Giugno 2013 - n° 75
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Giugno 2013 - n° 75
In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa all'ufficio di Varese - Via S. Luigi Gonzaga, 8 -21013 GALLARATE (VA) Spedizione: Poste Italiane SpA in abb. post. 45% art.2, comme 20/b, legge 662/96 - Autorizzazione Filiale P.T. VARESE Giugno 2013 - n° 75 Pubblicazione Trimestrale Gesuiti missionari italiani Giugno 2013 - n° 75 Pubblicazione Trimestrale Spedizione: Poste Italiane SpA - in abb. post. 45% art.2, comma 20/b, legge 662/96 Autorizzazione Filiale P.T. - VARESE PROPRIETARIO Casa di Procura dei Seminari delle Missioni Estere della Provincia Veneta della Compagnia di Gesù via Donatello, 24 - 35123 Padova in persona di P. Alessandro Mattaini S.I. - Con Approv. Eccles. TIRATURA DI QUESTO NUMERO 11.000 copie Entrato in tipografia il 13 - 05 - 2013 DIRETTORE RESPONSABILE P. Giuseppe Bellucci S.I. Via Borgo S. Spirito, 4 - Tel. 06/689771288 - 00193 Roma REDAZIONE P. Davide Magni S.I. P. Gianni Di Gennaro S.I. Grazia Salice Maurizio Debanne STAMPA Arti Grafiche Baratelli s.n.c. - via Ca’ Bianca, 32 - Busto Arsizio - VA Autoriz. del Tribunale Civile e Penale di Milano - n. 558 del 23/12/’93 Autoriz. Dir. Prov. VARESE del 6/10/1983 2 in copertina silenzio e preghiera monaco etiope Editoriale Un abbraccio tra fratelli di P. Adolfo Nicolás S.I. D omenica 17 marzo, P. Adolfo Nicolás, Preposito Generale della Compagnia di Gesù, è stato invitato a far visita a Papa Francesco. Così racconta l’evento: “Su invito personale di Papa Francesco alle 17,30 mi sono recato alla Casa Santa Marta, la residenza dove alloggiavano i cardinali presenti al Conclave. Lui era all’ingresso e mi ha ricevuto con il consueto abbraccio in uso tra i gesuiti. Su sua ri chiesta sono state scattate alcune foto e alle mie scuse per non conoscere il protocollo ha insistito che tenessi con lui l’atteggiamento che ho con ogni altro gesuita, dandogli del “tu”, così da non preoccuparmi dei titoli di Santità o Santo Padre. Gli ho offerto tutte le risorse di cui dispone la Compagnia, dato che nella sua nuova posizione avrà bisogno di consigli, idee, persone, ecc. Mi ha mostra to la sua gratitudine e all’invito a visitarci in Curia e pranzare con noi ha risposto che lo farà con piacere. C’è stata piena comunione di intenti su parecchi dei temi discussi e sono convinto che lavoreremo molto bene insieme al servizio della Chiesa in nome del Vangelo. L’incontro è stato caratterizzato da serenità, gioia e comprensione reciproca sul passato, il presente e il futuro. Ho lasciato Santa Marta con la convinzione che varrà la pena collaborare pienamente con Lui nella Vigna del Signore. Alla fine mi ha aiutato ad indossare il cappotto e mi ha accompagnato alla porta. Là ho ricevuto un paio di saluti supplementari dalle Guardie Svizzere. Di nuovo un abbraccio, un bel modo di incontrare e congedare un amico”. 3 Indice EDITORIALE Un abbraccio tra fratelli - di P. Adolfo Nicolás S.I. - Preposito Generale NOTIZIE MAGIS Linee guida della missione del MAGIS - di P. Agide Galli S.I. - Italia Avanzare con il passo dell’educazione, della cultura e della spiritualità - di P. Renato Colizzi S.I. - Italia Corso di Formazione Missiologica - di P. Davide Magni S.I. - Italia Metodi partecip-attivi per comunicare lo sviluppo - di Ilaria Pilotti e Cristina Orfanò - volontarie MAGIS - Servizio Civile Italia 12 INTERVISTE Importanza delle ONG come fonte primaria di informazioni a Marilisa Palumbo - di Maurizio Debanne - Italia 14 PROGETTI MAGIS Tutti a Scuola a Bahar Dar - di P. Umberto Libralato S.I. - Etiopia Un popolo in cammino - di P. Umberto Libralato S.I. - Etiopia Luci e ombre sul Cristianesimo in Etiopia - di Grazia Salice - Etiopia Prevenire è meglio che curare ... l’impegno del MAGIS a Endaselassie - di Maurizio Debanne - Etiopia Acqua pulita ... odor di cioccolato - Volontari Gruppo SAM Palermo - Madagascar Un pic nic fuori programma - di Carmelina Ingrao - Madagascar TESTIMONIANZE Pace per questo paese - di P. Dorino Livraghi S.I. - Repubblica Centrafricana Per amore della nostra patria - di mons. Dieudonné Nzapalainga - RCA Piccola cattedrale per un grande fabbro - di P. Franco Martellozzo S.I. - Ciad Al punto di partenza dopo il giro dell’oca - di P. Franco Martellozzo S.I. - Ciad Dalle piccole sementi di Morros e di Marabá al grande Brasile - di P. Gigi Muraro S.I. - Brasile Acqua, aria, terra e fuoco - di Grazia Salice - Amazzonia 4 3 5 7 9 16 21 24 32 34 37 40 49 53 56 58 61 INSERZIONI Il tuo lascito al MAGIS Bomboniere solidali Anche con poco puoi fare molto Celebrazioni S. Messe per i defunti 11 13 15 39 LE SEDI DEL MAGIS - Elenco e Indirizzi 63 Italia Linee guida della missione del MAGIS di P. Agide Galli S.I. Presidente MAGIS L a rapida evoluzione delle relazioni culturali e finanziarie tra i paesi al Nord e al Sud del mondo, come pure il cambiamento delle mentalità in seno alle popolazioni, hanno indotto il MAGIS a intraprendere un’evoluzione dell’espressione missionaria della Provincia d’Italia, alla ricerca di un adeguamento alle nuove realtà. Al punto attuale della sua evoluzione, il MAGIS si orienta verso una proposta di collaborazione con opere della nostre provincie africane, di preferenza nel campo della formazione dei giovani. Più particolarmente, il MAGIS intende privilegiare una collaborazione nel campo specifico di una formazione che prepari i giovani che frequentano le nostre opere (collegi, scuole professionali, centri sociali e culturali) ad entrare nella società per testimoniare più tardi nella loro vita professionale i valori del rispetto del bene comune e del servizio del loro paese, ispirandosi alla fede cristiana. In quanto espressione dello spirito missionario della provincia d’Italia, il MAGIS si prefigge lo scopo di partecipare alla promozione di attività apostoliche che rispondano alle priorità tradizionali della Compagnia, attraverso la realizzazione di progetti che si ispirino alle caratteristiche della spiritualità ignaziana. Noi pensiamo che lo spirito missionario si dovrebbe esprimere oggi per mezzo di una collaborazione piuttosto che attraverso un’assistenza a senso unico. Davanti alla costatazione della carenza nelle nostre società, in Africa come pure in Europa, di uomini e di donne che nell’esercizio delle responsabilità pubbliche e professionali si ispirino alla fede cristiana, il MAGIS si propone di orientare il sostegno finanziario che sarà necessario, verso la realizzazione di programmi specifici di formazione alla leadership ispirati alla spiritualità ignaziana. Si tratterebbe di proporre a dei giovani, su loro libera adesione, di accettare di impegnarsi a intraprendere un programma di formazione non di carattere accademico ma che proporrebbe una formazione teorica di buon livello in parallelo con un accompagnamento spirituale (individuale e di gruppo) come pure delle esperienze apostoliche, per suscitare in loro una sensibilità alle ingiustizie presenti nella società. Questi percorsi di formazione avrebbero una durate di due o tre anni e potrebbero far sorgere delle vocazioni religiose (perché no?), ma soprattutto delle vocazioni al bene comune e al servizio della società. Un’esperienza di questo tipo è stata fatta a Lomé quando è stata avviata l’attività del Centre Culturel Loyola sotto la guida di Jean-Luc Enyegué ed è continuata con coloro che a lui si sono avvicendati. In dieci anni, i risultati sono stati buoni: sette giovani sono entrati in Compagnia (il primo è 5 Jean Paul Savi S.I. e Guy Savi S.I. con la madre e il fratello maggiore, il giorno della loro ordinazione diaconale al Teologato ITCJ di Abidjan – Costa d’Avorio 6 stato Nicolas ECLU, ucciso a Kimwenza) mentre altri hanno intrapreso gli studi universitari dopo un discernimento sulla testimonianza cristiana alla quale più tardi saranno chiamati nella loro vita professionale. Attività importante del percorso sono stati i campi estivi rivolti alla formazione culturale, a un’esperienza di vita comunitaria e ad una dimensione ludica. È una pista di ricerca che potrebbe favorire, nelle nostre comunità cristiane, la nascita di una tradizione, una cultura della solidarietà e una disponibilità ad assumere delle responsabilità nella gestione della cosa pubblica. Questi programmi dovrebbero tener conto di un’esigenza propria alla pedagogia ignaziana: l’alternanza tra l’insegnamento e l’azione sociale e apostolica, con lo scopo di formare i giovani alla responsabilità civile. S. Ignazio ha voluto dei collegi che fossero capaci di formare giovani che potessero e volessero partecipare con intelligenza e efficacia al bene della società, giovani capaci di fare della loro azione e del loro impegno una decisione nel senso del “magis”, di un migliore servizio di Dio, dei fratelli e delle sorelle; dei servitori che sappiano amare non a parole ma con dei fatti. Nello stesso tempo, un tale orientamento, potrebbe contribuire a mettere meglio in evidenza lo scopo ultimo delle istituzioni di formazione della Compagnia. L’eccellenza accademica è certo un aspetto di primaria importanza nelle nostre istituzioni, ma essa deve essere in funzione di altri aspetti della formazione integrale da impartire ai giovani, perché diventino, come ce lo ha insegnato P. Arrupe, uomini e donne capaci di “servire” secondo l’insegnamento del Vangelo o, secondo un’altra sua espressione, “uomini e donne per gli altri”. Questo modo di collaborare con le nostre istituzioni di formazione in Africa potrebbe porre le condizioni favorevoli a degli incontri tra giovani africani e italiani, interessati alle stesse problematiche. Sarebbe compito del MAGIS proporre questo tipo di incontri interculturali, offrendo l’opportunità di un approfondimento della dottrina sociale della Chiesa e creando nello stesso tempo dei legami interpersonali che favoriscano il superamento dei pregiudizi reciproci esistenti. Italia Avanzare con il passo della cultura, dell’educazione e della spiritualità di P. Renato Colizzi S.I. L ’ Africa che ho visto in questo viaggio di 13 giorni in quattro paesi è un continente diverso da quello che avevo lasciato cinque anni fa. All’epoca, quando finivo il mio periodo di formazione in Ciad (P. Renato ha vissuto i due anni del suo magistero come medico all’ospedale del Buon Samaritano fondato da P. Angelo Gherardi S.I., ndr.) si parlava già del petrolio e si potevano anche vedere i primi timidi cambiamenti che questo avrebbe innescato nell’economia africana. Questa volta, però, entrando in Togo per la strada che attraversa il confine con il Benin e che porta fino al Ghana, mi sono reso conto del passo accelerato con cui l’Africa si sta muovendo. Certo, come un’onda che trascina via dalla riva ogni sorta di oggetto che riposa sulla spiaggia, è un movimento caotico che porta con sé persone, famiglie, quartieri: tutto si sposta al ritmo di un commercio vivo, ma ingiusto e disordinato. La città, ci diceva padre Bernard, sta aumentando ogni anno di nuove abitazioni, mentre si aprono cantieri a basso costo per allargare strade o per scavare fondazioni per nuovi ponti, al ritmo di operai cinesi e africani che parlano lingue diverse, ma che si intendono sulla enormità del lavoro che questo continente, strabordante di ricchezze minerarie, dona loro. L’Africa che ho visto assomiglia ad un cantiere rumoroso e polveroso che continua ostinato il suo lavoro di trasformazione della terra rossa, nonostante il caldo, le malattie, le povertà e la corruzione; tutte que- 7 Yaoundé-Campus di nkolbisson: P. Renato in compagnia di Zozo Nkoulou Nkoulou, Professore del Master in gestione delle risorse umane dell'Università Cattolica dell'Africa Centrale in Camerun con alcuni studenti ste cose prese e mescolate insieme diventano il nuovo amalgama di un cemento che vuole seppellire la brousse e lasciarsi alle spalle, come un ricordo scomodo e imbarazzante, l’Africa rurale, quella che cammina a piedi per chilometri e che non conosce l’asfalto liscio su cui ora il nostro taxi con aria condizionata sta correndo, mentre approdiamo al grand marchè della capitale. Eppure l’Africa rurale, quella del villaggio e della brousse, è iscritta nel DNA di questo continente, ed è lì che l’africano ritrova le sue origini anche se non per forza il suo avvenire. Questa Africa è quella che ho potuto vedere per le 22 ore di bus (questa volta senza aria condizionata) che dall’oceano ti portano a Ouagadougou, la capitale di un paese piantato al centro dell’Africa Occidentale e molto più povero e arido di quelli della costa. È nata in me l’idea chiara che su questo contrasto fra brousse e asfalto, su questa tensione fra radici e futuro, fra terra dei padri e immigrazione selvaggia si giocherà la felicità di questo continente. Sulla strada tesa fra passato e presente i gesuiti in Africa vogliono avanzare con il passo dell’educazione, della cultura e della spiritualità. La convinzione sta in questo: che l’uomo ha energie interiori che possono fermare quel gigantesco processo per cui l’uomo finisce per essere l’appendice di una betoniera cinese o la formica che affoga nel mare nero del petrolio che cola a fiumi dalla Nigeria. 8 Sono tornato in Italia e ora ho voglia di lavorare, di parlare, di insistere e di convincere: se le nostre mani restano forti, gli occhi aperti e i nostri cuori attenti si può fare molto. Non prende sonno il custode d’Israele. Italia Corso di Formazione Missiologica di P. Davide Magni S.I. L o scorso 11 maggio, grazie all’ospitalità della Fondazione San Fedele, ha preso il via a Milano l’annunciato Corso di Formazione Missiologica, rivolto a giovani – adulti residenti in Lombardia e orientati a prestare un servizio di volontariato. In questo primo incontro, abbiamo presentato l’attività del MAGIS Italia, soffermandoci in particolare sulle iniziative che più coinvolgono i giovani. Tra queste, la più significativa è sicuramente la briosa e creativa realtà della Compagnia del Perù. Accanto a questa sezione “narrativa”, c’è stato anche un tempo più specificamente accademico, proposto dall’intervento di chi scrive. L’argomento sul quale ci siamo intrattenuti è la teologia della missione. Sebbene sia ben noto, non è superfluo ribadire che la teologia e la teologia della missione in particolare, non sono argomenti puramente teorici: essi, infatti, riguardano la pratica concreta della via della Chiesa. «Missione» infatti, è la parola che indica quello che da sempre la Chiesa fa: annunciare la Buona Notizia, ovvero il Vangelo. La riflessione missiologica, allora, è lo studio che il cristiano compie per fare incontrare il Vangelo con le culture e le religioni, perché la fede può essere vissuta solo donandola. 9 Nella tradizione della Compagnia di Gesù il servizio della fede e la promozione della giustizia costituiscono una sola e indivisibile missione: essi non possono essere separati, ma devono essere il fattore integrante di tutte le nostre attività. Tuttavia, la fede che promuove la giustizia è, inseparabilmente, la fede che impegna al dialogo con le altre tradizioni e la fede che evangelizza le culture. Così, l’azione missionaria si articola in tre dimensioni: la promozione della giustizia, l’inculturazione del Vangelo e il dialogo interreligioso. Questa azione può essere altrimenti detta nei termini di Diakonìa (Servizio), Koinonìa (Comunione) e Martyrìa (Testimonianza). È su queste tre dimensioni che si articola questo Corso di formazione che offriamo. Diakonìa Il nostro impegno per la giustizia s ociale e per lo sviluppo umano deve concentrarsi sulla trasformazione dei valori culturali che sorreggono un ordine sociale ingiusto e oppressivo. Avere l’audacia di elaborare cammini di giustizia al servizio dell’uomo è il compito del credente. Ovunque, anche in Italia, basta aprire gli occhi e guardare. Koinonìa La Chiesa deve essere luogo e strumento di riconciliazione fra i popoli. Ciò deve partire dalle loro culture e valori, spesso basati su una ricca e fruttuosa tradizione. È indispensabile una nuova e costante inculturazione della fede, affinché il messaggio del Vangelo giunga all’uomo contemporaneo con le sue variegate forme odierne di cultura. La globalizzazione reale rende il mondo una sola famiglia; le categorie di missione, terzo mondo, oriente e occidente sono ormai inadeguate ad esprimere la situazione attuale. Martyrìa È necessario che entriamo in relazione positiva con i credenti di altre religioni, perché essi sono i nostri prossimi. Il dialogo interreligioso non è una possibilità, ma un’inesorabile via dell’annuncio evangelico. Evangelizzare, allora può essere detto attraverso i due verbi della Vocazione: lasciare la propria terra per entrare laddove Dio invia. Entrare, nel senso di instradarsi (eís-odos dice la Bibbia): essere compagni di cammino che condividono la vita delle persone, alle quali si testimonia il Vangelo. Ma, per poter davvero entrare nella vita e nella cultura altrui, occorre estradarsi (ex-odos) dal proprio mondo. È quello che ogni missionario fa, seppur secondo tanti stili e modalità diverse. 10 Tra i tanti esempi possibili, data anche l’esperienza personale di chi scrive, la proposta è stata quella della evangelizzazione in Cina. La figura di Matteo Ricci (1552-1610) invita a riflettere sullo stile missionario ovvero sulla modalità dell’annuncio del Vangelo. Primo fra tutti, egli interpretò con intelligenza e umiltà la via dell’inculturazione. Imparò ed insegnò a riconoscere le potenzialità intrinseche ad ogni civiltà umana e così valorizzare ogni el emento di bene che vi si trova, senza perdere nulla ma, al contrario, portare tutto a compimento. Tale atteggiamento fu subito apprezzato dai cinesi stessi con i quali il missionario gesuita entrò in profondissima comunione, al punto da divenire l’occidentale degno di venerazione e rispetto sempre elevatissimo. Egli non fu preoccupato principalmente di predicare, ma di incarnare il Vangelo, entrando in relazione con il popolo cinese, perché, da questa relazione amicale, potesse germogliare il seme dell’annuncio. La consapevolezza di avere degli interlocutori riconosciuti nella loro specifica dignità rimuove l’arroganza che considera l’altro un sotto sviluppato da far evolvere e «civilizzare». Studiare, conoscere, amare la cultura altrui, per valorizzarla e salvaguardarla è un indispensabile impegno quotidiano. Ebbene, come abbiamo già scritto sul numero di dicembre, oggi, a Macau, dove Matteo Ricci arrivò nel 1582, la sua opera prosegue: proprio nelle tre articolazioni sopra illustrate. La medesima comunità dei gesuiti, infatti, è impegnata in due istituzioni che portano lo stesso nome del missionario italiano. Si tratta del prestigioso Macau Ricci Institute: un’istituzione nata con l'intento di sviluppare una più ampia comprensione del dialogo fra l'Oriente ed l'Occidente attraverso lo studio e la divulgazione scientifica dei testi della cultura cinese. Ma, accanto, ha Casa Ricci Social Service, un’organizzazione di servizi sociali dei gesuiti: fondata dal compianto Padre Luis Ruiz Suarez nel 1951 - morto nel 2011 all’età di 97 anni - che ha dedicato l’intera sua vita ai poveri in Macao e nella Cina continentale. Proprio in questa figura di apostolo umile e tenace crediamo di trovare un esempio entusiasmante per tutti: giovani e non. IL TUO LASCITO AL MAGIS PER CONTINUARE L’AZIONE DEI GESUITI MISSIONARI Per maggiori informazioni: Tel. 06.697.00.327 Email: [email protected] 11 Italia Metodi partecip-attivi per comunicare lo sviluppo Ilaria Pitotti e Cristina Orfanò - volontarie MAGIS - Servizio Civile Italia N 12 el corso dell’anno scolastico 2012/2013 il MAGIS ha collaborato con l’Istituto Massimiliano Massimo di Roma ad un percorso didattico di Educazione allo Sviluppo. Obiettivo del progetto “Metodi partecip-attivi per comunicare lo sviluppo” è stato quello di promuovere una coscienza critica nei ragazzi su tematiche di attualità, affrontando temi che riguardano i rapporti socio-economici tra Nord e Sud del mondo, il concetto di sviluppo e sottosviluppo, le azioni dell’ONU per lo sviluppo, la globalizzazione e le multinazionali, lo sviluppo sostenibile, il consumo critico e il commercio equo e solidale. Per lo svolgimento del percorso, che ha coinvolto tre classi del biennio, sono state scelte tecniche didattiche innovative ed interattive per rendere i ragazzi protagonisti del processo di apprendimento. Attraverso attività di dinamica di gruppo, è stato possibile provocare la loro creatività, curiosità, sostenendoli nell’elaborare riflessioni critiche e autonome sulla realtà che li circonda. La nostra “sfida” iniziale di renderli partecipi e consapevoli del loro posto/responsabilità nel mondo e dell’importanza delle proprie azioni si è concretizzata. In particolare, grazie ad un gioco educativo sul tema del commercio equo e solidale, abbiamo riscontrato lo stupore per la scoperta di un sistema socio-economico a loro in parte sconosciuto e, di conseguenza, il loro entusiasmo a partecipare attivamente per modificare le situazioni di ingiustizia. Le reazioni positive dei ragazzi hanno confermato il valore e l’importanza del nostro lavoro; una consapevolezza che ci ha permesso di migliorare, dandoci la giusta grinta per continuare nella direzione intrapresa, sicure che le nostre azioni possano avere seguito grazie alla sensibilità delle nuove generazioni. BOMBO BOMBONIERE ONIERE SOLIDALI SOLIDA ALI Il tuo momento di festa sosterrà osterrà i progetti del MAGIS I giorni giorni ppiù iù belli belli della della tua tua vita vita possono possono essere essere date date importanti importanti anche anche per per chi chi nel nel m ondo ccombatte ombatte oogni gni ggiorno iorno pper er vvivere. ivere. Scegli Scegli le le bomboniere bomboniere del del MAGIS MAGIS per per mondo ffesteggiare esteggiare ilil tuo tuo matrimonio, matrimonio, la la comunione, comunione, cresima, cresima, laurea, laurea, battesimo battesimo di di tuo tuo figlio. figlio. BOMBONIERA Il sacchetto porta-confetti, cui è allegato esternamente il bigliett bigliettino ino con il logo del MAGIS, MAGIS è realizzato in M ORO decorata decorata con fiori Madagascar con carta ANTAIMORO essiccati. 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La valigia sotto la sua scrivania nella redazione esteri del Corriere della Sera è pronta, nonostante il giornalismo di esteri subisca maggiormente il progressivo ridursi delle risorse a disposizione delle redazioni. Classe 1979, “Obamologa” per passione, Palumbo ha scritto, con Guido Moltedo, il primo libro italiano su Barack Obama. Non è, però, di Stati Uniti che vogliamo parlare con lei, bensì dell’importanza che stanno assumendo come fonte primaria le ONG. «Soprattutto in contesti e regioni del mondo dove la presenza dei giornalisti (occidentali), già “leggera”, è ormai quasi inesistente». Oggi il caso più lampante è la Siria. Da quando la rivolta contro Assad si è trasformata in una vera e propria guerra civile, è diventato quasi impossibile per i giornalisti entrare in Siria. Qualcuno l'ha fatto coi visti del regime, condizione altamente limitante della libertà di muoversi e raccontare. Altri, pochi, sono riusciti a entrare dalla Turchia assieme ai ribelli, ma sempre per periodi di tempo relativamente limitati. E allora da dove vengono i numeri dei morti e dei feriti, i racconti di quello che accade nelle città? Molti, moltissimi articoli e lanci di agenzia citano l'Osservatorio siriano per i diritti umani. La più importante, o quantomeno più visibile, organizzazione per i diritti umani siriana che sta a Coventry, nella casa di Rami Abdulrahman, a pochi minuti dal suo negozio di vestiti. Rami, un attivista che è stato in prigione tre volte prima di scappare in Inghilterra 12 anni fa, si è costruito un network di contatti che conta centinaia di persone sul terreno e resiste, con fatica ma con determinazione, ai tentativi di diffondere disinformazione da parte degli agenti del regime o di gruppi d'opposizione rivali. Un lavoro titanico, un lavoro da giornalisti, a cui i giornalisti di tutto il mondo in questi mesi hanno abbondantemente attinto. 14 Un tempo erano le ONG a chiedere informazioni ai giornalisti. Non è più così. Vale oggi per la Siria, quanto tre anni fa per Haiti. Quando il terremoto del 12 gennaio 2010 distrusse gran parte dell'isola, c'era solo un corrispondente straniero sul posto, ma moltissimi operatori umanitari. I disastri naturali conquistano l’attenzione dei media, ma le ultime elezioni in Kenya poco o niente. Perché? Vogliamo parlare allora della Somalia o del Darfur? Quanto ne abbiamo sentito parlare negli ultimi anni? La tendenza dei media, in particolar modo italiani (per ragioni anche storiche: la mancanza di un lungo passato coloniale) a trascurare molte zone del mondo, Africa in testa, è stato aggravato dalla crisi dell'editoria che ha investito i media negli ultimi 10-15 anni. Le ONG sanno dunque di avere una potenza di fuoco sul terreno che i media, a corto di fondi, possono solo sognare, e naturalmente tentano di usare al meglio questa condizione per avanzare la loro agenda. A volte però sono le stesse ONG a piegarsi ai criteri di notiziabilità per le storie dal Suddel mondo. Puoi fare un esempio? Niente attrae l'attenzione dei media come una foto drammatica, un numero per la conta dei morti o la notizia glamour come il personaggio famoso di turno in visita a un campo profughi. Detto questo, nell'Africa dimenticata dai media, centinaia di milioni di persone hanno comprato un telefonino negli ultimi dieci anni, centinaia di milioni di persone sono pronte a inviare la loro testimonianza. Ai mezzi di informazione, ma anche alle ONG. Un altro aspetto del cambiamento è che quella che era una delle funzioni fondamentali delle Ong: fornire delle foto o dei "cas e studies" ai media, può essere oggi assolta direttamente dai protagonisti. di Maurizio Debanne Il nostro lavoro ci dà la possibilità di rispondere agli appelli di tante comunità, di intervenire nelle emergenze per portare aiuti, ma è la generosità dei nostri donatori che ci dà lo stimolo ad andare avanti e cercare di fare sempre di più e meglio. Anche con poco, puoi fare molto… Con 17 euro al mese adotti a distanza un/a bambino/a Con 50 euro partecipi alla costruzione di un pozzo Con 100 sostieni l’acquisto di una cucina solare Con 150 euro contribuisci alla formazione di giovani in Africa 15 Progetti Etiopia Tutti a scuola a Bahar Dar L 16 a superficie (1.127.127 km²) dell’Etiopia occupa gran parte delle alteterre comprese tra l'Eritrea e la depressione nilotica, con una popolazione di 77.127.000 ab. (stima 2007): ortodossi 50,3%, musulmani 32,9%, altri cristiani 10,8%, animisti/credenze tradizionali 4,8%, altri 1,2%. L’indice di sviluppo umano è 0,406 (169° posto). Addis Abeba è la capitale dello Stato che confina con l’Eritrea (N), Gibuti (NE), Somalia (E/SE), Kenya (S), Sudan (O). L'attuale territorio dell'Etiopia corrisponde sostanzialmente a quello dei regni, formatisi fin dai primi secoli d. C. e mantenutisi indipendenti, anche a prezzo di qualche concessione territoriale, un caso quasi unico in Africa, dove gli Stati attuali sono per lo più sorti in seguito all'espansionismo arabo e ad artificiali suddivisioni colonia li. L'Etiopia è, infatti, l'unico Paese africano riuscito a resistere alla colonizzazione ed ha svolto un ruolo di rilievo nella regione, sviluppando una tradizione politica e culturale propria. È riuscita a conservare la propria identità grazie a due fattori: il cristianesimo monofisita, fattore legante le varie genti abitanti l'altopiano, e le condizioni naturali del territorio, simile a un unico grande bastione difensivo. È una Repubblica democratica dal 1975. In base alla Costituzione del 1994 il Paese è una Repubblica democratica federale, Stato membro dell’ONU e dell’UA, associato all’UE. Ethiopia L'istruzione in Etiopia è gratuita, in tutti i suoi cicli e obbligatoria dai 7 ai 13 anni di età. L'educazione secondaria inizia a 13 anni e dura per un periodo di 6, diviso in un primo ciclo di 2 anni, con funzione propedeutica, e in un secondo di 4, che può avere indirizzo classico, commerciale, tecnico o agricolo. International boundar International boundaryy National capital Railroad Road Tr rack Track 0 0 150 Kilometers 50 100 150 50 100 150 Miles Nel 2005 la percentuale di analfabeti era molto alta (54,8%). Gli studi superiori vengono svolti nell'Università di Addis Abeba, in quella di Diredaua e in altri istituti privati. Il panorama economico del Paese risulta precario in seguito alla prolungata situazione di conflittualità con Eritrea e Somalia. I problemi fondamentali del Paese sono la carenza di adeguate vie di comunicazione, una forte disparità economica fra i 9 Stati in cui il Paese è diviso, le difficili condizioni delle popolazioni rurali, le cicliche gravi carestie e l'AIDS. Le frequenti ondate di siccità rendono difficili i progressi nel settore agricolo, troppo soggetto alla fluttuazione dei prezzi di una monocultura: il caffè. Grazie ai vasti e cospicui aiuti internazionali, il Paese ha provato a investire nelle infrastrutture, nella sanità, nell'istruzione e nel comparto energetico: le possibilità oggettive del Paese sono notevoli, disponendo di condizioni naturali favorevoli, con ambienti diversi, che permettono forme varie di sfruttamento del suolo. L'economia dell'Etiopia è basata sull'agricoltura che occupa circa un 80% della popolazione attiva e contribuisce per il 43% alla produzione del PIL (2006). Bahar Dar, città dell'Etiopia nordorientale, è posta sulla sponda meridionale del Lago Tana, sorgente del Nilo Azzurro, a circa 318 km da Addis Abeba. Bahar Dar si è formata attorno ad una missione gesuita fondata all’inizio del XVII secolo, data dell'edificio costruito da P. Pedro Páez S.I. 17 GLI ATTORI DEL PROGETTO La Diocesi Cattolica di Bahar Dar nella persona del Vescovo, Lesane Christos Matheos. La Provincia dei Gesuiti dell’Africa Orientale nella persona del Padre Prov. Orobator Emmanuel La Comunità dei Gesuiti di Addis Abeba nella persona del Superiore locale P. Groum Tesfaye e di P. Atekelt Tesfay, Gesuita etiope, attuale incaricato locale del progetto. Fondazione MAGIS, nella persona di P. Umberto Libralato, incaricato e coordinatore del progetto, e della signora Carla Grossoni, responsabile della Fondazione MAGIS per i progetti di cooperazione Una Fondazione privata danese che si è assunta l’onere della costruzione di parte degli edifici scolastici 18 LA GENESI Il governo etiope, cosciente dell’urgenza educativa dei propri cittadini e cosciente della fragilità e impossibilità di offrire a tutti i giovani l’accesso all’insegnamento, ha offerto alla Chiesa cattolica, nella persona del Vescovo, un terreno di circa cinque ettari, con il vincolo di costruire un complesso scolastico per la scuola materna, la scuola elementare (primo e secondo ciclo), la scuola media, la scuola superiore. Il Vescovo ha accettato e ha avviato i primi contatti con i Gesuiti, nella convinzione che, a suo avviso, solo la Compagnia fosse in grado di assumere la direzione e la conduzione della scuola. Dopo due anni di incontri, confronti, scambi di pareri, e quanto è stato possibile valutare, la situazione di fatto, alla data del 21 febbraio 2013, può essere così riassunta. La Fondazione privata danese ha terminato la costruzione della scuola materna e l’ha consegnata provvisoriamente alla Diocesi, che ha provveduto, nel frattempo, alla regolare apertura con l’aiuto di una équipe di insegnanti del gruppo Montessori. La medesima Fondazione, assicurata dal vescovo che i Gesuiti avrebbero partecipato alla costruzione e si sarebbero fatti carico della gestione, ha iniziato la costruzione del terzo plesso scolastico. I lavori di costruzione sono stati interrotti in attesa di un segno concreto di partecipazione ai lavori. La diocesi ha deciso di propria iniziativa di iniziare i lavori del secondo plesso, affidato ai Gesuiti, e ha incaricato una ditta del posto a iniziare lo scavo e le fondamenta. Il gesto di buona volontà, accompagnato dalla visita di p. Umberto, ha incoraggiato la ripresa dei lavori del terzo plesso e, allo stato attuale, tale costruzione già al tetto, si avvia ad una rapida conclusione. P. Emmanuel Orobator, con la sua consulta, ha deciso di assumere la nuova opera di Bahar Dar come impegno della Provincia, destinando alcuni gesuiti (saranno almeno tre), quando la costruzione sarà completata. Attualmente P. Tesfay Atekelt sta curando l’avvio dell’opera. Ufficialmente fa parte della comunità di Addis Abeba, ma sta vivendo a Bahar Dar e prendendo contatto con i problemi della nuova opera. È compito del Padre Provinciale predisporre la casa della comunità che accoglierà i Gesuiti e i loro diretti collaboratori, ed erigere canonicamente una nuova comunità locale. Il Vescovo, nel frattempo, in attesa che la Compagnia costruisca la casa della comunità, necessariamente vicino alla scuola, ha affittato una casa di lavori in corso... verificati dal Vescovo, Mons. Lesane Christos Matheos, e da p. Umberto Libralato S.I. 19 l’edificio sullo sfondo è la scuola che ospiterà questi bambini al centro, in piedi, P. Groum Tesfaye S.I. proprietà dei Padri Lazzaristi. La casa, che ho personalmente visitato, sarà adibita a ufficio per la Curia e al piano superiore ci saranno tre stanze, con relativi servizi, destinati ai padri gesuiti e inoltre ci sarà l’abitazione temporanea anche del Vescovo. L’edificio ha necessità di essere un po’ rimodernato, ma, nel complesso, è stato da tutti giudicato idoneo allo scopo e dignitoso per tutti. Nella mia visita - scrive P. Libralato - ho potuto verificare di persona e constatare la grande attesa da parte di tutti di veder proseguire e completare l’opera intrapresa. Il progetto esecutivo della costruzione è sostanzialmente pronto. È stato ideato dall’Arch. Salvatore Baldi, che vive periodicamente ad Addis Abeba, a suo tempo incaricato dal Vescovo a predisporre il progetto. Ho personalmente preso contatto con due imprese locali che hanno già lavorato per progetti finanziati da altre organizzazioni straniere e ho visitato le opere finite per rendermi conto dello stile del lavoro e del risultato. L’impressione è stata positiva per entrambi, ma alla fine mi sono orientato in particolare ad una, rappresentata dal sig. Giovanni Giordano, un italoetiope, nato e cresciuto ad Addis Abeba, da me incaricato di predisporre, a stretto contatto con l’Architetto, il disegno esecutivo definitivo, perché insieme abbiamo constatato alcune inesattezze e irregolarità per la sicurezza degli alunni, nel rispetto della legge locale. Al termine di tutte queste verifiche la ditta Giordano presenterà un preventivo delle opere da realizzare. In base al preventivo sarà stilato un regolare contratto che prev ede tempi e modi di realizzazione dell’edificio scolastico. Faccio presente che il piano finanziario, a tutt’oggi, è ricco di promesse e di attese. Vivo nell’impegno quotidiano di contatto e sensibilizzazione di amici e benefattori che con noi condividono l’ansia di veder realizzato questo nuovo progetto. Chiedo sostegno e condivisione degli impegni. 20 di P. Umberto Libralato S.I. Un popolo in cammino di P. Umberto Libralato S.I. D opo tre viaggi in Etiopia e dopo aver percorso seimila chilometri con un fuoristrada verso i quattro punti cardinali del paese, credo di poter davvero dire di aver visto un popolo in cammino. Ho visto, all’alba di ogni giorno, migliaia e migliaia di studenti che si muovevano, quasi a passo di danza, verso i centri abitati per raggiungere gli edifici scolastici: una marea sconfinata di divise multicolori, per tutte le età, affrettarsi verso la festa del conoscere e la gioia dell’apprendere. Queste immagini ti accompagnano alle prime luci dell’alba, a mezzogiorno, al cadere della giornata… Poi, credi di lasciare i centri abitati, di poterti inerpicare nel deserto su nell’altopiano, ma ai bordi delle strade ti fa scorta una processione di giovani, di adulti, di vecchi che camminano a passo lesto e vanno, vanno: non capisci dove, ma leggi nel loro andare un obiettivo e incroci cantieri di tutti i tipi dove attorno pullula un alveare di persone che lavorano: la popolazione è numerosa, mancano abitazioni, manca l’energia elettrica, manca l’acqua per le case e per i terreni da coltivare. E fino a quando il sole regala la sua luce percepisci che un’energia misteriosa mette in movimento tutte quest e persone. Arriva il buio e rallenta i ritmi, raduna le famiglie, i villaggi, le città… la vita si fa comunità che racconta il proprio giorno e poi scompare nel buio della notte per un silenzio di mistero, per dare vita ad un buio che ti permette di scoprire l’infinità delle stelle e del mistero che ci circonda. 21 all’ombra del grande albero l’edificio già ultimato della scuola dell’infanzia 22 In questo mondo all’inizio del milleseicento sono arrivati per la prima volta anche i gesuiti: i religiosi delle “Missioni impossibili”. Convinti di trovare degli infedeli da convertire o degli eretici destinati alla perdizione, ma forse anche piuttosto ignari di quanto il cristianesimo etiope fosse radicato nel cuore del popolo e nel Vangelo e quanto il resto del mondo cristiano li avesse lasciati lon tani da casa, hanno visto in breve tempo distrutta la loro missione. Lì a Bahar Dar, sulle sponde del lago Tana, la presenza dei gesuiti si è conclusa anche tragicamente, lasciando qualche segno e niente di più. Per secoli il vuoto e il dramma sono rimasti nella memoria del tempo che ha segnato il cammino di questa regione con le fatiche della sopravvivenza e i drammi politici e sociali che non hanno impedito la salvezza di millenari valori di fede e di vita semplice e coraggiosa. Arrivando in Etiopia, qualcuno si meraviglia e crede di trovarsi in un mondo chiuso, diffidente verso tutto quello che viene da fuori… Dimentichiamo facilmente di aver fatto violenza ad un mondo che non ci apparteneva, che non era nostro! In Etiopia, oggi, tutto ciò che è straniero è guardato con sospetto e diffidenza. Lo stato etiope è sospettoso nei confronti della religione che viene da fuori. Per quanto si può riferire alla religione cattolica attualmente sono tre le entità riconosciute dal governo. Le suore di Madre Teresa di Calcutta che hanno diritto di cittadinanza perché lavorano per e con i più poveri. La Società di don Bosco, perché lavora per i giovani e li educa alla vita nel senso più ampio del termine. La Chiesa cattolica che fa da ombrello a tutte le altre istituzioni religiose sia maschili che femminili, perché lavora per il popolo senza farsi propaganda. Sotto questo ombrello ci siamo anche noi, Compagnia di Gesù: ci sono i pochi Gesuiti etiopi presenti nella comunità di Addis Abeba che insegnano nelle varie università e si occupano di gruppi di professionisti (CVX), presenti a Debre Zeit, in una casa di esercizi spirituali e ... saranno presenti nella prima sede storica di Bahar Dar. Il governo etiope ha dato al vescovo copto cattolico, Christos Matheos Lesane, un terreno su cui erigere una scuola per i giovani in difficoltà: potremo chiamare questa scuola “collegio”. Il vescovo ha chiesto ai Gesuiti di prendere in mano la costruzione e la gestione di questa scuola. Per il Padre Provinciale dell’Africa orientale non è stato facile accettare la sfida. Il Governo etiope si fida della chiesa cattolica. Il vescovo si fida dei Gesuiti e del loro impegno e capacità educative… Il Padre Provinciale si è fidato della Provvidenza… La Fondazione MAGIS ha un po’ tergiversato, poi ha affidato a p. Libralato l’incarico di seguire il progetto nella fase di realizzazione della costruzione e della formazione dell’équipe di gestione educativa. Le strade da percorrere sono sempre piene di imprevisti e sorprese: mentre i soggetti della chiesa cattolica discutono, una fondazione protestante, accettando l’invito di un cristiano italo-etiope, ha costruito l’edificio della scuola materna e sta portando avanti il secondo edificio per la scuola primaria: proprio così! MAGIS, sta prendendo il largo… nella fiducia di tutti i sostenitori e chiedendo materialmente l’elemosina a tutti. Le grandi imprese hanno bisogno del sost egno morale e materiale di tutti. Grazie a tutti 23 Luci e ombre sul cristianesimo in Etiopia di Grazia Salice L ’ appassionante storia di un popolo da raccontare a chi ancora non la conosce, a chi l’ha dimenticata o, magari intrigato dal racconto, la vorrà approfondire. Una storia nella cui trama, come in tutte le storie, s’intrecciano fili di grandezza e di umani errori, ma nella quale Dio è il Signore. Origini del cristianesimo in Etiopia L'Etiopia rappresenta l'unico caso di cristianesimo "africano" autoctono, e, secondo la tradizione, di diretta derivazione apostolica: attorno al 35 d.C. l’eunuco, ministro della regina d’Etiopia, evangelizzato da Filippo (At. 8,2739), portò nel regno di Cush il seme del Vangelo. Ancora più suggestiva è la versione secondo cui uno dei tre magi fosse proprio un etiope che, ritornato in patria, avrebbe evangelizzato la sua gente, pronta a ricevere questo annuncio, perché la regina di Saba, che secondo la storiografia locale era la principessa del regno adulitico, da Axum andò a Gerusalemme per incontrare re Salomone, si convertì alla sua fede e da allora non volle più pregare il sole ma il suo creatore, il Dio di Israele. Della visita a Gerusalemme, avvenuta tra il 1000 ed il 950 a.C., vi è menzione nel Talmud ebraico, nella Bibbia, nel Corano e nel Kebra Nagast, Gloria dei re, il libro fondamentale per la storia dell'impero degli altopiani, elaborato in Etiopia nel XIV secolo. 24 Dati storici I primi evangelizzatori, storicamente documentati, Frumenzio e il fratello Edesio, diffusero nel IV secolo il cristianesimo nel Regno di Axum. Lo storico latino Rufino (morto nel 410) attesta che Frumenzio vi predicò il vangelo per 20 anni, convertendo «un numero infinito» di axumiti, si recò ad Alessandria dal patriarca, il grande Atanasio, gli parlò di questa comunità, sollecitando l’invio di qualcuno che se ne prendesse cura. E Atanasio, ascoltato il giovane, disse: “Mando te” e lo ordinò vescovo, avendolo giu- icona rappresentante i re di Axum Abrahà (Ezana) e Atsbhà (Sezana) con Abba Salama e santi dicato all’altezza. Frumenzio accettò, ritornò ed fu il primo vescovo di Axum. Una conversione dall’alto verso il basso Nella seconda metà del IV sec. il re di questo regno, Ezana, si convertì al cristianesimo e, con lui, sua madre, battezzata col nome di Sofia, la famiglia reale e la sua corte. Grandemente stimato dal popolo axumita, Frumenzio passò alla storia col nome di Abba Salama, (padre pace), e con l'appellativo di Chesatiè Brhan (rivelatore della luce). I due fratelli Ezana e Sezana diventarono nella tradizione etiopica l'alba e la luce dell'Etiopia cristiana. Nelle zone di Axum e Adulis - uno dei più grandi porti dell’antichità - scavi archeologici hanno portato alla luce iscrizioni cristiane e monete, risalenti a quel periodo: le monete del successore di Esana, Mehadeyis (360 circa), mostrano già una bella croce patente (greca) iscritta in un cerchio! Il cristianesimo etiopico, nato a corte, si sviluppò nella corte e fu protetto sempre. È un tutto uno: gli imperatori lo ritengono una priorità assoluta, nel senso che loro sono il vero Israele, discendenti di Salomone, quelli che hanno visto nel Cristo il compimento dell’attesa messianica. Il patriarca di Addis Abeba, l’Abuna Paulos recentemente scomparso, così aveva scritto: “Ritengo che il nostro Paese sia stato benedetto da Dio. Prima di divenire cristiano nel I secolo, infatti, già da 1.000 anni poteva contare su una forte presenza ebraica. Si può dire che da 3.000 anni ci sia una continuità giudeo-cristiana in Etiopia e ciò ha reso il mio Paese una terra molto spirituale, in cui i valori della preghiera, del silenzio, della dedicazione a Dio, sono sempre stati presenti”. Nel V secolo, a causa di dissensi cristologici e dottrinali nel Vicino Oriente, ci furono delle migrazioni specialmente di monaci dalla Siria all’Etiopia - ricordate, documentate e scritte, testimoniate da varie fonti - tra cui l’arrivo dei “Nove Santi”, nove monaci provenienti, probabilmente, da Bisanzio o da Bisanzio scomunicati, perché eretici. Tra la seconda m età del V secolo e l’inizio del VI, troviamo chiari segni di un progresso della diffusione del Cristianesimo: è a partire da questo secolo che la croce compare anche nella decorazione degli utensili quotidiani di ceramica, segno che il Cristianesimo si era ormai ampiamente diffuso nel Paese. 25 icona in cui sono venerati i nove Santi indicati con i rispettivi nomi In seguito ai grandi scismi, quasi inconsciamente, l’Etiopia scivolò tra i monofisiti, benché non ci siano mai stati una volontà e un atto di separazione, che invece maturò per la dipendenza dai patriarchi di Alessandria: l’Etiopia era obbligata a ricevere il Vescovo da Alessandria. Se aggiungiamo la predicazione forse non ortodossa dei monaci e la lontananza dal resto dell’Oriente cristiano e da Roma, la sua “fede alessandrina” passò dal significato originario cattolico a quello scismatico ed eretico! La Chiesa di Etiopia divenne una Chiesa nazionale, le cui sorti rimasero legate alla Chiesa di Alessandria. La denominazione ufficiale della Chiesa etiopica è Chiesa Ortodossa Teuahdò d’Etiopia: Teuahdò significa «divenuto uno», un vocabolo indicante unità, non solo perché unifica le comunità cristiane di quella terra, ma soprattutto per il suo risvolto teologico: la cristologia di quella Chiesa è, infatti, "monofisita", perché il Cristo è, sì, una sola persona, ma ha allo stesso tempo una sola natura nella quale si intrecciano e si fondono divinità e umanità (Card. G.F. Ravasi). Nel 1000-1100, ci fu un cambio dinastico in Etiopia e salì al trono la dinastia degli Zabuè. A questi re, specialmente a uno, detto Lalibela, è legata la costruzione di una città, Lalibela, e di moltissime altre chiese, non ancora tutte scoperte, scavate nella roccia: un unicum al mondo. Una cristianità minacciata 26 Una cristianità che ha però pagato a caro prezzo la sua identità. Nei suoi 17 secoli di vita, infatti, la Chiesa etiopica si è dovuta difendere da minacce ed invasioni, conservando però intatto i l cristianesimo dei primi secoli, penetrato così profondamente nelle istituzioni familiari, sociali e politiche del paese, che i cristiani etiopici hanno resistito a pressioni e persecuzioni esterne ed interne fino a quella scatenata per 17 anni (1974-1991) dalla dittatura marxista di Mengistu, il genocida. Secondo una definizione cara agli etiopi, l’Etiopia è un’isola cristiana in un mare di pagani e trovò sempre la forza di resistere alla pressione dell’islam, penetrato dal Nord e sempre minaccioso dal Mar Rosso. Dopo quasi tre secoli di guerra tra musulmani e cristiani, la potenza dell'Etiopia cristiana toccò l'apice con il negus Zara Yakob (14341468), che promosse contatti con l'Occidente: fu inviata una delegazione al Concilio di Firenze, che mirava alla riunificazione delle Chiese d'Occidente e d'Oriente; il 4 febbraio 1441 in Santa Maria Novella fu letta la Bolla “Cantate Domino quondam magnifice fecit” che sanciva l'unione con la Chiesa copta (perciò anche con l’etiope, sotto la giurisdizione del patriarcato di Alessandria). Troppi interessi poco spirituali in gioco Nel 1487, Vasco de Gama apriva la strada, lunga ma sicura, tra l’Europa, l’Africa Orientale e l’Asia e i velieri portoghesi veleggiavano verso l’Asia sotto gli auspici dei Papi Eugenio IV e Niccolò V che con le loro Bolle concedevano al re del Portogallo tutte le terre strappate ai saraceni e ai nemici della fede; privilegi allargati e sanciti con la Bolla di Alessandro VI (Inter Coetera, 1493) che assegnava al re portoghese i diritti di conquista di tutte le terre non cristiane scoperte, ma anche di essere vicario pontificio per inviare missionari in quelle conquistate. L’Etiopia, regno cristiano, era di per sé esclusa dal diritto di conquista e quindi anche dal patronato portoghese, ma era in un luogo strategico... Il negus Lesana Denghel, accolse con onore i delegati portoghesi, rivolgendosi al papa Eugenio IV con una lettera: “… Inginocchiato in terra, ti dico umilmente, Santo Padre, perché non hai mandato nessuno per avere notizie più vere della mia vita? … Un pastore non dovrebbe dimenticarsi del suo gregge né mi devi considerare troppo remoto dalle vostre terre…”. E il papa rispose al negus con una lettera tuttora conservata nell’archivio di corte. All'inizio del XVI la pressione militare islamica aumentò in misura allarmante, sostenuta dalla conquista turca dell’Egitto (1517). Scoppiarono guerre tra le più sanguinose, costose e inutili, durante le quali l’intero impero e la sua cultura rischiarono di essere spazzati via. Una concorrenza spietata per controllare le ricche rotte commerciali che collegavano gli altopiani etiopici con il Mar Rosso fece sperimentare le armi da fuoco, fornite dall’Arabia meridionale e dal sultano di Zeila (porto sul Mar Rosso) in cambio di schiavi cristiani e scoppiò una vera e propria Jihad contro l’Etiopia cristiana. Le armate islamiche, sia del sultanato ottomano che del sultanato di Adal, intendevano conquistare definitivamente il controllo delle piste carovaniere che collegavano le coste del Corno d'Africa al Mediterraneo. Un tragico fraintendimento Nel 1535, a Bologna, Papa Clemente VII ricevette lettere e regali dal negus e la sua professione di obbedienza. Ma veramente l’Etiopia dichiarava di voler essere un membro della Chiesa universale? Così fu inteso! mentre proprio l’incombente pericolo induceva il negus Lebna Denghel a rivolgere 27 un disperato appello d’intervento militare ai portoghesi, che ritennero parte integrante della richiesta la volontà, mai in quell’occasione esplicitata dal negus, di una fattiva unione della Chiesa di Etiopia con Roma. Lebna però moriva nel 1540, lasciando un erede diciottenne, Galawdewos. Un anno dopo, al comando di Don Cristovão de Gama, arrivarono 400 moschettieri portoghesi che, sbarcati a Massaua, subirono una dura sconfitta sul lago Tana. Fu l’inizio della rovina: molte delle più belle chiese e dei più bei monasteri d’Etiopia furono ridotti a un cumulo di macerie, insieme ai loro preziosi manoscritti, alle reliquie e ai paramenti sacri. Nel 1545 Papa Paolo III assicurò al negus che presto avrebbe inviato “uomini egregi in virtù e scienza” insieme ad un Nunzio apostolico! Speranze e pregiudizi: la Riduzione gesuitica etiope Appena nata, la Compagnia di Gesù ricevette dal Papa le terre d’Etiopia come campo d’apostolato e il Padre Ignazio accolse con entusiasmo l’insistente richiesta del re Giovanni III del Portogallo. Infatti, non appena incaricato dall’ambasciatore portoghese a Roma di provvedere all’invio di un patriarca e di altri padri, diede la personale e piena disponibilità a partire. Nel 1553 – come scrive P. John O’ Malley S.I. - scelse i gesuiti acconsentendo, nonostante avesse deciso di evitare incarichi episcopali e prelature per la Compagnia, all’ordinazione di tre: João Nunes Barreto (il patriarca), Andrés de Oviedo e Melchor Carneiro (vescovi) e scegliendone altri dodici come loro compagni per la missione in Etiopia. Si pensò ad un 5° voto per il quale coloro che av essero ricevuto autorità ecclesiastica si obbligavano ad ascoltare il consiglio del Padre Generale e a seguirlo, se fosse apparso migliore del proprio. S. Ignazio erigeva la Provincia gesuitica d’Etiopia e per quella Riduzione dette le celebri Istruzioni, che, come nota P. Urbina S.I., scrisse sulla base delle informazioni ricevute, ma fino che punto veritiere? Circolavano voci, infatti, che gli etiop i fossero sì cristiani benché non sottomessi a Roma, ma che tra loro si fossero introdotti costumi e usi ebraici se non addirittura pagani! “S. Ignazio riteneva che in quella regione la mescolanza di errori recherebbe più ostacoli all’opera apostolica che se si trattasse di terre pagane.” Nelle Istruzioni però raccomandava che accanto al processo dall’alto verso il basso (dal re al popolo) che sembra tendere a conversioni di massa, fosse curato il processo di lenta formazione di una nuova generazione e, con larghezza di vedute, che si formasse un ottimo clero indigeno, sviluppando anche la Compagnia con elementi indigeni. Non ci fu invece da parte di nessuno la sensibilità ad inviare vescovi e un patriarca di rito orientale. Sant’Ignazio raccomandava di introdurre, con prudenza, le rubriche latine del Battesimo e della Comunione e che non fossero imposte, ma che il patriarca operasse secondo i suggerimenti della realtà delle cose. Finalmente, correva l’anno 1555, il drappello partì da Lisbona per Goa. 28 I primi gesuiti sull’altopiano: una sventurata avventura Il vicere dell’India aveva però giudicato prudente che al negus fosse annunciato l’arrivo del patriarca e dei vescovi e, per la missione, scelse P. Gonçalo Rodriguez che “… appena giunto in quel regno e introdotto all’udienza icona della Vergine, velata, per indicare il senso del Mistero del re, incominciò un discorso che verteva sull’autorità del Papa… Il re, chiamato Claudio (Galawdewos), rimase offeso da questo discorso e li costrinse ad uscire dal suo regno”... “i quali, contravvenendo alle direttiva di sant’Ignazio, non tutti, ma in parte,… allora questi ritenuti eretici portarono a conversione…” Non appena il negus Galawdewos realizzò quale fosse il progetto missionario dei portoghesi, lo rifiutò categoricamente, dicendo che di preti dotti ne aveva abbastanza nel suo regno! I gesuiti giunti a Goa, loro porta d’ingresso in Etiopia, decisero che solo Oviedo vi andasse, mentre il patriarca e Carneiro sarebbero rimasti a Goa, dove morirono pochi anni dopo. L’opera di Oviedo e dei suoi quattro compagni diede buoni frutti nonostante lo sfavore di Galawdewos, alla cui morte il suo successore inflisse tali persecuzioni ai cattolici che Oviedo fu costretto a chiedere aiuti al Portogallo. Oviedo morì in miseria nel 1577. La missione per la quale S. Ignazio aveva nutrito le più alte speranze, apparve un totale fallimento. C’è però un particolare a margine: nel 1557 i gesuiti portarono con loro in Etiopia, come tutti i missionari in partenza per le nuove terre di missione, una copia dell’icona della Madonna di Santa Maria Maggiore in Roma, poi rielaborata dai pittori etiopi: il tema della “Salus populi romani” divenne in tal modo dominante nei secoli successivi. Uno dei più chiari segni della Chiesa primitiva è il culto a Maria, di cui confessano la perpetua verginità, la sua maternità divina, la sua mediazione universale presso Cristo e la sua assoluta santità, escludente qualsiasi ombra di peccato, affermando implicitamente l’Immacolata Concezione. L’avventura continua … Nel frattempo, i Portoghesi, dalla base di Goa, avevano raggiunto l’Etiopia, opponendo all’Islam ed altre tribù insorte una decisa resistenza e riconquistando al cristianesimo il paese. L’esercito vi si stabilì e la sua cura spirituale fu affidata ai gesuiti di Goa che nuovamente si adoprarono per l’unione con Roma della Chiesa etiopica. Questa seconda missione fu guidata da P. Pedro Paéz (1603 - 1622) incontrando però la resistenza dei monaci: tra congiure e macchinazioni morirono i due imperatori, Za Denghel (1604) e Yacob (1607), che avevano abbracciato la fede cattolica, e più 29 il gesuita, P. Pedro Paéz Jaramillo volte ci furono attentati alla vita di Susenyos, convertito da P. Paéz, con il fratello, ras Selà Cristòs, e Malacotavit, moglie del viceré Za Cristòs, il cui esempio fu seguito da altri maggiorenti della regione. Il negus favorì l'attività della Compagnia di Gesù e la diffusione del cattolicesimo nell'impero, in notevole progresso dai primi anni del secolo. Giunti a quel primo e ambito traguardo, i missionari progettavano di estendere la predicazione al popolo, fondando nuove case nei territori dell'Impero. L’imperatore Susenyos chiese ai Padri di Goa l'invio di duecento missionari nel suo paese, ma né a Goa né in Portogallo era possibile trovarne un numero così alto. Il gesuita P. Franceschi scrisse una lettera al granduca di Toscana, chiedendo aiuti: la missione non aveva i mezzi necessari a soddisfare le pretese del patriarca Alfonso Mendes (uomo intransigente e ostile alla cultura locale, nominato dai Portoghesi, che avevano il patronato sulla missione, e successore del Paéz) né a mantenere i padri nelle zone più lontane. In quel momento decisivo della missione, il 12 maggio 1626, il negus era stato obbligato dal patriarca Mendes a dichiarare solennemente l'adesione al cattolicesimo, provocando con questo gesto anche l'ostilità della popolazione. L’inizio della fine Se'ela Krestos, il potente fratello di Susenyos, capo dell'esercito e cattolico convinto, fornì a P. Franceschi il sostegno materiale di cui aveva bisogno e P. Franceschi si legò a lui con sincera amicizia, avvertendo però, col passare del tempo in Susenyos una certa freddezza, derivante dal crescente disappunto dell'i mperatore per dover imporre il suo nuovo credo ai sudditi con la forza delle armi e non con quella della persuasione, dalla quale egli stesso era stato convinto. Bisogna ricordare che l’arrivo dei gesuiti aveva innescato anche nel clero etiopico delle dispute interminabili sull’unzione e sulla natura di Cristo, dispute che sfociarono talvolta in lotte feroci e sanguinarie, con guerre e massacri di interi monasteri. Né Mendes né gli altri gesuiti compresero la gravità della situazione. Del tutto inaspettata, nel 1632, giunse notizia che Susenyos il 24 giugno aveva deciso di permettere la libertà di culto - preludio al ritorno alla confessione ortodossa - per poi abdicare, e che era morto poco dopo la cessione del trono al figlio Fâsiladas. L’annientamento della missione La reazione ecclesiastica e popolare contro il negus, i portoghesi e i gesuiti, indusse il successore Fâsiladas, che fissò la sua capitale a Gondar, 30 verso l’isola del monastero, sul lago Tana, in cui furono confinati i gesuiti a politiche xenofobe e a proibire il culto cattolico, ordinando l'espulsione dei gesuiti. Alcuni riuscirono ad imbarcarsi e riparare a Goa, altri furono fatti prigionieri dai turchi, altri sei, tra cui P. Franceschi, P. Bruni, P. D'Almeida si nascosero nella regione del Tigrè, ma l’insistenza di voci su una spedizione portoghese, mai realizzata, per ristabilire l’ordine precedente, eccitarono ancora di più l'animo degli etiopi contro i padri. Così nel 1637 il loro protettore li consegnò a Fâsiladas. Quando il tribunale, sotto la spinta del clero locale copto (l'abuna di Alessandria mantenne un atteggiamento più benevolo) li condannò a morte, Fâsiladas avocò a sé il giudizio, commutando la pena dapprima in carcere duro, quindi in esilio perpetuo nel territorio degli Agaôs. Poiché anche tra loro i gesuiti ricominciarono a esercitare il loro ministero, Fâsiladas ordinò di confinarli in un'isola del lago Tana, dove sorgeva un monastero. Tra il 14 e il 16 giugno 1638 giunse l'annuncio della condanna a morte. Erano rimasti in tre: si confessarono a vicenda, vennero impiccati a un albero, lapidati e i loro cadaveri furono dati in pasto ai cani. Un’opera che ebbe così promettenti inizi – come ha scritto P. Ortiz de Urbina S.I. – andò a perdersi nella catastrofe, ma una cosa è certa: i gesuiti lasciarono al paese una preziosa eredità, il loro sangue, ma anche i loro libri. Proprio P. Paéz, cui si deve la scoperta delle sorgenti del Nilo Azzurro, lasciò la prima storia attendibile del paese, la Historia de Etiopia. Ad altri missionari si devono resoconti dettagliati sulla vita culturale, economica e sociale dell’Etiopia. 31 Prevenire è meglio che curare... l’impegno del MAGIS a Endaselassie di Maurizio Debanne I 32 n Etiopia un passato illustre si scontra con un presente non certo roseo. Il Paese è agli ultimi posti per quanto riguarda l’Indice di sviluppo umano (indicatore di sviluppo macroeconomico utilizzato, accanto al PIL, dalle Nazioni Unite per valutare la qualità della vita nei paesi membri). La speranza di vita alla nascita è di 47,6 anni, il 78% della popolazione non ha accesso sostenibile all’acqu a potabile, l’80% della popolazione ha un reddito inferiore a 2 dollari al giorno. Il reddito pro capite è bassissimo ed elevato è l’analfabetismo: nella città di Endasellassie, nel Nord Ovest, solo il 23% delle femmine e il 28% dei maschi di età tra i 6 e i 12 anni frequenta la scuola e solo una percentuale molto bassa di giovani accede all’università. Una situazione che ha spinto, nel 2003, il g overno della regione a chiedere al Vescovo della Chiesa Cattolica di Tigray, Mons. Tesfasellassie Medhin, una presenza di religiose che operassero nel campo dei servizi di educazione, ma anche di sanità e promozione delle donne. A raccogliere l’appello sono state le Suore della Carità di San Giovanna Antida, arrivate in Etiopia il 14 novembre dello stesso anno. Dopo qualche mese di adattamento e apprendimento della lingua Tigrinya, la Municipalità di Shiré ha concesso loro un terreno di 30mila mq a Endasellassie, per costruire la loro residenza, una scuola materna, una clinica, e un centro di promozione femminile. Le costruzioni iniziate nell’ottobre del 2004 si sono concluse due anni dopo. A questo punto è intervenuto il MAGIS con progetti in ambito educativo e sanitario. L’ultimo, finanziato dalla Fondazione Nando Peretti, garantisce l’assistenza medica di primo soccorso e il so- educazione alla salute: non è mai troppo presto stegno ai malati di AIDS. Sebbene l’UNAIDS (programma delle Nazioni Unite per accelerare, intensificare e coordinare l'azione globale contro l'AIDS) abbia rilevato una significativa riduzione dei casi, l’Etiopia rimane comunque uno dei paesi maggiormente colpiti dalla diffusione di questa malattia. L’aiuto del MAGIS, dunque, si è concentrato nel rafforzare il numero e la qualità dei servizi sanitar i e di supporto ai pazienti sieropositivi. Questo progetto guarda anche agli orfani e ai figli dei pazienti ancora in vita, registrando la loro presenza e proponendo un sostegno non solo economico ma anche psicologico. La cura, però, in questi casi arriva quando la situazione è difficilmente recuperabile. Ecco perché una parte significativa del progetto è stata dedicata ad attività di prevenzione. Vere e proprie lezioni di educazione sanitaria sono state tenute ai pazienti, agli studenti, alle famiglie nei villaggi, così da diffondere un maggior livello di consapevolezza su temi quali l’igiene, le malattie infettive, i vaccini, la cura del neonato e delle madri. Ancora una volta, infatti, la malattia e la povertà possono essere battute in anticipo dalla conoscenza. registrazione presso il centro 33 Madagascar Acqua pulita... odor di cioccolato Volontari Gruppo SAM - Palermo 34 L’inizio dell’avventura … Gli abitanti del villaggio di ManohiranoSAKAROA, che sorge a circa 30 Km dal capoluogo Fianarantsoa nella parte centro-orientale della regione dell’Alta Matsiatra in Madagascar, il 5 agosto 2011, avevano inoltrato al Presidente del MAGIS una richiesta per un acquedotto di circa1.500 mt. che portasse dalla sorgente al villaggio acqua potabile, per sconfiggere le ricorrenti epidemie. A dare autorevolezza alla richiesta c’era la firma del parroco del distretto missionario di Nasandratrony, del sindaco del comune rurale di Ambondrona, del responsabile del settore amministrativo di Ambalamahatisni SAKAROA e del responsabile del villaggio. Il progetto, già vagheggiato da P. Emanuele Bruni S.I., parroco del distretto di Nasandratrony, rientrato in Italia, aveva confidato il suo sogno a Fr. Benedetto Ingrao S.I. … che, inoltratolo e ricevutane l’approvazione, coordinando i volontari del Gruppo SAM di Palermo - Mauro Castorina, tecnico idraulico, la moglie, Carmelina Ingrao, veterani di queste missioni, Sandro Sciuto, alla sua prima esperienza, e la dottoressa Honorine, una giovane malgascia residente a Roma che aveva voluto partecipare, fornendo un prezioso aiuto logistico al gruppo operativo – li ha fatti volare in Madagascar. Atterrati ad Antananarivo dopo 12 ore di volo, il 2 settembre 2012, ad attenderli c’era sr. Angela, delle Suore del S. Cuore di Ragusa, originaria del villaggio di Sakaroa, che provvedeva al trasferimento – altre 6 ore - a Fianarantsoa, dove erano attesi da P. Sante Zocco S. I. Di là, il mattino seguente, con una vecchia auto, lungo una strada dissestata, ha avuto inizio l’avventura. Benché il villaggio fosse ancora distante, si avvertiva la presenza della gente accorsa per accoglierli con canti, danze al suono di tamburi e flauti, lancio di fiori: una gioia straripante e commovente per il tanto atteso dono dell’acqua. Il lavoro, iniziato il giorno successivo, ha richiesto due settimane: completamento delle vasche d’acqua e scavi per la posa delle tubazioni, poi il trasferimento del materiale, con la partecipazione di tutti: gli uomini portavano gli attrezzi e zappavano il terreno, le donne trasportavano la sabbia e le pietre per coprire la sorgente. L’ultimo giorno i volontari hanno consegnato il lavoro finito: l’acqua arrivava con una forte pressione a tutte le sei fontane, installate in varie parti del villaggio. E allora, ringraziamenti a non finire a tutti ma in particolare a P. Sante Zocco S.I., colui che aveva reso possibile il miracolo dell’acqua grazie anche ai benefattori: Emilia ed Enrico di Napol i, Nuccia di Reggio Calabria con i nipotini Adriana e Alberto di Catanzaro, papà Felice e l’ing. Giuseppe di Palermo. E, come annota Honorine, un’ammirazione grande per questi volontari, per la loro instancabile tenacia di fronte alle difficoltà e alla fatica quotidiana: partire prestissimo la mattina da Fianarantsoa e ritornarvi la sera, stracotti, con mezzi di fortuna, su quella che era difficile chiamare strada – 2 ore per percorrere 30 Km! - ogni volta in condizioni peggiori rispetto al percorso precedente… ma soprattutto sapendo che non ci erano capitati per caso, ma che da anni portano avanti questa missione. Mi sono permessa di raccontarvi tutto questo – è sempre Honorine – perché io stessa pensavo che andare in missione fosse una passeggiata, una vacanza. Invece bisogna rivestirsi di coraggio e di tanta pazienza. Ci vuole una ferrea volontà e sicuramente l’aiuto di Dio. A questo punto, sono necessarie due parole sul titolo: “acqua pulita … odor di cioccolato”. È una storia iniziata qualche anno fa, quando nonna Nuccia incominciò ad educare i suoi nipotini a condividere i loro momenti di gioia con chi era privo del necessario, chiedendo, in occasione di una ricorrenza, che il regalo fosse in denaro … per un progetto missionario! È stato così che una consistente offerta ha permesso di sostenere le spese per la colonia estiva di 10 giorni per 200 bambini. Ma nonna Nuccia, che gestisce un laboratorio per la lavorazione del cioccolato, quest’anno ha utilizzato una parte degli utili per la condotta idrica di Sakaroa. 35 le grosse pietre proteggono la sorgente 36 Lettera di ringraziamento Noi cristiani di Sakaroa inviamo questa lettera di ringraziamento tramite Fr. Ingrao agli amici del SAM e in particolare ai benefattori, indicati nelle belle e celebrate magliette che i nostri bambini hanno indossato con grande gioia. … Noi cristiani e tutti gli abitanti siamo lieti di ringraziarvi per l’impianto che porta acqua potabile nel nostro villaggio. Grazie per l’aiuto in denaro e per i grandi lavori fatti per noi. Grazie per aver mandato qui dei vostri volontari che con grande impegno hanno compiuto i lavori coadiuvati da noi tutti. Ci scusiamo con loro degli inconvenienti e della mancanza di molte cose che li hanno provati come le difficoltà di comunicare in malgascio, il cibo non adatto a loro, in particolare il luogo lontano dalla città. Speriamo molto che la nostra reciproca conoscenza continuerà anche in futuro per il progresso di tutti noi, bisognosi di tutto. Vi auguriamo ogni bene in particolare le Grazie e la benedizione del Signore nostro Gesù Cristo, che certamente vi ha sostenuto per portare a buon termine tutti i lavori necessari. Noi cristiani di Sakaroa e tutti gli abitanti preghiamo per voi, uniti nella riconoscenza ai responsabili del comune di Ambondrona Il presidente della Chiesa: Raketemanana Benoit Il catechista: Randrianantenaina Fidèle Il capo quartiere: Ralailohetsy L. Un pic-nic … fuori programma di Carmelina Ingrao F ianarantsoa, settembre 2012, ultima realizzazione di una condotta idrica per il villaggio di Sarakoa. I tre del gruppo SAM – la sottoscritta, Mauro e Santo – la mattina seguente sono in viaggio per essere, all’ora di pranzo, a Ikalamavoni. Cinque ore d’auto per 120 Km! Nel pomeriggio, altri 50 Km per raggiungere Solila prima del tramonto, grazie alla ricostruita strada, dono di una generosa benefattrice, che le autorità locali hanno intitolato a suo nome: Via Emilia. Alla guida dell’auto, P. Jean Baptist, Superiore del Distretto missionario di Ikalamavoni. Cantava allegramente, felice per la festa che avrebbe fatto la gente di Solila e in particolare i bambini per il ricordo delle colonie estive fatte insieme negli anni precedenti. Ma ecco l’imprevisto! Dopo tre ore di viaggio, l’auto dà segni di malessere e, all’improvviso, si ferma. Non vuole saperne di ripartire. Ci troviamo in una zona completamente deserta, neanche l’ombra di una capanna. P. Jean Baptiste, il cellulare in mano, non riusciva a trovare campo. Tranquillizzandoci, si allontanò per salire su una vicina montagna, sperando di poter avere un contatto telefonico e chiedere aiuto, avvertendo chi ci stava aspettando. Trascorse alcune ore, lo vediamo ritornare sorridente: il contatto con Ikalamavoni era riuscito ma non sapeva dopo quanto sarebbe arrivato il soccorso. 37 Provvidenzialmente, un passante in bicicletta, diretto a Solila, aveva dato l’allarme al villaggio così, alle tre del pomeriggio, un automezzo si ferma, ne scendono due suore con cibo e acqua. Era il primo pic-nic che facevamo in Madagascar, dopo oltre vent’anni di queste esperienze missionarie. Tutto finì con una risata generale che allentò la tensione che si era via via accumulata sotto il cocente sole equatoriale. Dopo otto ore di attesa, alle 17.30, i soccorsi: arrivo a Ikalamavoni non all’ora di pranzo ma in piena notte, però senza P. Jean Baptiste: era rimasto sul posto, dormendo in macchina, perché a lasciarla incustodita avrebbe corso il rischio di non ritrovarla più l’indomani! Per noi è stata solo un’avventura, ma i missionari che operano quotidianamente in queste zone deserte, con s trade che spesso sono solo piste, sono da ammirare e dovremmo sentire il dovere di aiutarli e sostenerli, non solo con la preghiera ma anche con la condivisione di quello che abbiamo e possiamo dare. Non farli sentire soli è un grande atto di carità, di amicizia, di amore. Due giorni di lavoro per riparare l’auto e il dover rivedere il programma d’incontri con i missionari. A Solila, dove abbiamo promesso che saremmo ritornati presto, ci hanno chiesto di aiutarli per la costruzione del “posto sanitario” e poi di poter dare continuità alle colonie estive. Rientrati a Fiaranantsoa, abbiamo visitato il Centro apostolico diretto da P. Gianfranco Bergero S.I. che da anni attende e spera che il SAM organizzi o sostenga una colonia estiva per i ragazzi della sua parrocchia. Siamo stati a Fandana a trovare Fr. Fazio: visita molto gradita perché inattesa. Anche lui, oltre alle tante necessità che si presentano ogni giorno per portare avanti il progetto “Esodo urbano”, ci chiedeva di inserire nei nostri programmi delle colonie per i ragazzi dei sette villaggi di Fandana, la cui popolazione ha ormai raggiunto il ragguardevole numero di oltre 4.000 abitanti. 38 Un incontro importante è stata la visita alla Casa Famiglia per disabili. Visitando la nuova struttura ci siamo accorti che dai rubinetti non usciva acqua … Interpellato P. Garvey, responsabile della Casa e anche lui disabile a causa di una malattia, sul perché mancasse l’acqua, con un sorriso ci rispose che era stato stipulato il contratto con l’acquedotto comunale, ma per mancanza di fondi non erano stati eseguiti i lavori di allacciam ento alla rete. La sera ci siamo consultati su che cosa si potesse fare e Mauro – lui il tecnico di impianti idraulici - è sbottato dicendo che se l’indomani ci fosse stato il materiale, il problema sarebbe stato facilmente risolto. La mattina seguente, mentre Santo dirigeva i lavori di scavo per la posa delle tubazioni, Mauro andava a prendere il materiale occorrente nei magazzini di P. Zocco. Come previsto, dopo tre ore di lavoro, l’impianto idrico della casa era allacciato alla rete comunale. Quando però di aprì il passante e tutti eravamo pronti a festeggiare l’arrivo dell’acqua corrente in casa, siamo rimasti sorpresi, perché l’acqua usciva sì dai rubinetti, ma anche … dalle giunture dei tubi e dei raccordi. Purtroppo il collaudo ha fatto scoprire che l’impianto non era stato eseguito a … regola d’arte! Siamo rimasti tutti molto amareggiati e Mauro avrebbe voluto provvedere a riparare i difetti, cosa impossibile perché, nella nostra tabella di marcia il giorno seguente saremmo dovuti partire per A ntananarivo e imbarcarci per l’Italia. Chiudo il racconto di questa esperienza con due messaggi. Il primo è un caloroso ringraziamento ai Padri gesuiti malgasci che ci hanno ospitato a Mahamanina e, in particolare, al Superiore e al Ministro di casa. Il secondo è la segnalazione agli AMICI per la richiesta di aiuto per il “Posto sanitario” di Solila. Un saluto dal SAM ai Gesuiti malgasci, con la promessa che non li dimenticheremo. Il Signore possa suscitare tanti benefattori che anche con una piccola offerta possano contribuire a questa realizzazione. Le offerte vanno indirizzate al MAGIS. un aiuto concreto? un modo vero per aiutare i missionari nella loro vita di tutti i giorni? un segno di fraternità? FAR CELEBRARE UNA MESSA PER I DEFUNTI! tra le causali del bollettino (padre) aggiungere “Messa” ccp 909010 39 Testimonianze Repubblica Centrafricana Pace per questo paese di P. Dorino Livraghi S.I. D omenica 14 aprile: tre settimane da quando i ribelli della SELEKA hanno preso Bangui. È forse venuto il momento di cominciare a fare un piccolo bilancio. Dopo scontri anche molto duri, soprattutto con le truppe sudafricane che hanno perso almeno 13 uomini … se non due o tre volte di più – i ribelli che hanno perduto centinaia di combattenti – sono entrati in Bangui domenica 24 marzo, di primo mattino, e si sono immediatamente diretti verso la presidenza, pensando forse di trovarvi ancora Bozizé, che, in elicottero, con due figli e un ufficiale, si era prima diretto verso il Congo Democratico, che non ha voluto dargli asilo. Si è allora rivolto al Cameroun, che ha accettato di ospitarlo in attesa che trovi un paese che lo accolga. Sembra che il Benin abbia finalmente risposto positivamente alla sua domanda di asilo. 40 Da tre settimane, la SELEKA è padrona di Bangui … e di tutto il paese, perché contemporaneamente le loro truppe si sono dirette verso Ovest e verso Sud-Ovest per imporre il loro potere in tutte le prefetture e in tutte le cittadine e villaggi del paese. Se i ribelli avessero agito veramente da liberatori del popolo oppresso dal regime di Bozizé, sarebbero stati accolti da applausi e grida di gioia. Invece sono arrivati a Bangui, certo come nemici di Bozizé, ma anche come lupi affamati nei confronti della popolazione. Poche sono le famiglie e le comunità che non sono state molestate, e ci si domanda perché abbiano goduto di questo favore. Forse perché sono luoghi dove i predatori non pensavano che avrebbero trovato pane per i loro denti? Oppure perché, anche tra i ribelli, c’è gente che ha sentimenti un po’ più elevati, o dei capi che hanno dato disposizioni perché certe categorie di persone non fossero aggredite? È possibile. È forse il nostro caso. Una sera, davanti al cancello di casa nostra ho parlato con un ufficiale della SELEKA, un colonnello mi ha detto, che si è informato se fossimo stati visitati. Ho dovuto dirgli che il mattino stesso del loro ingresso in Bangui una pattuglia di uomini armati, era venuta da noi portandosi via un veicolo del JRS (Jesuit Refugee Service). Ha fatto una smorfia di dispetto e mi ha chiesto: “Ma non siete una casa di Dio?” Sì … ma questo non ha impedito ai suoi uomini di venirsi a prendere quanto hanno voluto. È certo che tra gli uomini della SELEKA ci sono degli autentici banditi, dei predoni che si sono impegnati al seguito dei capi della ribellione non per motivi ideologici o per un’ideale di giustizia, ma semplicemente per fare bottino. Arrivando a Bangui, questa gente ha accolto nei suoi ranghi i banditi della capitale, che hanno fatto presto a vestire una tenuta militare e a prendere un fucile. E anche quando non si sono camuffati da ribelli, si sono uniti a loro nelle manovre di saccheggio. I capi della SELEKA si trovano ora, e già lo erano fin dall’inizio, prigionieri della strategia che hanno ad ottato. Per avere truppe più numerose hanno fatto appello a tutti gli sbandati della RCA, del Ciad e del Darfour. Non avendo risorse economiche per dare loro una ricompensa soddisfacente, hanno dovuto lasciare che si pagassero a spese degli abitanti. Ora che il tempo è venuto di ricostruire il paese e di rimettere ordine nei vari settori della vita pubblica, si rendono conto di non avere autorità alcuna sulle loro truppe, di non essere in grado di bloccare la loro frenesia di guadagno a spese del popolo dei quartieri, delle cittadine di provincia e dei villaggi. I racconti di estorsioni e di saccheggi sono quotidiani. In questi giorni sembra che le autorità stiano organizzandosi per dare sicurezza alla città, grazie alla collaborazione delle truppe della FOMAC (Forces Multinationales de l’Afrique Centrale) e francesi, che già pattugliano le vie principali della città. Questo significherebbe obbligare i vari militari della SELEKA a consegnare le armi e ad accantonarsi nei campi militari previsti per loro. Ma molti non vogliono affatto deporre le armi e hanno fretta di procurarsi un bottino abbastanza sostanzioso per tornarsene a casa loro, fieri dell’impresa. Allora cominciano ad adottare tattiche da veri e propri banditi: ag- 41 ingresso dei ribelli a Bangui gressione di persone e di famiglie per sottrarre dei soldi, kidnapping di persone, liberate poi contro un riscatto … Ogni giorno la musica delle armi ci fa spesso sobbalzare, ci strappa al sonno e alla pace. Quanto tempo ci vorrà perché le cose si normalizzino, che si possa ancora uscire nelle strade senz’avere paura di essere molestati da persone armate o colpiti da pallottole vaganti? Stamattina Radio Francia diceva che nella giornata di ieri ci sono stati una ventina i morti nei quartieri di Bangui. La gente racconta che i militari della SELEKA passano di casa in casa e, con il pretesto di ritirare le armi in possesso dei civili, saccheggiano tutto quanto trovano: TV, soldi, frigo, vestiti, letti e materassi … Njotoida dal canto suo afferma che le armi, fatte distribuire ai civili da Bozizé, sono utilizzate per resistere all’opera di pulizia e di messa in sicurezza dei quartieri. La gente si chiede, con angoscia, fino a quando durerà questa situazione. Nessuno sembra in grado di ristabilire l’ordine e un ritorno ad una vita normale e serena. Quali saranno le decisioni del prossimo summit della CEEAC destinate a salvare la Repubblica Centrafricana e a mettere fine ai disordini di quest o paese? LA STORIA 42 1° Summit Straordinario della CEEAC a N’Djamena Quando, nella prima metà di dicembre, la SELEKA ha cominciato a muovere i suoi passi verso la conquista del paese, il mondo intero si è messo in agitazione, e soprattutto i paesi vicini alla RCA, quelli che fanno parte della CEMAC (Communauté Monétaire et Economique del’Afrique Centrale) comprendente la RCA, il Ciad, il Congo Brazzaville, il Gabon, la Guinea Equatoriale, Sao Tomé e Principe, e il Cameroun e quelli della CEEAC (Communauté Economique des Etats de l’Afrique Centrale) comprendente, per dare solo un’idea dell’equipaggiamento ... oltre ai sei paesi sopra elencati, il Congo Democratico, l’Angola e il Burundi. Soprattutto il Ciad – Idriss Débi è presidente del Ciad e presidente in esercizio della CEEAC – figura ombra del colpo di stato di Bozizé dieci anni fa, ha deciso di intervenire anche militarmente per evitare il peggio. Truppe ciadiane hanno preso posizione sulle piste che conducono dal Nord-Est a Bangui con l’intenzione di bloccare l’avanzata della SELEKA. Fumo negli occhi o intenzioni serie? Nella prima settimana di gennaio, Idriss Débi ha convocato d’urgenza un primo summit della CEEAC a N’Djamena per cercare soluzioni pacifiche alla crisi centrafricana. Dopo quest’incontro, N’Djamena ha cambiato atteggiamento rispetto a quanto affermato in partenza. Idriss Débi si è accontentato di agire nel contesto delle truppe della CEMAC, forze cui era attribuita una funzione di interposizione e comunque nettamente insufficienti per impedire ai ribelli di conquistare Bangui. Perché questo cambiamento di atteggiamento da parte del presidente ciadiano? Reazione di collera davanti al rifiuto di Bozizé di scegliere N’Djamena come luogo del dialogo di pace? Oppure disaccordo su problemi economici: lo sfruttamento del petrolio nel Nord-Est della RCA, che ridurrebbe la falda petrolifera ciadiana? La presa di distanza tra il Ciad e la RCA aveva cominciato ad apparire da qualche tempo, soprattutto da quando, mesi fa, le truppe ciadiane che costituivano la guardia presidenziale di Bozizé, erano state ritirate. Bozizé si era allora rivolto al Sud Africa, a Jakob Zuma, che ha accettato di mandare qualche centinaio di uomini, non sappiamo in seguito a quali promesse di vantaggi economici. Bozizé ha fatto ancora una corsa in Sud Africa poco prima della sua caduta, senz’altro per sollecitare che forze più consistenti si impegnassero direttamente nel conflitto contro la SELEKA. Qualche altro centinaio di soldati sudafricani sbarcarono in RCA, ma non abbastanza numerosi e non preparati. Jokob Zuma dovrà mostrarsi molto convincente con i suoi concittadini per far accettare questo scacco diplomatico e militare. 43 10-11 marzo - Libreville: secondo summit straordinario della CEEAC sulla RCA Presenti a quest’incontro per l’elaborazione di un piano per uscire dalla crisi, oltre a Bozizé e ai rappresentanti della SELEKA, dell’opposizione democratica centrafricana, della società civile della RCA, dell’arcivescovo di Bangui e di altri esponenti religiosi, i capi di stato o dei loro rappresentanti. I lavori sono stati condotti a ritmo accelerato. Si sfugge difficilmente all’impressione che le parti centrafricane in conflitto siano state forzate a sottoscrivere le decisioni che erano loro imposte dall’assemblea, preoccupata di non lasciare che l’incendio centrafricano si estendesse ai paesi della regione. 44 Di ritorno a Bangui, l’attuazione di questi accordi è apparsa molto più complessa di quanto si fosse pensato a Libreville. Nicolas Tiangaye, nominato primo ministro, ha creato il governo di unione nazionale come previsto. Ma tanto Bozizé quanto i rappresentanti della SELEKA non sono rimasti con le mani in mano. Bozizé si è ritenuto autorizzato a nominare dei ministri delegati in tutti i ministeri, in cui le personalità scelte non erano di suo gradimento. In più ha mobilitato la popolazione civile di Bangui a vigilare contro le infiltrazioni della SELEKA, scatenando una caccia all’uomo nei confronti di coloro che erano originari delle regioni da cui la ribellione veniva. Ha cercato anche, oltre al Sud Africa, di coinvolgere la Francia. Qualche centinaio di militari francesi sono di fatto giunti a Bangui, ma per proteggere i francesi e gli stranieri della capitale, ed eventualmente favorirne l’evacuazione, non per favorire Bozizé. Dal canto suo la SELEKA non ha mai smesso di conquistare nuove regioni, nuove città e di continuare la sua opera di devastazione del paese, accusata dai sostenitori di Bozizé di non rispettare gli accordi di Libreville. La SELEKA replicava negli stessi termini, esigendo la liberazione delle persone imprigionate e che fosse rimandato a casa il contingente sudafricano: paralisi completa. Nel frattempo ciascuno si preparava al peggio. Ciò avvenne nella settimana dal 17 al 24 marzo. LA SELEKA AL POTERE Uno dei primi atti dei nuovi padroni del paese fu di proclamare un nuovo presidente della repubblica al posto di Bozizé, Michel Djiotoida, capo riconosciuto della SELEKA, autoproclamatosi presidente della RCA non senza qualche contestazione da parte di altri capi. Nel mondo intero, ONU, Unione Africana, Unione Europea, Francia e altri capi di stato … un coro di voci ha disapprovato questa modo di procedere: più nessuno accetta che un presidente prenda il potere tramite un colpo di stato autoproclamandosi tale. Djotoida ha riconfermato Nicolas Tiangaye nella funzione di primo ministro, alla quale era stato elevato dopo Libreville. Due giorni fa il CNT, composto di 97 membri di ogni orizzonte politico, ha tenuto la sua prima riunione ed ha proclamato, per acclamazione, Michel Djiotoida presidente della RCA. Quella sera si dice che le scariche d’armi che ci hanno fatto sobbalzare sulle nostre sedie, fossero spari gioia, per festeggiare il nuovo eletto! Non, però, così dappertutto, visto che in certi quartieri ci sono stati ancora saccheggi e morti! 45 Michel Djiotoida 46 CONSIDERAZIONI La RCA ha un presidente legittimo, ma questo, per il momento non cambia nulla alla situazione tragica che il paese attraversa. Djotoida non ha autorità sui suoi uomini e non riesce ad ottenere che rendano le armi e cessino il saccheggio. Quale ricompensa può dare loro perché accettino il disarmo e tornino alla vita civile o si facciano integrare nell’esercito? Le casse dello stato sono vuote, il paese è in ginocchio, perché da mesi tutte le attività produttive sono bloccate o anche distrutte dalla ribellione. L’amministrazione è completamente disorganizzata, le strutture amministrative, sistematicamente saccheggiate e distrutte, sono inesistenti. Tutto è da ricostruire, tutto è da riorganizzare. Con quali mezzi? Non c’è più un esercito nazionale, non c’è più gendarmeria né servizi di polizia. Chi potrà riportare sicurezza e tranquillità, che permettano alla popolazione di rialzarsi e di riprendere le attività? Da due mesi o più i funzionari non hanno ricevuto salario. Per di più, molti di loro sono stati depredati dai ribelli e dai banditelli del luogo loro alleati. Hanno fatto la fame e non hanno potuto curare i loro malati. Le banche sono chiuse - il grosso dei loro capitali all’estero - nel timore di un possibile saccheggio. Non dispongono di grandi riserve di liquidità per pagare gli stipendi. Possono tutt’al più darne una parte. Ma quando un primo tentativo è stato fatto, gli uomini della SELEKA sono arrivati con i loro fucili e hanno tentato di impadronirsi dei fondi delle banche. La coda dei funzionari, che attendevano con pazienza di ricevere qualcosa, si è volatilizzata come fumo nel vento. Speriamo che i paesi della CEMAC, l’ONU, l’Unione Europea e l’Unione Africana si mobilitino per aiutare questo paese a rimettersi in piedi e non solo per una decina d’anni, ma per un avvenire nuovo e prospero. il cambiamento? nuovi rifugiati verso i campi profughi dei paesi oltre confine Un bisogno urgente, oltre all’apporto di fondi da investire, è la creazione di una forza di sicurezza nazionale in grado di imporre la legge tanto ai ribelli refrattari quanto ad ogni altro tipo di opportunista che approfitta della situazione confusa che il paese conosce. Rimettere in piedi un esercito nazionale è un’impresa di ampio respiro e qui non c’è molto tempo. La gente soffre e non si può accettare che questa situazione si prolunghi all’infinito. Bisogna che nel quadro più appropriato (CEMAC o UA o ONU) delle forze di sicurezza siano rapidamente mandate in RCA per ridare speranza alla gente e permetterle di rialzare la testa. Speriamo che il governo - atteso per i prossimi giorni - guadagni la fiducia di quelli che possono dare una mano. Che soprattutto cessi di essere un governo che anziché al servizio del bene comune del paese, mette il paese e le sue risorse al servizio di interessi personali o clanici. Che ne è stato dell’esercito nazionale, le FACA (Forces Armées Centrafricaines)? Poco numeroso, poco armato, non preparato a battersi, non motivato per rischiare la vita per il paese e il suo governo, le rare volte che è intervenuto in qualche scontro, ha subito grosse perdite e ha rapidamente abbandonato le posizioni, il più delle volte, prima ancora che lo scontro con i ribelli avvenisse. Nelle vicinanze di Bangui sono state le truppe sudafricane a dare del filo da torcere ai ribelli, non le FACA. Bozizé, in dieci anni di potere, non ha mai cercato di formare un esercito su cui poter contare, diffidando dei suoi ufficiali, probabilmente temendo che potessero giocargli lo sc herzetto che egli stesso aveva giocato a Ange Félix Patassé, di cui aveva preso il posto, tramite un colpo di stato nel 2003. In un discorso pub- 47 blico, poco tempo prima dell’arrivo dei ribelli a Bangui, aveva accusato l’esercito e le forze di polizia di aver tradito il paese, perché rifiutavano di battersi contro i ribelli. Non erano certo questi discorsi a risvegliare slanci eroici nelle sue truppe! Ci sarebbero ancora molte altre questioni da affrontare, ma sarebbe troppo lungo ed io stesso non dispongo di documenti che permettano di avanzare ipotesi fondate. Ne formulo solo alcune... Quali le vere intenzioni di Michel Djotoida? Soltanto rivendicare maggiori condizioni di giustizia per le popolazioni della sua regione (il Nord-Est del paese), che tutti i governi precedenti hanno trascurato, o è in atto un progetto di islamizzazione della RCA, quale piattaforma di diffusione dell’Islam in Africa? Ci sono dei documenti scritti da Djotoida che vanno in questa direzione. Sono solo dei testi destinati ad ottenergli sostegni economici da parte di paesi arabi o c’è dietro di più? Da quando la SELEKA è giunta a Bangui, il Qatar ha aperto un’ambasciata all’hotel Ledger Plaza, là dove appunto ha preso dimora il nuovo presidente della RCA. Puro caso o intesa? Chi ha finanziato la SELEKA? Migliaia di uomini ben armati, con veicoli in quantità, che hanno potuto spazzare via ogni resistenza delle FACA ed avanzare a ritmo estremamente rapido… Chi c’è dietro tutta questa realtà? Dei paesi come il Qatar, che non sa cosa fare dei suoi miliardi? E’ vero che nell’Est della RCA ci sono diamanti, c’è oro, c’è uranio ed altre ricchezze, che non bastano, però, a spiegare la forza della SELEKA che, nella sua avanzata, contrariamente alle esperienze passate, ha molestato e saccheggiato anche le missioni cattoliche: il vescovo di Bambari e dei sacerdoti di Alindao sono stati picchiati e spogliati dei loro beni. Si è detto … ma sarebbe da verificare in che misura sia vero, che i negozi dei mussulmani non sono stati saccheggiati, che sono anzi questi commercianti che ricompravano ai ribelli le merci predate, per andare poi a rivenderle nei paesi vicini. Questo insinua l’idea di un conflitto a base religiosa che può avere conseguenze molto gravi nell’avvenire. Delle persone hanno anche ricevuto dei messaggi SMS o e_mail, in cui si diceva loro che ormai non è più nelle chiese che bisogna andare a pregare, ma nelle moschee … opera di qualche fanatico islamista o espressione di una realtà più consistente? 48 Un’ultima domanda, importante per noi cristiani, che stiamo celebrando ancora la Pasqua del Signore: che cosa il Signore ci fa capire attraverso questo disastro, a che scelte nuove ci chiama? Se crediamo quello che S. Paolo ci dice, che Dio fa volgere verso il bene tutto quanto ci succede, anche la croce (e quella che viviamo è una croce molte pesante per il popolo della RCA!), qual’ è la grazia che ci sta facendo attraverso questo cammino doloroso, a noi come Chiesa, come cristiani, come religiosi? Finché non troveremo una risposta convincente, un dubbio sulla bontà e sulla saggezza di Dio può minacciare la nostra fede. Ma se ci è dato di trovare questa risposta, allora potremo cantare di nuovo l’inno della notte di Pasqua: “Felice colpa che ci ha valso un tale Salvatore”. Repubblica Centrafricana Per amore della nostra patria di Mons. Dieudonné Nzapalaiga E così, l’arcivescovo di Bagui, mons. Dieudonné Nzapalainga, ha testimoniato: “nella mia memoria di centrafricano, nella mia vita, non ho mai assistito a nulla di tutto questo. Si tratta di persone che sono fuggite e che si sono rifugiate nell’Hôpital Communautaire, che accoglie al momento 1.400 persone. Scene di desolazione, bambini piccoli sul pavimento senza nulla da mangiare. Al momento i cristiani sono negli ospedali impegnati nella preparazione dei pasti da offrire ai loro fratelli e alle loro sorelle, senza alcuna distinzione di credo, di razza o di provenienza, perché tutti gli uomini sono creati a immagine di Dio e il messaggio di Gesù Cristo è un messaggio universale”. Questa crisi è politico-militare: non è religiosa. La Repubblica Centrafricana è un Paese laico: c’è libertà di religione e ciascuno può professare la propria fede. Il voler ora imporre o introdurre un elemento religioso nella sfera politica è qualcosa cui diciamo no e lo diciamo in modo forte e chiaro a coloro che tentano questo tipo di trappola, che vogliono farci cadere su questa buccia di banana: dobbiamo essere vigili, dobbiamo tenerli fuori, isolarli! Ecco perché lanciamo un messaggio solenne a tutti i responsabili, affinché si assumano le loro responsabilità e dicano apertamente che è fuori questione qualsiasi maltrattamento nei riguardi di preti e suore, che è fuori questione commettere ancora ingiustizie e violenze nei loro riguardi. È tempo di porre, e in fretta, un termine ad atti ingiusti che potrebbero provocare, nella testa della gente, sentimenti antireligiosi o che potrebbero far pensare che questa crisi o questi avvenimenti abbiano come obiettivo i cristiani, essendo contro di loro. Bisogna che preti, pastori e imam siano protetti. Parlo per tutti. Gli uomini di Dio devono essere protetti. Questa è una crisi politica; non bisogna permettere che svolti verso una deriva religiosa. Quando si è responsabili, si è responsabili di tutti. Un presidente è il presidente di tutte le religioni, senza alcuna eccezione”. (da sito Radio Vaticana) Ancora più incisiva la denuncia, la terza domenica dopo Pasqua, nella sua coraggiosa omelia. 49 un’amulanza raccoglie per strada i feriti Il Cristo risorto invita noi, come gli apostoli e in particolare Pietro, a rendere conto della nostra fede. La principale missione degli apostoli è quella di annunciare il Cristo risorto per renderlo presente agli altri. Un annuncio che non si può tacere ... Pietro e gli apostoli non si lasciano scoraggiare dalle minacce e dalle persecuzioni delle autorità di Gerusalemme. Con coraggio, rispondono che "bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini". (...) I numerosi abusi subiti dalla popolazione centrafricana, in generale, e dai cristiani in particolare, mostrano una decisa volontà di nuocere alla pratica della legge cristiana e d’impedire l'opera di evangelizzazione: - Più di un centinaio di veicoli e motocicli rubati; - Edifici di chiese e altri oggetti religiosi profanati (a Mobaye nell a parrocchia di San Giuseppe, la Madonna della Concezione di Batangafo e altri); - Le radio cattoliche e centri pastorali saccheggiati e devastati; - Celebrazioni liturgiche disturbate; - Colpi sparati nella cattedrale di Notre Dame a Bangui al termine della celebrazione della Domenica delle Palme; - Assalto a sacerdoti e religiosi: tra cui a suore, a sacerdoti di Mbrès Alindao, Bangui, Bossangoa e anche al Vescovo di Bambari; - Impedimento agli spostamenti di operatori pastorali (3 vescovi, sacerdoti e suore bloccati a Bangui dopo la Settimana Santa). 50 Deploriamo anche la contro testimonianza di quei cristiani che hanno partecipato attivamente al saccheggio e alla distruzione di proprietà. ragazzini armati e combattenti, di entrambi gli schieramenti: dall’inizio del conflitto, secondo UNICEF, il loro numero ha superato i 600.000 Gesù domanda a Simon Pietro: “Simon Pietro, figlio di Giovanni, mi ami tu più di costoro?". Cristo ci rivolge la stessa domanda, perché vuole che noi lo amiamo per comunicare il suo amore ai nostri fratelli e alle nostre sorelle e, di fronte alla crisi militare e politica del nostro paese, chiediamoci allora se amiamo davvero la Repubblica Centrafricana. Amiamo le strutture dello stato come le scuole, gli ospedali, i municipi, le prefetture? Amiamo i centrafricani che hanno servito il loro paese in qualità di alti funzionari? Amiamo veramente i deboli, i poveri e gli indifesi? Amiamo i malati, bisognosi di cure adeguate? Amiamo e rispettiamo davvero i morti che chiedono solo di essere sepolti con dignità? Sorgono dei dubbi sull'amore che nutriamo per il nostro paese se consideriamo alcuni atti spregevoli che sono stati commessi: - Minacce, terrore e torture psicologiche; - Stupri di giovani ragazze e di donne, alcune delle quali si sono suicidate; - Reclutamento di bambini soldato e nella milizia; - Umiliazione pubblica di alcuni soldati del FACA e di poliziotti. - Costringere la popolazione a rifugiarsi nella foresta o nei boschi; - Tagliare la fornitura di farmaci e materie prime ad alcun e città; - Taglio d’energia elettrica e d’acqua anche negli ospedali e negli obitori; - Carenze di beni di prima necessità e l'inflazione; - Taglio delle comunicazione con alcune città fuori di Bangui; 51 - Edifici pubblici, ospedali, scuole, case private saccheggiate, confiscate o distrutte; - Furti e confisca dei veicoli. Di fronte ai saccheggi, agli atti di distruzione e di umiliazione sistematica, di fronte ad un tessuto sociale imbrogliato dalle menzogne, dal tradimento e dall'odio, di fronte alla caccia alle streghe, al clima di sfiducia e di insicurezza, noi corriamo il rischio di arrivare all’a postasia, rinnegando la nostra fede, di alimentare in noi lo spirito di vendetta o di vivere nella paura. La Parola di Dio, però, ci ricorda che anche in queste situazioni tragiche siamo chiamati, come gli apostoli, a dare una vera testimonianza di Cristo, vincitore della paura, dell'odio, della violenza e della morte, e Signore della speranza, dell’amore, della pace e della vita ... Ai responsabili de lla politica dico: “ciò che voi volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa è la Legge e i Profeti" (Mt 7,12). Voi sapete che il nostro paese è in crisi per non avere rispettato le parole date, per decisioni sbagliate, per scelte politiche rivelatesi dannose per la nostra sorte, per una sfrenata ricerca del potere. In questo momento, i problemi più urgenti sono, innanzitutto , la sicurezza del paese, il funzionamento coerente, libero e democratico del Consiglio Nazionale di Transizione, il disarmo e l’acquartieramento dei combattenti, il rimpatrio dei mercenari, l’effettiva ripresa del lavoro e delle attività scolastiche, la ridistribuzione di funzionari, gendarmi e agenti di polizia su tutto il territorio, il pagamento dei salari. Per amore della nostra patria, chiediamo ai politici di lavorare per la giustizia, la pace, l'armonia, il buon governo, il rispetto reciproco e il bene comune. A tutti i cristiani e a tutti gli uomini e donne di buona volontà dico: cari fratelli e sorelle in Cristo, uomini e donne di buona volontà, come abbiamo visto nel Vangelo, i discepoli, scoraggiati per la morte del loro Maestro, si sono sentiti abbandonati. Riprendono la loro vita ordinaria e ritornano alla loro attività di pescatori. Hanno faticato tutta la notte senza prendere nulla. E' a questo punto che il Cristo risorto li raggiunse presso il lago di Tiberiade e li invita a gettare di nuovo la rete sul lato destro della barca: "la gettarono e, questa volta, non riuscivano a tirarla su tanti erano i pesci." Noi stiamo facendo, a nostro modo, l'esperienza degli Apostoli dopo i tragici eventi che stanno mettendo a dura prova il nostro paese. Tuttavia, Cristo non abbandona il suo popolo in Africa Centrale. Come a Pietro e agli Apostoli, egli viene a noi e ci dice da che parte lanciare di nuovo la rete della riconciliazione, della giustizia e della pace. Resi forti dalla presenza di Cristo che scaccia dai nostri cuori la paura, ritroviamo la via del dialogo nella verità, del rispetto interreligioso e della fraternità nell'amore per la ricostruzione del nostro paese lacerato. 52 Dio benedica il Centrafrica! Ciad Piccola cattedrale per grande fabbro di P. Franco Martellozzo S.I. P rima di tutto vorrei chiudere la bocca ai critici che brontolano: "Una cattedrale a Mongo con tanta gente che muore di fame?” Ma al di là del titolo pomposo "cattedrale”, un puntino sulle « i » vorrei metterlo anch'io. E' bellissima, in pietre bianche di granito, tagliate a mano da una squadra formata dagli amici italiani di Verceia in Valtellina, capitanati da Giordano Angel. Ma potrebbe cadere sotto la minaccia di Gesù: «Di queste pietre non resterà pietra su pietra» se in concomitanza non ci fossero « le pietre vive» delle nostre comunità cattoliche che irraggiano nella regione (a 95 per cento mussulmana) fratellanza e sviluppo socio-culturale. Detto questo vorrei lasciare la penna a qualcuno il cui cognome finisce per « Sconi » originario dell'alto milanese, ma non si tratta del cavaliere. L a parola non gli manca, specialmente quando un folto pubblico pende dalle sue labbra, ma prova una ripugnanza invincibile per lo scritto e così purtroppo debbo sacrificarmi. 53 Burkina-Faso: fr. Rusconi con i suoi collaboratori mostra soddisfatto le prime cucine solari Ha passato un mesetto in Burkina dove, a velocità supersonica, ha fatto partire a razzo un'officina di cucine solari, una prima per il Burkina. E QUESTA È UN'IMPRESA EROICA, perché contemporaneamente abitava dal sultano locale sempre assente, aveva un'immensa camera con due grandi letti a tre posti da indurre in tentazione e una bellissima televisione che non funzionò mai. Ma soprattutto una cuoca spec iale che preparava sempre la solita pasta stracotta alla francese e una salsetta locale a base di peperoncini. Così è arrivato tra noi a Mongo dopo un viaggio tremendo, con un diavolo per capello e con una bella patacca nel fondoschiena che volgarmente chiamano emorroidi. Fr. Alberto lo rimise in forma in tre giorni pronto a partire via sparato per l'ultima impresa : operai allavoro nel piccolo e semplice atelier dove si stanno allestendo le cucine solari 54 il grande portone, ancora a terra, in fase di assemblamento • costruzione di un portone enorme per la cattedrale, a fisarmonica, che domanda una precisione da fuso orario (7m71 x 4m47) • costruzione di 16 quadri metallici per la posa dei vetri della cattedrale. Ognuno di questi quadri comporta più di trecento buchi ... roba da andare fuori di testa (4m74 x 1m73) Va detto che il nostro eroe non viene per rubare il lavoro ai saldatori locali ma per formarli. Quindi, per prima cosa, ha costruito quello che noi chiamiamo « gabarit » (o modello) sia per il portone sia per i quadri. È a partire da questo gabarit che i due saldatori da lui formati hanno poi saldato le porte e i quadri. Le porte sono già finite e installate, i quadri non ancora ma ormai i due saldatori, Mahamat e Hamat, se la cavano da soli. Grazie, Pietro, a nome di tutta la diocesi di Mongo e arrivederci l’anno prossimo per altre grandi imprese. Ed ecco, quasi incredibile, che Fr. Rusconi, il fabbro della cattedrale, scrive.. P. Franco Martellozzo mi propose questo lavoro perché nessuno s’impegnava a farlo: un po’ difficile e, per di più, pesante. Non c’erano disegni adeguati e ci voleva coraggio per affrontarlo. Ho un po’ tentennato, rendendomi conto dell’impegno… poi ho iniziato e, con sorpresa di tutti, è andato avanti e tutti venivano a vedere il procedere del lavoro. Oltre al portale d’ingresso, il lavoro più importante, ho dovuto affrontare la parte più difficile: tutta la parte superiore della cupola è in ferro come anche la croce. Poi ho dovuto realizzare le intelaiature in ferro dei 16 finestroni – l’edificio della chiesa è a pianta ottagonale - che dovranno contenere le vetrate colorate. Ce l’abbiamo fatta! – questo era l’obiettivo - ma posso dire che quella è stata la mia quaresima: ho trascorso la maggior parte delle ore in ginocchio, sotto un sole cocente; è stato grazie alla buona volontà, anche senza l’attrezzatura necessaria, che abbiamo fuso non solo il ferro ma anche le due religioni! 55 Ciad Al punto di partenza dopo il giro dell’oca di P. Franco Martellozzo S.I. A 56 Baro, sede di una nostra parrocchietta, abbiamo una scuola elementare, un liceo e tra le altre attività sociali anche un bel dispensario che Fratel Alberto Chiappa visita periodicamente assieme agli altri due dispensari a lui affidati, Bardangal e Dadouar. Ma per Alberto non è una novità, poiché all'inizio della sua carriera missionaria (1968) fece le sue prime armi proprio qui a Baro per rimpiazzare un fratello gesuita, Fratel Vial, partito amareggiato per le angherie subite da parte dei ribelli che avevano saccheggiato il dispensario e fracassato il suo microscopio. Fu una gavetta molto dura per Alberto che dovette lavorare in un clima generale di insicurezza e di precarietà e vide il suo confratello spagnolo Perez morire nel ’73, mitragliato dai ribelli sulla strada che va da Bitkine a Mongo: i missionari europei erano genericamente presi di mira, perché sospettati di essere in combutta con i governativi e di nascondere armi. Trascorsi 6 anni - ormai tutta la regione era stata occupata dai ribelli - le autorità militari e civili obbligarono i padri a ritirarsi da Baro, perché ritenuti testimoni scomodi. Fr. Alberto non poté perciò più lavorarvi e venne a raggiungermi a Bousso-Bailli, dove collaborammo per 12 anni e dove lanciò un po’ dappertutto dei piccoli centri sanitari autogestiti. Quante avventure vissute insieme in quelle vaste savane! Un ricordo speciale va alla nostra collaboratrice preziosa, suor Piera Scazzosi di Santo Stefano Ticino, che adesso ci assiste dal Cielo. Fu là che Fr. Alberto con Sr. Margherita, consorella di Sr. Piera, delle Suore di Nostra Signora degli Apostoli avviò un’interessante esperienza pastorale di formazione rivolta alle giovani coppie in preparazione al matrimonio cui partecipavano anche coppie musulmane. Da Bousso-Bailli Fr. Alberto passò a Kiabé, per collaborare con dei gesuiti spagnoli e lì sfruttò particolarmente la sua dote di rabdomante per costruire pozzi in zone dove l'acqua era molto difficile da trovare e dove, per lui, ci fu l’incontro/scontro con la cooperazione elvetica che aveva stipulato dei contratti con il governo ciadiano per progetti di sviluppo in ambito sanitario, ma fr. Alberto con molto senso pratico, d’accordo con il sotto prefetto, mise come condizione che fossero scavati dei pozzi, perché senz’acqua pulita la salute va a farsi benedire, e la spuntò! E, sempre nell’ambito del progetto salute, gestì un deposito di medicinali che aveva sede nel mercato di Kiabé. Finalmente fu destinato a Sarh e fu responsabile della farmacia centrale del BELACD (Caritas diocesana) per 18 anni, durante i quali, per quattro anni, dovette anche assicurarne il coordinamento sanitario, poiché, partito il medico spagnolo, lunga fu l’attesa della dottoressa tedesca, inviata da Misereor. Ma la dottoressa curava e operava i malati nell’ospedale di Moissala, a 190 Km dalla sede del BELACD di Sarh, dove giungeva solo in caso di necessità. Fr. Chiappa si definiva la ruota di scorta e continuava la supervisione dei centri sanitari, li riforniva di medicinali, provvedendo anche ai due ospedali di Moissala e Goundi, costruito da P. Angelo Gherardi S.I. Poi, come passatempo, faceva anche il ministro della nostra piccola residenza, dove P. Luigi Lomazzi trovava un confratello sempre disponibile ad aiutarlo. Un’attività, la sua, che ha dato una visibilità tangibile della Chiesa cattolica, sensibile verso tutti, senza alcuna discriminazione. Pensava che ... avrebbe potuto ritornarsene in Italia, dopo tanti anni di avventure e di servizio; il Signore invece volle dargli un'ultima penitenza (o soddisfazione): tornare a Baro, luogo dei suoi primi passi nella vita missionaria, per salvare il nostro progetto sanitario, che stava facendo acqua da tutte le parti per una gestione disastrosa. In particolare i suoi predecessori avevano fatto un’ordinazione di medicinali talmente strampalata, che minacciava di far crollare tutto il sistema finanziario del vicariato. Non scendo nei dettagli, perché fr. Alberto in passato ne ha già parlato, ma un solo esempio: una caterva di medicinali praticamente scaduti e da buttar via già dopo un mese dal loro arrivo dalla fabbrica olandese IDA. Con pazienza da anacoreta, Fr. Alberto riuscì a districare la matassa e a limitare al massimo le perdite. Bisogna ricordare che è Misereor (la Caritas tedesca) che finanzia in buona parte il coordinamento sanitario di Mongo, richiedendo, però, verificabilità e trasparenza della gestione! La situazione trovata da fr. Alberto era … dire caotica è un eufemismo! Allora, benché fumante come una caldaia sotto pressione, con pazienza certosina – non è mai stata attribuita questa dote a noi gesuiti, ma Fr. Alberto è stata l’eccezione che conferma la regola! - mise mano all’archivio che non era più stato aggiornato, il che gli ha permesso, incollato ad una sedia, mattina dopo mattina, di elaborare statistiche dal 2009 ad oggi, il che permette a un nuovo progetto di ripartire! Così, finalmente Alberto può rientrare in Italia con la viva speranza che l'opera della sua giovinezza non andrà perduta. 57 Brasile Dalle piccole sementi di Morros e di Marabá al grande Brasile di P. Gigi Muraro S.I. I l 17 ottobre 1975 a Morros, nasce una pargoletta, figlia di un pescatore sul margine del fiume Munim: Nélia. Due settimane dopo, battezzai questa bambina... Dieci anni dopo, celebrai la sua Prima Comunione, nella chiesetta di San Bernardo. A 17 anni, Nélia entrò nel Noviziato delle Dorotee, a Messejana, nella periferia di Fortaleza, nel Ceará. La conclusione delle sue esperienze religiose è stata la professione dei suoi Primi Voti, nell’antica chiesa gesuita di São Luís, del Maranhão. E io vi partecipai con soddisfazione. Qualche anno dopo, la Professione Solenne, nella Basilica di Nazareth, a Belém del Pará . Già formata, Nélia passò a varie attività, nel corso degli anni, tra cui: Manacapurú (sul Rio delle Amazzoni), a Manaus (sul Rio Negro), in un collegio di Belém, e, adesso nella periferia di Marabá, dove lavora allegra nel giardino infantile delle famiglie povere. 58 Il 29 ottobre 1975, giorno del mio compleanno, ero nel Maranhão e, proprio quel giorno, nacque una bambina, chiamata Aparecida. La sua mamma era devota e così, quando io celebravo la Messa, vi partecipava sempre, con la sua bimbetta, sui tre anni o poco più, che incominciò a imparare... Gli anni passarono... e, sui 10 anni, avevamo l’occasione di incontrarci e parlare ... Arrivarono i famosi 15 anni e le feci un regalo: il libro “Storia di una anima”, di Santa Teresina del Bambino Gesù. Aparecida diventò sacrestana, sempre attenta a che in chiesa ci fossero i fiori freschi e, contemporaneamente, diventò catechista di due gruppi di alunni. Nel 1991, arrivò il Papa e ogni Parrocchia poteva inviare una sola persona alla celebrazione eucaristica - 80 mila persone – ed io decisi di scegliere la piccola Aparecida. Una rivoluzione, ma rimasi fermo nella mia ostinazione: sapevo che qualcosa sarebbe accaduto... E, infatti, Aparecida decise la sua scelta. Conclusi gli studi liceali, nel dicembre 1993, lasciò la famiglia e partì per il Carmelo: diventò Sr Maria Luisa. Oggi è Vice-Priora del Convento San Giuseppe, a São Luís del Maranhão. Dalla famiglia Rabelo, nell’estremo quartiere del paese di Morros, nel 1982, nacque un bambino. Nel giorno della festività di San Giovanni Battista – 24 giugno – ho sparso su di lui l’acqua del battesimo, nel nome di Bernardo. Era una famiglia di grande fede religiosa, che fece sì che Bernardo fosse assiduo alle Messe, al catechismo, nelle devozioni. Arrivato all’età di 16 anni, aiutava nella liturgia e nelle riunioni della Parrocchia. Nel 2001, un Gesuita di São Luís gli propose la formazione nella Compagnia di Gesù. Io stavo a Marabá e Bernardo venne nella nostra casa religiosa. Pensavamo che si sarebbe fermato un paio di mesi, per poi proseguire nel Noviziato. Ma un pomeriggio avvenne che, mentre Bernardo stava per entrare in casa, davanti a lui, sul marciapiede, un assassino freddò con 7 colpi un giovane. Per Bernardo fu uno shock e preferì tornare a Morros. L’anno seguente entrò nel Seminario Diocesano di São Luís. Seguì gli studi – filosofia, teologia - con egregi risultati e nel 2009 ricevette il diaconato. L’anno successivo, il 5 settembre 2010, assieme ad altri due seminaristi della stessa Parrocchia del Munim, Bernardo fu ordinato sacerdote. Fu una grande festa per la sua Prima Messa, nella nostra grande chiesa di Morros. Padre Bernardo fu scelto dal Vescovo a dirigere la prossima Parrocchia di Humberto di Campos. Due mesi dopo – in quel tragico 22 novembre – Padre Bernardo offrì un passaggio sulla sua auto ad un giovanotto.... era un bandito: gli sparò cinque colpi a bruciapelo e lo buttò in mezzo al bosco. Benché gravemente ferito, riuscì a tornare sulla strada, fu portato nell’ospedale, ma inutilmente: morì subito dopo il ricovero. Sianne, brava ragazza, abitava a Marabá, nel quartiere Alto Planalto, più che un quartiere, una favela. La sua mamma era stata abbandonata dal marito: lavorava come lavandaia. La famigliola era religiosa. Avevo invitato nella casa di Belo Horizonte due scolastici gesuiti, delle Antille, affinché potessero organizzare la Comunità Parrocchiale. Sianne conobbe i Gesuiti... entrò nel lavoro, con entusiasmo. I gesuiti restarono soltanto un mese: poca cosa, ma il frutto del loro lavoro fu proprio la vocazione di Sianne. Aveva voglia di servire e aiutare nell’annuncio del Vangelo. Così la scelsi per lavo- 59 rare negli accampamenti dei Senza-Terra, specialmente nella Bamerindus e nella Pastorisa. Sianne non si tratteneva pochi giorni: approfittava delle vacanze per formare i nuclei comunitari. Arrivò un’equipe di Suore Catechiste Francescane che invitò la ragazza ad unirsi a loro. Dopo pochi mesi, Sianne decise di entrare nella loro Congregazione trasferendosi a Mundo Novo, nella Bahia. Come aspirante, poi postulante e, finalmente, nel 2003, entrò nel Noviziato di Feira di Santana (vicina dei Gesuiti), dove proferì i suoi Primi Voti. E poiché Sr Sianne era una donna in gamba, dove la inviò la Superiora? In Patagonia! Tra la neve, senza conoscere la lingua spagnola! La imparò in poco tempo, abituandosi al freddo: sempre con allegria e buona disponibilità. Tre anni! Tornò in Brasile, a Marabá, per celebrare la sua Professione Solenne, nel giorno 11 febbraio 2012, nella chiesa di Sant’Antonio, dell’Alto Planalto, proprio quella che io costruii alcuni anni fa. Adesso Sr Sianne sta nel Morro do Chapéu, in mezzo alla regione, povera, arida, della Bahia. Dall’interno del Maranhão, nel comune di Timbiras, una famiglia scelse di lasciare quella regione per mettersi in viaggio verso Itupiranga, nel Sud del Pará. Tra loro c’era un bambino di cinque anni, il suo nome: Orazio. Il padre era pescatore e più tardi anche il figlio lo diventò. Nel 1997, una Suora Teresiana arrivò nella mia casa di Marabá e, senza tante storie, mi disse che c’era un bravo ragazzo che avrebbe potuto diventare gesuita. Mi chiese di invitarlo l’indomani stesso. Detto e fatto: Orazio venne e rimase sei mesi. Una sera, io e Orazio, andammo in un difficile accampamento dei SenzaTerra. Stavamo per addormentarci, quando venimmo a sapere che c’erano cinque bambini con una grave forma diarroica. Durante la notte, tentammo di fare qualcosa: inutilmente. La mattina seguente, sulla mia piccola Fiat, caricammo tre mamme con i cinque bambini, trasportandoli a un centinaio di Km, all’ospedale. Un’esperienza che segnò per sempre Orazio... Entrò nella esperienza gesuitica, poi al Noviziato di Feira di Santana, cui seguì il “Carissimato”, a João Pessoa e poi nella Filosofia a Belo Horizonte, sempre con voti alti. Visse due anni nella Compensa, il quartiere di Manaus, poi entrò nella Teologia: il 25 settembre 2011, a Marabá, è stato ordinato Sacerdote. 60 (continua) Brasile-Amazzonia Acqua, aria, terra, fuoco di Grazia Salice A vrebbe potuto essere il titolo del film “Un giorno devi andare” di Giorgio Diritti, da aprile nelle sale cinematografiche. In realtà il fuoco, l’elemento mancante, lo scorso novembre, ha divorato l’Igarapé SAO JORGE, la favela di Manaus, dove è stata girata una significativa parte del film e dove la gente ha perso tutto: la stessa dove c'era la sede dell'Equipe Itinerante, nel barrio dove viveva P. Claudio Perani S.I. Ho conosciuto questo film grazie a Kiki Perani che ringrazio per avermelo segnalato, perché parla proprio di itineranza geografica ed interiore. Mi ha molto commosso - scriveva, proponendomi di scrivere le mie impressioni perché mi ha ricordato mio fratello P. Claudio, P. Fernando Lopez e il loro impegno missionario, il loro bisogno di aiuto, il grande spettacolo naturale del Rio delle Amazzoni, il modo spontaneo e semplice della gente locale. Mi sono lasciata tentare a parlarne, perché vorrei che altri lo conoscessero e si calassero in questa realtà. Non è facile trovare le parole che dicano l’emozione, la partecipazione di donna, l’incanto per un film che è un richiamo non solo a scoprire un mondo, ma quasi un imperativo ad uscire dal proprio per aprirsi ad una dimensione più ampia, più profonda dell’esistenza: insomma, all’itineranza interiore. Augusta, la protagonista, dice “Devi andare, devi essere, devi sperare”. Morte e vita si affrontano in lei e nel loro duello si dipana una storia che inizia con l’ecografia di un feto, inerte nel grembo della madre, una storia di lacerante dolore per l’impossibilità di essere madre, di fallimento, di sconfitta, di spogliazion e. 61 62 Da questo lutto ha inizio un imprevedibile viaggio dalle Alpi all’Amazzonia, un pellegrinaggio sì, nello spazio, ma anche dentro di sé, scandito dal mutare dei luoghi e delle stagioni, ma soprattutto da una sofferta rinascita interiore, un cammino - l’insistenza della macchina da presa nell’osare tempi lunghi nelle scene, per significare l’immagine - che porta gradualmente la protagonista all’assunzione dell’essere. Contrapposizione tra due mondi: la sterilità di Augusta, metafora di una realtà, la nostra, immobile, tacita, fredda, soffocata nel perbenismo, che non sa più trovare le parole per esprimere i propri sentimenti – la maschera tragica del volto della madre di Augusta, la sua chiusura alla vita – né per dire la gioia o gridare il dolore; solo la fredda fissità del volto dice solitudine, amarezza, disapprovazione, ed una realtà, l’Amazzonia, che pur apparentemente derelitta, è viva, è un mondo che si muove con ritmo gioioso e vitale come nel ballo, un mondo che sa accogliere ed amare come Arizeta, donna viva, sapiente e madre, potremmo dire, per vocazione, nella sua favela di Manaus e tra gli indios dove collabora con un missionario medico, p. Fernando, nell’educazione sanitaria. Il tema del viaggio o dell’itineranza – ITINERANTE, non a caso, è il nome della barca che scivola sulla grandi acque amazzoniche – è il filo conduttore del film e l’acqua è il segno della rinascita, segno “battesimale” cui si contrappone un altro forte segno, la neve, che altro non è che acqua congelata, che continua a imbiancare, tutto coprendo come una coltre immacolata, il montuoso paese nat io, il secolare monastero trentino, dove la madre di Augusta va a cercare notizie della figlia e dove anche cerca una risposta che non trova - “Lui non c’è, non si fa sentire” - perché anche il monastero sembra pietrificato, dentro ad una bolla, in contrasto al pulsare, fremere della vita nuova che Augusta ha incontrato. Un film “religioso” non nel senso tradizionale della parola, anche se la religio ne tradizionale fa da sfondo al racconto che da intimistico diventa universale, un racconto dell’invisibile, di un’avventura dello spirito. La religione tradizionale, così il regista affronta il dilemma, non dà risposte: in questa itineranza la protagonista non trova il senso, la risposta soddisfacente alla sua ricerca né nella missionaria sr. Franca - professionista dello spirito così la chiama – n é nel missionario impegnato in un mega progetto di sviluppo per gli indios - ma l’hanno mai richiesto? - con un partner italiano il cui fine è il businnes. Augusta ha bisogno di scendere in profondità, per tornare alla terra e l’accompagnerà un libro “In attesa di Dio” di Simone Weil, dono di p. Fernando. L’evento “religioso” che le permetterà di fare esodo dal suo dolore non sarà un’illuminazione dall’alto, ma qualcosa che matura in senso orizzontale, attraverso l’incontro con la comunità della favela di Manaus che l’accoglie e con cui condivide la vita, anche se non vi troverà la risposta piena. Lascerà tutto per confondersi con la natura. In questo incontro a tu per tu con la terra, sulla spiaggia, dove sembra smarrirsi nello scatenarsi degli elementi, di fronte all’immensità del fiume, riceverà il dono di una visita particolare. È un processo di svuotamento per riempirsi di nuovo, il suo corpo diventa quello di un’orante, e … l’arrivo del bambino che gioca con lei segna un nuovo inizio. 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