OmOgenitOrialità
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OmOgenitOrialità
C o l l a n a d i P s i co l o g i a Abbie E. Goldberg Omogenitorialità Famiglie con genitori gay o lesbiche: studi e ricerche Presentazione all’edizione italiana di Claudio Rossi Marcelli Indice 7 Presentazione all’edizione italiana (C. Rossi Marcelli) 15 cap. 1 Introduzione. I genitori omosessuali e i loro figli: ricerca e problematiche attuali 29 cap. 2 Partner ma non genitori: le relazioni intime di lesbiche e gay 69 cap. 3 Da partner a genitori: la transizione alla genitorialità per le persone omosessuali 117 cap. 4 Lesbiche e gay nel ruolo di genitori 157 cap. 5 I figli di genitori omosessuali: adattamento ed esperienze 193 cap. 6 La parola ai giovani e agli adulti con genitori omosessuali 215 cap. 7 Conclusioni e indicazioni per il futuro 229 Bibliografia Presentazione all’edizione italiana Claudio Rossi Marcelli Noi. Loro. Gli altri Noi La giornata tipo della nostra famiglia inizia alle sei e mezzo del mattino. Mio marito, che è il più mattiniero, si occupa di preparare la colazione. Io, invece, sveglio con calma i nostri figli, due bambine di sette anni e un maschietto di tre, e li aiuto a vestirsi. Abitiamo a Copenaghen, dove d’inverno bisogna coprirsi per bene e dove alle sei e mezzo del mattino l’alba è ancora molto lontana. Cerchiamo di fare colazione tutti insieme, ci piacerebbe un giorno riuscire a mettere in scena quei quadretti delle pubblicità televisive dove tutti i membri della famiglia ridono e scherzano intorno a una tavola imbandita. Ma il più delle volte la colazione si traduce in una corsa contro il tempo: noi ci teniamo che i bambini comincino la giornata con un po’ di energia, e quindi finiamo per ripetere all’infinito «Finisci il latte»; «Mangia quella banana»; «Dai, che manca solo un ultimo biscotto!». Poi mio marito esce per andare in ufficio, i bambini prendono le cartelle, le giacche, i guanti e il cappello, e io li accompagno a scuola. Quando mi rimetto in cammino verso casa, tiro un sospiro di sollievo: anche oggi ce l’abbiamo fatta! Il nostro inizio di giornata, dai racconti che sento in giro, non è poi così diverso da quello delle altre famiglie: il fatto che noi genitori siamo due uomini non è un argomento che fa irruzione tra il latte e i biscotti della colazione. E 8 Omogenitorialità se è per questo neanche a cena. La nostra omosessualità è rilevante solo al di fuori delle mura di casa. E spesso molto meno di quanto si possa immaginare. Ma facciamo un passo indietro. Io e mio marito, all’epoca ancora il mio compagno, siamo diventati genitori negli Stati Uniti grazie all’aiuto di due donne — una donatrice di ovulo e una gestante, che ha portato avanti la gravidanza — con la tecnica nota come «gestazione per altri». Non è stata la prima strada che abbiamo esplorato ma, dopo aver capito che l’adozione era inaccessibile per due uomini e che non ci sentivamo a nostro agio con la scelta di formare una famiglia allargata con un’amica o una coppia di amiche lesbiche, abbiamo deciso di partire per gli Stati Uniti e informarci su quello che dieci anni fa era un metodo molto poco conosciuto. A convincerci che questa fosse una strada percorribile e corretta è stata Tara, la donna che ha poi portato in grembo i nostri bambini. Per lei, che abbiamo incontrato attraverso un’agenzia specializzata, il compenso economico era solo una tra le ragioni che l’aveva spinta a proporsi come gestante, perché, oltre a questo, c’era anche la voglia di fare qualcosa di «grande» per qualcun altro e di sentirsi parte di un progetto speciale. E la sensazione positiva che ci ha trasmesso all’inizio non è stata un’illusione: con Tara ci siamo trovati così bene che, dopo la prima gravidanza gemellare, abbiamo ripetuto l’esperienza per avere un terzo bambino. Nonostante il percorso quasi fantascientifico che ci ha permesso di avere dei figli, io e mio marito siamo dei genitori normali. A volte perfino banali. A cominciare dalla nostra distinzione dei ruoli: lui, che svolge un’occupazione di maggior responsabilità, lavora a tempo pieno, mentre io mi divido tra la cura dei figli e la mia professione da casa. Il momento esatto in cui abbiamo deciso di diventare genitori è stato quando ci siamo resi conto che un bambino che fosse cresciuto con noi sarebbe stato un bambino fortunato. Un atto di ottimismo, forse perfino di arroganza, ma credo che chiunque decida coscientemente di mettere al mondo un bambino stia compiendo un atto di ottimistica arroganza. Forse la società non era ancora pronta, ma noi lo eravamo. Quando siamo diventati genitori, lo siamo diventati subito al cento per cento. Il fatto che ognuno dei nostri figli abbia un legame biologico con uno solo di noi non ha mai fatto nessuna differenza. Non è stata la voglia di una discendenza naturale a spingerci a creare una famiglia: se fosse stato possibile avremmo sicuramente optato per l’adozione. E comunque, una volta nati i bambini, dopo il lungo percorso che abbiamo compiuto, l’aspetto biologico l’avevamo superato da un pezzo. Il motivo per cui, dopo che io ero stato il padre biologico delle gemelle, abbiamo deciso che il seme per il terzo figlio l’avrebbe fornito mio marito è stato Presentazione all’edizione italiana 9 di natura prettamente pratica: il fatto che la normativa italiana riconoscesse solo me come padre legale delle nostre prime due figlie creava un impressionante squilibrio giuridico a mio favore, che faceva sentire a disagio soprattutto me: «Se un giorno io perdessi la testa», dicevo preoccupato a mio marito, «potrei prendermi le bambine ed escluderti dalla nostra vita, senza nessuna regola che tuteli te e loro». L’idea che io fossi il padre legale delle primogenite e lui del terzo ha bilanciato i diritti all’interno della famiglia, così che ora non sarebbe più pensabile per nessuno dei due esercitare un abuso di potere nei confronti dell’altro. Sono eventualità tristi, ma vanno messe in conto perché senza la tutela di norme adeguate le separazioni tra le coppie gay e lesbiche con figli possono diventare un far west. Ritengo, infatti, che dietro la lotta per il riconoscimento del matrimonio gay ci sia quella per il divorzio gay. Perché finché le cose funzionano si può fare tutto: comprare casa insieme, mettere su famiglia, avere un conto in banca in comune. Ma poi, quando le cose vanno male, e non parlo solo di casi drammatici come malattie e decessi, ma di una semplice separazione, allora i nodi vengono al pettine. Tutti questi pensieri, comunque, non li facciamo quasi mai e tantomeno mentre facciamo colazione. Sono riflessioni che ci hanno aiutato a prendere le decisioni, e le conclusioni a cui siamo arrivati sono ancora i princìpi che ci guidano silenziosamente ogni giorno; ma poi la vita quotidiana è fatta di altre cose. Qualche anno fa, quando abitavamo in Svizzera, un giornalista di Zurigo è venuto a passare una giornata con noi e ricordo che, nel trafficato viale sotto casa, mentre io cercavo le chiavi del portone con una mano e tentavo di tenere a bada i bambini con l’altra, lui mi ha chiesto: «Cosa risponde a chi sostiene che una famiglia con due genitori uomini è contro natura?». «Vede», gli ho risposto, «io di solito sono troppo impegnato a evitare che i miei figli finiscano sotto una macchina per preoccuparmi di questa gente.» Non ci siamo mai pentiti di aver avuto dei bambini e non abbiamo mai avuto paura del futuro. La certezza di averli desiderati tanto e di fare il possibile per crescerli nel migliore dei modi, a prescindere che ci si riesca o no, ci mette al riparo dalle critiche e dalle ideologie. La forza dei fatti è la nostra risposta a chi ha qualcosa da ridire. Loro I nostri bambini sono i più belli del mondo. E non lo dico solo perché sono il padre. O forse sì, ma non fa niente: sono davvero i bambini più belli del mondo. Le due gemelle non sono identiche, e a livello di personalità sono 1 Introduzione. I genitori omosessuali e i loro figli: ricerca e problematiche attuali Gay e lesbiche alla ricerca di un figlio nelle cliniche dell’infertilità. «San Francisco Chronicle», 5 maggio 2007 Padri gay ancora in attesa di un figlio. «Inside Out Australia», 6 maggio 2007 Via libera ai genitori dello stesso sesso. «Edmonton Journal», Canada, 7 maggio 2007 La questione dei genitori omosessuali è sia molto attuale, per l’interesse mediatico e i dibattiti politici che solleva, sia storica, poiché le persone con orientamenti, identità e comportamenti non eterosessuali hanno da sempre fatto i genitori. La maggiore attenzione dei media per l’omogenitorialità è in parte una conseguenza della visibilità raggiunta dai genitori gay nella nostra società, la quale, a sua volta, dipende da un effettivo aumento di genitori omosessuali, specialmente di quelli che diventano tali all’interno di relazioni tra persone dello stesso sesso (Gates e Ost, 2004), e da una maggiore accettazione a livello nazionale e internazionale delle lesbiche e dei gay (Hicks e Lee, 2006)1 e di 1 Ad esempio, secondo un sondaggio Gallup condotto nel 2008, il 48% degli americani ritenevano che le relazioni omosessuali fossero moralmente accettabili, mentre nel 2001 la pensava così solo il 40% (Saad, 2008). Inoltre, i dati di un sondaggio nazionale indicano che nel 2006 il 36% degli americani riteneva che l’omosessualità fosse qualcosa di innato mentre nel 1985 solo 16 Omogenitorialità una gamma più ampia di forme di famiglia (ad esempio, Thornton e YoungDeMarco, 2001). Il presente volume vuole essere una risposta a questo crescente interesse per i genitori omosessuali e per i loro figli, e al corrispondente aumento di ricerche sul tema. Benché in ambito scientifico sia già stata fatta una sintesi della gran parte delle ricerche in questo campo (ad esempio, Gottman, 1990; Mooney-Somers e Golombok, 2000; Patterson, 2000; Stacey e Biblarz, 2001; Tasker, 1999), a tutt’oggi questo è il primo libro interamente dedicato a un confronto e a un’analisi approfondita dei lavori. È possibile, così, passare in rassegna le ricerche tenendo conto di punti di vista diversi (ad esempio, quello dei figli e quello dei genitori omosessuali), affrontando argomenti poco trattati (ad esempio, il divorzio o la rottura della relazione in famiglie omogenitoriali, o le difficoltà dei figli che si scoprono omosessuali) e fornendo idee e spunti basati sulla ricerca che potranno risultare utili a molti lettori. In particolare mi aspetto che questo lavoro incontri l’interesse di ricercatori e dottorandi nel campo delle scienze sociali (ad esempio, psicologia, studi sullo sviluppo umano, studi sulla famiglia, sociologia, studi sulle donne) e di studiosi e studenti che si occupano di giurisprudenza e di studi di genere. Sarà inoltre un’importante fonte di informazioni sia per le istituzioni, sia per gli educatori, i clinici e i professionisti che lavorano nel campo della sanità o dei servizi per l’infanzia o con le famiglie, in particolare quelle omogenitoriali. A proposito della terminologia usata in questo libro In questo libro utilizzo indifferentemente l’espressione coppie di persone dello stesso sesso,2 coppie di lesbiche e coppie di uomini gay. Queste denominazioni sono abbastanza insoddisfacenti per varie ragioni. Innanzitutto, alcune minoranze sessuali non si identificano in denominazioni come lesbica e gay (Fassinger e Arseneau, 2007). Alcune di esse, ad esempio, si autodefiniscono il 20% era di quest’opinione. Analogamente, nel 2006 il 42% degli americani era favorevole a consentire l’adozione a persone omosessuali di entrambi i sessi (contro il 38% del 1999) e il 54% era a favore delle unioni civili tra persone dello stesso sesso (contro il 45% del 2003; The Pew Research Center, 2006). Secondo questi dati sarebbe in atto un trend di sempre maggiore accettazione nei confronti delle minoranze sessuali nella società americana; d’altra parte, molti americani continuano ad avere atteggiamenti ambivalenti o ostili verso l’omosessualità e i diritti delle minoranze sessuali (Stein, 2005). 2 L’espressione inglese same-sex couple è stata tradotta con l’espressione coppia di persone dello stesso sesso, dando quindi priorità al fatto che si tratta di due persone dello stesso sesso, rispetto al dettaglio dell’orientamento omosessuale (NdT). Introduzione. I genitori omosessuali e i loro figli 17 queer3 in quanto preferiscono un «termine onnicomprensivo che rappresenti la ribellione contro le norme sessuali e di genere piuttosto che uno che affermi l’appartenenza a una particolare categoria» (Fassinger e Arseneau, 2007, p. 23). In secondo luogo, tali denominazioni non comprendono esplicitamente gli uomini e le donne bisessuali. Una denominazione più onnicomprensiva come LGB (acronimo per lesbiche, gay e bisessuali), per quanto più agile, sarebbe fuorviante perché gli studi sulle coppie dello stesso sesso, nei loro campioni, riconoscono molto raramente, e approfondiscono ancora meno, le particolari situazioni degli uomini e delle donne bisessuali, distinguendole da quelle delle donne che si autodefiniscono lesbiche e degli uomini che si autodefiniscono gay. Al contrario, in queste ricerche le donne e gli uomini bisessuali vengono considerati funzionalmente assimilabili alle lesbiche o ai gay in virtù della loro partecipazione a relazioni tra persone dello stesso sesso. Analogamente, quando vengono studiate le relazioni eterosessuali si tiene conto raramente degli uomini e delle donne bisessuali (ma si vedano Edser e Shea, 2002; Matteson, 1985; Reinhardt, 2002) in quanto la maggior parte delle ricerche su persone che hanno una relazione eterosessuale presume un’identificazione eterosessuale. Pertanto, parlerò di genitori LGB soltanto quando questa definizione è scientificamente valida, cioè quando uno studio ha veramente coinvolto genitori che si autodefiniscono lesbiche, gay o bisessuali. Sono consapevole del fatto che tutte queste espressioni sono imperfette e troppo semplicistiche, e nascondono un’enorme variabilità ed eterogeneità sul piano dell’esperienza soggettiva; cionondimeno, ho deciso di utilizzarle in questo lavoro per evitare giri di parole che appesantirebbero la lettura. Questo volume passa in rassegna anche le rarissime ricerche esistenti sulle esperienze dei genitori transgender e dei loro figli. I genitori transgender non sono per definizione minoranze sessuali; infatti possono affermare di essere eterosessuali, lesbiche, gay, bisessuali o queer, oppure possono preferire un altro appellativo (Devor, 1997; 2002; Hines, 2006a). Ciononostante, spesso le persone e i genitori transgender vengono considerati (e si considerano) membri della più ampia comunità omosessuale/queer, in parte perché condividono con le persone LGB molti interessi sociali e politici (Devor, 2002). Infatti, le minoranze sessuali e le persone transgender vengono considerate estranee alla corrente principale della società nordamericana e sono regolarmente svalutate e stigmatizzate in ragione delle loro identità marginali (Dreschler, 2003). Così in 3 Nella lingua inglese la parola queer significa fuori dalla norma, bizzarro, strano o curioso ma viene anche utilizzata, spesso in modo offensivo, in riferimento a persone omosessuali, bisessuali o transgender. 18 Omogenitorialità qualche caso parlerò di genitori LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transgender) o di comunità LGBT, di solito in riferimento alla comunità generale dei genitori o delle persone LGBT oggetto di studio. Organizzazione del libro L’organizzazione del libro rispecchia il ciclo di vita della famiglia omogenitoriale, nel senso che le ricerche vengono organizzate in base allo stadio di vita e alla fase evolutiva di queste famiglie. In ogni capitolo vengono proposte delle indicazioni per la ricerca futura ed enucleate le implicazioni professionali. Ognuno di essi si conclude con un breve elenco delle risorse pratiche che potrebbero essere d’interesse per il lettore (libri divulgativi, siti internet e video). Il secondo capitolo, intitolato Partner ma non genitori: le relazioni intime di lesbiche e gay, presenta le ricerche sulle relazioni intime tra persone dello stesso sesso4 che non sono genitori, almeno per il momento. Qui si cercherà di rispondere a domande quali: come si formano le coppie di lesbiche o di gay? Quali sono le caratteristiche delle relazioni sane o riuscite tra persone omosessuali? Come viene contrattata la spartizione del lavoro retribuito e non retribuito all’interno di queste coppie? In che modo i diritti matrimoniali e altre forme di riconoscimento giuridico potrebbero influire sulle relazioni tra persone dello stesso sesso o modificarle? Il terzo capitolo, Da partner a genitori: la transizione alla genitorialità per le persone omosessuali, presenta la letteratura sulla condizione di genitore delle minoranze sessuali. Tra le domande a cui si cerca di rispondere troviamo: come decidono di diventare genitori lesbiche e gay? In queste coppie come vengono prese le decisioni per diventare genitori (adozione, fecondazione alternativa, surrogazione di maternità)? Come cambiano i rapporti, i ruoli e le identità durante questa transizione? Il quarto capitolo, Lesbiche e gay nel ruolo di genitori, presenta le esperienze, i punti di vista e i processi di adattamento delle coppie di genitori omosessuali. Alcune delle domande affrontate nel capitolo sono: come vengono gestiti i ruoli di genitore e di partner in queste coppie? Come vengono affrontate le connotazioni femminili o maschili della maternità e della paternità? In che modo viene vissuta l’eventuale rottura della relazione, in mancanza di garanzie 4 In quest’opera si dà risalto alle esperienze delle coppie di persone dello stesso sesso anziché a quella delle singole persone omosessuali. Questa scelta riflette la ricerca esistente, che tendenzialmente si è focalizzata sulle coppie più che sulle singole persone. Introduzione. I genitori omosessuali e i loro figli 19 giuridiche a tutela dei diritti di entrambi i genitori? Quali sono i valori e gli obiettivi dei genitori omosessuali? Le questioni considerate nel quinto capitolo, I figli di genitori omosessuali: adattamento ed esperienze, riguardano lo sviluppo e le esperienze dei bambini cresciuti in queste famiglie. Ad esempio, come si sentono ad avere genitori omosessuali? Il fatto di avere genitori dello stesso sesso influisce sull’identità, la salute mentale e l’assunzione di un ruolo culturalmente corrispondente al proprio sesso biologico? In quali modi? Come vengono affrontati i particolari problemi connessi al fatto di avere come genitori una coppia dello stesso sesso? Come viene gestita, ad esempio, la rivelazione di questo aspetto della propria famiglia? Il sesto capitolo, La parola ai giovani e agli adulti con genitori omosessuali, descrive le ricerche emergenti che danno voce agli adulti allevati da genitori omosessuali. Ad esempio come percepiscono le loro esperienze di crescita e formazione? Come gestiscono i problemi connessi alla rivelazione di certe informazioni riguardanti la loro famiglia (cioè all’ammissione dell’omosessualità dei genitori)? Quali sono le esperienze degli adulti che hanno avuto genitori omosessuali e che si dichiarano loro stessi non eterosessuali? Infine, il settimo capitolo, Conclusioni e indicazioni per il futuro, riassume brevemente i risultati a cui è pervenuta la ricerca fino a oggi e indica alcune aree tematiche, nel settore degli studi sulle famiglie omogenitoriali, particolarmente meritevoli di approfondimenti. Riferimenti teorici e concettuali Gli studiosi hanno sottolineato l’importanza di partire da teorie solide per lo studio delle famiglie omogenitoriali (ad esempio, Golombok e Tasker, 1994; Mooney-Somers e Golombok, 2000; Paechter, 2000) e questo volume è sostenuto da un’articolata struttura teorica e concettuale. Infatti varie prospettive teoriche, che si intersecano e si completano, guidano la scrittura, l’analisi e la presentazione di questo libro. La prospettiva ecologica Una delle strutture generali che indirizza questo volume è quella della prospettiva ecologica (Bronfenbrenner, 1977; 1986). Questo modello teorico enfatizza l’importanza di tenere conto dei molteplici contesti della vita individuale nello studio dello sviluppo. Bronfenbrenner (1977), Belsky (1984) e altri 3 Da partner a genitori: la transizione alla genitorialità per le persone omosessuali Le categorie di omosessualità e di famiglia sono state considerate spesso incompatibili (Allen e Demo, 1995), e la retorica sociale e politica ha perpetuato il mito di lesbiche e gay «anti-famiglia». È per questo che fino a pochi decenni fa molte persone omosessuali che volevano diventare genitori si sposavano, dal momento che il matrimonio eterosessuale era l’unica strada conosciuta per diventare genitori. I recenti progressi sociali, politici e della tecnologia riproduttiva hanno creato un clima in cui le lesbiche e gli uomini gay sono sempre più consapevoli dell’esistenza di una serie di opzioni più ampia per diventare genitori. Così, le famiglie omogenitoriali intenzionali o programmate sono aumentate. L’aumento di lesbiche e gay che diventano genitori nel contesto di una relazione impegnata fra persone dello stesso sesso (anziché avere figli nel contesto di una relazione eterosessuale e poi dichiararsi, dopo la dissoluzione di queste relazioni) ha a sua volta contribuito a dare una maggiore visibilità all’omogenitorialità nei media e nella società in generale. Diventando genitori, le persone omosessuali destabilizzano l’interdipendenza associativa tra «famiglia», eterosessualità e riproduzione, dimostrando con il loro esempio che la famiglia non è che una costruzione sociale. In più, mettono in discussione la necessità stessa che vi siano relazioni (etero)sessuali convenzionali perché vi sia riproduzione (Agigian, 2004; Michelle, 2006). Quante sono le famiglie omogenitoriali negli Stati Uniti e com’è variato il loro numero negli ultimi decenni? Le stime basate sui dati dell’U.S. Census 70 Omogenitorialità suggeriscono che nel 1990 le coppie di uomini gay con figli erano approssimativamente 1 su 20 e le coppie di lesbiche con figli erano circa 1 su 5; nel 2000 sono diventate rispettivamente 1 su 5 e 1 su 3 (Gates e Ost, 2004). Oltre la metà degli uomini gay (52%) aveva intenzione di diventare prima o poi genitore nel corso della propria vita, contro i due terzi degli uomini eterosessuali e bisessuali. Analogamente, il 41% delle lesbiche affermava di volere prima o poi dei figli, contro il 53% delle donne eterosessuali e il 59% delle donne bisessuali (Gates et al., 2007).1 Particolare importante, dei circa 250.000 bambini che vivevano in famiglie omogenitoriali statunitensi, la percentuale di quelli adottati o in affidamento era del 4,2%, quasi il doppio rispetto alle famiglie con genitori eterosessuali (Gates e Ost, 2004). Si noti che si tratta comunque di stime prudenziali che potrebbero non tenere conto di un gran numero di famiglie omogenitoriali, a causa dell’enumerazione incompleta delle famiglie con coppie dello stesso sesso (Badgett e Rogers, 2003).2 Quel che è relativamente certo, comunque, è che il numero di famiglie omogenitoriali è in continua crescita: un cambiamento che corrisponde alla crescente visibilità delle persone omosessuali nella società. Tra l’altro, mentre queste famiglie tendono a raggrupparsi prevalentemente nelle aree urbane e progressiste negli Stati Uniti — come Austin, San Francisco e Seattle — i genitori omosessuali sono praticamente ovunque, essendo rappresentati in tutti gli Stati e in quasi tutte le contee del Paese (Gates e Ost, 2004; Gates, 2007). Queste cifre possono essere scomposte ulteriormente in uomini e donne che erano già genitori vs uomini e donne senza figli. Tra gli uomini gay con figli, il 25% ne voleva altri, e tra gli uomini gay senza figli, il 57% aveva il desiderio di diventare genitore. Agli uomini eterosessuali, queste cifre diventano rispettivamente 44% e 87% mentre tra gli uomini bisessuali diventano rispettivamente 55% e 70%. Tra le lesbiche con figli, il 49% ne voleva altri, e tra le lesbiche senza figli, il 37% aveva il desiderio di diventare genitore. Tra le donne eterosessuali, queste cifre sono rispettivamente 37% e 84%, e tra le donne bisessuali, rispettivamente 40% e 75% (Gates et al., 2007). 2 Occorre osservare che a partire dal 1990 il modulo dell’U.S. Census ha consentito ai rispondenti di indicare un altro componente della famiglia come «partner non coniugato»; in questo modo è stato possibile determinare il numero di coppie omogenitoriali confrontando i sessi dei componenti della famiglia che si definivano partner non coniugati. Ma è probabile che molte coppie omogenitoriali siano rimaste escluse dalle stime del censimento del 1990 per non avere spuntato la casella del partner non coniugato; ad esempio, alcuni uomini e alcune donne potrebbero avere contrassegnato altre categorie di relazione come «coniugato» mentre altri probabilmente hanno scelto di non identificarsi come partner non coniugati a causa di preoccupazioni legate alla confidenzialità delle informazioni (Badgett e Rogers, 2003). Nel censimento del 2000, le coppie omogenitoriali hanno avuto anche la possibilità di identificare un altro componente della famiglia dello stesso sesso come «marito» o «moglie»; di conseguenza, i conteggi a partire dal 2000 hanno incluso alcune coppie che erano rimaste escluse dall’enumerazione del 1990. Così, a causa dei cambiamenti nelle procedure di codifica adottate dal Census Bureau, i dati del 1990 non sono direttamente confrontabili con quelli del 2000. 1 Da partner a genitori 71 Questo capitolo prende in esame la transizione all’esperienza della genitorialità nelle coppie di persone dello stesso sesso. Ovviamente molte persone omosessuali scelgono di non avere figli e pertanto questo capitolo si concentra su quel sottoinsieme di persone che alla fine compie il passo. Sebbene non esista un periodo di tempo stabilito che definisca la transizione alla genitorialità, in genere questa espressione viene usata in riferimento allo stadio di passaggio collocato tra il non avere figli e l’essere genitori. Comincerò con l’occuparmi di alcuni dei fattori che possono influire sulle decisioni delle minoranze riguardo al se e al come diventare genitori. Passerò poi a considerare alcune delle particolari caratteristiche e difficoltà associate alle principali vie da seguire per diventare genitori, le più comuni delle quali sono la fecondazione alternativa, l’adozione e la surrogazione di maternità. Quindi, esaminerò il passaggio all’esperienza della genitorialità, soffermandomi in particolare sui possibili cambiamenti nella suddivisione del lavoro della coppia, nel sostegno sociale percepito e nella qualità della relazione intima nel corso di questa fase delicata. Mi concentrerò sulle esperienze delle coppie dal momento in cui cominciano a valutare l’idea di avere dei figli fino a quando i bambini iniziano a fare i primi passi, nel quarto capitolo si tratteranno le esperienze delle lesbiche e degli uomini gay con figli più grandi. La decisione: essere o non essere genitori? I recenti cambiamenti sociali, culturali e tecnologici, come si è già accennato, hanno accresciuto la consapevolezza delle opzioni per diventare genitori a disposizione delle lesbiche e dei gay. Ciononostante, alla fine molti di loro decidono di non avere figli. Tale scelta solleva alcune questioni importanti. Innanzitutto, come viene presa questa decisione? E poi, quali sono i fattori che contano nel determinare chi, alla fine, perseguirà la via della genitorialità? L’omofobia interiorizzata Un ostacolo importante che le persone omosessuali devono affrontare quando considerano se diventare genitori è l’omofobia interiorizzata (Gianino, 2008). Crescendo in una società eterosessista, molte minoranze sessuali hanno interiorizzato una complessa serie di idee interconnesse: a) che l’omosessualità sia sbagliata; b)che le lesbiche e i gay siano meno adatti a fare i genitori rispetto alle donne e agli uomini eterosessuali; 72 Omogenitorialità c) che ogni bambino abbia bisogno di una madre e un padre; d) che crescere avendo intorno persone omosessuali sia dannoso per i bambini. Per questo molte persone appartenenti a minoranze sessuali possono chiedersi se hanno il diritto di mettere al mondo o di adottare un bambino, o temere che le barriere che dovranno superare per diventare genitori siano insormontabili, e preoccuparsi per la discriminazione che un figlio potrebbe incontrare crescendo con genitori che non sono eterosessuali. Talvolta hanno preoccupazioni realistiche riguardo allo stigma che un figlio con genitori omosessuali incontrerà e, quindi, si chiedono se il loro desiderio di genitorialità sia giusto nei suoi confronti. Altre volte dubitano della propria capacità di costruire l’identità di genere dei loro figli in conformità con le norme della società tradizionale (Berkowitz e Marsiglio, 2007). Gli uomini, in particolare, devono anche lottare contro i forti pregiudizi sociali nei riguardi della capacità maschile in generale (e degli omosessuali in particolare) di allevare dei figli e prendersene cura adeguatamente (Mallon, 2004). In considerazione di tutto ciò, quindi, per una parte delle persone omosessuali l’omofobia interiorizzata rappresenta un grosso ostacolo della genitorialità. La presenza di un partner altrettanto motivato Un’altra barriera alla genitorialità (condivisa) nelle coppie di lesbiche e di gay è la presenza di un partner meno motivato. A volte, quando mettono a fuoco o ammettono il desiderio di avere dei figli, le persone omosessuali possono scoprire, o trovare conferme del sospetto, che i loro partner non sono altrettanto intenzionati a diventare genitori, fino, talvolta, a opporsi con estrema fermezza a quest’idea (Pies, 1990). Da qui può avere inizio un processo di discussione e negoziazione, che in alcuni casi porta alla dissoluzione della coppia se non si trova una soluzione al conflitto (Morningstar, 1999; Stacey, 2006). A questo punto i partner più motivati possono proseguire la strada della genitorialità per conto proprio oppure aspettare di farlo in futuro con un altro partner più orientato ad avere figli (Lev, 2004).3 In altri casi, tuttavia, il processo di discussione e negoziazione può portare il partner meno motivato a interessarsi maggiormente alla prospettiva della genitorialità: in effetti, il partner riluttante può finire per lasciarsi contagiare dall’entusiasmo e affezionarsi all’idea dei figli quanto l’altro 3 Naturalmente questo processo di contrattazione non interessa soltanto le omogenitorialità. Anche le coppie eterogenitoriali in cui uno dei due partner è meno motivato ad avere figli devono confrontarsi con dinamiche simili e decidere se separarsi, proseguire la relazione senza figli o restare uniti e diventare genitori insieme. Da partner a genitori 73 (Herrman-Green e Gehrin, 2007). Altri, tuttavia, non sono all’altezza di questo impegno. Possono accettare di sostenere l’aspirazione del partner di avere dei figli, e magari di aiutarlo, e tuttavia finire per rifiutare la possibilità della genitorialità come impresa comune (Pies, 1990). Ciononostante, ci sono prove del fatto che anche alcuni dei partner omosessuali inizialmente meno convinti di diventare genitori finiscono per apprezzare la genitorialità. Reimann (1997) ha studiato 25 coppie di lesbiche che avevano avuto dei figli con la fecondazione alternativa e ha riscontrato che in otto di esse la madre non biologica era all’inizio fortemente contraria all’idea dei figli, perché non si sentiva capace di essere un buon genitore o temeva che la sua vita potesse cambiare troppo. Dopo avere riflettuto a lungo, comunque, queste donne avevano deciso di appoggiare la decisione delle loro compagne e alla fine erano riuscite a essere contente di avere dei figli. Collocazione geografica e mancanza di risorse Un altro ostacolo per le lesbiche e i gay che intendono diventare genitori è la mancanza di informazioni e risorse utili a questo scopo. Chi vive in zone lontane, rurali o politicamente conservatrici del Paese, ad esempio, può non avere accesso a una comunità gay visibile e organizzata (Oswald e Culton, 2003) e può incontrare difficoltà a trovare risorse rivolte in modo specifico ai genitori omosessuali (ad esempio, i gruppi Maybe Baby per gli aspiranti genitori gay, o le agenzie di adozione e i centri per la fertilità ben disposti nei confronti delle persone omosessuali). Naturalmente internet può fornire informazioni importanti a chi vive in zone isolate o rurali e cerca consigli e indicazioni essenziali sulle possibilità per diventare genitori (ad esempio, Lev et al., 2005). In ogni caso, anche dopo avere trovato queste informazioni, a volte queste persone si trovano nella difficoltà di doversi interfacciare con le comunità locali per realizzare i loro obiettivi, e queste possono dimostrare di essere maldisposte, poco documentate o incapaci di qualsiasi aiuto, bloccando ogni aspirazione alla genitorialità. Inoltre, il luogo geografico in cui vivono le persone omosessuali può essere una barriera alla genitorialità condivisa, in quanto le leggi sull’adozione di molti Stati (di cui si parlerà in modo più approfondito più avanti in questo capitolo) proibiscono ai due partner di adottare entrambi legalmente i loro figli. Alcune coppie possono quindi essere riluttanti a intraprendere la strada della genitorialità a causa dell’incertezza legale (ad esempio, fino al 10 settembre del 2008, quando in Florida il divieto alle adozioni da parte di lesbiche e gay è stato dichiarato incostituzionale, lì le persone dichiaratamente omosessuali non potevano diventare genitori adottivi). 5 I figli di genitori omosessuali: adattamento ed esperienze Come abbiamo visto nel quarto capitolo, la ricerca sui genitori omosessuali e i loro figli è stata indirizzata da un particolare contesto sociale, storico e giuridico. A partire dal 1973, per l’American Psychological Association e l’American Psychiatric Association l’omosessualità non è più una malattia mentale (e il periodo in cui è stata considerata tale — dal 1951 al 1973, cioè per 22 anni — è molto più breve del tempo trascorso dal 1973 a oggi). Eppure alcuni attivisti della destra conservatrice (Cameron e Cameron, 1996; 1998; Cameron, 1999; 2006; http://www.familyresearchinst.org) hanno continuato imperterriti a considerarla una forma di devianza sociale (Cameron, 1999) e a sostenere che le persone omosessuali sono emotivamente instabili (Cameron, 1999), sesso-dipendenti (Cameron, 1999) e hanno un cattivo carattere (Cameron e Cameron, 1998). Questo sistema di convinzioni infondate è la cornice di riferimento del lavoro di vari attivisti (Cameron, 1999; Cameron e Cameron, 2002; Dobson, 2004) che hanno continuato a produrre pubblicazioni sui presunti effetti nocivi della genitorialità lesbica e gay. È stato affermato che l’omogenitorialità «può essere di grave nocumento» per i bambini (Wardle, 1997), e che i figli di omosessuali sono ingiustamente esposti all’esclusione dei pari (Cameron, 1999; Cameron e Cameron, 2002) e hanno un rischio elevato di instabilità emotiva e relazionale (Cameron, 1999; Wardle, 1997). Per corroborare la tesi secondo cui i bambini crescono meglio quando hanno sia un padre sia una madre che li educhino, gli oppositori dell’o- 158 Omogenitorialità mogenitorialità hanno attinto dalla controversa letteratura sull’assenza del padre (ad esempio, Blankenhorn, 1995; Popenoe, 1993), e, appellandosi alle ricerche sulle famiglie con madri single, sostengono che i figli di genitori omosessuali rischiano di incorrere in una serie di circostanze negative (come la delinquenza, l’abuso di sostanze e le gravidanze precoci). Ad esempio, nel suo rapporto The potential impact of homosexual parenting on children, Wardle (1997, p. 10) ha scritto: «La separazione dei bambini dai loro padri è la principale causa della riduzione del benessere infantile nella nostra società. È anche il motore che alimenta i nostri problemi sociali più urgenti», e ha concluso che «i vantaggi di avere genitori dell’uno e dell’altro genere, per i bambini e per la società, sono tali da giustificare la preferenza per questo tipo di genitorialità». Inoltre, gli stessi autori, basandosi su alcuni aspetti della teoria dell’apprendimento sociale, ipotizzano che i figli di genitori omosessuali vadano incontro a conseguenze negative sul piano dell’identità sessuale: in assenza di un modello del loro stesso sesso (e in presenza di un «modellamento» omosessuale) questi bambini sarebbero «a rischio» di sviluppare un’identità e un comportamento di genere aberranti nonché un orientamento sessuale di tipo omosessuale. Sebbene queste tesi abbiano ricevuto risposte esaurienti (Silverstein e Auerbach, 1999; Stacey e Biblarz, 2001), l’idea che avere genitori omosessuali possa arrecare danno ai figli continua a pervadere il discorso sociale sull’omosessualità e la genitorialità lesbica e gay, inducendo i giudici a dubitare delle capacità dei genitori omosessuali e, di conseguenza, a temere per lo sviluppo psicologico, emotivo e sociale dei loro figli. Il disegno e l’oggetto delle ricerche e degli studi sui genitori omosessuali e i loro figli portano l’impronta di tali preoccupazioni. Ad esempio, in genere i primi studi sulle famiglie omogenitoriali mettevano a confronto lo sviluppo dei figli di madri lesbiche divorziate con quello dei figli di madri eterosessuali divorziate, ritenendo che i secondi, essendo anch’essi senza un padre in famiglia, fossero il gruppo di confronto più indicato (Patterson, 1997). Gli aspetti indagati in questi primi studi erano quelli che si presumeva potessero risentire maggiormente dell’omosessualità dei genitori: l’identità sessuale (identità di genere, comportamento di genere e orientamento sessuale), il funzionamento sociale e la salute mentale. Ancora oggi qualche lavoro continua a sondare queste tematiche ma l’interesse dei ricercatori si è allargato e comprende, tra le altre cose, anche le esperienze tipiche e le caratteristiche dei figli di genitori omosessuali di entrambi i sessi. Inoltre, oggi si studiano sempre più i figli di genitori omosessuali in sé e per sé, senza riferimenti a gruppi di confronto (ad esempio, Gabb, 2005; Gartrell et al., 2005). I figli di genitori omosessuali 159 In questo capitolo ci occuperemo degli studi sull’identità sessuale, il funzionamento sociale e il benessere dei figli di genitori omosessuali. Poi passeremo in rassegna le ricerche che si sono focalizzate su alcune esperienze tipiche di questi bambini, come quella del rapporto reale e simbolico con i donatori del seme e quella della gestione delle informazioni sulla composizione della loro famiglia. Nella prima delle due sezioni che seguono saranno considerate principalmente le ricerche di carattere comparativo (cioè ricerche di confronto fra gli esiti e le esperienze dei bambini allevati da genitori omosessuali e di bambini allevati da genitori eterosessuali); nella seconda, esamineremo le esperienze che contraddistinguono in modo particolare i figli di coppie di persone dello stesso sesso. L’identità sessuale L’identità sessuale ha tre componenti: l’identità di genere, il comportamento di genere e l’orientamento sessuale (Green, 1974; Money e Ehrhardt, 1972). Con l’espressione identità di genere ci si riferisce al fatto che ci si senta di appartenere a un genere o, in altre parole, all’idea di essere maschi o femmine. L’espressione comportamento di genere indica la misura in cui i comportamenti, le attività, gli atteggiamenti, la condotta, le occupazioni di una persona corrispondono a ciò che la cultura di appartenenza considera maschile o femminile, e, quindi, se siano considerati appropriati o tipici del ruolo sociale di maschio o di femmina. Orientamento sessuale si riferisce al fatto che una persona provi un’attrazione sessuale più forte per le persone del proprio sesso, di quello opposto o un attrazione simile per entrambe (rispettivamente, omosessuale, eterosessuale e bisessuale). Spesso si è dato per scontato che nei figli di genitori omosessuali lo sviluppo di un’identità di genere (cioè di un’identificazione di genere corrispondente al proprio sesso biologico), di un comportamento di genere e di un orientamento sessuale «normali» potesse deviare. Alcuni scienziati, ad esempio, hanno ipotizzato che l’identità di genere dei figli maschi di madri lesbiche potesse risentire negativamente della mancanza di modelli familiari maschili con cui identificarsi, e che questi bambini potessero finire per sentirsi femmine (per un approfondimento di questa tesi, si veda Patterson, 1993). Tuttavia la ricerca non ha evidenziato alcuna differenza significativa tra l’identità di genere dei bambini allevati da genitori omosessuali e quella dei bambini cresciuti con genitori eterosessuali. In uno dei primi studi sull’argomento, Kirkpatrick, Smith e Roy (1981) hanno messo a confronto 20 figli in età scolare di madri eterosessuali e 20 di 160 Omogenitorialità madri lesbiche (di età compressa tra 5 e 12 anni); soltanto un figlio di una madre lesbica e due figli di madri eterosessuali, a quanto risulta, hanno avuto preoccupazioni per questioni connesse al genere. Anche gli studi di Golombok, Spencer e Rutter (1983) e di Green e colleghi (1986) hanno confrontato figli di madri lesbiche con figli di madri eterosessuali senza trovare prove di una maggiore incidenza di problemi connessi all’identità di genere nei primi. Così, l’assenza di un genitore maschio in famiglia e la presenza di una madre lesbica non sembrano avere effetti, singolarmente o in combinazione tra loro, sui problemi connessi all’identità di genere nei figli di entrambi i sessi. Come hanno osservato Green e colleghi (1986), i principali elementi usati dai bambini per definirsi maschi o femmine sono quelli che ottengono quando confrontano i genitali, l’abbigliamento e il nome proprio con quelli delle altre persone, e tutti questi dati normalmente sono accessibili anche ai figli delle madri lesbiche, che di solito hanno contatti con molte persone al di fuori della famiglia, a prescindere dalla sua composizione. Risultati analoghi sono emersi anche da vari studi sui figli di genitori transgender. Green (1978) ha intervistato 16 figli (fra i 3 e i 20 anni) di 7 genitori transgender e ha constatato che nessuno di loro aveva problemi di identità di genere, mentre tutti riferivano di avere attività e interessi «normali» per le persone del loro genere. Green (1998) ha intervistato anche 18 figli di 9 genitori transgender (6 maschi transizionanti femmina e 3 femmine transizionanti maschio) di età tra i 5 e i 16 anni, e ha constatato che nessuno di loro corrispondeva ai criteri del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (1994) per il disturbo di identità di genere, e non era stato attribuito loro alcun comportamento tipico del genere opposto che fosse clinicamente significativo. Un maschio e una femmina avevano fantasticato per qualche tempo di cambiare sesso quando avevano saputo della decisione dei loro genitori ma questa curiosità passeggera non si era evoluta fino a diventare un desiderio vero e proprio. Infine, Freedman, Tasker e di Ceglie (2002) hanno studiato 18 figli (fra i 3 e i 15 anni) di 12 genitori transgender (tutti maschi transizionanti femmine, eccetto uno) e hanno rilevato che soltanto una ragazza adolescente aveva avuto preoccupazioni temporanee connesse alla sua identità di genere. Alcuni ricercatori hanno affermato che gli studi svolti in questo settore sono metodologicamente deboli, in quanto tendono a usare campioni costituiti da figli di madri lesbiche divorziate (cioè bambini che hanno dei padri, per quanto non conviventi; Belcastro et al., 1993). Se si studiassero figli cresciuti in famiglie omogenitoriali intenzionali o pianificate, che non hanno contatti con un genitore uomo o donna, i risultati ottenuti potrebbero essere diversi.