L`effetto altalena

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L`effetto altalena
Alberto Argenton (2008), Arte e espressione. Studi e ricerche di psicologia dell’arte, Il
Poligrafo, Padova, pp. 97-126
3. L’effetto altalena: un fenomeno percettivo poco indagato
Al fenomeno percettivo trattato in questo capitolo, che possiamo subito identificare come un
particolare caso di “rivalità di contorno” (R. Arnheim, 1974), non è stata prestata fino ad ora, per
quel che mi consta, la dovuta considerazione. Il motivo principale di tale disinteresse credo risieda
nell’essere stato questo fenomeno, in un certo senso, sommariamente inglobato all’interno del
problema della funzione bilaterale svolta dal contorno nel costituirsi percettivo delle forme, senza
ritenerlo un caso a sé stante e, soprattutto, fatta eccezione per qualche rapida osservazione compiuta
da Arnheim, senza approfondire gli aspetti dinamici che lo contraddistinguono.
L’interesse nei confronti del fenomeno in questione si è acceso ed è andato crescendo quando ho
avuto modo di constatarne la presenza, dapprima, in alcune opere pittoriche antiche e moderne e
poi, via via, in qualche esemplare di arte popolare, nella produzione grafica di genere decorativo e
commerciale e nel disegno in genere, rilevandone la caratterizzazione fortemente dinamica e,
conseguentemente, la funzione espressiva svolta.
Dopo aver fatto delle precisazioni preliminari, cercherò di illustrare le peculiarità di tale
fenomeno e dell’effetto che produce, vale a dire le condizioni che lo rendono un caso percettivo con
caratteristiche sue proprie e che lo differenziano da altri a cui può essere accomunabile, formulando
alcune ipotesi e considerazioni rispetto alle condizioni del suo verificarsi.
3.1. Percezione pittorica e disegno a tratto
Il fenomeno qui analizzato si verifica nell’ambito della percezione pittorica; in particolare e
prevalentemente, nella percezione di immagini realizzate con disegno a tratto o lineare.
Nel contesto degli studi sulla visione, l’espressione percezione pittorica può sembrare non del
tutto appropriata, in quanto nella nostra lingua l’aggettivo indica ciò che è relativo alla pittura,
mentre con essa convenzionalmente si vuol intendere la percezione di quel numeroso insieme di
oggetti visivi che può essere incluso nella categoria sovraordinata delle immagini; d’altra parte, con
la medesima locuzione si sono tradotte le espressioni inglesi “pictorial perception” (J.J. Gibson,
1954) o “picture perception” (J.M. Kennedy, 1974) che, in tale lingua, significano appunto
“percezione di immagini”.
Nello stesso senso e rispettando la convenzione, con percezione pittorica – distinguendola dalla
percezione che abbiamo di oggetti, scene o eventi esperiti nell’ambiente in cui viviamo – mi
riferisco alla percezione di immagini statiche, realizzate con il medium grafico-pittorico (disegni,
dipinti, incisioni, calcografie, ecc.), le quali possono essere genericamente chiamate
rappresentazioni pittoriche; includendo in questa categoria qualsiasi tipo di immagine sia che essa
raffiguri forme assimilabili a qualche cosa di noto, abbia cioè un maggior o minor grado di
somiglianza con una certa realtà conosciuta, sia che le sue forme risultino estranee alla possibilità di
essere identificate.
Con disegno a tratto o lineare mi riferisco, invece, al linguaggio grafico che utilizza a fini
rappresentativi esclusivamente linee tracciate su di una superficie le quali, come abbiamo già visto1,
possono essere fondamentalmente di tre tipi: linea oggetto, linea tratteggio e linea contorno.
Il fenomeno percettivo qui considerato risulta particolarmente evidente nella percezione di
pattern tracciati con la linea contorno e, in alcuni casi, si verifica esclusivamente in presenza di
figure disegnate con questo tipo di linea. Infatti, è un determinato ruolo del contorno, assunto in
1
Vedi sopra, Capitolo 2, § 2.3.
certe condizioni, a caratterizzare il fenomeno e, per questa ragione, gli esempi che proporrò
consisteranno prevalentemente in immagini disegnate con tale tipo di linea.
Dal momento che è il ruolo del contorno a contraddistinguere il fenomeno, è necessario fare
un’ulteriore precisazione rispetto al termine contorno, adoperato spesso nel linguaggio comune
quale sinonimo di margine; termini che invece devono essere usati distintamente, in quanto da un
punto di vista percettivo, e in particolare nell’ambito della percezione pittorica, essi corrispondono a
condizioni stimolanti diverse fra loro.
Con contorno pare più opportuno e corretto, infatti, indicare quello ottenuto con la linea
omonima che fa da limite ad una figura, generando la forma della figura stessa (Figura 11a).
Con margine si dovrebbe più appropriatamente intendere il limite che una figura assume e che ne
appalesa pur sempre la forma, in virtù però delle differenze – o “salti” (G.B. Vicario, 2003, p. 142)
– di chiarezza presenti fra la figura stessa e l’area o le aree ad essa adiacenti (Figura 11b).
La distinzione è, a mio parere, importante quando si voglia in generale indagare il ruolo o,
meglio, i vari ruoli svolti dal contorno o dal margine nel costituirsi degli oggetti fenomenici e nel
loro essere percepiti in un modo o nell’altro2. Ad esempio, come ho già accennato sopra, il
fenomeno preso qui in considerazione si verifica con buona evidenza in presenza di determinate
condizioni relative al contorno risultando spesso, salvo particolari eccezioni presenti soprattutto
nell’ambito della pittura, più debole, meno cogente o addirittura assente se le medesime condizioni
riguardano il margine.
a
b
Figura 11. a) Sagoma del profilo di un volto ottenuta con la linea contorno b) Sagoma del profilo di un volto
ottenuta tramite la differenza di chiarezza fra figura e sfondo ed esemplificante il margine.
Inoltre, la percezione del contorno interessa quasi esclusivamente la rappresentazione pittorica:
nella quotidiana percezione di oggetti ed eventi dell’ambiente in cui siamo immersi vediamo
solitamente margini appartenenti a regioni, superfici, zone differenti fra loro per chiarezza, colore,
tessitura, ecc. e non linee di contorno. Certo, possiamo assimilare, per esempio, fili, interstizi,
fessure a delle linee che, però, ci sembrano tali proprio grazie alla nostra esperienza nell’ambito
della rappresentazione pittorica.
3.2. La rivalità di contorno
Entrando nel merito del fenomeno, pare opportuno iniziare da una parziale illustrazione che ne fa
Rudolf Arnheim nel testo Arte e percezione visiva, contenuta in un Paragrafo del Capitolo 5,
dedicato alla percezione dello spazio e intitolato Rivalità di contorno.
2
A giudizio di G.B. Vicario (2003, p. 142), ad esempio, “l’intera materia sulla unilateralità dei margini è ancora da
indagare, a causa in primo luogo dell’ambiguità di termini come ‘margine’, ‘contorno’, ‘confine’ e simili”.
Secondo R. Arnheim (1974, p. 191), il quale riferisce le sue considerazioni ad un disegno
raffigurante due esagoni adiacenti che condividono il lato verticale centrale (Figura 12), “il
fenomeno conosciuto come rivalità di contorno” è tale “quando vi sono due pattern in
competizione, dalla configurazione analoga, che entrambi avanzano pretese al contorno”.
Prima di proseguire con la descrizione della Figura 12, esemplificativa del fenomeno,
soffermiamoci ad analizzare altre figure, al fine di individuare le condizioni di carattere generale
che la contraddistinguono.
Figura 12. Da R. Arnheim (1974, p. 191, Fig. 155).
K. Koffka (1935) ne usa una molto simile (Figura 13b) quando tratta del problema della unicità e
della dualità, nell’ambito delle figure realizzate con disegni lineari. Il raffronto fra i due pattern
presenti in Figura 13 serve a Koffka per mostrare quando una “figura dotata di contorno” e “con al
suo interno delle linee”, a seconda della sua organizzazione, possa essere vista “come unica […] e
quando invece apparirà come due o più figure”. In 13a vediamo “un rettangolo con una linea che lo
attraversa”, mentre in 13b si vedono “due esagoni accostati. La ragione di ciò è chiara: nel primo
caso la figura totale è una figura migliore di ciascuna delle due figure parziali, mentre nel secondo
caso vale l’opposto”; nel primo caso, inoltre, l’unicità sarebbe rafforzata dalla legge della buona
continuazione, in quanto “i lati superiore e inferiore del rettangolo sono rette continue, che
occorrerebbe interrompere per scorgere i due quadrilateri irregolari” (Ibid., p. 166), che formano il
rettangolo stesso.
Quel che nella sua spiegazione Koffka trascura, forse perché ritenuto ininfluente rispetto
all’argomento di cui sta trattando, ma che è utile per chiarire e comprendere meglio il nostro,
riguarda il ruolo percettivo svolto dalle linee interne a figure realizzate a contorno. Di fatto, queste
linee fungono anch’esse da contorno, e da contorno condiviso, in quanto in 13a la linea interna
appartiene sia al quadrilatero irregolare di destra che a quello di sinistra e, in 13b, sia all’uno che
all’altro esagono. Però, in 13a la tendenza è di percepire, come Koffka sostiene, una “figura totale”
la quale è “migliore delle due figure parziali”; ciò induce, per merito anche del fattore della buona
continuazione, a vedere la linea interna, condivisa dalle due figure parziali, come una linea che
“attraversa” un rettangolo o, in altre parole, come una linea che giace sul rettangolo. L’opposto
accade in 13b, dove percepiamo, anche se Koffka non lo dice esplicitamente, la linea interna come
appartenente sia all’una che all’altra figura geometrica, altrimenti non vedremmo due esagoni
accostati.
Come si può spiegare allora più compiutamente la diversità di percezione delle linee centrali, dal
momento che graficamente o fisicamente ambedue sono condivise dalle due figure componenti il
pattern nel suo complesso?
a
b
Figura 13. Da K. Koffka (1935, p. 165, Fig. 4.14 e Fig. 4.15).
Per rispondere a questo interrogativo possiamo servirci di altri due esempi di organizzazione
unica, confrontandoli sempre con la figura degli esagoni.
Nella Figura 14 abbiamo tre configurazioni che sono strutturalmente del tutto simili fra loro.
Infatti, tutti e tre i pattern sono composti da due regioni o due parti d’eguale forma e dimensione e
tutti e tre condividono il contorno centrale posto sull’asse verticale, vale a dire che in ciascuno di
essi la linea centrale funge da contorno sia dell’una che dell’altra regione. Eppure, in a e soprattutto
in b, al contrario che in c, la tendenza è di vedere un’organizzazione unica.
a
b
c
Figura 14. Tre pattern composti da due regioni di eguale forma e dimensione che condividono il contorno centrale
posto sull’asse verticale.
In a, percepiamo una configurazione unica e piuttosto stabile, un quadrato attraversato da un
segmento di retta che lo divide a metà; e ciò è dovuto a ragioni di simmetria, di orientamento
vertico-orizzontale delle linee e anche al fattore della buona continuazione così come descritto
sopra da Koffka. In b, il noto diedro o cartoncino o libro di Mach, vediamo ancora una
configurazione unica, anche se caratterizzata da instabilità; e ciò è dovuto al principio di semplicità
che ci induce a percepire un oggetto tridimensionale, una specie di un cartoncino piegato a metà o
un libro semiaperto, la cui piegatura appare alternativamente verso di noi (libro dal dorso) o lontano
da noi (interno del libro). In c l’organizzazione è inequivocabilmente duale.
Considerando ora la linea verticale centrale, per le ragioni appena dette, vediamo che in a e in b
essa viene esperita fenomenicamente quale una linea a sé stante, vale a dire come una linea oggetto:
una linea che assume una autonoma configurazione. In a, vediamo un segmento di retta che giace su
un quadrato e che lo divide a metà; in b, vediamo una singola linea che indica la piegatura del
cartoncino o lo spigolo delle due facce del diedro. Certo, meglio in a che in b, possiamo anche
riuscire a percepire la linea centrale come contorno condiviso, rispettivamente, di due rettangoli o di
due parallelogrammi accostati, ma la soluzione è poco stabile e ritorna pur sempre a prevalere
l’organizzazione unica. Diversamente, in c la linea centrale viene vista come appartenente a
entrambe le figure che danno luogo all’organizzazione duale e qualsiasi sforzo compiuto per
vederla come linea a sé stante non pare vada a buon fine. Anzi, è proprio dirigendo lo sguardo su
tale linea che si verifica la rivalità di contorno.
In quest’ultimo caso si parla, in contrapposizione a quella unilaterale, di funzione bilaterale del
contorno. Koffka stesso, trattando del rapporto fra figura e sfondo e del problema della doppia
rappresentazione, richiama la figura dei due esagoni accostati (Figura 13b) per esemplificare il caso
in cui un contorno svolge una “funzione bilaterale” (Ibid., p. 196) – nel linguaggio di Arnheim, il
caso in cui vi è “rivalità” di contorno – mentre diversamente accade, come è ben noto, quando “il
contorno dà forma al suo interno, non al suo esterno o, per usare l’espressione di Rubin, il contorno
ha una funzione unilaterale” (Ibid., p. 195).
Oltre a questo aspetto caratterizzante l’organizzazione duale della figura con gli esagoni, c’è da
considerare che essa, non diversamente dalla maggior parte delle figure duali, ha al contempo “un
carattere unitario”. Come ancora nota Koffka (Ibid., p. 167), “la figura duale dei due esagoni
accostati”, in particolare, ha “nello stesso tempo un definito carattere di totalità”3.
Ritornando alla Figura 12, ciò che viene riscontrato in base alla sua analisi percettiva è che ci
troviamo di fronte a una organizzazione duale, che essa è vista come una totalità composta da due
forme e che queste due forme hanno un contorno in comune o condiviso svolgente funzione
bilaterale. A quel che mi consta, fatta eccezione per Arnheim, nulla o, come vedremo, quasi
null’altro di più viene rilevato rispetto agli aspetti dinamici che caratterizzano fenomenicamente
questo genere di organizzazioni.
Dato che l’unico modo possibile per descrivere ciò che vediamo sta nelle parole che usiamo,
occorre notare come il ricorso da parte di Arnheim a termini ed espressioni quali “rivalità di
contorno”, avanzare “pretese al contorno”, “pattern in competizione fra loro” siano ben più
esaustive – anche se possono apparire meno rigorose, asettiche o scientifiche – nell’indicare la
funzione bilaterale svolta da un contorno condiviso fra due forme che compongono una totalità, in
quanto non solo connotano dinamicamente le condizioni strutturali dell’organizzazione considerata,
ma anche ne prefigurano l’effettiva esperienza fenomenica.
3.2.1. Il tiro alla fune visivo
Nel descrivere l’esperienza visiva della rivalità di contorno, esemplificata con la Figura 12,
Arnheim (1974, p. 191, corsivo mio) sottolinea che, “percepita come un insieme, la figura appare
abbastanza stabile, ma quando ci si limita alla verticale centrale in comune ha luogo un tiro alla
fune”, soggiungendo anche che “i confini in comune creano disagio” e che i due esagoni mostrano
“una tendenza a scindersi” perché ogni figura ha una propria identità. Tralasciando, per ora, la
tendenza alla scissione e il “disagio” percettivo suscitati in alcuni casi dal contorno in comune,
vorrei soffermarmi sulle condizioni di “tiro alla fune”.
Osservando la configurazione composta dai due esagoni disegnati a tratto abbiamo, come
giustamente suggerisce Arnheim, la visione d’insieme di una totalità strutturata in due regioni,
un’unica figura, “abbastanza stabile”, che sta sopra uno sfondo indeterminato. Focalizzando lo
3
Va precisato che quella della organizzazione duale è questione assai complessa e che K. Koffka (1935, p. 167)
contempla altri casi di formazioni duali, potendo queste “essere di vario tipo”, e di tipo ben diverso da quella presa qui
in considerazione, coinvolgendo anche configurazioni “in cui sono viste più di due figure”; ma ciò esula dal nostro
argomento.
sguardo, però, sul centro di questa figura, sul lato verticale che i due esagoni, “in competizione” fra
loro, hanno in comune, si ha una condizione di “tiro alla fune”, la quale determina quello che
possiamo chiamare un fenomeno di alternanza del percetto.
Usando una terminologia ‘mentalista’, potremmo dire che non avendo noi modo di decidere a
quale dei due esagoni appartenga il lato condiviso, lo attribuiamo ora all’uno e ora all’altro,
tentando così di risolvere il conflitto in cui ci veniamo a trovare.
Di fatto, il conflitto è insito nella struttura della figura e quel che percettivamente sperimentiamo
nei suoi confronti – in modo coercitivo o spontaneo – è un fenomeno di alternanza che, in generale,
si può far consistere nella trasformazione o inversione, repentina e in alternanza, del percetto, pur
mantenendosi eguali le condizioni di stimolazione. Fenomeno di alternanza che, nel caso della
figura con i due esagoni e, come vedremo, anche in altri casi, assume caratteristiche peculiari e
distintive rispetto ad altri consimili e che propongo di denominare “effetto altalena”.
a
b
c
d
e
f
g
h
i
l
m
n
Figura 15. a) b) c) Schemi tratti da marchi commerciali delle aziende, rispettivamente, Ewals Cargo Care, Bankenchampignons,
Gruppo Fidelitas, d) Figura con due profili. Da J.M. Kennedy (1974, p. 133, Fig. 16) e) Estrapolazione dalla “ringhiera magica” (da
R. Arnheim, 1974, p. 195, Fig. 166a) f) Figura con due profili. Da H. Werner e S. Wapner (1952, p. 336, Fig. 4) g) Schema tratto da
un’opera di Coralie Benporath h) Schema tratto da una tavola di Cemak (da Linus, Ottobre, 1993, p. 21) i) Schema tratto da un
disegno infantile l) m) n) Pattern realizzati dall’Autore e da Tamara Prest.
3.3. Condizioni ed esito percettivo dell’effetto altalena
Osservando ancora la Figura 12 e accentrando lo sguardo sul contorno in comune, il “tiro alla
fune” visivo che ne deriva genera una sorta di andirivieni dei due pattern esagonali, nel senso di una
inversione o alternanza della collocazione spaziale dell’uno nei confronti dell’altro,
alternativamente uno avanti e l’altro dietro; in modo figurato, come se ciascuno stesse, frontalmente
all’osservatore, su di una altalena, la cui oscillazione abbia un andamento opposto all’altra: se
vediamo in primo piano l’esagono di sinistra e perciò il contorno in comune appartenente ad esso,
quello di destra retrocede, e viceversa, ma senza che quello retrostante, e questo è un aspetto
cruciale del fenomeno, perda la propria fisionomia.
A ulteriore illustrazione dell’effetto, sono riportate in Figura 15 alcune immagini in cui esso è
presente con evidenza. In a, b, c, g, l, m e n l’immagine, che vediamo come un tutto, è composta da
due forme giustapposte eguali, in a speculari, in b, c, g, l, m e n speculari ma l’una capovolta
rispetto all’altra; in d, e, f, g, h e i le due forme appartengono alla stessa categoria di oggetti –
sintetici profili del volto umano, colonnini di una ipotetica ringhiera, pesci, teste perfettamente
calve, astri celesti (il sole e la luna) – ma sono dissimili fra loro e giustapposte in diversi modi.
In ciascuna immagine, accentrando lo sguardo sul contorno condiviso, si può facilmente
osservare l’andirivieni avanti e indietro delle due forme, che la costituiscono come un tutto, e
constatare come l’effetto sia imputabile alla rivalità di quella parte del contorno condiviso dalle due
forme stesse e al conseguente tiro alla fune visivo generato da tale rivalità. Questa parte del
contorno, svolgendo funzione bilaterale, è vista appartenere alternativamente alla forma che viene
percepita in primo piano. Va ribadito, inoltre, che mentre vediamo in primo piano una delle due
forme, l’altra non perde la sua identità: ad esempio, in 15c, mentre vediamo in primo piano quella
specie di F che sta a sinistra, continuiamo a vedere anche la sua versione speculare e capovolta; in
15h, se vediamo avanti la testa alla nostra destra, l’altra continua a sussistere come tale.
Alla luce di questi esempi, si possono evidenziare le condizioni, ad essi comuni, che danno luogo
all’effetto altalena, rendendolo peculiare e differenziandolo rispetto ad altri casi consimili, rientranti
nell’ambito del fenomeno più generale dell’alternanza del percetto.
Le condizioni indispensabili, indispensabili come la loro compresenza, che caratterizzano e
definiscono l’effetto altalena sono due.
La prima condizione consiste nella presenza in un pattern di due, e solo due, forme, le quali
siano giustapposte fra loro mediante la condivisione di una, e solo una, porzione del contorno delle
forme medesime.
La seconda condizione è che tali forme manifestino e mantengano inalterata una propria identità
configurazionale. Il che significa, usando la terminologia e i concetti illustrati nella prima parte di
questo testo, che le due forme devono presentarsi come “parti genuine” che compongono il tutto,
ovvero quali “sezioni” costituenti delle “sotto unità isolate rispetto al contesto totale” (R. Arnheim,
1974, p. 81)4.
Questa seconda condizione si verifica o meno sulla base della presenza di vari e specifici fattori
di ordine strutturale e rappresentativo – quali, ad esempio, la quantità di contorno condiviso e le
dimensioni delle due forme giustapposte – che consentono o precludono a una o ad ambedue le
forme di costituirsi quale parte genuina del tutto.
In proposito, penso possa essere sufficiente portare un esempio, ricorrendo al confronto fra un
pattern costituito da due forme in cui è presente l’effetto altalena e una sua variazione, in cui la
perdita dell’identità di una delle due forme, dovuta a un fattore dimensionale, lo fa venire a
mancare.
4
Vedi sopra, alle pp. 77-78 del 2° capitolo, la discussione sulle unità compositive dell’opera pittorica.
a
b
Figura 16. a) Figura proposta da W. Metzger (1975, p. 33) per illustrare la funzione bilaterale del contorno b) Variazione di a).
Nella Figura 16a, è riprodotta un’immagine proposta da W. Metzger (1975, p. 33) proprio per
illustrare la funzione bilaterale del contorno e a tal fine ripresa, ad esempio, anche da M. Sambin e
L. Marcato (1999, p. 131) e da G.B. Vicario (2003, p. 140). In tale figura sono soddisfatte ambedue
le condizioni del nostro effetto; infatti, considerata l’immagine nel suo complesso essa appare
composta da due configurazioni con una propria identità – una croce a otto punte e una croce greca
posta obliquamente – le quali, condividendo una porzione, per quanto esigua, del loro contorno,
danno luogo all’alternanza del percetto, ponendosi alternativamente e vicendevolmente in primo e
secondo piano.
In 16b, variazione mia della precedente figura, pur essendo presente la prima condizione
dell’effetto altalena e nonostante la porzione di contorno condivisa sia la medesima, la seconda
condizione viene a mancare in quanto il romboide non manifesta, o se lo fa non mantiene inalterata,
una propria identità a ragione, in questo caso, delle sue ridotte dimensioni rispetto alla croce a otto
punte, configurandosi così come una sorta di faccia del braccio destro della croce e apparendo un
elemento della stessa, cioè come un elemento di un’“organizzazione unica” (K. Koffka, 1935) e
determinando, fra l’altro, la percezione di una strana o improbabile tridimensionalità.
L’esito percettivo prodotto dalla compresenza delle due condizioni che danno luogo all’effetto
che ho denominato altalena consiste nel vedere il pattern come una totalità composta da due parti
le quali si collocano in alternanza l’una davanti all’altra. Devo ammettere che non ritengo tale
denominazione particolarmente felice, ma confesso di non essere riuscito a trovare nulla di meglio
per rendere la sua peculiarità. Infatti, la similitudine dell’andirivieni delle due altalene può far
pensare ad altri casi di alternanza o di inversione del percetto; casi, però, che si differenziano, come
cercherò di mostrare subito, da quello qui considerato.
3.3.1. Diversità fra l’effetto altalena e altri casi di alternanza del percetto
Le situazioni in cui si verifica l’alternanza del percetto sono numerose e pertanto conviene
compiere innanzi tutto una distinzione, così come suggerisce G.B. Vicario (2003, pp. 166-169), fra
figure ambigue e figure reversibili.
Figura 17. La figura “coppa-profili”.
Da E. Rubin (1921, Fig. 3).
Figura 18. Julian Key, Adam et
Eve, serigrafia. Da www.poster
page .ch/menu/jkey/key.htm.
Nel novero delle figure ambigue si possono includere tutte quelle immagini in cui, sulla base di
una condizione di stimolazione invariata, si alternano due strutture percettive, l’una però diversa
dall’altra. Queste immagini hanno varie configurazioni: dalla più semplice, come è ad esempio la
nota figura coppa-profili di Edgar Rubin (Figura 17) – a cui accosto la spiritosa variazione del
disegnatore belga Julian Key (Figura 18) – a quelle più articolate graficamente, come ad esempio la
giovane-vecchia di E.G. Boring (Figura 21), fino a quelle maggiormente complesse, come ad
esempio alcuni quadri di Salvador Dalí (Figura 19) o come gran parte delle opere di Maurits
Cornelis Escher (Figura 20).
Il rischio che l’effetto altalena possa essere confuso con le, o assimilato alle, figure ambigue è
favorito da Arnheim (1974, pp. 190-192) stesso, nel paragrafo citato prima, anche se a
giustificazione va detto che il suo impegno è rivolto a trattare la condivisione del contorno in
generale, più che a svolgere un esame dettagliato dei diversi casi in cui essa possa presentarsi.
Infatti, dopo aver rapidamente descritto la rivalità di contorno dei due esagoni, Arnheim,
richiamando come esempio la coppa-profili di Rubin (Figura 17), considera la situazione in cui il
contorno in comune fra due pattern genera la visione di due forme completamente diverse fra loro, a
seconda che il contorno sia percepito come appartenente a uno o all’altro pattern e, più avanti, cita
la produzione delle immagini ambigue realizzate da Salvador Dalí e da Pavel Tchelitchew e,
soprattutto, l’opera, fortemente imperniata sull’ambivalenza fra figura e sfondo, di Maurits Cornelis
Escher.
Figura 19. Salvador Dalí (Figueras 1904 - 1989),
Mercato di schiavi con busto di Voltaire, 1940, olio su
tela, cm. 46.5 x 65.5. The Salvador Dalì Museum, St.
Petersburg (Fl). Da D. Ades (2004, p. 324, Fig. 196).
Figura 20. Maurits Cornelis Escher
(Leekwarden 1898 - Hilversum 1972),
Cielo e acqua, 1938, xilografia, cm.
44 x 44, . Da P. Parini, M. Calvesi
(1980, p. 131).
In questo genere di immagini le condizioni caratterizzanti l’effetto altalena indicate prima sono
del tutto assenti. Nel caso della figura di Rubin (Figura 17), le forme che si alternano sono due, ma
è l’intero contorno, e non una sua porzione, che esse condividono, e quando si vede una forma, la
quale si costituisce come figura, l’altra diviene sfondo e perde la sua identità, diviene indeterminata,
non è cioè visibile come forma autonoma. Nelle immagini di Figura 15, come ho già notato,
possiamo anche dire che alternativamente uno dei due pattern da cui sono composte emerge, cioè
sta davanti ed è ben definito, ma l’altro, pur retrocedendo, non perde consistenza, né acquista
indeterminatezza, né tanto meno dà l’impressione di continuare al di sotto del primo; caratteristiche,
queste, considerate tipiche della condizione di sfondo. Nel caso delle immagini della Figura 15, i
due pattern di ciascuna immagine si stagliano come una figura avente “carattere di totalità” (K.
Koffka, 1935, p. 167) e ciò in virtù sia della funzione unilaterale svolta percettivamente da quella
parte del contorno che esse non condividono sia della leggera ma innegabile differenza di chiarezza
o tessitura che appare fra l’interno dei due pattern e lo sfondo vero e proprio su cui essi giacciono.
Quanto alle opere degli artisti surrealisti citati prima, anch’esse presentano notevoli differenze
rispetto al caso particolare costituito dall’effetto altalena: pur essendo dimostrative delle varie
condizioni in cui, all’interno di una stessa configurazione, la funzione bilaterale del contorno o del
margine (ma pure il ruolo svolto da altri indizi pittorici) può dar luogo alla compresenza di due
forme, l’una escludente percettivamente l’altra – com’è, ad esempio, nel quadro di Dalì (Figura 19)
– oppure ancora all’inversione fra figura e sfondo – com’è nel caso di Escher (Figura 20) – è
evidente che le condizioni strutturali, e perciò l’esperienza fenomenica, di queste opere presentano
un’articolazione (e gradi di complessità) ben diversa da quella inducente l’effetto altalena.
Figura 21. Da E.G. Boring
(1930, p. 444).
Lo stesso dicasi per la giovane-vecchia di Boring5 (Figura 21), dove le due forme che danno
luogo all’alternanza fra i percetti sono contenute e fuse nella medesima configurazione e non
dipendono da alcuna condivisione dei contorni, ma dal duplice ruolo rappresentativo svolto da
alcuni di questi – ad esempio, il contorno del naso della vecchia è anche la sagoma del volto
scorciatissimo e della mascella della giovane – oppure dal ruolo ambivalente svolto dalle altre parti,
più o meno minute, che compongono il disegno: ad esempio, la bocca della vecchia è anche il
nastrino al collo della giovane, l’orecchio della giovane è anche l’occhio sinistro della vecchia e
così via.
Per quanto riguarda le figure reversibili, anch’esse presentano, pur in una condizione di
stimolazione invariata, l’alternanza o l’inversione di due – o anche più – strutture percettive, le
quali però sono relative alla medesima o alle medesime forme rappresentate.
Fra i casi di reversibilità che potrebbero essere assimilati all’effetto altalena, possiamo
considerare sia l’inversione prospettica, come è quella esemplificata nella Figura 22 o anche nella
Figura 14b, considerata precedentemente, sia l’inversione della sovrapposizione reciproca di due
configurazioni, come è nell’esempio rappresentato in Figura 23.
5
Questa figura, presentata da E.G. Boring come “una nuova figura ambigua” sull’American Journal of Psychology, nel
1930, è tratta da una tavola del disegnatore W.E. Hill, che la pubblicò nel 1915 con il titolo Mia moglie e mia suocera.
Figura 22. Inversione prospettica.
Figura 23. Inversione della sovrapposizione reciproca di due figure.
Per il prevalere della tridimensionalità, lo abbiamo già visto, nel diedro di Mach (Figura 14b) lo
spigolo non rispetta la prima condizione dell’effetto altalena: non è visto svolgere funzione
bilaterale, non è percepito come parziale contorno condiviso dai due parallelogrammi giustapposti
che formano l’immagine nella sua totalità; conseguentemente, le due parti del diedro sono esperite
come un tutto e non quali entità figurali autonome.
Per quanto riguarda il caso del così detto cubo di Necker (Figura 22), le differenze fra i suoi
possibili e alternativi rendimenti percettivi e quello dell’effetto altalena sono numerose e ben
evidenti: in sostanza, vediamo un oggetto unico composto da più parti – e non due forme – che si
orienta alternativamente in posizioni diverse nello spazio tridimensionale.
Anche le condizioni che generano l’inversione della sovrapposizione di due forme, pur
sembrando in parte simili a quelle determinanti l’effetto altalena, se ne differenziano nettamente,
com’è esemplificato nella Figura 23: l’immagine, che risulta composta da due forme fenomeniche –
strutturalmente, invece, le forme sono tre – è vista come una totalità e ciascuna delle due forme,
alternandosi nell’apparire l’una sopra l’altra, mantiene la propria identità configurazionale. Le due
forme, però, non sono giustapposte e condividono non una ma due porzioni del contorno, vale a
dire i due punti in cui i lati del quadrato s’intersecano con la circonferenza del cerchio.
3.4. Gli aspetti dinamici dell’effetto altalena
Riprendendo il commento di Arnheim (1974, p. 191) alla Figura 12, in cui egli, dopo aver
rilevato che “i confini in comune creano disagio”, sottolinea la “tendenza a scindersi” dei due
esagoni perché ciascuna “figura ha una propria configurazione semplice e indipendente”, possiamo
ora rivolgere l’attenzione alle peculiari caratteristiche, altamente dinamiche, che l’effetto altalena
possiede.
Nelle Gestalt che presentano l’effetto, le due parti che le costituiscono, da un lato, mostrano una
loro identità, sono delle “parti genuine”, dall’altro, si manifestano come inestricabilmente connesse;
oppure, il che è lo stesso, da un lato, mostrano una “tendenza a scindersi” e, dall’altro,
l’impossibilità a farlo, generando “disagio” percettivo.
La tendenza alla scissione è un’ulteriore riprova del ruolo svolto in ambito percettivo dal
principio basilare della semplicità, secondo il quale propendiamo a vedere determinate forme,
rispetto alle condizioni in cui si presentano, nel modo più semplice possibile: ad esempio, due
esagoni giustapposti, anziché una inconsueta figura geometrica con al suo centro un segmento di
retta che, giacendo su di essa, la taglia verticalmente a metà (Figura 12). Per altro verso, le Gestalt
di questo tipo, data l’impossibilità di scindere fenomenicamente le due forme che le compongono,
contrastano la legge della Prägnanz, cioè la tendenza a rendere più chiara possibile la struttura
percettiva6. Il conflitto visivo che si viene a creare fra le due tendenze, di cui è responsabile la
parziale condivisione del contorno, crea “disagio” e perciò viene risolto con l’effetto altalenante
delle due forme, suscitando un percetto fortemente dinamico.
Come nel caso di qualsiasi altro tipo di Gestalt, anche in quello che stiamo considerando, per
comprendere appieno le sue caratteristiche fenomeniche, non si può fare a meno di tenere conto
degli aspetti dinamici che lo contraddistinguono. Ogni esperienza visiva, infatti, è dinamica – nel
senso illustrato nel secondo capitolo – vale a dire che noi vediamo gli oggetti non solo come
aggregati di forme e colori, ma anche e soprattutto come campi gestaltici in cui sono presenti e
interagiscono fra loro tensioni direzionate, le quali sono determinate da vettori, forze percettive
generate dalle configurazioni degli oggetti stessi; vettori che hanno ciascuno una collocazione,
un’intensità e una direzione. La dinamica della percezione, pertanto e inoltre, ha un peso
preponderante nel farci esperire immediatamente o spontaneamente il carattere delle cose, la loro
espressività.
E l’effetto altalena è una dimostrazione più evidente di altre degli aspetti dinamici della
percezione, proprio perché nelle configurazioni degli oggetti visivi che lo provocano è abbastanza
facile – o immediato o spontaneo – cogliere le tensioni generate dalle forze percettive in esse
presenti e in competizione fra loro nella gara del “tiro alla fune”.
Ciò non deve indurre, però, nell’equivoco di ritenere che la dinamica della percezione
corrisponda alla, o sia prerogativa della, instabilità o reversibilità o ambiguità del pattern percepito
– dove le forme che lo compongono forniscono l’esperienza fenomenica di repentini e reversibili
cambiamenti nel loro apparire oppure, com’è nel nostro caso, danno l’impressione di mutare
alternativamente la loro collocazione spaziale – in quanto, va ribadito, ogni oggetto visivo, sia esso
elementare e semplice o più articolato e complesso, è caratterizzato da proprietà dinamiche e,
conseguentemente, espressive.
3.5. La presenza dell’effetto altalena nella rappresentazione grafica e pittorica
Nell’ambito multiforme della rappresentazione grafica e pittorica si possono rintracciare vari
esempi di presenza dell’effetto qui considerato; esempi che, da un lato, corroborano l’analisi fin qui
compiuta e documentano – portandone ulteriori prove – il ruolo svolto dalla dinamica nell’essere
veicolo dell’espressione e, dall’altro, consentono di trarre indicazioni relativamente alle modalità di
funzionamento del pensiero visivo.
Una ricerca sistematica, che ha comportato l’analisi di immagini realizzate con il linguaggio
grafico e pittorico – reperite nelle raccolte museali, librarie, informatiche, ecc. – di genere artistico,
decorativo, satirico, comico, fumettistico, propagandistico e prodotte in varie epoche e culture, ha
permesso di individuare un certo numero di tali esempi7; numero che, anche se relativamente ad
alcuni generi esplorati non è alto, si può comunque considerare sufficiente ai fini della verifica
dell’ipotesi che ha guidato la ricerca stessa.
L’ipotesi era che l’effetto altalena, date le sue peculiari caratteristiche fenomeniche, sia presente
solamente laddove gli intenti rappresentativi o funzionali e le convenzioni stilistiche di una
determinata produzione iconica contemplino la forte resa dinamica ed espressiva dell’effetto stesso,
mentre sia evitato quando l’alternanza percettiva da esso prodotta contrasti con quei medesimi
intenti e convenzioni. In altre parole, si è ipotizzato che l’uso dell’effetto sia strettamente correlato
6
Bambini piccoli, o soggetti a cui sono stati mostrati pattern stimolanti di questo genere per tempi molto brevi, e ai
quali è stato chiesto di riprodurli graficamente, eludono l’incertezza generata dal contorno condiviso disegnando figure
indipendenti fra di loro. Ad esempio, R. Arnheim (1974, p. 191) cita a questo proposito le ricerche di L. Hempstead, J.
Piaget e H. Rupp.
7
La ricerca ha riguardato migliaia di immagini, impegnando, conseguentemente, un cospicuo arco temporale e non può
considerarsi ancora conclusa, dal momento che quando si studiano fenomeni di questo genere è alquanto improbabile
che non se ne continui a incontrare nuovi esempi; di norma, essi divengono compagni inseparabili dell’osservazione
quotidiana.
con la maggior efficacia possibile nel veicolare il significato della forma in cui esso è presente o
nello svolgimento della funzione per cui la stessa forma è stata concepita, ma anche che il suo uso
venga favorito o inibito a seconda delle consuetudini o degli schemi stilistici in base ai quali sempre
la medesima forma è stata realizzata8.
Gli esempi che porterò qui di seguito sono alcuni di quelli rintracciati negli ambiti del marchio,
dei simboli, della decorazione, degli smalti e della pittura su vetro, delle opere cubiste e di Pablo
Picasso e, infine, della pittura senese del Quattrocento.
3.5.1. Marchi
Fra le immagini riportate nelle pagine precedenti, ve ne sono già alcune che appartengono
all’ambito della produzione grafica: le Figure 15a, 15b e 15c sono tratte dal vasto mondo dei marchi
commerciali, così come lo è il pattern della Figura 24b, ricavato dall’annuncio pubblicitario di
un’esposizione d’arte a carattere fieristico, pubblicato su di una rivista d’arte.
Nel caso delle Figure 15a e 15c) è abbastanza evidente che le forme stanno per le lettere
alfabetiche E e F – le iniziali delle denominazioni delle attività commerciali rappresentate9 – anche
se la loro riconoscibilità viene in parte sminuita dalla raffigurazione inconsueta delle lettere, dal
gioco del rispecchiamento e dalla porzione del contorno condiviso che dà luogo e preminenza
all’effetto altalena. In 15b è il prodotto commercializzato ad essere schematicamente suggerito: i
funghi champignons10, che nella versione originale del marchio sono facilmente identificabili.
a
b
Figura 24. Inserto pubblicitario di Expoarte, mostra mercato di arte contemporanea. Da Il Giornale dell’arte,
Ottobre, 2003.
Le tre configurazioni svolgono, così, le due principali funzioni che un marchio – o logo, come si
usa più diffusamente dire oggi – è preposto a svolgere: suggerire, in modo immediato, laddove
questo è l’intento del disegnatore, la connessione fra la forma più o meno schematica del pattern e
l’identità del tipo di prodotto, attività, servizio che essa vuole raffigurare; proporre una forma che,
in virtù della sua singolarità, richiami l’attenzione e/o susciti l’interesse dell’osservatore e, al
contempo, ne faciliti la memorizzazione e la rievocazione, anche se questo obiettivo può essere
conseguito con la creazione di forme senza alcun valore di attinenza o di richiamo con l’identità
dell’ente o dell’attività rappresentati11, com’è ad esempio nel caso del pattern riprodotto in Figura
24a. In questo pattern, riguardante la pubblicizzazione di un evento periodico, la forma non
8
Per una trattazione del rapporto fra forma, significato e funzione nella percezione e fruizione di un oggetto visivo e del
concetto di stile, vedi A. Argenton (1996).
9
Le due aziende rappresentate sono, rispettivamente, Ewals Cargo Care e il Gruppo Fidelitas.
10
L’azienda rappresentata è l’olandese Bankenchampignons.
11
Sulla caratterizzazione espressiva dei marchi è in fase di svolgimento una mia ricerca finalizzata a una loro
classificazione fondata su tale criterio. Una parziale indagine in materia è contenuta in E. Zito (2008).
possiede una diretta attinenza con l’identità dell’evento stesso ed è, così, libera di giocare il ruolo di
identificazione dell’avvenimento propagandato, agendo pur sempre anche su quello di richiamo
dell’attenzione, tramite una configurazione originale, attraente e coinvolgente e la cui originalità
non è data tanto dalla ‘impronta’ della mano aperta, che è una delle prime configurazioni a
comparire nella storia delle immagini, quanto dalla sua duplice raffigurazione basata sulle
condizioni strutturali proprie dell’effetto altalena, ben visibile nello schema disegnato a tratto delle
due mani (Figura 24b).
La peculiarità delle figure portate ad esempio concernono principalmente l’effetto altalena, da
cui ricevono efficacia espressiva. E le “figure altalena” sono rintracciabili non solo in questa
amplissima categoria di immagini, ma anche negli stemmi, siano essi antichi o più recenti, i quali
costituiscono gli antenati o gli esemplari più complessi o ricercati dei maggiormente sintetici e
schematici marchi contemporanei.
3.5.2. Simboli
Passando ad un altro ambito di produzione iconica, quella dei simboli – simboli intesi come
particolari immagini strutturalmente piuttosto semplici, volte a rappresentare significati universali
largamente condivisi – troviamo, fra gli altri, uno straordinario esempio di applicazione dell’effetto
altalena, il quale è anche una pregnante dimostrazione che il vedere consiste nell’esperire
fenomenicamente delle forze percettive in interazione fra loro.
a
b
Figura 25. Simbolo del Tai-chi tu
Nella Figura 25 sono riprodotti il simbolo taoista del Tai-chi tu (a) e il suo schema disegnato a
tratto (b). Questo antico simbolo, abbastanza noto anche nella cultura occidentale, rappresenta i due
opposti e interattivi principi, lo yin e lo yang, della filosofia cinese. Nella concezione cosmologica
taoista, i due principi generano i fenomeni della natura, la quale ha la caratteristica di essere in
continuo mutamento, e la loro interazione costituisce la dualità all’interno dell’unità. Essi sono
antagonisti, ma nello stesso tempo non sono distinti l’uno dall’altro né si sommano nell’insieme; in
estrema sintesi, rappresentano l’interazione costante di tutto con tutto entro l’indivisibile e supremo
Uno12.
Quale configurazione può essere più efficace di questa nell’esprimere una siffatta concezione, in
cui le categorie concettuali portanti sono il perpetuo mutamento, la continua interazione, la dualità
nell’unità, la coincidenza degli opposti e il cui fine è quello di illustrare il funzionamento
dell’universo? In termini percettivi e, perciò, dinamici ed espressivi, il complesso significato che
questo simbolo vuole rappresentare è perfettamente reso sia dalla sua complessiva forma circolare13
12
Traggo queste sintetiche indicazioni sul significato simbolico del Tai-chi tu da un saggio di R. Arnheim (1966), in
cui egli compie una approfondita analisi percettiva di tale emblema.
13
Come specifica R. Arnheim (1966, p. 285), “la scelta della forma circolare per un pattern che ha il compito di
raffigurare l’universo non è casuale. Il cerchio (o la sfera) è l’unica configurazione che non presceglie alcuna direzione
particolare, ed è pertanto usato spontaneamente ovunque per dipingere oggetti la cui forma sia incerta, o priva di
sia dalla sua suddivisione interna in altre due identiche forme a goccia – chiamate magatama –
giustapposte in posizione reciprocamente invertita, che condividono il margine (Figura 25a) o il
contorno (Figura 25b) lungo i quali sono a contatto e che producono l’alternanza del percetto
propria dell’effetto altalena.
3.5.3. Decorazione
Un ambito ove fin dalle epoche più antiche la rivalità di contorno è largamente usata, spesso in
forma seriale, generando in alcuni casi l’effetto altalena è quello della decorazione, dove troviamo
un’inesauribile produzione che ha infiniti modi di manifestarsi e che documenta la generale
tendenza dell’uomo a sperimentare le potenzialità espressive del linguaggio grafico e la sua
propensione nei confronti dell’abbellimento.
La decorazione ha dato luogo, da un lato, ad autonomi generi d’arte – come, ad esempio, la
gioielleria, l’arte vascolare, l’abbigliamento, l’arredamento di interni, ecc. – e, dall’altro, ha trovato
e trova espressione sia in gran parte della produzione degli oggetti che una società utilizza sia,
giocando un ruolo più o meno rilevante, nelle arti visive stesse14. L’ornamento serve ad abbellire e a
caratterizzare l’oggetto in sé e, nello stesso tempo, tramite la forma della sua decorazione e
l’eventuale preziosità dei materiali con cui è realizzato, a distinguere e a caratterizzare l’individuo,
il gruppo, la comunità che quell’oggetto produce, utilizza e possiede, fornendo informazioni su vari
aspetti dell’identità personale e sociale – di personalità, di status, di ruolo – del possessore
dell’oggetto15.
a
b
c
d
Figura 26. a); b) Copricuscino, Turchia, XVII sec. Museo Civico, Torino. Da G. Curatola (1993, p. 393, Fig. 242) e schema lineare del
motivo centrale del copricuscino stesso c) Schemi tratti dalle decorazioni in ceramica smaltata presenti nell’Alcázar dell’Alhambra di
Granada d) Sequenza del medesimo motivo decorativo che dà luogo a un effetto di alternanza figura-sfondo. Particolare di una
decorazione in ceramica smaltata nell’Alcázar dell’Alhambra di Granada (fotografia dell’Autore).
importanza, ovvero per raffigurare qualche cosa che non abbia alcuna forma, che possa avere una forma qualsiasi, o che
possieda tutte le forme”.
14
Basta pensare al ruolo che la decorazione ha nell’architettura. Uno studio che può introdurre all’argomento in modo
esauriente è di E.H. Gombrich (1979).
15
Sull’uso decorativo del linguaggio grafico e sulla sua presenza fin dall’epoca preistorica, vedi A. Argenton (1996).
Funzionali a questi molteplici scopi, oltre a quello precipuo di abbellimento, le configurazioni di
carattere decorativo presentano spesso soluzioni formali che richiamano i fenomeni di alternanza
del percetto – soprattutto casi di reversibilità prospettica o di figura-sfondo – fra cui non manca, ma
in quantità che in base alle mie esplorazioni appare relativamente limitata, l’effetto altalena.
Effetto che ritroviamo in uno degli esempi di questo genere, schematizzato nella Figura 26b, e
ricavato dal principale motivo decorativo di un copricuscino turco del XVII secolo (Figura 26a),
nella cui cornice è ripreso il medesimo motivo apicato e proposto serialmente. Il disegno del
copricuscino16 funge da buon esemplare di un certo tipo di configurazione grafica, schematica e
geometrizzante, che fin dalla preistoria caratterizza, nelle più diverse culture e nei più svariati
modelli, tanta parte dell’arte ornamentale e in cui è evidente la presenza della rivalità di contorno, la
quale nel motivo apicato centrale (Figura 26b), proprio perché le forme giustapposte sono due, dà
luogo all’effetto altalena, mentre nell’incorniciatura del tema centrale stesso, dove pur sempre la
linea di contorno svolge funzione bilaterale ma il motivo è riproposto serialmente, l’effetto viene
meno (Figura 26a).
Sempre tratti dall’arte islamica, riporto altri tre esempi, riprodotti con disegno lineare, di motivi
decorativi che, se opportunamente isolati, costituiscono casi di effetto altalena (Figura 26c), mentre
proposti nella loro disposizione sequenziale e colorazione originarie, come è ad esempio nella
Figura 26d, generano un effetto di alternanza figura-sfondo.
3.5.4. Smalti e pittura su vetro
Se nel settore della decorazione l’uso della rivalità di contorno e dell’effetto altalena è un
accorgimento funzionale all’abbellimento, in alcuni tipi di produzione grafica e pittorica esso può
essere indotto dal genere di tecnica utilizzata, concorrendo nello stesso tempo a dare espressività
all’immagine così realizzata.
Due esempi sono riportati nella Figura 27, che riproduce minuscole immagini dal medesimo
soggetto – il San Giovanni Evangelista dolente – eseguite con la tecnica dello smalto.
Come si può vedere, lo schema iconografico prescrive che a manifestare la condizione del dolore
siano la testa leggermente reclinata e le mani intrecciate. In queste ultime, soprattutto a ragione dei
vincoli imposti dalla tecnica impiegata, è presente la condivisione del contorno che delinea le dita e
che genera l’effetto altalena.
Che sia la tecnica e, in parte, probabilmente anche una convenzione stilistica/iconografica a
indurre questa soluzione rappresentativa, appare confermato dal fatto che l’esplorazione compiuta
su tale tipo di produzione – riguardante l’oreficeria senese dei secoli XIII e XIV – ne ha rilevato
l’uso sempre eguale e costante, quando si tratta della raffigurazione del medesimo dettaglio, cioè le
mani intrecciate.
a
b
Figura 27. San Giovanni Evangelista dolente, smalti. a) Guccio di Mannaia, Calice (1288-1292), particolare, Museo
del Tesoro della Basilica di San Francesco, Assisi. b) Croce, prima metà XIV Secolo, (particolare), British
Museum, Londra. Da E. Cioni (1998, p. 7 e p. 388).
16
Questo particolare motivo, che rientra nella generica categoria delle “palmette” (E.H. Gombrich, 1979), è tipico della
produzione decorativa turca della città di Iznik, uno dei maggiori centri di fabbricazione della tarda ceramica islamica
(E. Wilson, 1988).
b
a
Figura 28. a) Anonimo, Addolorata, XIX secolo, cm. 31 x 21, pittura su vetro. Collezione privata, Roma; b)
particolare di a).
Nel raffigurare l’intreccio delle mani, il medesimo accorgimento rappresentativo è presente
anche nell’esempio riportato nella Figura 28a, un’opera eseguita in tutt’altra epoca con la tecnica
della pittura su vetro, tecnica per certi versi simile a quella dello smalto dipinto. Si tratta di una
Addolorata, un quadretto devozionale di arte popolare dell’Ottocento, dove si perpetua il
tradizionale modello iconografico – capo reclinato e mani intrecciate – e dove nella raffigurazione
di queste ultime è usata la condivisione del contorno delle dita che danno luogo all’effetto altalena
(Figura 28b)17.
Quanto in questi casi, e soprattutto nell’ultimo, non del tutto vincolato dalla tecnica, com’è per le
piccolissime figure a smalto, vi sia un uso intenzionale e non solamente convenzionale dell’effetto
è, per varie ragioni, molto difficile da appurare e stabilire. Rimane il fatto che in queste immagini la
sua presenza contribuisce ad amplificarne l’espressività.
3.5.5. Il Cubismo e Pablo Picasso
Perseguendo, nella direzione intrapresa da Impressionisti e Fauves, l’obiettivo di un definitivo
abbandono della tradizionale rappresentazione prospettica dell’arte accademica e nell’intento di
ottenere una rappresentazione degli oggetti che non rispettasse un’unica loro collocazione spaziale,
ma che ne considerasse contemporaneamente più aspetti e sfaccettature, proponendoli
simultaneamente da più punti di vista e da diverse angolature, i Cubisti usano a volte anche la
rivalità di contorno e pure l’effetto altalena, in maniera funzionale ai loro intenti rappresentativi.
a
b
Figura 29. Schema tratto da un’opera di Georges Braque. Da R. Arnheim (1974, p. 192, Fig. 159).
17
La ricerca svolta ha consentito di rintracciare alcuni esemplari che rispettano questo modello, sempre del XIX secolo
e di fattura popolare, eseguiti anche con la tecnica dell’incisione e della pittura a olio.
Un esempio di questo genere è visibile nella Figura 29a, che riproduce lo schema ricavato da un
quadro di Georges Braque, iniziatore assieme a Picasso del Cubismo, e che è proposto da Arnheim
per illustrare la possibile funzione bilaterale svolta dal contorno.
Arnheim (1974, p. 192) così commenta la figura: “la sagoma della linea del profilo cambia
completamente a seconda della faccia a cui è vista appartenere. Ciò che era vuoto diventa pieno; ciò
che era attivo diventa passivo”. Noi possiamo aggiungere che, oltre a vedere alternativamente un
profilo del tutto diverso dall’altro, succede anche che uno dei due profili emerge, collocandosi
davanti all’altro. In realtà, questa figura ha un altro modo, diverso da quello appena enunciato, di
essere percepita: in essa possiamo vedere un volto di profilo, quello di sinistra, che sta davanti a,
copre parzialmente, un altro volto posto frontalmente e, vista così, l’immagine risulta del tutto
stabile. Per favorire la visione dell’immagine come composta da due profili giustapposti e nella
quale si manifesta l’effetto altalena, ho separato le due parti che danno luogo all’alternanza del
percetto (Figura 29b).
E l’effetto non poteva mancare in un autore prolifico e variegato nello stile qual è Picasso, che
anche dal Cubismo prende le mosse per compiere la propria personale ricerca pittorica.
a
b
Figura 30. Schemi da Il bacio di Pablo Picasso. a) 1969, Musée Picasso, Parigi. b) 1969, coll. Gilbert de Bottom.
La Figura 30 mostra gli schemi ricavati da due quadri dell’artista spagnolo, raffiguranti il
medesimo soggetto, il bacio, e dipinti nello stile che caratterizza gli ultimi anni della sua
produzione18. Il dinamismo e l’espressività di queste due pitture sono affidati anche alla
condivisione della linea che segna il contorno dell’uno e dell’altro volto, generando in modo
evidente l’effetto altalena, che contribuisce così in gran parte a rendere efficacemente conto della
‘movimentata’ passionalità che può caratterizzare l’atto in questione.
Anche in alcune opere realizzate negli anni Trenta, Picasso utilizza un analogo schema inducente
l’effetto altalena e lo fa giustapponendo due volti, com’è nella Figura 31, dove l’immagine –
moderna icona del tema della maternità – costituisce un altro esempio nel quale la resa dinamica
dell’abbraccio espressivamente affettuoso è affidato alla parziale condivisione del contorno/margine
dei visi della donna e del bambino.
3.5.6. Un caso singolare: Sano di Pietro
L’ultimo esempio che qui propongo rappresenta un caso piuttosto singolare, quello di un pittore
del Quattrocento senese, Sano di Pietro19, il quale usa ripetutamente uno schema iconografico, con
18
Di tale soggetto e di altri simili, Picasso realizza in questo periodo numerosi studi grafici e versioni pittoriche, in cui
compare spesso l’effetto altalena.
19
Per un approfondimento di questo caso, vedi il § 6.1. intitolato Il ‘guancia a guancia’ altalenante di Sano di Pietro,
contenuto nell’ultimo capitolo di questo testo.
tutta probabilità a ragione della sua valenza espressiva, che produce nell’osservatore l’effetto
altalena.
Da un punto di vista stilistico e in generale, Sano di Pietro rimane saldamente legato alla
tradizione pittorica senese trecentesca, mantenendo i tratti caratteristici dell’arte gotica, così come
gli altri artisti senesi suoi contemporanei, ma tra questi mostrandosi come uno dei meno sensibili ai
segni di rinnovamento provenienti a quell’epoca, in particolare, dalla vicina Firenze. Anche se
molta parte della sua produzione è ritenuta dagli studiosi priva di ispirazione, monotona nei
lineamenti, con tratti stilistici di minore vivacità rispetto ad artisti coevi, le limitate qualità attribuite
alla pittura di Sano vanno probabilmente addossate anche al lavoro della prolifica bottega, che
doveva soddisfare le sempre crescenti richieste dei committenti.
A parte questi limiti, da quel che è risultato a seguito di una sistematica esplorazione in merito,
Sano appare essere l’unico pittore, fra gli artisti coevi, ma anche precedenti e successivi, che nella
rappresentazione della Madonna col Bambino, usuale soggetto dell’arte sacra, adotta uno schema
analogo a quello, appena visto, di Picasso (Figura 31), con un’anticipazione di più di cinque secoli.
Proprio nei quadri con questo soggetto e di piccolo formato, solitamente destinati alla devozione
privata, Sano utilizza in più esemplari lo schema iconografico in cui è presente l’effetto.
Probabilmente, in questo tipo di produzione, egli è più libero di usare modi di raffigurazione
parzialmente svincolati dai canoni iconografici di quell’epoca, a cui ci si doveva con scrupolo
attenere. Tale libertà gli consente di rendere più intima, più terrena l’affettuosità del rapporto
madre-figlio, in questo modo presumibilmente soddisfacendo le aspirazioni dei committenti, e gli
lascia così spazio per sperimentare e inventare schemi nuovi e inconsueti, fra cui anche quello
inducente l’effetto altalena.
Figura 31. Pablo Picasso (Malaga 1881 - Mougins
1973), Femme et enfant, 1938,
Figura 32. Sano di Pietro (Siena 1406 1481), Madonna del cardellino, 1460-65,
tempera su tavola, cm. 80 x 54.5,
particolare, Pinacoteca Nazionale, Siena.
Le Figure 32 e 109 riproducono due delle opere di Sano in cui è in tutta evidenza presente
l’effetto altalena ed è agevolmente percepibile il contributo che esso fornisce, con la sua dinamicità,
nel rendere l’espressione dell’intimo legame e dell’affettuoso rapporto tra madre e figlio.
La Figura 33a schematizza il volto della madre e del bambino di una delle opere di Sano e,
attraverso il disegno lineare, mette in risalto la condivisione di parte del contorno dei due volti, i
quali mantengono però, com’è mostrato nella Figura 33b, la loro indipendente configurazione,
rispettando quindi le condizioni che danno luogo all’effetto altalena: nell’immagine vi è la presenza
di due, e solo due, forme, le quali sono giustapposte fra loro mediante la condivisione di una, e solo
una, porzione del contorno delle forme medesime; nonostante la loro contiguità, tali forme
manifestano una propria identità configurazionale e l’immagine nel suo complesso è vista come
una totalità composta da due parti le quali si collocano in alternanza l’una davanti all’altra.
a
b
Figura 33. Schemi tratti dalla Figura 32.
3.6. Natura e proprietà dell’effetto altalena
Alla luce della selezione di esempi presentati, si possono formulare alcune considerazioni
relative sia alla natura e alle proprietà dell’effetto sia all’ipotesi che ha sorretto la ricerca di una sua
presenza nell’ambito della rappresentazione grafica e pittorica, tenendo conto dei diversi generi di
produzione iconica in cui è stato rintracciato.
Come ho già accennato, da un punto di vista quantitativo, l’effetto non è frequente e lo è di più in
alcuni tipi di produzione e meno in altri.
L’effetto ha una certa presenza nell’ambito della creazione di marchi, ma anche degli stemmi e
degli emblemi in genere e lo si trova pure, ma è meno presente, nella decorazione e meno ancora
nei simboli, di cui però quello del Tai-chi tu (Figura 28) costituisce un esemplare eccellente e
paradigmatico.
Nel mondo della produzione pittorica, salvo che nel Cubismo e nei casi particolari di Picasso e
Sano di Pietro, l’effetto compare sporadicamente; a volte, è parzialmente realizzato, altre, non vi è
possibilità di accertarne la non casualità e ciò per motivi vari, quali la scarsità di documentazione
sulle opere o il deterioramento della superficie dipinta.
Anche negli altri generi esplorati – satirico, comico e propagandistico – gli esemplari rintracciati,
per quanto esistenti, sono sporadici.
Questa maggior o minor frequenza, a seconda dei tipi di produzione, trova giustificazione, da un
lato, nelle condizioni strutturali che generano l’effetto e nella sua caratterizzazione percettiva
altamente dinamica, dall’altro, nel ruolo semantico e funzionale che il genere d’immagine in cui è
presente intende svolgere.
Così, la presenza dell’effetto è relativamente alta nei marchi, genericamente intesi, perché la loro
configurazione è strutturalmente semplice, incentrata spesso sulla giustapposizione di sole due
forme, e perché il loro ruolo funzionale, consistente nella sollecitazione dell’attenzione o
dell’interesse e nella facilitazione mnemonica da parte dell’osservatore, è con l’effetto stesso
favorito e soddisfatto (Figure 15a, b, c e 24).
All’opposto, nell’ambito della rappresentazione pittorica, strutturalmente complessa e dove
l’intenzione comunicativa è di norma quella di veicolare significati con estrema chiarezza – com’è
in tutta la storia dell’arte figurativa occidentale fino agli albori del XX secolo20 – si può ritenere che
l’effetto venga evitato proprio per il “disagio percettivo” che provoca e, quindi, per l’ambiguità, sia
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Salvo in alcuni casi, come ad esempio quello di Giuseppe Arcimboldi (1527-1593), di impronta illusionistica e
manierista, dove l’ambiguità è volutamente ricercata per esibire virtuosismo e per generare sorpresa, a seguito di un
preciso clima culturale.
semantica sia relativa alla verosimiglianza o alla veridicità della rappresentazione, a cui può dar
luogo. Si distingue, come abbiamo visto, Sano di Pietro il quale in alcune Madonne col Bambino,
sperimentando nuovi schemi iconografici, sembra ‘giocare’ arditamente con l’accostamento dei due
volti, utilizzando gli aspetti dinamici dell’effetto a fini espressivi, pur rimanendo entro i limiti delle
convenzioni stilistiche (Figure 32 e 109). Parimenti, le altalenanti mani intrecciate in segno di
dolore, sia negli smalti del XIII e XIV secolo sia in alcune Addolorate di fattura popolare
dell’Ottocento, per quanto indotte in tutto o in parte da vincoli tecnici, paiono essere ritenute
soluzioni accettabili proprio in virtù della loro valenza espressiva evidenziata con la
schematizzazione a tratto (Figure 27 e 28). Quando, invece, com’è nel caso di certe opere dei
Cubisti e di Picasso, gli intenti rappresentativi riguardano lo svisceramento, la poliedricità, la
vitalità degli oggetti, la resa dinamica dell’effetto altalena sembra essere volutamente applicata, a
conferma dell’ipotesi che quest’ultimo sia presente dove i canoni stilistici adottati lo rendono
legittimo e congruo (Figure 29; 30 e 31).
Da un punto di vista cognitivo, l’effetto determinato dalle configurazioni altalena può essere
ricondotto a una delle tante procedure che il pensiero visivo è in grado di compiere e la cui
caratterizzazione è identificabile nella condizione di oscillazione, nello ‘spazio’ della mente, di due
compresenti entità – eguali, simili o anche più o meno diverse – le quali, come succede
nell’esperienza fenomenica dell’effetto, alternamente emergono l’una sull’altra e, nello stesso
tempo, sono in un certo modo e per qualche motivo unite fra loro.
Condizione mentale dai vari risvolti psicologici – così come vari sono nell’ambito della
produzione iconica gli usi dell’effetto – la quale rientra più in generale in quella preziosa e
produttiva capacità della mente di manipolare dinamicamente gli ‘oggetti’ – i concetti percettivi –
che costituiscono il suo patrimonio cognitivo21.
L’oscillazione nella mente di due entità compresenti sembra produrre una forma categoriale di
tipo visivo, atta a immaginare e, pertanto, a comprendere vari aspetti della realtà a noi interna o
esterna e concreta o astratta, la quale può svolgere diversi ruoli e assumere diversi gradi di ‘valore’
nella nostra interazione fenomenica con la realtà stessa; può acquisire, ad esempio, carattere di
utilità nell’amplificare o rendere più completa la nostra esperienza e conoscenza di ciò che è
insolito, strano, bizzarro, originale, attraente, curioso, ecc. (come è documentato dal caso della
decorazione e dei marchi commerciali); può essere alla base dell’ideazione, dell’elaborazione e
della comprensione di una complessa concezione del funzionamento dell’universo (sintetizzata nel
simbolo del Tai-chi tu); oppure, ancora, indicare una via per penetrare a fondo nella sfera dei
sentimenti che contraddistinguono o possono caratterizzare l’interazione fra due persone o lo stato
d’animo del singolo (ad esempio, l’intenso legame madre-bimbo, la passione amorosa, la
condizione di sofferenza).
Tutto ciò, in termini percettivi ed espressivi, per merito di una apparentemente banale o
insignificante porzione di contorno o di margine condiviso, da cui si genera una peculiare categoria
del pensiero visivo e del linguaggio grafico e pittorico, che di questo genere di pensiero è il mezzo
di rappresentazione.
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Esiste documentazione della presenza di questa capacità sin dalla preistoria della nostra specie. Abbiamo, infatti,
reperti grafici e pittorici risalenti al Paleolitico superiore che raffigurano in modo del tutto verosimile e preciso animali
ibridi, cioè composti da parti corporee di animali realmente esistenti come, ad esempio, un orso con la testa di lupo o un
animale mezzo renna e mezzo bisonte; oppure animali del tutto inventati, come il famoso “liocorno” effigiato nella
Grotta di Lascaux. Vedi, a questo proposito, A. Argenton (1996).
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Facoltà di Psicologia, Università di Padova (Tesi di laurea).