Una persona cara che scompare

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Una persona cara che scompare
QUANDO UNA PERSONA CARA SCOMPARE….
Una persona cara che scompare, un parente amatissimo che non rivedremo più, il concetto stesso che
sta dietro la parola “morte. Eventi e situazioni difficili da accettare per noi, e ancor più difficili da
spiegare e far accettare a un bambino. Come riuscire a parlarne al meglio ai nostri figli, senza timore di
sbagliare, di dire magari troppo o troppo poco? Lo abbiamo chiesto alla psicologa milanese Margherita
Di Virgilio.
D – C’è un’età giusta per cominciare a spiegare al bambino il significato della morte?
R – Gli studi di Jean Piaget (che per primo, intorno agli anni ‘60, ha messo in evidenza i procedimenti e
le strategie del pensiero infantile) hanno dimostrato che la rappresentazione del mondo nei bambini
non è come quella degli adulti, ma segue comunque un percorso evolutivo preciso. Ci sono quindi varie
tappe di sviluppo in cui i più piccoli sono in grado di comprendere cose diverse, e di questo è bene
tenere conto. Stando agli studi più recenti, già a partire dai 2-3 anni di età il bambino è in grado di farsi
una propria idea di ciò che può essere e rappresentare la morte, anche se prima dei 7 anni questa
viene comunque vissuta come qualcosa di temporaneo, protratto nel tempo ma non definitivo.
Prima di tutto vorrei, però, sottolineare che un dialogo confidenziale fra genitori e figli non può
improvvisarsi nel momento in cui si ritiene opportuno parlare con il bambino di un tema scabroso, ma
va costruito sin dalla nascita, e forse anche prima. In altre parole, dove c’è un buon contatto, uno
scambio di fiducia e comprensione, si crea un clima di confidenza e di libertà che consente al bambino
di porre agli adulti tutte le domande a cui sente di voler dare una risposta.
Il bambino è estremamente curioso e incuriosito dal mondo che lo circonda, ed eventi per noi abituali e
frequenti, per un piccolo che li osserva per la prima volta, diventano fonte di sorpresa e curiosità. Ne
consegue un naturale bisogno di sapere e di capire di più. Quindi il bambino libero, prendendo spunto
dagli stimoli circostanti, è pronto a porre domande anche sui temi più complessi, come la morte, fin
dalla più tenera età.
Le occasioni che possono stimolare la curiosità dei più piccoli, specialmente nella nostra società ricca
di strumenti di comunicazione, sono numerosissime: basti pensare alla televisione, alle illustrazioni dei
giornali (guerre, terremoti, incidenti, dove si fa il bilancio dei morti). Non è possibile sottrarre i figli a
queste informazioni, anche con una selezione attenta. Quindi il bambino “sa” che esiste la morte, ed è
sano e normale che senta la curiosità di saperne di più.
E’ spesso invece la ritrosia degli adulti a frenarlo: il bambino cioè, di fronte all’imbarazzo e alla tensione
degli adulti, “sente” che è meglio non porre domande.
Se percepisce, invece un clima di distensione e tranquillità, non tarderà a chiedere spontaneamente
informazioni maggiori.
Quindi l’età migliore è quella in cui nostro figlio pone di propria iniziativa delle domande. La risposta non
può non arrivare. Sarà diversa, ovviamente, a seconda di un insieme di fattori, primo fra tutti l’età, ma
anche la maturità effettiva raggiunta indipendentemente dagli anni effettivi, la sensibilità del piccolo, il
livello di serenità presente nella sua vita e le sue particolari eventuali paure e il legame con la persona
scomparsa, se le domande nascono in occasione della perdita di un congiunto.
Come si vede, non è ipotizzabile una risposta standardizzata che vada bene per tutti, ma è bene
adattare la conversazione alle reali possibilità del bambino.
D – Molti genitori sfuggono a spiegazioni ritenute imbarazzanti o tristi e, nel tentativo di
preservare il più a lungo possibile la serenità del figlio, le rimandano sino a quando il problema
non tocchi da vicino il bimbo, per esempio quando scompare il nonno. Può essere una
soluzione valida?
R – Tendenzialmente no, anche se, effettivamente, un’alta percentuale di genitori ritiene che sia meglio
non esporre i figli a stimoli dolorosi se non vi è una necessità precisa.
Io ritengo, invece, che gli argomenti difficili vadano affrontati preferibilmente in momenti di serenità. Se
si inizia a dialogare con il bambino di un tema scabroso, è consigliabile farlo gradatamente, in modo da
dargli il tempo di assimilare i concetti un poco alla volta. Nel caso della morte, per esempio, si può
iniziare prendendo spunto da qualche fiaba (il lupo cattivo di Cappuccetto Rosso che viene ucciso dal
cacciatore, un insetto morto sull’erba del prato, i pesci in vendita al supermercato…).
In questo modo il bambino inizia a prendere confidenza con il tema della morte che, se ci si ferma alle
fiabe o agli animali, risulterà più accettabile. Successivamente, si può spostare il concetto sugli esseri
umani in senso generale, per poi arrivare, sempre per gradi, a parlare della propria morte (sarà
senz’altro il bambino che ad un certo punto chiederà: “ma allora posso morire anch’io? E anche la mia
mamma e il mio papà?”).
La gradualità, che non prevede l’urgenza di una risposta esaustiva che si verifica invece con la morte di
un congiunto, permette al bambino di assimilare un poco alla volta i concetti, e di gestire la parte più
angosciante legata all’ipotesi della morte propria o dei genitori, esattamente come fanno gli adulti
quando pensano alla fine (si, c’è, ma non mi riguarda, è lontana). Tutto questo non si può fare se è
scomparso un parente. Nell’emergenza non è possibile centellinare, si arriva subito al dunque. Inoltre la
famiglia, già provata da un lutto reale, non è nelle migliori condizioni per poter affrontare l’argomento
serenamente. Non dimentichiamo che il tema della morte è spesso un problema anche per gli adulti!
D – Si possono usare soluzioni fantasiose del tipo “il nonno è volato su una stella”?
R – Il consiglio è di fornire spiegazioni il più vicino possibile alla realtà, addolcendone il contenuto in
base ai fattori elencati prima (età del bambino, maturità, livello di serenità, ecc). Possiamo prendere ad
esempio le modalità ormai note e fortunatamente diffuse, con cui spieghiamo ai piccoli come nascono i
bambini. Non raccontiamo più che li ha portati la cicogna, ma parliamo del semino di papà che unito
all’ovetto della mamma, dà modo al bambino di formarsi dentro la pancia della mamma. Questa è una
verità scientifica addolcita e adattata alla comprensione dei bambini.
Nel caso della morte è certamente più difficile, ma credo sia la linea migliore. Non dimentichiamo che la
morte fa parte della vita e non ci è possibile preservare i bambini dall’impatto con questo concetto.
Quindi, se non li prepariamo gradatamente e verosimilmente, prima o poi si scontreranno con la verità
in modo più traumatico. E’ bene evitare di paragonare la morte al sonno, perché questo potrebbe far
nascere nel bambino angosce legate all’addormentarsi. E,’ inoltre, più complesso dare risposte
adattabili a tutti, perché subentra anche la concezione religiosa della famiglia, che va ovviamente
rispettata. E la concezione della morte e di quello che ci può essere dopo la vita è molto legata alla
religione praticata o all’assenza di credenze religiose.
Nella concezione religiosa (a prescindere dal tipo di religione), la morte ha un significato preciso e
quindi un’educazione religiosa permette di dare alla morte un significato adattivo che può essere
presentato al bambino, sempre con la dovuta accortezza, e che può dare un senso a questo evento,
sdrammatizzandolo parzialmente (ad esempio l’idea di un “al di là” dove ci ritroveremo tutti, dove tutti
saremo felici e staremo meglio, ecc., appare certamente consolatoria).
Molto più difficile risulta, invece, una concettualizzazione in assenza di credo religioso. In questi casi
l’impatto del bambino con il concetto di morte può essere più faticoso, perché così la morte appare
senza una giustificazione. Ma io penso che sia giusto e corretto trasmettere ai propri figli le proprie
concezioni, sapendo comunque rispettare le loro scelte, quando – più avanti nella vita – saranno in
grado di farle autonomamente. Per fare questo credo sia importante, nel dare spiegazioni su temi
“scottanti” e complessi, sottolineare la libertà di scelta e di pensiero, usando le parole che risultino
comprensibili al bambino, in relazione alla tappa evolutiva raggiunta, inculcandogli il rispetto per la
diversità. In tal modo lo si prepara anche a confrontarsi con spiegazioni date da altri genitori e dai
maestri, che possono essere discordanti rispetto a quelle avute dai genitori. Il bambino piccolo crede
ciecamente a ciò che proviene dai suoi genitori e dalle figure importanti di riferimento. Se gli vengono
insegnate delle verità assolute, prima o poi dovrà fare delle scelte sulle persone di cui fidarsi (ha
ragione la mamma o la nonna?) e rischia di sviluppare una mentalità rigida.
D – Cosa rispondere al figlio che chiede, di un parente scomparso o comunque di una persona
cui voleva bene: “Ma poi ritornerà?”
R – E’ bene dire che non tornerà, ma sarà presente nei ricordi e nell’affetto che si continua a provare
per la persona, anche se non c’è più fisicamente.
D – Se il bambino mostra di voler sfuggire questo argomento, è bene insistere o rimandare a
quando lo chiederà di nuovo lui spontaneamente?
R – E’ assolutamente sconsigliabile forzarlo a parlarne se mostra di non gradire il dialogo. Come ho già
detto, le occasioni che possono incuriosire un bambino su questo tema, sono continue, dunque è quasi
impossibile che non arrivino domande da parte dei piccoli. Consiglio quindi di attendere che siano loro
a formularle. Se questo non dovesse accadere, può essere opportuno stimolare il bambino con qualche
riflessione o spunto. Per esempio, di fronte all’animaletto morto in giardino, si può far notare al bambino
con una certa leggerezza: “oh guarda, una farfallina morta, non si muove più” e poi si può osservare la
reazione del piccolo. Può mostrare curiosità e fare delle domande: in questo caso è bene rispondere
con le modalità prima esposte. Se, invece, si irrigidisce o se appare turbato, conviene lasciar cadere
l’argomento. Ci sarà senz’altro un’altra occasione. Un genitore mediamente attento non mancherà di
cogliere i segnali non verbali del bambino. Si tratta solo di rispettare i messaggi che arrivano dal
piccolo.
D – Cosa dirgli se il problema tocca una persona giovane o addirittura un bambino, come un
suo compagno di scuola?
R – Innanzi tutto è bene evitare di spiegare la morte dicendo che si muore solo da anziani. La morte
esiste, fa parte della vita, è la conclusione naturale della vita e, solitamente, si muore quando si è
anziani. Si possono usare delle metafore, per esempio utilizzando le automobili: “ vanno veloci, sono
belle, funzionano bene, quando diventano troppo vecchie non funzionano più e vanno al cimitero delle
automobili… però ogni tanto, molto di rado, qualcuna si rompe prima, così è per le persone. Di solito si
vive a lungo e si muore da anziani, ma ogni tanto può capitare qualcosa di diverso, come è successo
per esempio al tuo compagno di scuola, ma sono cose molto rare”. In questo modo non si nega un
evento evidente, ma lo si sdrammatizza definendolo come molto raro (cosa che in effetti è abbastanza
vicina alla realtà) e questo serve a rassicurare il bambino sul fatto a che a lui non succederà. Se il
piccolo non si convince, mostra ansia e chiede come possiamo sapere che a lui non succederà, si può
aggiungere, rimanendo nella metafora sulle automobili, che sappiamo che lui è una macchina che
funziona bene e che potrà farlo sicuramente ancora per cent’anni!
Certo, non esiste una spiegazione che rassicuri completamente. Per esempio, se il compagno è morto
in un incidente improvviso, il bambino può chiedere “come fai a sapere che non succederà anche a
me?”. In tutto questo è presente la possibilità che il bambino viva sentimenti dolorosi e un po’ d’ansia,
ma ritengo che questo sia normale. La morte è un avvenimento non auspicabile, non si può farla
diventare un bell’evento. Dialogando, però, in momenti in cui non ci sono pericoli immediati e i congiunti
sono vivi e sani, il bambino può esternare la propria angoscia di separazione e questo gli consentirà di
accettare il concetto di morte come fatto non augurabile, ma inevitabile. E’ bene non proseguire a lungo
sull’argomento, per non appesantire l’impatto, ma neanche sfuggire alle domande incalzanti che il
bambino continua a fare perché non ha ottenuto risposte soddisfacenti. Se le risposte sono pacate,
chiare e non c’è ansia nel genitore, il bambino accoglierà le spiegazioni date e si potrà cambiare
argomento.
Inoltre una dose contenuta di ansia e di leggero sgomento di fronte al tema della morte o comunque di
fronte ai dolori della vita, permette al bambino di sperimentare il dolore e di attrezzarsi in modo da
saper far fronte alle frustrazioni della vita.
Ovviamente l’esperienza di dolore per il bambino deve essere sperimentata in un clima contenitivo e
rassicurante, non deve essere troppo forte e non deve essere protratta nel tempo. In questo modo, non
solo gli consentirà di conoscere il mondo, ma diventerà fonte di crescita e occasione di rinforzo.
D – Cosa rispondere a domande precise come: “L’anima del nonno è volata in cielo, d’accordo.
Ma il suo corpo dov’è?”
R – “Il corpo senza l’anima non funziona più. Viene portato al cimitero, sepolto oppure cremato, così i
parenti che gli vogliono bene, oltre che pensare a lui e ricordarlo, possono andare a trovarlo e portargli
dei fiori”.Questa è una possibile risposta, ma il punto fondamentale non credo sia trovare pronta una
risposta da dare ipotizzando che vada bene per ogni bambino.
Un genitore attento, che conosca il suo bambino, tenendo conto delle indicazioni generali fornite sopra,
saprà trovare da solo la risposta più creativa e più adatta, che rispetti i valori della famiglia e le
predisposizioni e attitudini del bambino.
D – E’ difficile per un bimbo piccolo capire la differenza fra la morte di un animale e quella di
una persona. Se il bambino chiede, per esempio, di fare il funerale al suo cagnolino scomparso,
come comportarsi?
R – Credo che, se le condizioni in cui si vive lo consentono, si possa assecondare il desiderio del
piccolo. Se l’animale è grande o non è più presente o ci sono ostacoli di altro tipo, si può comunque
organizzare un rituale di saluto, per esempio piantando un piccolo ceppo in un angolo di un giardino e
deponendo accanto un fiore. Se i genitori sono sensibili e rispettosi verso le esigenze del piccolo,
sapranno trovare insieme la risposta giusta alla richiesta del bambino. E’ ovviamente una questione di
equilibrio e di misura: senza esagerare nell’accogliere richieste eccessive, si può comunque dare
ascolto ai bisogni dei bambini. Prima è bene comunque spiegare che uomini e animali sono diversi.
D – Cosa ne pensa della cremazione?
R – Non credo nei funerali, nei cimiteri e nel culto dei morti attraverso i rituali della nostra società
occidentale (ma neanche nei riti di altre culture). Pertanto, quando morirò, disporrò di essere cremata
Mi piacerebbe, in realtà, che il mio corpo venisse bruciato in aperta campagna, permettendo alla
cenere di volarsene intorno, nella terra e nell’aria.
D – A che età si può parlare al proprio figlio del significato della cremazione?
R – Difficilmente un bambino piccolo chiederà spontaneamente informazioni così particolareggiate, a
meno che l’argomento non venga affrontato a scuola o lo senta in televisione, o riguardi un congiunto
scomparso. Quindi, per parlarne, si può aspettare che il bambino sia più grande in modo che possegga
anche spirito critico e si possa dialogare anche sulla possibilità di fare scelte diverse, del fatto che non
esiste una verità assoluta che vada bene per tutti e si possano illustrare le varie possibilità.
Nvarie tappe di sviluppo delle modalità di concettualizzazione dei bambini in crescita, intorno
all’adolescenza le possibilità dei ragazzi sono sovrapponibili a quelle degli adulti, pur con tutti i limiti
evidenti. Quindi a questa età si può dialogare alla pari sui temi della vita con i nostri ragazzi-adulti,
sapendo che abbiamo sempre qualcosa da insegnare loro, ma sapendo anche ascoltare e rispettare il
loro pensiero, senza dimenticare che anche loro avranno da insegnarci senz’altro qualcosa di nuovo.
Un bambino molto piccolo, invece, ha più bisogno di certezze e quando espone una domanda vuole
una risposta esauriente, confidando che sia l’unica e la sola.
Se la domanda dovesse pervenire allora da un bambino piccolo, credo sia sufficiente spiegare di cosa
si tratta da un punto di vista più tecnico, senza commenti relativi alle scelte o ai valori personali.
Paola Tiscornia