L`effetto altalena
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L`effetto altalena
Alberto Argenton (2008), Arte e espressione. Studi e ricerche di psicologia dell’arte, Il Poligrafo, Padova, pp. 97-126 3. L’effetto altalena: un fenomeno percettivo poco indagato Al fenomeno percettivo trattato in questo capitolo, che possiamo subito identificare come un particolare caso di “rivalità di contorno” (R. Arnheim, 1974), non è stata prestata fino ad ora, per quel che mi consta, la dovuta considerazione. Il motivo principale di tale disinteresse credo risieda nell’essere stato questo fenomeno, in un certo senso, sommariamente inglobato all’interno del problema della funzione bilaterale svolta dal contorno nel costituirsi percettivo delle forme, senza ritenerlo un caso a sé stante e, soprattutto, fatta eccezione per qualche rapida osservazione compiuta da Arnheim, senza approfondire gli aspetti dinamici che lo contraddistinguono. L’interesse nei confronti del fenomeno in questione si è acceso ed è andato crescendo quando ho avuto modo di constatarne la presenza, dapprima, in alcune opere pittoriche antiche e moderne e poi, via via, in qualche esemplare di arte popolare, nella produzione grafica di genere decorativo e commerciale e nel disegno in genere, rilevandone la caratterizzazione fortemente dinamica e, conseguentemente, la funzione espressiva svolta. Dopo aver fatto delle precisazioni preliminari, cercherò di illustrare le peculiarità di tale fenomeno e dell’effetto che produce, vale a dire le condizioni che lo rendono un caso percettivo con caratteristiche sue proprie e che lo differenziano da altri a cui può essere accomunabile, formulando alcune ipotesi e considerazioni rispetto alle condizioni del suo verificarsi. 3.1. Percezione pittorica e disegno a tratto Il fenomeno qui analizzato si verifica nell’ambito della percezione pittorica; in particolare e prevalentemente, nella percezione di immagini realizzate con disegno a tratto o lineare. Nel contesto degli studi sulla visione, l’espressione percezione pittorica può sembrare non del tutto appropriata, in quanto nella nostra lingua l’aggettivo indica ciò che è relativo alla pittura, mentre con essa convenzionalmente si vuol intendere la percezione di quel numeroso insieme di oggetti visivi che può essere incluso nella categoria sovraordinata delle immagini; d’altra parte, con la medesima locuzione si sono tradotte le espressioni inglesi “pictorial perception” (J.J. Gibson, 1954) o “picture perception” (J.M. Kennedy, 1974) che, in tale lingua, significano appunto “percezione di immagini”. Nello stesso senso e rispettando la convenzione, con percezione pittorica – distinguendola dalla percezione che abbiamo di oggetti, scene o eventi esperiti nell’ambiente in cui viviamo – mi riferisco alla percezione di immagini statiche, realizzate con il medium grafico-pittorico (disegni, dipinti, incisioni, calcografie, ecc.), le quali possono essere genericamente chiamate rappresentazioni pittoriche; includendo in questa categoria qualsiasi tipo di immagine sia che essa raffiguri forme assimilabili a qualche cosa di noto, abbia cioè un maggior o minor grado di somiglianza con una certa realtà conosciuta, sia che le sue forme risultino estranee alla possibilità di essere identificate. Con disegno a tratto o lineare mi riferisco, invece, al linguaggio grafico che utilizza a fini rappresentativi esclusivamente linee tracciate su di una superficie le quali, come abbiamo già visto1, possono essere fondamentalmente di tre tipi: linea oggetto, linea tratteggio e linea contorno. Il fenomeno percettivo qui considerato risulta particolarmente evidente nella percezione di pattern tracciati con la linea contorno e, in alcuni casi, si verifica esclusivamente in presenza di figure disegnate con questo tipo di linea. Infatti, è un determinato ruolo del contorno, assunto in 1 Vedi sopra, Capitolo 2, § 2.3. certe condizioni, a caratterizzare il fenomeno e, per questa ragione, gli esempi che proporrò consisteranno prevalentemente in immagini disegnate con tale tipo di linea. Dal momento che è il ruolo del contorno a contraddistinguere il fenomeno, è necessario fare un’ulteriore precisazione rispetto al termine contorno, adoperato spesso nel linguaggio comune quale sinonimo di margine; termini che invece devono essere usati distintamente, in quanto da un punto di vista percettivo, e in particolare nell’ambito della percezione pittorica, essi corrispondono a condizioni stimolanti diverse fra loro. Con contorno pare più opportuno e corretto, infatti, indicare quello ottenuto con la linea omonima che fa da limite ad una figura, generando la forma della figura stessa (Figura 11a). Con margine si dovrebbe più appropriatamente intendere il limite che una figura assume e che ne appalesa pur sempre la forma, in virtù però delle differenze – o “salti” (G.B. Vicario, 2003, p. 142) – di chiarezza presenti fra la figura stessa e l’area o le aree ad essa adiacenti (Figura 11b). La distinzione è, a mio parere, importante quando si voglia in generale indagare il ruolo o, meglio, i vari ruoli svolti dal contorno o dal margine nel costituirsi degli oggetti fenomenici e nel loro essere percepiti in un modo o nell’altro2. Ad esempio, come ho già accennato sopra, il fenomeno preso qui in considerazione si verifica con buona evidenza in presenza di determinate condizioni relative al contorno risultando spesso, salvo particolari eccezioni presenti soprattutto nell’ambito della pittura, più debole, meno cogente o addirittura assente se le medesime condizioni riguardano il margine. a b Figura 11. a) Sagoma del profilo di un volto ottenuta con la linea contorno b) Sagoma del profilo di un volto ottenuta tramite la differenza di chiarezza fra figura e sfondo ed esemplificante il margine. Inoltre, la percezione del contorno interessa quasi esclusivamente la rappresentazione pittorica: nella quotidiana percezione di oggetti ed eventi dell’ambiente in cui siamo immersi vediamo solitamente margini appartenenti a regioni, superfici, zone differenti fra loro per chiarezza, colore, tessitura, ecc. e non linee di contorno. Certo, possiamo assimilare, per esempio, fili, interstizi, fessure a delle linee che, però, ci sembrano tali proprio grazie alla nostra esperienza nell’ambito della rappresentazione pittorica. 3.2. La rivalità di contorno Entrando nel merito del fenomeno, pare opportuno iniziare da una parziale illustrazione che ne fa Rudolf Arnheim nel testo Arte e percezione visiva, contenuta in un Paragrafo del Capitolo 5, dedicato alla percezione dello spazio e intitolato Rivalità di contorno. 2 A giudizio di G.B. Vicario (2003, p. 142), ad esempio, “l’intera materia sulla unilateralità dei margini è ancora da indagare, a causa in primo luogo dell’ambiguità di termini come ‘margine’, ‘contorno’, ‘confine’ e simili”. Secondo R. Arnheim (1974, p. 191), il quale riferisce le sue considerazioni ad un disegno raffigurante due esagoni adiacenti che condividono il lato verticale centrale (Figura 12), “il fenomeno conosciuto come rivalità di contorno” è tale “quando vi sono due pattern in competizione, dalla configurazione analoga, che entrambi avanzano pretese al contorno”. Prima di proseguire con la descrizione della Figura 12, esemplificativa del fenomeno, soffermiamoci ad analizzare altre figure, al fine di individuare le condizioni di carattere generale che la contraddistinguono. Figura 12. Da R. Arnheim (1974, p. 191, Fig. 155). K. Koffka (1935) ne usa una molto simile (Figura 13b) quando tratta del problema della unicità e della dualità, nell’ambito delle figure realizzate con disegni lineari. Il raffronto fra i due pattern presenti in Figura 13 serve a Koffka per mostrare quando una “figura dotata di contorno” e “con al suo interno delle linee”, a seconda della sua organizzazione, possa essere vista “come unica […] e quando invece apparirà come due o più figure”. In 13a vediamo “un rettangolo con una linea che lo attraversa”, mentre in 13b si vedono “due esagoni accostati. La ragione di ciò è chiara: nel primo caso la figura totale è una figura migliore di ciascuna delle due figure parziali, mentre nel secondo caso vale l’opposto”; nel primo caso, inoltre, l’unicità sarebbe rafforzata dalla legge della buona continuazione, in quanto “i lati superiore e inferiore del rettangolo sono rette continue, che occorrerebbe interrompere per scorgere i due quadrilateri irregolari” (Ibid., p. 166), che formano il rettangolo stesso. Quel che nella sua spiegazione Koffka trascura, forse perché ritenuto ininfluente rispetto all’argomento di cui sta trattando, ma che è utile per chiarire e comprendere meglio il nostro, riguarda il ruolo percettivo svolto dalle linee interne a figure realizzate a contorno. Di fatto, queste linee fungono anch’esse da contorno, e da contorno condiviso, in quanto in 13a la linea interna appartiene sia al quadrilatero irregolare di destra che a quello di sinistra e, in 13b, sia all’uno che all’altro esagono. Però, in 13a la tendenza è di percepire, come Koffka sostiene, una “figura totale” la quale è “migliore delle due figure parziali”; ciò induce, per merito anche del fattore della buona continuazione, a vedere la linea interna, condivisa dalle due figure parziali, come una linea che “attraversa” un rettangolo o, in altre parole, come una linea che giace sul rettangolo. L’opposto accade in 13b, dove percepiamo, anche se Koffka non lo dice esplicitamente, la linea interna come appartenente sia all’una che all’altra figura geometrica, altrimenti non vedremmo due esagoni accostati. Come si può spiegare allora più compiutamente la diversità di percezione delle linee centrali, dal momento che graficamente o fisicamente ambedue sono condivise dalle due figure componenti il pattern nel suo complesso? a b Figura 13. Da K. Koffka (1935, p. 165, Fig. 4.14 e Fig. 4.15). Per rispondere a questo interrogativo possiamo servirci di altri due esempi di organizzazione unica, confrontandoli sempre con la figura degli esagoni. Nella Figura 14 abbiamo tre configurazioni che sono strutturalmente del tutto simili fra loro. Infatti, tutti e tre i pattern sono composti da due regioni o due parti d’eguale forma e dimensione e tutti e tre condividono il contorno centrale posto sull’asse verticale, vale a dire che in ciascuno di essi la linea centrale funge da contorno sia dell’una che dell’altra regione. Eppure, in a e soprattutto in b, al contrario che in c, la tendenza è di vedere un’organizzazione unica. a b c Figura 14. Tre pattern composti da due regioni di eguale forma e dimensione che condividono il contorno centrale posto sull’asse verticale. In a, percepiamo una configurazione unica e piuttosto stabile, un quadrato attraversato da un segmento di retta che lo divide a metà; e ciò è dovuto a ragioni di simmetria, di orientamento vertico-orizzontale delle linee e anche al fattore della buona continuazione così come descritto sopra da Koffka. In b, il noto diedro o cartoncino o libro di Mach, vediamo ancora una configurazione unica, anche se caratterizzata da instabilità; e ciò è dovuto al principio di semplicità che ci induce a percepire un oggetto tridimensionale, una specie di un cartoncino piegato a metà o un libro semiaperto, la cui piegatura appare alternativamente verso di noi (libro dal dorso) o lontano da noi (interno del libro). In c l’organizzazione è inequivocabilmente duale. Considerando ora la linea verticale centrale, per le ragioni appena dette, vediamo che in a e in b essa viene esperita fenomenicamente quale una linea a sé stante, vale a dire come una linea oggetto: una linea che assume una autonoma configurazione. In a, vediamo un segmento di retta che giace su un quadrato e che lo divide a metà; in b, vediamo una singola linea che indica la piegatura del cartoncino o lo spigolo delle due facce del diedro. Certo, meglio in a che in b, possiamo anche riuscire a percepire la linea centrale come contorno condiviso, rispettivamente, di due rettangoli o di due parallelogrammi accostati, ma la soluzione è poco stabile e ritorna pur sempre a prevalere l’organizzazione unica. Diversamente, in c la linea centrale viene vista come appartenente a entrambe le figure che danno luogo all’organizzazione duale e qualsiasi sforzo compiuto per vederla come linea a sé stante non pare vada a buon fine. Anzi, è proprio dirigendo lo sguardo su tale linea che si verifica la rivalità di contorno. In quest’ultimo caso si parla, in contrapposizione a quella unilaterale, di funzione bilaterale del contorno. Koffka stesso, trattando del rapporto fra figura e sfondo e del problema della doppia rappresentazione, richiama la figura dei due esagoni accostati (Figura 13b) per esemplificare il caso in cui un contorno svolge una “funzione bilaterale” (Ibid., p. 196) – nel linguaggio di Arnheim, il caso in cui vi è “rivalità” di contorno – mentre diversamente accade, come è ben noto, quando “il contorno dà forma al suo interno, non al suo esterno o, per usare l’espressione di Rubin, il contorno ha una funzione unilaterale” (Ibid., p. 195). Oltre a questo aspetto caratterizzante l’organizzazione duale della figura con gli esagoni, c’è da considerare che essa, non diversamente dalla maggior parte delle figure duali, ha al contempo “un carattere unitario”. Come ancora nota Koffka (Ibid., p. 167), “la figura duale dei due esagoni accostati”, in particolare, ha “nello stesso tempo un definito carattere di totalità”3. Ritornando alla Figura 12, ciò che viene riscontrato in base alla sua analisi percettiva è che ci troviamo di fronte a una organizzazione duale, che essa è vista come una totalità composta da due forme e che queste due forme hanno un contorno in comune o condiviso svolgente funzione bilaterale. A quel che mi consta, fatta eccezione per Arnheim, nulla o, come vedremo, quasi null’altro di più viene rilevato rispetto agli aspetti dinamici che caratterizzano fenomenicamente questo genere di organizzazioni. Dato che l’unico modo possibile per descrivere ciò che vediamo sta nelle parole che usiamo, occorre notare come il ricorso da parte di Arnheim a termini ed espressioni quali “rivalità di contorno”, avanzare “pretese al contorno”, “pattern in competizione fra loro” siano ben più esaustive – anche se possono apparire meno rigorose, asettiche o scientifiche – nell’indicare la funzione bilaterale svolta da un contorno condiviso fra due forme che compongono una totalità, in quanto non solo connotano dinamicamente le condizioni strutturali dell’organizzazione considerata, ma anche ne prefigurano l’effettiva esperienza fenomenica. 3.2.1. Il tiro alla fune visivo Nel descrivere l’esperienza visiva della rivalità di contorno, esemplificata con la Figura 12, Arnheim (1974, p. 191, corsivo mio) sottolinea che, “percepita come un insieme, la figura appare abbastanza stabile, ma quando ci si limita alla verticale centrale in comune ha luogo un tiro alla fune”, soggiungendo anche che “i confini in comune creano disagio” e che i due esagoni mostrano “una tendenza a scindersi” perché ogni figura ha una propria identità. Tralasciando, per ora, la tendenza alla scissione e il “disagio” percettivo suscitati in alcuni casi dal contorno in comune, vorrei soffermarmi sulle condizioni di “tiro alla fune”. Osservando la configurazione composta dai due esagoni disegnati a tratto abbiamo, come giustamente suggerisce Arnheim, la visione d’insieme di una totalità strutturata in due regioni, un’unica figura, “abbastanza stabile”, che sta sopra uno sfondo indeterminato. Focalizzando lo 3 Va precisato che quella della organizzazione duale è questione assai complessa e che K. Koffka (1935, p. 167) contempla altri casi di formazioni duali, potendo queste “essere di vario tipo”, e di tipo ben diverso da quella presa qui in considerazione, coinvolgendo anche configurazioni “in cui sono viste più di due figure”; ma ciò esula dal nostro argomento. sguardo, però, sul centro di questa figura, sul lato verticale che i due esagoni, “in competizione” fra loro, hanno in comune, si ha una condizione di “tiro alla fune”, la quale determina quello che possiamo chiamare un fenomeno di alternanza del percetto. Usando una terminologia ‘mentalista’, potremmo dire che non avendo noi modo di decidere a quale dei due esagoni appartenga il lato condiviso, lo attribuiamo ora all’uno e ora all’altro, tentando così di risolvere il conflitto in cui ci veniamo a trovare. Di fatto, il conflitto è insito nella struttura della figura e quel che percettivamente sperimentiamo nei suoi confronti – in modo coercitivo o spontaneo – è un fenomeno di alternanza che, in generale, si può far consistere nella trasformazione o inversione, repentina e in alternanza, del percetto, pur mantenendosi eguali le condizioni di stimolazione. Fenomeno di alternanza che, nel caso della figura con i due esagoni e, come vedremo, anche in altri casi, assume caratteristiche peculiari e distintive rispetto ad altri consimili e che propongo di denominare “effetto altalena”. a b c d e f g h i l m n Figura 15. a) b) c) Schemi tratti da marchi commerciali delle aziende, rispettivamente, Ewals Cargo Care, Bankenchampignons, Gruppo Fidelitas, d) Figura con due profili. Da J.M. Kennedy (1974, p. 133, Fig. 16) e) Estrapolazione dalla “ringhiera magica” (da R. Arnheim, 1974, p. 195, Fig. 166a) f) Figura con due profili. Da H. Werner e S. Wapner (1952, p. 336, Fig. 4) g) Schema tratto da un’opera di Coralie Benporath h) Schema tratto da una tavola di Cemak (da Linus, Ottobre, 1993, p. 21) i) Schema tratto da un disegno infantile l) m) n) Pattern realizzati dall’Autore e da Tamara Prest. 3.3. Condizioni ed esito percettivo dell’effetto altalena Osservando ancora la Figura 12 e accentrando lo sguardo sul contorno in comune, il “tiro alla fune” visivo che ne deriva genera una sorta di andirivieni dei due pattern esagonali, nel senso di una inversione o alternanza della collocazione spaziale dell’uno nei confronti dell’altro, alternativamente uno avanti e l’altro dietro; in modo figurato, come se ciascuno stesse, frontalmente all’osservatore, su di una altalena, la cui oscillazione abbia un andamento opposto all’altra: se vediamo in primo piano l’esagono di sinistra e perciò il contorno in comune appartenente ad esso, quello di destra retrocede, e viceversa, ma senza che quello retrostante, e questo è un aspetto cruciale del fenomeno, perda la propria fisionomia. A ulteriore illustrazione dell’effetto, sono riportate in Figura 15 alcune immagini in cui esso è presente con evidenza. In a, b, c, g, l, m e n l’immagine, che vediamo come un tutto, è composta da due forme giustapposte eguali, in a speculari, in b, c, g, l, m e n speculari ma l’una capovolta rispetto all’altra; in d, e, f, g, h e i le due forme appartengono alla stessa categoria di oggetti – sintetici profili del volto umano, colonnini di una ipotetica ringhiera, pesci, teste perfettamente calve, astri celesti (il sole e la luna) – ma sono dissimili fra loro e giustapposte in diversi modi. In ciascuna immagine, accentrando lo sguardo sul contorno condiviso, si può facilmente osservare l’andirivieni avanti e indietro delle due forme, che la costituiscono come un tutto, e constatare come l’effetto sia imputabile alla rivalità di quella parte del contorno condiviso dalle due forme stesse e al conseguente tiro alla fune visivo generato da tale rivalità. Questa parte del contorno, svolgendo funzione bilaterale, è vista appartenere alternativamente alla forma che viene percepita in primo piano. Va ribadito, inoltre, che mentre vediamo in primo piano una delle due forme, l’altra non perde la sua identità: ad esempio, in 15c, mentre vediamo in primo piano quella specie di F che sta a sinistra, continuiamo a vedere anche la sua versione speculare e capovolta; in 15h, se vediamo avanti la testa alla nostra destra, l’altra continua a sussistere come tale. Alla luce di questi esempi, si possono evidenziare le condizioni, ad essi comuni, che danno luogo all’effetto altalena, rendendolo peculiare e differenziandolo rispetto ad altri casi consimili, rientranti nell’ambito del fenomeno più generale dell’alternanza del percetto. Le condizioni indispensabili, indispensabili come la loro compresenza, che caratterizzano e definiscono l’effetto altalena sono due. La prima condizione consiste nella presenza in un pattern di due, e solo due, forme, le quali siano giustapposte fra loro mediante la condivisione di una, e solo una, porzione del contorno delle forme medesime. La seconda condizione è che tali forme manifestino e mantengano inalterata una propria identità configurazionale. Il che significa, usando la terminologia e i concetti illustrati nella prima parte di questo testo, che le due forme devono presentarsi come “parti genuine” che compongono il tutto, ovvero quali “sezioni” costituenti delle “sotto unità isolate rispetto al contesto totale” (R. Arnheim, 1974, p. 81)4. Questa seconda condizione si verifica o meno sulla base della presenza di vari e specifici fattori di ordine strutturale e rappresentativo – quali, ad esempio, la quantità di contorno condiviso e le dimensioni delle due forme giustapposte – che consentono o precludono a una o ad ambedue le forme di costituirsi quale parte genuina del tutto. In proposito, penso possa essere sufficiente portare un esempio, ricorrendo al confronto fra un pattern costituito da due forme in cui è presente l’effetto altalena e una sua variazione, in cui la perdita dell’identità di una delle due forme, dovuta a un fattore dimensionale, lo fa venire a mancare. 4 Vedi sopra, alle pp. 77-78 del 2° capitolo, la discussione sulle unità compositive dell’opera pittorica. a b Figura 16. a) Figura proposta da W. Metzger (1975, p. 33) per illustrare la funzione bilaterale del contorno b) Variazione di a). Nella Figura 16a, è riprodotta un’immagine proposta da W. Metzger (1975, p. 33) proprio per illustrare la funzione bilaterale del contorno e a tal fine ripresa, ad esempio, anche da M. Sambin e L. Marcato (1999, p. 131) e da G.B. Vicario (2003, p. 140). In tale figura sono soddisfatte ambedue le condizioni del nostro effetto; infatti, considerata l’immagine nel suo complesso essa appare composta da due configurazioni con una propria identità – una croce a otto punte e una croce greca posta obliquamente – le quali, condividendo una porzione, per quanto esigua, del loro contorno, danno luogo all’alternanza del percetto, ponendosi alternativamente e vicendevolmente in primo e secondo piano. In 16b, variazione mia della precedente figura, pur essendo presente la prima condizione dell’effetto altalena e nonostante la porzione di contorno condivisa sia la medesima, la seconda condizione viene a mancare in quanto il romboide non manifesta, o se lo fa non mantiene inalterata, una propria identità a ragione, in questo caso, delle sue ridotte dimensioni rispetto alla croce a otto punte, configurandosi così come una sorta di faccia del braccio destro della croce e apparendo un elemento della stessa, cioè come un elemento di un’“organizzazione unica” (K. Koffka, 1935) e determinando, fra l’altro, la percezione di una strana o improbabile tridimensionalità. L’esito percettivo prodotto dalla compresenza delle due condizioni che danno luogo all’effetto che ho denominato altalena consiste nel vedere il pattern come una totalità composta da due parti le quali si collocano in alternanza l’una davanti all’altra. Devo ammettere che non ritengo tale denominazione particolarmente felice, ma confesso di non essere riuscito a trovare nulla di meglio per rendere la sua peculiarità. Infatti, la similitudine dell’andirivieni delle due altalene può far pensare ad altri casi di alternanza o di inversione del percetto; casi, però, che si differenziano, come cercherò di mostrare subito, da quello qui considerato. 3.3.1. Diversità fra l’effetto altalena e altri casi di alternanza del percetto Le situazioni in cui si verifica l’alternanza del percetto sono numerose e pertanto conviene compiere innanzi tutto una distinzione, così come suggerisce G.B. Vicario (2003, pp. 166-169), fra figure ambigue e figure reversibili. Figura 17. La figura “coppa-profili”. Da E. Rubin (1921, Fig. 3). Figura 18. Julian Key, Adam et Eve, serigrafia. Da www.poster page .ch/menu/jkey/key.htm. Nel novero delle figure ambigue si possono includere tutte quelle immagini in cui, sulla base di una condizione di stimolazione invariata, si alternano due strutture percettive, l’una però diversa dall’altra. Queste immagini hanno varie configurazioni: dalla più semplice, come è ad esempio la nota figura coppa-profili di Edgar Rubin (Figura 17) – a cui accosto la spiritosa variazione del disegnatore belga Julian Key (Figura 18) – a quelle più articolate graficamente, come ad esempio la giovane-vecchia di E.G. Boring (Figura 21), fino a quelle maggiormente complesse, come ad esempio alcuni quadri di Salvador Dalí (Figura 19) o come gran parte delle opere di Maurits Cornelis Escher (Figura 20). Il rischio che l’effetto altalena possa essere confuso con le, o assimilato alle, figure ambigue è favorito da Arnheim (1974, pp. 190-192) stesso, nel paragrafo citato prima, anche se a giustificazione va detto che il suo impegno è rivolto a trattare la condivisione del contorno in generale, più che a svolgere un esame dettagliato dei diversi casi in cui essa possa presentarsi. Infatti, dopo aver rapidamente descritto la rivalità di contorno dei due esagoni, Arnheim, richiamando come esempio la coppa-profili di Rubin (Figura 17), considera la situazione in cui il contorno in comune fra due pattern genera la visione di due forme completamente diverse fra loro, a seconda che il contorno sia percepito come appartenente a uno o all’altro pattern e, più avanti, cita la produzione delle immagini ambigue realizzate da Salvador Dalí e da Pavel Tchelitchew e, soprattutto, l’opera, fortemente imperniata sull’ambivalenza fra figura e sfondo, di Maurits Cornelis Escher. Figura 19. Salvador Dalí (Figueras 1904 - 1989), Mercato di schiavi con busto di Voltaire, 1940, olio su tela, cm. 46.5 x 65.5. The Salvador Dalì Museum, St. Petersburg (Fl). Da D. Ades (2004, p. 324, Fig. 196). Figura 20. Maurits Cornelis Escher (Leekwarden 1898 - Hilversum 1972), Cielo e acqua, 1938, xilografia, cm. 44 x 44, . Da P. Parini, M. Calvesi (1980, p. 131). In questo genere di immagini le condizioni caratterizzanti l’effetto altalena indicate prima sono del tutto assenti. Nel caso della figura di Rubin (Figura 17), le forme che si alternano sono due, ma è l’intero contorno, e non una sua porzione, che esse condividono, e quando si vede una forma, la quale si costituisce come figura, l’altra diviene sfondo e perde la sua identità, diviene indeterminata, non è cioè visibile come forma autonoma. Nelle immagini di Figura 15, come ho già notato, possiamo anche dire che alternativamente uno dei due pattern da cui sono composte emerge, cioè sta davanti ed è ben definito, ma l’altro, pur retrocedendo, non perde consistenza, né acquista indeterminatezza, né tanto meno dà l’impressione di continuare al di sotto del primo; caratteristiche, queste, considerate tipiche della condizione di sfondo. Nel caso delle immagini della Figura 15, i due pattern di ciascuna immagine si stagliano come una figura avente “carattere di totalità” (K. Koffka, 1935, p. 167) e ciò in virtù sia della funzione unilaterale svolta percettivamente da quella parte del contorno che esse non condividono sia della leggera ma innegabile differenza di chiarezza o tessitura che appare fra l’interno dei due pattern e lo sfondo vero e proprio su cui essi giacciono. Quanto alle opere degli artisti surrealisti citati prima, anch’esse presentano notevoli differenze rispetto al caso particolare costituito dall’effetto altalena: pur essendo dimostrative delle varie condizioni in cui, all’interno di una stessa configurazione, la funzione bilaterale del contorno o del margine (ma pure il ruolo svolto da altri indizi pittorici) può dar luogo alla compresenza di due forme, l’una escludente percettivamente l’altra – com’è, ad esempio, nel quadro di Dalì (Figura 19) – oppure ancora all’inversione fra figura e sfondo – com’è nel caso di Escher (Figura 20) – è evidente che le condizioni strutturali, e perciò l’esperienza fenomenica, di queste opere presentano un’articolazione (e gradi di complessità) ben diversa da quella inducente l’effetto altalena. Figura 21. Da E.G. Boring (1930, p. 444). Lo stesso dicasi per la giovane-vecchia di Boring5 (Figura 21), dove le due forme che danno luogo all’alternanza fra i percetti sono contenute e fuse nella medesima configurazione e non dipendono da alcuna condivisione dei contorni, ma dal duplice ruolo rappresentativo svolto da alcuni di questi – ad esempio, il contorno del naso della vecchia è anche la sagoma del volto scorciatissimo e della mascella della giovane – oppure dal ruolo ambivalente svolto dalle altre parti, più o meno minute, che compongono il disegno: ad esempio, la bocca della vecchia è anche il nastrino al collo della giovane, l’orecchio della giovane è anche l’occhio sinistro della vecchia e così via. Per quanto riguarda le figure reversibili, anch’esse presentano, pur in una condizione di stimolazione invariata, l’alternanza o l’inversione di due – o anche più – strutture percettive, le quali però sono relative alla medesima o alle medesime forme rappresentate. Fra i casi di reversibilità che potrebbero essere assimilati all’effetto altalena, possiamo considerare sia l’inversione prospettica, come è quella esemplificata nella Figura 22 o anche nella Figura 14b, considerata precedentemente, sia l’inversione della sovrapposizione reciproca di due configurazioni, come è nell’esempio rappresentato in Figura 23. 5 Questa figura, presentata da E.G. Boring come “una nuova figura ambigua” sull’American Journal of Psychology, nel 1930, è tratta da una tavola del disegnatore W.E. Hill, che la pubblicò nel 1915 con il titolo Mia moglie e mia suocera. Figura 22. Inversione prospettica. Figura 23. Inversione della sovrapposizione reciproca di due figure. Per il prevalere della tridimensionalità, lo abbiamo già visto, nel diedro di Mach (Figura 14b) lo spigolo non rispetta la prima condizione dell’effetto altalena: non è visto svolgere funzione bilaterale, non è percepito come parziale contorno condiviso dai due parallelogrammi giustapposti che formano l’immagine nella sua totalità; conseguentemente, le due parti del diedro sono esperite come un tutto e non quali entità figurali autonome. Per quanto riguarda il caso del così detto cubo di Necker (Figura 22), le differenze fra i suoi possibili e alternativi rendimenti percettivi e quello dell’effetto altalena sono numerose e ben evidenti: in sostanza, vediamo un oggetto unico composto da più parti – e non due forme – che si orienta alternativamente in posizioni diverse nello spazio tridimensionale. Anche le condizioni che generano l’inversione della sovrapposizione di due forme, pur sembrando in parte simili a quelle determinanti l’effetto altalena, se ne differenziano nettamente, com’è esemplificato nella Figura 23: l’immagine, che risulta composta da due forme fenomeniche – strutturalmente, invece, le forme sono tre – è vista come una totalità e ciascuna delle due forme, alternandosi nell’apparire l’una sopra l’altra, mantiene la propria identità configurazionale. Le due forme, però, non sono giustapposte e condividono non una ma due porzioni del contorno, vale a dire i due punti in cui i lati del quadrato s’intersecano con la circonferenza del cerchio. 3.4. Gli aspetti dinamici dell’effetto altalena Riprendendo il commento di Arnheim (1974, p. 191) alla Figura 12, in cui egli, dopo aver rilevato che “i confini in comune creano disagio”, sottolinea la “tendenza a scindersi” dei due esagoni perché ciascuna “figura ha una propria configurazione semplice e indipendente”, possiamo ora rivolgere l’attenzione alle peculiari caratteristiche, altamente dinamiche, che l’effetto altalena possiede. Nelle Gestalt che presentano l’effetto, le due parti che le costituiscono, da un lato, mostrano una loro identità, sono delle “parti genuine”, dall’altro, si manifestano come inestricabilmente connesse; oppure, il che è lo stesso, da un lato, mostrano una “tendenza a scindersi” e, dall’altro, l’impossibilità a farlo, generando “disagio” percettivo. La tendenza alla scissione è un’ulteriore riprova del ruolo svolto in ambito percettivo dal principio basilare della semplicità, secondo il quale propendiamo a vedere determinate forme, rispetto alle condizioni in cui si presentano, nel modo più semplice possibile: ad esempio, due esagoni giustapposti, anziché una inconsueta figura geometrica con al suo centro un segmento di retta che, giacendo su di essa, la taglia verticalmente a metà (Figura 12). Per altro verso, le Gestalt di questo tipo, data l’impossibilità di scindere fenomenicamente le due forme che le compongono, contrastano la legge della Prägnanz, cioè la tendenza a rendere più chiara possibile la struttura percettiva6. Il conflitto visivo che si viene a creare fra le due tendenze, di cui è responsabile la parziale condivisione del contorno, crea “disagio” e perciò viene risolto con l’effetto altalenante delle due forme, suscitando un percetto fortemente dinamico. Come nel caso di qualsiasi altro tipo di Gestalt, anche in quello che stiamo considerando, per comprendere appieno le sue caratteristiche fenomeniche, non si può fare a meno di tenere conto degli aspetti dinamici che lo contraddistinguono. Ogni esperienza visiva, infatti, è dinamica – nel senso illustrato nel secondo capitolo – vale a dire che noi vediamo gli oggetti non solo come aggregati di forme e colori, ma anche e soprattutto come campi gestaltici in cui sono presenti e interagiscono fra loro tensioni direzionate, le quali sono determinate da vettori, forze percettive generate dalle configurazioni degli oggetti stessi; vettori che hanno ciascuno una collocazione, un’intensità e una direzione. La dinamica della percezione, pertanto e inoltre, ha un peso preponderante nel farci esperire immediatamente o spontaneamente il carattere delle cose, la loro espressività. E l’effetto altalena è una dimostrazione più evidente di altre degli aspetti dinamici della percezione, proprio perché nelle configurazioni degli oggetti visivi che lo provocano è abbastanza facile – o immediato o spontaneo – cogliere le tensioni generate dalle forze percettive in esse presenti e in competizione fra loro nella gara del “tiro alla fune”. Ciò non deve indurre, però, nell’equivoco di ritenere che la dinamica della percezione corrisponda alla, o sia prerogativa della, instabilità o reversibilità o ambiguità del pattern percepito – dove le forme che lo compongono forniscono l’esperienza fenomenica di repentini e reversibili cambiamenti nel loro apparire oppure, com’è nel nostro caso, danno l’impressione di mutare alternativamente la loro collocazione spaziale – in quanto, va ribadito, ogni oggetto visivo, sia esso elementare e semplice o più articolato e complesso, è caratterizzato da proprietà dinamiche e, conseguentemente, espressive. 3.5. La presenza dell’effetto altalena nella rappresentazione grafica e pittorica Nell’ambito multiforme della rappresentazione grafica e pittorica si possono rintracciare vari esempi di presenza dell’effetto qui considerato; esempi che, da un lato, corroborano l’analisi fin qui compiuta e documentano – portandone ulteriori prove – il ruolo svolto dalla dinamica nell’essere veicolo dell’espressione e, dall’altro, consentono di trarre indicazioni relativamente alle modalità di funzionamento del pensiero visivo. Una ricerca sistematica, che ha comportato l’analisi di immagini realizzate con il linguaggio grafico e pittorico – reperite nelle raccolte museali, librarie, informatiche, ecc. – di genere artistico, decorativo, satirico, comico, fumettistico, propagandistico e prodotte in varie epoche e culture, ha permesso di individuare un certo numero di tali esempi7; numero che, anche se relativamente ad alcuni generi esplorati non è alto, si può comunque considerare sufficiente ai fini della verifica dell’ipotesi che ha guidato la ricerca stessa. L’ipotesi era che l’effetto altalena, date le sue peculiari caratteristiche fenomeniche, sia presente solamente laddove gli intenti rappresentativi o funzionali e le convenzioni stilistiche di una determinata produzione iconica contemplino la forte resa dinamica ed espressiva dell’effetto stesso, mentre sia evitato quando l’alternanza percettiva da esso prodotta contrasti con quei medesimi intenti e convenzioni. In altre parole, si è ipotizzato che l’uso dell’effetto sia strettamente correlato 6 Bambini piccoli, o soggetti a cui sono stati mostrati pattern stimolanti di questo genere per tempi molto brevi, e ai quali è stato chiesto di riprodurli graficamente, eludono l’incertezza generata dal contorno condiviso disegnando figure indipendenti fra di loro. Ad esempio, R. Arnheim (1974, p. 191) cita a questo proposito le ricerche di L. Hempstead, J. Piaget e H. Rupp. 7 La ricerca ha riguardato migliaia di immagini, impegnando, conseguentemente, un cospicuo arco temporale e non può considerarsi ancora conclusa, dal momento che quando si studiano fenomeni di questo genere è alquanto improbabile che non se ne continui a incontrare nuovi esempi; di norma, essi divengono compagni inseparabili dell’osservazione quotidiana. con la maggior efficacia possibile nel veicolare il significato della forma in cui esso è presente o nello svolgimento della funzione per cui la stessa forma è stata concepita, ma anche che il suo uso venga favorito o inibito a seconda delle consuetudini o degli schemi stilistici in base ai quali sempre la medesima forma è stata realizzata8. Gli esempi che porterò qui di seguito sono alcuni di quelli rintracciati negli ambiti del marchio, dei simboli, della decorazione, degli smalti e della pittura su vetro, delle opere cubiste e di Pablo Picasso e, infine, della pittura senese del Quattrocento. 3.5.1. Marchi Fra le immagini riportate nelle pagine precedenti, ve ne sono già alcune che appartengono all’ambito della produzione grafica: le Figure 15a, 15b e 15c sono tratte dal vasto mondo dei marchi commerciali, così come lo è il pattern della Figura 24b, ricavato dall’annuncio pubblicitario di un’esposizione d’arte a carattere fieristico, pubblicato su di una rivista d’arte. Nel caso delle Figure 15a e 15c) è abbastanza evidente che le forme stanno per le lettere alfabetiche E e F – le iniziali delle denominazioni delle attività commerciali rappresentate9 – anche se la loro riconoscibilità viene in parte sminuita dalla raffigurazione inconsueta delle lettere, dal gioco del rispecchiamento e dalla porzione del contorno condiviso che dà luogo e preminenza all’effetto altalena. In 15b è il prodotto commercializzato ad essere schematicamente suggerito: i funghi champignons10, che nella versione originale del marchio sono facilmente identificabili. a b Figura 24. Inserto pubblicitario di Expoarte, mostra mercato di arte contemporanea. Da Il Giornale dell’arte, Ottobre, 2003. Le tre configurazioni svolgono, così, le due principali funzioni che un marchio – o logo, come si usa più diffusamente dire oggi – è preposto a svolgere: suggerire, in modo immediato, laddove questo è l’intento del disegnatore, la connessione fra la forma più o meno schematica del pattern e l’identità del tipo di prodotto, attività, servizio che essa vuole raffigurare; proporre una forma che, in virtù della sua singolarità, richiami l’attenzione e/o susciti l’interesse dell’osservatore e, al contempo, ne faciliti la memorizzazione e la rievocazione, anche se questo obiettivo può essere conseguito con la creazione di forme senza alcun valore di attinenza o di richiamo con l’identità dell’ente o dell’attività rappresentati11, com’è ad esempio nel caso del pattern riprodotto in Figura 24a. In questo pattern, riguardante la pubblicizzazione di un evento periodico, la forma non 8 Per una trattazione del rapporto fra forma, significato e funzione nella percezione e fruizione di un oggetto visivo e del concetto di stile, vedi A. Argenton (1996). 9 Le due aziende rappresentate sono, rispettivamente, Ewals Cargo Care e il Gruppo Fidelitas. 10 L’azienda rappresentata è l’olandese Bankenchampignons. 11 Sulla caratterizzazione espressiva dei marchi è in fase di svolgimento una mia ricerca finalizzata a una loro classificazione fondata su tale criterio. Una parziale indagine in materia è contenuta in E. Zito (2008). possiede una diretta attinenza con l’identità dell’evento stesso ed è, così, libera di giocare il ruolo di identificazione dell’avvenimento propagandato, agendo pur sempre anche su quello di richiamo dell’attenzione, tramite una configurazione originale, attraente e coinvolgente e la cui originalità non è data tanto dalla ‘impronta’ della mano aperta, che è una delle prime configurazioni a comparire nella storia delle immagini, quanto dalla sua duplice raffigurazione basata sulle condizioni strutturali proprie dell’effetto altalena, ben visibile nello schema disegnato a tratto delle due mani (Figura 24b). La peculiarità delle figure portate ad esempio concernono principalmente l’effetto altalena, da cui ricevono efficacia espressiva. E le “figure altalena” sono rintracciabili non solo in questa amplissima categoria di immagini, ma anche negli stemmi, siano essi antichi o più recenti, i quali costituiscono gli antenati o gli esemplari più complessi o ricercati dei maggiormente sintetici e schematici marchi contemporanei. 3.5.2. Simboli Passando ad un altro ambito di produzione iconica, quella dei simboli – simboli intesi come particolari immagini strutturalmente piuttosto semplici, volte a rappresentare significati universali largamente condivisi – troviamo, fra gli altri, uno straordinario esempio di applicazione dell’effetto altalena, il quale è anche una pregnante dimostrazione che il vedere consiste nell’esperire fenomenicamente delle forze percettive in interazione fra loro. a b Figura 25. Simbolo del Tai-chi tu Nella Figura 25 sono riprodotti il simbolo taoista del Tai-chi tu (a) e il suo schema disegnato a tratto (b). Questo antico simbolo, abbastanza noto anche nella cultura occidentale, rappresenta i due opposti e interattivi principi, lo yin e lo yang, della filosofia cinese. Nella concezione cosmologica taoista, i due principi generano i fenomeni della natura, la quale ha la caratteristica di essere in continuo mutamento, e la loro interazione costituisce la dualità all’interno dell’unità. Essi sono antagonisti, ma nello stesso tempo non sono distinti l’uno dall’altro né si sommano nell’insieme; in estrema sintesi, rappresentano l’interazione costante di tutto con tutto entro l’indivisibile e supremo Uno12. Quale configurazione può essere più efficace di questa nell’esprimere una siffatta concezione, in cui le categorie concettuali portanti sono il perpetuo mutamento, la continua interazione, la dualità nell’unità, la coincidenza degli opposti e il cui fine è quello di illustrare il funzionamento dell’universo? In termini percettivi e, perciò, dinamici ed espressivi, il complesso significato che questo simbolo vuole rappresentare è perfettamente reso sia dalla sua complessiva forma circolare13 12 Traggo queste sintetiche indicazioni sul significato simbolico del Tai-chi tu da un saggio di R. Arnheim (1966), in cui egli compie una approfondita analisi percettiva di tale emblema. 13 Come specifica R. Arnheim (1966, p. 285), “la scelta della forma circolare per un pattern che ha il compito di raffigurare l’universo non è casuale. Il cerchio (o la sfera) è l’unica configurazione che non presceglie alcuna direzione particolare, ed è pertanto usato spontaneamente ovunque per dipingere oggetti la cui forma sia incerta, o priva di sia dalla sua suddivisione interna in altre due identiche forme a goccia – chiamate magatama – giustapposte in posizione reciprocamente invertita, che condividono il margine (Figura 25a) o il contorno (Figura 25b) lungo i quali sono a contatto e che producono l’alternanza del percetto propria dell’effetto altalena. 3.5.3. Decorazione Un ambito ove fin dalle epoche più antiche la rivalità di contorno è largamente usata, spesso in forma seriale, generando in alcuni casi l’effetto altalena è quello della decorazione, dove troviamo un’inesauribile produzione che ha infiniti modi di manifestarsi e che documenta la generale tendenza dell’uomo a sperimentare le potenzialità espressive del linguaggio grafico e la sua propensione nei confronti dell’abbellimento. La decorazione ha dato luogo, da un lato, ad autonomi generi d’arte – come, ad esempio, la gioielleria, l’arte vascolare, l’abbigliamento, l’arredamento di interni, ecc. – e, dall’altro, ha trovato e trova espressione sia in gran parte della produzione degli oggetti che una società utilizza sia, giocando un ruolo più o meno rilevante, nelle arti visive stesse14. L’ornamento serve ad abbellire e a caratterizzare l’oggetto in sé e, nello stesso tempo, tramite la forma della sua decorazione e l’eventuale preziosità dei materiali con cui è realizzato, a distinguere e a caratterizzare l’individuo, il gruppo, la comunità che quell’oggetto produce, utilizza e possiede, fornendo informazioni su vari aspetti dell’identità personale e sociale – di personalità, di status, di ruolo – del possessore dell’oggetto15. a b c d Figura 26. a); b) Copricuscino, Turchia, XVII sec. Museo Civico, Torino. Da G. Curatola (1993, p. 393, Fig. 242) e schema lineare del motivo centrale del copricuscino stesso c) Schemi tratti dalle decorazioni in ceramica smaltata presenti nell’Alcázar dell’Alhambra di Granada d) Sequenza del medesimo motivo decorativo che dà luogo a un effetto di alternanza figura-sfondo. Particolare di una decorazione in ceramica smaltata nell’Alcázar dell’Alhambra di Granada (fotografia dell’Autore). importanza, ovvero per raffigurare qualche cosa che non abbia alcuna forma, che possa avere una forma qualsiasi, o che possieda tutte le forme”. 14 Basta pensare al ruolo che la decorazione ha nell’architettura. Uno studio che può introdurre all’argomento in modo esauriente è di E.H. Gombrich (1979). 15 Sull’uso decorativo del linguaggio grafico e sulla sua presenza fin dall’epoca preistorica, vedi A. Argenton (1996). Funzionali a questi molteplici scopi, oltre a quello precipuo di abbellimento, le configurazioni di carattere decorativo presentano spesso soluzioni formali che richiamano i fenomeni di alternanza del percetto – soprattutto casi di reversibilità prospettica o di figura-sfondo – fra cui non manca, ma in quantità che in base alle mie esplorazioni appare relativamente limitata, l’effetto altalena. Effetto che ritroviamo in uno degli esempi di questo genere, schematizzato nella Figura 26b, e ricavato dal principale motivo decorativo di un copricuscino turco del XVII secolo (Figura 26a), nella cui cornice è ripreso il medesimo motivo apicato e proposto serialmente. Il disegno del copricuscino16 funge da buon esemplare di un certo tipo di configurazione grafica, schematica e geometrizzante, che fin dalla preistoria caratterizza, nelle più diverse culture e nei più svariati modelli, tanta parte dell’arte ornamentale e in cui è evidente la presenza della rivalità di contorno, la quale nel motivo apicato centrale (Figura 26b), proprio perché le forme giustapposte sono due, dà luogo all’effetto altalena, mentre nell’incorniciatura del tema centrale stesso, dove pur sempre la linea di contorno svolge funzione bilaterale ma il motivo è riproposto serialmente, l’effetto viene meno (Figura 26a). Sempre tratti dall’arte islamica, riporto altri tre esempi, riprodotti con disegno lineare, di motivi decorativi che, se opportunamente isolati, costituiscono casi di effetto altalena (Figura 26c), mentre proposti nella loro disposizione sequenziale e colorazione originarie, come è ad esempio nella Figura 26d, generano un effetto di alternanza figura-sfondo. 3.5.4. Smalti e pittura su vetro Se nel settore della decorazione l’uso della rivalità di contorno e dell’effetto altalena è un accorgimento funzionale all’abbellimento, in alcuni tipi di produzione grafica e pittorica esso può essere indotto dal genere di tecnica utilizzata, concorrendo nello stesso tempo a dare espressività all’immagine così realizzata. Due esempi sono riportati nella Figura 27, che riproduce minuscole immagini dal medesimo soggetto – il San Giovanni Evangelista dolente – eseguite con la tecnica dello smalto. Come si può vedere, lo schema iconografico prescrive che a manifestare la condizione del dolore siano la testa leggermente reclinata e le mani intrecciate. In queste ultime, soprattutto a ragione dei vincoli imposti dalla tecnica impiegata, è presente la condivisione del contorno che delinea le dita e che genera l’effetto altalena. Che sia la tecnica e, in parte, probabilmente anche una convenzione stilistica/iconografica a indurre questa soluzione rappresentativa, appare confermato dal fatto che l’esplorazione compiuta su tale tipo di produzione – riguardante l’oreficeria senese dei secoli XIII e XIV – ne ha rilevato l’uso sempre eguale e costante, quando si tratta della raffigurazione del medesimo dettaglio, cioè le mani intrecciate. a b Figura 27. San Giovanni Evangelista dolente, smalti. a) Guccio di Mannaia, Calice (1288-1292), particolare, Museo del Tesoro della Basilica di San Francesco, Assisi. b) Croce, prima metà XIV Secolo, (particolare), British Museum, Londra. Da E. Cioni (1998, p. 7 e p. 388). 16 Questo particolare motivo, che rientra nella generica categoria delle “palmette” (E.H. Gombrich, 1979), è tipico della produzione decorativa turca della città di Iznik, uno dei maggiori centri di fabbricazione della tarda ceramica islamica (E. Wilson, 1988). b a Figura 28. a) Anonimo, Addolorata, XIX secolo, cm. 31 x 21, pittura su vetro. Collezione privata, Roma; b) particolare di a). Nel raffigurare l’intreccio delle mani, il medesimo accorgimento rappresentativo è presente anche nell’esempio riportato nella Figura 28a, un’opera eseguita in tutt’altra epoca con la tecnica della pittura su vetro, tecnica per certi versi simile a quella dello smalto dipinto. Si tratta di una Addolorata, un quadretto devozionale di arte popolare dell’Ottocento, dove si perpetua il tradizionale modello iconografico – capo reclinato e mani intrecciate – e dove nella raffigurazione di queste ultime è usata la condivisione del contorno delle dita che danno luogo all’effetto altalena (Figura 28b)17. Quanto in questi casi, e soprattutto nell’ultimo, non del tutto vincolato dalla tecnica, com’è per le piccolissime figure a smalto, vi sia un uso intenzionale e non solamente convenzionale dell’effetto è, per varie ragioni, molto difficile da appurare e stabilire. Rimane il fatto che in queste immagini la sua presenza contribuisce ad amplificarne l’espressività. 3.5.5. Il Cubismo e Pablo Picasso Perseguendo, nella direzione intrapresa da Impressionisti e Fauves, l’obiettivo di un definitivo abbandono della tradizionale rappresentazione prospettica dell’arte accademica e nell’intento di ottenere una rappresentazione degli oggetti che non rispettasse un’unica loro collocazione spaziale, ma che ne considerasse contemporaneamente più aspetti e sfaccettature, proponendoli simultaneamente da più punti di vista e da diverse angolature, i Cubisti usano a volte anche la rivalità di contorno e pure l’effetto altalena, in maniera funzionale ai loro intenti rappresentativi. a b Figura 29. Schema tratto da un’opera di Georges Braque. Da R. Arnheim (1974, p. 192, Fig. 159). 17 La ricerca svolta ha consentito di rintracciare alcuni esemplari che rispettano questo modello, sempre del XIX secolo e di fattura popolare, eseguiti anche con la tecnica dell’incisione e della pittura a olio. Un esempio di questo genere è visibile nella Figura 29a, che riproduce lo schema ricavato da un quadro di Georges Braque, iniziatore assieme a Picasso del Cubismo, e che è proposto da Arnheim per illustrare la possibile funzione bilaterale svolta dal contorno. Arnheim (1974, p. 192) così commenta la figura: “la sagoma della linea del profilo cambia completamente a seconda della faccia a cui è vista appartenere. Ciò che era vuoto diventa pieno; ciò che era attivo diventa passivo”. Noi possiamo aggiungere che, oltre a vedere alternativamente un profilo del tutto diverso dall’altro, succede anche che uno dei due profili emerge, collocandosi davanti all’altro. In realtà, questa figura ha un altro modo, diverso da quello appena enunciato, di essere percepita: in essa possiamo vedere un volto di profilo, quello di sinistra, che sta davanti a, copre parzialmente, un altro volto posto frontalmente e, vista così, l’immagine risulta del tutto stabile. Per favorire la visione dell’immagine come composta da due profili giustapposti e nella quale si manifesta l’effetto altalena, ho separato le due parti che danno luogo all’alternanza del percetto (Figura 29b). E l’effetto non poteva mancare in un autore prolifico e variegato nello stile qual è Picasso, che anche dal Cubismo prende le mosse per compiere la propria personale ricerca pittorica. a b Figura 30. Schemi da Il bacio di Pablo Picasso. a) 1969, Musée Picasso, Parigi. b) 1969, coll. Gilbert de Bottom. La Figura 30 mostra gli schemi ricavati da due quadri dell’artista spagnolo, raffiguranti il medesimo soggetto, il bacio, e dipinti nello stile che caratterizza gli ultimi anni della sua produzione18. Il dinamismo e l’espressività di queste due pitture sono affidati anche alla condivisione della linea che segna il contorno dell’uno e dell’altro volto, generando in modo evidente l’effetto altalena, che contribuisce così in gran parte a rendere efficacemente conto della ‘movimentata’ passionalità che può caratterizzare l’atto in questione. Anche in alcune opere realizzate negli anni Trenta, Picasso utilizza un analogo schema inducente l’effetto altalena e lo fa giustapponendo due volti, com’è nella Figura 31, dove l’immagine – moderna icona del tema della maternità – costituisce un altro esempio nel quale la resa dinamica dell’abbraccio espressivamente affettuoso è affidato alla parziale condivisione del contorno/margine dei visi della donna e del bambino. 3.5.6. Un caso singolare: Sano di Pietro L’ultimo esempio che qui propongo rappresenta un caso piuttosto singolare, quello di un pittore del Quattrocento senese, Sano di Pietro19, il quale usa ripetutamente uno schema iconografico, con 18 Di tale soggetto e di altri simili, Picasso realizza in questo periodo numerosi studi grafici e versioni pittoriche, in cui compare spesso l’effetto altalena. 19 Per un approfondimento di questo caso, vedi il § 6.1. intitolato Il ‘guancia a guancia’ altalenante di Sano di Pietro, contenuto nell’ultimo capitolo di questo testo. tutta probabilità a ragione della sua valenza espressiva, che produce nell’osservatore l’effetto altalena. Da un punto di vista stilistico e in generale, Sano di Pietro rimane saldamente legato alla tradizione pittorica senese trecentesca, mantenendo i tratti caratteristici dell’arte gotica, così come gli altri artisti senesi suoi contemporanei, ma tra questi mostrandosi come uno dei meno sensibili ai segni di rinnovamento provenienti a quell’epoca, in particolare, dalla vicina Firenze. Anche se molta parte della sua produzione è ritenuta dagli studiosi priva di ispirazione, monotona nei lineamenti, con tratti stilistici di minore vivacità rispetto ad artisti coevi, le limitate qualità attribuite alla pittura di Sano vanno probabilmente addossate anche al lavoro della prolifica bottega, che doveva soddisfare le sempre crescenti richieste dei committenti. A parte questi limiti, da quel che è risultato a seguito di una sistematica esplorazione in merito, Sano appare essere l’unico pittore, fra gli artisti coevi, ma anche precedenti e successivi, che nella rappresentazione della Madonna col Bambino, usuale soggetto dell’arte sacra, adotta uno schema analogo a quello, appena visto, di Picasso (Figura 31), con un’anticipazione di più di cinque secoli. Proprio nei quadri con questo soggetto e di piccolo formato, solitamente destinati alla devozione privata, Sano utilizza in più esemplari lo schema iconografico in cui è presente l’effetto. Probabilmente, in questo tipo di produzione, egli è più libero di usare modi di raffigurazione parzialmente svincolati dai canoni iconografici di quell’epoca, a cui ci si doveva con scrupolo attenere. Tale libertà gli consente di rendere più intima, più terrena l’affettuosità del rapporto madre-figlio, in questo modo presumibilmente soddisfacendo le aspirazioni dei committenti, e gli lascia così spazio per sperimentare e inventare schemi nuovi e inconsueti, fra cui anche quello inducente l’effetto altalena. Figura 31. Pablo Picasso (Malaga 1881 - Mougins 1973), Femme et enfant, 1938, Figura 32. Sano di Pietro (Siena 1406 1481), Madonna del cardellino, 1460-65, tempera su tavola, cm. 80 x 54.5, particolare, Pinacoteca Nazionale, Siena. Le Figure 32 e 109 riproducono due delle opere di Sano in cui è in tutta evidenza presente l’effetto altalena ed è agevolmente percepibile il contributo che esso fornisce, con la sua dinamicità, nel rendere l’espressione dell’intimo legame e dell’affettuoso rapporto tra madre e figlio. La Figura 33a schematizza il volto della madre e del bambino di una delle opere di Sano e, attraverso il disegno lineare, mette in risalto la condivisione di parte del contorno dei due volti, i quali mantengono però, com’è mostrato nella Figura 33b, la loro indipendente configurazione, rispettando quindi le condizioni che danno luogo all’effetto altalena: nell’immagine vi è la presenza di due, e solo due, forme, le quali sono giustapposte fra loro mediante la condivisione di una, e solo una, porzione del contorno delle forme medesime; nonostante la loro contiguità, tali forme manifestano una propria identità configurazionale e l’immagine nel suo complesso è vista come una totalità composta da due parti le quali si collocano in alternanza l’una davanti all’altra. a b Figura 33. Schemi tratti dalla Figura 32. 3.6. Natura e proprietà dell’effetto altalena Alla luce della selezione di esempi presentati, si possono formulare alcune considerazioni relative sia alla natura e alle proprietà dell’effetto sia all’ipotesi che ha sorretto la ricerca di una sua presenza nell’ambito della rappresentazione grafica e pittorica, tenendo conto dei diversi generi di produzione iconica in cui è stato rintracciato. Come ho già accennato, da un punto di vista quantitativo, l’effetto non è frequente e lo è di più in alcuni tipi di produzione e meno in altri. L’effetto ha una certa presenza nell’ambito della creazione di marchi, ma anche degli stemmi e degli emblemi in genere e lo si trova pure, ma è meno presente, nella decorazione e meno ancora nei simboli, di cui però quello del Tai-chi tu (Figura 28) costituisce un esemplare eccellente e paradigmatico. Nel mondo della produzione pittorica, salvo che nel Cubismo e nei casi particolari di Picasso e Sano di Pietro, l’effetto compare sporadicamente; a volte, è parzialmente realizzato, altre, non vi è possibilità di accertarne la non casualità e ciò per motivi vari, quali la scarsità di documentazione sulle opere o il deterioramento della superficie dipinta. Anche negli altri generi esplorati – satirico, comico e propagandistico – gli esemplari rintracciati, per quanto esistenti, sono sporadici. Questa maggior o minor frequenza, a seconda dei tipi di produzione, trova giustificazione, da un lato, nelle condizioni strutturali che generano l’effetto e nella sua caratterizzazione percettiva altamente dinamica, dall’altro, nel ruolo semantico e funzionale che il genere d’immagine in cui è presente intende svolgere. Così, la presenza dell’effetto è relativamente alta nei marchi, genericamente intesi, perché la loro configurazione è strutturalmente semplice, incentrata spesso sulla giustapposizione di sole due forme, e perché il loro ruolo funzionale, consistente nella sollecitazione dell’attenzione o dell’interesse e nella facilitazione mnemonica da parte dell’osservatore, è con l’effetto stesso favorito e soddisfatto (Figure 15a, b, c e 24). All’opposto, nell’ambito della rappresentazione pittorica, strutturalmente complessa e dove l’intenzione comunicativa è di norma quella di veicolare significati con estrema chiarezza – com’è in tutta la storia dell’arte figurativa occidentale fino agli albori del XX secolo20 – si può ritenere che l’effetto venga evitato proprio per il “disagio percettivo” che provoca e, quindi, per l’ambiguità, sia 20 Salvo in alcuni casi, come ad esempio quello di Giuseppe Arcimboldi (1527-1593), di impronta illusionistica e manierista, dove l’ambiguità è volutamente ricercata per esibire virtuosismo e per generare sorpresa, a seguito di un preciso clima culturale. semantica sia relativa alla verosimiglianza o alla veridicità della rappresentazione, a cui può dar luogo. Si distingue, come abbiamo visto, Sano di Pietro il quale in alcune Madonne col Bambino, sperimentando nuovi schemi iconografici, sembra ‘giocare’ arditamente con l’accostamento dei due volti, utilizzando gli aspetti dinamici dell’effetto a fini espressivi, pur rimanendo entro i limiti delle convenzioni stilistiche (Figure 32 e 109). Parimenti, le altalenanti mani intrecciate in segno di dolore, sia negli smalti del XIII e XIV secolo sia in alcune Addolorate di fattura popolare dell’Ottocento, per quanto indotte in tutto o in parte da vincoli tecnici, paiono essere ritenute soluzioni accettabili proprio in virtù della loro valenza espressiva evidenziata con la schematizzazione a tratto (Figure 27 e 28). Quando, invece, com’è nel caso di certe opere dei Cubisti e di Picasso, gli intenti rappresentativi riguardano lo svisceramento, la poliedricità, la vitalità degli oggetti, la resa dinamica dell’effetto altalena sembra essere volutamente applicata, a conferma dell’ipotesi che quest’ultimo sia presente dove i canoni stilistici adottati lo rendono legittimo e congruo (Figure 29; 30 e 31). Da un punto di vista cognitivo, l’effetto determinato dalle configurazioni altalena può essere ricondotto a una delle tante procedure che il pensiero visivo è in grado di compiere e la cui caratterizzazione è identificabile nella condizione di oscillazione, nello ‘spazio’ della mente, di due compresenti entità – eguali, simili o anche più o meno diverse – le quali, come succede nell’esperienza fenomenica dell’effetto, alternamente emergono l’una sull’altra e, nello stesso tempo, sono in un certo modo e per qualche motivo unite fra loro. Condizione mentale dai vari risvolti psicologici – così come vari sono nell’ambito della produzione iconica gli usi dell’effetto – la quale rientra più in generale in quella preziosa e produttiva capacità della mente di manipolare dinamicamente gli ‘oggetti’ – i concetti percettivi – che costituiscono il suo patrimonio cognitivo21. L’oscillazione nella mente di due entità compresenti sembra produrre una forma categoriale di tipo visivo, atta a immaginare e, pertanto, a comprendere vari aspetti della realtà a noi interna o esterna e concreta o astratta, la quale può svolgere diversi ruoli e assumere diversi gradi di ‘valore’ nella nostra interazione fenomenica con la realtà stessa; può acquisire, ad esempio, carattere di utilità nell’amplificare o rendere più completa la nostra esperienza e conoscenza di ciò che è insolito, strano, bizzarro, originale, attraente, curioso, ecc. (come è documentato dal caso della decorazione e dei marchi commerciali); può essere alla base dell’ideazione, dell’elaborazione e della comprensione di una complessa concezione del funzionamento dell’universo (sintetizzata nel simbolo del Tai-chi tu); oppure, ancora, indicare una via per penetrare a fondo nella sfera dei sentimenti che contraddistinguono o possono caratterizzare l’interazione fra due persone o lo stato d’animo del singolo (ad esempio, l’intenso legame madre-bimbo, la passione amorosa, la condizione di sofferenza). Tutto ciò, in termini percettivi ed espressivi, per merito di una apparentemente banale o insignificante porzione di contorno o di margine condiviso, da cui si genera una peculiare categoria del pensiero visivo e del linguaggio grafico e pittorico, che di questo genere di pensiero è il mezzo di rappresentazione. 21 Esiste documentazione della presenza di questa capacità sin dalla preistoria della nostra specie. Abbiamo, infatti, reperti grafici e pittorici risalenti al Paleolitico superiore che raffigurano in modo del tutto verosimile e preciso animali ibridi, cioè composti da parti corporee di animali realmente esistenti come, ad esempio, un orso con la testa di lupo o un animale mezzo renna e mezzo bisonte; oppure animali del tutto inventati, come il famoso “liocorno” effigiato nella Grotta di Lascaux. Vedi, a questo proposito, A. Argenton (1996). Riferimenti bibliografici Argenton, A. (1996), Arte e cognizione. Introduzione alla psicologia dell’arte, Raffaello Cortina, Milano. Arnheim, R. (1966g), Analisi percettiva di un simbolo di interazione, in Id., Verso una psicologia dell’arte, tr. it. Einaudi, Torino, 1969, 271-297. Arnheim, R. (1974), Arte e percezione visiva. Nuova versione, tr. it. Feltrinelli, Milano, 1981. Boring, E.G. (1930), A new ambiguous figure, American Journal of Psychology, 42, 444-445. Gibson, J.J. 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