ugualmente valide. La relazione di Mariette con Gaston si contraddistingue per essere definita fin
dall’inizio dalla sua temporalità. La loro prima notte insieme, alla quale Lily si oppone con tanta
veemenza, è, completamente mostrata attraverso orologi. Mariette, più avanti, dirà a Gaston che
loro hanno tutto il tempo del mondo per approfondire la loro relazione, un’attitudine che contrasta
bruscamente l’urgenza quasi gioiosa con cui inizia la relazione con Lily. Lo stile di gioco di Francis
e Hopkins è fondamentale per la dialettica che Lubitsch sta creando qui: l’Allegro vivace di Hopkins
alternato al sensuale Adagio di Francis. Professionalmente, Gaston è la partita di Lily, ma le sue
abilità sovrannaturali di fuggire da qualsiasi situazione iniziano a incepparsi sulla fine del film, al
suo cadere sotto l’incantesimo dei ritmi più rilassanti di Mariette, e trova impossibile andarsene
dall’atmosfera incantata della sua casa.
La casa di Mariette è un paradiso che crea difficoltà, in modi diversi, sia a Gaston che a Lily. La
natura esatta di questo paradiso è resa chiara dal titolo d’apertura: solamente nella schermata del
titolo del film, cosicché risulti evidente che è soltanto al titolo che si applica, appare uno schizzo di
un letto matrimoniale ornato, con un baldacchino ad adombrarlo, il letto che attrarrà l’attenzione di
Gaston la prima volta che entrerà nella casa di Mariette. Come lo stile del letto, il tango romantico
della colonna sonora e il testo della canzone indicano, il paradiso di questo letto è chiaramente
sessuale. Ma, con lo scorrere del film, il paradiso sembra essere riferito anche ad una funzione più
frequente dello stesso letto: quella di fornire riposo, sonno, e una possibile via di fuga.
La casa di Mariette, con il suo chiaro senso di isolamento dal mondo esterno, tanto sospesa nel
vuoto quanto quel letto nel titolo d’apertura, è un paradiso nel senso specifico che è l’unico posto in
cui gli iper-attivi Gaston e Lily, costantemente in movimento, condotti dalle loro attività
professionali e dal loro bisogno di lavoro, trovano improvvisamente riposo, Lily contro i propri
desideri, Gaston con una crescente attrazione per essi. Dal momento che la casa di Mariette, con le
sue linee ampie e i suoi bianchi muri spogli, offre una fuga senza tempo dal mondo esterno, questa è
una situazione che rievoca il mondo senza tempo, a-storico, delle prime commedie di Lubitsch.
Similmente, la stessa Mariette, che non si cura delle necessità della vita, dà uno sguardo indietro,
alle eroine passate di Lubitsch, mentre la lavoratrice Lily, completamente immersa nella sua società,
guarda al futuro.
Nella sua separazione dal mondo esterno, potrebbe esserci una qualità di a-temporalità insita nella
casa di Mariette, ma l’eleganza del suo stile architettonico le fornisce una specificità temporale che
segnala l’incursione del mondo esterno. È solo nella casa di Mariette che gli orologi divengono un
elemento prominente nella messa-in-scena e, per estensione, negli interessi tematici del film. Il tema
temporale raggiunge una specie di apice nella scena in cui Mariette, appena prima di uscire per una
festa, abbraccia Gaston e gli dice che possono aspettare per consumare il loro amore, poiché
“Abbiamo settimane…mesi…anni.”. Per ogni parola temporale in successione, Lubitsch passa ad
un’inquadratura diversa, cosicchè la coppia è vista in uno specchio, quando Mariette dice
“Settimane”, in un altro specchio, quando pronuncia “Mesi”, ed infine come un’ombra sul letto
quando lei dice “Anni”. Il metodo di girare trasforma questa breve sentenza riguardo al passare del
tempo in qualcosa di eterno, nel suo essere allungato in quattro inquadrature separate. Ma se il
tempo è allungato, viene anche fermato laddove ogni inquadratura congela i due amanti in una serie
di immagini statiche, con nessun movimento nell’immagine, poiché non c’è, virtualmente, nessun
movimento da parte degli amanti stessi. La composizione interna in queste inquadrature che si
seguono, delineata dai riflessi sullo specchio e dalla sagoma del letto, sembra sospendere la coppia
in un vuoto.
La deliberata lentezza qui, l’intensità del desiderio sessuale, provvede il contrasto più forte alla
relazione Lily-Gaston, nella quale entrambi i partecipanti sembrano essere in movimento anche
quando stanno fermi. Per esempio, nell’abbraccio da cui scaturisce l’inizio del flirt tra Lily e
Gaston, lo stile dell’inquadratura crea un senso di movimento, anche se i due restano stazionari; dal
primo bacio, che vede Lily e Gaston sedersi insieme su una sedia, c’è una dissolvenza verso i due su
un divano, dove c’è un’altra dissolvenza che li porta interamente fuori dall’immagine, ed ogni
dissolvenza suggerisce un movimento senza, di fatto, mostrarlo.
E’ singolare, nel contesto dei film di Lubitsch, che Mariette e Gaston non dormano mai insieme.
Anche dopo l’introduzione del nuovo Production Code [noto anche come: Hays Code http://en.wikipedia.org/wiki/Production_Code#1930_to_1934:_The_start_of_the_Hays_Code] nel
1934 Lubitsch sembra in grado di introdurre l’adulterio nei suoi film senza dover punire i suoi
personaggi per i loro desideri sessuali, e quindi l’omissione qui non ha nulla da fare con censure o
desideri di conformarsi alle morali dominanti. L’abbraccio negli specchi è, di fatto, simbolo della
consumazione del flirt, e questo, da solo, potrebbe giustificare le inquadrature elaborate di quella
scena. Gaston e Mariette hanno avuto il loro momento, una sorta di eternità che li rimuove da tutte
le coordinate temporali e spaziali della realtà di tutti i giorni.
Il richiamo di Mariette per Gaston è una specie di oblio, una rimozione, una dissipazione. Se
l’amore tra loro è molto chiaramente fisico, è, in ultima analisi, visto come meno tangibile
dell’amore tra Gaston e Lily; nel suo attimo più intenso è dapprima presentato come una serie di
riflessi di se stesso, e infine, e più insostanzialmente, come un’ombra. La debolezza, vulnerabilità,
passività di Mariette deriva da quella nascita di una passione che la porta, alla fine, come le
immagini implicano, alla negazione di se stessa. Il Paradiso è un rifugio sicuro che conduce lontano
dalle richieste del mondo esterno, ma è anche nella sua eliminazione che c’è una sorta di oblio che,
negando la società, nega ogni altra definizione di essa. Se il film dovrà concludersi, alla fine, con
Gaston e Lily all’esterno, questo è perché i personaggi di Lubitsch non possono più operare più in
quel tipo di astratto universo che la mansione di Mariette rappresenta.
Se il paradiso è una rimozione dal mondo esterno, la distruzione del paradiso, qui, come
appropriato, proviene dallo stesso mondo esterno. I riflessi negli specchi, le ombre sul letto, queste
immagini deliberatamente inconsistenti presto evaporano cosi come il mondo esterno irrompe con
due sfide: Giron con il suo auto-esaltante senso della rispettabilità e Lily con le sue richieste per
Gaston. Molte volte nello svolgimento del film – ci sono presentate inquadrature della casa di
Mariette come non l’avevamo mai vista prima: inquadrature che si allargano connettono Gaston
con le influenze disturbanti di Giron e Lily mentre la macchina da presa muove attraverso la
facciata della casa per rivelare la loro presenza inaspettata in altre stanze. Il mondo esterno a questo
punto si reintegra, e, in linea con il modo di trattare la realtà contemporanea dei primi film di
Lubitsch, richiede la conclusione del drama. Poiché Gaston e Lily, per la loro professione, sono
inevitabilmente creature della società, alla fine non possono trovare un posto sicuro nel flusso
incerto del loro mondo della Depressione. La stasi del rifugio sicuro di Mariette produrrà l’incerto
viaggio all’interno di un taxi nel cuore della notte.
Tratto da: Ernst Lubitsch’s American Comedy
Traduzione: Niccolò “Nalut” Spiga; adattamento e note: Nalut