Jacques-Louis David

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Jacques-Louis David
Jacque-Louis David
Nato a Parigi nel 1748, David frequentò l’Accademia di Belle Arti nella capitale francese,
vincendo nel 1774 l’ambitissimo Prix de Rome, il concorso che permetteva ai premiati di
soggiornare nella capitale dell’antico impero e di studiarne direttamente le opere.
David soggiornò in Italia dal 1775 al 1780 ed ebbe modo di studiare la scultura e la pittura
romane e l’opera di Raffaello. Vi ritornerà nel 1784 per dipingere il suo primo capolavoro: “Il
giuramento degli Orazi” (1784, olio su tela, 330 x 425 cm, Musée du Louvre, Parigi)
Se Canova esprime l’ideale estetico dell’epoca, David interpreta quello etico: l’uomo-eroe,
che assume su di sé l’impegno di liberare la patria, forte della propria dignità umana e del
proprio senso del dovere. Il quadro rappresenta appunto quest’ideale, che si credeva
realizzato dagli antichi eroi romani.
Il soggetto, infatti, è scelto
dalla storia della Roma
monarchica quando, durante il
regno di Tullio Ostilio, i tre
fratelli
Orazi,
romani,
affrontarono i tre fratelli
Curiazi, albani, per risolvere in
duello una contesa sorta tra
Roma e la rivale città di
Albalonga.
Essi, combattendo fino al
limite estremo (due di loro
caddero sul campo), diedero la
vittoria alla patria. Il soggetto
rappresenta dunque le virtù
civiche romane ma è la forza e
la coerenza del linguaggio
davidiano
che
riesce
a
comunicare allo spettatore questi contenuti morali e a dare valore artistico al dipinto.
La scena si svolge all’interno di un cortiletto che, per le dimensioni ridotte, rende più
evidente l’importanza del fatto. Un porticato a tre arcate divide lo spazio antistante in
altrettante zone, ciascuna corrispondente a tre diversi momenti psicologici: al centro la
ferma volontà del vecchio padre che, prima di affidare loro le spade, esige dai figli il
giuramento “vincere o morire”; a sinistra l’adesione totale, senza esitazioni, dei tre giovani; a
destra l’angoscia silenziosa delle donne, abbandonate nel dolore e nella rassegnazione.
A rendere la determinazione degli uomini è l’inesorabile rigore geometrico delle linee rette
(costituite dalle gambe, dalle braccia, dalle spade, dalla lancia) e l’impianto prospettico
centralizzato che ha come punto di fuga la mano che stringe le spade, centro anche
simbolico dell’opera. L’abbandono doloroso delle donne è invece reso dalla prevalenza di
andamenti curveggianti e dalla disposizione obliqua in profondità così da interrompere la
fuga prospettica della striscia pavimentale.
Anche la luce ha una precisa funzione espressiva: essa proviene lateralmente, da sinistra,
fa risaltare i gruppi e accentua l’evidenza dei corpi con le ombre portate. I gesti assumono
valore plastico, i panneggi sono ben rilevati e mossi per dare autenticità alla scena. In
conformità all’estetica neocalssica, David non mostra il momento cruento del
combattimento, ma sceglie il momento che precede l’azione, quello supremo del
giuramento, per porgere un messaggio chiaro: l’amor di patria, la fiducia nei valori morali e
nelle qualità umane, proprio della temperie culturale che condurrà allo scoppio della
rivoluzione.
Ad essa David aderì completamente, come uomo e come artista: deputato della
Convenzione, seguace di Robespierre, socio del club dei giacobini (così chiamati perché
erano soliti riunirsi nell’ex convento domenicano di S. Jacob), cercò, attraverso la pittura, di
eternare i grandi ideali della Rivoluzione.
La morte di Marat (1793, olio su tela, 165 x 125 cm, Musées Royaux des Beaux-Arts,Bruxelles).
A un fatto storico contemporaneo e
alla sua sublimazione è dedicato il
suo quadro più compiuto e
commosso: l’uccisione di Marat,
pugnalato il 13 luglio 1793 da
Carlotta Corday. Ella, appartenente
al gruppo rivoluzionario moderato dei
girondini (detto così perché i suoi
principali esponenti provenivano dal
dipartimento francese della Gironda),
decise l’omicidio di Marat, direttore
del giornale “L’ami du peuple” e
presidente del club dei giacobini,
ritenendolo
responsabile
degli
eccessi della guerra civile nata tra le
due distinte correnti politiche. Si fece
allora ricevere da Marat con il
pretesto di presentargli una supplica
e, mentre egli scriveva il foglio di
assenso alla sua richiesta, lo
pugnalò a morte.
Il titolo, scritto sul tavolinetto a lettere
maiuscole ha un significato preciso:
“A Marat, David”, non “La morte di
Marat” come è più noto. Perché
David non presenta l’azione omicida,
ma le sue conseguenze, in modo da
esaltare la grandezza d’animo del personaggio e allo stesso tempo condannare l’azione
malvagia e vile dell’assassina; non narra un fatto ma invita alla meditazione sulle virtù
civiche e sul sacrificio di un uomo superiore che diventa così esempio da imitare.
Marat giace riverso nella vasca da bagno in cui era immerso per necessità curative e ciò
contribuisce ad esprimere la forza morale dell’uomo che, nonostante la sofferenza fisica,
prosegue la sua azione a favore del popolo.
L’ambientazione scenica è povera ed essenziale, avendo
eliminato l’artista tutti quegli elementi (noti dalle cronache
del tempo) che nella realtà caratterizzavano il luogo del
delitto: la tappezzeria in carta da parati, sostituita da un
fondo scuro e quasi monocromo, la cartina della Francia e
delle pistole appese, il cesto che fungeva da tavolino,
sostituito da una cassetta di legno che diventa una lapide.
Il calamaio e la penna d’oca su di essa, la penna stretta
nella mano destra e il coltello lasciato a terra dall’assassina
sono come gli strumenti della Passione. Non a caso, infatti,
David costruisce l’immagine del defunto come se si
trattasse di una Deposizione di Cristo: la ferita aperta sul
costato ancora gronda sangue, la testa è riversa, il braccio
è abbandonato lungo la sponda della vasca e il lenzuolo
macchiato di rosso è quasi un sudario. E’ importante
confrontare il braccio dell’ucciso con quello di Cristo nella
“Deposizione” del Caravaggio, sul quale certamente David
ha meditato e infatti anch’egli si serve della luce per
sottolineare i contenuti e dello spazio sovrastante, vuoto,
scuro e preponderante, per ottenere un senso di incombenza tragica. In quest’opera David
condensa l’esperienza e la morale dell’epoca in cui vive: anche Marat è un “giustiziato”, e
l’ingiustizia di cui è vittima riscatta le condanne che aveva pronunciato, le assolve da ogni
sospetto di ingiustizia. Così egli arriva ad una nuova concezione del quadro storico: la storia
non è più fatto memorabile, né episodio; è la logica e, insieme, la morale degli eventi.