Full-text - Società Italiana di Storia del Diritto

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Full-text - Società Italiana di Storia del Diritto
Cristina Ciancio*
Dalla fiducia nei mercanti alla fiducia nei mercati
Leggi e giustizia commerciale
nel César Birotteau di Balzac
«Per certa gente è meglio essere criminali che scemi»
H. de Balzac, César Birotteau, 1837
Sommario: 1. Lo ius mercatorum da diritto dei mercanti a diritto del mercato. – 2.
Fortune e sventure di un profumiere parigino. – 3. Diritto e letteratura: una strana coppia? – 4. Il Birotteau e la storia del diritto. – 5. Mercanti che giudicano mercanti. – 6.
Mercanti che falliscono. – 7. Mercanti che si fidano. – 8. Conclusioni.
1. – L’evoluzione del diritto mercantile viene sinteticamente scandita da
tre passaggi fondamentali. La prima fase è quella che va a collocarsi nel
più vasto ambito dello sviluppo corporativo dell’età medievale, dove ciò
che consente di godere del privilegium mercaturae è la condizione soggettiva di mercante, che poi significa la condizione di iscritto alla corporazione mercantile1. A garantire l’efficacia di questo diritto, dunque, vi è
la rigida regolazione dei meccanismi di ingresso nella corporazione e il prestigio e la reputazione che queste ultime riuscivano a conquistarsi rassicurando e incentivando gli scambi e i rapporti con i suoi membri2. Il se-
* Ringrazio il prof. Felice Casucci, che mi ha offerto un’occasione di allargare i miei
orizzonti metodologici, e dedicarmi ad un tipo di analisi per me molto affascinante. Al lettore il compito di valutare se tale fiducia sia stata ben riposta. Solo mia, ovviamente, la responsabilità per qualsiasi errore ed imprecisione. Le citazioni del César Birotteau che si
troveranno nel testo sono tratte da H. de Balzac, César Birotteau, Paris, 1975, mentre le
traduzioni in italiano che saranno riportate in nota, dalla più recente traduzione italiana di
F. Spinelli, a cura di Paola Décina Lombardi, Milano, 2006 (abbreviato d’ora in poi CB).
1
Cfr. U. Santarelli, Mercanti e società tra mercanti, Torino, 1992, ed in particolare
il capitolo intitolato “La funzione del mercante medievale”, pp. 27-40.
2
Un risultato che le corporazioni mercantili ottenevano anche grazie ad una disciplina
molto severa nei confronti dei loro membri che violavano gli impegni assunti nell’esercizio della loro attività, e che spesso poneva al primo posto la tutela dell’acquisto in buona
fede anche a discapito delle ordinarie regole di diritto comune che disciplinavano la compravendita. Su questi temi, con particolare riferimento alla fondamentale esperienza delle
città dell’Italia centro-settentrionale, cfr. M. Ascheri, Giustizia ordinaria, giustizia di mer-
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condo passaggio coincide, invece, con l’affermazione dell’assolutismo monarchico, che, per nulla disposto a condividere con i corpi intermedi potere legislativo e prerogative di governo del territorio, mantiene il privilegium per i mercanti, ma ponendo come condizione necessaria al suo godimento non già l’appartenenza alla corporazione, quanto una concessione
sovrana; in cambio concede privative e sostegno politico (e militare, si pensi
alle colonie d’oltreoceano conquistate e mantenute con le truppe regie a
vantaggio degli scambi commerciali) alle attività anche internazionali dei
mercanti. Ciò si accompagnò ad una intensa produzione normativa regia
che, se conservò da un punto di vista dei contenuti molte delle soluzioni
già elaborate in seno alle corporazioni mercantili, avviò in realtà una politica di “eterodirezione” del sistema dei traffici commerciali da parte della
corona. Lo ius mercatorum è ancora un diritto dei mercanti e per i mercanti, e ne viene mantenuto il presupposto di applicazione eminentemente
soggettivo, ma la fonte di questo presupposto diventa da questo momento
la volontà regia. Ma è intatta la sua natura di ius speciale basato su un privilegio, un diritto di commercianti e non di atti di commercio. Quest’ultimo passaggio, infatti, la così detta “oggettivizzazione” del diritto commerciale prodotta dall’applicazione della teoria degli atti di commercio, non
si ha semplicemente con l’intervento dello Stato nel sistema delle fonti3,
ma più tardi, ovvero con la codificazione napoleonica «in dipendenza della
avvenuta eliminazione delle corporazioni e dalla proclamata libertà di commercio per chiunque» che avrebbe così trasformato il diritto commerciale
«in regolamentazione di una attività esercitabile da qualsiasi individuo, anche occasionalmente»4.
Ne consegue che la codificazione commerciale napoleonica5 disegna una
canti e la Mercanzia di Siena nel Tre-Quattrocento, pp. 23-54, in Id., Tribunali Giuristi e
Istituzioni dal medioevo all’età moderna, Bologna, 1989.
3
Intervento che si colloca convenzionalmente con le due importanti Ordonnances espressione della politica mercantilistica di Luigi XIV, quella del 1673 sul commercio e del 1681
sulla marina mercantile.
4
A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa. Le fonti e il pensiero giuridico,
vol I, Milano, 1982, p. 221. Su una più generale storia del diritto commerciale cfr. J. Hilaire, Introduction historique au droit commercial, Paris, 1986; nonché F. Galgano, La
lex mercatoria, Bologna 2001. Su alcune delle più recenti tendenze storiografiche europee,
cfr. V. Piergiovanni (ed.), From Lex Mercatoria to Commercial Law, Berlin, 2005.
5
Il Codice di commercio di Napoleone entra in vigore in Francia il 1 gennaio del 1808
in virtù di un Decreto imperiale del 15 settembre 1807. Su di esso, cfr. A. Padoa Schioppa,
Napoleone e il Code de Commerce, in Aa.Vv., Studi in onore di Cesare Grassetti, Milano,
1982, vol. II, pp. 1325-1354, adesso in A. Padoa Schioppa, Saggi di storia del diritto commerciale, Milano, 1992, pp. 89-112, nonché, per la sua ricezione in Italia, L. Berlinguer,
Sui progetti di codice di commercio del Regno d’Italia. Considerazioni su un inedito di D.A.
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svolta cruciale nella regolazione degli scambi economici. È infatti lo strumento attraverso il quale si fonda la transizione da un diritto che poggiava
la sua efficacia su un sistema di regole garantito in virtù della reputazione
e della fiducia tra e nei mercanti in quanto categoria provvista di uno speciale status anche deontologico, ad un diritto che, invece, fondava tutto
sull’esistenza di un mercato definito come spazio regolato da leggi, dove
la garanzia della sua applicazione non risiedeva sulla fondata aspettativa in
una spontanea condotta corretta dei mercanti, quanto piuttosto nell’innesco di meccanismi di sanzione collegati ad una disciplina legislativa prodotta e garantita dallo Stato per mezzo dei suoi poteri di eterodirezione e
coercizione6.
Ed è esattamente sullo sfondo di questa transizione, nei primi anni della
Restaurazione7, che si svolge la vicenda di César Birotteau raccontata da
Balzac, quando Napoleone Bonaparte oramai è uscito dalla scena8 e la
Francia si deve confrontare con il reale significato di questa “obiettivizzazione” del diritto commerciale e con le sue inevitabili conseguenze anche
sul valore da accordare alla fiducia, alla reputazione ed al rispetto della parola data nei rapporti interni ed esterni del milieu commerciale.
Nelle pagine seguenti il romanzo balzacchiano è considerato alla luce
dell’interesse storico-giuridico, con particolare riferimento alla giurisdizione
commerciale ottocentesca e ai problemi connessi ad una efficace amministrazione della giustizia in un contesto regolato dalle leggi napoleoniche e
post-napoleoniche.
Dopo aver brevemente descritto la genesi e i contenuti del César Birotteau, si provvederà ad illustrare alcune caratteristiche del movimento
noto come Law and Literature, onde precisare gli inevitabili limiti e le stimolanti potenzialità che tale approccio analitico offre alla ricerca storicogiuridica. A tal fine, si prenderanno in esame alcuni dei punti cruciali af-
Azuni, Milano, 1970, e ancora A. Padoa Schioppa, La legislazione commercialistica nell’Italia preunitaria, in Id., Saggi di storia del diritto commerciale, Milano, 1992, pp. 137-156.
6
Sul dibattito ancora attuale sulla reale portata della discontinuità rappresentata dalla
codificazione napoleonica, cfr. M. Ascheri, Dal diritto comune alla codificazione: quale discontinuità, in A. Padoa Schioppa, G. di Renzo Villata e G.P. Massetto (a cura di),
Amicitiae pignus. Studi in ricordo di Adriano Cavanna, Milano, 2003, t. I, pp. 23-34, il
quale più che a sviscerare la preminenza di fattori di continuità rispetto a quelli di discontinuità, o viceversa, offre una lettura più complessa alla luce di una eterogenesi dei fini
riscontrabile nelle codificazioni europee tra Sette e Ottocento.
7
La vicenda di César Birotteau, che in seguito descriveremo, inizia nel 1818 e termina
nel 1823.
8
Napoleone Bonaparte muore nell’esilio di Sant’Elena il 5 maggio 1821, ponendo fine
a quei movimenti mai sopiti che, anche dopo la conclusione degli avventurosi Cento Giorni,
si proponevano di riportarlo al potere.
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frontati da Balzac in questo romanzo, quali, appunto, la fiducia, il funzionamento dei Tribunali di Commercio, il ruolo crescente delle ragioni e
degli interessi della speculazione su quelle di produttori e negozianti, le disfunzioni delle procedure fallimentari, il significato che può assumere nella
società ottocentesca la riabilitazione del mercante fallito.
2. – Il romanzo di Balzac, pubblicato alla fine del 1837, dopo una lunga
gestazione iniziata nel 18329, intitolato Storia della grandezza e della decadenza di César Birotteau, profumiere, cavaliere della Legione d’Onore,
Vicesindaco del Secondo Dipartimento della Città di Parigi, ecc., è, dunque, la storia, che si svolge tra il 1818 e il 1823, di un commerciante parigino che pochi anni prima era stato un giudice eletto nel Tribunale di
Commercio della città ed è da poco diventato vicesindaco nel secondo arrondissement. Come si può evincere dallo stesso titolo, la vicenda di César appare come una parabola, che dopo una rapida e fluida salita verso
la stabilità economica, un matrimonio felice, e prestigiosi riconoscimenti
sociali, precipita ancor più rapidamente nel tracollo economico, nella disperazione e nel fallimento.
Il titolo scelto per questo romanzo da Balzac sembra «ricalcare con tragicomica ironia» il titolo della famosa opera del 1734 del barone di Montesquieu, Considerazioni sulle cause della grandezza dei Romani e sulla
loro decadenza10, ma lasciamo spiegare allo stesso Balzac le ragioni di questa scelta:
«L’Histoire, en redisant les causes de la grandeur et de la décadence de tout ce
qui fut ici-bas, pourrait avertir l’homme du moment où il doit arrêter le jeu
de toutes ses facultés; mais ni les conquérants, ni les acteurs, ni les femmes, ni
les auteurs n’en écoutent la voix salutaire. César Birotteau, qui devait se considérer comme étant à l’apogée de sa fortune, prenait ce temps d’arrêt comme
un nouveau point de départ. Il ne savait pas, et d’ailleurs ni les nations, ni les
rois n’ont tenté d’écrire en caractères ineffaçables la cause de ces renversements
dont l’Histoire est grosse, dont tant de maisons souveraines ou commerciales offrent de si grands exemples. Pourquoi de nouvelles pyramides ne rappelleraientelles pas incessamment ce principe qui doit dominer la politique des nations aussi
bien que celle des particulaires: Quand l’effet produit n’est plus en rapport direct ni en proportion égale avec sa cause, la désorganisation commence? Mais
ces monuments existent partout, c’est les traditions et les pierres qui nous parlent du passé, qui consacrent les caprices de l’indomptable Destin, dont la main
9
Cfr. G.M. Fess, Balzac’s First Thought of César Birotteau, in «Modern Language Notes», vol. 49, n. 8, (dec. 1934), pp. 516-519.
10
P. Décina Lombardi, Un’occasione mancata: piccoli splendori e grandi miserie della
borghesia, Introduzione a César Birotteau, trad. italiana di F. Spinelli, cit., p. VI.
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efface nos songes et nous prouve que les plus grands événements se résument
dans une idée. Troie et Napoléon ne sont que des poèmes. Puisse cette histoire
être le poème des vicissitudes bourgeoises auxquelles nulle voix n’a songé, tant
elles semblent dénuées de grandeur, tandis qu’elles sont au même titre immense:
il ne s’agit pas d’un seul homme ici, mais de tout un peuple de douleurs»11.
Il romanzo comincia con una sorta di presagio della sua fine. La prima
scena che ci presenta Balzac, è un notturno nella camera da letto di Birotteau, dove sua moglie, la bella e saggia Constance12, viene svegliata improvvisamente da spaventosi sogni non sentendo accanto a sé il marito.
Ma César si trova nella stanza accanto, e la scena si porta ben presto sull’atmosfera più rassicurante di un confortevole interno borghese.
César Birotteau, sposo felice e padre della dolce Césarine, giunto giovanissimo e molto povero a Parigi da un villaggio vicino, aveva iniziato le
sue fortune come commesso presso la Reine des Roses, gestito dai coniugi
Ragon, diventandone ben presto premier commis fino a potersi permettere
di rilevare il negozio quando i suoi proprietari decisero di ritirarsi dagli
affari. Si era così ben presto affermato come stimato e solido negoziante,
ottenendo anche la carica elettiva di giudice del Tribunale di Commercio,
nella quale si era distinto per le sue doti13 ma cui aveva dovuto poi ri11
H. de Balzac, César Birotteau, cit., p. 93. («La Storia, redigendo le cause della grandezza e della decadenza di tutto ciò che è esistito quaggiù, potrebbe avvertire l’uomo circa
il momento in cui gli conviene interrompere il gioco delle sue facoltà. Ma né i conquistatori, né gli attori, né le donne, né gli scrittori prestano ascolto alla sua voce provvidenziale.
César Birotteau, che si doveva considerare al culmine della fortuna, prendeva quella sospensione come un nuovo punto di partenza. Egli non sapeva, ma del resto né i re né le
nazioni hanno tentato di scrivere in caratteri indelebili la causa dei tanti rovesciamenti di cui
la Storia è gravida, o di cui troviamo esempi illustri nelle vicende di case regnanti e ditte
commerciali. Perché delle nuove piramidi non dovrebbero ricordarci continuamente il principio, che certamente domina sia la politica delle nazioni sia quella dei privati, secondo il
quale: Quando l’effetto prodotto non è più in rapporto diretto né in proporzione uguale
con la sua causa, inizia la disorganizzazione? Eppure tali monumenti esistono dappertutto:
sono le tradizioni e le pietre che ci parlano del passato, che consacrano i capricci dell’indomabile Destino, la cui mano cancella i nostri sogni, provandoci che i più grandi eventi si
riassumono in un’idea. Troia e Napoleone non sono altro che poemi. Possa questa storia
essere il poema delle vicissitudini borghesi, alle quali nessuna voce ha mai pensato, tanto
sembrano prive di grandezza. Esse sono invece altrettanto immense: non si tratta qui di un
solo uomo, ma di una moltitudine di dolori», CB, pp. 65-66).
12
«Quant à madame César, alors âgée de trente-sept ans, elle ressemblait si parfaitement à la Vénus de Milo que tous ceux qui la connaissaient virent son portrait dans cette
belle statue quand le duc de Rivière l’envoya», ivi, p. 92; («Mme Birotteau, che allora aveva
trentasette anni, somigliava così tanto alla Venere di Milo che chiunque la conosceva ritrovò il suo ritratto nella bella statua inviata dal duca di Rivière», CB, p. 64).
13
« Son sentiment du juste, sa rectitude, son bon vouloir, qualités essentielles dans l’appréciation des difficultés soumises aux sentences consulaires, le rendirent un des juges les plus
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nunciare, su richiesta della moglie, per il troppo tempo che toglieva alla
cura dei suoi affari.
All’apertura del romanzo, ambientata nel salotto borghese dove Constance ritrova il marito insonne, Birotteau sta per ricevere a giorni la Legione d’Onore come riconoscimento per aver combattuto a difesa della corona borbonica contro Napoleone ed esserne rimasto ferito, e questo evento,
unito all’invito a partecipare ad un’ardita speculazione sui terreni della Madeleine che una volta andata a buon fine avrebbe fatto di lui finalmente
un rentier consentendogli di lasciare il lavoro in bottega, lo convincono a
progettare costose modifiche ai suoi appartamenti per potervi dare uno
sfarzoso ricevimento.
La violenta “discesa” è avviata da un suo vecchio commesso, du Tillet,
da lui licenziato per aver tentato di sedurre Constance ed avergli rubato
del denaro, il quale, introdottosi nel frattempo negli ambienti dell’Haute
Banque parigina e volendosi vendicare del profumiere che lo aveva umiliato scoprendo la sua disonestà, fa in modo che venga attirato in una complessa frode orchestrata con il notaio Roguin che si occupa dell’affare dei
terreni e che, innamoratosi di una ballerina, ha in animo di rubare tutto il
denaro e scappare all’estero.
Per Birotteau questa è la fine della sua fortuna e delle sue ricchezze. Il
suo trionfo celebrato pubblicamente con il ricevimento nella casa sfarzosamente rinnovata, è costato buona parte del patrimonio del profumiere,
così, solo pochi giorni dopo, inizia per lui una girandola infernale di incontri disperati alla ricerca di credito a qualsiasi condizione pur di evitare
il fallimento e mantenere fede ai propri impegni14. Ma la tela predisposta
da du Tillet per rovinarlo è fitta, e nessuno dei finanzieri da lui interpellati, manovrati dall’ex commesso, si rende disponibile ad aiutarlo. Il destino di César è il fallimento, dichiarato il 16 gennaio del 1820 dal Tribunale di Commercio della Senna, ma egli è deciso a non accettare anche il
discredito e la fine della sua reputazione, così con l’aiuto della moglie, della
figlia e del futuro genero, continua a lavorare senza mai trattenere nessun
guadagno, riuscendo, cinque anni dopo l’inizio delle sue vicissitudini, ad
ottenere la riabilitazione con il pagamento integrale di tutti i suoi creditori. Il romanzo, dopo un crescendo di emozioni che accompagnano la di-
estimés», ivi, p. 75. («Il suo senso della giustizia, la sua rettitudine e il suo benvolere, tutte
qualità essenziali nella valutazione delle difficoltà sottoposte alle sentenze consolari, ne fecero uno dei giudici più stimati», CB, p. 47). L’edizione Gallimard qui presa in considerazione, corrisponde alla stesura del romanzo leggermente rivista da Balzac nel 1844 per
l’editore Furne.
14
Cfr. A. Gerschenkron, Time Orizon in Balzac and Others, in Proceedings of the
American Philosophical Society, vol. 122, n. 2, 1978, pp. 75-91 e p. 81.
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chiarazione di riabilitazione nelle sale del Tribunale dove in un ancora recente passato aveva ricoperto la carica di giudice consolare, si chiude con
la morte del profumiere, il cui cuore, dopo tanto sgomento e tante umiliazioni, non riesce a reggere l’intensità di quel momento.
È la storia del suo intuito di mercante profumiere, delle occasioni fortunate che segnano i suoi primi anni a Parigi, storia della sua dimensione
etica e morale e di come questa si scontri con le regole del mercato e,
quindi, del suo stesso mondo. É la storia dell’impegno per elevare la propria condizione, finendo per abbandonarsi a spese eccessive che lo rovineranno, lasciandolo in balia delle truffe di speculatori e mercanti, di come
tenta disperatamente di evitare il fallimento e di come inesorabilmente fallisce.
Balzac si divide tra critica severa ad un sistema di leggi che di fatto sosteneva speculatori e arrivisti, a discapito dei mercanti onesti e dei creditori, da un lato, mentre dall’altro ha parole di scherno per la “bêtise de la
vertu” di Birotteau15 che, pur non essendovi costretto da queste leggi, per
risanare la sua reputazione, decide, insieme alla moglie ed alla figlia, di lavorare senza tregua, senza trattenere per sé mai nulla, così da riuscire a ripagare fino all’ultimo franco tutti i suoi creditori, e poi a morirne. Ed è
la storia di come questo obiettivo, in controtendenza con quanto avviene
intorno a lui, rappresenti per Birotteau l’unica cosa possibile da fare, un
risultato senza il quale non vi è pace e nemmeno possibilità di fuga, perché non si può fuggire da se stessi e dall’ immagine di sé cui non si può
rinunciare, e di come tutto questo faccia di Birotteau, secondo Balzac, non
un eroe da imitare, ma una figura tragica e grottesca nella sua ingenuità,
anello debole di un ingranaggio nel quale quelli come lui sono sempre e
comunque destinati a soccombere. Perché questa è anche la storia di una
condanna, e di una condanna severa e senza appello, quella dello stesso
Balzac nei confronti di César e di quelli che come lui credono di poter
alterare la struttura complessa e funzionale della società senza averne le
doti e le necessarie attitudini, complici di un’epoca che volendo tutto livellare aveva indebolito il valore e il significato delle necessarie gerarchie
sociali mancando, però, di promuovere realmente il merito, con l’unico risultato di aver intaccato l’etica profonda di quei tempi, mentre ingiustizie
e soprusi cambiavano solo di portone.
15
Balzac si riferisce al suo protagonista César Birotteau con l’espressione bêtise de la
vertu, già in occasione di una stesura del romanzo del 1833, stesura che, come già detto,
rientrava tra le “false partenze” che hanno preceduto la pubblicazione di questa opera avvenuta poi nel 1839.
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3. – Sulla “strana coppia” diritto e letteratura16, il secolo appena trascorso
si è più volte interrogato, e se in una prima fase questo è avvenuto soprattutto con riferimento all’universo giuridico anglosassone, dove per i common lawyers il rapporto con le fonti del diritto è completamente diverso e
il valore della percezione sociale della giustizia e della sua amministrazione
ha un peso molto più immediato e condizionante, a partire dalla fine degli
anni Settanta del Novecento, anche grazie agli scritti di Weisberg e Kretschman, l’indagine perdeva i connotati squisitamente anglo-americani per
raggiungere anche il mondo giuridico e letterario europeo e asiatico17.
Ma è nel 1973, che si è soliti collocare la nascita ufficiale del movimento
Law and Literature18, ovvero con la pubblicazione dell’opera di James
Boyd White, The Legal Imagination: Studies in the Nature of Legal Thought and Expression19. In estrema sintesi, White sostiene che lo studio comparato di queste due discipline riguarderebbe l’analisi della rilevanza etica
del diritto, dello studio del linguaggio dal quale dipendono comunque entrambe, e quindi dello studio delle relative pratiche esegetiche. Inoltre, lo
studio delle diverse combinazioni tra elemento giudico ed elemento narrativo all’interno dei testi giuridici consentirebbe di provvedere di nuovi strumenti l’ermeneutica giuridica, disciplina che dei testi giuridici si propone
di rafforzarne la comprensione20. Infatti, secondo White «la letteratura lega
il giurista alla comunità più ampia della quale fa parte».
16
A proposito di questa espressione – per la quale cfr. F. Ost, L. Van Eynde, P. Gérard e M. van de Kerchove (éd.), Lettres et lois: le droit au miroir de la littérature,
Bruxelles, 2001 – si è qui tenuto conto, in particolare, di quanto riferisce F. Pelloni, recensione a Droit et Littérature, numero monografico della rivista letteraria mensile francese
Europe, n. 876, (avril 2002), in Rechtsgeschichte 3/2003, Max-Planck Institut für europäische Rechtsgeschichte, Frankfurt am Main, pp. 194-196.
17
R.H. Weisberg e K. Kretschman, Wigmore’s “legal novel” expanded: a collaborative effort, in Maryland law forum, 1977, VII, pp. 94 ss. I due autori, infatti, ampliano il
modello descritto sin dal 1908 da J.H. Wigmore.
18
In estrema sintesi, tale movimento può definirsi come un progetto volto a proporre
una lettura comparata di testi giuridici e testi letterari al fine di usufruire delle prospettive
conoscitive e interpretative che possono reciprocamente offrire e in quanto tale lettura comparata consente una migliore conoscenza di noi stessi e della società con la quale interagiamo.
19
Come ricorda Aldo Mazzacane, è poi alla «ricognizione critica» condotta da R.A.
Posner – che chiariva in particolare come la letteratura non potesse essere considerata una
fonte per la conoscenza e il commento del dettato normativo – nel 1988 con il suo Law
and Literature: A Misunderstood Relation, che «si fa risalire una fase decisiva di chiarimento dell’omonimo movimento di studi in America», in A. Mazzacane, Letteratura, processo e opinione pubblica: le raccolte di cause celebri tra bel mondo, avvocati e rivoluzione,
in M. Marmo e L. Musella (a cura di), La costruzione della verità giudiziaria, Napoli,
2003 (on-line al link http://www.storia.unina.it/cliopress/marmo.html), pp. 53-100 e p. 63,
nota n. 14.
20
Sul significato dell’ermeneutica giuridica e sul suo ruolo nel pensiero giuridico con-
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Tenendo conto anche del peso e dello spazio che le ragioni dell’ermeneutica giuridica avevano assunto nel movimento, negli ultimi trent’anni
circa sono emersi tre possibili piani di indagine, tripartizione che in questa sede ci è apparsa particolarmente efficace e utile a inquadrare l’analisi
sin qui condotta.
Il primo piano, il più intuitivo, riguarda il diritto nella letteratura, vale
a dire l’analisi dei modi in cui la narrativa racconta vicende giudiziarie, i
loro protagonisti e le procedure, nonché il modo in cui viene rappresentato il rapporto tra l’individuo e la ricerca della giustizia21. Il secondo piano,
riguarda proprio l’ermeneutica giuridica per le ragioni già messe in luce da
White, ed infine il terzo ed ultimo piano è quello della stilistica giuridica
(«analisi delle norme alla base del modo di esprimersi nei documenti giuridici, che degli elementi narrativi, strutturali e retorici presenti nella prosa
giuridica»22).
La letteratura, in quanto rappresentazione e descrizione della realtà, e quindi
del fenomeno giuridico, ovvero del “problema giuridico” che in un determinato momento storico emerge, può essere estremamente utile allo storico del
diritto che proprio il “problema giuridico” deve analizzare per comprendere
la capacità del diritto di esserne stato espressione e interpretazione, nonché
di regolarlo, e la percezione che del diritto ha la società coinvolta23.
Essere capaci di percorrere questi sentieri consente di valutare l’esistenza
di una possibilità per la società di riconoscersi in quel diritto, oppure l’etemporaneo e nella teoria dell’interpretazione, cfr. H.G. Gadamer, Verità e metodo, trad.
it. G. Vattimo, Milano, 2000.
21
Una riflessione dedicata al “diritto come letteratura” si trova in A. Mazzacane, Letteratura, cit. In questo saggio Aldo Mazzacane inizia le sue riflessioni a partire dalla descrizione dell’opera di François Gayot de Pivatal, avvocato abilitato al patrocinio presso i
Parlamenti ma che non aveva praticamente mai esercitato, che con il suo Causes célèbre set
intéressantes avec les jugemens qui les ont décidées, avrebbe inaugurato nel 1734 in Francia, quello che sarà ben presto un «fortunatissimo genere letterario», ovvero quello incentrato sulla raccolta di casi celebri. La ragione dell’analisi di questa prima raccolta, come
precisa l’A., è che «l’ambiente in cui nacque può dunque aiutarci a spiegare in che senso
questo genere non “scientifico” e neppure sufficientemente erudito possa essere “preso sul
serio” dagli storici del diritto evitando insidiose semplificazioni», ivi, p. 59.
22
R.H. Weisberg, voce Diritto e Letteratura in Enc. Sc. Soc. Treccani, 1993, vol. III,
pp. 107-113 e p. 107.
23
Per la posizione degli storici del diritto, basti considerare quanto sottolineato ancora
dallo stesso Mazzacane: «Per quanto siano eterogenei i loro interessi e procedimenti, il diritto e la letteratura, come capisaldi nella cultura occidentale del linguaggio formalizzato,
hanno molti caratteri simili e rivelano molti parallelismi. Da circa due secoli abbiamo imparato a riconoscere la comune origine della poesia e del diritto, a scorgere nel loro “nascimento” e nella loro spontanea evoluzione in seno alle “genti” la stessa intrinseca storicità, la stessa “inseparabile mescolanza” di sacro e terreno e l’affinità profonda che traggono da un’unica matrice “spirituale”», in A. Mazzacane, Letteratura, cit., p. 64.
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sistenza di uno scollamento tra diritto e società in una data epoca. In quest’ultimo caso, ci si dovrà necessariamente fare delle nuove domande.
Sulle possibilità che la letteratura aiuti ad individuare uno scollamento
tra una società ed il diritto che dovrebbe esprimerla, si può ricordare come
l’analisi comparata tra le due discipline potrebbe anche non basarsi solo
sulle possibili affinità tra le due, ma, anzi, che questa potrebbe offrire risultati anche più interessanti se «la prospettiva teorica viene fondata sulla
radicale differenza dei due sistemi (funzione, prestazione, codice). Su di
una distinzione tra l’osservazione esterna della letteratura (diritto della letteratura) e l’indicazione del diritto da parte del diritto (diritto del diritto)»24.
Così procedendo, le possibilità di comparazione si costruirebbero a partire dalla precisa differenziazione di un «diritto della letteratura», da un
lato, e di un «diritto del diritto», dall’altra, e sull’analisi, quindi, di come
sia andata evolvendosi questa stessa differenziazione. Il risultato sarebbe
comparare ciò che il diritto inevitabilmente esclude quando osserva e descrive se stesso, e quello che può essere recuperato dall’osservazione esterna
del diritto, il diritto della letteratura, che, però, in quanto osservazione
esterna non può vedere ciò che vedrebbe se fosse diritto nel diritto.
In questa sede non si ha intenzione di entrare nel dibattito sulle possibilità concrete per il giurista positivo di ricorrere alla letteratura ed alle
sue categorie sia espositive che interpretative. Ciò che però appare evidente,
e forse anche un po’scontato, è che la letteratura può costituire un diverso
punto di osservazione – complementare e non alternativo –, in quanto tale
sempre proficuo, capace cioè di arricchire con immagini, percezioni, dubbi,
riscontri e contraddizioni l’analisi del fenomeno giuridico, «per penetrare
attraverso un percorso inconsueto nelle pieghe più riposte dei fenomeni
del diritto»25. Tutto questo può confondere? Allontanare il giurista dal suo
genuino campo di indagine? Insistere su questo approccio comparato tra
diritto e letteratura può compromettere il rigore dell’analisi giuridica, e
quindi mettere a rischio l’efficacia dei suoi risultati? Certamente. Non vi
potrebbero essere dubbi a riguardo26.
24
F. Pelloni, recensione a Droit et Littérature, cit., p. 196. Più in generale, sul rapporto che intercorre tra i fenomeni giuridico e artistico, cfr. un classico come F. Carnelutti, Arte del diritto, in Discorsi intorno al diritto, nn. 2 e 3, Padova, 1937, pp. 82 ss. (già
apparso in Riv. dir. proc. civ., 1934, I, pp. 13 e ss.). Su questo contributo di Carnelutti, cfr.
P. Beneduce, Altri codici. Note su un galateo di antico regime fra estetica della giustizia,
visualità e censura di sé, Cassino, 2006, pp. 72-78, disponibile on line al link http://www.ceprof.unibo.it/docs/beneduce.pdf.
25
A. Mazzacane, Letteratura, cit., p. 65.
26
A tal proposito, più rassicurante l’opinione di Aldo Mazzacane: «La specificità del
discorso giuridico non ne viene mortificata, al contrario risulta in modo più chiaro il suo
Dalla fiducia nei mercanti alla fiducia nei mercati
123
Ma i giuristi si sono rivelati ben strane creature, e la storia del diritto
è anche storia di come nei secoli abbiano continuamente affrontato rischi
del genere, a volte con successo, a volte meno, e di come, sotto qualunque aspetto lo si voglia considerare, tutto questo abbia inciso direttamente
sull’odierno rapporto del giurista con la società in cui opera, contribuendo
a creare quella eredità con la quale tutti noi oggi siamo tenuti a fare i conti.
Il tema delle relazioni che possono o devono intercorrere tra il diritto
ed altri campi della conoscenza umana, e del loro rispettivo corredo metodologico e conoscitivo, si pensi alla filosofia, alla scienza medica, alla sociologia, all’antropologia fino all’economia e all’etica, è un tema che attraversa da sempre la storia del pensiero giuridico. Tema antichissimo dunque, eppure di una inequivoca attualità27. Da sempre affrontarlo ha significato per i giuristi una sfida decisiva, essendo la posta in gioco la loro
stessa identità, volta per volta da ribadire, rinnovare, riformare, o più semplicemente da conservare nel mondo che intorno a loro cambiava.
Difficile immaginare una sfida più affascinante, dove vincere e perdere
hanno un significato così decisamente relativo, perché la vittoria potrebbe
perdere un’intera categoria, e la sconfitta rimettere tutto in gioco, e aprire
spazi di indagine e analisi appena immaginabili.
4. – L’interesse dei giuristi per il César Birotteau di Balzac è emerso
già da tempo, e tra le prime analisi possiamo ricordare quella di John Marshall Gest28 che, nel 1911, alle pagine della prestigiosa Law Review del-
ufficio nella modellizzazione del reale, l’interazione tra la sua dimensione cognitiva ed operativa», ivi, p. 70.
27
Sempre efficaci le parole di Paolo Grossi, delle quali mi piace qui riportarne alcune
che, sebbene non riferite allo studio comparato del diritto e della letteratura, restano un
invito costante e suggestivo per il giurista di oggi anche nel caso che ci occupa: «Questo
non è tempo di solitudini per il giurista. Tempo di mutamenti e di ricerca, tempo di incrinature, forse anche di crolli, ma altresì di edificazioni nuove; tempo, pertanto, costellato
di difficoltà e di ostacoli e in cui il giurista deve ritrovare, quale suo supremo salvataggio,
l’unità della propria scienza, una unità troppo spesso dimenticata in nome di una specializzazione e di un tecnicismo delle singole conoscenze che ha isolato il cultore di un aspetto
del diritto positivo da quello di un altro, e, peggio ancora, ha separato lo studioso del diritto vigente dallo storico, dal comparatista, dal puro teorico», in P. Grossi, Il diritto tra
norma e applicazione. Il ruolo del giurista nell’attuale società italiana, Prolusione tenuta
nella cerimonia inaugurale della Scuola di Specializzazione per le professioni legali di Firenze 26 febbraio 2002.
28
John Marshall Gest (1859-1934) giurista americano, giudice nella città di Philadelphia,
è autore di The Lawyer in Literature dove, oltre a riproporsi le sue riflessioni su Honorè
de Balzac, si analizzano anche autori come Charles Dickens e Walter Scott (J.M. Gest, The
Lawyer in Literature, intr. J.H. Wigmore, London, 1913; riedito da ultimo nel 1999 per i
tipi della The Lawbook Exchange Ltd, Union, New Jersey).
124
Cristina Ciancio
l’Università della Pennsylavania affidava il saggio intitolato Law and Lawyers
in Honoré de Balzac29. Estremamente significative le parole con le quali si
apre questo importante contributo:
«The connection between Literature and Law, while not always apparent to
him who reads the first without some knowledge of the second, is nevertheless
frequent and close. The history of law is the history of civilization, and law itself is only the blessed tie that binds human society together. The novel is the
picture of society, and must either implicitly or explicitly be conditioned by the
law of its times, just as it must reflect social conventions and customs»30.
Gest, giurista americano, non manca anche di sottolineare come l’analisi della rappresentazione della legge e dei giuristi da parte di Balzac, peraltro, come si è detto, ambientata proprio all’indomani dell’entrata in vigore dei codici napoleonici, possa risultare anche un utile strumento di studio comparato del diritto per i common lawyers del tutto estranei alla concezione continentale dello Stato legislatore rafforzata da quei codici, ed alle
sue implicazioni nella percezione del diritto e della giustizia da parte della
società coeva31.
Molti autori, prosegue Gest, avevano studiato diritto o comunque ne
avevano adeguata conoscenza diretta, ma solo pochi di loro seppero prendere coscienza del valore di queste conoscenze e farne uso nella costruzione dei loro romanzi. Tra questi ultimi, Honoré de Balzac – che per volontà del padre aveva studiato per tre anni diritto facendo anche pratica
prima presso un notaio e poi presso un avvocato – aveva dimostrato di
eccellere sia per le sue conoscenze che per il talento con il quale seppe
rappresentarle32.
Ma quella di Gest è un’analisi più complessa, dove il ruolo della conoscenza dei fenomeni giuridici e delle loro implicazioni sulle dinamiche
29
J.M. Gest, The Law and Lawyers of Honoré de Balzac, in University of Pennsylvania Law Review and American Law Register, vol. 60, n. 2 (nov 1911), pp. 59-92.
30
Ivi, p. 59.
31
Ivi, p. 67: «His books are crammed with legal terms and references. The code was
at his finger ends; and as modesty can hardly be called the besetting sin of us common
lawyers, it will do us no harm to read these novels as a study in comparative law as well
as comparative morals».
32
Ivi, p. 59. A questo proposito, però, è stato sostenuto che a giustificare la competenza di Balzac non sarebbero state tanto la sua formazione giuridica o la sua esperienza
come plaideur nel Tribunale di commercio, quanto piuttosto la sua condizione di “business
man”, essendosi egli lanciato in alcune attività imprenditoriali in prima persona. Su questa
ricostruzione, cfr. C.F. Zeek, Balzac as a Business Man, in The French Riview, vol. 25, n.
2, (dec. 1951), pp. 96-103, che si propone di analizzare le attività imprenditoriali di Honoré de Balzac.
Dalla fiducia nei mercanti alla fiducia nei mercati
125
anche emozionali della società è parte di un più ampio spettro di riferimenti utili per il giurista e riscontrabili in un’opera letteraria. A tal proposito quattro sarebbero le “sfide”, ovvero i temi che un buon romanziere
dovrebbe saper rappresentare in modo efficace per consentire un giudizio
positivo sul suo lavoro: la religione, la scienza, le donne e il diritto (inteso
da lui come branca della politica). E ciò vuol significare che oggetto di valutazione deve essere la sua capacità di percepire i meandri del rapporto
dell’uomo con la spiritualità, con la materialità del mondo che lo circonda,
con la dinamica dei sessi, e con le regole di convivenza sociale33.
Balzac – e questa non è certo opinione del solo Gest – è assolutamente
geniale ogni volta che percorre ciascuno di questi sentieri. Non bisogna
dimenticare, infatti, che il realismo balzachiano è molto di più di una cura
estrema nel descrivere fedelmente la realtà che lo circonda. Descrivere serve
a comprendere, e per comprendere è necessario interpretare. Balzac non è
uno storico o un cronista, è un artista, ed in quanto tale in più occasioni
egli stesso si dichiara “più libero”. Così l’arte diventa per lui strumento
gnoseologico per eccellenza, gli permette, sovrapponendo – senza però mai
occultare – immaginazione ad osservazione, di vedere, e quindi di mostrare
a noi, ciò che la mera riproduzione mai avrebbe svelato34. Con questo spirito, già Shakespeare fece dire ad Amleto che il fine dell’arte drammatica
era «di reggere lo specchio alla natura: di mostrare alla virtù il suo volto,
al disdegno la sua immagine, e perfino la forma e l’impronta loro all’età e
al corpo che il momento esige»35.
La Comédie humaine36 di Honorè de Balzac è un complesso programma
33
Ivi, p. 60.
Estimatore del genio artistico del romanziere Balzac, ma decisamente critico nei confronti delle sue capacità, come della capacità della letteratura in generale, di “svelare” in
modo attendibile la realtà sociale sotto i suoi occhi, è M. Reboussin, Sagesse de Balzac?,
in The French Review vol. 29, n. 4 (Feb. 1956), pp. 290-298, dove sostiene che «Lorsqu’on
veut nous faire voir en Balzac, non plus un artiste à qui nous ne demandons que de nous
faire participer à ses hallucinations, mais un guide qui nous apporte “le maître-mot de la
sagesse pratique”, alors non, mille fois non! De ce point de vue, Balzac est dangereux, et
ceux qui confondent la littérature et la vie sont dangereux aussi» (p. 298).
35
W. Shakespeare, Amleto, atto III, scena II (tr. it. di Eugenio Montale, in Teatro completo di William Shakespeare, a cura di Giorgio Melchiori, vol. III, I drammi dialettici,
pp. 26-327 e p. 169).
36
È noto che Balzac, sin dal 1822, si appassionò alla fisiognomica di Lavater e alla frenologia di Gall, alle classificazioni delle specie animali di Cuvier e Geoffroy Saint-Hilaire,
studi che lo portarono a guardare alla vita sociale con un approccio da scienziato naturale.
Attorno al 1838, raccolse le proprie opere, quelle già pubblicate e quelle ancora da scrivere,
in un insieme di Études sociales suddivisi in tre parti. Nella prima, di Études de mœurs, inserisce le opere nelle quali ha rappresentato gli effetti sociali, cioè i caratteri e le fisionomie
umane immerse nelle varie circostanze della vita, nella seconda, degli Études philosophiques,
dopo gli effetti vengono considerate le cause, e nella terza, degli Études analytiques, per an34
126
Cristina Ciancio
ad un tempo scientifico ed estetico nel quale alla scrupolosa scomposizione
delle diverse tipologie umane e delle singole personalità al loro interno, si
accompagna la ricomposizione di tutti gli elementi così emersi in un unico
e sistematico “affresco” sociale, che non è più un semplice inventario di
situazioni e modelli diversi, ma l’espressione di una concezione globale
della società umana dove solo all’interno della quale sarà possibile scoprire
la vera ragione di ogni sua dinamica37.
Ed è proprio nella complessità del programma balzachiano che risiede
il valore del César Birotteau per lo studio storico-giuridico di materie, da
un lato, come il diritto commerciale e la giurisdizione commerciale ottocentesca, e, dall’altro, come il valore della fiducia e il peso della reputazione dei mercanti e tra i mercanti. Sono, infatti, due i piani di interesse
offerti da questo romanzo, quello del rigore scientifico delle sue descrizioni dei fenomeni giuridici, e quello dell’interpretazione critica dell’autore
stesso sulle conseguenze sociali e psicologiche dell’incontro/scontro di quei
fenomeni con la varia umanità che vi è coinvolta. Due piani, dunque, come
due sono le “anime” dell’opera balzachiana.
La prima ragione di interesse, la più immediata, riguarda la dettagliata
esposizione contenuta nel Birotteau delle procedure giudiziarie e delle relative prassi in uso presso il Tribunale di Commercio, delle complesse architetture contrattuali poste in essere dal milieu commerciale parigino per
aggirare la severità delle leggi, riuscendo, infine, anche a svelare quegli artifizi di banchieri, commercianti, legulei senza scrupoli ed usurai che, nei
delicati anni tra la Restaurazione e la riforma del fallimento del 1838, misero in piedi speculazioni e frodi ai danni dei creditori, sempre in precario equilibrio sul filo ancora instabile delle leggi napoleoniche. Informazioni preziose per lo storico del diritto – purché opportunamente riscontrate su fonti documentarie – proprio in considerazione delle peculiarità
del breve torno di anni indagato da Balzac e della natura delle pratiche
contrattuali e processuali che descrive, difficilmente riportate nei trattati di
diritto commerciale o nelle riviste specializzate di giurisprudenza dell’epoca. E Balzac, non va dimenticato mai, aveva una solida formazione teorica e pratica in diritto, nonché un’esperienza diretta dovuta alle sue frequenti vicissitudini come debitore insolvente38. E non è un caso, quindi,
dare, dopo effetti e cause, alla ricerca dei principi. Fin dal 1842, quando si accinse a dare
all’intero progetto la sistemazione definitiva della Comédie humaine, lo scopo che si prefiggeva era oramai quello di dipingere la società borghese della prima metà del XIX secolo
per quella che era, nella sua dinamica mossa dalle ragioni profonde del dio Argent.
37
E. Auerbach, Mimesis. Il Realismo nella letteratura occidentale, 2 voll., Torino, 1956,
vol. II, p. 245 ss.
38
Uno dei primi scritti di Balzac, quasi un anticipo dei suoi futuri interessi letterari, è
un Code des gens honnêtes ou L’Art de ne pas être dupe des fripons (Codice della gente
Dalla fiducia nei mercanti alla fiducia nei mercati
127
che nella prima edizione del 1837, troviamo un capitolo – il capitolo XIV,
nella parte terza – intitolato in modo molto significativo “Storia generale
dei fallimenti”39. Un capitolo che, infatti, un giurista non avrebbe alcuna
difficoltà a valutare come ben documentato, ineccepibile nell’uso del linguaggio giuridico, ed anche metodologicamente rigoroso nella sequenza
espositiva. Fornisce elementi utili alla ricostruzione della legislazione francese anche processuale dell’epoca, colmando con i suoi dettagli sugli usi e
abusi nelle pratiche correnti, una discreta lacuna della letteratura specializzata coeva impegnata in quegli anni nell’acceso dibattito sulla riforma della
legge fallimentare che infatti si avrà proprio nel 1838.
Ma, lo si è detto, Balzac era un artista, un romanziere, e del diritto, che
pure tanto a lungo aveva studiato sui libri e nelle aule giudiziarie, decise
di fare un uso diverso, forse anche più congeniale alla sua personale percezione del significato e dell’importanza che leggi e diritto assumevano
nella società. Così una seconda ragione di interesse per lo storico del diritto scorrendo le pagine del Birotteau, consiste nel trovare qualcosa di più,
qualcosa che con i suoi doverosi riscontri tra fonti, documenti e bibliografia specializzata coeva e contemporanea, non avrebbe modo di individuare. La lettura del César Birotteau ci consente di penetrare con lenti diverse il significato della fiducia e della reputazione all’indomani della piena
affermazione dell’eterodirezione dello Stato legislatore nella gestione delle
regole commerciali, quando questa branca del diritto smette di essere espressione dell’autonomia di una classe privilegiata, ma non è ancora in grado
di sostituire al prestigio di quella classe la fede nella forza delle nuove leggi.
E non necessariamente tutto quello che si apprende dalle sue pagine può
essere espresso citandolo in una nota, o riportato in una bibliografia. È
questa una lettura che aiuta a dare una forma ed uno spessore ad idee che
traggono i loro contenuti inevitabilmente da altre fonti, da altri studi, ma
che mancherebbero, lasciate a se stesse, di spirito e carattere.
Ci sarà più facile adesso percorrere il César Birotteau e farci mostrare
quel mirabile gioco di continue sovrapposizioni di rigore descrittivo e rappresentazione creativa tramite le quali il genio artistico di Balzac ha elaborato la complessità delle problematiche legate al funzionamento della
giustizia commerciale nella Parigi degli anni Venti del XIX secolo. E se le
perbene o L’Arte di non essere imbrogliati dai bricconi) pubblicato anonimo nel 1825. Per
il giovane Balzac il protagonista della vita sociale è il denaro e questo Codice ha pertanto
una funzione pratica: istruire i lettori sul pericolo che corrono di essere derubati dai tanti
furfanti che non sono soli i ladri, comunemente intesi, ma anche coloro che derubano ‘legalmente’, come appunto i banchieri, notai e negozianti che si ritrovano nel Birotteau.
39
Sia nell’edizione del 1839 che in quella del 1844, infatti, Balzac soppresse la prefazione e la divisione in capitoli.
128
Cristina Ciancio
sue ricostruzioni sono indubbiamente fedeli e attendibili, le riflessioni critiche che ne scaturiscono tra le pagine del romanzo appaiono acute se non
addirittura brillanti40. Ma ciò che conferisce loro un ulteriore interesse, è
che molte dimostrano di esprimere in modo efficace non soltanto le preoccupazioni e le inquietudini di una certa epoca e di un certo ambiente sociale e professionale, ma i nodi cruciali di questioni complesse che ritroviamo ripresi nel dibattito che più di trenta anni dopo la pubblicazione
del romanzo, e in parte ancora oggi, continua a coinvolgere in Europa giuristi, politici e gruppi d’affari sulle sorti dei Tribunali di commercio e della
sua speciale giurisdizione41.
5. – La speciale giurisdizione commerciale, amministrata dagli stessi mercanti a titolo onorario e non da giuristi di professione, era una realtà consolidata già a partire dal XVI secolo42, e la legislazione rivoluzionaria prima,
e il Codice di Commercio napoleonico dopo, ne confermarono in gran
parte le sue peculiarità, sebbene ne venisse inevitabilmente modificato il significato all’interno del nuovo ordinamento giuridico che si proponeva di
porre definitivamente fine all’Ancien Régime.
Il Codice stabiliva che i negozianti dovessero eleggere al loro interno i
giudici del Tribunale di Commercio del proprio Distretto, scegliendo tra
40
Sull’attendibilità storica delle opere di Balzac si sono espresse anche grandi personalità della storia economica di questo secolo, come J. Bouvier, nel suo Les Rothschild, Paris 1967 (in Italia, I Rothschild, Roma-Bari, 1968, in particolare alle pp. 50-53) e A. Gerschenkron, Time Orizon in Balzac and Others, cit., pp. 80-82. Tuttavia, sulla tendenza di
Balzac a rassegnare nei suoi romanzi «sentenze generali moraleggianti» cfr. E. Auerbach,
Mimesis, cit., vol. II, pp. 250-251. «Talvolta, come osservazioni particolari, sono acute, ma
per lo più sono generalizzate oltre misura; talvolta poi non sono neanche acute, e se, come
spesso avviene, sono tirate per le lunghe, arrivano a essere vere e proprie scempiaggini. […].
Il meno che si possa dire di tali sentenze, è che non meritano per la maggior parte la generalizzazione che hanno ottenuto. Sono trovate del momento, che alle volte colgono nel
segno, altre volte sono assurde, non sempre di buon gusto».
41
Per quanto riguarda la Francia, basti considerare il ritorno di queste argomentazioni
nella polemica sollevata da Edmond Thaller, uno dei più prestigiosi studiosi di diritto commerciale tra XIX e XX secolo, che criticò fortemente negli anni Ottanta i Tribunali di
Commercio, cfr. E. Thaller, De l’avenir des Tribunaux de commerce, Étude de critique
législative in Annales de droit commercial, 1889, n. 2, pp. 200 e ss.; così come Jean Pirard
in Belgio, con il suo Tribunaux de Commerce. Ce que’en pensent les justiciables, Bruxelles
1899. Nonché in Italia voci importanti come Antonio Virgilio, Augusto Pierantoni, fino a
Lodovico Mortara e Tullio Ascarelli.
42
Cfr. V. Piergiovanni (ed.), The courts and development of Commercial Law, Berlin, 1987, nonché l’efficace sintesi dello stesso autore, La giustizia mercantile, presentata al
convegno “Il diritto tra scoperta e creazione. Giudici e giuristi nella storia della giustizia
civile”, Napoli 18-20 ottobre 2001, e pubblicata in A. Padoa Schioppa, G. di Renzo Villata e G.P. Massetto (a cura di), Amicitiae pignus. cit., t. III, pp. 1841-1858.
Dalla fiducia nei mercanti alla fiducia nei mercati
129
coloro i quali avessero un’età minima e un esercizio almeno quinquennale
dell’attività commerciale.
La composizione delle corti mercantili era sempre stato oggetto di dibattiti dovuti soprattutto alla mancanza di giuristi professionisti all’interno
dei collegi giudicanti, e, pertanto, mano a mano che nei secoli lo ius mercatorum si andava sempre più perfezionando e sempre più veniva integrato
dalla legislazione sovrana, allontanandosi così dall’impiego di sole prassi e
consuetudini mercantili, si diffondeva sempre più la convinzione che forse
un giurista di professione sarebbe stato più adatto a risolverne le controversie43. Tali perplessità vennero poi ulteriormente rafforzate dalle riforme
rivoluzionarie che, con l’abolizione delle corporazioni e del particolarismo
giuridico, aprirono l’esercizio dell’attività commerciale a tutti indistintamente, facendo venir meno la ragione di un foro dove si godeva del privilegio di essere giudicati dai propri “pari”. Ma i Tribunali di Commercio
avevano finito per rispondere anche ad altre esigenze, quali quelle dell’efficienza dei traffici e della rapidità nella risoluzione del relativo contenzioso, e questo appariva ancora una valida ragione per conservare, nonostante tutto, ai negozianti l’amministrazione della giustizia nel commercio44.
Nel Birotteau l’incontro con questo mondo è immediato, diretto, senza
filtri. Il suo protagonista, César, non è solo un negoziante selezionato tra
i notabili della città, coinvolto, pertanto, e come tutti i suoi simili, nell’elezione dei giudici e destinatario della loro competenza, ma è divenuto egli
stesso giudice del Tribunale di Commercio, e per questa sua attività, come
per l’istituzione stessa, esprime un enorme e incondizionato rispetto. Ma
non sono le opinioni di César quelle che dominano il rapido avvolgersi
dell’intreccio giudiziario in cui è intrappolato: non è il punto di vista di
César che Balzac intende evidenziare con il romanzo.
A dire il vero, dal giorno stesso in cui César prende coscienza della sua
disfatta, perde del tutto il controllo su se stesso, e la situazione passa immediatamente nelle mani della figlia Césarine e dell’amorevole Constance,
del saggio zio Pillerault, del giovane futuro genero Anselme Popinot, del-
43
Cfr. G.S. Pene Vidari, Giudici togati o no? I tribunali di commercio sabaudi nel secolo XIX, in Studi piemontesi, VIII-1 (marzo 1979).
44
Sui temi della giurisdizione consolare e dei successivi Tribunali di commercio in
Francia, oltre ai classici J. Hilaire, Introduction historique, cit., e R. Szramkiewicz, Histoire du droit des affaires, Montchrestien, 1989; cfr. anche il recente volume collettaneo
dell’Association française pour l’histoire de la justice, “Le Tribunaux de Commerce. Genèse
et enjeux d’une institution”, Collection Histoire de la justice, n. 17, La Documentation
française, Paris, 2007. Per l’Italia, cfr. G.S. Pene Vidari, Tribunali di commercio e codificazione commerciale carloalbertina, pp. 27-124, in Riv. st. dir. it., a. XLIV-XLV, 1971-72,
voll. XLIV-XLV.
130
Cristina Ciancio
l’avvocato Derville, ma anche del malvagio du Tillet, degli sprezzanti banchieri Nucingen, dell’avido proprietario di casa Molineux.
Nei giorni, nelle ore febbrili che precedono l’avvio della procedura fallimentare, César Birotteau è come un fantoccio, spinto di porta in porta
dalla disperazione, con la mente annebbiata, ed è Balzac a prendere le redini della sua vicenda e del suo destino, osservando tutto con i suoi occhi critici e disincantati, uscendo definitivamente allo scoperto con i suoi
inesorabili giudizi su quello che d’ora innanzi sarà per i suoi compagni di
avventura, nonché per il lettore, sempre e solo il “povero” César.
Sono pertanto le opinioni di Honoré de Balzac – personalità ben diversa da quella del suo protagonista – sui Tribunali di Commercio, ed in
particolare sui suoi giudici negozianti e le sue procedure, che reggono la
trama della vicenda giudiziaria di César. Mentre quest’ultimo continua a
vedere nelle sale del Tribunale il luogo del prestigio e della giustizia, ed
avervi avuto accesso in qualità di giudice rende ancora più insopportabile
e sconvolgente la sua condizione prossima al fallimento, Balzac scarica in
gran parte sulle incoerenze della sua composizione e sulle conseguenti commistioni con gli speculatori dell’ Haute Banque parigina, le colpe della corruzione e dei malesseri del commercio parigino.
I giudici consolari, che non vengono scelti a fine carriera come riconoscimento per i loro meriti – sistema che invece Balzac giudicava più opportuno e funzionale di quello in vigore – ma mentre sono all’apice della
loro attività mercantile, non hanno tempo da dedicare all’attività giudicante,
e quando lo fanno rischiano continui conflitti di interesse oppure di trovarsi a pagare a caro prezzo l’onestà delle loro sentenze dovendo poi continuare ad avere a che fare con i mercanti che giudicano. Ed è questo, in
particolare, ciò che accade a Birotteau con Du Tillet, che, “vittima” della
condotta impostagli nei suoi confronti dalla condizione di giudice integerrimo rivestita dal profumiere, cercherà l’occasione di vendicarsi e, una volta
introdotto tra i banchieri della piazza parigina, diventerà l’artefice della
truffa nella quale finisce per cadere Birotteau. Ma non è tutto, a questi
giudici può persino capitare – mette in evidenza Balzac – di fallire durante
il mandato: «Paris a vu le président de son tribunal de commerce être forcé
de déposer son bilan»45, e già questo era sufficiente a gettare discredito e
sfiducia sull’intera istituzione giudiziaria e sulla sua autorevolezza. Sebbene,
nelle prime pagine del romanzo, Balzac giustifichi l’elezione di Birotteau
come giudice consolare in virtù della «probité», «delicatesse» e della «consideration dont il jouissait», e sebbene avesse indicato nel suo «sentiment
45
«Parigi ha visto il presidente del suo tribunale di commercio dichiarare bancarotta»,
CB, p. 333.
Dalla fiducia nei mercanti alla fiducia nei mercati
131
du just», nella sua «rectitude» e nel suo «bon vouloir»46, qualità essenziali
per la risoluzione di questo tipo di controversie, non manca di condannare un sistema che in concreto favorisce ben altri criteri:
«Ce tribunal de commerce, au lieu d’avoir été institué comme une utile transition d’où le négociant s’élèverait sans ridicule aux régions de la noblesse, se
compose de négociants en exercice, qui peuvent souffrir de leurs sentences en
rencontrant leurs parties mécontentes, comme Birotteau rencontrait du Tillet»47.
Un problema che la Francia sembra aver difficoltà a dimenticare se, ancora nel 1998, il rapporto di una Commissione d’inchiesta nominata dall’Assemblea Nazionale, avrebbe messo in evidenza, a sostegno della sua
posizione critica nei confronti degli attuali Tribunali di Commercio, dopo
aver raccolto le molte lamentele sollevatesi in tutto il paese, che a causare
le gravi irregolarità denunciate vi sarebbe stato in gran misura proprio il
disinteresse dei giudici negozianti nei confronti della loro funzione, trascurata o impropriamente delegata ad altri in quanto ancora pienamente
coinvolti nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, nonché i continui conflitti di interesse e rischi di commistioni e iniquità di trattamento
che tale loro condizione avrebbe provocato in modo quasi sistematico48.
Il giudizio di Balzac sulle disfunzioni dei Tribunali di Commercio, in
particolare per quanto riguarda le responsabilità da attribuire agli affari personali dei giudici consolari, un giudizio che troviamo confermato nel Rapporto della Commissione d’inchiesta del 1998 di cui sopra, per quanto
acuto e pertinente potrebbe anche essere ridimensionato. A tal proposito
una recente ricostruzione del funzionamento del Tribunale di Commercio
parigino, condotta sulla base di un’originale indagine sulla documentazione
archivistica, individua come causa delle sue maggiori irregolarità la consistente sproporzione tra numero di controversie presentate al Tribunale parigino e numero di giudici consolari disponibili (inizialmente nove, fino a
raggiungere negli anni un massimo di trenta)49. Questa situazione avrebbe
46
Ivi, p. 75.
Ivi, p. 349. («Il tribunale di commercio, invece di essere istituito come un’utile transizione che avrebbe permesso a un negoziante di elevarsi nelle sfere della nobiltà senza essere ridicolo, si compone di commercianti in esercizio, i quali rischiano di subire le condanne che emettono quando incontrano le loro parti scontente, come Birotteau aveva incontrato du Tillet», CB, p. 334).
48
Rapport fait au nom de la Commission d’enquête sur l’activite et le fonctionnement
des tribunaux de commerce, Assemblee National, Paris, 1998 (disponibile anche on-line al
seguente link: www.assemblee-nationale.fr/11/dossiers/tribunaux-de-commerce).
49
C. Lemercier, The Judge, the Expert and the Arbitrator. The Strange Case of the
Paris Court of Commerce (ca. 1800-ca. 1880), in C. Rabier, ed, Fields of Expertise. A Com47
132
Cristina Ciancio
costretto i giudici consolari ad affidare tentativi di conciliazione e istruzione delle pratiche a così detti arbritrateurs (da non confondere con gli
arbitri) che si sarebbero occupati di ascoltare testimoni, raccogliere informazioni, controllare scritture contabili, offrendo al giudice anche la possibile soluzione del caso, soluzione che il giudice poteva infine decidere di
accogliere o respingere. Questa, dunque, sarebbe stata la reale ragione della
frequente assenza dei giudici consolari dal disbrigo effettivo dell’attività
giurisdizionale, e solo in misura minore sarebbe stata, invece, la circostanza
che questi stessi giudici si sarebbero disinteressati alla loro carica perché
assorbiti dalla gestione dei propri affari.
6. – Ritorniamo sulla digressione finale che Balzac dedica al fallimento50.
Qui Balzac si rivolge direttamente al lettore, sente il bisogno di spiegare
«le drame d’une faillite, afin de faire comprendre comment il constitue à
Paris une des plus monstrueuses plaisanteries légales, et comment la faillite
de César allait être une énorme exception»51.
In queste poche pagine l’attenzione dello storico del diritto, fino ad ora
provocato ma non ancora direttamente chiamato in causa, si intensifica, e
la sua sensibilità è catturata, rapita irrimediabilmente nella storia del César. Sono le pagine dove più che in ogni altra parte del romanzo, la continua sovrapposizione di descrizione e rappresentazione, espressione di
quelle “due anime” cui si è fatto sopra riferimento, appare ai suoi occhi
più intensa, concentrata.
L’oggetto apparente è la critica, intransigente e puntuale, delle diverse
fasi previste dalla procedura fallimentare, così come applicate dalle prassi
del Tribunale di Commercio parigino, e, come si è più volte precisato, ciò
avviene con estrema competenza e rigore sistematico e linguistico52. Ma
quello che si percepisce, al di là delle parole che corrono severe in queste
circa venti pagine, è ancora la storia di César Birotteau, e Balzac è ancora
il geniale romanziere che stiamo leggendo. E quindi, come tale, crea, inventa, immagina. Così ci disegna i volti beffardi dei negozianti insolventi
parative History of Expert Procedures in Paris and London, 1600 to Present, Newcastle
2007, pp. 115-145.
50
H. de Balzac, César Birotteau, cit., pp. 347-368.
51
Ivi, p. 349 («È necessario spiegare alle persone che non hanno la fortuna di essere
commercianti il dramma di un fallimento; capiranno così perché, a Parigi, esso costituisce
uno degli scherzi legali più mostruosi che ci siano, e in che senso il fallimento di César
avrebbe rappresentato un’eccezione eclatante», CB, p. 333).
52
Sulla legislazione in materia di fallimento, rimane un riferimento imprescindibile per
lo storico del diritto U. Santarelli, Per la storia del fallimento nelle legislazioni italiane
dell’età intermedia, Padova, 1964, nonché il suo più recente Mercanti e società tra mercanti, Torino, 1992, in particolare alle pp. 57-104.
Dalla fiducia nei mercanti alla fiducia nei mercati
133
abituati al lassismo dei giudici nel concedere loro il sauf-conduit necessario ai falliti per circolare liberamente già all’indomani del deposito del bilancio, le fronti corrucciate con la mente concentrata nella ricerca della
scappatoia legale sicuramente possibile per sfuggire alla perdita del proprio
patrimonio, perché «l’effet de toute loi qui touche à la fortune privée est
de développer prodigieusement les fourberies de l’esprit»53. E poi c’è la «crisalide», l’immagine apparentemente poetica ma in realtà carica di sarcasmo,
che usa per rappresentare l’inconsistenza e la brevità della «morte civile»
che spetterebbe al fallito, una condizione che non dura mai più di tre mesi,
che è il tempo richiesto per sbrigare le formalità necessarie per accordarsi
con i creditori più furbi e sottoscrivere un concordato che porrà fine a
tutto, restituendo il fallito ai suoi normali traffici.
Dopo poche righe incontriamo gli occhi assenti del giudice-commissario, «placé dans le drame comme un buste royal»54, brav’uomo, potenzialmente onesto, ma che ci guarda con una espressione distratta mentre dovrebbe dividersi tra la sorveglianza sugli interessi del patrimonio destinato
a saldare i debiti e la tutela del fallito dalle vessazioni dei creditori. La sua
mente è rapita dalla gestione dei suoi affari che sta trascurando svolgendo
un incarico temporaneo e non retribuito, e, forse anche sua moglie, come
già aveva fatto Madame Birotteau, lo aspetta a casa per convincerlo a lasciare il seggio in Tribunale e dedicarsi di più all’impresa familiare.
Ma a cosa è dovuta questa farsa? Cosa rende la procedura fallimentare
nella Francia della Restaurazione «une des plus monstrueuses plaisanteries
légales», «un des plus burleques drames que la Justice puisse protéger»55?
Per Balzac le nuove leggi, realizzate in modo approssimativo e frettoloso,
consentono agli affaristi e a tutto quel sottobosco di agréés e syndics che
si arricchiscono attorno alle aule del Tribunale di Commercio, e che di
fatto manovrano giudici sempre più distratti e assorbiti dai loro affari, di
uscirne sempre bene a discapito di coloro che vantano crediti reali e degli
onesti costretti a fallire per mala sorte.
«Rendons justice à la Loi: la législation, faite à la hâte, qui régit la matière a
lié les mains du juge-commissaire et dans plusieurs circonstances il consacre des
fraudes sans les pouvoir empêcher»56.
53
H. de Balzac, César Birotteau, cit., p. 347. («L’effetto di qualunque legge relativa
alla proprietà privata è di sviluppare prodigiosamente le astuzie dell’intelletto», CB, p. 331).
54
Ivi, p. 350 («collocato nel dramma come un busto regale in una sala d’udienza» CB,
p. 334).
55
Ivi, p. 351 («uno dei drammi più comici che la Giustizia abbia mai protetto», CB,
p. 336).
56
Ivi, p. 350 («Rendiamo giustizia alla Legge: fatta alla svelta, la legislazione relativa a
134
Cristina Ciancio
In un’altra circostanza un Balzac disilluso dal liberalismo della Monarchia di Luglio espresse in una lettera ad un’amica dell’ottobre 1830, una
precisa idea sulle funzioni della Legge: «L’insieme delle leggi e il loro spirito deve tendere a cercare di illuminare il più possibile il popolo, la gente
che non ha niente, gli operai, i proletari, ecc. allo scopo di far raggiungere
a più uomini possibile quella condizione di agio che distingue la massa intermedia», tutto questo all’interno però di un conservatorismo di fondo secondo il quale il «popolo deve essere lasciato sotto il giogo più potente; i
suoi individui devono poter trovare luce, aiuto, ricchezza e protezione; nessun’idea, nessuna forma, nessuna transazione devono renderlo turbolento»57.
Nella Parigi balzacchiana, invece, nessuno concludeva la procedura fallimentare, troppo lunga e costosa che effettivamente avrebbe portato all’interdizione del mercante fallito escludendolo dai traffici e tutelando così
il mercato da un operatore nella migliore delle ipotesi inavveduto o incapace, nella peggiore disonesto. Si preferiscono le liquidazioni concordate
con i creditori, i quali ottengono una minima parte rispetto a quanto gli
spetterebbe, ma subito e con poca spesa: «chacun croit que la faillite donnerait moins que la liquidation. Il y a plus de liquidations que de faillites à Paris»58. E così questo sistema permette al negoziante che non è riuscito a rispettare i suoi impegni di proseguire la sua attività, e di non subire realmente alcuna grave sanzione. Ha corso un rischio, e lo valuta
come un costo da sopportare nel lungo o corto percorso della sua attività: «tout négociant, quelque peu affaire qu’il soit, accepte la faillite comme
un sinistre sans assureurs, passe la perte au compte des “profits et pertes”»59.
Un sistema, questo delle liquidazioni, che veniva gestito da quei spregiudicati affaristi che gravitano intorno all’Haute Banque e cui Balzac attribuisce le maggiori responsabilità della degenerazione del capitalismo borghese. Analoga visione disincantata e cinica, infatti, si ritrova nel breve
romanzo La Maison Nucingen, scritto negli stessi anni del Birotteau e
sempre incentrato sulle luci ed ombre della Haute Banque parigina, dove
Balzac sostiene «il mercante più virtuoso vi dirà con l’aria più innocente
questa materia ha legato le mani al giudice commissario, il quale spesso e volentieri consacra delle frodi senza riuscire a impedirle», CB, p. 334).
57
La lettera a Zulma Carraud è citata in L. Binni, «Introduzione» a H. de Balzac,
La pelle di zigrino, Milano, 2000, p. XXX.
58
H. de Balzac, César Birotteau, cit., p. 355 («Tutti ritengono che con il fallimento
si otterrebbe meno della liquidazione, e a Parigi ci sono più liquidazioni che fallimenti»,
CB, p. 340).
59
Ivi, p. 355. («Qualsiasi negoziante, per quanto poco indaffarato, accetta il fallimento
come un sinistro senza assicuratori, annovera la perdita tra i profitti e le perdite», CB, p.
340).
Dalla fiducia nei mercanti alla fiducia nei mercati
135
queste parole sfrenatamente immorali: «da un cattivo affare se ne esce
come si può»60.
Tutto questo non può non pregiudicare i valori della fiducia e della correttezza che devono plasmare un mercato che voglia aspirare all’efficienza
delle sue operazioni, valori la cui assenza agli occhi di Balzac svuotava inesorabilmente di ogni significato positivo la spinta capitalistica alla mobilità
sociale propria della borghesia. Ma anche in questo caso, descrivere e rappresentare, osservare e immaginare, permettono a Balzac di dirci qualcosa
di più.
4. – È evidente che l’onestà per Birotteau non si esaurisce nel rispetto
della legge e delle regole costituite. Sia ben chiaro, Birotteau è un monarchico e sostanzialmente un conservatore, nemico della Rivoluzione che con
i suoi turbamenti e le sue incertezze non poteva non compromettere il
successo dei traffici dei mercanti parigini di cui lui fa parte; per nulla al
mondo violerebbe la legge, o la metterebbe in discussione, e questa integrità civica è senz’altro per lui parte essenziale della sua stessa integrità
morale.
Pertanto egli non sente di dover rispettare un codice deontologico percepito come alternativo all’ordinamento giuridico, in nessun momento
guarda con sufficienza alle regole che gli si chiede di rispettare in nome
dello Stato legislatore, semplicemente il suo codice etico non si esaurisce
nel rispetto del diritto e delle leggi. Infatti, dopo che si conclude l’accordo
con i suoi creditori, egli non è affatto in pace con se stesso. Decide, e sente
di non avere in ciò alcuna alternativa (nemmeno la morte che in nessun
modo infatti potrebbe cancellare l’onta del mancato soddisfacimento degli
impegni presi con i creditori), di continuare a lavorare insieme alla moglie
ed alla figlia fino al completo pagamento dei propri debiti. E Balzac, seb-
60
«Les plus vertueux négociants vous disent de l’air le plus candide ce mot de la improbité la plus effrénée: On se tire d’une mauvaise affaire comment on peut», in H. de
Balzac, La Maison Nuncingen, Paris, 1989, p. 190. In questo romanzo, che uscì nel 1838,
e nel pieno spirito dell’impianto sistematico che volle dare alla sua Comédie humaine, Balzac rappresenta in qualche modo una vicenda speculare a quella di César. Nel Birotteau,
infatti, il fallimento viene tenacemente affrontato in modo onesto, e questo porterà allo sfinimento ed alla morte del suo protagonista; diversamente, nel La Maison Nuncingen, è
proprio a partire da un fallimento truccato con raggiri e speculazioni che il barone Nuncingen costruisce la sua fortuna e la sua reputazione nell’Haute Banque parigina. Nonostante le notevoli affinità tra il banchiere descrittoci da Balzac – israelita, di origini tedesche, con un caratteristico accento teutonico riprodotto impietosamente nei dialoghi – e James Rothschild, anche Jean Bouvier sottolinea come non si possa sostenere che La Maison Nuncingen intenda «mettere in scena» esplicitamente i famosi fratelli banchieri figli di
Meyer-Amschel (J. Bouvier, I Rothschild, cit., p. 50).
136
Cristina Ciancio
bene abbia dedicato la sua dotta digressione esplicitamente alla spiegazione
delle peculiarità del fallimento di César, ci riesce realmente a dare la misura dello scarto tra la scelta del suo protagonista e il malcostume dei commercianti parigini, regalandoci una pagina di puro teatro offerta da Madame Madou.
Madame Madou è una venditrice di nocciole delle Halles parigine, dalla
quale il profumiere si serviva per acquistare la materia prima di un suo
prodotto cosmetico per la caduta dei capelli. Madame Madou è una donna
modesta, analfabeta, strangolata dagli usurai, ma al tempo stesso piena di
energia, dignità e senso degli affari. Alla notizia del fallimento di Birotteau, e quindi della perdita di ogni valore delle cambiali da lei ricevute in
pagamento di una grossa fornitura, la sua reazione è violenta, smodata. Si
avventa nel negozio dei Birotteau tentando di svuotarne le preziose vetrine
per recuperare almeno in parte il suo credito. È arrabbiata, ma nelle sue
invettive vi è molto di più della reazione del creditore insoddisfatto. La
sua è una reazione esasperata, di chi si sente imbrogliata dal ricco borghese
membro del governo cittadino (ricordiamo che Birotteau è vicesindaco nel
suo Dipartimento), nuovamente di fronte ad un esempio di come gli onesti lavoratori siano costretti a soccombere alle truffe di coloro che si arricchiscono grazie al danaro altrui. È offesa, e stanca.
Ma la reazione di César e di sua moglie la disorientano. Si aspettava di
essere scacciata con fare sprezzante da chi si sentiva intoccabile da quelle
leggi che valevano solo per chi non era abbastanza ricco e abbastanza malizioso da aggirarle, si aspettava altre parole forbite con le quali si sarebbe
cercato di rabbonirla. Nulla di tutto questo succede. César e Constance
non la guardano con superiorità, anzi. Si presentano a lei umiliati, sofferenti sotto il peso del loro insuccesso. Si scusano, Le chiedono di presentarsi l’indomani per fissare i termini dell’avvio della procedura fallimentare.
Si impegnano ad aspettare nel loro negozio i gendarmi se lei fosse intenzionata a chiedere l’arresto per debiti di César. E lei resta senza parole.
È tutta qui la prova del degrado dell’etica dei mercanti parigini, e dell’isolamento in cui si trova César. Nello sguardo smarrito di questa popolana impetuosa, combattiva, giunta per fare battaglia e finita con l’assistere ad una scena che la commuove fino ad imbarazzarla61.
61
Sull’etica mercantile della piazza parigina prima dei cambiamenti operati dalla Rivoluzione del 1789, cfr. l’interessante indagine, anche se discutibile nei presupposti da cui parte
e nella disinvoltura di certe conclusioni, di Amalia Kessler volta a dimostrare il predominio dei valori cristiani nell’interpretazione ed applicazione delle regole di condotta da parte
del Tribunale di Commercio di Parigi: A.D. Kessler, Enforcing Virtue: Social Norms and
Self-Interest in an Eighteenth-Century Merchant Court, in Law and History Review» vol.
22, n. 1 (spring 2004), pp. 71-118.
Dalla fiducia nei mercanti alla fiducia nei mercati
137
Così, quella morte che, come si è detto, per Birotteau non sarebbe valsa
a nulla per evitargli il disonore, giunge invece alla fine, quando riesce nel
suo obiettivo di pagare tutti i debitori, riottenere la stima e la considerazione della piazza parigina e dei suoi conoscenti, stima e considerazione
delle quali aveva sempre vissuto senza mai pensare di poter arrivare a perderle. E Balzac stesso non manca di celebrare la sua morte, con quella retorica quasi grottesca, tanto cara proprio a César, consacrandovi le ultime
parole del romanzo:
«Voilà la mort du juste, dit l’abbè Loraux d’une voix grave en montrant César par un de ces gestes divins que Rembrandt a su deviner pour son tableau
du Christ rappelant Lazare à la vie.
Jésus ordonne à la Terre de rendre sa proie, le saint prêtre indiquait au Ciel
un martyr de la probitè commerciale à décorer de la palme éternelle»62
Modesto, probo, retto, dolce, ingenuo. Questi i frequenti aggettivi che
Balzac usa per César. Ma in queste ultime battute con cui chiude la parabola del suo protagonista, Balzac nemmeno tenta di nascondere, come aveva
fatto in precedenza, il suo sguardo sprezzante verso questo sempliciotto,
poco intelligente ed accorto, facile da suggestionare e manipolare con la
lusinga, colpevolmente attratto dalla possibilità di migliorare la sua condizione “elevandosi” socialmente senza averne le capacità essenziali, grazie
ad un’ardita speculazione che ne avrebbe fatto finalmente un “proprietario”, un rentier, come sempre aspirano a diventare i borghesi in Balzac.
Un uomo ossessionato dalla reputazione e dall’onorabilità. Molto meno
ossessionato dall’onestà.
Per provare a spiegare il significato della profonda differenza tra onestà e onore nella costruzione balzacchiana di questo personaggio, prendiamo a prestito alcune, efficacissime, parole di Louis Althusser, tratte da
un famoso saggio dedicato all’opera di Montesquieu e allo spazio che questi dedica al tema dell’onore, che dominerebbe nelle monarchie contrapposto a quello della virtù, predominante, invece, nelle repubbliche.
«L’onore non ha nulla a che fare con la verità né con la morale. Ecco
cosa cozza con l’apparenza dell’onore medesimo, che richiede la franchezza,
l’obbedienza, la cortesia e la generosità. La franchezza? L’onore vuole “verità nei discorsi. Ma per amore di essa? – Niente affatto” [Esprit des lois,
IV 2]. Quest’amore della verità e della semplicità si trova nel popolo che
62
H. de Balzac, César Birotteau, cit., p. 401. («‘Ecco la morte del giusto’, disse con
voce grave l’abate Loraux, indicando César con uno di quei gesti divini che Rembrandt è
riuscito a cogliere nel suo Cristo che resuscita Lazzaro. Gesù ordina alla Terra di restituire
la sua preda, il santo prete indicava al Cielo un martire della rettitudine commerciale da
insignire del premio eterno», CB, p. 384).
138
Cristina Ciancio
non partecipa in alcun modo dell’onore, non già nell’onore stesso, che
vuole la verità solo “perché un uomo abituato a dirla pare ardito e libero”.
L’obbedienza? L’onore non vi si attiene per amor suo ma per sé, non per
bontà o virtù di sommissione, ma per la nobiltà che gli deriva dal fatto di
sottomettervisi. […]. La cortesia e la generosità, la magnanimità? sono certo
doveri che obbligano reciprocamente tutti gli uomini, se essi devono vivere insieme e pacificamente. Ma, quanto all’onore “non è da una fonte
così pura che la cortesia suole trarre origine. Essa nasce dal desiderio di
distinguersi. È per orgoglio che siamo cortesi [Esprit des lois, IV 2]. La generosità stessa, che parrebbe frutto di bontà, prova solo che un’anima bennata vuole godere d’essere più grande della ricchezza che dispensa e più
nobile del rango che dimentica: quasi potesse davvero negare quel privilegio di rango che è necessario per potersi concedere, appunto, il gusto di
negarlo. Il fatto è che l’onore non si sottomette alla virtù più di quanto
non sottometta a sé quest’ultima»63.
Parole, queste, che, sembrano adattarsi particolarmente bene anche al
monarchico César Birotteau.
Birotteau, infatti, non ha alcuna percezione dei suoi limiti, non ha vero
coraggio, ma si è sempre poggiato su quello di Constance, non ha sete di
conoscenza ma vuole sfruttare i vantaggi della scienza per pubblicizzare i
suoi cosmetici.
Queste, forse, sono le parole che meglio ci rivelano il giudizio dell’autore:
«Tel était Cèsar Birotteau, digne homme à qui les mystères qui président à la
naissance des hommes avaient refusé la faculté de juger l’ensemble de la politique et de la vie, de s’elever au-dessus du niveau social sous lequel vit la classe
moyenne, qui suivait en toute chose les errements de la routine: toutes ses opinions lui avaient été communiquées, et il les appliquait sans examen. Aveugle
mais bon, peu spirituel mais profondément religieux, il avait un cœur pur. Dans
ce cœur brillait un seul amour, la lumière et la force de sa vie; car son désir
d’élévation, le peu de connaissances qu’il avait acquises, tout venait de son affection pour sa femme et pour sa fille»64.
63
L. Althusser, Montesquieu, la politica e la storia, Introduzione di Alberto Burgio, Roma, 1995 (edizione originale Montesquieu. La politique et l’histoire, Paris, 1959),
pp. 109-110.
64
H. de Balzac, César Birotteau, cit., p. 92 («Questo era César Birotteau, uomo rispettabile cui era stata negata, per il mistero che presiede alla nascita degli uomini, la facoltà
di giudicare l’insieme della politica e della vita, di elevarsi oltre il rango sociale al di sotto del
quale vive la classe media, un uomo che seguiva in tutto i comportamenti più comuni: ogni
sua opinione, l’aveva ricevuta dall’esterno, e l’applicava senza riflettere. Ottuso, ma buono,
poco intelligente, ma profondamente religioso, egli aveva un cuore puro, in cui brillava un
solo amore, luce e forza della sua vita: il suo desiderio di ascesa, quel poco di conoscenze
che aveva acquisito, tutto infatti veniva dall’affetto per la moglie e per la figlia», CB, p. 64).
Dalla fiducia nei mercanti alla fiducia nei mercati
139
Nonché, con maggiore severità:
«Ainsi un homme pusillanime, médiocre, sans instruction, sans idées, sans
connaissances, sans caractère, et qui ne devait point réussir sur la place
la plus glissante du monde, arriva, par son esprit de conduite, par le sentiment du juste, par la bonté d’une âme vraiment chrétienne, par amour
pour la seule femme qu’il eût possédée, à passer pour un homme remarquable, courageux et plein de résolution. Le public ne voyait que les
résultats»65.
Riportando le opinioni dei commercianti parigini che si rincorrono nei
giorni tremendi della sventura di Birotteau, Balzac ci mostra come persino
Roguin, il notaio oramai anziano che per assecondare la sua passione senile per una avventuriera, froda i suoi soci, tradisce e abbandona la moglie e la famiglia, e scappa con i soldi rubati a quanti avevano investito in
quella stessa speculazione, persino Roguin è descritto come «sfortunato»,
mentre Birotteau è il «povero» Birotteau. Al primo è andata male, ha corso
un rischio, ha avuto sfortuna, nessun giudizio tocca la sua personalità e il
suo codice di comportamento. Ma a Birotteau, invece, è capitato quello
che si meritava per la sua ingenuità, per essere solo un sempliciotto di campagna che ha voluto guardare più lontano di quanto la sua condizione gli
avrebbe permesso. Una colpa che Balzac non può perdonare. E la sua onestà, o meglio, la sua onorabilità è parte integrante di questa ingenuità, e,
quindi, di questa stessa colpa. Il Birotteau di Balzac non è un eroe tragico, lo abbiamo detto, ma una figura grottesca di martire del commercio,
guardato con sufficienza, con pietà, ma anche con severità. Persino con
Madame Madou, costretta a cambiare opinione su César, che nella sua semplicità di donna del popolo resta colpita quando si rende conto che Birotteau non ha alcuna intenzione di sfuggire alla severità della giustizia
sfruttando la sua posizione, persino con lei Balzac non rinuncia alla sua
condanna, e la donna si commuove, si imbarazza, si intenerisce. Ma non
è ammirazione la sua, ed il rispetto che gli rivolge è dovuto ad un moto
di tenerezza, ad una solidarietà tra vinti, ad un moto di pietà. Non c’è
vera stima in lei, nessuna percezione di trovarsi di fronte ad un uomo la
cui condotta reca onore e prestigio. Balzac non cede nel suo giudizio nemmeno in questo caso.
65
Ivi, pp. 79-80 («Così, un uomo pusillanime, mediocre, senza istruzione, senza idee,
senza conoscenze, senza carattere, e che non sarebbe dovuto riuscire sulla piazza più scivolosa del mondo, riuscì, grazie alla sua condotta, al senso della giustizia, alla bontà di
un’anima veramente cristiana, per amore dell’unica donna che avesse mai posseduto, a passare per un uomo particolare, coraggioso e pieno di fermezza. Il pubblico vedeva solo i risultati», CB, p. 51).
140
Cristina Ciancio
La bêtise de la vertu, dirà Balzac a proposito del suo protagonista. Si
potrebbe quasi non dover aggiungere altro. Cosa ci suggerisce, dunque, rispetto alla nostra indagine di tipo storico-giuridico, questo aspetto della
personalità di Birotteau così come rappresentata da Balzac?
Per prima cosa, che per Balzac all’indomani dell’esperienza napoleonica
e della rivoluzione borghese che questa aveva avuto la pretesa di portare
a compimento, si era in qualche modo provocato uno scollamento tra ordine giuridico e società, provocato per lui da un demagogico attacco alle
necessarie gerarchie sociali, istigando alla furbizia ed alle scorciatoie degli
speculatori dell’Haute Banque parigina, senza che le nuove regole fossero
riuscite a sostituire nel “cuore” dei commercianti l’antico sistema basato
sulla reputazione, sulle prassi commerciali e le consuetudini che davano
vita ad un sistema di regole diretta espressione del mercato cui erano destinate. Ma, se non erano dunque riuscite ad inserirsi al posto degli antichi codici di comportamento, pure li avevano oramai messi in disparte,
emarginati, addirittura ridicolizzati. Il conservatore Balzac osserva con occhio acuto che a cambiare non sono solo le regole, che pure egli attacca,
ma il mercato stesso e i suoi protagonisti. Quel mercato parigino formato
da commercianti consapevoli anche dei loro limiti non esiste più, ora è dominato da banchieri, affaristi, speculatori. Figure che sono la dimostrazione
vivente dei danni provocati dal “nuovo vento” che aveva tutti convinto di
poter costruire in pochi anni, con poche e mirate operazioni al limite della
legalità, le fortune e il prestigio che prima le élites ottenevano solo grazie
a patrimoni accumulati in molte generazioni. E tra questi Birotteau non è
che un pupazzo un po’ ridicolo, un po’ affascinante.
Ancora, ci suggerisce che se era inevitabile che i valori della fiducia e
della reputazione finissero per essere ancora fondamentali ed imprescindibili solo per una fascia di mediocri e patetici piccoli commercianti che non
avevano alcun ruolo di riferimento nel mercato, era però vero che questo
si stava rivelando una grave perdita, perché se Balzac guarda con ostentata
sufficienza alle sventure di Birotteau, è altrettanto vero che descrive con
occhio desolato l’ambiente nel quale il suo protagonista è solo oggetto di
raggiri e derisione. È un mercato che può solo degenerare quello che descrive, e per il quale, non lo dice ma forse lo si può ricavare, sembrerebbe
vedere come unica speranza una sicura ed efficace applicazione della legge,
una legge però non più «faite à la hâte», figlia di un potere convinto di
poter tutto decidere e disporre, anche se dall’“alto” e dell’“esterno”, ma
consapevole e accurata nei suoi meccanismi di attuazione66. E quindi una
66
Sull’idea che i codici napoleonici fossero stati il risultato di una violenta scelta del
potere politico di “eterodirigere” in modo del tutto unilaterale i rapporti dei privati, va tuttavia ricordato, con Mario Ascheri, che «il codice napoleonico è legislativo in senso solo
Dalla fiducia nei mercanti alla fiducia nei mercati
141
giustizia statale più presente e meno distratta, capace di punire i comportamenti lesivi degli interessi dei creditori e dei mercanti economicamente
più deboli, senza demagogia, ma con rigore e competenza. Balzac, infatti,
pare non credere nelle possibilità del rispetto “spontaneo” da parte dei
mercanti di un sistema di regole, di una deontologia del mercato, che infatti egli arriva a deridere, tra la provocazione e il disincanto.
8. – Ma era poi vero che questi valori della fiducia e della reputazione
erano caduti così in disuso, avevano perso tutto il loro significato di garanti dell’efficienza e del funzionamento del credito e quindi dei traffici
per la società ottocentesca, come sembrerebbe volerci far credere Balzac?
Non è la sede per sviscerare un tema imponente come questo, ma è interessante notare come in quegli stessi anni, un eminente economista scriveva a proposito della vicina Inghilterra: «i difetti dei tribunali sono stati
[…] nella pratica meno dannosi alle relazioni commerciali, perché l’importanza del credito personale, che dipende dal carattere, fa sì che la pubblica opinione rappresenti un freno il quale, benché insufficiente, come è
dimostrato dall’esperienza quotidiana, è tuttavia una protezione molto potente contro forme di disonestà mercantile riconosciute generalmente come
tali»67. Sembrerebbe, leggendo queste poche parole di John Stuart Mill, che
la scelta di Birotteau di soddisfare integralmente tutti i suoi creditori anche molto al di là di quanto la legge e i costumi dei suoi contemporanei
prevedessero, possa essere vista come qualcosa di ben diverso da una forma
di bêtise de la vertu. Potrebbe essere vista, invece, come una, certamente
coraggiosa, ma attenta e conveniente strategia finalizzata a conquistare, ottenuta la riabilitazione, una posizione sul mercato anche più vantaggiosa
di quella che si stava perdendo tra tanti sacrifici.
Senza bisogno di dilungarci oltre, è comunque evidente che così non è
vissuta da Birotteau, il quale agisce preoccupato dall’onorabilità piuttosto
che dall’onestà (superfluo precisare quanto profonda sia la differenza tra
formale, perché fu fatto e approvato da giuristi col concorso attivo di Napoleone, ma non
di un’assemblea rappresentativa del Paese. Se si guarda alla sostanza dei fatti quell’opposizione tra legislazione e dottrina che viene predicata è puramente esteriore: il codice fu un
distillato di dottrina presa per mano sotto l’arbitrato interessato del potere politico; l’abile
cooperazione seppe realizzare un buon compromesso tra diritto consuetudinario del nord
e tradizione romanistica dotta e del sud, dando peraltro una formulazione alle norme chiara
ma molto pensata, dotta appunto», in M. Ascheri, Dal diritto comune alla codificazione,
cit., p. 30.
67
J.S. Mill, Principles of Political Economy with Some of Their Applications to Social
Philosophy (1848), in J.M. Robson, (a cura di), Collected Works of J.S. Mill, voll. 2-3, London, 1965 (ed. italiana J.S. Mill, Principi di economia politica, a cura di B. Fontana, Torino, 2006); Libro V, cap. VIII.3.
Cristina Ciancio
142
le due), che resta un ingenuo a dispetto di ogni tentativo di nobilitarlo, e
questo per la semplice ragione che è così che lo ha voluto e creato Balzac.
Ma le parole di Mill, lungi quindi dal permetterci una diversa lettura
del personaggio balzacchiano, ci permettono però una diversa lettura della
percezione di un sistema e delle sue regole che pure il personaggio balzacchiano vorrebbe offrirci.
Che tra le stesse maglie della legge si potessero insinuare forme di corruzione non era escluso nemmeno da Mill, che in un altro passo osserva:
«la stessa prosperità economica di un paese dipend[e] da quei caratteri delle
sue istituzioni che incoraggiano le doti di integrità e di fedeltà alla parola
data, o le qualità contrarie. La legge favorisce dovunque, almeno ostensibilmente, l’onestà pecuniaria e il rispetto dei contratti; ma se essa offre la
possibilità di evadere questi obblighi mediante espedienti e cavilli, o mediante un uso senza scrupoli della ricchezza, promuovendo cause legali ingiuste, o resistendo a cause giuste; se vi sono modi mediante i quali qualcuno può mettere in atto dei soprusi con l’apparente sanzione della legge;
allora la legge avrà un effetto immorale, anche per quanto riguarda l’integrità pecuniaria. […]. Se ancora la legge, per un’inopportuna indulgenza,
protegge l’oziosità o la prodigalità contro le loro conseguenze naturali, o
non stabilisce pene adeguate per il delitto, essa avrà effetti sfavorevoli sulla
prudenza e le altre virtù sociali»68.
Siamo forse di fronte ad uno di quei casi nei quali assistiamo ad una
divergenza tra la visione che di un fenomeno giuridico-economico ci offre la letteratura, e quella che del medesimo fenomeno ci offre l’occhio di
chi si occupa ‘dall’interno’ dell’economia e del suo diritto. E questo, come
si è detto, ci stimola ad indagare più a fondo, a non appiattirci su autorevoli giudizi altrui, ad ampliare il ventaglio di domande cui tentare di fornire una risposta, per sfuggire a risposte sempre più lontane dalle domande.
E questo potrebbe essere un ottimo punto di partenza per un nuovo
saggio.
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Ivi, Libro I, cap. VII.5.