relazione finale - Autorità di Bacino del Fiume Magra
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relazione finale - Autorità di Bacino del Fiume Magra
Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale Università degli Studi di Firenze APPROFONDIMENTI DELLO STUDIO GEOMORFOLOGICO DEI PRINCIPALI ALVEI FLUVIALI NEL BACINO DEL FIUME MAGRA FINALIZZATO ALLA DEFINIZIONE DI LINEE GUIDA DI GESTIONE DEI SEDIMENTI E DELLA FASCIA DI MOBILITÀ FUNZIONALE RELAZIONE FINALE APRILE 2007 Committente: Autorità di Bacino del Fiume Magra Responsabile del Progetto di Ricerca: Prof. Massimo Rinaldi, Dipartimento di Ingegneria Civile, Università di Firenze Relazione Finale – Indice INDICE PREMESSA 1. INQUADRAMENTO GENERALE DEL BACINO DEL FIUME MAGRA 1.1 Inquadramento fisiografico 1.2 Inquadramento geologico 1.4 Inquadramento climatico - idrologico 2. CARATTERI GEOMORFOLOGICI E TENDENZE EVOLUTIVE DEGLI ALVEI DEI FIUMI MAGRA E VARA 2.1 Inquadramento generale dei fiumi Magra e Vara 2.2 Carta Geomorfologica dell’alveo 2.3 Rilievi sedimentologici e morfologici 2.4 Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo 2.5 Variazioni climatico - idrologiche 2.6 Quadro complessivo delle variazioni e delle cause 3. INDIVIDUAZIONE DELLE AREE DI POTENZIALE RICARICA DI SEDIMENTI 3.1 Classificazione della rete idrografica e scelta dei sottobacini 3.2 Aspetti considerati 3.3 Potenziale di ricarica da frane 3.4 Potenziale di ricarica diretta nel reticolo idrografico 3.5 Fase di campo 3.6 Potenziale di ricarica da frane totale per sottobacino 3.7 Potenziale di ricarica diretta totale per sottobacino 3.8 Scelta delle aree del bacino significative per la ricarica di sedimenti 4. TRASPORTO SOLIDO E BILANCIO DI SEDIMENTI 4.1 Studi precedenti 4.2 Suddivisione in tratti 4.3 Modellazione idraulica 4.4 Stima del trasporto solido 4.5 Bilancio di sedimenti 5. STRATEGIE E LINEE GUIDA DI GESTIONE DELLA FASCIA DI MOBILITA’ FUNZIONALE E DEI SEDIMENTI 5.1 Riequilibrio sedimentologico di sistemi fluviali incisi 5.2 Riepilogo dei problemi, degli obiettivi e dei principi 5.3 Fascia di Mobilità Funzionale 5.4 Gestione dei sedimenti: ambiti e linee generali d’azione 5.5 Carta di sintesi delle variazioni del fondo e delle tendenze attuali 5.6 Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti 5.7 Gestione dei sedimenti: linee guida e raccomandazioni 5.8 Raccomandazioni relative ad opere idrauliche 5.9 Riepilogo delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti per ambiti i 1 2 2 4 5 7 8 9 11 26 28 32 36 36 37 38 44 45 47 49 51 55 55 63 65 71 82 91 91 96 101 113 119 124 127 139 144 Relazione Finale – Indice BIBLIOGRAFIA 150 DVD ALLEGATO 1. Granulometrie (nuovi dati granulometrici) 2. Dati idrologico-climatici (temperature, piogge, portate) 3. Carte (Tav.1 Carta di sintesi e Carta di sintesi rispetto al 1950 Nuova versione; Carta di sintesi delle variazioni del fondo e delle tendenze attuali; Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti) 4. Shape files (ArcGis) 5. Ricarica sedimenti (documentazione di campo) 6. Relazione Finale 7. Relazione di sintesi ii Relazione Finale - Premessa PREMESSA Nel mese di Novembre 2005 ha preso avvio, a seguito della stipula di apposita Convenzione tra Autorità di Bacino Interregionale del Fiume Magra e Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Firenze (in data 7 Novembre 2005), il progetto di ricerca dal titolo “Approfondimenti dello studio geomorfologico dei principali alvei fluviali nel bacino del fiume Magra finalizzato alla definizione di linee guida di gestione dei sedimenti e della fascia di mobilità funzionale”. Tale studio è scaturito dall’esigenza di approfondimento e di completamento del precedente progetto di ricerca (“Studio geomorfologico dei principali alvei fluviali nel bacino del Fiume Magra finalizzato alla definizione della fascia di mobilità funzionale e di linee guida di gestione dei sedimenti”), svoltosi tra Maggio 2004 e Agosto 2005. Gli obiettivi del presente progetto di ricerca possono essere così sintetizzati: 1) Completamento del quadro conoscitivo avviato nel precedente Studio Magra, con riferimento soprattutto al completamento delle cartografie di dettaglio; 2) Quantificazione del trasporto solido e del bilancio di sedimenti ed individuazione delle principali aree di potenziale ricarica di sedimenti negli alvei principali; 3) Definizione di un piano complessivo di gestione dei sedimenti e della fascia di mobilità degli alvei del F.Magra e F.Vara. L’articolazione della ricerca comprende i tre seguenti aspetti principali: 1. Completamento delle cartografie geomorfologiche tematiche; 2. Individuazione delle aree di potenziale ricarica di sedimenti e quantificazione del trasporto solido e del bilancio di sedimenti; 3. Definizione di strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti e della fascia di mobilità funzionale. Il Gruppo di Lavoro ha compreso: - Prof. Massimo Rinaldi, docente di Geologia Applicata presso il Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Firenze, responsabile della ricerca; - Ing. Luca Solari, ricercatore di Idraulica presso il Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Firenze, il quale ha seguito gli aspetti relativi alla quantificazione del trasporto solido; - Ing. Cristina Simoncini, Assegnista e Dottoranda di ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Firenze; - Ing. Giulia Doretti, Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Firenze; - Fabrizio Vannacci, Tecnico del Laboratorio di Sedimentologia presso il Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Firenze. Hanno inoltre preso parte alla ricerca durante l’arco temporale del progetto: - Dr.Geol. Daniele Sogni, collaboratore esterno, il quale ha contribuito alla realizzazione della cartografia ed alla fase di individuazione delle aree di potenziale ricarica di sedimenti; - Ing. Lara Coppi ed Ing. Stefania Lamagna, collaboratrici esterne, le quali hanno contribuito alla fase di individuazione delle aree di potenziale ricarica di sedimenti. - Ing. Lorenzo Bellacci, collaboratore esterno, il quale ha contribuito alla fase di valutazione del trasporto solido ed alla realizzazione della Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti. 1 Relazione Finale – Capitolo 1 CAPITOLO 1 – INQUADRAMENTO GENERALE DEL BACINO DEL FIUME MAGRA In questo capitolo si riporta un breve inquadramento del bacino del Fiume Magra, sintetizzando quanto già riportato nella Relazione Finale relativa alla prima fase del progetto (Relazione Magra I), alla quale si rimanda per una trattazione più completa. 1.1 INQUADRAMENTO FISIOGRAFICO Il bacino idrografico del fiume Magra (Figura 1.1) è situato nell’Italia centro-settentrionale, ha un’estensione di 1698.5 Km2, e confina con: (a) quello del Po a Nord; (b) i bacini liguri del Graveglia-Entella e del Gromolo-Petronio verso Ovest; (c) i bacini dello spezzino costiero verso Sud-Ovest; (d) le Alpi Apuane, i bacini dei T.Carrione e Frigido, seguite dall’Appennino Tosco Emiliano e dallo spartiacque col fiume Serchio verso Est. Figura 1.1 – Il bacino idrografico del Fiume Magra. All’interno del bacino del fiume Magra sono distinguibili tre distinti ambiti geografici (Figura 1.2), di seguito sinteticamente descritti. A. Sottobacino del medio-alto Magra. In questa porzione di bacino l’asta principale riceve un numero elevato d’affluenti caratterizzati da superfici significative (Aulella, 317.6 km2; Taverone, 87.2 km2; Verde, 68 km2; Bagnone, 59 km2; Gordana 50 km2) o in ogni caso rilevanti (Caprio, Civiglia Teglia, Magriola, Mangiola, Osca, ed altri con bacini tra i 20 ed i 40 km2). Questo prima porzione di bacino dell’alto e medio Magra, con riferimento ai dati relativi alla sezione di chiusura 2 Relazione Finale – Capitolo 1 di Albiano (superficie drenata di 970 km2, posta a 40 m s.l.m., a 3.7 km a monte della confluenza con il fiume Vara e a 19.4 km dalla foce) è caratterizzata da (Baldacci & Raggi, 1969): afflusso meteorico medio di 1707 mm/anno; deflusso naturale medio nell’anno stimato in 1391.68 106 m3; deflusso reale stimato in 1181.05 106 m3; una temperatura media annua di 12.9° C; una superficie boschiva pari al 76% della superficie del sottobacino. M-A V M-A M B VM Figura 1.2 – Suddivisione del bacino del F.Magra in tre ambiti geografici. M-A M: Medio-alto Magra; M-A V: medio-alto Vara; B VM: basso Vara e Magra. B. Sottobacino del medio-alto Vara. L’alto e medio Vara presenta affluenti di destra mediamente più brevi e con bacini meno estesi ed affluenti di sinistra più lunghi e con bacini relativamente più ampi. Il bacino, analizzato alla sezione di Piana Battolla (superficie drenata di 549 km2, posta ad una quota di 50 s.l.m., a 6,2 km a monte della confluenza con il fiume Magra e a 21.9 km dalla foce) è caratterizzato da (Baldacci & Raggi, 1969): afflusso meteorico medio di 1770 mm/anno; deflusso naturale medio nell’anno stimato in 569.46 106 m3; deflusso reale stimato in 563.3 106 m3; una temperatura media annua di 14.1°C; una superficie boschiva pari al 93% dell’intera superficie del sottobacino. C. Sottobacino del basso Vara e basso Magra. Il tratto terminale vallivo del F.Vara, quello del F.Magra poco a monte della confluenza Vara e, soprattutto, il basso corso del F.Magra, dalla confluenza alla foce, sono caratterizzati da un assetto di fondovalle molto più ampio e pianeggiante rispetto agli altri due settori del bacino. In tale settore, il F.Magra, se si esclude il Vara stesso, riceve affluenti naturali di scarso rilievo, ad eccezione del T.Calcandola (area drenata di 20 km2 3 Relazione Finale – Capitolo 1 circa), per la maggior parte largamente artificializzati ed in parte connessi ad opere o interventi di bonifica delle aree paludose che nel passato caratterizzavano gran parte della pianura costiera. Non sono presenti stazioni meteorologiche ed idrologiche funzionanti da lunghi periodi tali da poterne descrivere sinteticamente le caratteristiche (come per i due settori precedenti). 1.2 INQUADRAMENTO GEOLOGICO La costituzione litologico-strutturale del bacino deriva da una lunga e complessa storia geologica responsabile della formazione delle catene appenninica ed alpina. E’ utile, per le finalità di questa seconda fase di studio, sintetizzare anche in questa sede le principali litologie presenti nel bacino (Figura 1.3), alle quali sono associabili differenti comportamenti rispetto ai meccanismi di ricarica di sedimenti (Capitolo 4). A tal fine, si sono distinte le seguenti categorie: 1) Depositi recenti: depositi alluvionali di I°, II° ordine; depositi terrazzati di vario ordine; depositi fluviali recenti – limi sabbie e ciottoli; depositi fluviolacustri; depositi fluviolacustri ciottolosi cementati; depositi fluviolacustri prevalentemente argillosi; depositi palustri recenti limosi e sabbiosi; sabbie di ambiente litorale; alluvioni terrazzate e depositi fluviolacustri; sedimenti fluviolacustri e marini recenti e attuali. 2) Formazioni prevalentemente arenacee: arenarie fini intercalate a siltiti e marne; arenarie stratificate con siltiti e marne; arenarie torbiditiche in grossi banchi; rocce arenacee. 3) Formazioni prevalentemente argillose: argilliti fissili con calcari ed arenarie; argilliti, siltiti e marne; rocce argillose. 4) Formazioni prevalentemente calcaree:calcari cavernosi e brecce calcaree; calcari marnosi stratificati; calcari massicci – marmi; calcari stratificati; rocce calcaree. 5) Formazioni prevalentemente ofiolitiche: brecce ofiolitiche; ofioliti; rocce ofiolitiche. 6) Formazioni prevalentemente silicee: diaspri – scisti sericitici; rocce silicee. 7) Rocce metamorfiche e magmatiche: filladi quarzitiche; grezzoni – Marmi dolomitici; graniti; rocce metamorfiche indifferenziate; rocce cristalline acide; rocce metamorfiche. Da un punto di vista geomorfologico, il bacino del fiume Magra è costituito da un sistema di due vallate tra loro parallele, ed a loro volta parallele anche alla linea di costa delle Cinque Terre: ad occidente la valle del fiume Vara, ad oriente l’alta e media valle del fiume Magra. Gli alvei dei due corsi d’acqua seguono il fondo di due depressioni tettoniche, allungate in direzione appenninica, da NW verso SE, e solo nella loro parte terminale piegano con bruschi gomiti verso quell’area ancora più depressa, nota come il Graben di Sarzana, caratterizzata dalla piana alluvionale che da Santo Stefano di Magra si estende sino alla foce. L’attuale configurazione della rete idrografica risulta quindi strettamente collegata alle direttrici tettoniche e strutturali del territorio posto a NW delle Alpi Apuane e con l’evoluzione morfologica di questa parte dell’Appennino Ligure. Pertanto, mentre i due rami principali si sono impostati entro due strutture tettoniche plicative (sinclinali) con asse in direttrice appenninica, i tratti trasversali del Magra e del Vara (in direzione circa Est-Ovest) sono molto più recenti, e conseguenti alle fasi tettoniche che hanno causato l’approfondimento della pianura costiera tra Santo Stefano e Sarzana, determinando quindi il richiamo del drenaggio verso questa zona. Le principali tappe dell’evoluzione del reticolo idrografico avvenuta durante le ultime decine di milioni di anni sono le seguenti (Raggi, 1985): 1. Durante il Miocene superiore, le due valli principali del bacino impostate lungo la direttrice NWSE corrispondono ad aree tettonicamente depresse originatesi come un insieme di sinclinali ad assi paralleli. 2. Durante il Pliocene inferiore, si può ipotizzare una prima rete idrografica caratterizzata da due principali corsi d’acqua, paleo-Vara e paleo-Magra, impostati lungo gli assi delle sinclinali ed indipendenti tra di loro, con il secondo che continua il suo corso andando a costituire il paleoSerchio. 4 Relazione Finale – Capitolo 1 3. Durante il Pliocene superiore, compaiono i laghi di Sarzana e La Spezia, ed in quest’ultimo vanno a confluire sia il Vara che il Magra, catturato da un affluente di sinistra del paleo-Vara. Con il sollevamento delle Apuane e l’ulteriore approfondimento del lago di Sarzana, quest’ultimo richiama il drenaggio sia del Magra che del Vara, il quale confluisce nel primo all’incirca nella sua posizione attuale. 4. Durante il Pleistocene superiore, la configurazione del bacino è nel complesso simile all’attuale, con l’interrimento dei laghi intravallivi e degli stagni costieri e con una linea di riva molto più avanzata rispetto all’attuale a causa dell’abbassamento del livello del mare culminato nella glaciazione wurmiana. Figura 1.3 – Schema litologico del bacino del Fiume Magra. 1.3 INQUADRAMENTO CLIMATICO - IDROLOGICO Il bacino dal punto di vista idrologico-climatico può essere suddiviso in tre fasce che si differenziano tra loro per le termometrie e per la distribuzione delle precipitazioni. A. Fascia montana interna. Tale area risente dell’altitudine e presenta temperature medie invernali prossime allo zero e medie estive prossime ai 20°C. Si registrano alte escursioni annue, tra i 18 20°C fino ad escursioni massime comprese tra 26 e 29°C. B. Fascia intermedia. La fascia collinare è quella che, sotto l’aspetto termometrico, presenta più marcate differenze tra Val di Magra e Val di Vara. Lungo il corso del F.Magra, infatti, l’influenza mitigatrice del mare penetra in modesta misura fino a Pontremoli, le superfici collinari dolcemente inclinate sono piuttosto estese ed i versanti più acclivi sono esposti prevalentemente a Sud. In Val di Vara, invece, già all’altezza di Beverino si raggiungono minime e medie invernali discretamente più basse, sia per l’orientamento dei versanti che per la presenza di più vasti coni d’ombra. Risultano meno rilevanti le differenze tra le escursioni medie annue: a Pontremoli le temperature medie 5 Relazione Finale – Capitolo 1 variano tra i 4.5-5.5°C in inverno ed i 19-21°C in estate, mentre a S.Margherita in Val di Vara tra i 4-5°C invernali ed i 19.5-21.5°C estivi. C. Fascia costiera. La fascia pianeggiante costiera è caratterizzata da un clima temperato, fortemente condizionato dal contatto o dalla vicinanza col mare. In essa si registrano temperature medie annue attorno ai 13-16°C, medie estive attorno ai 20-22°C e medie invernali attorno a 6-8°C con escursioni annue contenute attorno ai 14°C (valori di escursione estrema pari a 20°C), indice di clima temperato decisamente marittimo. L’insieme dei fattori geografici ed orografici fanno sì che il bacino del F.Magra sia interessato da precipitazioni molto elevate. Nel periodo 1920-1970 sono stati registrati fino a circa 3000 mm di pioggia annua nelle parti più elevate, nella Val di Magra e nel versante settentrionale delle Apuane, mentre i valori minimi (1000 – 1200 mm annui) corrispondono alla parte inferiore della pianura di Sarzana, presso la foce del fiume. L’andamento delle piogge è tipicamente appenninico, con minimi estivi e massimi nella stagione autunnale, mentre in primavera ed in inverno i valori delle precipitazioni non presentano oscillazioni rispetto alla media annua (Figura 1.4). 250 225 A B C D Piogge (mm) 200 175 150 125 100 75 50 25 0 G F M A M G L A S O N D Figura 1.4 – Valori medi mensili delle precipitazioni totali per alcune stazioni di misura rappresentative. A) Tavarone (603 m s.l.m.); B) Pontremoli (237 m s.l.m.); C) S.Margherita (200 m s.l.m.); D) Sarzana (26 m s.l.m.). 6 Relazione Finale – Capitolo 2 CAPITOLO 2 – CARATTERI GEOMORFOLOGICI E TENDENZE EVOLUTIVE DEGLI ALVEI DEI FIUMI MAGRA E VARA In questo capitolo si tratteranno gli aspetti geomorfologici degli alvei fluviali oggetto dello studio. Per molti aspetti questa parte costituisce una integrazione ed un completamento delle conoscenze già acquisite nella prima fase dello studio (Relazione Magra I), alla quale si rimanda per completezza. Si riporta un inquadramento generale dei fiumi Magra e Vara (par.2.1), seguito dalla descrizione della Carta Geomorfologica (par.2.2) che, in questi approfondimenti, è stata completata estendendola all’intero F.Magra e F.Vara. Si descrivono poi una serie di rilievi aggiuntivi (par.2.3), di tipo geomorfologico e sedimentologico, che sono stati effettuati sia ai fini delle valutazioni di trasporto solido che per un completamento del quadro conoscitivo. Successivamente si sintetizzano i risultati sulle variazioni morfologiche e sulle tendenze evolutive attuali degli alvei, andando anche in questo caso a riepilogare ed in parte integrare le conoscenze già acquisite durante la precedente fase di ricerca. 2.1 INQUADRAMENTO GENERALE DEI FIUMI MAGRA E VARA Per le caratteristiche fisiografiche e per la storia geologica del bacino (Cap.1), i due alvei fluviali principali del reticolo idrografico hanno dimensioni e caratteristiche generali tra loro confrontabili, soprattutto fino alla loro giunzione, a valle della quale il Fiume Magra assume il ruolo di fiume principale del bacino nell’ultimo tratto di circa 14 km fino alla foce. La lunghezza complessiva del Fiume Magra è di circa 69.5 km, mentre quella del Fiume Vara di circa 65 km. MA VA MB VB VC MC VD MD VE ME Figura 2.1 - Suddivisione dei fiumi Magra e Vara in tratti relativamente omogenei per caratteristiche geomorfologiche. A partire dalla prima fase della ricerca, è stata effettuata una suddivisione geomorfologica dei due alvei studiati in una serie di tratti e sottotratti relativamente omogenei funzionale agli obiettivi 7 Relazione Finale – Capitolo 2 dello studio. I criteri seguiti per la suddivisione sono i seguenti: (a) morfologia del fondovalle (ampiezza, direzione della valle e grado di confinamento del fiume); (b) morfologia planimetrica dell’alveo. In particolare, sono stati in primo luogo distinti i principali tratti (Figura 2.1), in base prevalentemente alla morfologia del fondovalle. Successivamente, ogni tratto è stato ulteriormente suddiviso in sottotratti, considerando con maggior dettaglio la forma planimetrica dell’alveo e le discontinuità idrologiche naturali in relazione alla presenza dei maggiori affluenti. Il riepilogo della suddivisione complessiva è riportato in Tabella 2.1. Tratto nome Limiti Fiume Magra MA Confluenza T.Mariola – ponte S.S.Annunziata ponte S.S.Annunziata – Villafranca MB Lunigiana MC Villafranca Lunigiana – Aulla MD Aulla – confluenza F.Vara ME Confluenza F.Vara – foce Fiume Vara VA da Casette alla confl. T.Torza Confluenza T.Torza – confluenza VB T.Malacqua VC confl.T.Malacqua – Padivarma VD VE Padivarma – Piana Battolla Piana Battola - confluenza F.Vara nome - Sottotratto Limiti - MB1 MB2 MC1 MC2 MD1 MD2 ME1 ME2 ponte S.S.Annunziata - confl. T.Teglia confl. T.Teglia- confl. T.Bagnone confl. T.Bagnone – Lusuolo Lusuolo – confl. T Aulella confl. T.Aulella – confl. C.le Cardosa confl. Canale Cardosa- confl. F.Vara confl. F.Vara – confl. Canale Turi confl. Canale Turi - foce VB1 VB2 VC1 VC2 - Confl.T.Torza - confl. C.le Durla Confl. C.le Durla - T.Malacqua Confl. T.Malacqua – T.Chiciola Confl.T.Chiciola – confl. T.Riccò - Tabella 2.1 - Suddivisione dei fiumi Magra e Vara in tratti e sottotratti. Si ricorda che, durante la prima fase della ricerca, sono stati definiti dei tratti di approfondimento (1. F.Magra, Piana di Filattiera; 2. F.Magra, confluenza Vara – foce; 3. F.Vara, Loc.Casette - confl. C.le Durla), per i quali sono state effettuate analisi e cartografie tematiche di maggior dettaglio (Carta geomorfologia dell’alveo, Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo, Carta della Fascia di Mobilità Funzionale). Durante questa seconda fase della ricerca, la realizzazione delle cartografie tematiche è stata quindi estesa ai rimanenti tratti. Per quanto riguarda le morfologie fluviali, entrambi gli alvei (F.Magra e F.Vara) sono caratterizzati da una presenza significativa di barre e presentano morfologie prevalentemente di tipo transizionale. Sono presenti morfologie di tipo wandering, con situazioni locali di intrecciamento, soprattutto nei tratti con alvei non confinati e fondovalle relativamente ampio, quali il F.Magra nella Piana di Filattiera (MB) e nel tratto in prossimità del F.Vara (MD2, ME1), e dello stesso F.Vara nel suo tratto finale (VE). Nei tratti semiconfinati prevalgono morfologie di tipo sinuoso caratterizzate comunque dalla costante presenza di barre. Nel tratto finale del F.Magra (ME2) invece si denota una sostanziale scomparsa di corpi sedimentari ed un alveo caratterizzato da un canale relativamente largo e profondo, con andamento planimetrico sinuoso. Dal punto delle portate liquide, nel grafico seguente (Figura 2.2) si riportano i dati delle portate medie mensili registrati presso le stazioni di misura che hanno funzionato per un intervallo di tempo sufficientemente lungo ( Piccatelo e Calamazza lungo il Fiume Magra e Naseto lungo il Fiume Vara). Si osserva in tutti i casi un regime tipicamente appenninico, con un minimo estivo (Luglio per il F.Magra, Agosto per il F.Vara) ed un massimo autunnale nel mese di Novembre. 8 Relazione Finale – Capitolo 2 80 Portate (m3/s) 70 A B C 60 50 40 30 20 10 0 G F M A M G L A S O N D Figura 2.2 – Valori medi mensili delle portate massime, medie e minime giornaliere per le principali stazioni idrometriche lungo il F.Magra ed il F.Vara. A) F.Magra a Piccatelo (248 m s.l.m.; bacino sotteso: 77 km2); B) F.Magra a Calamazza (44.5 m s.l.m.; bacino sotteso: 932 km2); C) F.Vara a Naseto (185.5 m s.l.m.; bacino sotteso: 205 km2). 2.2 CARTA GEOMORFOLOGICA DELL’ALVEO La Carta Geomorfologia dell’alveo, in scala 1:10.000, è composta da 7 tavole (Figura 2.3), con numero progressivo da 1 a 7, come segue: -Tavola 1: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Magra da Pontremoli a Villafranca L.; -Tavola 2: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Magra da Villafranca L. ad Aulla; -Tavola 3: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Magra da Aulla a Ressora; -Tavola 4: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Magra da Ressora alla foce; -Tavola 5: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Vara da Varese L. al Piano di Graviola; -Tavola 6: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Vara dal Piano di Graviola a Borghetto V. -Tavola 7: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Vara da Borghetto V. a Ceparana. Figura 2.3 – Quadro di unione della Carta Geomorfologica dell’alveo 9 Relazione Finale – Capitolo 2 La carta, è stata ottenuta attraverso fotointerpretazione, utilizzando il Volo Terraitaly 2000, il Volo IGM 2004, le Ortofoto Toscana 2003 e controlli di campo. Essa contiene la rappresentazione delle principali forme fluviali e delle opere antropiche esistenti (la legenda di tale cartografia è riportata in Figura 2.4). Per le definizioni delle forme fluviali si rimanda all’ampia descrizione riportata in Relazione Magra I. Figura 2.4 - Legenda della Carta Geomorfologica. Rispetto al precedente Studio Magra, è stato acquisito il Volo IGM 2004 (scala di circa 1:33.000), pertanto è stato possibile riportare nella carta il tracciato dell’alveo ed i limiti della piana inondabile dell’anno 2003 per il Magra (da Ortofoto Toscana che coprivano il tratto toscano) e 2004 per il Vara. Mentre le foto del 2003 sono ortorettificate, quelle del 2004 sono state solamente georeferenziate, quindi si ritiene che la precisione di queste ultime sia inferiore a quella delle precedenti. Nonostante ciò si è ritenuto importante riportare nella carta le variazioni riscontrate in quest’ultimo volo in quanto le piene avvenute nel 1999-2000 hanno apportato notevoli modifiche dell’alveo rispetto alla situazione rappresentata nel Volo Terraitaly 2000 (relativo al 1999 e precedente alle piene). La cartografia completa è stata consegnata in formato cartaceo in allegato alla Relazione Intermedia (Maggio 2006) e si riporta nuovamente in formato digitale nel DVD allegato a questa relazione. 10 Relazione Finale – Capitolo 2 2.3 RILIEVI SEDIMENTOLOGICI E MORFOLOGICI Si ricorda che, durante la prima fase della ricerca, è stata condotta una intensiva attività di campo, concentrata nel periodo Maggio – Ottobre 2004, durante la quale sono stati effettuati (Relazione Magra I): - rilevamenti geomorfologici di campo, attraverso la compilazione di 37 schede di rilevamento geomorfologico e 37 schede di rilevamento sintetico (schede più speditive compilate in corrispondenza di tutti i punti di accesso o di buona visibilità dell’alveo, quali i ponti) (Figura 2.5); - rilevamenti sedimentologici, attraverso l’esecuzione di misure della distribuzione granulometrica dello strato superficiale di barre attive, con metodo statistico (pebble count). In particolare, sono state effettuate 27 misure granulometriche lungo F.Magra e F.Vara (14 e 13 rispettivamente), ed 8 misure lungo i principali affluenti (T.Gordana, T.Bagnone, T.Taverone, T.Aulella per il F.Magra e T.Stora, T.Gottero, T.Mangia e T.Usurana per il F.Vara). Figura 2.5 – Ubicazione delle schede compilate durante i rilievi del 2004 (da Relazione Magra I). I quadrati indicano le schede di rilevamento geomorfologico, gli asterischi quelle di rilevamento sintetico. Durante questa fase di approfondimento, si sono effettuati una serie di rilievi sedimentologici integrativi, ai fini di una caratterizzazione del sottostrato funzionale al calcolo del trasporto solido. Inoltre, è stata effettuata una campagna aggiuntiva di rilievi di campo durante il mese di Maggio 2006 con una serie di approfondimenti relativi a due tratti rappresentativi (alto Magra e basso Magra), anche in considerazione del fatto che il F.Magra è inserito tra i casi di studio del progetto di ricerca in corso di svolgimento “Dinamica recente ed attuale di alvei fluviali in Italia centrosettentrionale: tendenze evolutive, cause ed implicazioni applicative” (Programma PRIN 2006/07, MIUR, Resp. Prof. M.Rinaldi). 11 Relazione Finale – Capitolo 2 2.3.1 Test sedimentologici Ai fini delle stime di trasporto solido, si è reso necessario integrare le misure granulometriche effettuate durante la prima fase dello Studio Magra (con metodo statistico superficiale) con un certo numero di campioni volumetrici rappresentativi delle dimensioni del sottostrato. Questo perché la dimensione granulometrica del sottostrato è considerata in genere più rappresentativa per l’impiego di alcune equazioni di trasporto solido. Questi tipi di campioni sono utili anche per valutare meglio la percentuale di sabbia presente nelle varie unità fisiografiche e nei vari tratti, anche nell’ottica di capire il contributo del trasporto solido del materiale del fondo al ripascimento delle spiagge. Inoltre, contestualmente ai campionamenti volumetrici, sono state effettuate anche nuove misure della distribuzione granulometrica dello strato superficiale, esattamente nello stesso punto, con metodo areale. In tal modo è stato possibile fare dei confronti tra le dimensioni dello strato superficiale e sottostrato, quantificare il grado di corazzamento, ed infine ricavare una relazione tra le dimensioni dei due livelli in modo da poter valutare, ai fini del calcolo del trasporto solido, le dimensioni del sottostrato anche per i tratti in cui non era stato effettuato il campionamento volumetrico. Durante una prima fase, si sono effettuati alcuni test sedimentologici, sperimentando nuove strategie di campionamento proposte recentemente in letteratura, al fine di ridurre sensibilmente il volume di sedimenti richiesto per un singolo campione (Buffington, 2005; Haschenburger et al., 2005). Questa esigenza nasce dal fatto che la procedura prevista da Church et al. (1987) consiste nel prelevare un campione con peso fornito da un apposito diagramma in funzione del diametro massimo dei clasti presenti oppure, se Dmax>32 mm, il peso da prelevare è dato da m= 2.47 Dmax – 44.8, con m in kg e Dmax in mm. In casi come il F.Magra ed il F.Vara, soprattutto nei loro tratti medio alti, l’applicazione di tale procedura comporta in molti casi la necessità di un peso complessivo del campione intorno ai 1000 kg o superiore. Ciò rende pertanto questi tipi di campionamenti particolarmente onerosi e ne limita di fatto il numero. Ciò premesso, sono stati eseguiti tre test (1. Magra a Filattiera; 2. Magra a S.Stefano; 3. Vara a Ramello) al fine di verificare quale metodo fornisse risultati più vicini all’applicazione della procedura classica prevista da Church et al. (1987). In particolare le due strategie sono le seguenti: - Metodo proposto da Haschenburger et al. (2005). Si preleva un campione del sottostrato per un peso pari a quello previsto secondo il criterio di Church et al. (1987). Si suddivide il campione in una serie di n sottocampioni, ognuno di peso di circa 1/n del peso totale del campione, e si procede ad effettuare le analisi di questi sottocampioni indipendentemente. Una volta ottenuti i risultati di ogni sottocampione, si ottengono n nuovi sottocampioni “fittizi” sommando progressivamente le frequenze in peso di ogni classe granulometrica al sottocampione precedente, ed aumentando quindi progressivamente il peso fino a raggiungere il peso totale del campione complessivo. A questo punto, si riporta in funzione del peso progressivo del sottocampione il discostamento del diametro mediano dello stesso rispetto a quello del campione totale. Si dovrebbe individuare quindi una soglia (in peso campionato) oltre la quale ulteriori incrementi di peso non portano a significative riduzioni del discostamento rispetto al campione totale (si può eventualmente fissare un limite di tolleranza). - Metodo proposto da Buffington (2005). Tale metodo è estremamente più semplice: si tratta di prelevare il campione del sottostrato per un peso pari a quello previsto secondo il criterio di Church et al. (1987), analogamente al caso precedente, e poi semplicemente di stenderlo con uno spessore relativamente omogeneo su un telo in modo da fargli occupare una determinata area. A questo punto si effettua semplicemente un campionamento areale (grid sample) con griglia predefinita secondo quanto descritto in seguito. I grafici con i risultati dei test sono mostrati nelle Figure 2.6 – 2.8. Confrontando i risultati dei test si può vedere chiaramente che quelli ottenuti con il metodo di Buffington (2005) non sono molto attendibili, pertanto si è deciso di utilizzare per i campioni successivi a quelli dei test sempre il metodo di Haschenburger et al. (2005). Riguardo alla scelta del volume da estrarre, si è valutato 12 Relazione Finale – Capitolo 2 che, prelevando un volume pari al 60% di quello totale seguendo Church et al. (1987), si ottiene un diametro mediano che differisce di circa 1 mm rispetto a quello ottenuto col volume intero e una curva granulometrica sostanzialmente coincidente con quella ottenuta col volume totale (Figura 2.9), pertanto i campioni successivi sono stati raccolti decurtando il 40% al volume previsto dal procedimento di Church et alii (1987). A 40 D50 (mm) 37 34 31 28 25 0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 500 550 Peso (kg) B 100 Church 90 Buffington Passante cumulato (%) 80 70 60 50 40 30 20 10 0 -10 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Phi Figura 2.6 – Risultati Test 1 (S.Stefano M.): A) Risultati ottenuti con il metodo di Haschenburger et al. (2005); B) Confronto della curva ottenuta con il metodo di Church et alii (1987) con quella attenuta con il metodo di Buffinghton (2005). 13 Relazione Finale – Capitolo 2 A D50 (mm) 24 21 18 15 0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 Peso (kg) B 100 Church 90 Buffington Passante cumulato (%) 80 70 60 50 40 30 20 10 0 -10 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Phi Figura 2.7 – Risultati Test 2 (Filattiera): A) Risultati ottenuti con il metodo di Haschenburger et al. (2005); B) Confronto della curva ottenuta con il metodo di Church et alii (1987) con quella attenuta con il metodo di Buffinghton (2005). 14 Relazione Finale – Capitolo 2 A 22 21 D50 (mm) 20 19 18 17 16 0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 Peso (kg) B 100 Church 90 Buffington Passante cumulato (%) 80 70 60 50 40 30 20 10 0 -10 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Phi Figura 2.8 – Risultati Test 3 (Ramello): A) Risultati ottenuti con il metodo di Haschenburger et al. (2005); B) Confronto della curva ottenuta con il metodo di Church et alii (1987) con quella ottenuta con il metodo di Buffinghton (2005). 15 Relazione Finale – Capitolo 2 100 Church 90 0.6 Church Passante cumulato (%) 80 70 60 50 40 30 20 10 0 -10 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Phi Figura 2.9 – Confronto fra la curva granulometrica ottenuta estraendo l’intero volume consigliato dalla formula di Church et alii (1987) ed estraendo solo il 60% di esso (Test.1). 2.3.2 Campionamenti volumetrici ed areali Partendo dai risultati provenienti dai test, sono stati effettuati altri 10 campionamenti volumetrici del substrato e areali dello strato superficiale (7 sul F.Magra e 3 sul F.Vara), per un totale di 13 campioni (inclusi i 3 utilizzati per i test), funzionali ai calcoli del trasporto solido e del bilancio di sedimenti. L’ubicazione dei nuovi campionamenti è riportata in Figura 2.10 e riepilogata in Tabella 2.2. N Mvol1 Mvol2 Mvol3 Mvol4 Mvol5 Mvol6 Mvol7 Mvol8 Mvol9 Vvol1 Vvol2 Vvol3 Vvol4 Data 10/03/06 01/03/06 13/12/05 01/02/06 01/02/06 15/03/06 16/11/05 15/03/06 08/02/06 22/03/06 29/03/06 20/12/05 29/03/06 Fiume Magra Magra Magra Magra Magra Magra Magra Magra Magra Vara Vara Vara Vara Sottotratto MA MB1 MB2 MC1 MC2 MD1 MD2 ME1 ME1 VA-VB1 VB1 VC2 VE Località Pontremoli valle confl. T.Teglia Filattiera Villafranca L. Terrarossa Stadano S.Stefano M. Raffinerie Arcola Sarzana S.Pietro V. valle confl. T.Stora Ramello Follo Tabella 2.2 – Riepilogo dei rilievi granulometrici effettuati e della loro ubicazione. Si nota che lungo il F.Vara si dispone di un numero inferiore di campioni, soprattutto relativamente al tratto intermedio a causa di problemi di accessibilità (si ricorda infatti che per effettuare campionamenti volumetrici, a differenza dei superficiali, bisogna avere accesso diretto con automezzo al sito di campionamento in quanto vanno trasportati in laboratorio volumi significativi di sedimenti). 16 Relazione Finale – Capitolo 2 A Mvol1 1 Vvol1 1 Vvol2 1 1 Mvol2 Mvol3 1 Mvol4 1 Mvol5 1 Vvol3 1 Vvol4 1 Mvol6 1 Mvol7 1 Mvol8 1 Mvol9 1 B Figura 2.10 – Campionamenti effettuati nel 2006. A) Ubicazione dei campionamenti e relative sigle; B) quadro completo dei campionamenti del 2005 e 2006. 17 Relazione Finale – Capitolo 2 La metodologia adottata è descritta di seguito. Scelto il sottotratto in cui eseguire il campionamento, si è cercato un punto facilmente accessibile anche con l’autoveicolo ed in cui fosse presente almeno una barra attiva. Si è poi proceduto ai campionamenti dello strato superficiale e del sottostrato come segue: a) Campionamento areale dello strato superficiale della barra mediante griglia (grid sample). A tal fine è stata realizzata una griglia quadrata predefinita, con area pari ad 1 m2, ottenuta attraverso una cornice di legno ed un reticolato di fili di nylon fissati ai lati della cornice con scansione spaziale di 1 dm (Figura 2.11). In tal modo, appoggiando la griglia sulla superficie da misurare, vengono materializzati 100 nodi in corrispondenza dei quali prelevare un granulo. Ripetendo la procedura per 4 volte, si ottiene un totale di 400 granuli. b) Campionamento volumetrico del sottostrato. Per il campionamento volumetrico, è stato dapprima calcolato il peso di sedimenti necessario secondo il criterio di Church et al. (1987). Il peso effettivo prelevato è stato pari al 60% di quello previsto dal criterio di Church, in accordo ai risultati dei test. Si procedeva pertanto dapprima all’asportazione di un livello superficiale di spessore all’incirca pari al diametro massimo rinvenuto. Successivamente si procedeva allo scavo del materiale sottostante (Figura 2.12A), il quale progressivamente si pesava e si stendeva su un telone di nylon, fino al raggiungimento del peso desiderato. A tal punto si proseguiva ad una analisi granulometrica in sito per le frazioni più grossolane, separando queste ultime nelle varie classi granulometriche attraverso piastra sagomata e pesando direttamente in sito il sedimento relativo ad ogni classe (Figura 2.12B). Per le classi più fini, si procedeva per ultimo ad una quartatura e solo una parte dell’intero campione veniva portata nel Laboratorio di Sedimentologia del DIC, presso il quale veniva completata l’analisi granulometrica per setacciatura durante i giorni successivi. Figura 2.11 – Griglia utilizzata per i campionamenti areali dello strato superficiale (nella foto la griglia è utilizzata per il test secondo la procedura di Buffington et al., 2005). Sono stati inoltre effettuati altri 2 campionamenti superficiali sul T.Verde e sul T.Caprio, affluenti non campionati nella prima fase della ricerca ma ritenuti invece significativi ai fini del bilancio di sedimenti. 18 Relazione Finale – Capitolo 2 A B Figura 2.12 – Fasi del campionamento volumetrico del sottostrato. A) Scavo del materiale del sottostrato necessario per il campionamento; B) Separazione delle frazioni più grossolane tramite piastra sagomata e pesatura in sito. Per la successiva elaborazione dei dati, è stato utilizzato un foglio di calcolo in ambiente Microsoft® EXCEL appositamente realizzato presso il DIC per l’elaborazione di dati granulometrici, il quale permette di rappresentare l’istogramma di frequenza e la curva di frequenza cumulata, di determinare tutti i principali parametri statistici di interesse della distribuzione granulometrica (media, deviazione standard, skewness, kurtosis) ed i principali percentili caratteristici. Nelle Tabelle 2.3 e 2.4 si riporta il riepilogo dei parametri statistici e dei percentili caratteristici per ogni distribuzione granulometrica, rispettivamente per i campioni volumetrici e superficiali, mentre tutte le curve granulometriche sono riportate nel DVD allegato in formato digitale. N Mvol1 Mvol2 Mvol3 Mvol4 Mvol5 Mvol6 Mvol7 Mvol8 Mvol9 Vvol1 Vvol2 Vvol3 Vvol4 D40 D50 D84 D90 Dmedio D16 (mm) (mm) (mm) (mm) (mm) (phi) 3.8 29.5 44.2 136.2 177.7 -5.24 3.9 26.1 37.1 94.4 107.3 -4.83 1.3 14.1 24.3 90.9 114.7 -4.31 10.2 49.4 60.8 122.9 141.4 -5.62 2.8 18.1 31.8 75.6 88.1 -4.53 1.3 15.9 25.1 73.4 82.2 -4.36 1.3 17.6 29.5 74.5 837 -4.38 1.4 11.5 17.4 43.5 50.8 -3.83 0.6 4.2 7.4 24.9 33.2 -2.78 11.8 38.6 52.2 98.3 108.6 -5.48 1.0 12.5 23.1 74.4 99.7 -4.10 1.6 10.8 16.9 68.9 84.2 -4.08 1.4 14.5 26.2 80.2 94.5 -4.34 σ (mm) 2.61 2.63 2.87 2.41 2.52 2.54 2.66 2.43 2.36 2.13 2.75 2.47 2.60 sk Ku 0.99 1.39 0.92 1.78 1.13 0.91 1.01 1.12 0.56 1.92 0.68 0.71 0.80 3.34 4.06 2.88 5.56 3.51 2.70 2.85 3.31 2.29 6.46 2.30 2.67 2.49 Tabella 2.3 – Parametri caratteristici delle distribuzioni granulometriche dei campioni volumetrici. N: numero del campione; D16…D90: principali percentili; Dmedio: media della distribuzione granulometrica; σ: deviazione standard; sk: asimmetria (skewness); Ku: appuntimento (kurtosis). 19 Relazione Finale – Capitolo 2 N Msup1 Msup2 Msup3 Msup4 Msup5 Msup6 Msup7 Msup8 Msup9 Vsup1 Vsup2 Vsup3 Vsup4 D40 D50 D84 D16 (mm) (mm) (mm) (mm) 18.8 36.9 45.8 101.7 21.3 37.7 45.8 87.9 10.0 29.5 39.0 838 20.5 41.8 51.7 107.8 16.8 25.9 29.4 56.6 14.8 18.3 24.6 64.8 18.8 36.2 45.5 82.4 14.3 24.5 29.0 49.6 7.4 12.4 14.6 27.2 20.5 42.7 52.1 108.3 13.2 29.8 36.8 69.3 5.9 14.5 18.8 48.5 20.0 38.4 46.9 95.4 D90 Dmedio (mm) (phi) 126.2 -5.96 104.2 -5.94 98.7 -5.09 123.6 -6.08 69.4 -5.41 80.3 -5.40 89.8 -5.84 56.9 -5.22 31.5 -4.16 124.6 -6.96 81.1 -5.30 60.2 -4.42 110.8 -5.83 σ (mm) 1.26 1.01 2.49 1.13 0.94 1.03 1.02 0.96 1.36 1.81 1.73 1.84 1.46 sk Ku 0.52 4.40 0.24 3.06 1.90 6.05 0.46 2.72 0.10 3.52 0.23 4.31 0.61 2.81 1.27 6.69 1.87 7.61 1.95 6.88 1.91 7.15 1.21 4.26 2.18 10.38 Tabella 2.4 – Parametri caratteristici delle distribuzioni granulometriche dei nuovi campioni superficiali. N: numero del campione; D16…D90: principali percentili; Dmedio: media della distribuzione granulometrica; σ: deviazione standard; sk: asimmetria (skewness); Ku: appuntimento (kurtosis). In Figura 2.13 si riporta l’andamento spaziale del diametro mediano (D50) per i punti di campionamento lungo il Fiume Magra. Si nota che tale andamento è simile per lo strato superficiale e per il sottostrato, cioè in generale diminuisce da monte verso valle. Gli aumenti localizzati di D50 che si possono osservare probabilmente sono dovuti all’immissione di affluenti che trasportano sedimenti più grossolani (ad esempio il T.Bagnone a Villafranca). 70 Villafranc a SUPERFICIALE 60 Pontremoli VOLUMETRICO Filattiera 50 D50 (mm) Stadano Raffinerie 40 Sarzana 30 20 10 0 Distanza verso valle Figura 2.13 - Andamento del diametro mediano risultante dal campionamento superficiale e volumetrico del 2006 per il fiume Magra. Per il Fiume Vara il numero di campioni raccolti è stato inferiore (pari a 4), come detto prima data soprattutto la scarsa accessibilità diretta con mezzo di trasporto. I dati non sono pertanto sufficienti per visualizzare con sufficiente dettaglio, analogamente a quanto fatto per il Magra, la distribuzione spaziale (da monte verso valle) delle dimensioni granulometriche. Per tale scopo si 20 Relazione Finale – Capitolo 2 rimanda alla Relazione Magra I dove tale aspetto è stato ampiamente già trattato sulla base dei dati della campagna granulometrica del 2004 e di quelle effettuate in precedenza nell’ambito di altri studi. E’ interessante in questa sede soffermarci invece sulle relazioni tra dimensioni dello strato superficiale e del sottostrato. Solitamente i sedimenti che si trovano nel sottostrato sono di dimensioni inferiori a quelli dello strato superficiale. La differenza tra dimensioni dello strato superficiale e del sottostrato aumenta quanto più è accentuato il corazzamento. Recenti studi (Hassan et al., 2006) hanno infatti definito un parametro che vuole esprimere appunto il grado di corazzamento del fondo di un alveo ghiaioso, in base al confronto tra dimensioni dello strato superficiale e del sottostrato. In particolare, è stato introdotto a tal fine il cosiddetto rapporto di corazzamento (armour ratio), definito come rapporto fra diametro mediano dello strato superficiale e del sottostrato. Un alveo non corazzato presenta valori prossimi o addirittura inferiori all’unità, mentre in un alveo in cui si ha un corazzamento ben sviluppato tale rapporto supera il valore di 2. Hassan et al. (2006) hanno mostrato come tale rapporto varia anche a seconda del tipo di alveo e delle condizioni generali di alimentazione di sedimenti e di capacità di trasporto, soprattutto in funzione di diversi contesti geografici e climatici. In particolare, corsi d’acqua di clima umido (perenni) tendono a presentare un corazzamento più sviluppato, mentre in alvei effimeri di clima arido il rapporto di corazzamento è più basso, spesso vicino all’unità. Il grado di corazzamento, essendo quindi legato al rapporto tra alimentazione di sedimenti e capacità di trasporto della corrente, può in qualche modo riflettere anche le tendenze evolutive di un dato corso d’acqua, nel senso che maggiori valori del rapporto di corazzamento possono essere associati a condizioni di incisione, mentre valori bassi (corazzamento scarso o assente) possono essere associati a condizioni di sedimentazione. E’ interessante pertanto osservare i risultati dei campionamenti effettuati lungo i fiumi Magra e Vara. In Tabella 2.5 sono riepilogati i diametri mediani dei campionamenti effettuati e, nell’ultima colonna, si riporta il rapporto di corazzamento. Fiume Sottotratto Località N Magra Magra Magra Magra Magra Magra Magra Magra Magra Vara Vara Vara Vara MA MB1 MB2 MC1 MC2 MD1 MD2 ME1 ME1 VA-VB1 VB1 VC2 VE Pontremoli valle confl. T.Teglia Filattiera Villafranca L. Terrarossa Stadano S.Stefano M. Raffinerie Arcola Sarzana S.Pietro V. valle confl. T.Stora Ramello Follo Msup1 Msup2 Msup3 Msup4 Msup5 Msup6 Msup7 Msup8 Msup9 Vsup1 Vsup2 Vsup3 Vsup4 D50 (mm) 45.8 45.8 39.0 51.7 29.4 24.6 45.5 29.0 14.6 52.1 36.8 18.8 46.9 N Mvol1 Mvol2 Mvol3 Mvol4 Mvol5 Mvol6 Mvol7 Mvol8 Mvol9 Vvol1 Vvol2 Vvol3 Vvol4 D50 (mm) 44.2 37.1 24.3 60.8 31.8 25.1 29.5 17.4 7.4 52.2 23.1 16.9 26.2 RC 1.04 1.23 1.6 0.85 0.92 0.98 1.54 1.67 1.97 0.99 1.59 1.11 1.79 Tabella 2.5 – Riepilogo dei diametri mediani dei campionamenti volumetrici e superficiali e relativo rapporto di corazzamento (RC). E’ possibile subito osservare che i valori del rapporto di corazzamento sono sempre al di sotto del valore di 2, vale a dire non si osserva mai un corazzamento ben sviluppato. Inoltre, in molti casi (4 su un totale di 13), il rapporto è addirittura inferiore all’unità, vale a dire la dimensione mediana del livello superficiale è inferiore rispetto al sottostrato. In particolare, tali situazioni si concentrano nei tratti MC ed MD1, lungo il Magra, e nella parte superiore del Vara. Si può pertanto dire che i valori di tale parametro sono in generale coerenti con le interpretazioni di campo della tendenza 21 Relazione Finale – Capitolo 2 evolutiva in quanto entrambi i fiumi si sono interpretati come attualmente in equilibrio o in sedimentazione, mentre solo localmente (ad es. nella parte finale del Magra) è presumibile che il fondo sia tuttora in incisione. 70 D50 volumetrico (mm) 60 50 40 30 20 10 0 0 10 20 30 40 50 60 D50 superficiale (mm) Figura 2.14 - Rapporto fra diametro mediano superficiale e volumetrico dei campioni raccolti nel 2006. 70 60 D50 vol (2006) 50 40 30 20 10 0 0 10 20 30 40 50 60 70 D50 sup (2005) Figura 2.15 - Rapporto fra diametro mediano dei campionamenti superficiali del 2005 con quelli volumetrici del 2006 (dove risulta possibile il confronto). E’ utile ora, ai fini delle successive valutazioni del trasporto solido, verificare se esistano delle correlazioni soddisfacenti tra dati dello strato superficiale e del sottostrato, al fine di poter estendere, entro certi limiti, i risultati dei campioni volumetrici ai tratti in cui tali campioni non sono stati effettuati. Considerando tutti i campioni raccolti si può osservare (Figura 2.14) che esiste una corrispondenza soddisfacente (R2=0.71) fra diametro mediano del campionamento superficiale e volumetrico: ciò ci permette di dire che esiste una relazione fra strato superficiale e sottostrato. Al fine di estendere i dati volumetrici ai siti per i quali essi non sono disponibili, è tuttavia più utile ricavare una regressione tra campioni superficiali raccolti nella campagna di misure del 2005 con i campioni volumetrici attuali fatti circa nello stesso sito (Figura 2.15): anche in questo caso si ottiene una soddisfacente corrispondenza (R2=0.78). Ciò permetterà di poter utilizzare i risultati dei 22 Relazione Finale – Capitolo 2 campioni superficiali raccolti nel 2005 (che sono in numero maggiore rispetto a quelli del 2006) per stimare il diametro mediano del sottostrato per i tratti in cui quest’ultimo non è stato campionato nell’ultimo rilievo. 2.3.3 Campagne di misure di Maggio-Settembre 2006 Durante il periodo Maggio – Settembre 2006 sono state svolte altre attività di ricerca relative al F.Magra le quali, seppure non rientranti direttamente nel programma di ricerca relativo al presente progetto, hanno contribuito ad un avanzamento dello stato conoscitivo del fiume stesso e ad alcuni approfondimenti parte dei quali utili ai fini di questa relazione.Queste attività sono sinteticamente ricordate di seguito. Campagna di rilievi 28/05 – 2/06/2006 Nella settimana compresa tra il 28 Maggio ed il 2 Giugno 2006 è stata svolta una campagna intensiva di rilievi di campo, in collaborazione con il Dr. H.Piegay del CNRS di Lione (Francia) ed il suo staff. Il gruppo francese era costituito da 9 persone ed al gruppo italiano hanno preso parte, in totale, 10 persone, alcune delle quali alternandosi durante la settimana. La settimana di rilievi si è concentrata su due tratti rappresentativi, la Piana di Filattiera ed il basso Magra (fino a Sarzana circa, cioè fino a dove sono presenti sedimenti ghiaiosi), con l’obiettivo di studiare le differenze in termini di evoluzione e di recupero morfologico. I risultati derivanti da questi rilievi sono tuttora in fase di elaborazione e saranno oggetto di future pubblicazioni scientifiche. In particolare, sono stati trattati i seguenti aspetti: 1. Rilievi topografici e caratterizzazione sponde. E’ stato eseguito un profilo del thalweg, tramite GPS differenziale, per gli interi due tratti (Figura 2.16 e 2.17). Per quanto riguarda le sponde, sono stati mappati i tratti in arretramento (sempre tramite GPS) e, per ogni sponda in arretramento, ne è stata misurata la geometria (altezza e pendenza media) e misurati gli spessori delle due componenti, quella grossolana (ghiaia e ciottoli) e quella fine (sabbia e limo) quando presente. Questi dati sono poi stati impiegati nel bilancio di sedimenti per quantificare l’input di materiale, per ogni tratto del bilancio, derivante da erosione di sponda. Sono state inoltre selezionate 3 sezioni per ognuno dei due tratti, che fossero sufficientemente rappresentative delle caratteristiche medie ed allo stesso tempo comprendessero una sufficiente varietà di superfici (barre, barre alte, isole, piana inondabile, ecc.) caratteristiche del tratto stesso. Il rilievo delle sezioni è stato eseguito con stazione totale (distanziometro e teodolite) allacciandolo con il rilievo GPS. In corrispondenza di tali sezioni sono stati eseguiti altri tipi di rilievi, descritti nei due seguenti punti. A B C Figura 2.16 – Fasi dei rilievi topografici. A e B: GPS e stazione totale; C: misura della geometria di una sponda in erosione. 23 Relazione Finale – Capitolo 2 30 Quota (m.s.l.m.) 25 20 Confl.F.Vara 15 10 5 2006 1989 0 31000 33000 35000 37000 39000 41000 Distanza verso valle (m) Figura 2.17 – Profilo longitudinale del thalweg del 2006 per il tratto del basso Magra confrontato con il profilo del 1989. A B 120 0.60 100 0.50 80 D16 D50 60 D90 40 Dx medio (mm Dx medio (mm) C 0.40 D16 D50 0.30 D90 0.20 0.10 Sponda Barra alta Canale secondario Barra bassa 0.00 0 Piana inondabile/Isola 20 Figura 2.18 – Rilievi granulometrici. A: Campionamento superficiale lungo un canale secondario; B: rilievo volumetrico del materiale di sponda; C: risultati medi delle analisi granulometriche condotte su diverse superfici (sezione 1, Piana di Filattiera). 24 Relazione Finale – Capitolo 2 2. Granulometrie. Nelle sei sezioni rappresentative descritte al punto precedente, sono stati effettuati campionamenti granulometrici per caratterizzare le varie forme e superfici presenti (barra bassa, barra alta, isola, piana inondabile, canale secondario, sponda in erosione), adottando diverse metodologie (superficiale o volumetrico) a seconda dei casi (Figura 2.18). 3. Vegetazione riparia. Per ogni sezione trasversale rilevata, sono state descritte le unità ripariali (habitat presenti e specie prevalenti in ogni habitat, densità e altezza per le principali specie, estensione degli habitat principali) (Figura 2.19). Gli obiettivi di questa fase erano: 1) caratterizzare le singole sezioni, 2) confrontare pattern di vegetazione in due diversi contesti di restringimento in termini di diversità e rigenerazione delle specie, 3) capire se esiste e qual è la relazione fra vegetazione e incisione nel contesto del restringimento. Figura 2.19 – Esempio di descrizione delle unità ripariali per una sezione tipo (sezione 1 nella Piana di Filattiera). 4. Detriti legnosi. Sono state rilevate la posizione e le caratteristiche dei LWD presenti lungo i due tratti di studio, adottando specifiche schede di rilevamento sviluppate appositamente per i detriti legnosi (Figura 2.20). Gli obiettivi di questa fase erano: 1) individuare le sorgenti di legno, 2) trovare relazioni fra distribuzione dei LWD e processi geomorfologici; 3) comprendere la loro interazione con le condizioni idrodinamiche. A B Figura 2.20 – Fasi di rilievo di un accumulo di detriti legnosi. 5. Aspetti sociali legati alla percezione del fiume. Sono stati fatti compilare dei questionari relativamente agli aspetti sociali di percezione del fiume, appositamente predisposti da un esperto in tali aspetti del gruppo di Lione. Un primo questionario riguardava la valutazione della percezione dei sedimenti nell’ambiente fluviale ed in relazione al paesaggio circostante; un secondo questionario la valutazione della percezione dell’evoluzione del fiume e dell’impatto di essa sulle attività antropiche. Tali questionari sono stati compilati da varie persone (scuole, proprietari di 25 Relazione Finale – Capitolo 2 terreni limitrofi al fiume, membri di associazioni ambientaliste o di pescatori, amministrazioni pubbliche, persone del posto). Volo aereo CGR Parma Luglio 2006 Durante il mese di Luglio 2006, quindi poco successivamente ai rilievi di campo, è stato effettuato un volo aereo da parte della ditta CGR di Parma, con scala di circa 1:8.000. Tale volo ha riguardato gli stessi due tratti oggetto dei rilievi di campo (Piana di Filattiera e basso Magra). Il totale delle foto è di 86. E’ in corso la georeferenziazione delle immagini, in base alla quale successivamente verranno fatte osservazioni e misure varie. Tale volo è stato finanziato nell’ambito del progetto “Dinamica recente ed attuale di alvei fluviali in Italia centro-settentrionale: tendenze evolutive, cause ed implicazioni applicative” (Programma PRIN 2006/07, MIUR, Resp. Prof. M.Rinaldi). I risultati saranno resi disponibili una volta completate le misure. Riunione programma PRIN Settembre 2006 sul F.Magra Si segnala inoltre che, nell’ambito dello stesso programma di ricerca PRIN prima menzionato, è stata svolta nei giorni 27-29 Settembre 2006 una riunione delle varie Unità Operative (Firenze, Padova, Pavia) coinvolte nel progetto presso Mulazzo. Durante uno dei tre giorni, è stata svolta attività di campo in una delle tre sezioni rappresentative della campagna di Maggio-Giugno 2006 della Piana di Filattiera, con l’obiettivo di perfezionare la messa a punto di schede geomorfologiche di campo finalizzate all’interpretazione delle tendenze evolutive che si stanno realizzando nell’ambito di tale progetto. Tale attività di campo ha dato l’occasione di esaminare in maggior dettaglio le evidenze di campo relative alle variazioni morfologiche di questo tratto. Tali risultati, insieme a quelli relativi alla campagna di Maggio – Giugno 2006, hanno indotto a ritenere che il tratto della Piana di Filattiera ha subìto un grado di incisione leggermente superiore (anche superiore ai 3 m) rispetto a quanto inizialmente interpretato (nella campagna del 2004), mentre è confermata l’attuale tendenza in sostanziale equilibrio o leggera sedimentazione. Questo ha portato ad una leggera modifica nella “Carta di sintesi” in quanto tale tratto è stato variato da classe ad “incisione moderata” a classe ad “incisione intensa” nelle variazioni altimetriche del fondo (si veda anche paragrafo 2.6). 2.4 CARTA DELLE VARIAZIONI PLANIMETRICHE DELL’ALVEO La Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo, in scala 1:10.000, è composta da 7 tavole, con numero progressivo da 8 a 14 (Figura 2.21) come segue: -Tavola 8: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Magra da Pontremoli a Villafranca; -Tavola 9: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Magra da Villafranca L. ad Aulla; -Tavola 10: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Magra da Aulla a Ressora; -Tavola 11: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Magra da Ressora alla foce; -Tavola 12: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Vara da Varese L. al Piano di Graviola; -Tavola 13: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Vara dal Piano di Graviola a Borghetto V. -Tavola 14: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Vara da Borghetto V. a Ceparana. Nella carta viene riportato il tracciato dell’alveo attivo a partire dal 1877 (Tavolette storiche IGM) e per i seguenti voli aerei (Figura 2.22): - Volo del 1937, in bianco e nero, scala di circa 1:18.000 (non si ha copertura per il tratto a monte di Filattiera); - Volo GAI del 1954, in bianco e nero, scala di circa 1:66.000, copertura completa; - Volo IGM del 1971, in bianco e nero, scala di circa 1:33.000, copertura completa; - Volo IGM del 1981, in bianco e nero, scala di circa 1:33.000, copertura completa; - Volo AIMA del 1995, a colori, copertura completa; - Volo Italia 2000, effettuato nel 1999, a colori, scala di circa 1:40.000, copertura completa. 26 Relazione Finale – Capitolo 2 - Ortofoto del 2003, in bianco e nero, relative alla parte del bacino rientrante in Toscana. - Volo IGM del 2004, in bianco e nero, scala di circa 1:33.000, copertura completa. La cartografia completa è stata consegnata in formato cartaceo in allegato alla Relazione Intermedia (Maggio 2006) e si riporta nuovamente in formato digitale nel DVD allegato a questa relazione. Figura 2.21 – Quadro di unione delle tavole della Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo. Figura 2.22 – Esempio di Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo, con relativa legenda, relativa ad una porzione della Piana di Filattiera. 27 Relazione Finale – Capitolo 2 2.5 VARIAZIONI CLIMATICO - IDROLOGICHE Durante la prima fase della ricerca, sono state prese in esame le serie storiche di dati idrologici disponibili per le principali stazioni di misura. In particolare, si sono analizzati i trend di precipitazioni totali annue e di portate giornaliere massime annue (per queste ultime, la mancanza di dati in alcuni intervalli di tempo ha reso piuttosto incerta l’interpretazione). In tutti i casi, da tale analisi non sono emerse evidenze significative di variazioni di tali grandezze idrologiche tali da poter essere messe in qualche modo in relazione con le consistenti variazioni morfologiche degli alvei. Viceversa, la corrispondenza cause-effetti con i fattori antropici è talmente chiara da aver indotto a ritenere, con molta probabilità, che le variazioni morfologiche sono attribuibili del tutto o in larghissima parte a tali fattori piuttosto che a cause naturali. Temperature Bagnone (1932-1998) Pontremoli (1932-1998) La Spezia (1932-1988) Tavarone (1934-1998) Arlia (1933-1998) Baselico di Guinadi (1967-1998) Calice (1934-1998) Levanto (1934-1998) Novegino (1963-1998) Presa Gordana (1967-1998) Rocchetta (1967-1998) S.Margherita (1967-1998) Varese Ligure (1967-1998) Precipitazioni Portate Arlia (1933-1999) Passo della Cisa (1918-1999) Montelungo Superiore (19221978) Guinadi (1937-1999) Presa Gordana (1959-1999) Rocca Sigillina (1935-1999) Parana (1935-1999) Rocchetta (1933-1999) Villafranca Lunigiana (19201999) Iera (1926-1999) Bagnone (1919-1999) Bola di Tresana (1934-1999) Passo del Cerreto (1918-1999) Matucaso (1935-1999) Equi Terme (1937-1999) Tendola (1922-1999) Varese Ligure (1927-1999) Tavarone (1933-1999) Cembrano (1918-1999) Chiusola (1934-1999) S.Margherita (1928-1999) Mattarana (1957-1999) Padivarma (1926-1999) Serò di Zignago (1933-1999) Riccò del Golfo (1928-1999) Calice al Cornoviglio (19211999) Piana Battolla (1933-1996) La Foce (1927-1999) Sarzana (1921-1999) La Spezia (1921-1988) Montale di Levanto (1953-1999) Novegino (1939-1999) Turano (1934-1999) Pontremoli (1921-1999) Magra a Piccatello (1934-1942; 1957-1977; 1996) Magra a Calamazza (1936-1977; 1993-1996) Aulella (1955-1977; 1994-1996) Bagnone (1934-1977) Taverone (1933-1943) Vara a Naseto (1932-1975; 19931995) Vara a Padivarma (1932-1937) Vara a Piana Battolla (1934-1943) Tabella 2.6 – Riepilogo delle stazioni di misura di temperature, precipitazioni e portate. In parentesi: anno iniziale e finale di misure (si noti che per le temperature e le precipitazioni l’intervallo tra anno iniziale e finale può non essere completo; per le portate si riportano invece gli intervalli di funzionamento). 28 Relazione Finale – Capitolo 2 In questa seconda fase, si è ritenuto utile approfondire per quanto possibile questo aspetto, andando ad analizzare in maniera più sistematica i trend temporali dei principali parametri idrologico – climatici (in particolare piogge e portate). Sono state prese in esame le stazioni di misura riepilogate in Tabella 2.6, partendo dai dati in formato digitale già in possesso dell’Autorità di Bacino ed in alcuni casi andando ad integrare la digitalizzazione sulla base dei dati riportati in forma cartacea sugli Annali Idrologici. I dati completi sono riportati nel DVD allegato. Si precisa che tale analisi non è stata finalizzata ad investigare su possibili variazioni climatiche in atto (per le quali ovviamente sarebbero richieste analisi ben più approfondite e dati relativi agli ultimi anni, non in nostro possesso) ma piuttosto, come prima spiegato, a verificare se ci possano essere state delle significative variazioni idrologiche che possano avere in qualche modo influito sulle variazioni morfologiche degli alvei fluviali. L’attenzione si è dunque concentrata sui dati di pioggia e portata, le cui variazioni temporali possono avere qualche possibile influenza sulle variazioni morfologiche d’alveo. A 800 Pioggia mensile (mm) 700 600 500 400 300 200 100 0 1900 B 1920 1940 1960 Anno 1980 2000 2020 Pioggia totale annua (mm) 3000 2500 2000 1500 1000 500 0 1920 1930 1940 1950 1960 Anno 1970 1980 1990 2000 Figura 2.23 – Variazioni temporali delle precipitazioni per la stazione di Pontremoli (quota: 237 m s.l.m.). A) Precipitazioni mensili; B) Precipitazioni totali annue. Si riportano i risultati relativi a 3 stazioni pluviometriche rappresentative dei diversi ambiti fisiografici del bacino: Pontremoli (alto Magra), S.Margherita (medio Vara), Sarzana (basso Magra). Per la stazione di Pontremoli, in Figura 2.23A si riportano i valori di pioggia totale mensile 29 Relazione Finale – Capitolo 2 in funzione del tempo. Tali dati tuttavia non sono particolarmente adatti a questo tipo di analisi, a causa della loro estrema variabilità legata alle condizioni stagionali. Pur tuttavia, complessivamente non sembra poter osservare significative variazioni temporali delle piogge, se non una piuttosto lieve riduzione temporale delle stesse, evidenziata dalla linea di tendenza. Si è provato quindi a riportare in diagramma per ogni anno solo il valore di pioggia totale (Figura 2.23B): si osserva che tale diagramma permette di visualizzare con più immediatezza e chiarezza le eventuali variazioni temporali. Nel caso in esame, la linea di tendenza evidenzia un trend simile a quello osservato plottando i valori mensili di pioggia, cioè una riduzione temporale delle piogge totali annue, anche più accentuata rispetto al grafico precedente. Per le due stazioni successive (S.Margherita e Sarzana), si è preferito quindi direttamente analizzare il grafico delle variazioni temporali delle precipitazioni totali annue. Anche in questi due casi (Figura 2.24A e B), non si osservano variazioni significative: per S.Margherita il trend è simile a quello di Pontremoli, con una lieve riduzione delle precipitazioni totali annue nel tempo, mentre per Sarzana non si registra tale riduzione, anzi si verifica un lieve aumento nel tempo. A 3500 Pioggia totale annua (mm) 3000 2500 2000 1500 1000 500 0 1920 B 1930 1940 1950 1960 Anno 1970 1980 1990 2000 1940 1950 1960 Anno 1970 1980 1990 2000 Pioggia totale annua (mm) 2500 2000 1500 1000 500 0 1920 1930 Figura 2.24 – Variazioni temporali delle precipitazioni totali annue per le stazioni di S.Margherita Vara e Sarzana. A) S.Margherita Vara (quota: 200 m s.l.m.); B) Sarzana (quota: 26 m s.l.m.). 30 Relazione Finale – Capitolo 2 A Portata media mensile (m 3/s) 300 250 200 150 100 50 0 1935 B dati non disponibili 1945 1955 1965 Anno 1975 1985 1995 Portata media annua (m 3/s) 80 70 60 dati non disponibili 50 40 30 20 10 0 1920 C 1930 1940 1950 1960 Anno 1970 1980 1990 2000 Q picco massima annua (m 3/s) 1600 1400 1200 1000 dati non disponibili 800 600 400 200 0 1920 1930 1940 1950 1960 Anno 1970 1980 1990 2000 Figura 2.25 – Variazioni temporali delle portate per la stazione idrometrica di Calamazza lungo il F.Magra. A) Portate medie mensili; B) Portate medie annue; C) Portate di picco massime annuali. Per quanto riguarda le portate, si è ritenuto particolarmente significativo analizzare le eventuali variazioni temporali relativamente alla principale stazione di misura lungo il F.Magra (Calamazza), la quale ha funzionato per un intervallo di tempo sufficientemente lungo, seppure si registra un intervallo di dati mancanti tra il 1978 ed il 1992. In maniera simile alle piogge per la stazione di 31 Relazione Finale – Capitolo 2 Pontremoli, si sono riportate le portate medie mensili (Figura 2.25A), quelle medie annue (Figura 2.25B) ed infine si è ritenuto interessante riportare anche le massime portate al colmo annue (Figura 2.25C). Anche in questo caso (come per le piogge), si notano dei risultati leggermente contrastanti: le portate medie mensili risultano pressoché costanti, le portate medie annue mostrano un lieve incremento nel tempo, mentre le portate al colmo massime annuali si riducono leggermente nel tempo. Nel complesso, si può concludere che l’analisi delle variazioni dei principali parametri idrologici non ha messo in evidenza chiari ed univoci trend temporali, tali che le notevoli variazioni morfologiche degli alvei possano essere in qualche modo messe in relazione con tali parametri. 2.6 QUADRO COMPLESSIVO DELLE VARIAZIONI E DELLE CAUSE In questo paragrafo si riporta un quadro complessivo delle variazioni morfologiche, dei trend evolutivi attuali e delle relative cause durante gli ultimi 150 anni,, secondo quanto già descritto nella Relazione Magra I (alla quale si rimanda per maggiori dettagli) ed integrandolo con i nuovi elementi conoscitivi scaturiti dalle attività svolte nel periodo Maggio – Settembre 2006 e dell’analisi delle variazioni climatico-idrologiche (descritte nei due paragrafi precedenti). Rimboschimenti,sistemazioni idraulico-forestali FATTORI ANTROPICI Escavazione di sedimenti Dighe Pennelli Soglie I I II 1810/23 INCISIONE CRESCENTE 1877 1938 1995 1999/2004 III 1800 1850 1900 1920 1940 1960 1980 2000 Figura 2.26 – Schema riepilogativo delle variazioni morfologiche dei fiumi Magra e Vara e dei principali tipi di fattori antropici (le date relative alle varie fasi si riferiscono agli anni delle principali cartografie o foto aeree analizzate). 32 Relazione Finale – Capitolo 2 Si può suddividere l’intervallo temporale preso in esame in alcuni principali sottoperiodi, come descritto di seguito, facendo riferimento allo schema riepilogativo riportato in Figura 2.26 (riferito in particolar modo ai tratti del basso Magra e basso Vara). (1) XIX secolo Intorno al 1830 i fiumi Magra e Vara, nei loro tratti più vallivi ed in particolar modo in prossimità della loro confluenza, presentavano una tipica morfologia a canali intrecciati con un alveo attivo molto largo. Tali morfologie sono da mettere in relazione in primo luogo con la forte alimentazione di sedimenti provenienti dai rilievi montuosi che a quell’epoca erano per ampie zone privi di copertura boschiva, a seguito dell’intenso disboscamento dei secoli precedenti. Un secondo fattore che favorisce l’esistenza di queste morfologie è certamente la scarsa antropizzazione di queste aree di fondovalle. Dalla cartografia del 1877-78 si osserva ancora il mantenimento di una morfologia a canali intrecciati simile a quella del 1830, seppure si verifica già una certa riduzione della larghezza e dell’indice di intrecciamento. Non sono ben chiare le cause di queste prime variazioni di larghezza, dal momento che i fattori antropici (disboscamenti, dighe, pennelli) cominciano ad essere significativi a partire dalla fine del XIX secolo e soprattutto nei primi decenni del XX secolo. Si potrebbe ipotizzare una possibile influenza di variazioni climatiche. In particolare, la fine della Piccola Età Glaciale avrebbe comportato una riduzione della frequenza e della intensità delle precipitazioni e di conseguenza una certa diminuzione dell’apporto di sedimenti ai sistemi fluviali, la quale spiegherebbe questa prima fase di restringimento degli alvei. Nella seconda metà del secolo furono emanate le leggi del Regno d’Italia (20 marzo 1865 ed in particolare legge forestale 20 giugno 1877) sui rimboschimenti. Tali leggi segnavano un importante cambiamento nella politica di gestione del bacino idrografico e risultarono comunque in un rallentamento dell’attività di disboscamento. E’ utile ricordare a tal proposito che, anche per quanto riguarda la linea di costa in prossimità della foce, essa continuò ad avanzare, proseguendo il trend dei secoli precedenti, fino a circa metà del XIX secolo. Seppure solo dal 1878 si dispone di materiale cartografico attendibile per effettuare misure delle variazioni della linea di riva, secondo Albani (1940) già dalla metà del 1800 la spiaggia posta a SE della foce entrò in erosione. (2) Prima metà del XX secolo La prima metà del XX secolo rappresenta un periodo di significative variazioni morfologiche degli alvei, seppure le modificazioni più intense avverranno nella seconda metà del secolo. I principali tipi di fattori antropici che hanno potuto avere un ruolo significativo nell’evoluzione degli alvei fluviali durante tale periodo possono essere così riepilogati: 1. Variazioni di uso del suolo a scala di bacino (rimboschimenti, sistemazioni idraulico-forestali). Le leggi dei primi decenni del 1900 (1912, 1923 e 1933) promossero la realizzazione di sistemazioni idraulico forestali, consistenti principalmente nella realizzazione di briglie lungo i torrenti montani, sistemazioni dei versanti e rimboschimenti, sistemazioni idraulico-agrarie (terrazzamenti, ecc.). 2. Pennelli. E’ ben noto come, a partire dagli anni ’20 venne intrapresa la realizzazione, nelle aree di fondovalle dei tratti vallivi del Magra e del Vara, di una rete di pennelli. 3. Dighe. La diga più rilevante è quella di S.Margherita sul F.Vara, realizzata negli anni ’30. Altri tre tre serbatoi di ritenuta, realizzati intorno alla metà del secolo, sono ubicati nella parte alta del bacino del Magra ed il più grande di essi è situato sul T.Teglia, affluente di destra del Magra. 4. Escavazione di inerti. Un certo utilizzo dei sedimenti dei due alvei fluviali come materiali inerti esisteva già in questo periodo. Le variazioni morfologiche degli alvei del F.Magra e F.Vara, in conseguenza di questi vari tipi di disturbi antropici, sono state molto significative e si possono così riepilogare: (1) La larghezza del 1937-38 si è significativamente ridotta rispetto a quella del 1877-78, mentre più limitate sono le variazioni tra 1937-38 e 1954. Inoltre si registra una parziale perdita della 33 Relazione Finale – Capitolo 2 configurazione a canali intrecciati, con il passaggio verso una configurazione transizionale (wandering). (2) Più frammentarie sono le informazioni che riguardano le variazioni della quota del fondo. Negli unici tratti per i quali si disponeva di dati altimetrici relativamente a questo periodo (MD2 ed ME del F.Magra), risulta un notevole abbassamento del fondo (fino a 4-5 m) tra 1914 e 1958. Per quanto riguarda la linea di costa, un forte arretramento si registra già tra 1878 e 1928, analogamente tra 1928 e 1938 mentre tra 1938 e 1954 il litorale non varia più di tanto la sua posizione ed assume un assetto prossimo a quello attuale (Aminti & Pranzini 2000). (3) Periodo compreso tra la metà del XX secolo e gli inizi degli anni ‘90 Per quanto riguarda i fattori antropici relativi a questo periodo,oltre al perdurare di quelli relativi al periodo precedente (rimboschimenti, ulteriori pennelli nel fondovalle), si intensifica notevolmente l’escavazione di sedimenti. In particolare il periodo di massima attività fu raggiunto negli anni ’60 – ‘70 in concomitanza con la realizzazione delle autostrade A12 e A15 a poca distanza dai due fiumi. La principale conseguenza è rappresentata dall’intenso abbassamento del fondo nel tratto vallivo del F.Magra, che ha raggiunto complessivamente, tra 1914 e 1999, l’ordine dei 10 m in alcuni punti. Per quanto riguarda il F.Vara, i dati sono più limitati, tuttavia anche per questo fiume gli abbassamenti del fondo successivi al 1958 sono dell’ordine di qualche metro. All’incisione del fondo si è abbinato un accentuarsi del restringimento dell’alveo attivo, sia come risultato del deficit di portata solida al fondo che a seguito della progressiva colonizzazione di vegetazione su porzioni di alveo rimaste sopraelevate rispetto al fondo, a causa dell’abbassamento di quest’ultimo. Per quanto riguarda le porzioni medio-alte del bacino (medio-alto Vara e medio-alto Magra), l’abbassamento del fondo è stato certamente più limitato. Lungo l’alto Vara, l’abbassamento del fondo è stato limitato o assente, in conseguenza dei seguenti fattori: a) escavazione di inerti molto limitata o assente; b) erosione regressiva limitata o assente in quanto impedita dalla presenza di soglie rocciose; c) forte potenziale di ricarica da parte dei versanti; d) configurazione dell’alveo (semiconfinato e con numerose curvature) che determina un lento transito verso valle del materiale solido. Lungo l’alto Magra si osservano alcune condizioni simili all’alto Vara, ma anche alcune differenze che hanno determinato un abbassamento a tratti più rilevante (in particolare la Piana di Filattiera appare più significativamente incisa), seppure non confrontabile con quello verivicatesi nel tratto di pianura. Tra le differenze, c’è da annotare anche la presenza di alcuni sbarramenti lungo alcuni affluenti di destra (in particolare T.Teglia), che hanno contribuito ad un minore apporto solido da parte dei sottobacini (De Stefanis, com.pers.). L’abbassamento è probabilmente continuato anche nei primi anni ’90, a causa di un ritardato effetto di erosione regressiva che è andata ad interessare tali tratti (in particolare la Piana di Filattiera). L’erosione regressiva ha avuto modo di manifestarsi in maniera più accentuata rispetto all’alto Vara (dove, come detto, è stata quasi assente) per i seguenti motivi: a) grado di incisione più rilevante del basso Magra; b) le soglie intermedie (Aulla – S.Stefano e Villafranca), hanno avuto un effetto meno rilevante nell’arrestare l’erosione regressiva in quanto non costituivano vere e proprie soglie rocciose ma tratti con un certo spessore di materasso alluvionale che in parte è stato asportato dall’erosione. (4) Gli ultimi 15 anni circa Negli ultimi anni si registra un’inversione di tendenza del trend di variazione della larghezza, con l’inizio di una fase di allargamento, combinata in alcuni tratti anche ad un’inversione del trend del fondo, quest’ultima meno generalizzata e più accentuata lungo il medio-alto Vara e lungo il Magra a valle della confluenza tra i due. Questa inversione di tendenza, riscontrata peraltro anche in altri fiumi pedealpini a configurazione inizialmente a canali intrecciati, potrebbe essere attribuita ad un incremento di disponibilità di sedimenti in alveo (principalmente per netta riduzione, ma non totale scomparsa, dell’attività di escavazione), i quali promuovono l’accrescimento di barre e, di conseguenza, favoriscono l’allargamento dell’alveo attivo (Surian & Rinaldi, 2004). L’allargamento 34 Relazione Finale – Capitolo 2 stesso, a sua volta legato alla nuova aumentata disponibilità di sedimenti in alveo, alimenta i tratti a valle di ulteriori sedimenti, pertanto si crea una retroazione (feedback) tra i due processi che sono correlati tra loro. Le tendenze evolutive attuali e le possibili cause verranno approfondite nel paragrafo successivo. Una evoluzione leggermente differente rispetto a quella generale ora descritta sembra avere interessato il tratto della Piana di Filattiera. In questo tratto, infatti, il confronto tra profilo del 1989 e del 2006 (ultima campagna di rilievi topografici) ha denotato una riduzione generale della quota del fondo, seppure le evidenze di campo attuali mostrano indubbiamente una tendenza all’equilibrio o leggera sedimentazione. Tale apparente incongruenza è spiegabile con il fatto che l’erosione regressiva ha raggiunto ed interessato piuttosto recentemente il tratto della Piana di Filattiera, vale a dire negli anni ’90 il fondo ha continuato ad abbassarsi (in concomitanza anche con il proseguimento della fase di restringimento), mentre solo più recentemente (probabilmente a partire dall’evento di piena del 2000) si è cominciata a manifestare l’inversione di tendenza del fondo. 35 Relazione Finale – Capitolo 3 CAPITOLO 3 – INDIVIDUAZIONE DELLE AREE DI POTENZIALE RICARICA DI SEDIMENTI Un aspetto strettamente legato al trasporto solido ed alla gestione dei sedimenti è quello del potenziale di ricarica di sedimenti, con particolare riferimento alle frazioni relativamente grossolane che vanno a contribuire al trasporto solido al fondo. In questo capitolo si descrive la metodologia messa a punto ed utilizzata per individuare le aree di maggiore produzione di sedimenti nel bacino ed i risultati conseguiti. La metodologia qui definita ha preso spunto da uno studio analogo, con gli stessi obiettivi, realizzato in Francia per il bacino del Fiume Drome (Liebault et al., 2001). Secondo tale lavoro, i settori con forte potenziale di ricarica di sedimenti vengono individuati in base ai seguenti principali parametri: (a) Tipologia di sorgente (in base allo stato di attività della sorgente, si differenziano frane attive, sospese e inattive quiescenti); (b) Potenziale litologico (in funzione del tipo di roccia affiorante e la sua potenzialità a produrre detriti che alimentano il trasporto solido al fondo); (c) Potenzialità di connessione (esprime la distanza e connessione diretta o meno della sorgente di sedimenti da un elemento della rete idrografica); (d) Distanza dalla zona di incisione. La metodologia adottata in questo progetto parte dalla precedente, la quale è stata tuttavia adattata al caso in esame in funzione del diverso contesto geomorfologico e degli obiettivi specifici. Si tratta di una metodologia semiquantitativa, basata sull’attribuzione di punteggi, ai parametri ritenuti più importanti nel processo di produzione di sedimenti, proporzionali all’importanza che ciascuno di essi assume, o si ritiene che assuma, nel processo complessivo. Pertanto si sottolinea che non si tratta di un metodo quantitativo, cioè non ha in alcun modo la pretesa di quantificare l’apporto di sedimenti alla rete idrografica, ma piuttosto di un sistema capace di effettuare una classificazione ed una zonazione del bacino, andando ad individuare le aree potenzialmente più adatte alla ricarica del trasporto solido al fondo. Si tratta di una procedura particolarmente adatta all’utilizzo di piattaforma GIS per effettuare in maniera automatica tutti i vari passaggi e prodotti per il calcolo degli indici di seguito descritti. 3.1 CLASSIFICAZIONE DELLA RETE IDROGRAFICA E SCELTA DEI SOTTOBACINI Innanzitutto è stata fatta una suddivisione del reticolo idrografico, classificando i vari corsi d’acqua in funzione delle loro dimensioni e delle loro caratteristiche morfologiche. Facendo riferimento a Church (1992), i corsi d’acqua di un sistema fluviale possono essere suddivisi, scalandone le dimensioni (larghezza) in funzione del diametro dei sedimenti presenti, in tre categorie (Figura 3.1): a) alvei di piccole dimensioni (small) (alvei torrentizi); b) alvei intermedi (intermediate); c) alvei di grandi dimensioni (alluvionali) (large). Gli alvei torrentizi comprendono alvei generalmente confinati o semiconfinati, prevalentemente impostati su substrato roccioso, con presenza di materiale grossolano (ciottoli, massi, roccia), pendenze elevate e configurazioni del fondo in roccia, a rapide o a step-pool, larghezza generalmente tra 1 e 10 volte il diametro massimo dei sedimenti presenti sul fondo. Gli alvei intermediate scorrono in un fondovalle relativamente stretto o semiconfinato, hanno larghezza dell’alveo più di 10 volte il diametro dei sedimenti del fondo, tipicamente dell’ordine di 20-30 m. Gli alvei di grandi dimensioni (large) sono i tipici alvei alluvionali a fondo mobile, con larghezze dell’alveo molto superiori al diametro massimo dei sedimenti del fondo, orientativamente superiori a 20-30 m. 36 Relazione Finale – Capitolo 3 Figura 3.1 – Classificazione dei corsi d’acqua in funzione delle loro dimensioni. Applicando tale criterio al bacino del F.Magra, gli alvei di piccole dimensioni, o torrentizi, sono tutte le aste fluviali di ordine più basso, incluse le porzioni medio-alte dei principali affluenti; gli alvei intermedi sono identificati come le parti medio-basse dei principali affluenti, cioè quei tratti compresi tra lo sbocco nel fondovalle alluvionale (quando cioè abbandonano il tratto confinato o semiconfinato tra versanti) fino alla confluenza nei due fiumi principali del bacino; gli alvei di grandi dimensioni (alluvionali) sono ovviamente rappresentati dal Fiume Magra e dal Fiume Vara. Durante questa fase iniziale, sono stati inoltre delimitati e selezionati i sottobacini su cui effettuare le analisi successive. Essi sono risultati un totale di 35, di cui 17 rientranti nel sottobacino del F.Vara e 18 nella rimanente parte del bacino del F.Magra (Tabella 3.1). Il sottobacino del T.Aulella, che in una prima fase è stato considerato come sottobacino unico, è stato successivamente suddiviso in sei sottobacini date le sue dimensioni molto rilevanti e quindi le condizioni relativamente disomogenee al suo interno. Sottobacini F.Magra Magra alto, Magriola, Verde, Gordana, Caprio, Teglia, Mangiola, Bagnone, Taverone, Osca, Cisolagna, Penolo, Aulella (Aulella, Rosario, Mommio, Lucido, Bardine, Pesciola) Sottobacini F.Vara Vara alto, Stora, Ruschia, Cesinelle, Borsa,Torza, Trambacco, Gottero, Mangia, Malacqua, Pogliaschina, Gravegnola, Pignone, Ricco, Graveglia, Usurana, Durasca Tabella 3.1 – Sottobacini considerati per l’individuazione delle aree di potenziale ricarica dei sedimenti. 3.2 ASPETTI CONSIDERATI Durante una fase iniziale si sono prese in considerazione, in accordo a quanto fatto da Liebault et al. (2001), solo le frane come principali sorgenti di sedimenti. Successivamente, tale assunzione è apparsa piuttosto limitativa, in quanto molti volumi di sedimenti derivano da vari processi a piccola 37 Relazione Finale – Capitolo 3 scala (degradazione meteorica, piccoli movimenti di massa, erosione fluviale di sponde o fondo rocciosi) che si manifestano sulle porzioni di versanti o di sponde a diretto contatto con le aste fluviali (Figura 3.2), o anche sul fondo delle stesse, e che, per la loro tipologia o per le piccole dimensioni, non sono catalogate come frane. Differentemente dalla metodologia proposta da Liebault et al. (2001), si è ritenuto pertanto importante considerare anche questo tipo di sorgente di sedimenti, non più di tipo puntuale come le frane ma piuttosto di tipo lineare. Figura 3.2 - Esempio di ricarica diretta da parte dei versanti al reticolo idrografico. Pertanto, gli aspetti considerati complessivamente, sia per la ricarica da frane che per la ricarica diretta dal reticolo idrografico, sono i seguenti: 1. Sorgenti puntuali di sedimenti (frane), tenendo conto a sua volta di: a) attività; b) connessione 2. Litologia (potenziale litologico) 3. Fisiografia (fasce altimetriche) 4. Uso del suolo (copertura o meno della vegetazione) 3.3 POTENZIALE DI RICARICA DA FRANE Per quanto riguarda il potenziale di ricarica da frane, si è proceduto ad una classificazione delle sorgenti di sedimenti (frane) in funzione della loro attività e della loro connessione al reticolo idrografico, combinata con le caratteristiche litologiche del materiale che costituisce la sorgente stessa. Sono stati quindi considerati 3 parametri per la successiva definizione dell’indice di potenziale di ricarica: 1) attività; 2) connessione; 3) litologia. 1. Attività. Sono stati acquisiti i dati utilizzati dall’Autorità di Bacino relativi alle frane (soltanto i corpi di frana con superficie superiore a 5000 mq) ed al loro stato di attività (shape geomorfologica_2005).Per quanto riguarda lo stato di attività, sono state distinte tre classi, attiva, quiescente ed inattiva, utilizzando la corrispondenza con la legenda contenuta nello shape geomorfologica_2005 definita in Tabella 3.2. Sono stati quindi attribuiti i seguenti punteggi: 38 Relazione Finale – Capitolo 3 1) Attiva = 2 2) Quiescente = 1 3) Inattiva = 0 In questo modo, le frane inattive (punteggio 0) sono state escluse nella successiva quantificazione dell’indice, in quanto ritenuto appunto nullo il loro contributo alla ricarica di sedimenti. Stato Attributo FORM_CARG Frana attiva Corpi di frana in evoluzione Attiva Corpi di frana di scorrimento in evoluzione Corpi di frana di colamento in evoluzione Corpi di frana di colamento con indizi di evoluzione Frana quiescente Quiescente Frana di scorrimento quiescente Frana di crollo quiescente Frana inattiva Corpi di frana senza indizi di evoluzione Corpi di frana di scorrimento pleistocenici (inattivi) Corpi di frana di scorrimento senza indizi di evoluzione Inattiva Corpi di frana di colamento senza indizi di evoluzione Frana antica Paleofrana Frana profonda Conoide alluvionale Conoide alluvionale e da debris - flow Depositi (varie tipologie) Tabella 3.2 – Corrispondenza tra stato di attività delle frane e attributo nella cartografia geomorfologica fornita dall’Autorità di Bacino. Figura 3.3 – Definizione di sorgenti (frane) connesse o non connesse al reticolo idrografico. 2. Connessione. E’ importante considerare il grado di connessione delle frane con il reticolo idrografico. Infatti, anche se attive, le frane possono non contribuire all’alimentazione di sedimenti nel reticolo se esse non sono connesse con un elemento dello stesso. A tal fine, si sono distinte le due seguenti situazioni (Figura 3.3): 39 Relazione Finale – Capitolo 3 - Sorgente connessa: la frana è direttamente a contatto con un’asta del reticolo o con la piana inondabile; - Sorgente disconnessa: la frana non è direttamente a contatto con un’asta del reticolo o con la piana inondabile. Nel primo caso si presume che il materiale possa entrare direttamente in alveo o sia disponibile ad essere preso in carico durante eventi di piena o per erosione laterale. Alle due situazioni precedenti si sono quindi attribuiti i seguenti punteggi: 1) Sorgente connessa = 1 2) Sorgente disconnessa = 0 In questo modo, nella successiva quantificazione dell’indice la connessione o meno ha permesso semplicemente di includere o escludere dall’analisi le frane a seconda che siano connesse o disconnesse rispettivamente. 3. Litologia. Attraverso questo fattore si è voluta esprimere l’attitudine delle diverse litologie affioranti (potenziale litologico) a produrre sedimenti relativamente grossolani, utili cioè per la ricarica del trasporto solido al fondo. Si sono acquisiti i dati in formato digitale forniti dall’Autorità di Bacino relativi alla litologia del bacino, con la relativa legenda. Pertanto sono state definite quattro classi alle quali attribuire diversi punteggi, e sono state definite le corrispondenze tra litologie e classi (Tabella 3.3). Le classi sono le seguenti: 1) Litologia molto favorevole; 2) Litologia favorevole; 3) Litologia intermedia; 4) Litologia sfavorevole. L’attribuzione delle diverse litologie alle varie classi e quindi l’attribuzione dei pesi è stata condivisa con i tecnici dell’Autorità di Bacino e con il Geol.De Stefanis (Comitato Tecnico). I punteggi attribuiti sono i seguenti: 1) Litologia molto favorevole = 3 2) Litologia favorevole = 2 3) Litologia intermedia = 1 4) Litologia sfavorevole = 0 COD Legenda Formazione Punteggio OLP cM OLP a aa aa a2 a3 ar b b1 b1a b1r bn bn1 bn2 BVM1 BVM2 BVM3 cn Molto favorevoli Conglomerati di Olivola Conglomerato della Val di Magra Conglomerati di Olivola Depositi di versante Depositi detritici Depositi di versante Depositi detritici Depositi detritici (coni) Depositi su superfici relitte Depositi alluvionali attuali Depositi alluvionali attuali Depositi alluvionali attuali Depositi alluvionali recenti Depositi alluvionali terrazzati Depositi alluvionali terrazzati - 1° ordine Depositi alluvionali terrazzati - 2° ordine Sub - sintema di San Bartolomeo Sub - sintema di Santo Stefano Magra Sub - sintema di Ceparana Conoide alluvionale e da debris flow 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 3 Tabella 3.3 – Definizione delle classi di potenziale litologico e relativi punteggi. A) Litologie molto favorevoli. 40 Relazione Finale – Capitolo 3 APE ARB ARBa CCV1 CCV5 CSU GOT GOTa MAC MACa MOD OTO FAN ANL Cc CCA CGV MAI RSA POD RET GSB CLF ENT LIM di ds DSD BETA gamma AQU MMR1 MMR2 MMR3 MMR4 MMR7 MRZ MDD af PRS SIGMA VINa GRE Favorevoli Arenarie e Conglomerati di Petrignacola Arenarie di Ponte Bratica Arenarie di Ponte Bratica - litofacies arenaceo - conglomeratica Arenarie di Ostia Arenarie di Casanova Arenarie di Casanova Arenarie di Monte Gottero Arenarie di Monte Gottero Macigno Macigno - litofacies delle Arenarie Zonate Arenarie di monte Modino Flysch di Ottone Formazione del Monte Antola Calcari ad Angulati Lembi di Calcari a Calpionelle Calcare Cavernoso Calcari di Groppo del Vescovo Maiolica Rosso Ammonitico Calcari e Marne a Posidonia Calcari e marne a rhaetavicula contorta Gessi di Sassalbo Calcari selciferi Calcari selciferi ad entrochi Calcare selcifero di Limano Diaspri di Monte Alpe Diaspri di MVE Diaspri Basalti di MVE graniti Quarziti della Rivaccia Marmo ordinario Marmo nuvolato Marmo venato Marmo bardiglio Marmo arabescato Marmo zebrino Marmi dolomitici e dolomie cristalline Anfiboliti Porfiroidi e scisti porfirici Ultramafiti serpentinizzate Formazione di Vinca Grezzoni 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 Tabella 3.3 – Definizione delle classi di potenziale litologico e relativi punteggi. B) Litologie favorevoli. 41 Relazione Finale – Capitolo 3 c1 ca ACC ACCa ap APA AUA AUL MMA MPT FAF ms SSR CCV3 OTO1b OTO1o STOa b bet CCV4 MAS DELTA Intermedie Depositi morenici Depositi morenici Argille e Calcari dell'Unità di Canetolo Argille e Calcari dell'Unità di Canetolo Argille a Palombini (lembi di successioni in CCV2) Argille a Palombini Argille, Sabbie e Conglomerati di Aulla Argille, sabbie e conglomerati di Aulla Marne di Mamoreto Marne del Torrente Pignone Filladi inferiori Micascisti Scisti sericitici Brecce calcaree del Complesso di Casanova Brecce calcaree di OTO1 Brecce ofiolitiche di OTO1 Brecce calcareo-silicee di Scaglia Toscana Brecce di pillow - lavas di MVE Brecce ofiolitiche di CCV2 Calcare Massiccio Basalti 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 b7 b8 e3 LVG LVGa MVE OMM OTO1 STO STO1 sVL GOT1 CCV2 Sfavorevoli Depositi colluviali Depositi eluvio - colluviali Depositi palustri Argilliti della Val Lavagna Argilliti della Val Lavagna - litofacies pelitico - arenacea Complesso di Monte Veri Olistrotroma di Monte Modino Argilliti di Monte Veri Scaglia Toscana Scaglia toscana - membro delle argilliti di Brolio Scisti della Val Lavagna (lembi di successioni in CCV2) Intercalazioni marno - argillose di GOT Brecce di S.Maria 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 Tabella 3.3 – Definizione delle classi di potenziale litologico e relativi punteggi. C) Litologie intermedie e sfavorevoli. Nel caso, peraltro molto frequente, di litologie complesse (formazioni arenacee-marnose, flysch, calcari marnosi) si è valutato di volta in volta l’attitudine alla produzione di sedimenti grossolani e si è assegnato di conseguenza un valore ponderato. Potenziale di ricarica da frane. Una volta assegnati i punteggi sopra descritti ai tre principali aspetti (attività, connessione, litologia) di cui si è tenuto conto, è stato definito un potenziale di ricarica da frane (P1) attribuito ad ogni singola sorgente (frana) definito come: P1= Attività x Connessione x Litologia In tal modo, le frane presenti nel bacino sono state classificate in funzione del loro potenziale di ricarica, definendo le seguenti classi: 1) Potenziale molto basso (P1<1.2); 2) Potenziale basso (1.2≤P1<2.4); 3) Potenziale intermedio (2.4≤P1<3.6); 4) Potenziale alto (2.4≤P1<3.6); 42 Relazione Finale – Capitolo 3 5) Potenziale molto alto (3.6≤P1≤6). Nelle figure successive (Figure 3.4 e 3.5) si riporta un esempio di applicazione tramite GIS della procedura descritta. Tutti i risultati sono riportati, sotto forma di shape files in ArcGis per ogni tematismo, nel DVD allegato. A C B Figura 3.4 – Esempio di applicazione ad un sottobacino del potenziale di ricarica da frana tramite GIS (sottobacino del T.Magriola). A) Attività; B) Connessione; C) Potenziale litologico. Figura 3.5 - Potenziale di ricarica da frane per un sottobacino, ottenuto come prodotto fra attività, connessione e potenziale litologico. 43 Relazione Finale – Capitolo 3 3.4 POTENZIALE DI RICARICA DIRETTA NEL RETICOLO IDROGRAFICO Per quanto riguarda il potenziale di ricarica diretta nel reticolo idrografico, sono stati considerati 3 parametri, come meglio descritto in seguito: 1) litologia; 2) fisiografia; 3) uso del suolo. 1. Litologia. Per quanto riguarda questo fattore, sono state mantenute le stesse classi definite precedentemente per il potenziale di ricarica da frana. 2. Fisiografia e uso del suolo. Per quanto riguarda la fisiografia, seppure la pendenza dei versanti è un fattore topografico significativo riguardo alla produzione dei sedimenti, non si è ritenuto utile procedere ad una classificazione delle pendenze in quanto avrebbe complicato notevolmente l’analisi, ma si è ritenuto sufficientemente semplificato e significativo, ai fini degli obiettivi di questa metodologia, considerare una suddivisione del bacino in macro-fasce altimetriche così definite: 1) Aree montuose (quote superiori ai 600 m s.l.m.) 2) Aree collinari (quote inferiori ai 600 m s.l.m.) 3) Aree di pianura Analogamente, per quanto riguarda l’uso del suolo, si è ritenuto che l’elemento più significativo di cui tener conto ai fini della potenziale ricarica di sedimenti fosse la presenza o meno di vegetazione, pertanto si sono distinte le seguenti macroclassi: 1) Aree destinate a nessun uso del suolo (nude) 2) Aree destinate a bosco, pascolo o coltivazioni 3) Aree urbane Ai fini dei punteggi, si sono ricavate un totale di 4 classi incrociando tra loro fisiografia ed uso del suolo, come segue: 1) Aree montuose nude = 2 2) Aree montuose con boschi o coltivazioni =1.5 3) Aree collinari con boschi o coltivazioni = 1 4) Aree di pianura o urbanizzate = 0 A B C Figura 3.6 - Esempio di applicazione ad un sottobacino del potenziale di ricarica diretta tramite GIS. A) Potenziale litologico; B) Fisiografia e uso del suolo; C) Potenziale di ricarica diretta. 44 Relazione Finale – Capitolo 3 Potenziale di ricarica diretta. E’ stato a questo punto definito, in maniera analoga al potenziale da frana, un potenziale diretta nel reticolo idrografico (P2) così definito: P2= Litologia x Fisiografia & Uso del suolo In tal modo, le aree presenti nel bacino sono state classificate, definendo le seguenti classi: 1) Potenziale molto basso (P1<1.2); 2) Potenziale basso (1.2≤P1<2.4); 3) Potenziale intermedio (2.4≤P1<3.6); 4) Potenziale alto (2.4≤P1<3.6); 5) Potenziale molto alto (3.6≤P1≤6). In Figura 3.6 si riporta un esempio di applicazione tramite GIS della procedura descritta. 3.5 FASE DI CAMPO Parallelamente alle analisi GIS, è stata effettuata una fase di sopralluoghi di campo strettamente finalizzata a questi aspetti. Gli scopi della fase di campo erano quelli di documentare le condizioni dell’affluente principale di ogni sottobacino, in termini di disponibilità di sedimenti, in modo da poter integrare ed in un certo senso verificare i risultati delle analisi GIS. In particolare, esiste un aspetto, quello della connettività di sedimenti all’interno del reticolo idrografico, che non è stato possibile esplicitamente prendere in esame attraverso le analisi condotte. Vale a dire, anche se un dato sottobacino presenta un elevato potenziale di ricarica di sedimenti (da frane e/o diretta), il rifornimento effettivo di materiale solido all’alveo principale (F.Magra o F.Vara) all’uscita del sottobacino è condizionato dalla presenza o meno e dalla frequenza di discontinuità trasversali, che possono determinare una interruzione parziale del flusso solido verso valle. Tali discontinuità possono essere rappresentate in gran parte da opere antropiche (briglie o dighe) e, in secondo luogo, da ostacoli naturali (affioramenti rocciosi in alveo). Seppure le briglie, una volta colmate a monte da sedimenti, dovrebbero far transitare gran parte della portata solida al fondo (quindi dopo la fase di riempimento non dovrebbero più ostacolare il passaggio), di fatto spesso, per motivi di manutenzione, i sedimenti a monte vengono periodicamente rimossi e quindi le briglie stesse funzionano come una sorta di trappola di sedimenti, determinando comunque una riduzione del flusso solido verso valle. E’ risultato estremamente difficoltoso affrontare questo aspetto attraverso un censimento delle briglie presenti lungo tutto il reticolo idrografico, informazione non disponibile in formato digitale da parte dell’Autorità di Bacino e non rilevabile con completezza né da foto aeree né da cartografia. Pertanto si è deciso di tener conto indirettamente di questo aspetto: la condizione dell’alveo principale di un sottobacino, nel suo tratto finale, è in un certo senso l’espressione sia del potenziale di ricarica di sedimenti che dell’eventuale riduzione di portata solida a causa di presenza di disconnessioni. A tal fine, è stata innanzitutto messa a punto una scheda di campo che permettesse di effettuare delle valutazioni speditive e qualitative da abbinare alla documentazione fotografica. Tale scheda (Figura 3.7) contiene infatti una serie di indicatori associabili a condizioni di forte rifornimento (presenza di sedimenti, connessione con i versanti, assenza di opere trasversali) (Figura 3.8A) o di scarso rifornimento (scarsità di sedimenti, disconnessione, presenza di opere trasversali) (Figura 3.8B). La scheda è stata applicata in corrispondenza di 39 siti, lungo i tratti intermedi (cioè tra lo sbocco nel fondovalle e la confluenza nei fiumi principali) di tutti gli affluenti principali dei sottobacini considerati nell’analisi della ricarica (Figura 3.9). Il materiale relativo (schede, documentazione fotografica) alla fase di campo è riportato nel DVD allegato. 45 Relazione Finale – Capitolo 3 POTENZIALE DI RICARICA SEDIMENTI Generalità Data Corso d'acqua Numero/Sigla tratto Posizione GPS (centro tratto) Tipo di alveo Configurazione fondo Rilevatori Tratto N E Intermedio (intermediate ) Confinato (small ) R=rapide, SP=step/pool, LP=letto piano, RP=riffle/pool Schema morfologico planimetrico (lunghezza 10-20 volte la larghezza) Indicatori di campo Forte rifornimento Scarso rifornimento Substrato r1 sedimenti sciolti predominanti r2 roccia/massi predominanti (ciottoli, ghiaia, sabbia) Barre R3 barre continue su entrambi lati R5 barre discontinue R4 barre laterali alternate R6 barre scarse R7 barre assenti Sponde r8 in materiale sciolto, in erosione r9 roccia/massi, artificiali o stabili Connessione versanti r10 alimentazione diretta versanti r11 disconnessione da versanti Disconnessioni flusso sedimenti R12 assenza opere trasversali Presenza opere trasversali (indicare tipo e numero) R13 ponti con pile R14 soglie R15 briglie colmate R16 briglie sporgenti R17 a valle diga Note e commenti Figura 3.7 – Scheda di campo per il potenziale di ricarica di sedimenti. 46 Relazione Finale – Capitolo 3 A B Figura 3.8 – Esempi di affluenti a forte rifornimento (A: T.Verde) ed a scarso rifornimento (B: T.Pogliaschina). Figura 3.9 – Ubicazione dei siti nei quali è stata applicata la scheda del potenziale di ricarica. 3.6 POTENZIALE DI RICARICA DA FRANE TOTALE PER SOTTOBACINO Si è ritenuto utile a questo punto procedere ad una analisi dei valori di potenziale di ricarica per ogni singolo sottobacino, sia per poter agevolare la visualizzazione dei risultati che per eventualmente definire dei criteri di selezione dei sottobacini più significativi. Per calcolare il potenziale di ricarica da frane totale da attribuire ad ogni singolo sottobacino, è stata dapprima effettuata la sommatoria di tutti i valori dell’indice di ogni frana, moltiplicato per l’area della frana stessa (in modo da tener conto oltre che del numero di frane anche delle loro dimensioni). Successivamente, per poter confrontare tra loro sottobacini con superfici sottese diverse, si è diviso il precedente valore per la superficie del sottobacino, in modo da esprimere per 47 Relazione Finale – Capitolo 3 ogni sottobacino un potenziale di ricarica per unità di superficie. Pertanto il potenziale di ricarica da frane totale (P1tot) per un dato sottobacino è espresso come: n P1tot = ∑ P (i) xA(i) i =1 1 Atot dove P1(i) è l’indice di ricarica della frana i-esima, A(i) è la relativa area, Atot è l’area totale del sottobacino, n il numero totale di frane. In una prima fase, tale procedura è stata applicata per tutte le frane presenti, a prescindere dalle condizioni di rischio, vale a dire indipendentemente dal fatto che tali frane potessero venire stabilizzate e quindi di fatto non potessero contribuire realmente alla ricarica di sedimenti. Per visualizzare i risultati, sono state definite nuove classi del potenziale P1tot, partendo dal range di valori dell’indice per tutti i sottobacini studiati (valore minimo P1tot= 0 e valore massimo P1tot=0.4625) e suddividendolo in cinque intervalli uguali come segue: - Classe I: potenziale di ricarica molto basso (0≤P1tot<0.0925); - Classe II: potenziale di ricarica basso (0.0925≤P1tot<0.185); - Classe III: potenziale di ricarica intermedio (0.185≤P1tot<0.2775); - Classe IV: potenziale di ricarica alto (0.2775≤P1tot<0.370); - Classe V: potenziale di ricarica molto alto (0.370≤P1tot≤0.4625). Figura 3.10 – Classificazione dei sottobacini in funzione del potenziale di ricarica da frane totale per sottobacino. In Figura 3.10 si mostra il risultato di tale classificazione. Tale figura permette di visualizzare con immediatezza le zone del bacino che potenzialmente di più potrebbero contribuire alla ricarica da frane. Esse sono: a) alta porzione del bacino del F.Magra (T.Verde, T.Magriola, Magra alto); b) 48 Relazione Finale – Capitolo 3 porzioni medio-alte del bacino del Vara, in particolare sottobacini in sinistra idrografica (T.Stora, T.Mangia, T.Gravegnola); c) sottobacino del T.Pesciola (Aulella). In una seconda fase, si è ritenuto opportuno tenere in conto anche delle condizioni di rischio, ovvero escludere dall’analisi a scala di sottobacino quelle frane che verranno stabilizzate e quindi di fatto non contribuiranno alla ricarica di sedimenti. A tal fine, si sono considerate tutte le frane appartenenti alle classi R3 ed R4 secondo il Piano di Assetto Idrogeologico e sono state escluse dal calcolo del potenziale complessivo dei sottobacini. I risultati sono variati in maniera piuttosto significativa (Figura 3.11): è ovvio che i potenziali complessivi per sottobacino sono diminuiti, determinando quasi sempre il passaggio a classi a potenziale inferiore. In particolare, le porzioni più significative rimangono le stesse individuate nella prima fase (Alto Magra, sottobacini in sinistra medio-alto Vara, Pesciola nel sottobacino dell’Aulella), ma i sottobacini che rientrano dalla classe III in su (potenziale di ricarica da intermedio a molto alto) sono limitati a 3: T.Verde, T.Mangia e T.Pesciola. Figura 3.11 - Classificazione dei sottobacini in funzione del potenziale di ricarica da frane totale per sottobacino, escludendo le frane a rischio (di classe R3 ed R4 secondo il PAI). 3.7 POTENZIALE DI RICARICA DIRETTA TOTALE PER SOTTOBACINO In maniera analoga, per quanto riguarda il potenziale di ricarica diretta, è stata dapprima effettuata la sommatoria dei valori dell’indice moltiplicando, per ogni porzione del sottobacino con quel dato valore, per la sua superficie. Successivamente, si è diviso il valore ottenuto per l’area totale del sottobacino, ricavando quindi il potenziale di ricarica diretta totale (P2tot) espresso come: 49 Relazione Finale – Capitolo 3 n P2tot = ∑ P (i) xL(i) i =1 2 Ltot dove P2(i) è il potenziale di ricarica del tratto di reticolo i-esimo, L(i) è la relativa lunghezza, Ltot è la lunghezza totale del reticolo nel sottobacino, n il numero di aste fluviali. Per visualizzare i risultati, sono state definite nuove classi del potenziale P2tot, partendo dal range di valori dell’indice per tutti i sottobacini studiati (valore minimo P2tot=0.36 e valore massimo P2tot=2.58) e suddividendolo in cinque intervalli uguali come segue: - Classe I: potenziale di ricarica molto basso (0.36≤P2tot<0.80); - Classe II: potenziale di ricarica basso (0.80≤P2tot<1.25); - Classe III: potenziale di ricarica intermedio (1.25≤P2tot<1.69); - Classe IV: potenziale di ricarica alto (1.69≤P2tot<2.14); - Classe V: potenziale di ricarica molto alto (2.14≤P2tot≤2.58). Figura 3.12 - Classificazione dei sottobacini in funzione del potenziale di ricarica diretta totale per sottobacino. In Figura 3.12 si mostra il risultato di tale classificazione. Analogamente alla ricarica da frane, tale figura permette di visualizzare con immediatezza le zone del bacino che potenzialmente di più potrebbero contribuire alla ricarica diretta nel reticolo idrografico. Rispetto alla ricarica da frane, si osserva che quasi tutti i sottobacini ricadono almeno in classe III. In particolare, tutta la porzione di bacino ricadente nel medio-alto Magra rientra in classi medio-alte, soprattutto i sottobacini del Teglia, Mangiola, Bagnone, Mommio e Lucido rientrano nelle classi IV o V. Anche in questo caso i sottobacini in sinistra del medio-alto Vara presentano potenziali di ricarica relativamente elevati, a cui si aggiungono alcuni sottobacini in destra idrografica nella porzione media (Pogliaschina, Ricco, Graveglia, Durasca). In particolare, tutta la porzione di bacino ricadente nel medio-alto Magra 50 Relazione Finale – Capitolo 3 rientra in classi medio-alte, soprattutto i sottobacini del Verde, Teglia, Caprio, Mangiola, Bagnone, Taverone, Mommio e Lucido rientrano nelle classi IV o V. Anche in questo caso i sottobacini in sinistra del medio-alto Vara presentano potenziali di ricarica relativamente elevati (Ruschia, Gottero, Mangia, Gravegnola, Usurana), a cui si aggiungono alcuni sottobacini in destra idrografica nella porzione media (Malacqua, Pogliaschina, Pignone, Ricco, Graveglia e Durasca). 3.8 SCELTA DELLE AREE DEL BACINO SIGNIFICATIVE PER LA RICARICA DI SEDIMENTI Come descritto nel paragrafo precedente, i risultati finora ottenuti hanno consentito di visualizzare con immediatezza i sottobacini, quindi le varie porzioni dell’intero bacino del F.Magra, con maggiori o minori potenziali di ricarica. Ai fini della definizione delle strategie di gestione dei sedimenti, si è reso a questo punto necessario effettuare una selezione delle aree del bacino ritenute più significative ai fini della ricarica di sedimenti, considerando i due indici (potenziale di ricarica da frana e ricarica diretta) e tenendo conto anche di altri aspetti (ad es. distanza dei tratti incisi, ecc.) analogamente a quanto fatto da Liebault et al. (2001). In particolare, gli ulteriori aspetti di cui si è tenuto conto sono i seguenti: 1) Distanza dell’affluente (nel suo punto di confluenza con il fiume principale) rispetto alla parte più bassa del bacino, cioè i tratti di Vara e Magra che necessitano maggiormente di una ricarica (cioè rispetto a Piana Battolla per il Vara e S.Stefano Magra per il Magra). 2) Ubicazione, cioè se l’area di ricarica o la confluenza del corso d’acqua principale del sottobacino nel Vara o nel Magra fossero favorevoli o sfavorevoli rispetto alla posizione di centri abitati (vale a dire, se un affluente con potenziale di ricarica alto presentasse la confluenza all’interno di un centro abitato, questa condizione è stata giudicata sfavorevole). 3) Connessione, vale a dire si è cercato di tener conto della possibilità o meno che i sedimenti potessero raggiungere i tratti più incisi. Ciò è stato fatto sia tenendo conto delle opere di sbarramento negli alvei principali (diga di S.Margherita lungo il F.Vara) che tenendo conto delle condizioni dell’alveo dei singoli affluenti nella loro parte terminale. Per quanto riguarda questo secondo aspetto, si è voluto tener conto cioè del forte o scarso rifornimento di sedimenti, giudicato in base alle schede di campo, che tenesse indirettamente conto del grado di connettività dei sedimenti lungo l’affluente stesso (come spiegato nel par.3.5). Si è ritenuto opportuno procedere alla selezione delle aree con criteri diversi per la ricarica da frane e per la ricarica diretta, come spiegato di seguito. Ricarica da frane Per la ricarica da frane si sono utilizzati i seguenti criteri. 1) Classe del potenziale di ricarica da frane e classe di rischio. Si sono selezionate solo le frane ricadenti in classe IV (potenziale alto) e V (potenziale molto alto), escludendo le frane a rischio ricadenti nelle classi R3 ed R4 del PAI. 2) Distanza e ubicazione. Si sono esclusi i sottobacini della porzione alta del bacino del Magra a monte dell’abitato di Pontremoli, per due ragioni: a) distanza considerevole dai tratti incisi nelle porzioni basse del bacino; b) al precedente fattore si aggiunge che i sedimenti convogliati nella rete idrografica dovrebbero attraversare il centro abitato di Pontremoli (fattore ubicazione). Si è ritenuto invece opportuno non escludere i sottobacini a valle di Pontremoli che, seppure distanti dai tratti incisi a valle (fattore distanza sfavorevole), potessero contribuire alla ricarica della Piana di Filattiera, sia per il mantenimento dei processi esistenti in questo tratto che, a più lungo termine, per il rifornimento dei tratti a valle. 3) Connessione. Si sono escluse le frane nella porzione di bacino del F.Vara a monte della diga di S.Margherita, sia perché i sedimenti verrebbero poi bloccati in corrispondenza della diga che perché esistono numerosi tratti del Vara a monte della stessa già in sedimentazione relativamente elevata. 51 Relazione Finale – Capitolo 3 In Figura 3.13 si riportano le frane complessivamente selezionate. Figura 3.13 – Frane selezionate come significative per la ricarica da frane. Ricarica diretta Differentemente dalla ricarica da frane, in questo caso si è preferito operare una selezione per sottobacini, vale a dire individuare un certo numero di sottobacini ritenuti più adatti alla ricarica diretta. I criteri usati sono i seguenti: 1) Classe del potenziale di ricarica: sono stati esclusi tutti i sottobacini ricadenti nelle classi I, II e III del potenziale di ricarica diretta totale del sottobacino. 2) Distanza: si è tenuto conto della distanza dell’affluente rispetto ai tratti incisi di valle o rispetto alla Piana di Filattiera. 3) Ubicazione: si è tenuto conto se la confluenza si trovasse all’interno o di poco a monte di centri abitati per i quali l’eventuale transito di eccessive quantità di sedimenti potesse creare condizioni di rischio. 4) Connessione: si è tenuto conto della presenza di dighe nel sottobacino (es. Teglia), oppure della posizione del sottobacino rispetto alla diga di S.Margherita sul Vara (per i sottobacini a monte questa era una condizione sfavorevole), oppure dello scarso o abbondante rifornimento di sedimenti nel tratto finale dell’affluente giudicato in base alle schede di campo. In Tabella 3.4 si riepilogano i risultati di questa selezione. I sottobacini selezionati risultano in totale 16 (Figura 3.14), suddivisi in Tabella 3.5 per i diversi ambiti fisiografici del bacino. Un caso a parte è quello del T.Taverone: esso risulta in classe IV e molto favorevole come distanza, ma risulterebbe sfavorevole secondo il criterio di ubicazione, in quanto la sua confluenza si trova nel centro abitato di Aulla. Si ritiene tuttavia, proprio per la sua distanza molto favorevole rispetto ai tratti incisi, di considerarlo tra quelli selezionati prevedendo, in caso di eccessiva sedimentazione 52 Relazione Finale – Capitolo 3 alla confluenza, una mobilizzazione diretta di sedimenti verso i tratti incisi a valle (come meglio precisato nel Cap.5). Sottobacino Distanza Ubicazione Connessione Ruschia Classe Potenziale V Favorevole Favorevole Bagnone V Favorevole Mangiola V Mommio Lucido Taverone Teglia V V V V Caprio V Ricco Verde V V Osca Magriola IV IV Rosaro Magra alto IV IV Durasca IV Favorevole (per Piana Filattiera) Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole (per Piana Filattiera) Favorevole (per Piana Filattiera) Favorevole Favorevole (per Piana Filattiera) Favorevole Favorevole (per Piana Filattiera) Favorevole Favorevole (per Piana Filattiera) Favorevole Sfavorevole (Villafranca) Favorevole Sfavorevole (monte diga S.Margherita) Favorevole Graveglia Gravegnola Pogliaschina IV IV IV Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Usurana Pignone IV IV Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Aulella Gottero IV IV Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Gordana IV Favorevole Mangia Malacqua IV IV Favorevole (per Piana Filattiera) Favorevole Favorevole Bardine IV Favorevole Favorevole 53 Favorevole Favorevole Sfavorevole (Aulla) Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Sfavorevole (diga) Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Sfavorevole (monte Pontremoli) Favorevole Sfavorevole (monte Pontremoli) Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Favorevole Sfavorevole (scarso rifornimento) Favorevole Favorevole Sfavorevole (scarso rifornimento) Favorevole Sfavorevole (scarso rifornimento) Favorevole Sfavorevole (monte diga S.Margherita) Favorevole Favorevole Sfavorevole (scarso rifornimento) Favorevole Relazione Finale – Capitolo 3 Trambacco Pesciola Penolo Stora Cisolagna Borsa Vara alto Cesinelle Torza III III III III III II I I I - - - Tabella 3.4 – Selezione dei sottobacini in funzione della ricarica diretta. In giallo: sottobacini selezionati; in arancione: motivi di esclusione dalla selezione. Figura 3.14 – Sottobacini selezionati per la ricarica diretta. Ambito Sottobacini Verde, Gordana, Caprio, Mangiola, Osca, Taverone, Lucido, Mommio, Aulella, Rosaro, Bardine Mangia, Gravegnola, Usurana, Graveglia, Ricco Medio-Alto Magra Medio-Alto Vara Tabella 3.5 – Sottobacini significativi selezionati suddivisi per i tre ambiti fisiografici del bacino. 54 Relazione Finale – Capitolo 4 CAPITOLO 4 - CALCOLO DEL TRASPORTO SOLIDO E BILANCIO DI SEDIMENTI Al fine di verificare e integrare le interpretazioni basate soprattutto su indagini di campo, è stato realizzato lo studio del trasporto solido dei fiumi Magra e Vara e, sulla base dei risultati ottenuti, il bilancio dei sedimenti. La quantificazione del trasporto solido è importante per vari motivi, tra i quali: (a) verificare ed integrare, attraverso i bilanci sedimentologici, le interpretazioni basate soprattutto su indagini di campo effettuate nel precedente Studio Magra relative alle tendenze evolutive in atto (incisione o sedimentazione); (b) integrare le raccomandazioni relative alla gestione dei sedimenti, attraverso la definizione delle massime quantità di sedimenti eventualmente mobilizzabili nei tratti che risultano in sedimentazione nei casi di necessità di mitigazione del rischio idraulico. Lo studio del trasporto solido si è articolato in diverse fasi: (a) acquisizione ed analisi degli studi di trasporto solido pregressi e dei dati esistenti riguardanti il bacino del Fiume Magra; (b) suddivisione in tratti dei corsi d’acqua principali; (c) modellazione idraulica dei due corsi d’acqua principali e degli affluenti maggiori; (d) calcolo della capacità di trasporto al fondo; (e) calcolo del bilancio di sedimenti per tratti; (f) valutazione dell’apporto di materiale dovuto all’erosione laterale delle sponde. 4.1 STUDI PRECEDENTI Nel corso degli ultimi decenni sono stati eseguiti diversi studi riguardanti il Fiume Magra, in particolare sul trasporto solido e sulle conseguenze dovute all’estrazione di inerti. E’ utile partire da una rassegna degli studi precedenti (riprendendo ed ampliando quanto già fatto nella Relazione Magra I), sintetizzandone i risultati e le considerazioni riportate in ciascuno di essi e ritenute utili ai fini di questo studio. 4.1.1 Dati di trasporto torbido I primi dati presi in esame sono quelli di trasporto torbido relativi alla stazione di Calamazza lungo il Fiume Magra raccolti da parte del Servizio Idrografico di Genova. I dati sono limitati all’intervallo di tempo compreso tra 1957 e 1971. 45 40 35 Qt (Kg/s) 30 25 20 15 10 5 Dicembre Novembre Ottobre Settembre Agosto Luglio Giugno Maggio Aprile Marzo Febbraio Gennaio 0 Figura 4.1 – Valori medi mensili del trasporto torbido del Fiume Magra misurato a Calamazza tra il 1957 e 1971. 55 Relazione Finale – Capitolo 4 Si riporta in Figura 4.1 l’andamento delle medie mensili del trasporto torbido per tale intervallo di tempo: si osserva un andamento che ricalca quello delle portate liquide, con due massimi, uno assoluto in novembre ed uno relativo nel mese di febbraio. Dai dati riportati si può inoltre desumere un valore di portata torbida media annua di 490.000 m3/a, per l’intervallo di tempo interessato dalle misure. 4.1.2 Elettroconsult (1972) Si tratta dello studio: Elettroconsult, “Rinalveamento del Fiume Magra. Studio di massima sulle possibilità estrattive di inerti nel quadro di una risistemazione dell’alveo del Fiume Magra”, Associazione Nazionale Estrattori-Produttori-Lapidei e Affini, Parma, 1972. Purtroppo non si dispone direttamente di tale studio, ma è stato possibile ricostruire almeno in parte i risultati ottenuti e le considerazioni svolte attraverso le citazioni di altri autori. Le stime effettuate forniscono un valore del trasporto totale pari a 850.000 m3/a a Calamazza ed a 1.400.000 m3/a a valle della confluenza con il Fiume Vara. Per quanto riguarda il trasporto in sospensione, viene fatto riferimento ai dati di trasporto torbido registrati a Calamazza dal 1957 al 1970 e pubblicati sugli Annali dal Servizio Idrografico di Genova, secondo cui la portata torbida media annua è di circa 490.000 m3/a. Secondo gli autori, tale valore scende di poco procedendo verso la foce, per cui viene stimato un trasporto in sospensione pari a circa 476.000 m3/a. Nella stima del trasporto al fondo viene utilizzata una curva granulometrica per il tratto compreso tra Caprigliola e Podenzana, in cui il D50 risulta pari a 3 mm; non vengono però indicate né la zona del prelievo, né la modalità di campionamento. Le curve granulometriche utilizzate per i tratti più a valle vengono ricavate da questa tagliando via via la componente più grossolana, nell’ipotesi, non verificata, di progressiva diminuzione delle dimensioni verso valle. Le elaborazioni per il calcolo del trasporto solido sono realizzate utilizzando le formule classiche di Meyer Peter & Muller e di Schoklitsch. 4.1.3 Cavazza et al. (1977) Si tratta dello studio: Cavazza S., Merlisenna P., Piaggi G., “Variazioni morfologiche del tronco terminale del Fiume Magra nel quindicennio 1958 – 1973”, 1977. In questo studio gli autori effettuano un bilancio basato sulle variazioni morfologiche del tratto terminale dell’alveo del Fiume Magra. In particolare, viene realizzato, infatti, un confronto tra rilievi batimetrici effettuati nel 1958, 1971 e 1973 dall’Ufficio del Genio Civile di La Spezia, in modo da analizzare sia le variazioni morfologiche dell’alveo sia quelle del profilo idrico. L’evoluzione morfologica dell’alveo è stata valutata attraverso l’analisi delle variazioni del profilo longitudinale ed il tracciamento delle isoallobate, che indicano l’entità degli abbassamenti o degli innalzamenti del fondo alveo. Da un primo esame delle carte ottenute appare evidente che le variazioni avvenute sono generalmente negative, cioè che il letto ha subìto un abbassamento generalizzato nel periodo in esame. In particolare, si osserva che, procedendo verso monte, nei primi 2.5 Km tali variazioni risultano piuttosto contenute, mentre più a monte si entra in una zona con variazioni negative molto forti, fino a -14 m, con la presenza di numerose buche molto profonde. Suddividendo il tratto in esame in zone con caratteristiche omogenee, sono state stimate, quindi, le variazioni volumetriche cui è stato soggetto il fondo nel quindicennio considerato, ottenendo una variazione negativa di 6.400.000 m3 ed una positiva di 300.000 m3, per un totale di 6.100.000 m3 di materiale rimosso dal tratto. Le cause cui attribuire tali processi possono essere sia naturali che artificiali, ma gli autori affermano che quella che ha influenzato maggiormente l’abbassamento dell’alveo è stata sicuramente l’estrazione di inerti operata dal 1958 al 1973, anno in cui venne sospesa dal Genio Civile di La Spezia. Gli autori procedono quindi ad una stima della quantità di materiale estratto dall’alveo del fiume, con particolare riferimento al tratto di intrusione marina, cioè dal ponte dell’Aurelia presso Sarzana fino alla foce. Sommando i volumi estratti per concessione del Genio Civile a quelli 56 Relazione Finale – Capitolo 4 ricostruiti mediante una stima delle quantità di materiale utilizzato per la costruzione delle maggiori infrastrutture presenti nella zona (autostrade, strade, edifici pubblici e privati, linee ferroviarie etc.), si ottiene un volume estratto dal Fiume Magra e dai suoi principali affluenti dal 1958 al 1973 di 24.400.000 m3 circa, di cui 6.640.000 m3 nel tronco del dominio di intrusione marina. 4.1.4 Cavazza (1977) Si tratta della pubblicazione: Cavazza S., “I criteri di stima dell’apporto terrigeno alla foce dei corsi d’acqua e il caso del Fiume Magra”, Atti del Convegno di studi per il Riequilibrio della Costa tra il Fiume Magra e Marina di Massa, 1977. In questa pubblicazione l’autore affronta la stima del bilancio di sedimenti nel tratto di dominio dell’intrusione marina dei corsi d’acqua, con particolare riferimento al Fiume Magra. In questo tratto dell’alveo le condizioni di deflusso sono condizionate dalla presenza dell’acqua del mare: la variabilità delle portate d’acqua dolce che scorre in superficie verso la foce e l’influenza delle maree, del vento e del moto ondoso del mare producono costanti variazioni dell’equilibrio tra le masse di acqua dolce e salata, per cui nella zona di dominio dell’intrusione marina la velocità dell’acqua a contatto con il fondo alveo varia durante la giornata con inversioni di direzione in dipendenza dalle maree. Nel caso di corsi d’acqua di notevoli dimensioni il dominio dell’intrusione marina penetra in alveo per vari chilometri, nei quali le condizioni del deflusso liquido e solido sono molto diverse da quelle esistenti a monte. Per quanto riguarda il trasporto in sospensione, all’inizio del dominio l’acqua dolce ha già praticamente raggiunto una quota di poco superiore al livello del mare ed una pendenza minima, per cui le diminuzioni di concentrazione che si possono verificare sono molto modeste. La gran parte dei sedimenti trasportati in sospensione, quindi, arriva fino alla foce per poi entrare direttamente in mare, senza subire alterazioni. Per quanto concerne il trasporto al fondo, invece, la presenza del cuneo marino a contatto con il fondo alveo crea condizioni di moto del tutto indipendenti da quelle esistenti a monte, per cui nel punto di massima intrusione si crea una discontinuità di regime del trasporto di fondo e, di conseguenza, del modellamento dell’alveo e della sua dinamica evolutiva. In particolare, in questo punto si ha una netta diminuzione della forza di trascinamento della corrente, che si distacca dal fondo scivolando sul cuneo salato, per cui il materiale solido tende ad accumularsi ed a creare nel profilo dell’alveo una soglia più o meno ben definita e persistente. Durante gli eventi di piena gran parte del materiale costituente la soglia riprende il suo movimento fino a raggiungere il mare. Dalle precedenti considerazioni viene dedotto uno schema del trasporto di fondo caratterizzato, nel tratto di dominio dell’intrusione marina, da un continuo accumulo di materiale alla soglia di tale dominio e da un suo trasferimento alla foce mediante movimenti impulsivi, discontinui ed irregolari. È evidente, quindi, come sia impossibile applicare in queste condizioni le consuete formule del trasporto solido, per cui il bilancio viene ottenuto nel modo illustrato di seguito. Con riferimento al caso del Fiume Magra, viene calcolato il bilancio di sedimenti tra la foce (sezione B) e l’estremità del cuneo salino (sezione A) nel periodo 1958-1973 utilizzando l’equazione: T A + C1 '+ ∆V '1 = TB + C 2 '+ ∆V2 ' dove: T A = volume del trasporto solido in arrivo al tratto attraverso la sezione A; TB = volume dell’apporto terrigeno alla foce B; C1 ' = variazione volumetrica del fondo nel tratto a monte del cuneo salino; C 2 ' = variazione volumetrica del fondo nel tratto di intrusione marina; ∆V1 ' = volume del materiale solido asportato dall’alveo nel tratto a monte del cuneo salino; ∆V2 ' = volume del materiale solido asportato dall’alveo nel tratto di dominio dell’intrusione marina. Lo schema teorico è rappresentato in Figura 4.2. 57 Relazione Finale – Capitolo 4 Figura 4.2 - Schema del bilancio di sedimenti nel tratto terminale del F.Magra secondo lo studio di Cavazza (1977). Vengono quindi stimati i vari fattori in modo da ricavare TB , che è dato dalla somma della componente di trasporto al fondo, TB , f , e di quella di trasporto in sospensione, TB ,s : - T A,s = 500000 ÷ 450000 m 3 / a ricavato confrontando lo studio della ELC ed i dati del Servizio Idrografico - T A, f = 1000000 ÷ 800000 m 3 / a - C1 ' = 8000000 ÷ 7000000 m 3 Dallo studio “Variazioni morfologiche del tronco terminale del fiume Magra nel quindicennio 1958-1973” (Cavazza et al., 1977): - C 2 ' = 6100000 m 3 - ∆V1 '+ ∆V2 ' = 24400000 m 3 Si ottiene quindi: - T A = 1500000 ÷ 1250000 m 3 / a = 22500000 ÷ 18750000 m 3 nel quindicennio - TB ,MAX = 813000 m 3 / a = 12200000 m 3 - T B , min = 497000 m 3 / a = 7450000 m 3 Ponendo alla foce TB ,s = 475000 ÷ 425000 m 3 / a (di poco inferiore a TA,s , in accordo con la ELC), si ha che l’apporto di materiale solido al fondo alla foce del Magra è TB , f = 338000 ÷ 72000 m 3 / a . Infine, in riferimento al ripascimento del litorale lunense-versiliese, l’autore osserva che il materiale trasportato in sospensione è molto fine, per cui si disperde immediatamente in mare senza contribuire al rifornimento alle coste, mentre il materiale trasportato al fondo raggiunge il litorale in quantità estremamente esigua. 4.1.5 Cavazza & Pregliasco (1981) Si tratta della pubblicazione: Cavazza S., Pregliasco P., “Sulle modificazioni dell’apporto terrigeno alla foce del Fiume Magra causate dall’uomo”. In: Antonelli, A., Cavazza, S., Cortemiglia, G.C., Egori, F., Martinelli, M., Pellegrini, N., Pregliasco, P., Raggi, G., Tra fiumi, mare e terraferma, Tipografia Zappa, Sarzana, 57-128, 1981. Viene considerato dagli autori il bilancio dei sedimenti nel tratto prefociale del Fiume Magra. In pratica viene ripreso lo studio di Cavazza del 1977, apportando modifiche dovute alla miglior conoscenza delle grandezze caratteristiche del corso d’acqua, misurate sperimentalmente. 58 Relazione Finale – Capitolo 4 L’equazione del bilancio di sedimenti in termini volumetrici tra le due sezioni A e F utilizzata è la seguente: T As + T Af + C − E = TFs + TFf dove: T As = trasporto solido in sospensione in ingresso = 490.000 m3/a; T Af = trasporto solido di fondo in ingresso = 57.800 m3/a; C = abbassamento dell’alveo nel tronco prefociale = 407.000 m3/a; E = estrazione di materiale dal tronco prefociale = 443.000 m3/a; TFs = trasporto solido in sospensione alla foce = 476.000 m3/a. Si ottiene quindi: TFf = trasporto solido di fondo alla foce = 35.800 m3/a. Come si vede, tale valore è nettamente inferiore a quello ottenuto nello studio precedente. I risultati ottenuti e le considerazioni svolte in relazione al trasporto di materiale nel tratto di intrusione marina, analoghe a quelle descritte nello studio del 1977, sono stati poi controllati attraverso misure sperimentali di portata liquida e solida. Dai profili di velocità ottenuti è evidente la validità della teoria dello scivolamento delle acque dolci su quelle salate nel dominio di intrusione marina e della variabilità del limite del cuneo a seconda della portata proveniente dal corso d’acqua. Per quanto riguarda il trasporto solido al fondo, è stata registrata la totale assenza di trasporto al ponte della Colombiera per portate Q ≤ 185.2 m 3 / s , che può essere considerata una buona conferma del basso valore del trasporto di fondo alla foce TFf . Le misure di trasporto in sospensione, infine, forniscono valori molto bassi, in concordanza con i dati riportati sugli annali dal Servizio Idrografico di Genova. 4.1.6 Tecnosviluppo et al. (1991) Si tratta dello studio: Tecnosviluppo, Ilesi, Agristudio, Eptaconsult, Geoscience, “Caratteristiche del trasporto solido e della evoluzione morfologica degli alvei e dei versanti. Modello matematico del trasporto solido” (studio per il Piano di Bacino del Fiume Magra, Ministero dei Lavori Pubblici, 1991). Viene ottenuto un bilancio sedimentologico per il bacino del Fiume Magra basandosi sullo studio di alcuni tratti significativi dell’asta principale e degli affluenti maggiori. Nella prima parte dello studio viene stimata per ciascun tratto la capacità di trasporto solido che, nell’ipotesi di equilibrio, rappresenta il trasporto solido stesso. Poiché l’alveo è costituito sia da ghiaia, che forma uno strato corazzato, che da sabbia, nel sottostrato, il trasporto solido viene scomposto nel trasporto di materiale grossolano e in trasporto di materiale sabbioso: QT = QS + QG Ciascuna componente viene calcolata come media aritmetica dei valori forniti da due formule di trasporto solido, quella di Schoklitsch e quella di Parker per il materiale grossolano, quella di Brownlie e quella di Ackers-White per il materiale sabbioso. In particolare il trasporto di materiale sabbioso viene poi moltiplicato per la frazione di sabbia misurata durante i campionamenti. Viene ottenuto un valore di trasporto solido totale nel tratto prefociale del Fiume Magra pari a QT = 140851 m 3 / a . Si osserva che l’ipotesi di equilibrio viene rispettata, essendo la capacità di trasporto del tratto prefociale sostanzialmente uguale (di poco inferiore) all’apporto di materiale proveniente da monte. Nella seconda parte viene considerata la dinamica dell’alveo, ricostruita attraverso i rilievi effettuati nel corso degli anni. In particolare si distingue tra il periodo 1914-1958 e il periodo 19581989, considerando i rilievi eseguiti negli anni alle estremità dei due periodi. 59 Relazione Finale – Capitolo 4 Per quanto riguarda il periodo 1914-1958, vengono utilizzate le caratteristiche idrauliche riportate nella prima parte, assumendo che non siano variate nel tempo. L’elaborazione numerica è uguale a quella precedente, con l’unica modifica di considerare una quantità doppia di materiale sabbioso, per considerare una maggiore disponibilità del materiale. Si ottiene un valore di trasporto solido nel tratto prefociale di QT = 277412 m 3 / a , che è sostanzialmente in equilibrio con l’apporto di materiale da monte. Stimando l’abbassamento dell’alveo avvenuto tra i rilievi del 1914 e del 1958, viene calcolato l’apporto di materiale al trasporto solido medio annuo per ogni tratto, e quindi il trasporto solido totale come differenza tra questo e quello calcolato nel 1914 (nell’ipotesi che la capacità di trasporto sia invariante nel tempo). Si ottiene un valore nel tratto prefociale QT 1958 = 212078 m 3 / a , ancora in equilibrio con il materiale proveniente da monte. Nel periodo 1958-1989, viene considerata anche l’attività di estrazione di inerti dall’alveo del Magra, per cui vengono ricostruiti, basandosi sulle stime effettuate nello studio “Variazioni morfologiche del tronco terminale del fiume Magra nel quindicennio 1958-1973” (Cavazza, Merlisenna, Piaggi, 1977), i volumi di sedimenti asportati da ciascun tratto. Con un’analisi simile a quella eseguita per il periodo precedente, includendo anche i volumi estratti, viene effettuato il bilancio sedimentologico per ciascun tratto, da cui risulta che la portata solida nel tratto prefociale è pari a QT 1989 = 148933 m 3 / a , nell’ipotesi di invarianza di produzione solida del bacino dal 1958, e a QT 1989 = 84291 m 3 / a nell’ipotesi di una diminuzione del materiale sabbioso fino alla quantità utilizzata nella prima parte. Vengono forniti anche i valori di apporto di sedimenti alla foce nelle due ipotesi, rispettivamente pari a 119464 m3/a ed a 54822 m3/a. Nella terza parte viene presa in esame la produzione totale di sedimenti a scala di bacino, facendo riferimento principalmente alla carta dell’erodibilità, ottenuta combinando insieme la carta geologica, quella delle pendenze e quella dell’uso del suolo. Suddividendo la superficie del bacino in tre classi di erodibilità e tenendo conto dei dati torbidimetrici misurati a Calamazza (1957-1970) e a S.Genesio (1934-1938) pubblicati sugli annali, viene attribuito al trasporto torbido medio annuo alla foce un valore pari a QT ,s = 668000 m 3 / a . 4.1.7 Cooperativa Mediterranea Prospezioni (2000) Si tratta dello studio: Cooperativa Mediterranea Prospezioni, “Determinazione e studio del trasporto solido di fondo nelle tre stazioni di Calamazza (Comune di Aulla), Santa Giustina e Piccatello (Comune di Pontremoli) sul Fiume Magra in provincia di Massa Carrara”, Ufficio del Genio Civile di Massa Carrara, 2000. In questo studio vengono riportati i risultati ottenuti da una campagna di misure di trasporto solido al fondo ed in sospensione nelle stazioni di Calamazza, Santa Giustina e Piccatello. Per misurare il trasporto al fondo sono stati utilizzati due metodi diversi: a Piccatello ed a S.Giustina è stata realizzata una trincea e, attraverso rilievi planoaltimetrici eseguiti dopo eventi di piena significativi, sono stati determinati i corrispondenti apporti di materiale; a Calamazza invece gli apporti di sedimenti sono stati calcolati sia mediante rilievi batimetrici del tratto d’alveo interessato, sia mediante un campionatore. I risultati ottenuti sono riportati nelle Tabelle 4.1 e 4.2. Per valutare il trasporto in sospensione sono stati effettuati prelievi d’acqua nelle varie condizioni della corrente su più verticali, in modo da ottenere risultati rappresentativi dell’intera sezione. I risultati ottenuti sono riportati nella Tabella 4.3. Nel presente studio vengono anche evidenziate le variazioni climatiche riscontrate negli ultimi anni, che hanno portato ad un apporto meteorico concentrato in periodi brevi, tanto che i valori di portata liquida massima sono notevolmente aumentati rispetto al periodo 1865-1977. Queste variazioni si riscontrano anche nel trasporto solido, sia al fondo che in sospensione, che è di notevole entità solo in corrispondenza degli eventi di piena. 60 Relazione Finale – Capitolo 4 stazione Piccatello Santa Giustina Calamazza Volume depositato (m3) 392 321 Data evento 20/10/99-26/10/99 12/12/99-30/12/99; 29/02/00-03/03/00; 24/03/00-01/04/00 25/03/99-22/04/99 20/10/99-26/10/99 12/12/99-30/12/99; 29/02/00-03/03/00; 24/03/00-01/04/00 25/03/99-22/04/99 20/10/99-26/10/99 12/12/99-30/12/99 29/02/00-03/03/00 24/03/00-01/04/00 1432 1169 1718 331 1950 2220 asportato 499 1075 Tabella 4.1 - Risultati dei rilievi plano-altimetrici e batimetrici (Cooperativa Mediterranea Prospezioni, 2000). Data 08/05/99 11/06/99 10/08/99 28/10/99 12/01/00 29/03/00 Ql (m3/s) 28.280 8.055 3.342 41.984 24.752 414.638 Peso campione (g) 29.5 19.8 14.2 79.5 26.3 836.8 Tabella 4.2 - Risultati ottenuti a Calamazza con il campionatore (Cooperativa Mediterranea Prospezioni, 2000). stazione Piccatello Santa Giustina Calamazza Ql media annua (m3/s) 3.48 2.66 90 Qt media annua (t) 8375 20646 1008042 Tabella 4.3: Misure della portata solida in sospensione media annua Qt in funzione alla portata liquida media annua Ql (Cooperativa Mediterranea Prospezioni, 2000). Per quanto riguarda l’origine dei sedimenti, il contributo maggiore viene attribuito, attraverso l’analisi geolitologica dei campioni prelevati, ai sottobacini in sinistra orografica, caratterizzati da una maggiore erodibilità delle formazioni geologiche e da frequenti fenomeni franosi lungo le aste degli affluenti. Particolare attenzione viene posta sull’andamento del trasporto solido a Calamazza: il materiale trasportato, data la bassa energia cinetica, si deposita anche durante eventi di piena, innalzando l’alveo naturale fino a creare una barriera per lo scorrimento delle acque. Quando si manifesta poi un evento di piena particolarmente violento, in tale tratto di fiume si accumula una massa d’acqua capace di trascinare a valle i depositi di fondo e ripristinare le condizioni d’alveo iniziale. 61 Relazione Finale – Capitolo 4 4.1.8 Hydrodata et al. (2003) Si tratta dello studio: Hydrodata, Intecno-DHI, Medingegneria, STI, “Indagini e progetto preliminare per la risagomatura della sezione di deflusso del tratto focivo del Fiume Magra”, Autorità di Bacino Interregionale del Fiume Magra, 2003. Nel capitolo dedicato al trasporto solido, viene condotta una simulazione in modo da calcolare il volume di sedimenti che si può depositare nel tratto focivo nel corso di una piena significativa a partire dallo stato geometrico ottenuto con l’ipotesi di risagomatura sviluppata nel progetto, in modo da valutare la durabilità dell’intervento stesso. Per analizzare la stabilità dell’alveo, vengono confrontati i rilievi del fondo eseguiti nel 1992, 1998, 2000 e 2001: si riscontra un sostanziale equilibrio dei fondali, da ritenersi in senso dinamico. Utilizzando i rilievi dell’Ottobre 1998 e del Maggio 2001, viene stimato il volume di sedimenti trasportato durante la piena del Novembre 1999 (con picco di circa 2000 m3/s) in 200000 m3 circa. Per le simulazioni viene utilizzato il modello numerico bidimensionale MIKE 21C, che accoppia le equazioni del moto a quelle del trasporto solido restituendo la modificazione longitudinale e trasversale della batimetria del fiume, mentre per valutare l’apporto di materiale da monte si fa ricorso all’equazione di Van Rijn, distinguendo tra materiale fine (diametro medio 0.15 mm) e grossolano (diametro medio 5 mm). 4.1.9 Riepilogo dei dati e delle stime precedenti Per concludere la rassegna, si riporta di seguito una scheda riassuntiva delle stime e/o misure di trasporto solido ricavabili dagli studi sopra citati (Tabella 4.4). Elettroconsult (1972) Stima Trasporto Solido totale Calamazza Valle confluenza Vara 850.000 m3/a 1.400.000 m3/a Trasporto torbido (da dati Servizio Idrografico Genova) Calamazza 490.000 m3/a Foce 476.000 m3/a Cavazza (1977) Stima su base di bilancio di sedimenti 1958-1973 (da variazioni sezioni) tra confluenza Vara e foce: Alla foce: Trasporto in sospensione da cui ricava un Trasporto solido al fondo 425.000 – 475.000 m3/a 72.000 – 338.000 m3/a Cavazza & Pregliasco (1981) Stima trasporto solido al fondo (ponte Aurelia presso Battifollo): Formula di Shields 51.151 m3/a Formula di Meyer-Peter Muller 64.628 m3/a Stima indiretta materiale lapideo estratto: 24.400.000 m3 nel quindicennio 1958-1973 62 Relazione Finale – Capitolo 4 Stima su base di bilancio di sedimenti (modificata da Cavazza, 1977): Alla foce: Trasporto in sospensione Trasporto solido al fondo Apporto terrigeno totale 476.000 m3/anno 35.800 m3/anno 511.800 m3/anno Tecnosviluppo et al. (1991) Presso la foce Stima Capacità di trasporto (formule trasporto solido) Trasporto torbido annuo (basato su dati Servizio Idrografico) 140.851 m3/a 668.000 m3/a Cooperativa Mediterranea Prospezioni (2000) Trasporto in sospensione (in base a misure) Piccatello 8375 t/a Santa Giustina 20.646 t/a Calamazza 1.008.042 t/a Hydrodata et al. (2003) Alla foce: Stima volume sedimenti trasportato durante piena 1999: 2.000 m3 Tabella 4.4 - Scheda riepilogativa delle stime e delle misure di trasporto solido riportate negli studi esistenti sul Fiume Magra. 4.2 SUDDIVISIONE IN TRATTI Ai fini della valutazione del trasporto solido, il primo passo è stato quello di suddividere i corsi d’acqua studiati (F.Magra e F.Vara) in tratti relativamente omogenei dal punto di vista morfologico ed idraulico. Tale suddivisione è partita da quella adottata in precedenza per lo studio geomorfologico, definendo alcuni nuovi tratti che tengono conto soprattutto delle discontinuità idrauliche dovute alla confluenza con i maggiori affluenti ed alla presenza di stazioni di misura della portata liquida. In totale, si sono ricavati 12 tratti per il F.Magra e 12 per il F.Vara, come riepilogato in Tabella 4.5. Ai fini del bilancio di sedimenti, sono stati inclusi anche i principali affluenti, cioè quelli ritenuti significativi in termini di alimentazione solida ai corsi d’acqua principali, vale a dire: 1) T.Verde; 2) T.Gordana; 3) T.Caprio; 4) T.Bagnone; 5) T.Taverone; 6) T.Aulella; 7) T.Stora; 8) T.Gottero; 9) T.Mangia; 10) T.Usurana. In Figura 4.3 si riporta la suddivisione in tratti e gli affluenti inclusi nel bilancio. Nome tratto Limiti m0 m1 m2 m3 m4 m5 m6 m7 sorgente - Piccatello Piccatello – confl. T. Verde confl. T.Verde – confl. T.Gordana confl. T.Gordana – confl. T.Caprio confl. T.Caprio – confl. T.Bagnone confl. T.Bagnone - Lusuolo Lusuolo – confl. T.Taverone confl. T.Taverone – confl. T.Aulella 63 Relazione Finale – Capitolo 4 m8 m9 m10 m11 m12 v0 v1 v2 v3 v4 v5 v6 v7 v8 v9 v10 v11 v12 confl. T.Aulella - Calamazza Calamazza - Caprigliola Caprigliola – confl. F.Vara confl. F.Vara – ponte FS Sarzana Ponte FS Sarzana - foce Casette – confl. T.Torza confl. T.Torza – confl. T.Stora Confl. T.Stora - Naseto Naseto – confl. T.Gottero confl. T.Gottero – diga S.Margherita diga S.Margherita – confl. T.Malacqua confl. T.Malacqua – confl. T.Mangia confl. T.Malacqua – confl. T.Mangia confl. T.Mangia – confl. T.Chichiola confl. T.Chichiola - Padivarma Padivarma – confl. T.Riccò confl. T.Riccò – confl. T.Usurana confl. T.Usurana – confl. F.Magra Tabella 4.5 - Suddivisione dei fiumi Magra e Vara in tratti relativamente omogenei ai fini del calcolo del trasporto solido. Figura 4.3 - Suddivisione dei fiumi Magra e Vara in tratti e principali affluenti considerati ai fini del bilancio di sedimenti. 64 Relazione Finale – Capitolo 4 4.3 MODELLAZIONE IDRAULICA Ai fini del bilancio di sedimenti è necessario definire, per ogni singolo tratto, la scala delle portate ed i parametri idraulici necessari per il calcolo del trasporto solido al variare dei livelli idrici e delle portate stesse. A tal fine, si è proceduto per il F.Magra ad una modellazione in moto permanente (utilizzando il software Hec-Ras), mentre per gli affluenti (compreso il F.Vara) si è ritenuto sufficientemente dettagliato procedere al calcolo dei parametri idraulici attraverso una modellazione in moto uniforme, utilizzando il software SAM poi in parte impiegato per l’applicazione di alcune equazioni di trasporto solido. 4.3.1 Il modello di moto permanente Il modello adottato si basa sulle equazioni del moto e di continuità per una corrente unidimensionale che, nella formulazione generale di De Saint Venant, esprimono le caratteristiche idrauliche (portata, velocità, carico piezometrico, altezza d’acqua) in funzione di spazio e tempo. Se si trascura la dipendenza dal tempo, si ottiene il modello di moto permanente, descritto dalle equazioni: dQ = q( x) dx dH = −J dx dove: Q = portata liquida [m3/s]; q(x) = portata laterale (positiva se entrante) [m3/s]; H = carico totale della corrente [m]; J = perdite di carico effettivo per unità di lunghezza. A queste equazioni se ne aggiungono altre per la stima delle dissipazioni energetiche sia di carattere concentrato che distribuito. Le perdite concentrate di energia, dovute alla variazione della sezione trasversale, sono valutate attraverso i coefficienti di contrazione ed espansione, mentra quelle distribuite attraverso il coefficiente di scabrezza di Manning (n): 2 2 1 Q = AR 3 i f 3 L3 T n dove: n = coefficiente di Manning; A = area del flusso; R = raggio idraulico; if = pendenza del fondo. La risoluzione dello schema di moto viene ottenuta per via numerica, discretizzando le equazioni nel dominio spaziale: la soluzione viene pertanto ottenuta solo nei punti di discretizzazione, rappresentati dalle sezioni geometriche rilevate. I calcoli sono stati eseguiti utilizzando il software Hec-Ras 3.1.3 (Hydrologic Engineering Center’s River Analysis System), elaborato dall’ U.S. Army Corps of Engineers. [ ] 4.3.2 Il modello di moto uniforme Nell’ipotesi di moto uniforme viene eliminata anche la dipendenza dallo spazio delle caratteristiche idrauliche di una corrente unidimensionale. In tali condizioni la velocità media V della corrente è legata alle caratteristiche dell’alveo (pendenza, scabrezza, forma della sezione trasversale) e della corrente (altezza d’acqua, area del flusso, raggio idraulico) attraverso la legge del moto uniforme, che di solito viene espressa dalla formula di Chezy: V =C R i da cui: Q = AC R i dove: A = area del deflusso; C = coefficiente di scabrezza; R = raggio idraulico; i = pendenza del fondo. Come si può notare, una volta fissata la portata Q, non è possibile ottenere una espressione esplicita per l’altezza d’acqua h: la soluzione viene quindi ottenuta per via iterativa. Nel presente 65 Relazione Finale – Capitolo 4 studio tali calcoli sono stati eseguiti avvalendosi del software SAM, sviluppato dall’Hydraulics Laboratory of the Waterways Experiment Station (WES). 4.3.3 Dati utilizzati Per l’implementazione dei modelli idraulici è stato necessario reperire i seguenti dati: - sezioni fluviali; - dati idrologici. Sezioni fluviali Le sezioni utilizzate sono quelle rilevate per lo “Studio per il piano di bacino del fiume Magra” tra il 1989 ed il 1991: esse comprendono 251 sezioni per il Fiume Magra (dalla località Mignegno alla foce), 219 per il Fiume Vara ( da Noceto alla confluenza con il Fiume Magra) e 216 per gli affluenti. L’utilizzo di tali sezioni comporta una certa approssimazione, visto che il rilievo non è esattamente rappresentativo dello stato attuale dei corsi d’acqua, ma non era possibile fare altrimenti data la mancanza di rilievi più recenti. Inoltre, dall’utilizzo di questi dati, risulta che spesso le opere in alveo sono state rilevate in modo insufficiente, come già osservato nella relazione del Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico Settore Idraulico. Si è ritenuto comunque di non utilizzare le sezioni integrative effettuate proprio per gli studi del PAI in quanto, essendo state realizzate molti anni dopo, contengono dati non omogenei con quelli del rilievo utilizzato. Dati idrologici La caratterizzazione del regime delle portate liquide dei corsi d’acqua è stata ottenuta assegnando ad ogni tratto la relativa curva di durata. Un generico valore D(Q) sulla curva indica il numero di giorni del periodo base considerato (in genere un anno) nei quali la portata liquida sia stata non minore di Q. Per costruire la curva di durata è necessario effettuare un’analisi delle portate registrate in stazioni presenti lungo il corso del fiume. 600.00 500.00 Q (m³/s) 400.00 300.00 200.00 100.00 1 9 32 1 9 33 1 9 34 1 9 35 1 9 36 1 9 37 1 9 38 1 9 39 1 9 40 1 9 41 1 9 42 1 9 43 1 9 44 1 9 47 1 9 51 1 9 53 1 9 54 1 9 56 1 9 57 1 9 58 1 9 60 1 9 61 1 9 62 1 9 63 1 9 64 1 9 65 1 9 66 1 9 67 1 9 68 1 9 69 1 9 70 1 9 71 1 9 72 1 9 73 1 9 74 1 9 75 1 9 93 1 9 94 1 9 95 1 9 96 1 9 96 0.00 Figura 4.4 - Andamento delle portate liquide alla stazione di Naseto lungo il Fiume Vara nel periodo compreso tra il 1932 ed il 1996. Sui fiumi Magra e Vara e sui loro principali affluenti sono presenti alcune stazioni di misura della portata, tra le quali quelle che presentano una serie storica di dati sufficientemente ampia perché la curva di durata risulti rappresentativa (almeno 10 anni, secondo Biedenharn et al., 2001) sono le seguenti: Piccatello e Calamazza sull’asta del Fiume Magra; Naseto, Padivarma e Piana Battolla sul Fiume Vara; Bagnone sul T.Bagnone; Licciana sul Torrente Taverone; Soliera sul T.Aulella. Dopo una prima fase di ricerca, sono stati quindi acquisiti tutti i dati di portata media 66 Relazione Finale – Capitolo 4 giornaliera (in media circa 7700 per ogni stazione) pubblicati sugli Annali Idrologici dal Servizio Idrografico di Genova e, visto che erano disponibili soltanto in forma cartacea, sono stati digitalizzati ed in seguito elaborati con l’ausilio del software Excel. Vista la diversa disponibilità dei dati sul Fiume Magra e sul Fiume Vara, l’elaborazione ha seguito due approcci diversi. Per quanto riguarda il Fiume Vara, la stazione che presenta un numero maggiore di dati è quella di Naseto, per la quale sono stati pubblicati dati dal 1932 al 1996, per un totale di circa 40 anni. In questo periodo il regime delle portate liquide è stato pressoché costante, senza sostanziali variazioni nel tempo (Figura 4.4). 400 350 300 Padivarma 250 y = 1.9289x 2 R = 0.9096 200 150 100 50 0 0 20 40 60 80 100 120 140 160 Naseto Figura 4.5 - Regressione dei valori di portata tra le stazioni di Naseto e Padivarma sul F.Vara. 900 800 700 Pianabattolla 600 y = 2.6308x 2 R = 0.8154 500 400 300 200 100 0 0 50 100 150 200 250 300 Naseto Figura 4.6 - Regressione dei valori di portata tra le stazioni di Naseto e Piana Battola sul F.Vara. La stazione di Piana Battolla presenta dati di portata dal 1934 al 1943, mentre quella di Padivarma dal 1925 al 1937. Vista la distribuzione abbastanza omogenea delle tre stazioni all’interno del bacino imbrifero, è stato possibile ricavare una correlazione tra i dati misurati a Padivarma e a Piana Battolla e quelli misurati a Naseto sfruttando gli anni di contemporaneo funzionamento (Figure 4.5 e 4.6 rispettivamente). In questo modo sono state completate anche le 67 Relazione Finale – Capitolo 4 serie storiche relative alle due stazioni che presentano un numero minore di dati originali, in modo da rendere poi possibile la determinazione della curva di durata sulla base di un numero più ampio di anni. Per quanto riguarda i dati di portata relativi al Fiume Magra, le due stazioni che presentano una serie sufficiente di dati sono Piccatello e Calamazza. Queste due stazioni si trovano: la prima pochi chilometri dopo la sorgente, la seconda poco prima della confluenza con il Fiume Vara. Tra questi due punti, il Fiume Magra riceve l’apporto di numerosi affluenti, anche di notevoli dimensioni come il T.Bagnone, il T.Taverone ed il T.Aulella, e drena vaste aree del bacino soggette a condizioni geo-litologiche e climatiche diverse. Per questi motivi non è stato possibile stabilire una correlazione tra i dati delle due stazioni, in modo da completare la serie storica che presenta un minor numero di elementi, come è stato fatto per il Fiume Vara. Si è deciso pertanto di selezionare un intervallo di tempo di misure che fosse in comune alle due stazioni ed in comune anche alle stazioni ubicate sui principali affluenti. Non essendo disponibili dati più recenti, è stato considerato il periodo 1957-1977 per le stazioni di Piccatello, Calamazza, Bagnone e Soliera, mentre per Licciana è stato utilizzato l’unico periodo disponibile, che va dal 1933 al 1943. 100 Q (mc/s) 10 1 0.1 0.01 0.10 1.00 10.00 100.00 frequenza di superamento (%) Figura 4.7 - Curva di durata relativa alla stazione di Piccatello sul Fiume Magra. frequenza di superamento 1% 400 350 300 Q (mc/s) 250 y = 0.4384x - 9.0221 R2 = 0.9994 200 150 100 50 0 0 100 200 300 400 500 600 700 800 900 1000 2 Area (km ) Figura 4.8 - Regressione tra portate ed aree del bacino per la frequenza di superamento dell’1%, utilizzata per ricavare le curve di durata dei sottotratti. La procedura classica per la costruzione della curva di durata prevede la suddivisione in classi del range di portate ed il calcolo della frequenza di superamento di ciascuna classe (cioè del numero di giorni in un anno in cui viene uguagliata o superata la portata rappresentativa di ciascun 68 Relazione Finale – Capitolo 4 intervallo). Riportando su un grafico la portata in funzione della frequenza, si ottiene la curva di durata (Figura 4.7). Nel presente studio la procedura è stata modificata seguendo quanto suggerito da Biedenharn et al. (2001): sono stati fissati valori di frequenza significativi e per ciascun valore è stata determinata la portata corrispondente. In questo modo, oltre a costruire la curva di durata per i tratti in cui ricadono le stazioni di misura sopra citate, è stato possibile estendere la curva di durata agli altri tratti di studio attraverso una regressione sulle aree drenate (Figura 4.8). 4.3.4 Implementazione del modello idraulico Il modello in moto permanente è stato applicato sull’asta del Fiume Magra dalla località Mignegno, poco a monte di Pontremoli, fino al ponte della ferrovia presso Sarzana. Sono stati creati in Hec-Ras tanti progetti quanti sono i tratti: le condizioni al contorno adottate per ciascun tratto sono la scala di deflusso dell’ultima sezione a valle del tratto immediatamente precedente come condizione di monte e l’altezza di moto uniforme (normal depth) come condizione di valle. Le scabrezze sono state determinate come coefficiente di Manning, calcolato utilizzando tabelle e formule riportate in letteratura, e assumono valori da 0.04 a 0.028 in alveo a seconda del tratto in esame e 0.05 sulla piana inondabile. In conformità con quanto riportato nella relazione del PAI, i coefficienti di espansione e contrazione in prossimità dei ponti sono stati assunti rispettivamente pari a 0.5 e 0.3, mentre in assenza di ponti essi valgono 0.2 e 0.1. Per la verifica e taratura del modello sono stati utilizzati i risultati riportati nel PAI: sono state quindi confrontate le altezze d’acqua ottenute con quelle riportate nel Piano Stralcio a parità di portata e, sulla base di tale confronto, sono stati modificati i vari parametri fino a quando gli scarti tra le due serie di dati non sono risultati accettabili. Come già detto, per il Fiume Vara e per tutti gli altri affluenti inclusi nel bilancio di sedimenti è stato utilizzato un modello di moto uniforme. Anche in questo caso sono stati realizzati in SAM tanti progetti quanti sono i tratti individuati in precedenza: in ingresso sono state quindi fornite la portata liquida, la geometria della sezione trasversale, la scabrezza (in termini di n di Manning) e la pendenza del fondo. 4.3.5 Risultati ottenuti I due diversi modelli sono stati utilizzati per ottenere i parametri idraulici relativi alle portate ricavate dalla curva di durata, per un totale di trenta profili per sezione. In particolare, per ogni sezione è stata ricavata la scala delle portate (o scala di deflusso) (Figura 4.9), l’andamento della velocità (Figura 4.10), del raggio idraulico (Figura 4.11) e delle tensioni tangenziali in funzione delle portate (Figura 4.12). 265.0 264.5 h (m s.l.m.) 264.0 263.5 263.0 262.5 262.0 0 10 20 30 40 50 60 70 Q (mc/s) Figura 4.9 – Esempio di scala delle portate relativa al tratto m0. 69 Relazione Finale – Capitolo 4 3.5 3.0 v (m/s) 2.5 2.0 1.5 1.0 0.5 0.0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 Q (mc/s) Figura 4.10 – Esempio di andamento delle velocità relativamente al tratto m0. 1.20 1.00 R (m) 0.80 0.60 0.40 0.20 0.00 0 10 20 30 40 Q (mc/s) 50 60 70 80 Figura 4.11 – Esempio di andamento del raggio idraulico relativamente al tratto m0. 140 shear stress (N/mq) 120 100 80 60 40 20 0 0 10 20 30 40 50 60 70 80 Q (mc/s) Figura 4.12 – Esempio di andamento delle tensioni tangenziali relativamente al tratto m0. 70 Relazione Finale – Capitolo 4 4.4 STIMA DEL TRASPORTO SOLIDO Nel presente studio, per la valutazione di trasporto solido sono state utilizzate equazioni idrauliche proposte in letteratura, ottenute dall’elaborazione di dati sperimentali misurati prevalentemente in laboratorio. Occorre tener conto che la natura empirica dei vari modelli introduce forti semplificazioni rispetto alle condizioni naturali, a cui si aggiunge l’assunzione che venga saturata completamente la capacità di trasporto della corrente, cioè che sia sempre disponibile alla mobilizzazione tutto il materiale che il corso d’acqua riesce a trasportare. 4.4.1 Metodi di calcolo del trasporto al fondo Una prima selezione delle equazioni da utilizzare nel presente studio è stata effettuata, oltre che sulla base della letteratura esistente, anche con l’ausilio del software SAM, il quale contiene un data base interno grazie al quale vengono selezionate le equazioni ritenute più attendibili per un dato caso di studio sulla base delle sue caratteristiche idrauliche, morfologiche e sedimentologiche. Il software SAM infatti consente l’utilizzo di numerose equazioni di trasporto solido, quali: Toffaleti, Yang, Einstein (total load), Ackers-White, Colby, Toffaleti – Schoklitsch, Meyer Peter & Muller, Brownlie, Laursen (Madden), Laursen (Copeland), Parker, Einstein (bed load), Profitt (Sutherland), Engelund – Hansen, Schoklitsch, Van Rjin, Toffaleti – MPM. Di seguito si riportano le equazioni per il calcolo del trasporto solido al fondo che sono state utilizzate nel presente studio. Schoklitsch E’ uno dei metodi più utilizzati per il calcolo del trasporto al fondo in corsi d’acqua montani. Fornisce la capacità di trasporto istantanea Q s [Kg / s ] relativa alla portata liquida Q m 3 / s : [ ] Q s = 2500 S 3 / 2 (Q − Q cr ) dove Q cr [mc / s ] rappresenta la portata critica di inizio del moto dei sedimenti ed è data da: Q cr = 0.6 B con B [m ] larghezza dell’alveo attivo, D40 [m] pendenza del fondo. D 40 3/2 S 7/6 diametro rappresentativo dei sedimenti e S Meyer Peter & Muller E’ una delle formule più utilizzate per il calcolo del trasporto al fondo in alvei di pianura. Deriva da una formula proposta da Favre e Einstein, modificata sulla base della considerazione, su base sperimentale, che solo una parte della tensione contribuisce al trasporto del materiale, mentre la restante è utilizzata per bilanciare l’effetto forma: 3/ 2 ⎛ ns ⎞ 2/3 ⎜ ⎟ ⋅ θ = 0.047 + Φ ⎝ n ⎠ dove: 1/ 6 D90 ns = secondo Strickler (D90 espresso in metri); 26 1 U = 2 / 3 1 / 2 con n= coefficiente di resistenza totale di Manning; n R S θ = parametro di Shields di mobilità totale; Φ= qb γs γ ⎛ 1 ⎞ ⎜ ⎟ γ s − γ ⎜⎝ gD 3 ⎟⎠ 1/ 2 = portata solida adimensionale per unità di larghezza; 71 Relazione Finale – Capitolo 4 qb = Φ (S g − 1)gD 3 = portata solida per unità di larghezza. Si può dimostrare che il primo membro dell’equazione di MPM rappresenta il parametro di Shields di mobilità effettiva θ ' , per cui: Φ = 8(θ '−0.047) 3 / 2 Smart & Jäggi (1983) Rappresenta l’estensione della formula di Meyer Peter & Muller ai corsi d’acqua con forte pendenza (da 3% a 20%): 0.2 ⎛D ⎞ ⎛u⎞ Φ = 4 ⎜⎜ 90 ⎟⎟ i 0f .6 θ 0.5 (θ − θ cr )⎜⎜ ⎟⎟ ⎝ u* ⎠ ⎝ D30 ⎠ 0.2 ⎛D ⎞ Nella formula il rapporto ⎜⎜ 90 ⎟⎟ può essere sostituito dal numero 1.05, valore approssimato ⎝ D30 ⎠ che tiene conto della non uniformità del materiale. Gli autori inoltre consigliano θ cr =0.05 . Parker (1990) E’ una formula di trasporto solido al fondo, risultato di una variazione di una versione del 1982, per alvei con fondo ghiaioso e/o corazzato. Questo modello fa riferimento alle dimensioni dello strato superficiale ed alla teoria secondo la quale la maggior parte delle particelle della mistura si mobilita in corrispondenza circa della stessa tensione tangenziale. Definiti: ∗ q b = capacità di trasporto solido espressa in termini dimensionali; qb = portata volumetrica al fondo per unità di larghezza dell’alveo; g = accelerazione gravitazionale; γ s , γ = peso specifico dei sedimenti e dell’acqua; D50 = diametro caratteristico della mistura; τ = tensione tangenziale al fondo; θ = parametro di mobilità di Shields Si ricava: qb ∗ qb = γs −γ 3 ⋅ g ⋅ D50 γ W∗ = qb ∗ θ 3/ 2 τ θ= (γ s − γ ) ⋅ D50 con: [ ⎧0.00218 exp 14.2(φ50 − 1) − 9.28(φ50 − 1)2 ⎪ 4.5 ⎪ ⎛ 0.853 ⎞ ∗ ⎟⎟ φ50 > 1.59 W = ⎨11.93⎜⎜1 − φ 50 ⎝ ⎠ ⎪ ⎪0.00218φ 14.2 φ50 < 1 50 ⎩ φ50 = θ ∗ 1.18θ c 72 ] 1 < φ50 < 1.59 Relazione Finale – Capitolo 4 θ c ∗ = 0.028 Shields (1936) Nel 1936 Shields ricavò sperimentalmente la seguente equazione: (τ −τ ) q s = 10 Q S 0 0 cr (r −1)d dove: qs= portata solida in peso per unità di larghezza; Q= portata liquida; S0= pendenza del fondo; τ0= tensione tangenziale media; τcr= tensione tangenziale critica; (r-1) = peso specifico immerso relativo dei sedimenti; d= diametro dei sedimenti. 4.4.2 Scelta dei parametri Per il calcolo della capacità di trasporto al fondo è stata effettuata un’ulteriore discretizzazione dell’asta fluviale: per ogni tratto è stata assunta come rappresentativa un’unica sezione (Figura 4.13), caratterizzata dalle grandezze geometriche medie (larghezza di bankfull, pendenza) del tratto stesso. Ad ogni tratto è stata poi assegnata una curva granulometrica rappresentativa della composizione sedimentologica (Figura 4.14), ottenuta o per campionamento volumetrico realizzato direttamente in sito, o per regressione nei tratti in cui non sono stati effettuati rilievi, secondo quanto riportato nel Cap.2. In Tabella 4.6 si riporta il riepilogo dei dati geometrici e sedimentologici di ogni tratto. 276 274 quota (m s.l.m.) 272 270 268 266 264 262 260 0 50 100 150 200 distanza progressiva (m) 250 300 Figura 4.13 - Sezione rappresentativa del tratto m0. 100 80 70 60 50 40 30 20 10 9 Phi Figura 4.14 – Esempio di curva granulometrica relativa al tratto m0. 73 10 8 7 6 5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 -4 -5 -6 -7 -8 -9 0 -1 0 Passante cumulato (%) 90 Relazione Finale – Capitolo 4 Tratto Lunghezza (Km) Larghezza bankfull (m) Pendenza % D50 (mm) Area drenata (Km2) m0 m1 T.Verde m2 T.Gordana m3 T.Caprio m4 T.Bagnone m5 m6 T.Taverone m7 T.Aulella m8 m9 m10 m11 v0 v1 T.Stora v2 v3 T.Gottero v4 (diga) v5 v6 T.Mangia v7 v8 v9 v10 T.Usurana v11 v12 1.7 2.4 1.0 1.0 1.0 3.8 1.0 7.0 1.0 3.5 5.8 1.0 1.8 1.0 1.5 4.7 4.3 6.5 6.5 1.5 1.0 5.2 3.8 1.0 1.5 6.4 2.3 1.0 2.3 6.0 1.7 5.2 1.0 2.4 5.7 16 17 13 34 29 55 10 138 30 60 180 75 422 55 62 65 216 260 36 63 58 33 49 15 48 73 25 77 88 95 68 70 80 125 1.89 1.49 1.74 1.43 3.00 0.97 2.44 0.87 1.73 0.65 0.56 1.16 0.63 0.50 0.25 0.33 0.4 0.15 1.29 0.9 1.88 0.5 0.47 2.00 0.60 0.65 2.5 0.40 0.6 0.57 0.36 3.00 0.4 0.35 75.7 44.2 29.8 44.2 24.2 37.1 28.6 44.0 24.6 60.8 31.8 18.0 27.3 19.9 27.3 25.1 29.5 17.4 67.6 38.5 23.0 64.0 64.0 55.6 38.9 38.9 49.5 12.4 40.8 40.8 33.6 39.6 46.1 46.1 77 81 73 159 50 229 26 364 59 427 485 121 610 319 933 948 960 1609 104 188 33 205 207 38 247 282 313 27 350 417 420 489 26 519 564 Tabella 4.6 – Caratteristiche geometriche e sedimentologiche medie di ogni tratto. 74 Relazione Finale – Capitolo 4 4.4.3 Confronto tra risultati e misure dirette Il calcolo è stato quindi effettuato utilizzando le varie formule selezionate in precedenza. Queste forniscono la capacità di trasporto istantanea Qs (Kg/s) al variare della portata liquida. Per ottenere la portata solida media annua è necessario integrare la Qs sull’intervallo Q=365 gg, una volta note le durate dei vari intervalli di portata sulla base della curva di durata, secondo l’equazione: Q sa = ∫ Q s dt T I risultati ottenuti sono stati confrontati con i dati di trasporto solido ottenuti per misura diretta riportati in letteratura. In particolare, si è tenuto conto dei seguenti risultati, ritenuti più significativi come termini di paragone e verifica delle stime tramite equazioni di trasporto solido, relativi agli studi precedenti (par.4.1). Cavazza, Pregliasco (1978): a) trasporto solido al fondo in ingresso al tratto prefociale = 57.800 m3/a; Cooperativa Mediterranea Prospezioni (2000): b) trasporto solido al fondo a Piccatello = 713 m3/a; c) trasporto al fondo a S. Giustina = 4.319 m3/a. Tra le 5 equazioni impiegate per la capacità di trasporto solido al fondo (Schoklitsch, Meyer Peter & Muller, Smart & Jäggi, Parker, Shields), la formula che ha fornito i risultati più prossimi alle misure dirette è risultata essere la formula di Shields. Si riporta in Tabella 4.7 il confronto tra dati misurati e dati calcolati secondo la formula di Shields, mentre in Tabella 4.8 si evidenziano le differenze anche di ordini di grandezza delle stime tra le varie equazioni utilizzate, relativamente alle misure sperimentali a Piccatello e S.Giustina. Misure dirette a b c 57.800 m3/a 713 m3/a 4.319 m3/a Formula di Shields (1936) 29.251 m3/a 560 m3/a 4.065 m3/a Tabella 4.7 – Confronto tra dati misurati e calcolati secondo la formula di Shields. a) Ingresso tratto prefociale; b) Piccatello; c) S.Giustina. Stazioni di misura Piccatello (b) S.Giustina (c) Misure dirette (m3/a) 713 4.319 Schoklitsch (m3/a) 55.465 75.563 Parker (m3/a) 7.195 152.174 MPM (m3/a) 683.045 773.964 Shields (m3/a) 560 4.065 Tabella 4.8 - Confronto tra dati misurati a Piccatello e S.Giustina e valori calcolati secondo varie formule. L’equazione di Shields è stata pertanto adoperata per calcolare la capacità di trasporto di ciascun tratto: i risultati complessivi sono riportati in Tabella 4.9. Per il tratto m12, corrispondente al tronco prefociale del Fiume Magra, non è stata effettuata la stima del trasporto al fondo, in quanto in tale tratto i processi di trasporto solido sono influenzati dalla presenza del cuneo di intrusione marina, per cui non possono essere modellati utilizzando le formule classiche di letteratura. 75 Relazione Finale – Capitolo 4 tratto Capacità di trasporto Shields (m3/a) Fiume Magra m0 560 m1 1.013 T.Verde 1.237 m2 4.065 T.Gordana 210 m3 4.526 T.Caprio 293 m4 4.189 T.Bagnone 1.087 m5 3.046 m6 3.518 T.Taverone 4.231 m7 17.258 T.Aulella 3.176 m8 8.954 m9 14.832 m10 24.755 m11 29.250 Capacità tratto di trasporto Shields (m3/a) Fiume Vara v0 875 v1 1.450 T.Stora 2.299 v2 2.370 v3 151 T.Gottero 561 v4 (diga) 0 v5 3.675 v6 570 T.Mangia 306 v7 941 v8 1.304 v9 3.001 v10 4.138 T.Usurana 1.154 v11 2.713 v12 2.060 Tabella 4.9 – Riepilogo dei risultati delle stime della capacità di trasporto al fondo medio annuo. Dai risultati riportati in Tabella 4.9 si osserva come le massime capacità di trasporto si registrano nei tratti finali del Fiume Magra (m9, m10 ed m11), con valori che vanno da circa 15.000 a circa 30.000 m3/anno. Al contrario, si osserva piuttosto sorprendentemente come il Fiume Vara, anche nel suo tratto finale (v12) presenti una capacità di trasporto molto più bassa (circa 2.000 m3/anno, vale a dire tra il 7 ed il 13% di quella del Magra nel suo tratto finale). Ciò è da imputare ad una concomitanza di fattori (dimensioni sedimenti, portate liquide, pendenze), ma quello che sembra pesare di più sono le dimensioni granulometriche significativamente maggiori per il F.Vara (46.1 mm) rispetto a quelle del F.Magra nei tratti finali (comprese tra 17 e 24 mm circa) (Tab.4.6). 4.4.4 Trasporto solido in sospensione e totale Il calcolo del trasporto solido in sospensione presenta problemi e margini di incertezza ancor più grandi di quelli relativi al trasporto solido al fondo data l’estrema complessità del fenomeno. La portata solida Q ss trasportata in sospensione attraverso una sezione Ω è data da: Q ss = ∫ c u d Ω = b q ss Ω dove c è la concentrazione volumetrica media nella sezione, u è la velocità della corrente, b è la larghezza della sezione e q ss la portata solida in sospensione per unità di larghezza. Quest’ultima può essere espressa da: Y q ss = ∫ c( y ) u ( y ) dy a con Y profondità della corrente e a quota di riferimento a cui corrisponde la concentrazione di riferimento c r . 76 Relazione Finale – Capitolo 4 La portata in sospensione dipende quindi dalla distribuzione della concentrazione c( y ) , determinata da Rouse nel 1937 imponendo l’equilibrio tra la portata diretta verso il basso, associata alla velocità di sedimentazione, e quella mediamente rivolta verso l’alto, associata alle fluttuazioni turbolente della velocità. L’espressione a cui si perviene è: Z ⎛Y − y a ⎞ c = c r ⎜⎜ ⎟⎟ ⎝ y Y −a⎠ dove Z è detto numero di Rouse ed è dato da: W Z= s k u* con k = 0.4 costante di V. Karman, u * velocità di attrito e W s velocità di caduta. La portata solida in sospensione per unità di larghezza è quindi data dall’espressione: ⎡ ⎤ ⎛ 30Y ⎞ q ss = 11.6 c r u* a ⎢ I 1 ln⎜ ⎟ + I2 ⎥ ⎝ ε ⎠ ⎣ ⎦ dove ε è la scabrezza assoluta della parete e I 1 e I 2 sono coefficienti dipendenti da Z e da a / Y riportati in appositi grafici. Per determinare i valori di a e di c r si ricorre a metodi empirici, tra i quali vengono indicati come più affidabili i seguenti: -metodo di Smith & Mc-Lean: ⎛ θ ⎞ 0.0024 ⎜⎜ − 1⎟⎟ ⎝ θ cr ⎠ c r = 0.65 ⎛ θ ⎞ 1 + 0.0024 ⎜⎜ − 1⎟⎟ ⎝ θ cr ⎠ a = 26.3 (θ − θ cr )D + ε -metodo di Van Rijn: ⎧0.01Y a=⎨ ⎩ε e seε e < 0.01Y seε e ≥ 0.01Y 1.5 ⎞ D⎛ θ − 0.2 c r = 0.015 ⎜⎜ − 1⎟⎟ R p a ⎝ θ cr ⎠ ε e = 3 D90 nel caso di fondo piano -metodo di Garcia & Parker: a = 0.05Y 5 A Zu cr = A ⎛ 5⎞ Zu ⎟ ⎜1 + 0 .3 ⎝ ⎠ u * ' 0.6 Rp Ws il diametro D utilizzato è il D50 della curva granulometrica a cui sono state sottratte le frazioni più grossolane non trasportate in sospensione. con A = 1.3 × 10 −7 e Z u = Ai fini dello studio del trasporto solido in sospensione del F.Magra, sono stati analizzati i dati pubblicati sugli Annali Idrologici dal Servizio Idrografico di Genova e quelli riportati nello studio 77 Relazione Finale – Capitolo 4 realizzato dalla Cooperativa Mediterranea Prospezioni (2000). I dati pubblicati sugli Annali Idrologici si riferiscono alla portata torbida media mensile misurata a Calamazza dal 1957 al 1971 (Figura 4.1). I dati riportati nello studio della Cooperativa Mediterranea Prospezioni, invece, si riferiscono a misure di portata torbida giornaliera alle stazioni di Piccatello, S. Giustina e Calamazza. Il metodo di misura utilizzato consiste nel prelievo di diversi campioni d’acqua in più verticali ed a diverse profondità, in corrispondenza di condizioni idrauliche prestabilite: durante la fase crescente e discendente della piena, dopo l’evento di piena ed in assenza di precipitazioni. I campioni così raccolti sono stati poi filtrati, in modo da eliminare la componente in soluzione, essiccati e pesati, in modo da ottenere la torbidità espressa in g/l. 25000 portate solide (Kg/s) 20000 15000 2,1589 y = 0,0004x 2 R = 0,8454 10000 5000 1,784 y = 0,0008x 2 R = 0,6539 0 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 4000 3 Portate liquide (m /s) Figura 4.15 – Correlazione tra portate liquide e portate solide in sospensione misurate presso la stazione di Calamazza (Cooperativa Mediterranea Prospezioni, 2000). 14000 3 Portate solide (m /a) 12000 10000 8000 6000 4000 2000 855 1433 480 356 243 191 162 143 125 112 95 103 87 65 52 43 36 31 26 23 20 17 15 13 11 8 10 7 6 4 0 3 Portate liquide (m /s) Figura 4.16 – Portate solide in sospensione medie annue per classi di portate liquide per la stazione di Calamazza. Le misure di portata torbida eseguite nell’ambito dello studio della Cooperativa Mediterranea Prospezioni (2000) sono state utilizzate per verificare le stime di portata solida in sospensione 78 Relazione Finale – Capitolo 4 attraverso l’applicazione dei tre metodi empirici per il calcolo dei coefficienti numerici relativi alla soluzione di Rouse. E’ stato verificato che nessuno dei tre metodi permette di approssimare in modo soddisfacente attraverso la soluzione di Rouse i dati misurati. Questo non ha consentito quindi di stimare la portata in sospensione attraverso la soluzione di Rouse per i vari tratti dei due corsi d’acqua in esame. Si è pertanto deciso di effettuare una stima della portata in sospensione media annua solo relativamente alla stazione di Calamazza, basandosi esclusivamente sui dati misurati dalla Cooperativa Mediterranea Prospezioni (2000). Le misure di portata torbida sono state messe in relazione con le portate liquide relative al momento dei prelievi: sono state ricavate due regressioni di potenza, per portate inferiori e superiori a Q=300 m3/s rispettivamente (Figura 4.15). Successivamente, è stata utilizzata la curva di durata delle portate precedentemente ricavata per Calamazza e sono state quindi moltiplicate le portate in sospensione relative ai vari intervalli di portata, secondo le regressioni di potenza, per la relativa durata delle portate liquide. Dal grafico che se ne ricava (Figura 4.16), si osserva che il contributo solido in sospensione parte da valori di portate liquide di circa 11 m3/s e diventa molto significativo nell’intervallo di portate liquide comprese tra 356 e 1433 m3/s, con un valore massimo in corrispondenza della classe di portate di 480 m3/s. Da tale analisi risulta che il valore di trasporto solido in sospensione totale medio annuo del F.Magra alla stazione di Calamazza è di circa 40.814 m3. Tale analisi, seppure limitata ad un’unica stazione del F.Magra (tuttavia particolarmente significativa), è risultata di particolare interesse per valutare i rapporti tra trasporto solido al fondo ed in sospensione e per stimare la portata solida totale media annua in tale sezione. In Figura 4.17 si riporta il confronto tra portata solida al fondo, stimata precedentemente attraverso l’equazione di Shields, e portata solida in sospensione. Si nota come la portata solida in sospensione è sempre significativamente superiore rispetto a quella al fondo, e tale differenza diventa particolarmente marcata soprattutto per portate liquide maggiori di tra 356 m3/s. Il trasporto solido al fondo totale medio annuo a Calamazza risulta stimato in circa 23.727 t che, sommato a quello totale annuo in sospensione (circa 108.157 t), risulta in un trasporto solido totale medio annuo complessivo di circa 131.884 t. Il trasporto solido al fondo, secondo tali stime, risulterebbe rappresentare circa il 18% del trasporto solido totale, dato molto in accordo con altri alvei ghiaiosi di simili caratteristiche (Hicks et al., 2004; Liebault, com.pers.; Surian & Cisotto, 2007). 35000 Portate solide (t/a) 30000 trasporto al fondo Shieldsr 25000 trasporto in sospensione Serie2 20000 15000 10000 5000 855 1433 480 356 243 191 162 143 125 112 103 94,9 87,4 65,4 51,8 43,2 36,3 30,9 26,4 23,1 19,8 17,4 13 14,8 11,5 9,65 8,33 7,01 3,5 5,85 0 3 Portate liquide (m /s) Figura 4.17 – Confronto tra portate solide al fondo ed in sospensione per il F.Magra a Calamazza. In particolare, si sottolinea come non esistano in letteratura molti dati misurati di confronto per alvei fluviali di dimensioni e caratteristiche simili a quelle del F.Magra. Tra i pochi lavori in cui 79 Relazione Finale – Capitolo 4 esistano delle stime o misure dei vari tipi di trasporto solido, è sembrato utile fare riferimento a titolo di confronto al recente lavoro di Surian & Cisotto (in stampa) riferito al Fiume Brenta, essendo tale corso d’acqua di caratteristiche paragonabili a quelle del F.Magra. Il F.Brenta è un alveo ghiaioso a morfologia inizialmente a canali intrecciati ed attualmente di tipo transizionale (wandering), il bacino totale è di 1567 km2, per cui il tratto intermedio, a cui si riferisce il confronto, ha un bacino sotteso confrontabile con quello del Magra a Calamazza (932 km2). Le valutazioni del trasporto solido del F.Brenta derivano in parte da misure ed in parte dall’applicazione del metodo geomorfologico, cioè sulla base della quantificazione delle variazioni di volume dell’alveo in un certo intervallo di tempo tramite confronto di sezioni trasversali. I risultati di tale confronto sono riportati in Tabella 4.10: si denota come i risultati siano molto confrontabili, sia per quanto riguarda le frazioni di trasporto solido (al fondo ed in sospensione) che per quanto riguarda la percentuale del trasporto al fondo rispetto a quello totale, che risulta per il Brenta compreso tra il 13 ed il 24 %. Trasporto solido Ts fondo (m3/anno) Ts sospensione (m3/anno) Ts totale (m3/anno) Ts fondo / Ts totale F.Magra a Calamazza 8.954 40.814 49.768 18 % F.Brenta (tratto intermedio) 5.600 - 12.200 37.000 42.600 - 49.200 13 – 24 % Tabella 4.10 – Confronto tra le stime di trasporto solido del F.Magra e del F.Brenta. Per quanto riguarda il trasporto in sospensione, esistono più dati disponibili in letteratura rispetto al trasporto solido al fondo, esistendo per molti fiumi le misure di trasporto torbido effettuate dal Servizio Idrografico, almeno in alcuni intervalli di tempo. A titolo di esempio, si fa riferimento ai valori del deflusso torbido unitario medio annuo relativi al F.Po ed al F.Tevere, confrontandoli con quello relativo al F.Magra a Calamazza secondo le misure effettuate dalla Cooperativa Mediterranea Prospezioni (2000): - Fiume Po: 260 t/km2 anno - Fiume Tevere: 470 t/km2 anno - Fiume Magra: 116 t/km2 anno Il valore più alto, relativo al F.Tevere, è spiegabile con la predominanza di rocce più erodibili nel bacino. Il F.Magra presenta invece il valore più basso tra i tre casi riportati, probabilmente per la percentuale relativamente elevata di copertura vegetale (boschi) all’interno del bacino. Il trasporto solido totale è rappresentato dalla somma del trasporto solido al fondo e del trasporto in sospensione. Si ricorda che quest’ultimo comprende sia la sospensione di materiale presente sul fondo (trasporto in sospensione in s.s.) che la componente di wash-load, costituita di materiale fine non presente in quantità significativa nel materiale del letto e, soprattutto, non direttamente correlabile con le caratteristiche idrauliche della corrente. I criteri di stima del trasporto totale si basano essenzialmente su esperienze di laboratorio, ove la componente di washload è assente. Pertanto, le stime che si riportano di seguito si riferiscono al trasporto solido totale del materiale del letto (bed-material load) e non includono quindi il wash-load. E’ stata nuovamente utilizzata la sezione del F.Magra a Calamazza, per la quale erano noti il trasporto al fondo ed il trasporto in sospensione totale (quindi comprendente la frazione di washload) sulla base delle stime precedentemente descritte, come sezione di verifica delle formule di trasporto solido totale del materiale del letto. A tal fine, sono state utilizzate sei equazioni più comunemente usate in letteratura, elencate di seguito: - Bagnold (1966) - Engelund & Hansen (1967) - Ackers & White (1973) - Brownlie (1981) 80 Relazione Finale – Capitolo 4 - Yang (1984) Ackers & White (1990) I risultati, riepilogati in Tabella 4.11, differiscono tra loro anche di alcuni ordini di grandezza. Bagnold (1966) (m3/anno) 1.157.137.834 Engelund & Hansen (1967) (m3/anno) 6,43 1011 Ackers & White (1973) (m3/anno) 28.275 Brownlie (1981) (m3/anno) 2.036.673 Yang (1984) (m3/anno) 41.052 Ackers & White (1990) (m3/anno) 29.713 Tabella 4.11 – Stime del trasporto solido totale del materiale del letto per il F.Magra a Calamazza. Sulla base di tali stime, si noti che la formula di Yang (1984) fornisce un risultato (41.052 m /anno) che più si avvicina al trasporto solido totale stimato precedentemente per la stessa sezione di Calamazza in 49.768 m3/anno, valore che comprende anche la frazione di wash-load e quindi appare pienamente coerente con la stima ottenuta in base alla formula di Yang (la quale invece non comprende tale componente). Successivamente, si è ritenuto comunque utile applicare tutte le formule utilizzate per la sezione di Calamazza anche ad altri quattro tratti scelti come rappresentativi del F.Magra e del F.Vara, vale a dire: - tratti m3 ed m4, rappresentativi del trasporto solido nella Piana di Filattiera; - tratto v2, rappresentativo dell’alto Vara (a monte della diga di S.Margherita) - tratto v12, rappresentativo del basso Vara (prina della confluenza nel F.Magra). 3 I risultati ricavati dalle varie equazioni di trasporto totale di materiale del letto sono stati confrontati con quelli relativi al solo trasporto solido al fondo precedentemente ottenuti attraverso l’equazione di Shields: in particolare, si è verificato che il trasporto totale del materiale del letto fosse sempre maggiore del trasporto al fondo precedentemente stimato. Sulla base dei risultati ottenuti, la formula di Yang ha confermato, anche per gli altri tratti, di risultare quella più attendibile. E’ opportuno a questo punto riportare la formula di Yang (1984), la quale restituisce la concentrazione della portata solida in parti per milione (ppm). L’equazione adimensionale derivata da Yang (1984) per fiumi ghiaiosi è: ωD50 ωD50 V ⎡ V ⎤ ⎛ VS Vcr S ⎞ − 4.816 log * + ⎢2.784 − 0.305 log − 0.282 log * ⎥ log⎜ − log C = 6.681 − 0.633 log ⎟ ν ω ⎣ ν ω⎦ ⎝ ω ω ⎠ nella quale la velocità critica adimensionale di moto incipiente può essere espressa come: VD 2.5 ⎧ + 0.66 per 1.2 < * 50 ≤ 70 ⎪ VD ν Vcr ⎪ log * 50 − 0.06 =⎨ ν ω ⎪ VD ⎪2.05 per 70 ≤ * 50 ν ⎩ dove: C = concentrazione della portata solida, in parti per milione del peso ω = velocità media di caduta dei grani di diametro D50 [m/s] D50 = diametro medio [m] υ = viscosità cinematica [m2/s] V* = velocità d’attrito [m/s] V = velocità media [m/s] S = pendenza della linea dell’energia [m/m] Vcr = velocità critica di moto incipiente [m/s] Si riportano in Tabella 4.12 i risultati ottenuti dalla formula di Yang per i tratti rappresentativi selezionati, confrontando il trasporto solido totale del materiale del letto con il trasporto al fondo 81 Relazione Finale – Capitolo 4 (ottenuto precedentemente attraverso la formula di Shields) e, per differenza, il trasporto in sospensione s.s. (escluso la frazione di wash load). Nell’ultima colonna si riporta infine la percentuale del trasporto solido al fondo rispetto al trasporto totale del materiale del letto secondo tali stime. Tratto Trasporto solido totale del materiale del letto (m3/anno) Trasporto solido al fondo (m3/anno) Trasporto solido in sospensione (m3/anno) m3 m4 m8 (Calamazza) v2 v12 50.655 178.492 41.052 3.245 32.004 4.526 4.189 8.954 2.370 2.060 46.129 174.303 32.098 875 29.944 % Trasporto al fondo rispetto al totale del materiale del letto 9 2 22 73 6 Tabella 4.12 – Stime del trasporto solido totale del materiale del letto e confronti con il trasporto solido al fondo per alcuni tratti rappresentativi del F.Magra e F.Vara. Dai risultati esposti in Tab.4.12 si possono fare le seguenti considerazioni: - per il tratto v2 (alto Vara) la formula di Yang con molta probabilità sottostima significativamente il trasporto totale del materiale del letto (ciò è dovuto presumibilmente alle pendenze ed alle dimensioni dei sedimenti elevate rispetto al campo tipico di applicazione dell’equazione di Yang), in quanto secondo tale stima il trasporto al fondo risulterebbe il 73% del trasporto totale; - nella Piana di Filattiera si registrano i valori più elevati di trasporto totale del materiale del fondo, soprattutto nel tratto m4; - il trasporto totale del materiale del letto del F.Vara nel suo tratto finale è confrontabile con quello del Magra, a differenza del trasporto al fondo che, per il Vara, è notevolmente più basso. 4.5 BILANCIO DI SEDIMENTI E’ stato effettuato un bilancio di sedimenti per ognuno dei sottotratti in cui sono stati suddivisi i fiumi Magra e Vara. Tale bilancio è strettamente finalizzato ad integrare lo studio geomorfologico per l’interpretazione delle tendenze evolutive dei vari tratti e per la definizione delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti (trattata nel capitolo successivo). A tal fine, il bilancio di sedimenti riguarda il solo trasporto solido al fondo, essendo questa la frazione del trasporto totale che ha maggiore influenza sulle modifiche dell’alveo, sulle sue tendenze evolutive e sulla gestione dei sedimenti. 4.5.1 Bilancio di sedimenti al fondo medio annuo L’equazione di continuità al fondo dei sedimenti può essere scritta nella forma: ∂QS ∂z + (1 − e) ± QS = 0 B∂x ∂t dove Qs: portata solida al fondo, B: larghezza dell’alveo, x: distanza lungo l’alveo, z: quota del fondo, e: indice dei vuoti dei sedimenti, ±Qs: afflussi laterali di portata solida. In base a tale equazione ed alla quantificazione della capacità di trasporto, è possibile stimare la tendenza evolutiva della quota del fondo z . Si consideri il generico tratto i-esimo del corso d’acqua e si assuma che: - il tratto (i-1) , subito a monte del tratto in esame, riesca a saturare la sua capacità di trasporto, che quindi è uguale alla portata solida uscente; 82 Relazione Finale – Capitolo 4 - al tratto i giunga una quantità di sedimenti pari a quella in uscita dal tratto a monte e da eventuali affluenti (Figura 4.18). QS(i-1) QS(affluente) QS(i) Figura 4.18 – Schematizzazione del bilancio di sedimenti in un tratto i-esimo. tratto Bilancio di sedimenti (∆V in m3/a) m0 m1 m2 m3 m4 m5 m6 m7 m8 m9 m10 m11 0 -453 -1814 -252 631 2229 -472 -9510 11481 -5878 -9923 -2435 Bilancio per unità di lunghezza (∆V in m3/a m) 0 -0.19 -1.78 -0.07 0.09 0.64 -0.08 -5.17 7.76 -1.26 -2.29 -0.37 tratto Bilancio di sedimenti (∆V in m3/a) v0 v1 v2 v3 v4 (diga) v5 v6 v7 v8 v9 v10 v11 v12 0 1725 -920 2218 712 -3675 3104 -65 -364 -1697 -1137 2580 653 Bilancio per unità di lunghezza (∆V in m3/a m) 0 1.17 -0.18 0.59 0.49 -0.58 1.34 -0.03 -0.06 -0.98 -0.22 1.09 0.11 Tabella 4.13 – Riepilogo dei risultati del bilancio di sedimenti al fondo medio annuo in termini di variazioni di volume (m3). Utilizzando le stime di capacità di trasporto al fondo ottenute nel paragrafo precedente, è possibile pertanto calcolare il bilancio dei sedimenti per ogni tratto in cui è stato suddiviso il Fiume Magra ed il Fiume Vara. Per quanto riguarda gli affluenti, avendo a disposizione dati sedimentologici solo per i tratti terminali (subito a monte della confluenza con le aste dei corsi d’acqua principali), è stata assunta l’ipotesi di apporto da monte pari alla capacità di trasporto. Essi sono stati cioè utilizzati solo per stimare l’apporto di portata solida al fondo nei due corsi d’acqua principali piuttosto che per fare un bilancio dell’affluente stesso (risultando quest’ultimo ovviamente nullo per l’ipotesi fatta, cioè il tratto terminale dell’affluente risulta in equilibrio). Lo stesso è stato fatto per i due tratti a monte dei fiumi Magra e Vara (m0 e v0), i quali risultano quindi in equilibrio. I risultati ottenuti sono riportati in Tabella 4.13. I volumi relativi al bilancio di ogni singolo tratto dipendono ovviamente dalla lunghezza del tratto, per cui non sono direttamente confrontabili tra loro per avere una valutazione dell’entità della tendenza all’erosione o alla sedimentazione. Pertanto è stato ricavato il bilancio anche in termini di volumi di sedimenti unitari (per unità di lunghezza), in modo da rendere i risultati meglio confrontabili tra i vari tratti (Tabella 4.13). 83 Relazione Finale – Capitolo 4 Come precedentemente detto, i risultati del bilancio di sedimenti possono essere confrontati ed integrati con i risultati dello studio geomorfologico in termini di interpretazione delle tendenze attuali, derivanti questi ultimi da evidenze di campo e da confronti di profili recenti (quando disponibili). Si ricorda a tal proposito che i dati del bilancio di sedimenti effettuato con equazioni di capacità di trasporto, date le numerose approssimazioni ed ipotesi semplificative, vanno interpretati non come risultati rigorosi della tendenza attuale dei corsi d’acqua, quanto piuttosto come una predisposizione di ogni tratto a condizioni di incisione o sedimentazione, sulla base delle sue caratteristiche idrauliche, morfologiche e sedimentologiche. In particolare, l’ipotesi più restrittiva è quella che la capacità di trasporto di ogni tratto venga saturata completamente, cioè che sia sempre disponibile alla mobilizzazione tutto il materiale che il corso d’acqua riesce a trasportare, ipotesi non sempre verificata. Inoltre, per poter rendere i risultati del bilancio di sedimenti più confrontabili e più funzionali alla definizione delle strategie di gestione, è risultata l’esigenza di definire una classe intermedia di equilibrio. Infatti, i risultati del bilancio forniscono dei volumi positivi o negativi quindi, a rigore, una tendenza all’erosione o alla sedimentazione rispettivamente, senza invece prevedere la possibilità di condizioni di equilibrio. Queste ultime sono ristrette al solo caso in cui il bilancio sia perfettamente nullo, cioè la portata solida uscente è pari a quella entrante, oppure ai tratti che rappresentano condizioni al contorno (tratti di monte del F.Magra e F.Vara ed affluenti) per i quali cioè la condizione di equilibrio è stata imposta (capacità di trasporto pari alla portata solida disponibile). Nelle interpretazioni di campo, invece, si sono classificate in equilibrio quelle situazioni in cui non esisteva una chiara tendenza all’incisione o alla sedimentazione, senza peraltro con questo voler dire che il tratto è necessariamente in perfetto equilibrio (bilancio di sedimenti in entrata ed in uscita nullo). Nella Carta di sintesi delle tendenze evolutive (Relazione Magra I) si è inoltre distinta una ulteriore classe intermedia, definita come in equilibrio/sedimentazione, attribuita ai casi in cui fossero presenti evidenze di entrambe le situazioni. Per definire la classe intermedia di equilibrio, si è fatto riferimento ai valori dei volumi di bilancio unitari e si sono a loro volta divisi per la larghezza media del tratto. Si sono quindi definite le seguenti classi intermedie: - equilibrio/incisione: rappresenta situazioni attribuibili ad una condizione generale prossima all’equilibrio seppure con un bilancio negativo, cioè con una lieve tendenza all’incisione; - equilibrio: situazioni al contorno (tratti di monte o affluenti) per le quali il bilancio è posto esattamente pari a zero; - equilibrio/sedimentazione: rappresenta situazioni attribuibili ad una condizione generale prossima all’equilibrio, seppure con un bilancio positivo, cioè con una lieve tendenza alla sedimentazione. 84 Relazione Finale – Capitolo 4 m0 m1 -453 m3/a -0.19 m3/a m T.Verde m2 m3 -1814 m3/a -1.78 m3/a m -252 m3/a -0.07 m3/a m T.Caprio m4 +631 m3/a +0.09 m3/a m T.Bagnone m5 + 2229 m3/a m6 -472 m3/a +0.64 m3/a m -0.08 m3/a m T.Taverone m7 -9510 m3/a -5.17 m3/a m T.Aulella m8 m9 +653 m3/a F. Vara +11481 m3/a +7.76 m3/a m -5878 m3/a -1.26 m3/a m m10 -9923 m3/a m11 -2435 m3/a +0.11 m3/a m -2.29 m3/a m -0.37 m3/a m Figura 4.19 – Risultati schematici del bilancio di sedimenti per il Fiume Magra e relativa classificazione. I numeri in grassetto relativi ad ogni tratto indicano il bilancio al fondo medio annuo (m3/a) mentre quelli in corsivo indicano il bilancio al fondo medio annuo per unità di lunghezza (m3/a m). In rosso: tratti con tendenza all’incisione; in arancio: tratti con tendenza all’equilibrio/incisione; in giallo: tratti al contorno per i quali si è imposta una condizione di equilibrio (bilancio pari a 0); in verde chiaro: tratti con tendenza all’equilibrio/sedimentazione; in verde scuro: tratti con tendenza alla sedimentazione. 85 Relazione Finale – Capitolo 4 v0 v1 +1725 m3/a +1.17 m3/a m T.Stora v2 v3 3 -920 m /a -0.18 m3/a m +2218 m3/a +0.59 m3/a m T.Gottero v4 +712 m3/a +0.49 m3/a m Diga S.Margherita v5 v6 -3675 m3/a -0.58 m3/a m +3104 m3/a +1.34 m3/a m T.Mangia 3 v7 -65 m /a v8 -364 m3/a v9 v10 -0.03 m3/a m -0.06 m3/a m -1697 m3/a -0.98 m3/a m -1137 m3/a -0.22 m3/a m T.Usurana v11 v12 +2580 m3/a +1.09m3/a m +653 m3/a +0.11 m3/a m Figura 4.20 – Risultati schematici del bilancio di sedimenti per il Fiume Vara e relativa classificazione. I numeri in grassetto relativi ad ogni tratto indicano il bilancio al fondo medio annuo (m3/a) mentre quelli in corsivo indicano il bilancio al fondo medio annuo per unità di lunghezza (m3/a m). In rosso: tratti con tendenza all’incisione; in arancio: tratti con tendenza all’equilibrio/incisione; in giallo: tratti al contorno per i quali si è imposta una condizione di equilibrio (bilancio pari a 0); in verde chiaro: tratti con tendenza all’equilibrio/sedimentazione; in verde scuro: tratti con tendenza alla sedimentazione. 86 Relazione Finale – Capitolo 4 In Figura 4.19 e 4.20 si riporta il bilancio schematico in termini di volumi di sedimenti unitari (per unità di lunghezza) rispettivamente per il Fiume Magra e Fiume Vara, con la suddivisione in classi di incisione, equilibrio/incisione, equilibrio, equilibrio/sedimentazione e sedimentazione. In Figura 4.21 si riporta la classificazione nelle tre macroclassi (incisione, equilibrio e sedimentazione) con la rappresentazione dell’andamento dei corsi d’acqua e degli affluenti inclusi nel bilancio in termini di apporto solido e con riportato, per ogni tratto, il valore del bilancio medio annuo complessivo. m0 v4 v5 C T. rio ap a agr F.M v3 m3 m4 te ro v2 T.Mangia v1 m1 m2 T.G ot v0 rde T.Stora T.V e v8 v7 F.V ara v9 m5 T.U su r ana v6 T.Bagnone v10 m6 ne vero T.Ta m7 v11 m8 m9 u T.A lell a v12 Bilancio di sedimenti m10 m11 S E/S E E/I I Figura 4.21 – Risultati del bilancio di sedimenti. S: in sedimentazione; E/S: in equilibrio/sedimentazione; E: in equilibrio; E/I: in equilibrio/incisione; I: in incisione. E’ utile a questo punto fare alcune considerazioni di carattere generale sulle tendenze evolutive derivanti dal bilancio di sedimenti, soprattutto confrontandole con quanto ricavato precedentemente sulla base di evidenze geomorfologiche di campo. A tal fine si riporta in Figura 4.22 la classificazione delle tendenze evolutive così come ricavate sulla base dello studio geomorfologico (da Relazione Magra I). Sulla base di tali evidenze, si ricorda che ad entrambi i fiumi erano state attribuite prevalentemente le classi equilibrio, equilibrio/sedimentazione e sedimentazione, essendo invece la classe incisione presente solo nel tratto terminale prefociale, in parte a causa dei periodici dragaggi effettuati in quel tratto. Dai risultati del bilancio di sedimenti (Figura 4.21) si nota che molti tratti sono attribuiti alle classi intermedie di equilibrio/incisione o equilibrio/sedimentazione, mentre i tratti con una marcata predisposizione all’incisione o alla sedimentazione sono relativamente limitati. Essi possono essere così riepilogati: 87 Relazione Finale – Capitolo 4 - Alcuni tratti del medio-alto Vara risultano con tendenza alla sedimentazione, in particolare i tratti immediatamente a monte delle confluenze del T.Stora (v1), del T.Gottero (v3) e del T.Mangia (v6). Per tali tratti si ha un sostanziale accordo con le evidenze di campo. - Il tratto a valle della diga di S.Margherita Vara, secondo il bilancio di sedimenti, risulta con una netta tendenza all’incisione. Questo è facilmente spiegabile in quanto nel bilancio di sedimenti si impone che la capacità di trasporto nel tratto immediatamente a monte della diga è nulla, che equivale a dire che tutto il trasporto solido al fondo è bloccato dalla stessa, per cui il tratto immediatamente a valle si viene a trovare in condizioni di deficit. Dalle evidenze di campo, si erano osservate condizioni di sedimentazione anche a valle della diga, e ciò era stato attribuito all’elevata produzione di sedimenti dai versanti e da una forte alimentazione diretta, capace di ripristinare velocemente il deficit creatosi a valle della diga stessa (fattori di cui non è possibile tenere conto nel bilancio di sedimenti). - Per il medio-alto Magra, si osservano condizioni molto prossime all’equilibrio, seppure con una prevalente tendenza verso l’incisione. In particolare per il tratto immediatamente a valle di Pontremoli (m2) risulta una netta tendenza all’incisione (in disaccordo con le evidenze di campo). Figura 4.22 - Tendenza recente delle quote del fondo del F.Magra e F.Vara sulla base delle variazioni tra il 1989 e 2004 (da Relazione Magra I). S: in sedimentazione; E/S: in equilibrio/sedimentazione; E: in equilibrio; I: in incisione. - Per il basso Magra: si nota una marcata tendenza alla sedimentazione nel tratto immediatamente a valle della confluenza del T.Aulella (m8), come risultato della consistente alimentazione dello stesso, mentre i tratti successivi fino alla confluenza Vara (m9 ed m10) denotano una netta tendenza all’incisione, come risultato di un notevole incremento della capacità di trasporto. Questo risulta essere un significativo tratto con una predisposizione naturale all’incisione. 88 Relazione Finale – Capitolo 4 - A valle della confluenza con il F.Vara (m11), rimane una condizione di deficit, derivante dal bilancio negativo del tratto immediatamente a monte ma quasi completamente bilanciato dall’apporto del Vara: la tendenza complessiva risulta pertanto prossima all’equilibrio. E’ il caso di rimarcare che entrambi i metodi, le evidenze geomorfologiche di campo ed il bilancio di sedimenti basato su equazioni di trasporto solido, presentano alcuni vantaggi e limiti, e che le incongruenze tra i risultati possono essere attribuite a numerosi fattori. Ad esempio, il bilancio di sedimenti finora effettuato non tiene conto del possibile apporto dalle sponde (aspetto trattato nel prossimo paragrafo), fattore questo che potrebbe aver sbilanciato i risultati verso situazioni di deficit rispetto alle condizioni reali. L’approccio migliore per l’utilizzazione di questi risultati ai fini della gestione dei sedimenti è di tener conto di entrambi i metodi, come viene fatto nel capitolo successivo. 4.5.2 Bilancio di sedimenti con apporto dalle sponde Come anticipato a conclusione del precedente paragrafo, il bilancio di sedimenti finora effettuato non ha tenuto conto del possibile apporto laterale da parte delle sponde. Si è voluto quindi introdurre questo aspetto, seppure in maniera relativamente semplificata, per verificare quanto le sponde potrebbero influire sulle tendenze evolutive dei due corsi d’acqua in esame. Pertanto per ogni tratto è stato incluso all’interno del bilancio un apporto laterale da parte delle sponde (termine +Qs) derivante dall’arretramento delle sponde procedendo come segue: (1) per il tasso di arretramento di sponda medio annuo all’interno di ogni tratto, è stato fatto riferimento ai valori utilizzati per definire la fascia di erosione probabile a medio termine (si veda par.5.3), i quali sono dei valori mediati nel tratto che derivano dalle tendenze evolutive in atto di allargamento misurate da foto aeree; (2) per ogni tratto sono state utilizzate misure di campo relative all’altezza media delle sponde ed allo spessore del materiale grossolano all’interno delle stesse; (3) è stato pertanto calcolato il volume apportato dalle sponde moltiplicando il tasso di arretramento nel tratto per lo spessore del materiale grossolano (è stato assunto che solo i sedimenti grossolani, peraltro nettamente prevalenti, andassero ad alimentare il trasporto al fondo, mentre il materiale fine coesivo va ad alimentare il trasporto in sospensione). (4) Si è tenuto conto della porosità (0.35 in base a misure effettuate su sponde con granulometrie simili), pertanto si sono moltiplicati i precedenti valori per un fattore di correzione di 0.65, in modo da ricavare il volume di sedimenti immessi dalle sponde e disponibili per il trasporto solido al fondo. I risultati di questa analisi sono riepilogati in Tabella 4.14, in termini di bilancio di sedimenti per ogni tratto. Si evince immediatamente da tali risultati che tutti i tratti, includendo l’apporto delle sponde, risulterebbero in sedimentazione, con volumi di eccesso di sedimenti anche molto significativi in alcuni tratti (si veda ad esempio i tratti m3 ed m4 relativi alla Piana di Filattiera ed il tratto m6 più a valle, dove i tassi di arretramento di sponda sono particolarmente elevati). Sulla base di tali risultati, si possono fare le seguenti considerazioni: (1) I risultati rappresentano una sovrastima dell’effettivo apporto delle sponde, in quanto si assume che tutte le sponde, in tutti i tratti, continuino ad arretrare annualmente secondo un tasso di arretramento basato sull’allargamento di questi ultimi anni. Tale tasso è stato assunto per una determinazione cautelativa della fascia di erosione probabile, ma non è invece plausibile per una quantificazione dei processi attuali. (2) In tutti i casi, anche ammettendo plausibili tali valori, non esiste un rapporto diretto tra apporti volumetrici dalle sponde ed innalzamento della quota del fondo. La maggior parte dei volumi derivanti dall’erosione delle sponde tende a rimanere immagazzinata lungo le fasce laterali dell’alveo, sotto forma di barre alte o ricostituendo una nuova piana inondabile, mentre solo una porzione entra effettivamente nel bilancio di sedimenti medio annuo che interessa la porzione più attiva dell’alveo (canale e barre attive). Il bilancio di sedimenti effettuato non è in 89 Relazione Finale – Capitolo 4 grado di tenere conto di questi aspetti, per i quali occorrerebbe applicare il metodo geomorfologico basato sulla quantificazione delle differenze di volume tra le varie superfici in base a foto aeree e rilievi topografici. Occorre inoltre notare che l’arretramento delle sponde, anche se ha l’effetto di produrre sedimentazione, determina nella maggior parte dei casi un aumento della sezione bagnata (per allargamento della stessa). (3) Fatte le precedenti precisazioni, il risultato comunque dimostra l’importanza che le sponde assumono come processo di alimentazione del trasporto solido al fondo e come processo che favorisce condizioni di sedimentazione. (4) I due bilanci di sedimenti effettuati possono rappresentare i due limiti (senza alcun apporto dalle sponde e con il massimo apporto possibile) di un range di situazioni all’interno del quale può trovarsi la situazione reale, in funzione dell’effettiva alimentazione o meno da parte delle sponde tratto per tratto. (5) Seppure i risultati del bilancio di sedimenti con l’apporto delle sponde appaiono significativi per le considerazioni finora fatte, ai fini della gestione della definizione di strategie di indirizzo per la gestione di sedimenti (capitolo successivo) si ritiene più opportuno far riferimento ai risultati del bilancio senza l’apporto delle sponde che, come detto al punto (2), si ritiene più rappresentativo delle condizioni della porzione più attiva dell’alveo (canale e barre attive) e quindi delle tendenze evolutive della quota del fondo. Ciò si ritiene anche più cautelativo ai fini della gestione dei sedimenti, in quanto l’inclusione dell’apporto delle sponde potrebbe indicare dei volumi di sedimenti maggiori di quelli effettivamente disponibili, fornendo in tutti i tratti una percezione di sedimentazione del fondo erronea (per i motivi prima spiegati). Bilancio di sedimenti (∆V in m3/a) Fiume Magra m0 0 m1 3.323 m2 123 m3 61.387 m4 170.683 m5 20.577 m6 89.602 m7 18.385 m8 15.603 m9 30.294 m10 32.915 m11 33.197 Tratto Bilancio di sedimenti (∆V in m3/a) Fiume Vara v0 0 v1 16.595 v2 17.684 v3 5.942 v4 (diga) 712 v5 20.725 v6 9.970 v7 9.876 v8 34.164 v9 1.857 v10 26.224 v11 10.186 v12 46.238 Tratto Tabella 4.14 - Risultati del bilancio di sedimenti ottenuto considerando l’apporto delle sponde. 90 Relazione Finale – Capitolo 5 CAPITOLO 5 –STRATEGIE E LINEE GUIDA DI GESTIONE DELLA FASCIA DI MOBILITA’ FUNZIONALE E DEI SEDIMENTI L’obiettivo generale di questa fase finale del progetto di ricerca è quello di definire strategie, linee guida, indirizzi e raccomandazioni per la gestione della fascia di mobilità funzionale e dei sedimenti, finalizzate a conservazione e/o miglioramento delle condizioni attuali degli alvei. E’ utile partire da una breve rassegna dei principali metodi, approcci e concetti (par.5.1), alcuni dei quali verranno poi ripresi ed applicati al caso in esame. Successivamente si fa un riepilogo delle problematiche geomorfologiche relative ai fiumi Magra e Vara e si definiscono gli obiettivi (par.5.2). Si illustrano poi i due principali prodotti cartografici finali di questo progetto (Fascia di Mobilità Funzionale e Gestione dei sedimenti), corredati dalla definizione di strategie, linee guida, indirizzi e raccomandazioni. Si conclude con un riepilogo delle principali strategie per la gestione dei sedimenti per i tre ambiti del bacino. 5.1 RIEQUILIBRIO SEDIMENTOLOGICO DI SISTEMI FLUVIALI INCISI Prima di entrare nei meriti delle proposte relative al bacino del Fiume Magra, è utile effettuare in questo paragrafo una sintetica rassegna delle possibili tipologie generali di interventi e strategie per il recupero sedimentologico di sistemi fluviali instabili, con particolare riferimento al caso, peraltro più comune, di sistemi incisi, vale a dire affetti da condizioni generali di deficit di sedimenti. 5.1.1 Tipologie di interventi di riequilibrio sedimentologico Una prima classificazione delle possibili opzioni di intervento può essere fatta in funzione della scala spaziale di applicazione. In tal senso, si possono distinguere principalmente quattro categorie di strategia di intervento (Shields et al., 1999): 1) misure a scala di bacino; 2) progetti a scala di tratto; 3) strutture localizzate; 4) nessun intervento. Nella Tabella 5.1 si riepilogano sinteticamente le implicazioni (costi, impatti e benefici ambientali) di ognuna delle quattro categorie. 1. Interventi e strategie a scala di bacino Il migliore approccio a problemi di incisione o sedimentazione è proprio quello di intervenire sulle cause a scala di bacino, andando cioè ad agire sulle variabili guida del sistema (portate liquide e solide) per cercare di riequilibrare il bilancio sedimentologico del corso d’acqua, piuttosto che intervenire sulla forma dell’alveo. Tuttavia ciò presuppone la realizzazione di interventi in genere complessi, estensivi e quindi costosi. Si distingue tra le due situazioni opposte di incisione e sedimentazione. Nel caso di alvei in incisione, per i quali sia accertato un deficit di sedimenti disponibili per il trasporto solido, le possibili misure di riequilibrio (tutte orientate ad un aumento del rifornimento di sedimenti in alveo) sono: - Aumento dell’apporto di sedimenti dai versanti. Si tratta di individuare le principali sorgenti di sedimenti (frane direttamente connesse con la rete idrografica, falde detritiche che immettono materiale direttamente nelle aste torrentizie), evitando interventi tali da ridurre l’apporto solido. In alcuni casi, compatibilmente con le situazioni di rischio, si può scegliere di non stabilizzare o addirittura di favorire la riattivazione di frane che alimentano direttamente i corsi d’acqua; interventi di questo tipo sono stati effettuati recentemente in corsi d’acqua prealpini in Francia (Liebault et al., 2001). 91 Relazione Finale – Capitolo 5 - Aumento dell’apporto di sedimenti dalle sponde. Le sponde costituiscono un’eccezionale riserva di sedimenti; i processi di arretramento delle stesse, favorendo l’alimentazione di sedimenti, sono perciò da considerare sicuramente positivi per il riequilibrio di alvei incisi o in incisione. Anche in questo caso, si può scegliere tra non intervenire, permettendo il naturale verificarsi di tali fenomeni, o favorire tali processi, attraverso la rimozione di difese esistenti fino alla realizzazione di strutture in alveo che favoriscano l’innesco dell’erosione di sponda. Strategie Costi Misure a scala di bacino Molto elevati, proibitivi per bacini grandi Progetti a scala di tratto Da moderati ad elevati Interventi localizzati Relativamente bassi Non intervenire Bassi, ma vanno considerati i costi per piano di gestione, monitoraggio ed eventuali interventi successivi Benefici ambientali Incertezze / Impatti ambientali Possono aggredire alla radice Allo stato attuale dell’arte non le cause di instabilità; sono generalmente disponibili potenzialmente efficaci, ma strumenti previsionali possono impiegare decadi per completi realizzarsi Potenzialmente molto elevati Qualche rischio di erosione o (creazione di habitat, stabilità) sedimentazione; possibili impatti nei tratti contigui non riqualificati Benefici ecologici limitati Il successo di strutture in poiché le misure sono locali alveo presenta incertezze da moderate ad alte Sono disponibili pochi Possono essere a breve termine per quanto concerne modelli di simulazione per prevedere accuratamente il la crescita di una fascia tipo ed i tassi di evoluzione vegetazionale, ma solo a più lungo termine per il recupero dell’alveo morfologico e lo sviluppo di habitat in alveo Tabella 5.1 – Strategie di intervento, costi, benefici e impatti ambientali (da AaVv, 2006, modificato da Shields et al., 1999). - Reimmissione di sedimenti in alveo. Il caso estremo è quello di alimentare l’alveo immettendo sedimenti. Questi possono provenire esternamente dall’alveo (ad esempio da escavazioni nella pianura adiacente) o da altri tratti dell’alveo stesso dove il problema può essere opposto (alvei in sedimentazione), in particolare a monte di sbarramenti. Un esempio relativo a quest’ultimo caso è quello del Fiume Reno dove, a valle di una diga, vengono trasportati e scaricati una media annua di 170.000 tonnellate di sabbia e ghiaia per compensare i sedimenti bloccati a monte della stessa (Bravard et al., 1999). In questa categoria possono rientrare anche gli interventi di manutenzione o rimozione di opere in alveo, quali: a) asportazione di sedimenti accumulatisi a monte di opere (briglie o dighe) e reimmissione degli stessi a valle; b) rimozione di briglie o dighe (dam removal), tipo di intervento che sta diventando sempre più diffuso negli USA. In Francia, gli RTM (Restoration of Mountain Terrains) (corrispondenti alle nostre Comunità Montane) nel bacino del Rodano, che durante i decenni passati hanno attuato rimboschimenti montani e costruito briglie per ridurre la pendenza dei torrenti e stabilizzarne le sponde, oggi si occupano di spostare la ghiaia a valle delle briglie, particolarmente nei tratti con un deficit di sedimenti e problemi connessi. In un invaso del Rodano superiore (Seyssel), che viene riempito da sedimenti grossolani trasportati dal Fiume Les Usses, la ghiaia è catturata da una pompa e trasportata a valle della diga attraverso una condotta per mantenere la continuità di sedimenti. Sul Fiume Reno a valle dello sbarramento di Iffezheim, per compensare l’intrappolamento di sedimenti a monte delle dighe, viene scaricata nell’alveo a valle una media annuale di 170.000 tonnellate di sabbia e ghiaia per mezzo di chiatte (Piegay & Rinaldi, 2006). Simili approcci sono stati sperimentati lungo il Danubio austriaco a valle di Vienna dopo la realizzazione della centrale idroelettrica Fredenau (circa 300.000 m3 di ghiaia per anno). Sul Fiume Rodano vicino Chautagne, la sabbia e la ghiaia depositati a monte di una diga 92 Relazione Finale – Capitolo 5 sono meccanicamente trasferiti al tratto inciso a valle della Diga Motz ad un costo annuo di 170.000 Euro (Piegay & Rinaldi, 2006). 2. Interventi a scala di tratto Si tratta di interventi che tendono direttamente a realizzare o a ricreare una morfologia più naturale di un corso d’acqua, agendo sulle forme e/o sui processi a scala di tratto di alveo piuttosto che sulle variabili guida del sistema. Sono in genere interventi drastici proponibili soprattutto in corsi d’acqua fortemente artificializzati, impossibilitati a riacquistare spontaneamente la loro morfologia naturale o nei quali, comunque, tale processo richiederebbe tempi molto lunghi, incompatibili con le esigenze di progetto (ad es. tratti a bassa energia). Sono meno adatti invece a corsi d’acqua geomorfologicamente attivi, in quanto la nuova geometria realizzata potrebbe innescare fenomeni di instabilità, o semplicemente il ritorno spontaneo alla configurazione iniziale, vanificando gli sforzi intrapresi. Si possono includere in questa categoria anche gli interventi che comportano un rimodellamento o una ricreazione di superfici o altre forme (ad es. ricreazione di pianura inondabile o di rami secondari) nelle adiacenze del corso d’acqua, senza necessariamente modificare la geometria dell’alveo stesso. Il termine “progettazione geomorfologica di alvei” è usato in maniera specifica per questo tipo di interventi. Tra i tipi di interventi rientranti in questa categoria dei quali sono riportati casi in letteratura (ad es. Brookes, 1988; Brookes & Shields, 1996.), si possono citare i seguenti: - Geometria non uniforme dell’alveo. Si tratta di ricreare una morfologia quanto più possibile vicina a quella naturale, con una geometria non uniforme (sia in sezione che in planimetria). - Geometria della sezione a due stadi, con ricreazione di piana inondabile. Consiste nel creare (o ricreare) una sezione composta da un alveo a due livelli: un primo stadio (livello inferiore) per accogliere le portate abituali e le piene più frequenti (con tempo di ritorno 2-3 anni) ed un secondo stadio adiacente (livello superiore) destinato ad accogliere le piene maggiori. In pratica si cerca di ricreare una porzione di pianura inondabile (floodplain) adiacente all’alveo di primo stadio (bankfull channel). - Riempimento di un alveo inciso. In alternativa (o in associazione) all’intervento precedente, gli effetti dell’incisione possono essere controbilanciati riempiendo l’alveo inciso con sedimenti (incised channel filling) e scavando all’interno un alveo più piccolo con dimensioni e morfologia simili a quelle precedenti l’incisione. - Realizzazione o ricreazione di canali secondari. Soprattutto nel caso di alvei incisi, alcuni canali secondari possono venire completamente abbandonati o percorsi dall’acqua con frequenze molto inferiori, comportando la perdita di funzionalità di questi importanti habitat; lo scavo di alvei secondari è mirato a recuperarla. - Variazioni delle dimensioni della sezione: allargamento dell’alveo. Sono possibili vari tipi di variazioni delle dimensioni della sezione (larghezza e/o profondità), tuttavia casi documentati che rientrano in questa categoria consistono prevalentemente in interventi di allargamento. Sono spesso realizzati in tratti precedentemente ristretti e canalizzati e che hanno subìto incisione. L’allargamento della sezione ha vari effetti: a) ridurre le tensioni tangenziali, quindi la capacità erosiva della corrente; b) favorire condizioni di sedimentazione (in corsi d’acqua incisi); c) aumentare l’area della sezione e quindi la portata transitabile; d) favorire la formazione di barre, quindi la diversificazione di morfologie e di habitat. Esempi di questo tipo di intervento sono quelli relativi al Fiume Emme (Svizzera) ed al Fiume Drava (Austria). - Incremento della sinuosità e ricreazione di meandri. Sono usati principalmente nel caso di corsi d’acqua precedentemente meandriformi, successivamente rettificati. Le finalità sono quelle di recuperare la diversificazione di morfologie, quindi di habitat, tipica di corsi d’acqua meandriformi. 3. Interventi localizzati Questo gruppo comprende quegli interventi che non interferiscono in maniera sostanziale sulle attuali dimensioni dell’alveo, ma che consistono nell’inserimento di altri elementi (briglie, pennelli, 93 Relazione Finale – Capitolo 5 sedimenti, vegetazione) o nell’eliminazione di elementi esistenti, principalmente per migliorare habitat e/o condizioni di stabilità dell’alveo. In questa categoria possono rientrare: - Inserimento di strutture in alveo. Si tratta di varie tipologie di strutture utili per favorire la ricreazione di una varietà di forme, soprattutto allo scopo di miglioramento di habitat in corsi d’acqua uniformi (canalizzati) (deflettori di corrente, briglie in massi con o senza tronchi di legno ancorati, massi sparsi, cumuli di tronchi ancorati, ecc.). - Ricreazione di riffles e pools. Si basa sulla ricreazione diretta delle irregolarità morfologiche del fondo, principalmente attraverso reinserimento di sedimenti relativamente grossolani per ricostituire i riffles. - Ripristino di sedimenti del fondo. Si cerca di ricostituire le condizioni naturali del fondo reinserendo sedimenti in alvei precedentemente canalizzati. È un intervento inteso non tanto al riequilibrio sedimentologico, quanto a ricreare una granulometria del fondo favorevole al miglioramento di habitat. - Ingegneria naturalistica. Numerose tecniche di ingegneria naturalistica possono rientrare in questa categoria di interventi, soprattutto qualora la difesa di una sponda, pur non essendo compatibile con le tendenze evolutive del corso d’acqua, sia necessaria per proteggere importanti elementi a rischio. - Rimozione di opere di difesa. Nel caso in cui l’obiettivo sia permettere al corso d’acqua di divagare e aggiustare liberamente la propria larghezza, si possono rimuovere difese di sponda longitudinali o pennelli trasversali. 4. Non intervenire Si tratta di lasciare il corso d’acqua evolvere naturalmente (natural recovery). Bisogna sottolineare che ciò non coincide necessariamente con l’opzione “non fare niente” in senso stretto (“do nothing”), intesa come scelta rinunciataria di fronte alla impossibilità di risolvere i problemi, ma si tratta piuttosto di una scelta consapevole di “permettere gli aggiustamenti naturali del corso d’acqua” (“allowing natural adjustments”), derivante da una conoscenza accurata dei problemi e delle tendenze evolutive del corso d’acqua stesso. Ad esempio, tale scelta è perseguibile se un accurato studio geomorfologico ha messo in evidenza che la tendenza naturale del corso d’acqua è esattamente nella direzione di quello che è l’assetto desiderato, mentre non è percorribile se lo stesso studio ha messo in evidenza che il corso d’acqua è in una fase di instabilità. Tale opzione è inoltre perseguibile se i tempi necessari con il riequilibrio naturale del corso d’acqua sono compatibili con le esigenze del progetto. È importante a questo punto porsi la questione di fino a che punto permettere l’evoluzione naturale del corso d’acqua, cioè se delimitare o meno lo spazio all’interno del quale lo si lascia libero di divagare. Per tale scopo, è spesso utilizzato il concetto di fascia di pertinenza fluviale (“streamway approach”), cioè di fascia da preservare o ricreare, all’interno della quale permettere le divagazioni naturali del corso d’acqua. Più recentemente, tale approccio è stato meglio definito da un punto di vista metodologico introducendo il concetto di Fascia di Mobilità Funzionale (Malavoi et al., 1998). 5.1.2 Gerarchizzazione dei principi di gestione E’ utile far riferimento ad alcuni concetti fondamentali, che saranno entro certi limiti applicati al bacino del F.Magra, relativi alla gerarchizzazione dei principi di gestione, secondo quanto riportato in Downs & Gregory (2004). Quando ci si trova di fronte ad un sistema fluviale nel quale sono presenti alcuni tratti relativamente naturali ed altri fortemente degradati, può rivelarsi necessario innanzitutto fare una delle due seguenti scelte generali di priorità: 1. preservare rimanenti tratti d’alveo in condizioni relativamente naturali (near-pristine) ed i processi che li rendono tali; 2. migliorare tratti molto degradati nonostante i costi ed il potenziale di miglioramento ambientale sia modesto. 94 Relazione Finale – Capitolo 5 Una volta definita la priorità, si possono individuare i principi di gestione con il fine di gestire il corso d’acqua come un idrosistema nel quale conservare o ripristinare l’integrità fisica ed ecologica. In tutti i casi l’obiettivo primario deve essere quello di ricreare la naturale varietà di processi fisici che promuovono i miglioramenti strutturali e funzionali degli habitat in alveo, nelle zone riparie e nella piana inondabile. Principi di gestione 1 Preservare i processi naturali dove continuano a funzionare 2 Limitare cambiamenti nei processi 3 Ripristinare i processi dove possibile 4 Ripristinare la geometria naturale dell’alveo 5 Ripristinare la vegetazione riparia 6 Reinserire animali e piante acquatiche nativi Descrizione Proteggere la variabilità naturale dei regimi delle portate liquide e solide ed i processi geomorfologici associati con libere esondazioni attraverso soluzioni non strutturali progettate per permettere al corso d’acqua di continuare a funzionare dinamicamente. Nei tratti in cui i processi naturali continuano a funzionare, ma dove esiste una minaccia di cambiamenti significativi, proteggere i processi naturali usando soluzioni non strutturali potenzialmente in combinazione con misure designate a prevenire che instabilità sistemiche raggiungano i tratti da proteggere. In fiumi regolati, riportare quanto più possibile i regimi di portate liquide e solide a scala di bacino verso condizioni non regolate (es. ripristinare la variabilità delle piene) sulla base dei regimi da giornalieri a stagionali e da annuali alla scala delle decadi. Dovrebbe essere considerata l’influenza le variazioni di uso del suolo contemporanee e future sull’idrologia del bacino e sulla generazione di sedimenti. In sistemi fluviali dove non è possibile intervenire sul regime delle portate liquide, perché è il risultato di variazioni di uso del suolo a scala di bacino o canalizzazioni estese, cercare di perseguire la riqualificazione modificando localmente i processi idraulici e di trasporto solido usando strutture a piccola scala designate in un contesto a scala di bacino. Effettuare riqualificazione a scala di tratto attraverso modificazioni morfologiche dirette in corsi d’acqua con basso potenziale di recupero naturale. Il processo inizierà variazioni idrauliche e di trasporto di sedimenti locali e le implicazioni di tali variazioni devono essere pienamente comprese e adattate al contesto dei regimi delle portate liquide e solide affinché l’approccio possa essere sostenibile. Le comunità di piante ripariali possono diventare una parte funzionale dell’alveo e della piana inondabile ma tale opzione ha poche probabilità di successo a meno che il ripristino di processi e/o morfologie non abbiano creato habitats adatti: in corsi d’acqua modificati ci sono spesso vincoli severi sull’estensione degli habitat ai margini degli alvei e variazioni nella profondità della falda rispetto alla situazione naturale. Può essere richiesto dove la flora e fauna nativa sono stati eliminati in passato ma è improbabile che abbia successo a meno che altri interventi di riqualificazione non abbiano ricreato gli habitat richiesti dalle varie specie, ripristinato i processi critici per la sopravvivenza ed eliminato o spostato specie non native. Tabella 5.2 – Descrizione dei sei principi gerarchici di gestione (da Downs & Gregory, 2004). Più nel dettaglio, può essere definita una gerarchia di sei principi di gestione, organizzata in modo da preferire la preservazione prima della ricreazione, il ripristino dei processi prima che delle forme, la ricreazione degli habitat prima che la reintroduzione di specie (National Research Council, 1992; Sacramento River Advisory Council, 2000). Tale gerarchia è così sintetizzabile: 95 Relazione Finale – Capitolo 5 1. Preservare i processi naturali dove continuano a funzionare; 2. Limitare cambiamenti nei processi; 3. Ripristinare i processi dove possibile; 4. Ripristinare la geometria naturale dell’alveo; 5. Ripristinare la vegetazione riparia; 6. Reinserire animali e piante acquatiche nativi. La gerarchia riflette il fatto che una riqualificazione basata sui principi degli ordini inferiori è improbabile che sia sostenibile senza che si faccia attenzione all’ordine superiore. Ad esempio, il tentativo di ripristinare una comunità vegetale riparia (5) è improbabile che possa avere successo in un corso d’acqua fortemente canalizzato senza che si tenti di ripristinare una geometria naturale dell’alveo (4), a causa della ridotta estensione della zona riparia di transizione tra habitat acquatici e terrestri. Oppure, la ricreazione di una morfologia d’alveo ‘naturalizzata’ (4) è improbabile che sia sostenibile senza un’appropriata attenzione ai regimi delle portate liquide e solide che guidano i processi geomorfologici (3). Viceversa, una riqualificazione che parte da un’attenzione per i processi geomorfologici (3) può portare nel tempo al conseguimento anche di obiettivi di livello gerarchico più basso, quale il miglioramento degli habitat per animali e piante acquatiche nativi (6). 5.2 RIEPILOGO DEI PROBLEMI, DEGLI OBIETTIVI E DEI PRINCIPI Problematiche attuali I problemi principali emersi dalla fase conoscitiva, e per i quali si intende in qualche modo risolvere o mitigare attraverso la definizione delle strategie di gestione, possono essere in estrema sintesi così riepilogati: 1. Generale deficit di sedimenti (nella scala temporale delle decine di anni); 2. Esistono alcuni tratti più critici, i quali hanno subìto una più forte incisione del fondo: essi sono i tratti vallivi del F.Magra e del F.Vara (basso Vara e basso Magra); 3. Nonostante le condizioni generali di deficit di sedimenti, accentuate nella parte bassa del bacino, esistono situazioni locali di sedimentazione nelle porzioni medio alte (soprattutto nel bacino del Vara). Esistono poi alcuni problemi connessi, cioè non riguardanti direttamente le condizioni morfologiche e sedimentologiche degli alvei fluviali ma che risentono di esse. Tali aspetti non sono direttamente affrontati in questo progetto ma di essi va tenuto conto, cercando di fare in modo che le strategie di gestione dei sedimenti vadano in una direzione anche di una loro mitigazione. Essi sono: 4. Erosione costiera; 5. Perdita di risorse idriche, in particolar modo nella piana costiera (abbassamento falda, risalita cuneo salino); 6. Peggioramento o perdita di ecosistemi a causa della degradazione fisica dell’alveo. Immagine obiettivo Le strategie di gestione definite in questo capitolo intendono rispondere ai seguenti obiettivi generali: 1. Favorire una maggiore disponibilità di sedimenti, in modo da andare nella direzione di ristabilire il materasso alluvionale (dove non più presente) e promuovere una certa continuità del flusso di sedimenti; 2. Favorire la mobilità laterale dell’alveo, sia in funzione dell’obiettivo precedente che per finalità ecologiche (promuovere la ricreazione di habitat ripariali); 3. Contribuire a promuovere o preservare la funzionalità ecologica in determinati tratti, attraverso il mantenimento o il recupero dei processi fisici e delle forme responsabili della diversità di habitat. Avendo definito i principali problemi riscontrati nel bacino del Fiume Magra e gli obiettivi generali, si può ora definire l’immagine obiettivo (vision), cioè l’assetto a cui si vuole tendere 96 Relazione Finale – Capitolo 5 attraverso la definizione delle strategie di gestione. Tale immagine obiettivo può essere per comodità suddivisa in varie componenti, in funzione delle diverse problematiche da affrontare nel piano di gestione, per ognuna delle quali si può definire uno stato di partenza, la condizione attuale e lo stato a cui si vuole tendere. Per fare ciò, avvalendosi dello studio geomorfologico finora eseguito, si considera di seguito la situazione della fine 1800 – inizi 1900 come situazione di partenza e quella del 1950 come situazione di riferimento a cui si vuole tendere (non coincidente con una situazione originaria o naturale, ma una situazione relativamente più naturale rispetto a quella attuale). In altri termini, le strategie di gestione che si vogliono definire rientrano nell’ottica di una riqualificazione fluviale intesa come “rehabilitation” (Brookes & Shields, 1996; LWRRDCCRCCH, 1999), cioè di un parziale ritorno verso una condizione relativamente naturale. Le componenti dell’immagine obiettivo sono le seguenti: 1. Morfologia dell’alveo; 2. Disponibilità di sedimenti in alveo; 3. Continuità longitudinale del flusso di sedimenti; 4. Continuità trasversale del flusso di sedimenti; 5. Interazione tra processi ed opere. Inoltre, si considerano anche altri due aspetti, non direttamente riguardanti i processi geomorfologici ma ad essi collegati: 6. Disponibilità della risorsa acqua; 7. Funzionalità ecologica. 1. Morfologia dell’alveo. L’alveo in condizioni relativamente naturali non era inciso ed era più largo di quello attuale, in alcuni tratti a canali intrecciati (Figura 5.1). L’alveo attuale è invece in gran parte inciso e ristretto (soprattutto nei tratti vallivi del F.Magra e F.Vara. La configurazione morfologica obiettivo è quella di un alveo più largo e meno inciso dell’attuale (situazione di riferimento è quella del 1950). Figura 5.1 – Morfologia dell’alveo: configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo. 97 Relazione Finale – Capitolo 5 2. Disponibilità di sedimenti in alveo. L’alveo in condizioni relativamente naturali era ricco di sedimenti, come testimoniato dalla presenza di barre estese e di varie tipologie (Figura 5.2). Allo stato attuale, la presenza e l’estensione di barre è drasticamente ridotta, come conseguenza dell’attuale deficit di sedimenti rispetto al passato. La configurazione obiettivo corrisponde ad un incremento nella presenza di barre, seppure non al livello della configurazione passata. Figura 5.2 – Disponibilità sedimenti: configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo. 3. Continuità longitudinale del flusso di sedimenti. In condizioni passate l’alveo aveva caratteristiche di spiccata naturalità e nessuna opera influenzava il trasferimento di sedimenti da monte a valle. Successivamente, per esigenze di varia natura (produzione di energia, stabilizzazione del fondo, ecc.), sono state costruite delle opere trasversali che ostacolano la continuità longitudinale del flusso di sedimenti, come dighe o soglie. Le dighe, in particolare, creano uno sbarramento che i sedimenti non possono oltrepassare, mentre a valle si instauri un processo di incisione. Molte di queste opere sono state costruite negli anni ’50 non solo sulle aste principali, ma anche su quelle di alcuni affluenti del F.Magra (T.Gordana, T.Teglia, T.Verde, T.Magriola, ecc.). La configurazione obiettivo prevede invece di ripristinare il più possibile la continuità longitudinale del flusso di sedimenti (Figura 5.3). Figura 5.3 – Continuità longitudinale : configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo. 4. Continuità trasversale del flusso di sedimenti. L’alveo nel tempo, a causa del processo di abbassamento del fondo, ha perso la connessione laterale con la piana inondabile (Figura 5.4). La configurazione obiettivo prevede di andare nella direzione di ripristinare il più possibile tale connessione, sia attraverso una riduzione dell’incisione che attraverso la ricreazione di piana inondabile attraverso la mobilità laterale naturale del fiume. 98 Relazione Finale – Capitolo 5 Figura 5.4 – Continuità trasversale: configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo. 5. Interazione tra processi ed opere. Seppure le condizioni generali siano di deficit di sedimenti, possono esistere alcuni casi locali dove, viceversa, la presenza eccessiva di sedimenti ha ridotto l’efficienza di opere di attraversamento, aumentando le condizioni di rischio (ad es. S.Pietro Vara). In tali casi, la configurazione obiettivo prevede una riduzione di sedimenti (Figura 5.5). Figura 5.5 – Interazione opere: configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo. 6. Disponibilità della risorsa idrica. Tale problema riguarda soprattutto la pianura costiera del F.Magra dove, in passato, la falda era notevolmente più alta. Successivamente, con l’incisione dell’alveo, la falda si è abbassata e ridotta determinando un duplice effetto negativo: da una parte ha favorito la risalita del cuneo salino, quindi alcuni pozzi emungono acqua non più potabile, dall’altra in alcuni punti l’abbassamento è stato tale che i pozzi non arrivano più alla falda. La configurazione obiettivo è quindi quella di andare nella direzione di rialzare il livello di falda attraverso un 99 Relazione Finale – Capitolo 5 recupero della quota del fondo dell’alveo e quindi un ripristino parziale dei volumi degli acquiferi (Figura 5.6). Figura 5.6 – Disponibilità risorsa idrica: configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo. Figura 5.7 – Funzionalità ecologica: configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo. 100 Relazione Finale – Capitolo 5 7. Funzionalità ecologica. La situazione passata era caratterizzata da un alveo con spiccate caratteristiche di naturalità con una elevata funzionalità ecologica (fascia riparia continua, aree umide laterali, connessione idraulica con la piana inondabile, diversità di habitat in alveo e ripariali, ecc.). In seguito ai processi morfologici che si sono succeduti ed alla progressiva artificializzazione dell’alveo (almeno a tratti), molte di queste caratteristiche sono andate riducendosi. La configurazione obiettivo prevede quindi un alveo con maggiore dinamica, diversità di habitat e connessioni con le aree ripariali (Figura 5.7). Principi di intervento e di gestione Facendo riferimento alle tipologie di intervento enunciate nel paragrafo precedente, si cercherà di privilegiare interventi di riequilibrio a scala di bacino, cioè che vadano ad intervenire innanzitutto sulle cause del problema (deficit di sedimenti) piuttosto che sui sintomi. Pertanto il principio che ha guidato la definizione delle strategie di gestione è quello di incentivare l’alimentazione di sedimenti nel sistema, dove e quando possibile, e di facilitarne il raggiungimento delle parti più incise (tratti vallivi). Come precisato precedentemente, gli interventi a scala di bacino possono realizzarsi in scale temporali relativamente lunghe ed i loro risultati non sono pertanto immediati. Si intende tuttavia delineare strategie di gestione da seguire da ora in avanti che vadano in questa direzione. Per quanto riguarda la gerarchizzazione dei principi di gestione, si cercheranno di privilegiare le azioni che vadano nella direzione di preservare i processi i processi naturali laddove funzionano, limitarne i cambiamenti o ripristinarli ove possibile (cioè i punti 1, 2 e 3 nella scala gerarchica di Tabella 5.2). Ciò si traduce in pratica in cercare di agire in entrambe le direzioni di (1) preservare tratti d’alveo in condizioni relativamente naturali ed i processi che li rendono tali, e (2) migliorare tratti degradati. Le strategie di gestione si traducono in due principali prodotti cartografici: 1. Carta della Fascia di Mobilità Funzionale; 2. Carta delle Strategie di indirizzo per la Gestione dei Sedimenti. A corredo delle carte sono abbinate varie raccomandazioni, strategie e linee guida. 5.3 FASCIA DI MOBILITA’ FUNZIONALE 5.3.1 Principi generali Si riportano di seguito alcuni principi generali, tratti da Piegay & Rinaldi (2006), relativi alla possibilità di consentire l’erosione delle sponde per una gestione sostenibile del trasporto solido al fondo. L’erosione delle sponde è uno dei problemi centrali nella gestione degli alvei fluviali. Esiste una vasta letteratura che si concentra sui principali impatti negativi delle erosioni di sponda, quali la perdita di terreni, delle risorse associate e i danni a proprietà ed infrastrutture. Perciò l’erosione di sponda è quasi sempre considerata come un pericolo naturale da prevenire. Tuttavia vi è oggi un ripensamento sulle politiche tradizionali per gestire le erosioni di sponda, grazie all’accresciuta consapevolezza (i) del carattere insostenibile di alcune protezioni ingegneristiche delle sponde (es. riducendo i sedimenti riforniti al fiume, tali protezioni possono innescare una incisione locale che può destabilizzare strutture e/o semplicemente spostare l’erosione a valle); (ii) dei costi economici per realizzare tali protezioni; (iii) del ruolo chiave dell’erosione di sponda nella dinamica d’alveo; e (iv) del riconoscimento che l’erosione di sponda fornisce benefici agli ecosistemi (in precedenza non considerati nelle analisi costi-benefici). Per esempio, in fiumi incisi, permettere l’erosione delle sponde può contribuire ad una riqualificazione spontanea sia dell’alveo, attraverso il rifornimento di sedimenti grossolani, che delle fasce riparie, per le quali l’erosione di sponda è spesso l’agente chiave di creazione e rinnovamento del loro complesso mosaico di habitat. Pertanto, i gestori dei corsi d’acqua stanno adottando in maniera crescente l’idea di consentire ai fiumi di migrare liberamente all’interno di un corridoio definito, ottenendone i diritti di proprietà 101 Relazione Finale – Capitolo 5 attraverso la negoziazione con i proprietari o acquistando i terreni. Il Corpo degli Ingegneri Americano (US Army Corps of Engineers) ha per anni erogato incentivi ai proprietari per permettere al fiume di erodere liberamente, sebbene tale politica sia stata attuata essenzialmente caso per caso. Più recentemente, in Francia sono stati intrapresi progetti più ambiziosi (a scala di tratto) (Malavoi et al., 1998; Hydratec, 1999, 2001). L’esperienza francese è istruttiva in relazione all’evoluzione normativa sul concetto di fascia erodibile (ECC). Nelle linee guida del Piano di Bacino del Rodano Mediterraneo Corsica pubblicate nel 1998, il corridoio erodibile, chiamato ‘Spazio di Libertà’, è definito come “la piana inondabile in cui l’alveo attivo può naturalmente muoversi in modo da mantenere una alimentazione di sedimenti grossolani ed un funzionamento ottimale degli ecosistemi acquatici e terrestri” (Malavoi et al., 1998). Un decreto del 24 Gennaio 2001 approvato dal Ministero dell’Ambiente ha indicato che non saranno più permessi siti di escavazione nello “spazio di mobilità” dei fiumi, definito come il corridoio di piana inondabile in cui l’alveo si può muovere. Analogamente, il decreto 2002/202 (13 Febbraio 2002) modifica le norme per autorizzare le strutture di protezione delle sponde maggiori di 50 m (per fiumi con larghezza inferiore a 7,5 m) o di 200 m (per fiumi con larghezza maggiore di 7,5 m). La legge indica che le protezioni di sponda non devono ridurre significativamente lo “spazio di mobilità” dell’alveo, definendo tale corridoio sulla base di analisi storiche della mobilità dello stesso. Non è quindi tanto il concetto di corridoio erodibile ad essere una novità di per sé, ma piuttosto la combinazione (i) di un quadro normativo in evoluzione che ora richiede la concreta delimitazione del corridoio erodibile, e (ii) dell’applicazione pratica del concetto ad un numero crescente di problemi a più larga scala (di tratto) che sta oggi configurando nuove sfide per le comunità scientifiche e professionali. La fascia erodibile (ECC) è solo una delle numerose strategie che sono disponibili per la gestione dell’erosione di sponda. Queste, infatti, comprendono anche le tecniche tradizionali di stabilizzazione di sponda derivate dall’ingegneria civile e naturalistica. Queste opzioni differenti non sono in contrapposizione, bensì complementari l’una all’altra: la scelta dell’approccio più adatto dipende dal contesto locale e dalla dinamica del fiume (es. mobilità naturale del fiume, benefici ecologici del processo e sensibilità umana all’erosione di sponda). Pertanto, mentre la definizione di una fascia erodibile può essere valida in un bacino, in un altro possono essere richieste tecniche di stabilizzazione più tradizionali. È importante riconoscere quindi che l’approccio della fascia di mobilità non è universalmente applicabile. Nel definire quei fiumi che possono trarre benefici dall’applicazione della fascia di mobilità, è necessario considerare (i) l’intensità dei processi di erosione di sponda, e (ii) il risultato di una analisi costi – benefici associata con le previsioni di erosione di sponda. Dove l’erosione di sponda è di entità minima o solo a scala locale, molto probabilmente l’ecosistema acquatico non ne è significativamente influenzato e l’applicazione della fascia di mobilità non è necessaria. Analogamente, il concetto non è ben adatto ai casi in cui l’erosione di sponda è un processo ‘nuovo’, sintomatico di qualche causa più profonda (es. creazione di nuovi canali di ‘avulsione’). Probabilmente i casi in cui la fascia erodibile è meglio applicabile sono quelli di fiumi meandriformi o a canali intrecciati liberi di muoversi in piane alluvionali e che ragionevolmente ci si può attendere che rimangano all’interno di un corridoio definito nella scala temporale di interesse (alcuni decenni). La fascia di mobilità ha maggiore potenzialità di essere un utile strumento di gestione nei casi dove c’è un movimento generalizzato delle sponde (ad es. qualche metro di arretramento annuo per un tratto sufficientemente lungo di fiume), e dove le attività antropiche nella fascia di pertinenza non sono talmente sviluppate da entrare in forte conflitto con altri obiettivi di gestione (ad es. dove il risultato dell’analisi costi–benefici è favorevole). Nel contesto europeo, tali criteri possono essere soddisfatti in fiumi montani e pedemontani che sono spesso caratterizzati da rimboschimento, sistemazioni idrauliche degli affluenti e conseguente riduzione dell’alimentazione di sedimenti. Molti di questi fiumi europei, che trasportano meno sedimenti, stanno diventando più stretti e più incisi e possono essere considerati come sistemi senescenti che generalmente erodono porzioni di 102 Relazione Finale – Capitolo 5 piana inondabile corrispondenti a canali attivi recenti, non ancora fortemente occupati da attività antropica. 5.3.2 Metodologia e risultati Come descritto nel paragrafo precedente, soprattutto dall’esperienza francese nasce il concetto di “Fascia di Mobilità Funzionale”, inizialmente applicato da Malavoi et al. (1998) per il bacino del Rodano. Secondo tale lavoro, la fascia di mobilità funzionale corrisponde a quella fascia in cui ha divagato il fiume durante le ultime centinaia di anni e le zone di probabile riattivazione per erosione laterale nel medio periodo (prossimi 40-50 anni). La procedura utilizzata per la definizione di tale fascia richiede una approfondita analisi geomorfologica, con il pregio di non essere eccessivamente complessa e, soprattutto, di basarsi su analisi ed operazioni poco soggettive. Le fasi per definire la fascia secondo quanto proposto originariamente da Malavoi et al. (1998) sono descritte di seguito. 1) Fascia di divagazione storica: individuazione e delimitazione, sulla base di cartografia storica e fotografie aeree, delle zone interessate dalla dinamica fluviale nel corso degli ultimi 200 anni. 2) Zone di erosione probabile a medio termine (50 anni): viene stimato il tasso medio di erosione laterale del corso d’acqua sulla base del quale si definisce la larghezza delle due fasce al contorno dell’alveo attuale nelle quali è più probabile che si verifichino processi di erosione nei prossimi 50 anni. Per quanto possa trattarsi di un approccio semplificato al problema (si tenga conto che non si tratta di una previsione della posizione dell’alveo tra 50 anni), l’individuazione di queste fasce è indispensabile per alvei caratterizzati da elevate variazioni planimetriche. 3) Fascia di mobilità funzionale: deriva dalla combinazione delle aree individuate nelle due fasi precedenti, quindi viene determinata sulla base della dinamica sia passata (documentata) che futura (potenziale). Un ulteriore passo successivo consiste eventualmente nel considerare i vari aspetti/elementi antropici che condizionano attualmente in modo significativo la dinamica fluviale (ad esempio le principali opere idrauliche e le principali infrastrutture). Figura 5.8 – Quadro di unione delle tavole della Carta delle Fascia di Mobilità Funzionale. Nel presente studio è stata realizzata la Carta della Fascia di Mobilità Funzionale, in scala 1:10.000, composta da 7 tavole, con numero progressivo da 15 a 21 (Figura 5.1) come segue: -Tavola 15: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Magra da Pontremoli a Villafranca L.; 103 Relazione Finale – Capitolo 5 -Tavola 16: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Magra da Villafranca L. ad Aulla; -Tavola 17: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Magra da Aulla a Ressora; -Tavola 18: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Magra da Ressora alla foce; -Tavola 19: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Vara da Varese L. al Piano di Graviola; -Tavola 20: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Vara dal Piano di Graviola a Borghetto Vara. -Tavola 21: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Vara da Borghetto V. a Ceparana. La cartografia completa è stata consegnata in formato cartaceo in allegato alla Relazione Intermedia (Maggio 2006) e si riporta nuovamente in formato digitale nel DVD allegato a questa relazione. La metodologia adottata nel presente studio è la stessa già utilizzata nella prima fase della ricerca (Relazione Magra I) per i tratti di dettaglio. Di seguito si riporta la descrizione completa della metodologia così come già riportata nella Relazione Magra I. Si noti tuttavia che, a differenza della Relazione Magra I, in questa versione per alveo attuale si intende l’ultimo alveo disponibile da foto aerea, quindi quello del 2003 per il Magra e del 2004 per il Vara (secondo quanto già precisato nella Relazione Intermedia di questo progetto). Fascia di divagazione storica 1) Si è scelto un intervallo di tempo di 50 anni più breve di quello proposto originariamente (200 anni) da Malavoi et al. (1998). Questo è dovuto principalmente al fatto che, se si fosse considerato un intervallo di 200 anni, si sarebbe ottenuta in molti tratti una fascia di divagazione quasi coincidente con l’intera pianura alluvionale, quindi si sarebbe pervenuti ad un risultato di dubbia utilità per i fini pratici attuali. Si è scelto quindi di utilizzare le foto aeree del 1954 come situazione di riferimento iniziale per gli scopi della fascia di mobilità. Figura 5.9 - Fascia di divagazione storica per un tratto del Fiume Magra a valle della confluenza con il Fiume Vara. 2) La fascia di divagazione è definita quindi come inviluppo più esterno dei tracciati, così come riportati nella Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo, a partire da quello del 1954 (escludendo quindi il 1877) fino a quello del 2003/04 (Figura 5.9). 104 Relazione Finale – Capitolo 5 Fascia di erosione probabile a medio termine (50 anni) 3) Per ognuno dei tratti di dettaglio per i quali è stata ottenuta la carta, sono stati ricavati i tassi medi di erosione laterale, utilizzando per tale calcolo l’intervallo temporale degli ultimi 10 anni circa, per tener conto delle attuali tendenze evolutive di larghezza. In particolare sono state utilizzate le foto aeree del 1995 e del 2003/04. 4) I tassi medi di erosione sono stati differenziati per ognuno dei sottotratti di suddivisione geomorfologica iniziale, utilizzando una scansione spaziale per le misure di erosione di 250 m, e ricavando quindi un valore medio di tasso di arretramento per sottotratto. 5) Sulla base di ciò, sono state definite due fasce con andamento parallelo alle sponde attuali (come sponde attuali sono state assunte quelle del 2003/04) di larghezza pari al prodotto del tasso di arretramento medio del sottotratto (in m/anno) per 50 anni, che rappresentano quindi le zone di erosione probabile a medio termine (Figura 5.10). Nelle zone di passaggio tra due sottotratti adiacenti, si è scelto di utilizzare una fascia di transizione di lunghezza compresa tra 100 e 500 m, in funzione della minore o maggiore differenza tra i tassi di erosione, con una variazione progressiva lineare di larghezza tra un sottotratto ed il successivo. Figura 5.10 - Fascia di erosione probabile a medio termine per un tratto del Fiume Magra a valle della confluenza con il Fiume Vara. 6) E’ opportuno precisare meglio il significato della fascia di erosione probabile a medio termine. Si sottolinea come tale metodo non ha in alcun modo lo scopo di costituire una previsione di come si modificherà l’alveo nei prossimi 50 anni, ma costituisce più semplicemente una procedura oggettiva per definire una fascia all’interno della quale potrebbe divagare il fiume in tale intervallo di tempo, considerati gli attuali tassi di erosione di sponda. In altri termini, il limite esterno della fascia di erosione probabile va interpretato come il limite che potrebbe essere raggiunto dall’alveo nei prossimi 50 anni, e non come l’andamento dell’alveo tra 50 anni (vale a dire è possibile che ciò avvenga solo in alcuni punti, non in maniera continua ed omogenea). Si tiene infatti a precisare che non è possibile associare un arretramento di sponda ad un evento di piena con dato tempo di ritorno (analogamente a quanto avviene per la definizione delle aree inondabili) a causa della natura continua e cumulativa del processo di arretramento di sponda, differente dal fenomeno di inondazione che avviene per superamento di una certa soglia. Nel caso dell’arretramento di sponda, bisognerebbe quindi definire una probabilità che si verifichi una certa successione di eventi in un dato intervallo di tempo piuttosto che un singolo evento. Ciò rende quindi tuttora irrisolvibile il problema da un punto di vista analitico o deterministico, pertanto si preferisce ricorrere a metodi semplificati come quello adottato in questo studio. 105 Relazione Finale – Capitolo 5 7) Alla luce di quanto precisato al punto precedente, è anche opportuno chiarire il motivo per cui si è preferito definire un tasso medio di arretramento di sponda per sottotratto geomorfologico (della lunghezza di vari km), piuttosto che adottare tassi di arretramento differenziati per sottotratti di lunghezza inferiore (ad esempio per ogni km), in modo da tenere conto dell’arretramento verificatosi localmente. La perplessità nell’adottare un tasso di arretramento mediato su un tratto piuttosto lungo (in questo caso il sottotratto geomorfologico) può derivare dalle seguenti domande che potrebbero sorgere spontanee: come mai se un determinato tratto di sponda (ipotizziamo della lunghezza di qualche centinaio di metri) non è arretrato per nulla durante gli ultimi anni dovrebbe poi arretrare nei prossimi anni? O, viceversa, come mai se un determinato tratto di sponda è arretrato molto negli ultimi anni dovrebbe arretrare con un tasso sensibilmente inferiore nei prossimi anni? Si ammetta quindi il caso di voler estrapolare localmente (con una scansione ipotizziamo dell’ordine del km) i tassi di arretramento ai prossimi 50 anni. In tal caso, non si farebbe altro che accentuare le differenze tra tratti nei quali si è verificato un forte arretramento negli ultimi anni e tratti relativamente stabili (Figura 5.11). A 1995 2003 B C Figura 5.11 – Possibili andamenti della fascia di erosione probabile a seconda della lunghezza dei sottotratti per i quali assumere un dato tasso di arretramento. A) Esempio di andamento delle sponde in due anni diversi (sulla base dei quali si calcola il tasso di arretramento medio annuo) con suddivisione del tratto in tre sottotratti; B) andamento della fascia di erosione probabile nel caso si applicassero tassi di arretramento diversi ai tre sottotratti; C) andamento della fascia di erosione probabile assumendo un tasso di arretramento medio per l’intero tratto. La configurazione della fascia di erosione probabile risulterebbe in un’alternanza di tratti molto larghi e tratti molto stretti. Si ritiene che ciò sia inverosimile, dal momento in cui i processi di arretramento di sponda e di accrescimento delle barre (strettamente associati ai primi) presentano una marcata componente longitudinale (in genere da monte verso valle) (in altre parole l’arretramento di sponda, dopo aver agito in un tratto, tende ad estendersi verso valle piuttosto che continuare ininterrottamente in direzione ortogonale all’andamento dell’alveo), soprattutto in alvei con morfologie di tipo sinuoso a barre alternate o wandering come i fiumi studiati. Per tenere conto di questo aspetto, appare quindi molto più ragionevole mediare i valori di arretramento di sponda ad un tratto sufficientemente lungo, con caratteristiche geomorfologiche 106 Relazione Finale – Capitolo 5 relativamente omogenee in termini di tracciato e di grado confinamento nel fondovalle, ricavando così una fascia di erosione probabile di larghezza uniforme. 8) Nel caso di fiumi o tratti molto o completamente fissati planimetricamente, il concetto di fascia di erosione probabile perde di significato, in quanto risulterebbe un valore di erosione recente molto basso o nullo (è questo il caso del tratto pre-fociale ME2), il quale implicherebbe che la fascia di erosione probabile risulterebbe nulla. Ciò da una parte può essere vero, ipotizzando che le difese di sponda continuino ad esistere nei prossimi 50 anni, ma in tal caso la fascia di mobilità funzionale che ne risulterebbe (soprattutto se anche la fascia di divagazione storica è nulla o limitata perché il fiume è canalizzato da vari decenni) non avrebbe assolutamente il significato di spazio che il fiume dovrebbe avere per il suo corretto funzionamento geomorfologico, come era invece nelle intenzioni originarie di questo progetto. 9) Significato della fascia di erosione probabile in corrispondenza di un tratto di sponda protetto da una difesa. Il significato della fascia in questo caso è ovviamente quello di spazio che potenzialmente potrebbe essere eroso nel caso in cui non ci fosse la difesa, e non di reale zona ad erosione probabile fermo restando le condizioni attuali (come invece accade per i tratti di sponda non protetti). Ciò è molto utile per visualizzare con immediatezza quello i beni che sono difesi dalla difesa di sponda: se ad esempio esiste un insediamento o un’infrastruttura all’interno della fascia di erosione retrostante la difesa, è immediato percepire l’importanza della struttura. Se viceversa non esiste un insediamento o un’infrastruttura all’interno della fascia di erosione retrostante la difesa, è lecito chiedersi se il costo di manutenzione della difesa equivale o meno al valore del bene (in questo caso un terreno agricolo) che si sta difendendo. 10) La fascia di erosione probabile fornisce anche uno strumento utile ai fini pianificatori e decisionali nei casi in cui viene proposta la realizzazione di un nuovo intervento di difesa di sponda. In tal caso è infatti possibile visualizzare con immediatezza, ed eventualmente quantificare, se il costo dell’intervento vale o meno il valore del bene da proteggere (nell’orizzonte temporale dei prossimi 50 anni). Si ricorda che le recenti esperienze francesi (in particolare Piégay et al., 1997) hanno dimostrato che, considerando il problema in un orizzonte temporale sufficientemente ampio (ad es. di 50 anni), molto spesso è molto maggiore il costo della realizzazione di una difesa e della sua manutenzione rispetto al valore del terreno che si protegge. Fascia di mobilità funzionale Figura 5.12 - Fascia di mobilità funzionale per un tratto del Fiume Magra a valle della confluenza con il Fiume Vara. 107 Relazione Finale – Capitolo 5 11) La fascia di mobilità funzionale è stata ottenuta come inviluppo esterno delle due precedenti fasce (Figura 5.12). Rappresenta quindi la fascia attiva negli ultimi 50 anni e di possibile riattivazione nei prossimi 50 anni, facendo riferimento quindi ad un intervallo temporale complessivo di 100 anni (che coincide con la media scala temporale). Su questa cartografia, la fascia di mobilità funzionale è quella teorica su base geomorfologica, cioè non tiene conto di elementi e vincoli antropici (ad es. infrastrutture, insediamenti, ecc.) che si decide debbano essere esclusi dalla stessa. Per soddisfare almeno in parte tale esigenza, si rimanda alla successiva cartografia (si veda paragrafo successivo). Figura 5.13 – Esempio di Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e relativa Legenda. 12) Nel sottotratto pre-fociale del F.Magra (ME2: dalla confluenza del Canale Turi in prossimità del ponte di Battifollo alla foce) si è scelto di non tracciare la fascia di mobilità funzionale per alcuni dei problemi messi in evidenza ai punti precedenti. Per questo sottotratto, infatti, la fascia di divagazione dal 1954 è quasi nulla (l’alveo del 1954 e degli anni successivi coincidevano quasi sempre con quello attuale per la già avvenuta fissazione artificiale del tracciato planimetrico) ed i tassi di arretramento degli ultimi 10 anni sono ugualmente nulli, pertanto la fascia di mobilità funzionale non è definibile. Tracciare la fascia di mobilità funzionale facendola pressoché coincidere con l’alveo attuale sarebbe stato in questo caso fuorviante, in 108 Relazione Finale – Capitolo 5 quanto si sarebbe potuto interpretare come se l’alveo avesse allo stato attuale lo spazio sufficiente per esplicare la sua dinamica morfologica, al contrario di quanto accade in realtà, essendo l’alveo completamente costretto nel suo tracciato attuale. Solo per questo sottotratto, si è ritenuto utile, non essendo definita la fascia di mobilità funzionale, riportare il tracciato del 1877, cioè relativamente ad una situazione precedente al 1954 in cui l’alveo era più largo e presentava una certa mobilità. In Figura 5.13 si riporta uno stralcio esemplificativo della Carta della Fascia di Mobilità Funzionale con la relativa Legenda. 5.3.3 Gestione della Fascia di Mobilità Funzionale La Fascia di Mobilità Funzionale, come definita nel precedente paragrafo, è stata ottenuta sulla base di criteri oggettivi esclusivamente di tipo geomorfologico, non tenendo conto quindi degli elementi antropici eventualmente contenuti in essa. Per giungere ad una Fascia di Mobilità “reale”, bisogna quindi stabilire dei criteri per escludere dalla fascia o gestire quegli elementi antropici ritenuti irrinunciabili. Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale Il primo passo per ritagliare la Fascia di Mobilità Funzionale sugli elementi antropici è stato quello di incrociarla con la Fascia di Riassetto Fluviale. Quest’ultima, infatti, è stata definita dall’Autorità di Bacino sulla base principalmente di criteri idraulici, ma tenendo conto del contesto antropico. E’ stata pertanto ricavata la Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale, tagliando la Fascia di Mobilità Funzionale sulla base della Fascia di Riassetto Fluviale (cioè escludendo le porzioni esterne della prima fascia quando essa si intersecasse con la seconda). In questo modo, la Fascia di Mobilità Funzionale tiene almeno in parte conto degli elementi antropici più importanti (insediamenti, infrastrutture, ecc.) che si ritiene di dover escludere, essendo questi già esterni alla Fascia di Riassetto. E’ emersa inoltre l’esigenza (già per la Relazione Magra I) di una più affinata definizione e determinazione (in sede di adeguamento o aggiornamento del Piano Stralcio Assetto Idrogeologico) di “Alveo attuale”, coerentemente con la definizione di alveo contenuta nel R.D. 25 Luglio 1904, n.523 (“…Formano parte degli alvei i rami o canali, o diversivi dei fiumi, torrenti, rivi e scolatoi pubblici, ancorchè in alcuni tempi dell’anno rimangono asciutti …”). Si è stabilito che tale elemento possa essere definito su base geomorfologica e che debba comprendere l’insieme di alveo attivo e pianura inondabile attiva, così come riportati nella Carta Geomorfologica (quindi riferiti alla situazione del 2003/04). Si ricordano di seguito le definizioni di questi due elementi morfologici. Alveo attivo: comprende il canale, le barre attive e le barre alte (corrisponde a quanto indicato in letteratura anglosassone come bankfull). E’ la porzione dell’alveo soggetta al continuo modellamento del letto ad opera del trasporto solido di fondo ed ai processi di erosione e sedimentazione connessi. Pianura inondabile: è una superficie pianeggiante costruita dall’alveo nelle sue attuali condizioni di regime (corrispondente a quanto indicato in letteratura anglosassone come floodplain), dove prevalgono i processi di tracimazione piuttosto che di trasporto solido al fondo. In genere, secondo la letteratura, tale superficie è inondata frequentemente, mediamente almeno una volta ogni 1-3 anni. Nel caso dei fiumi Magra e Vara, avendo tali fiumi subìto un certo grado di incisione, esistono porzioni di piana inondabile attiva o incipiente che si sono originate, una volta terminato l’abbassamento del fondo, a seguito delle attuali divagazioni laterali del canale e delle barre o anche per abbandono di precedenti barre attive. Tali zone sono effettivamente interessate da piene molto ricorrenti (spesso con frequenze anche superiori ad una volta ogni 1-3 anni), pertanto si ritiene coerente l’inserimento di tali superfici in quello che è definito alveo attuale. 109 Relazione Finale – Capitolo 5 Nei casi in esame l’alveo attuale, inteso come insieme di alveo attivo e pianura inondabile, viene ad essere delimitato esternamente come segue: - nei tratti alluvionali, dove è presente una pianura alluvionale ed in genere una porzione di pianura inondabile attiva, i limiti esterni dell’alveo sono rappresentati dagli orli del terrazzo più vicino all’alveo (anch’essi indicati in Carta Geomorfologica con apposito simbolo); - nei tratti semiconfinati, dove non è presente pianura alluvionale ma l’alveo confina direttamente con i versanti, i limiti esterni dell’alveo coincidono nella Carta Geomorfologica con i limiti dell’alveo attivo. La Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale, anch’essa in scala 1:10.000, è composta da 7 tavole, con numero progressivo da 22 a 28, in particolare (Figura 5.14): - Tavola 22: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del F.Magra da Pontremoli a Villafranca L.; - Tavola 23: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del F.Magra da Villafranca L. ad Aulla; - Tavola 24: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del F.Magra da Aulla a Ressora; - Tavola 25: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del F.Magra da Ressora alla foce; - Tavola 26: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del F.Vara da Varese L. al Piano di Graviola; - Tavola 27: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del F.Vara dal Piano di Graviola a Borghetto V. - Tavola 28: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del F.Vara da Borghetto V. a Ceparana. Figura 5.14 – Quadro di unione delle tavole della Carta delle Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale. Riepilogando, la Carta comprende i seguenti tre elementi (Figura 5.15): 110 Relazione Finale – Capitolo 5 - - Alveo attuale, comprendente alveo attivo e pianura inondabile come riportati in Carta Geomorfologica; Fascia di Mobilità Funzionale “modificata”, comprendente la stessa fascia riportata nella cartografia precedente, delimitata però esternamente dalla Fascia di Riassetto Fluviale, nel caso di intersezione tra loro; Fascia di Riassetto Fluviale, così come fornita dall’Autorità di Bacino. Figura 5.15 – Esempio di Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale. Proposte di riduzione e gestione della Fascia di Mobilità Funzionale I successivi passi per un’eventuale riduzione della Fascia di Mobilità, per tener conto di altri elementi antropici ritenuti irrinunciabili non inclusi nella Fascia di Riassetto Fluviale, è un compito che deve essere realizzato dai tecnici dell’Autorità di Bacino (come peraltro concordato nei Comitati Tecnici di Febbraio e Marzo 2007), sulla base della loro conoscenza specifica del territorio e delle problematiche locali. In questa sede ci si limita a fornire dei suggerimenti e proposte sui criteri da adottare per passare ad una “Fascia di Mobilità Reale” ed alle possibili normative da imporre all’interno di tale area. E’ auspicabile intraprendere, a seguito della conclusione del presente progetto di ricerca, una serie di riunioni a cui è invitato a partecipare anche il gruppo di ricerca stesso, nell’ambito delle quali definire questi aspetti. L’unico suggerimento relativo ad un restringimento della FMF che si fornisce in questa sede è quello di effettuare un eventuale taglio solo in corrispondenza delle principali vie di comunicazione (strade statali, provinciali, comunali, ferrovia) che attraversano la fascia stessa, laddove queste non fossero già escluse dalla Fascia di Riassetto. E’ infatti inverosimile pensare che, nel caso l’erosione laterale del corso d’acqua andasse ad interessare una di queste importanti vie di 111 Relazione Finale – Capitolo 5 comunicazione si potesse impedirne la protezione. Pertanto, tutte le aree che dovessero essere incluse nella FMF all’esterno di queste vie di comunicazione di fatto non potranno mai svolgere la funzione di fascia erodibile ed il limite fisico esterno della FMF di fatto è rappresentato dalla via di comunicazione. Resta inteso che, nel caso di futuri adeguamenti e modifiche della rete viaria che potessero interessare tali tratti, si deve cercare di imporre soluzioni che vadano nella direzione di un allontanamento della via di comunicazione dal fiume. Eccezion fatta per le vie di comunicazione, che come detto costituiscono di fatto un limite esterno della FMF, si suggerisce che tutti gli altri elementi a rischio puntuali e discontinui presenti all’interno della fascia (case isolate o gruppi di abitazioni, impianti sportivi, ecc.) non siano motivo di un ulteriore restringimento, ma rimangano all’interno della fascia stessa seppure soggetti a regole specifiche o deroghe della normativa da istituire. In particolare si propongono le seguenti regole per i seguenti elementi antropici presenti nella FMF: - Case ed insediamenti: si consente la loro protezione attraverso interventi di difesa di sponda solo quando effettivamente tali elementi sono messi a rischio dall’erosione laterale del corso d’acqua. Si può stabilire una distanza a partire dalla quale si ritiene necessario intervenire: tale distanza può dipendere dal tasso di erosione medio del tratto e si può quantificare in un valore pari a 10 volte il tasso medio annuo di arretramento di sponda (vale a dire idealmente rappresenta quella distanza che il corso d’acqua potrebbe erodere nei successivi 10 anni). - Impianti sportivi ed attività ricreative varie: nel caso siano presenti piccoli impianti sportivi o altri elementi per attività ricreative, eccezion fatta per impianti sportivi comunali di un certo rilievo, ed essi siano messi a rischio dall’erosione laterale del corso d’acqua, non si dovrebbe approvare la loro protezione attraverso opere di difesa di sponda. - vie di comunicazione secondarie (strade sterrate, sentieri, stradine poderali, ecc.): qualora sono messe a rischio o sono interrotte da erosioni di sponda, non si deve acconsentire la loro protezione o ripristino. - Difese di sponda esistenti: se viene inoltrata una richiesta di ripristino o manutenzione di una difesa di sponda esistente, bisogna valutare se tale opera effettivamente difende un elemento a rischio (casa o via di comunicazione), nel qual caso si approva il progetto. Viceversa, nel caso in cui l’opera ha la funzione di proteggere esclusivamente un terreno, senza che siano presenti elementi a rischio significativi al suo interno, non si approva la richiesta. - Difese di sponda in corrispondenza di ponti o traverse: nel caso le difese di sponda siano in corrispondenza di un’opera di attraversamento e la loro presenza è motivata dalla protezione dell’opera stessa, è necessario acconsentirne la manutenzione e l’eventuale rifacimento nel caso di danneggiamento o rottura. - Fabbricati abusivi, fabbricati industriali o artigianali dismessi, ecc.: in questi casi è ovvio che non solo tali elementi non vanno difesi, ma è necessario prevedere una loro eliminazione o spostamento con bonifica e riqualificazione dell’area. Possono rientrare in questa categoria anche l’eventuale presenza di orti abusivi, recinzioni, capanne, ecc. i quali, non solo possono avere impatti negativi sull’ambiente, ma possono essere fonte di rischio in occasione di piene. 112 Relazione Finale – Capitolo 5 5.4 GESTIONE DEI SEDIMENTI: AMBITI E LINEE GENERALI D’AZIONE Ai fini della definizione delle strategie di gestione dei sedimenti, si può innanzitutto suddividere il bacino in tre ambiti con aspetti e problematiche leggermente differenziati tra loro, i quali corrispondono ai tre ambiti fisiografici definiti precedentemente in questo progetto (Figura 5.16): 1. Medio-alto Magra; 2. Medio-alto Vara; 3. Basso Magra e Vara. Figura 5.16 – Suddivisione del bacino in tre ambiti ai fini della gestione. Si riepilogano di seguito le principali problematiche (Figura 5.17) e le priorità (Figura 5.18) e le principali strategie di gestione per i tre ambiti prima definiti. 1. Medio-alto Magra Caratteristiche e problematiche. Tale ambito non presenta elementi gravi dal punto di vista del recupero morfologico. Seppure alcuni tratti hanno subìto una certa incisione, l’alveo del F.Magra si presenta in condizioni discrete, denotando comunque una certa abbondanza di sedimenti, presenza di barre, una certa mobilità laterale, ecc. Alcuni tratti risultano adatti come zone di ricarica e alimentazione di sedimenti per i tratti a valle. In particolare la Piana di Filattiera funziona come una sorta di bacino di accumulo che consente di immagazzinare una riserva di sedimenti, garantendo una alimentazione continua per i tratti di valle. Priorità. La priorità di questo ambito, per quanto riguarda l’alveo del F.Magra, è quella di preservare le attuali condizioni, vale a dire preservare o ridurre le variazioni di quei processi di alimentazione, trasporto e deposito di sedimenti che determinano le attuali condizioni morfologiche. Allo stesso tempo, è necessario anche intraprendere misure che favoriscano l’alimentazione ed il transito di sedimenti, non tanto per il miglioramento dei tratti compresi in questo ambito quanto piuttosto per favorire il miglioramento dei tratti a valle (ambito 3: basso Magra e Vara). Strategie di gestione. Le strategie di gestione devono quindi da un lato tendere a preservare le attuali condizioni dell’alveo, lasciando il fiume libero di evolvere naturalmente, dall’altro favorire la ricarica ed il trasporto verso valle per tendere a migliorare le condizioni degli alvei nell’ambito 3. 113 Relazione Finale – Capitolo 5 2. MEDIO-ALTO VARA Elevate caratteristiche di naturalità, non presenta problematiche particolari per il recupero, tranne situazioni localizzate legate ad opere antropiche. Alcuni tratti risultano adatti come zone di ricarica e alimentazione di sedimenti per i tratti a valle. 4. PIANA FILATTIERA Tratto di elevato pregio geomorfologico 1. MEDIO-ALTO MAGRA Non presenta elementi gravi dal punto di vista del recupero. Alcuni tratti risultano adatti come zone di ricarica e alimentazione di sedimenti per i tratti a valle. 3. BASSO MAGRA E VARA Ambito con problemi più gravi, in particolare deficit generalizzato di sedimenti e relative conseguenze. 6. TRATTO PREFOCIALE Necessità di mantenimento condizioni di navigabilità 5. CONFLUENZA MAGRA-VARA Tratto di elevato pregio geomorfologico Figura 5.17 – Caratteristiche generali dei tre ambiti ai fini della gestione. 2. Medio-alto Vara Caratteristiche e problematiche. Tale ambito presenta caratteristiche piuttosto simili al Medio-alto Magra, esibendo elevate caratteristiche di naturalità ma con un grado di incisione dell’alveo anche inferiore, presentando anzi situazioni localizzate di eccessiva sedimentazione. Alcuni tratti risultano adatti come zone di ricarica e alimentazione di sedimenti per i tratti a valle. Priorità. Le priorità di questo ambito sono analoghe al caso precedente, cioè innanzitutto preservare le attuali condizioni, ed in secondo luogo favorire il miglioramento dei tratti a valle. Strategie di gestione. Le strategie di gestione si identificano con quelle dell’ambito precedente. 3. Basso Magra e Vara Caratteristiche e problematiche. E’ l’ambito caratterizzato dalle problematiche geomorfologiche più gravi, cioè da un generalizzato deficit di sedimenti nella media scala temporale (incisione più forte) e dalle relative conseguenze (deficit di sedimenti alla foce, perdita risorse idriche, ecc.). Nonostante ciò, gli alvei dei fiumi Magra e Vara presentano attualmente condizioni morfologiche discrete (presenza di barre, mobilità laterale, ecc.), escludendo il tratto terminale del F.Magra pressoché fissato artificialmente. Priorità. La priorità di questo ambito diventa di conseguenza quella di migliorare le condizioni degli alvei, cercando di recuperare per quanto possibile le condizioni morfologiche ed il deficit di sedimenti ereditato dai decenni passati di intensa attività estrattiva. Strategie di gestione. La principale strategia in questo ambito diventa quella di favorire l’arrivo/immissione di sedimenti soprattutto da tratti a monte, ed in qualche misura dal tratto stesso (per erosione laterale), per risanare il deficit. 114 Relazione Finale – Capitolo 5 2. MEDIO-ALTO VARA CONSERVAZIONE/ MIGLIORAMENTO (per tratto a valle) 4. PIANA FILATTIERA CONSERVAZIONE 1. MEDIO-ALTO MAGRA CONSERVAZIONE/ MIGLIORAMENTO (per tratto a valle) 3. BASSO MAGRA E VARA MIGLIORAMENTO 6. TRATTO PREFOCIALE MANUTENZIONE 5. CONFLUENZA MAGRA-VARA CONSERVAZIONE Figura 5.18 – Scala delle priorità nelle strategie di gestione nei tre ambiti. Oltre ai tre principali ambiti del bacino, si individuano due tratti con caratteristiche geomorfologiche peculiari: 4. Piana di Filattiera. Nonostante il tratto abbia subìto una certa incisione, esso presenta caratteristiche di naturalità piuttosto spiccate, con un alveo ricco di sedimenti e dotato di una notevole mobilità laterale (Figura 5.19). Figura 5.19 – Immagine del Fiume Magra nella Piana di Filattiera che mette in evidenza le sue spiccate caratteristiche di naturalità. Queste caratteristiche morfologiche ne fanno un tratto con buone caratteristiche geomorfologiche, in termini di forme e processi esistenti, di conseguenza con buona valenza naturalistica, ecologica ed ambientale, nonostante la connessione idraulica laterale con le fasce ripariali sia a tratti limitata 115 Relazione Finale – Capitolo 5 ad una stretta fascia a causa dell’incisione subìta. Si ritiene pertanto di considerarlo come tratto di elevato pregio geomorfologico, per il quale istituire normative che vadano ad evitare o limitare ogni modifica o azione che possa interferire con la dinamica fluviale. 5. Confluenza Vara – Magra. In questo tratto entrambi gli alvei (F.Magra e F.Vara) hanno subìto una forte incisione (vari metri) e profonde trasformazioni morfologiche. Ciò nonostante, l’area conserva un elevato pregio geomorfologico, legato alla forte dinamicità, a sua volta associata alla presenza di sedimenti ancora rilevante (Figura 5.20). Il pregio di quest’area è ancor maggiore se si considera la vicinanza di aree urbanizzate (molto più che non nella Piana di Filattiera). Pertanto questa zona può valorizzare ancora di più le sue funzioni di fruizione, e le varie attività ricreative, formative e divulgative, peraltro già esistenti nell’ambito del Parco Magra. Si propone pertanto anche per questo tratto di istituire normative che vadano a preservare le attuali condizioni morfologiche, evitando o limitando ogni modifica o azione che possa interferire con la dinamica fluviale. Figura 5.20 – Immagine della confluenza tra Fiume Vara e Fiume Magra che mette in evidenza le caratteristiche di naturalità morfologica (alvei localmente a canali intrecciati) e di elevato pregio naturalistico. 6. Tratto prefociale. Infine si definisce la parte prefociale, esattamente compresa tra la foce ed il limite di navigabilità, come tratto con caratteristiche e problematiche specifiche. Esso è infatti destinato al mantenimento delle condizioni di navigabilità, pertanto in tale tratto si può consentire la rimozione periodica di sedimenti. In tal caso, il materiale rimosso deve essere recapitato in prossimità della foce e/o sulla linea di costa adiacente. In questo modo, pur soddisfacendo le esigenze di utilizzazione di questo tratto come fiume percorribile da imbarcazioni, si vanno a spostare alla foce e nelle sue vicinanze i volumi di sedimenti che comunque sarebbero destinati nel tempo ad raggiungere la linea di costa, senza quindi alterarne il bilancio. 116 Relazione Finale – Capitolo 5 In Figura 5.21 si riepilogano le strategie di gestione per i tre ambiti definiti. 2. MEDIO-ALTO VARA Favorire la ricarica ed il trasporto verso valle. Lasciare il fiume libero di evolvere naturalmente 4. PIANA FILATTIERA Esaltare i processi che promuovono la naturalità 1. MEDIO-ALTO MAGRA Favorire la ricarica ed il trasporto verso valle. Lasciare il fiume libero di evolvere naturalmente 3. BASSO MAGRA E VARA Favorire l’arrivo/immissione di sedimenti da tratti a monte per risanare il deficit 6. TRATTO PREFOCIALE Consentire la mobilizzazione di sedimenti, in tal caso spostandoli in prossimità della foce 5. CONFLUENZA MAGRA-VARA Esaltare i processi che promuovono la naturalità Figura 5.21 – Strategie generali di gestione nei tre ambiti. Si definiscono ora le principali linee d’azione o misure da applicare nei diversi ambiti, tratti e sottobacini, secondo quanto indicato nella Carta delle Strategie di Indirizzo per la Gestione dei Sedimenti. Tali azioni sono suddivise in due principali gruppi, coerentemente alla definizione della scala delle priorità: 1) Misure conservative; 2) Misure migliorative. Le misure conservative consistono sostanzialmente in divieti (non fare determinate azioni ossia non intervenire), mentre le misure migliorative consistono in azioni (interventi) che si realizzano soprattutto lungo gli alvei fluviali principali (F.Magra e F.Vara) nonché lungo i tratti di confluenza dei principali affluenti. Di seguito si elencano e si illustrano brevemente le linee d’azione (Figure 5.22 e 5.23). Misure conservative C1) Non intervenire su frane. Consiste nel non effettuare interventi di stabilizzazione su frane. C2) Non intervenire su versanti a diretto contatto con reticolo. Consiste nel non effettuare alcun tipo di intervento di stabilizzazione, protezione dall’erosione di versanti o sponde rocciose a diretto contatto con aste fluviali del reticolo idrografico. C3) Non intervenire su sponde in erosione. Consiste nel non effettuare interventi di stabilizzazione o protezione dall’erosione su sponde in sedimenti alluvionali che sono in arretramento per erosione. C4) Non costruire nuove opere trasversali. Consiste nell’evitare la realizzazione di qualunque nuova opera trasversale (soglie, briglie, traverse, dighe). C5) Non costruire nuove opere longitudinali. Consiste nell’evitare la realizzazione di qualunque nuova opera longitudinale (difese di sponda, argini, ecc.). C6) Non fare manutenzione su opere esistenti. Consiste nel non effettuare interventi di manutenzione o ripristino di opere longitudinali o trasversali che sono soggette ad erosione. 117 Relazione Finale – Capitolo 5 Figura 5.22 – Misure conservative. C1) non intervenire su frane; C2) non intervenire su versanti a diretto contatto con reticolo; C3) non intervenire su sponde in erosione; C4) non costruire nuove opere trasversali; C5) non costruire nuove opere longitudinali; C6) non fare manutenzione su opere esistenti. Misure migliorative M1) Mobilizzare sedimenti intrappolati a monte di opere trasversali. Consiste nel rimuovere meccanicamente sedimenti accumulatisi a monte di briglie o traverse e reimmetterli immediatamente a valle dell’opera stessa o trasportarli in altri punti del reticolo. M2) Mobilizzare sedimenti in alveo. Consiste nel mobilizzare sedimenti da tratti in sedimentazione, secondo varie modalità: può comprendere l’asportazione meccanica (es. scavo dal bordo di barre) oppure la rimodellazione della sezione, facendo in modo che la corrente acquisti maggiore capacità di trasporto e sia in grado di convogliare i sedimenti a valle (si veda in seguito per maggiori dettagli). M3) Mobilizzare sedimenti dalla piana inondabile. Consiste nel recuperare volumi di sedimenti all’interno della pianura adiacente attraverso interventi di riqualificazione (creazione di piana inondabile, creazione di rami secondari, ecc.) (si veda in seguito per maggiori dettagli). M4) Prevedere rilascio di un deflusso solido a valle degli sbarramenti. Consiste nel favorire il rilascio di una parte dei sedimenti accumulatisi a monte di sbarramenti artificiali, attraverso la loro periodica escavazione ed asportazione meccanica o attraverso scarichi di fondo. M5) Mobilizzare sedimenti in situazioni di rischio (per sedimentazione). Consiste nel mobilizzare depositi localizzati in corrispondenza di strutture di attraversamento (ponti) laddove questi depositi possono indurre condizioni di rischio idraulico, reimmettendoli a valle della struttura stessa o in altri tratti a valle. M6) Immettere sedimenti provenienti da altri tratti del reticolo. Consiste nell’immissione puntuale o lungo brevi tratti di sedimenti provenienti da altri tratti, appoggiando tali sedimenti sulla sponda secondo il loro angolo di riposo (si veda in seguito per maggiori dettagli). M7) Immettere sedimenti in corrispondenza di opere in situazioni di rischio (per erosione). Rappresenta il caso opposto della misura M5: nel caso di erosioni localizzate in corrispondenza di opere di attraversamento (erosione alle pile del ponte), si tratta introdurre sedimenti mobilizzati di poco a monte o da altri tratti e provenienti da situazioni in sedimentazione (in particolare caso M2). 118 Relazione Finale – Capitolo 5 Figura 5.23 – Misure migliorative. M1) mobilizzare sedimenti intrappolati a monte di opere trasversali; M2) mobilizzare sedimenti in alveo; M3) mobilizzare sedimenti dalla piana inondabile; M4) prevedere rilascio di un deflusso solido a valle degli sbarramenti; M5) mobilizzare sedimenti in situazioni di rischio (per sedimentazione); M6) immettere sedimenti provenienti da altri tratti del reticolo; M7) immettere sedimenti in corrispondenza di opere in situazioni di rischio (per erosione). 5.5 CARTA DI SINTESI DELLE VARIAZIONI DEL FONDO E DELLE TENDENZE ATTUALI Ai fini dell’ottenimento della “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti” (si veda paragrafo successivo), si è reso necessario definire una classificazione degli alvei principali (F.Magra e F.Vara) funzionale alla gestione dei sedimenti, che tenesse conto allo stesso tempo di vari aspetti, quali le variazioni altimetriche passate, le tendenze attuali ed il grado di recupero morfologico del fondo. Pertanto è stata realizzata una tavola propedeutica, denominata “Carta di sintesi delle variazioni del fondo e delle tendenze attuali”, la quale viene illustrata in questo paragrafo. Nella carta viene riportata la classificazione di sintesi, in scala 1:60.000, ed in quattro riquadri separati sul margine destro della tavola i quattro tematismi sui quali si è basata la classificazione stessa (Fig.5.24), vale a dire: 1. Variazioni altimetriche dal 1900 al 2004. Tale tematismo è tratto dalla “Carta di sintesi delle tendenze evolutive” (Relazione Magra 1) e comprende le seguenti classi: S) Stabile (variazioni tra 0.5 e -0.5 m); Il) Incisione limitata (tra -0.5 e -1 m); Im) Incisione moderata (tra -1 e -2 m); Ii) 119 Relazione Finale – Capitolo 5 Incisione intensa (tra -2 e -4 m); Iii) Incisione molto intensa (<-4 m, vale a dire abbassamento maggiore di 4 m). 2. Recupero morfologico rispetto al 1950. Tale tematismo è tratto dalla “Carta di sintesi dello stato attuale rispetto al 1950” (Relazione Magra 1), la quale è quella che meglio sintetizza il rapporto tra le tendenze attuali e le variazioni complessive avvenute nel corso degli ultimi 150 anni circa ed è quindi particolarmete adatta per gli scopi di gestione dei sedimenti. In particolare, sono state prese in considerazione solo le classi di recupero altimetrico (quota del fondo), vale a dire: A) recupero di quota del fondo superiore al 100 %; B) recupero di quota del fondo compreso tra 80 e 100 %; C) recupero di quota del fondo compreso tra 50 e 80 %; D) recupero di quota del fondo compreso tra 0 e 50 %; E) recupero di quota del fondo inferiore allo 0 %. 3. Tendenze evolutive. Tale tematismo è tratto dalla “Carta di sintesi delle tendenze evolutive” (Relazione Magra 1) e comprende i seguenti casi: S) in sedimentazione; E/S) in equilibrio/sedimentazione (tratti in cui fossero presenti evidenze di entrambe le tendenze); E) in equilibrio; I) in incisione. 4. Bilancio di sedimenti. Sono state considerate le classi derivanti dai risultati del bilancio di sedimenti ottenuto mediante i calcoli del trasporto solido al fondo, vale a dire: S) in sedimentazione; E/S) in equilibrio/sedimentazione; E) in equilibrio; E/I) in equilibrio/incisione; I) in incisione. Per fare ciò, si è ritenuto opportuno fare riferimento al bilancio di sedimenti senza l’inclusione delle sponde, in quanto, come spiegato nel Cap.4, ritenuto più significativo ai fini della gestione dei sedimenti. Figura 5.24 – Carta di sintesi delle variazioni del fondo e delle tendenze attuali. In Tabella 5.3 si riepilogano le classi relative ai quattro tematismi. 120 Relazione Finale – Capitolo 5 1. Variazioni altimetriche dal 1900 al 2004 S Stabile (variazioni tra 0.5 e -0.5 m) Il Incisione limitata (tra -0.5 e -1 m) Im Incisione moderata (tra -1 e -2 m) Ii Incisione intensa (tra -2 e -4 m) Iii Incisione molto intensa (<-4 m, vale a dire abbassamento maggiore di 4 m) Nota: mai osservati casi di aggradazione rispetto al 1900 2. Recupero morfologico rispetto al 1950 A Recupero >100% (cioè in sedimentazione rispetto al 1950) B Recupero tra 80 e 100% C Recupero tra 50 e 80% D Recupero tra 0 e 50% E Recupero <100% (cioè tuttora in incisione) 3. Tendenza attuale S In sedimentazione E/S In equilibrio/sedimentazione E In equilibrio I In incisione 4. Bilancio sedimenti S In sedimentazione E/S In equilibrio/sedimentazione (E) In equilibrio E/I In equilibrio/incisione I In incisione Nota: in equilibrio solo per i tratti a monte e per gli affluenti (condizioni di equilibrio imposte) Tabella 5.3 – Riepilogo delle classi relative ai quattro tematismi utilizzati per l’ottenimento della Carta di sintesi delle variazioni del fondo e delle tendenze attuali. Combinando tra loro le varie possibili casistiche sulla base dei quattro tematismi prima esposti, sono state ricavate 3 nuove classi, ognuna delle quali suddivisa in due sottoclassi (per un totale di sei sottoclassi), secondo quanto definito in Tabella 5.4 e 5.5. Classe 1 2 3 Definizione sintetica Tratti con tendenza alla sedimentazione e recupero alto rispetto al 1950 Tratti con tendenza variabile e recupero medio rispetto al 1950 Tratti incisi con recupero basso rispetto al 1950 Definizione estesa Tratti con tendenza univoca alla sedimentazione, con aggradazione (1A) o recupero molto alto (1B) rispetto al 1950 Tratti con recupero alto rispetto al 1950 ma con tendenze attuali non univoche (2A) oppure con recupero medio e tendenza univoca alla sedimentazione (2B) Tratti incisi, con recupero medio rispetto al 1950 ma con tendenze attuali non univoche oppure con tendenze univoche alla sedimentazione ma recupero basso (3A), fino a recupero basso e tendenza attuale all’incisione (3B) Tabella 5.4 – Definizione delle classi finalizzate alla gestione dei sedimenti. In pratica, si è cercato di tener conto delle tendenze attuali (basate sia sulle interpretazioni di campo che sui calcoli di trasporto solido) rapportate al grado di recupero morfologico. La classe 1 comprende situazioni in cui sia le interpretazioni di campo (tendenze attuali) che i calcoli del trasporto solido (bilancio di sedimenti) suggeriscono una tendenza univoca alla sedimentazione, e 121 Relazione Finale – Capitolo 5 per le quali allo stesso tempo il recupero altimetrico del fondo rispetto al 1950 fosse molto alto (in alcuni casi anche superiore al 100%, vale a dire in aggradazione netta anche rispetto al 1950). La classe 2 rappresenta una situazione intermedia, vale a dire attualmente con tendenza univoca alla sedimentazione (cioè sia in base ad interpretazioni di campo che in base al bilancio di sedimenti) ma recupero medio, oppure con recupero alto ma tendenze non univoche alla sedimentazione (vale a dire quando le interpretazioni di campo ed il bilancio idraulico presentano risultati tra loro contrastanti). La classe 3 raccoglie i tratti con incisione da moderata a molto intensa, con alcuni casi di sedimentazione attuale ma con recupero ancora limitato rispetto al 1950, fino a casi tuttora in incisione. Classe 1A 1. Variazioni altimetriche rispetto al 1900 S 1B S, Il 2A S, Il 2B 3A Im, Ii, Iii Im, Ii, Iii 2. Recupero rispetto al 1950 3. Tendenze attuali 4. Bilancio di sedimenti A S, E/S (E non esiste associato a classe A di recupero) S, E/S (E) B C, D A, B C, D A, B C, D B, C C C D E, E/S, E E, E/S, E S, E/S, E S, E/S, E I I S, E/S S, E/S, E E S, E/S S, E/S (E) S, E/S (E) E/I, I E/I, I S, E/S S, E/S S, E/S (E) E/I, I S, E/S S, E/S, E, E/I, I D S, E/S, E, I (qualunque) S, E/S, E (qualunque) Im, Ii, Iii 3B D, E E, I E/I, I Tabella 5.5 – Definizione delle classi sulla base dell’incrocio delle casistiche relative ai quattro tematismi considerati. Tratto Variazioni Recupero Tendenze Bilancio Classe 1M 2M 3M Gordana 4M 5M 6M 7M 8M 9M 10M 11M 12M 13M 14M Bagnone 15M 16M 17M 18M S S S Il Il S Il Il Il Im Im Im Im S S Il S S Il Im D D D nd B A B C C C C B C A A nd A A C C E E E E S E/S S E/S E/S E/S E/S S E/S E/S E/S E E/S E/S E E/S E I I E I E/I E/I E/I E/S E/S E/S E/S E/S E/S S E S S S E/I 1B 2A 2A 1B 2A 2A 2A 2A 1B 2B 2B 2B 2B 1A 1A 1B 1A 1A 1B 2A 122 Relazione Finale – Capitolo 5 19M 20M 21M 22M Taverone 23M 24M Aulella 25M 26M 27M 28M 29M 30M 31M 32M 33M 1V 2V 3V 4V 5V 6V 7V 8V Stora 9V 10V 11V 12V 13V 14V 15V 16V 17V Gottero 18V 19V 20V 21V 22V 23V 24V 25V 26V Mangia 27V 28V 29V 30V 31V 32V 33V 34V 35V 36V 37V 38V 39V S Il Im Im S Im Im Il Im Im Im Ii Ii Ii Ii Iii Iii Il Il Il Il S S Il Il S Il Im Im Im Im Il Il S Il S Im S Il Il Im Im Im Im Im S Im Im S Im Im Im Im Im Im Im Ii Ii Ii A C C C nd C C nd C C C D D D D E D D D B B A A B B nd B C C C C B B A B nd C D D B C C C C C nd C C A C C C D C D D D C C E/S E E/S E E/S E/S E E E E E E E E S E E E E S S S S S E S E S S S S S S S S E S E E S S S S S S E/S S S S S S S E S E E E S S 123 E/I E/I E/I I E I S E S I I I I I I I I E E E E E E S S E E/I E/I E/I E/I E/I S S S S E I I I I I I S S S E S E/I E/I E/I E/I E/I E/I E/I I I E/I E/I E/I 2A 2A 3A 3A 1B 3A 3A 1B 3A 3A 3A 3B 3B 3B 3A 3B 3B 1B 1B 1B 1B 1A 1A 1B 1B 1B 2A 3A 3A 3A 3A 1B 1B 1A 1B 1B 3A 2A 2A 2A 3A 3A 3A 3A 2B 1B 2B 3A 2A 3A 3A 3A 3B 3A 3B 3B 3B 3A 3A Relazione Finale – Capitolo 5 40V 41V 42V Usurana 43V 44V 45V 46V 47V 48V 49V 50V 34M 35M 36M 37M 38M 39M 40M 41M 42M 43M 44M 45M 46M 47M 48M 49M Im Im Im Il Ii Ii Ii Ii Im Im Ii Ii Iii Iii Iii Iii Iii Iii Iii Iii Iii Iii Iii Iii Iii Iii Iii Iii D D D nd D D D D C D D D D D D D D D D D E E E D D E D D E E E E/S E E/S E/S E E/S E E E E S S S S S S E I I I E E I E E E/I E/I E/I E S S E/S E/S E/S E/S E/S E/S E/I E/I E/I E/I E/I E/I nd nd nd nd nd nd nd nd nd nd 3B 3B 3B 1B 3A 3A 3A 3A 2B 3A 3A 3A 3B 3A 3A 3A 3A 3A 3A 3A 3B 3B 3B 3A 3A 3B 3A 3A Tabella 5.6 – Classificazione dei tratti, per ogni km, in funzione delle variazioni morfologiche, recupero, tendenze attuali e bilancio di sedimenti. La classe di recupero per gli affluenti non è disponibile (nd). Il bilancio di sedimenti si ferma al tratto 48M, pertanto a valle di esso la classe di bilancio non è disponibile (nd). 5.6 CARTA DELLE STRATEGIE DI INDIRIZZO PER LA GESTIONE DEI SEDIMENTI Attraverso la “Carta delle Strategie di Indirizzo per la Gestione dei Sedimenti” si sintetizzano le linee d’azione ed i principi ispiratori generali descritti finora, applicandoli ai vari ambiti, sottobacini e tratti fluviali nel bacino del Fiume Magra. La carta è in scala 1:60.000 e comprende un’unica tavola (Figura 5.25). La Legenda è organizzata in due parti: 1) la prima parte, disposta in verticale sul fianco sinistro della tavola, riporta gli elementi conoscitivi; 2) la seconda parte, disposta orizzontalmente nell’angolo in basso a sinistra della tavola, riporta le strategie di gestione e linee di azione. Si descrivono di seguito sinteticamente gli elementi rappresentati in legenda. Elementi conoscitivi 1. Ambiti territoriali e reticolo idrografico. Si delimitano innanzitutto i tre ambiti territoriali definiti precedentemente, vale a dire: 1. Medio-alto Magra; 2. Medio-alto Vara; 3. Basso Magra e Vara. Si riporta inoltre il reticolo idrografico dal secondo ordine secondo la gerarchizzazione di Horton-Strahler. 124 Relazione Finale – Capitolo 5 Figura 5.25 – Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti. 2. Frane. Si riportano sulla carta solo le frane selezionate come significative ai fini della ricarica dei sedimenti, secondo i criteri definiti nel par.3.8, vale a dire: 1) frane ricadenti in classe IV (potenziale alto) e V (potenziale molto alto), escludendo le frane a rischio ricadenti nelle classi R3 ed R4 del PAI.; 2) sono escluse le frane ricadenti nei sottobacini della porzione alta del bacino del Magra a monte dell’abitato di Pontremoli, per motivi di distanza ed ubicazione sfavorevole; 3) sono escluse le frane nella porzione di bacino del F.Vara a monte della diga di S.Margherita, per motivi di connessione sfavorevole. 3. Sottobacini per la ricarica diretta nel reticolo. Si riportano sulla carta i sottobacini selezionati come significativi ai fini della ricarica diretta di sedimenti (totale di 16), secondo i criteri definiti nel par.3.8, vale a dire: 1) classe del potenziale di ricarica diretta (esclusi i sottobacini ricadenti nelle classi I, II e III); 2) Distanza; 3) Ubicazione; 4) Connessione. In particolare, da un punto di vista grafico, sulla carta vengono evidenziate (sfondo verde) le aree con potenziale di ricarica diretta maggiore di zero. All’interno di tali aree si riporta il reticolo idrografico, mentre la parte di reticolo non ricadente in aree significative per il potenziale di ricarica non è riportata sulla carta, ad eccezione dei tratti terminali di tutti i principali affluenti (quelli classificati come intermedi). 4. Classificazione alvei principali. Gli alvei sono classificati nelle tre classi (1, 2, 3) e sei sottoclassi (1A, 1B, 2A, 2B, 3A, 3B) secondo quanto definito nel paragrafo precedente e secondo quanto riportato nella “Carta di sintesi delle variazioni del fondo e delle tendenze attuali”. 5. Bilancio sedimenti. Vengono evidenziati i tratti in cui sono stati suddivisi i due fiumi ai fini del bilancio di sedimenti e vengono riportati i valori di bilancio medio annuo. Tali valori sono utililizzati successivamente nell’ambito delle linee guida di gestione dei sedimenti (raccomandazioni B6 e B7) relative ai quantitativi mobilizzabili nei tratti a classi 1 o 2. 125 Relazione Finale – Capitolo 5 6. Condizioni confluenza. Vengono classificate le condizioni della confluenza dei principali affluenti (secondo quanto osservato nella fase di campo: si veda par.3.5), distinguendo i due casi: A) abbondanza di sedimenti; S) scarsità di sedimenti. 7. Tratti particolari. Si evidenziano i due tratti ad elevato pregio naturalistico, vale a dire: 1. Piana di Filattiera; 2. Confluenza Vara – Magra. Si evidenzia infine il tratto prefociale, caratterizzato da problematiche e criteri di gestione dei sedimenti particolari. Strategie di gestione e linee d’azione 1. Strategie generali ambiti territoriali. Innanzitutto si possono associare alcune priorità e strategie differenziate ai tre ambiti territoriali, sintetizzabili come segue: Strategie generali ambito 1: preservare le attuali condizioni dell’alveo e favorire la ricarica ed il trasporto verso valle per tendere a migliorare le condizioni degli alvei nell’ambito 3. Strategie generali ambito 2: preservare le attuali condizioni dell’alveo e favorire la ricarica ed il trasporto verso valle per tendere a migliorare le condizioni degli alvei nell’ambito 3. Strategie generali ambito 3: favorire l’arrivo/immissione di sedimenti da tratti a monte e dal tratto stesso (per erosione laterale). 2. Linee d’azione o misure. Si riportano le misure o linee d’azione descritte nel paragrafo precedente e qui di seguito elencate. Misure conservative: C1) Non intervenire su frane; C2) Non intervenire su versanti a diretto contatto con reticolo; C3) Non intervenire su sponde in erosione; C4) Non costruire nuove opere trasversali; C5) Non costruire nuove opere longitudinali; C6) Non fare manutenzione su opere esistenti. Misure migliorative: M1) Mobilizzare sedimenti intrappolati a monte di opere trasversali; M2) Mobilizzare sedimenti in alveo; M3) Mobilizzare sedimenti dalla piana inondabile; M4) Prevedere rilascio di un deflusso solido a valle degli sbarramenti; M5) Mobilizzare sedimenti in situazioni di rischio (per sedimentazione); M6) Immettere sedimenti provenienti da altri tratti del reticolo; M7) Immettere sedimenti in corrispondenza di opere in situazioni di rischio (per erosione). Linee d’azione frane - Le frane riportate sulla carta sono da considerarsi aree di ricarica naturale di sedimenti non a rischio. Per tali frane vale l’azione C1: “Non intervenire su frane”, vale a dire è fortemente sconsigliato qualunque intervento di stabilizzazione. Linee d’azione sottobacini - Per tali sottobacini vale in generale l’azione C2: “Non intervenire su versanti a diretto contatto con reticolo”, ovvero è fortemente sconsigliato qualunque intervento di stabilizzazione o di protezione dall’erosione di sponde o versanti a contatto o nelle immediate vicinanze con aste fluviali del reticolo. - Valgono inoltre le seguenti misure relative alle aste fluviali rientranti in questi sottobacini: C3: “Non intervenire su sponde in erosione”; C4: “Non costruire nuove opere trasversali”; C5: “Non costruire nuove opere longitudinali”. - Vale la misura C6: “Non fare manutenzione su opere esistenti” eccetto laddove le opere esistenti sono a protezione di elementi a rischio e la loro mancata manutenzione minacci il danneggiamento di tali elementi. - Vale inoltre la misura M1: “Mobilizzare sedimenti intrappolati a monte di opere trasversali” laddove esistono opere trasversali (briglie o dighe) che bloccano o rallentano il libero transito di sedimenti al fondo. 3. Gestione sedimenti negli alvei principali. Alle tre classi principali (1, 2 e 3) si associano determinate strategie e linee d’azione, definite come segue: Classe 1: Promuovere la mobilizzazione nel tratto stesso (azione M2) o verso i tratti a classe 3 a valle più vicini (azioni M1 o M5); 126 Relazione Finale – Capitolo 5 Classe 2: Consentire la mobilizzazione nel tratto stesso (azione M2) o verso i tratti a classe 3 a valle più vicini (azioni M1 o M5); Classe 3: Non consentire alcuna mobilizzazione, eccetto nel caso di sedimentazioni localizzate in corrispondenza di opere (azione M5), permettendo solo spostamenti a valle all’interno dello stesso tratto. Promuovere l’immissione di sedimenti (azioni M6 o M7) provenienti da tratti a monte. Per raccomandazioni più dettagliate relative ai sedimenti in alveo, si rimanda al paragrafo successivo. 4. Gestione tratti specifici. Per quanto riguarda i tratti specifici, si definiscono le seguenti raccomandazioni: Tratti ad elevato pregio geomorfologico: evitare modifica o azione in alveo che possa interferire con la morfologia ed i processi attuali (azioni C3, C4, C5, C6). Tratto prefociale: mantenimento della sezione di deflusso, consentendo a tal fine periodiche mobilizzazioni di sedimenti, a condizione che essi rimangano all’interno della stessa unità fisiografica. 5.7 GESTIONE DEI SEDIMENTI: LINEE GUIDA E RACCOMANDAZIONI Scopo di questo paragrafo è quello di integrare le raccomandazioni già definite precedentemente nella Relazione Magra I sulla base dei nuovi elementi conoscitivi acquisiti in questa seconda fase dello studio. Le presenti raccomandazioni sono parte integrante della “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti” e sono quindi ad essa strettamente collegate. Per alcune tipologie di interventi e di strategie di gestione, si farà inoltre riferimento ad esperienze condotte in altri paesi per gli stessi scopi. 5.7.1 Normativa esistente per il bacino del Fiume Magra La base di partenza e di riferimento per la definizione o il perfezionamento di linee guida e di procedure normative per la gestione di sedimenti nel bacino del Fiume Magra è costituita dalla normativa esistente in merito, vale a dire l’Art.10 delle Norme di attuazione delle Misure di Salvaguardia per l’Assetto Idrogeologico del bacino del fiume Magra, Autorità di Bacino Interregionale del Fiume Magra, il cui testo è riportato integralmente di seguito per comodità di lettura. ART. 10 Rimozione di sedimenti da alvei ed aree inondabili - Norme generali. 1. Anche al fine di coniugare le esigenze locali di ripristino dell’officiosità idraulica degli alvei e di ripascimento degli arenili, negli alvei dei corsi d’acqua che costituiscono il reticolo idrografico del bacino del F. Magra valgono le seguenti norme generali vincolanti: a) La rimozione di sedimenti è consentita nei seguenti casi: 1. interventi che riguardino quantitativi massimi di mc.100 per richiedente per anno e che siano finalizzati ad interventi di realizzazione di opere idrauliche, di restauro conservativo di edifici e infrastrutture, nonché al mantenimento dei percorsi esistenti in ambito fluviale, previa specifica autorizzazione dell’Autorità idraulica competente; 2. interventi che si rendano necessari per la navigabilità nelle zone consentite, per la manutenzione e conservazione della sezione utile di deflusso e per l’eliminazione di cause di pregiudizio della funzionalità delle opere e delle infrastrutture; 3. interventi che si rendano necessari per il mantenimento dell’officiosità dei canali di scarico e/o del volume utile di ritenzione di bacini regolati da opere di sbarramento idraulico; 4. interventi che si rendano necessari per il mantenimento dell’efficienza idraulica delle opere di laminazione realizzate secondo le previsioni del Piano. b) Le attività previste alla lettera a), punti 2), 3) e 4) sono consentite a condizione che il materiale rimosso sia utilizzato nei seguenti modi e priorità: 1. movimentazione in loco o nelle immediate pertinenze dell’alveo, con possibilità di utilizzo della frazione grossolana per la realizzazione di opere idrauliche; 2. risistemazione in sezioni a valle soggette ad erosione; 3. risistemazione nei litorali connessi come definiti all’art. 5; 127 Relazione Finale – Capitolo 5 4. in deroga al punto precedente, è consentita la risistemazione nei litorali non connessi della riviera spezzina, non dotati di alimentazione propria, qualora sia impossibile la risistemazione nei litorali connessi; 5. smaltimento in discarica solo nel caso in cui il materiale sia classificato come rifiuto non inerte. c) Ai sensi dell’art. 10 della Legge 23 marzo 2001, n. 93, i sedimenti oggetto di rimozione dal demanio fluviale e di risistemazione nel demanio marittimo, ai fini del ripascimento degli arenili, non sono considerati rifiuti. d) I progetti degli interventi di rimozione di sedimenti dagli alvei, di cui al presente comma, sono approvati dall’Autorità Idraulica competente, che acquisisce il parere obbligatorio e vincolante del Comitato Tecnico dell’Autorità di Bacino nei casi di progetti riguardanti volumi superiori ai 5.000 m3. e) I progetti di cui alla lettera d) devono prevedere tempi di realizzazione più brevi possibili, con conseguente scadenza dell’autorizzazione in caso di superamento dei tempi previsti, nonché modalità di controllo delle quantità estratte anche attraverso accertamenti documentali e verifica delle sezioni riferite ad inizio e termine lavori. f) I progetti di cui alla lettera d) devono in ogni caso contenere, oltre agli aspetti idraulici, anche quelli relativi alla tutela degli elementi ambientali coinvolti dagli interventi, rispettando indicazioni di cui all’Allegato n. 3. 2. Fino al 31.12.2002, e limitatamente alle quantità di sedimenti, di cui al comma 1, lettera a), punti 2, 3 e 4, che sia dimostrato non essere possibile ricollocare nei modi indicati al comma 1, lettera b), è consentita la compensazione dell’onere della sistemazione, conseguente a calamità naturali o diretta a prevenire situazioni di rischio, con il valore del materiale estratto riutilizzabile in conformità all’art.10-bis della L. 23 dicembre 1996, n.677, ossia sulla base di appositi piani d’intervento da sottoporre a nulla osta del Comitato Tecnico dell’Autorità di Bacino, e da redigersi seguendo i criteri indicati nell’Allegato n° 7. 3. La scadenza di cui al comma 2 può essere prorogata dal Comitato Istituzionale dell’Autorità di Bacino a seguito di analoghe proroghe concesse dallo Stato in materia di protezione civile. 4. Al fine di tutelare il sistema idrogeologico di fondovalle, la rimozione dei sedimenti dalle aree inondabili di golena esterne agli alvei, perimetrate in TAV. 4 come inondabili per eventi con tempi di ritorno fino a 200 anni, è consentita solo nei seguenti casi ed alle seguenti condizioni: a) deve riguardare le sole aree interessate da interventi strutturali di laminazione previsti dal Piano; b) può configurarsi come cava di prestito per la realizzazione di opere pubbliche di interesse statale, riconosciuto dalla Regione Liguria e dalla Regione Toscana per i rispettivi territori di competenza, se finalizzata anche alla realizzazione delle opere connesse con gli interventi strutturali di laminazione di cui alla lettera a); c) non deve interferire con il regime idrico della falda e deve riguardare i soli volumi utili alla laminazione e quelli necessari alla realizzazione delle opere idrauliche e degli interventi di recupero ambientale; d) i relativi progetti devono contenere contestualmente anche il progetto dell’opera idraulica e di ripristino ambientale, così come contestuale deve essere anche la loro realizzazione; tali progetti, in quanto progetti di Piano, devono essere approvati con le modalità indicate all’art. 16, comma 2, lettera b). 5. Ad esclusione dei casi consentiti ed indicati al presente articolo, è vietata la rimozione di sedimenti dagli alvei dei corsi d’acqua e dalle aree perimetrale in TAV 4 come inondabili per eventi con tempi di ritorno fino a T=200 anni. 5.7.2 Raccomandazioni e linee guida per la gestione dei sedimenti Le seguenti raccomandazioni sono suddivise in tre principali azioni (Tabella 5.7): 1. Mobilizzazione di sedimenti in alveo; 2. Mobilizzazione di sedimenti dalla pianura; 3. Reintroduzione di sedimenti in alveo. La mobilizzazione di sedimenti in alveo è l’azione principale. Si parla di mobilizzazione di sedimenti in quanto, condividendo quanto riportato nell’Art.10, comma 1 lettera b) delle norme di attuazione del Progetto di Piano Stralcio, il materiale rimosso andrebbe riutilizzato prioritariamente per obiettivi di riequilibrio sedimentologico del fiume o della linea di costa. Non è quindi contemplata la possibilità di rimozione dei sedimenti intesa come asportazione degli stessi dal sistema fluviale. Si prenderanno in rassegna inoltre varie tipologie di mobilizzazione di sedimenti dalla pianura, qualora questa strategia fosse perseguibile e soprattutto in associazione a possibili interventi di riqualificazione fluviale, facendo riferimento ad esperienze simili condotte in altri paesi. L’ultima azione è quella di immissione, o il più delle volte meglio definibile come reimmissione di sedimenti in alveo. 128 Relazione Finale – Capitolo 5 Azioni 1. Mobilizzazione di sedimenti in alveo A. Se e quando mobilizzare sedimenti B. Quanti sedimenti possono essere mobilizzati C. Da dove dovrebbero essere mobilizzati D. Qual è il modo migliore per mobilizzare sedimenti E. Quanto frequentemente dovrebbero essere mobilizzati F. Dove spostare i sedimenti mobilizzati 2. Mobilizzazione di sedimenti nella pianura 3. Reintroduzione di sedimenti in alveo Raccomandazioni A1, A2, A3 B4, B5, B6, B7, B8, B9 C10, C11, C12, C13, C14 D15, D16, D17 E18 F19, F20, F21, F22 23 24, 25, 26 Tabella 5.7 – Riepilogo delle raccomandazioni di gestione dei sedimenti suddivise per azioni. 1. Mobilizzazione di sedimenti in alveo A. Se e quando mobilizzare sedimenti 1. E’ necessario preservare il più possibile la diversificazione morfologica naturale che il corso d’acqua possiede o tende ad acquisire, cioè le sequenze riffle-pool, le barre, le isole, la piana inondabile, le sinuosità naturali del canale di magra, in quanto la loro presenza promuove spontaneamente la diversificazione di habitat e la funzionalità ecologica e da un punto di vista geomorfologico favorisce il mantenimento di una configurazione stabile (equilibrio dinamico). 2. In generale è necessario pertanto limitare gli interventi di mobilizzazione di sedimenti in alveo, dal momento che essi possono arrecare alterazioni al sistema fisico e disturbo agli ecosistemi esistenti. In particolare, deve essere evitato qualunque intervento durante il periodo di riproduzione dei pesci o altri periodi critici per gli ecosistemi, sia per il disturbo diretto che per il possibile aumento di torbidità dell’acqua. 3. Si possono mobilizzare sedimenti esclusivamente da tratti attualmente in equilibrio e/o sedimentazione che rientrano in classe 1 o classe 2 della “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti” (quindi aventi un elevato recupero morfologico del fondo rispetto alla situazione di riferimento del 1950). Nel caso di tratti in classe 1, è opportuno promuovere la mobilizzazione di sedimenti, destinandoli a tratti a valle in deficit di sedimenti. Nel caso di tratti in classe 2, si può consentire la mobilizzazione di sedimenti, spostandoli nello stesso tratto o destinandoli a tratti a valle in deficit di sedimenti, qualora la presenza di un’eccessiva quantità di sedimenti può creare condizioni di rischio per infrastrutture o abitazioni adiacenti. Qualora non siano presenti condizioni di rischio (vicinanza di infrastrutture o abitazioni), pur in condizioni di evidente sedimentazione, non è necessario intervenire. Nel caso di tratti in classe 3, si possono mobilizzare sedimenti solo in situazioni di sedimentazione localizzata in corrispondenza di opere, dove tali sedimenti possano creare condizioni di grave rischio per le opere stesse o per infrastrutture o abitazioni adiacenti. B. Quanti sedimenti possono essere mobilizzati 4. L’alimentazione di sedimenti in un tratto di fiume è fortemente variabile nel tempo. Talora, per un numero considerevole di anni non si verificano portate tali da produrre una significativa alimentazione di sedimenti in un dato tratto di fiume ed in questi anni solo piccole quantità di sedimenti sono rifornite a quel tratto. Ciò implica che il mantenimento di tassi di rimozione stazionari nel tempo in tali periodi può essere molto dannoso. E’ preferibile che la quantità di sedimenti stabilita con i criteri successivi venga mobilizzata a seguito di piene di una certa intensità, in grado di produrre o accentuare situazioni di sedimentazione, piuttosto che durante periodi senza piene significative. 5. Affinché la rimozione di sedimenti abbia effetti minimi sulle condizioni morfologiche dell’alveo, è cruciale il rapporto tra quantità rimossa ed il tasso di rifornimento di sedimenti da monte (o alimentazione: replenishment rate). La quantità rimossa dovrebbe 129 Relazione Finale – Capitolo 5 6. 7. 8. 9. essere inferiore al tasso di alimentazione. Per definire quantitativamente l’eventuale volume di sedimenti da mobilizzare: (a) si fa riferimento alla stima del solo trasporto solido al fondo; (b) in particolare, la grandezza su cui si basa la massima quantità mobilizzabile è la differenza tra trasporto solido proveniente dal tratto a monte e capacità di trasporto del tratto. Per i volumi mobilizzabili, occorre pertanto far riferimento ai valori del bilancio medio annuo. Per i tratti in classe 1, si possono distinguere due casi: a) il valore del bilancio medio annuo del tratto è positivo; b) il valore del bilancio medio annuo del tratto è negativo (si ricorda che ciò è possibile nel caso in cui il tratto, secondo il bilancio idraulico, è in equilibrio, richiamando il fatto che tale caso comprende anche situazioni di bilancio lievemente negativo). Nel caso di bilancio positivo, è possibile prevedere uno spostamento verso il primo tratto a valle di classe 3: il volume mobilizzabile da un tratto non può eccedere il valore di bilancio medio annuo, riportato nella “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti”. Dato che è raccomandabile eseguire un intervento di mobilizzazione nello stesso tratto al massimo ogni 5 anni (punto E18), teoricamente sarebbe possibile mobilizzare un volume pari a 5 volte il valore del bilancio medio annuo. Tuttavia, cautelativamente si raccomanda di non superare un volume pari a 2,5 volte il bilancio medio annuo. Nel caso di bilancio negativo, i sedimenti mobilizzati devono essere spostati all’interno dello stesso tratto, a valle dell’intervento, preferendo un intervento di aumento locale della capacità di trasporto (punto D16) piuttosto che una mobilizzazione meccanica. Per i tratti in classe 2, analogamente al punto precedente, si possono distinguere due casi: a) il valore del bilancio medio annuo del tratto è positivo; b) il valore del bilancio medio annuo del tratto è negativo (si ricorda che ciò è possibile nel caso in cui il tratto ha una tendenza all’incisione, secondo il bilancio idraulico, oppure è in equilibrio, ricordando che tale caso comprende anche situazioni di bilancio lievemente negativo). Nel caso di bilancio positivo, è possibile prevedere uno spostamento verso il primo tratto a valle di classe 3: per quanto riguarda i volumi mobilizzabili, si è ricondotti al punto precedente (B6). Nel caso di bilancio negativo, i sedimenti mobilizzati devono essere di volume limitato e spostati all’interno dello stesso tratto, a valle dell’intervento di mobilizzazione e dove non esistano situazioni di sedimentazione localizzata ed allo stesso tempo condizioni di rischio, preferendo un intervento di aumento locale della capacità di trasporto (punto D16) piuttosto che una mobilizzazione meccanica. Per i tratti in classe 3, i quantitativi rimossi devono essere molto limitati, limitandosi alla quantità strettamente necessaria per eliminare la sedimentazione localizzata. Esistono comunque molte incertezze legate all’attendibilità delle stime di portata solida ed al fatto che i tassi di alimentazione di sedimenti sono fortemente variabili nel tempo. E’ necessario quindi prevedere in tutti i casi un monitoraggio, per riverificare i tassi massimi precedentemente definiti nel caso in cui si registrassero effetti indesiderati. C. Da dove dovrebbero essere mobilizzati Una volta individuato il tratto dove effettuare una certa mobilizzazione di sedimenti (in base al punto A3), devono esistere anche alcune limitazioni sui punti precisi dove intervenire, in modo da preservare la variabilità morfologica e topografica nell’alveo. Si possono definire le seguenti due limitazioni particolari: 10. Non deve essere consentito un abbassamento sistematico della sommità delle barre lungo l’intero tratto di intervento. Ciò infatti eliminerebbe gli habitat ad esse associati, i quali sono particolarmente importanti come rifugio per la fauna durante le piene, e ridurrebbe la possibilità per lo sviluppo di nuove isole nel tratto interessato (si veda per maggiori dettagli il punto D). 11. Non deve essere contemplata una persistente mobilizzazione di sedimenti del fondo in un unico punto della quantità massima stabilita, in quanto ciò produrrebbe un’interruzione del flusso continuo di materiale del fondo a valle di quel punto e creare una netta discontinuità. Ciò 130 Relazione Finale – Capitolo 5 porterebbe ad abbassamento del fondo immediatamente a monte ed a valle, con una significativa riduzione della variabilità topografica nel tratto interessato. 12. In situazioni di barre alte a forma lobata caratteristiche di tratti semiconfinati a brusca curvatura, si potrebbe effettuare una mobilizzazione di sedimenti dalla superficie della barra e sul fianco rivolto verso il fondo dell’alveo per circa i 2/3 di valle della barra, in modo da incrementare la portata defluibile e ridurre i livelli idrici locali ed a monte durante le piene. I sedimenti rimossi possono essere spostati e ridistribuiti immediatamente a valle della curva, in modo da essere mobilizzati durante piene successive. Bisognerebbe invece evitare una rimozione di materiale nella zona di testa (estremità a monte) della barra: essendo questa una zona di incidenza diretta da parte della corrente liquida, caratterizzata in genere da sedimenti più grossolani ed in parte corazzati, una sua rimozione completa potrebbe destabilizzare l’alveo producendo effetti imprevedibili ed indesiderati. Inoltre, i punti più alti della barra non dovrebbero essere rimossi per le ragioni prima esposte. 13. Nei casi di barre laterali o di meandro la cui presenza favorisce l’incidenza della corrente nei confronti della sponda opposta, la quale risulta in erosione ed il cui arretramento mette a rischio la presenza di insediamenti o infrastrutture che si vogliono difendere: si possono considerare valide le precedenti raccomandazioni, cercando di rimuovere sedimenti solo dal fianco della barra, evitando quindi di abbassarne la sommità, ed utilizzando i sedimenti mobilizzati adagiandoli sulla sponda opposta in erosione, in modo da favorirne il transito verso valle durante le piene successive 14. In situazioni di sedimentazione localizzata legate ad opere antropiche (ponti, briglie, soglie), è opportuno rimuovere periodicamente i sedimenti dalle pile del ponte o a monte della briglia e della soglia, spostandoli e distribuendoli uniformemente a valle, per un tratto sufficientemente lungo da evitare accumuli localizzati che possano avere effetti sensibili sulla corrente. Se anche il tratto immediatamente a valle è in forte sedimentazione ed esistono altre situazioni di rischio, ci si riconduce ai casi G17 o G18. D. Qual è il modo migliore per mobilizzare sedimenti Esistono varie tecniche per mobilizzare sedimenti da un alveo fluviale. Si possono innanzitutto distinguere due approcci diversi: a) mobilizzare meccanicamente i sedimenti, attraverso operazioni di asportazione e spostamento effettuate con mezzi di scavo; b) indurre un aumento localizzato della capacità di trasporto, favorendo la mobilizzazione da parte della corrente. 1. Mobilizzazione meccanica. Le tecniche possibili sono a loro volta riconducibili alle seguenti principali categorie: (1) realizzazione di uno scavo profondo (deep pit) lungo il canale principale o nelle immediate adiacenze; (2) dragaggio continuo del fondo (continuous dredging); (3) asportazione della sommità della barra (bar scalping); (4) scavo lungo il bordo della barra (baredge excavation). La realizzazione di uno scavo profondo (deep pit) (Figura 5.26a) (più frequentemente adoperata) è quella economicamente più conveniente dal punto di vista di chi effettua l’attività estrattiva, dal momento che è relativamente più semplice tecnicamente e, a parità di lunghezza del tratto di intervento, i volumi estratti sono maggiori. Dal punto di vista morfologico ed ecologico essa rappresenta invece la tecnica più dannosa, in quanto ha un maggiore impatto sull’equilibrio morfologico del corso d’acqua. L’intervento può infatti indurre un riempimento della zona soggetta a scavo e privare il tratto di valle dei sedimenti depositatisi, causando possibili processi di erosione che progressivamente possono alterare la morfologia dell’alveo. Il dragaggio continuo del fondo (continuous dredging) è invece quello tipicamente utilizzato per scopi di mantenimento della navigabilità. Rappresenta ovviamente un intervento a forte impatto per la morfologia dell’alveo o gli habitat, ma nel tratto prefociale è l’unico possibile se effettivamente si vogliano mantenere condizioni di navigabilità. 131 Relazione Finale – Capitolo 5 L’asportazione della sommità di una barra (bar scalping) (Figura 5.26a) è, rispetto alle due precedenti, certamente meno impattante. Può essere eseguita durante periodi di magra interamente su porzioni emerse della barra, pertanto non ha effetti immediati consistenti sulla qualità dell’acqua (aumento di torbidità). Tale tecnica presenta tuttavia una serie di problemi dal punto di vista di conservazione degli habitat, principalmente i seguenti: - Modifica aree relativamente estese dell’alveo in rapporto al volume di materiale rimosso. Viene generata una superficie di materiale sciolto e parzialmente rimaneggiato che è soggetto più facilmente ad erosione, soprattutto le frazioni più fini, rispetto alla superficie parzialmente corazzata pre-esistente. - Elimina le irregolarità presenti sulle sommità delle barre che sono generalmente in grado di creare microhabitat. - Riduce la quota della sommità delle barre eliminando dei potenziali rifugi per organismi di vario genere durante piene di modesta entità. Lo scavo lungo il bordo della barra (bar-edge excavation) (Figura 5.26b), permette di lasciare invariata la quota della sommità della barra effettuando lo scavo solo dal lato a contatto con il canale di magra. La sezione rimossa è assimilabile ad un parallelogramma, il cui spessore può variare a seconda del volume totale di sedimenti da rimuovere. Tale tecnica minimizza gli svantaggi precedenti: in particolare, rimanendo invariata l’altezza della barra, permette il mantenimento di rifugi durante piene di modesta entità. Tuttavia esiste l’inconveniente di richiedere uno scavo direttamente a contatto con l’acqua, con varie conseguenze, quali: effetti sulla qualità dell’acqua per i tratti a valle a seguito del rilascio di materiale fine; possibile disturbo di aree adatte alla deposizione di uova da parte di pesci; forti impatti sulle popolazioni di organismi bentonici. Figura 5.26 - Possibili tecniche di asportazione di sedimenti da un tratto in sedimentazione con barre (da Church et al., 2001). a) Realizzazione di uno scavo profondo (deep pit) o asportazione della sommità della barra (bar scalping); b) scavo lungo il bordo della barra (bar-edge excavation). 2. Aumento locale della capacità di trasporto. Una tecnica alternativa alla mobilizzazione meccanica è quella di rimodellare l’alveo attivo in modo tale da creare una geometria temporanea che accresca localmente la capacità di trasporto della corrente. Ciò viene ottenuto restringendo localmente l’alveo attivo, spostando i sedimenti in posizione più centrale in modo da delimitare il canale attivo da uno o da entrambi i lati da piccoli rilevati di ghiaia spostati nel tratto stesso. Il corso d’acqua aumenta localmente la capacità di trasporto ed è in grado di mobilizzare i sedimenti stessi accumulati sui fianchi e ne favorisce il transito verso valle. Tali interventi, ripetuti lungo i tratti più sensibili, permettono ai sedimenti di migrare nei tratti in deficit. Interventi di questo tipo sono stati ad esempio eseguiti nel bacino del Drome in Francia (Figura 5.27) (Piegay & Rinaldi, 2006). 132 Relazione Finale – Capitolo 5 Figura 5.27 – Esempio di intervento di aumento locale della capacità di trasporto sul F.Drome (Francia). Nel caso di un tratto rettilineo, i sedimenti accumulati sulle barre laterali vanno spostati verso il centro dell’alveo in modo da creare una specie di argine fra il canale di magra e la barra (Figura 5.28A). Particolare cautela va usata nel modellare l’inizio del restringimento: esso va realizzato in modo che il flusso venga convogliato completamente all’interno del canale di magra, senza che si formino canali esterni che renderebbero meno efficiente l’intervento. Se il tratto è meandriforme o presenta delle curve, il principio rimane quello di spostare i sedimenti verso la parte centrale del canale di magra creando una specie di arginello in ghiaia (Figura 5.28B), anche in questo caso prestando particolare cautela ad evitare la formazione di canali di taglio sulla barra; oltre alla diminuzione dell’efficienza dell’intervento in questo caso si avrebbe anche un accorciamento del percorso con conseguente aumento della pendenza e possibile innesco di fenomeni erosivi, oltre che un impoverimento delle forme fluviali. A B Figura 5.28 – Interventi di aumento localizzato della capacità di trasporto. A) Caso di un tratto rettilineo compreso tra barre alternate; B) caso di un tratto curvo. 133 Relazione Finale – Capitolo 5 Le considerazioni precedenti si possono sintetizzare nelle seguenti raccomandazioni: 15. Nel caso di mobilizzazione meccanica di sedimenti in alveo: a) scartare la realizzazione di uno scavo profondo (1); b) limitare la tecnica di asportazione della sommità di una barra (3) solo a barre di piccole dimensioni; c) preferire la tecnica di scavo lungo il bordo della barra per barre di dimensioni relativamente grandi. Lo scavo potrebbe riguardare l’intera lunghezza della barra e continuare fino alla coda della stessa, evitando invece di rimuovere sedimenti dalla testa (estremità di monte della barra), la quale generalmente è bassa e corazzata. La stabilità globale dell’intera barra e dell’alveo dipende infatti fortemente dalla stabilità della testa della barra stessa. L’intervento dovrebbe in tutti i casi essere eseguito in modo da mimare le caratteristiche forme sedimentarie, cioè creando irregolarità sulla sommità delle barre per mantenere la diversità di microhabitat. 16. Promuovere, anche a livello sperimentale e con successivo monitoraggio, la realizzazione di alcuni interventi di aumento locale della capacità di trasporto. Tali interventi possono essere preferibili soprattutto in corrispondenza di accentuate sedimentazioni localizzate, dove il deposito di sedimenti è legato alla configurazione planimetrica dell’alveo (ad es. in corrispondenza di tratti a forte curvatura) o a condizioni di perdita locale della capacità di trasporto, e dove i tratti di poco a valle sono invece in condizioni di deficit di sedimenti. 17. Consentire la tecnica del dragaggio continuo del fondo esclusivamente per il tratto prefociale. E. Quanto frequentemente dovrebbero essere mobilizzati da uno stesso punto Per rispondere a questa domanda bisognerebbe conoscere meglio i seguenti aspetti: - effetti di una rimozione ripetuta di sedimenti sia sulla morfologia del sito di asportazione che sul tratto a valle, in termini di flusso di sedimenti e di variazioni morfologiche; - effetti di disturbi ripetuti sugli ecosistemi, pesci ed organismi bentonici. Sul primo aspetto ci si può basare sulle esperienze passate relative a vari casi di studio: laddove le escavazioni sono state protratte a lungo nel tempo e sono state tali che il materiale rimosso risultasse superiore al tasso di rifornimento di sedimenti da monte, le conseguenze sono state drammatiche, sia nel sito di asportazione che a monte ed a valle. Alla luce della limitata conoscenza di questi aspetti, si può effettuare una raccomandazione in via precauzionale: 18. Bisogna evitare di intervenire negli stessi punti per più di una volta in 5 anni consecutivi. Rimozioni ripetute nello stesso punto non dovrebbero essere consentite per evitare eccessivi stress alle comunità presenti nonché il possibile innesco di fenomeni erosivi. F. Dove spostare i sedimenti mobilizzati I sedimenti mobilizzati vanno trasferiti in altri punti meno critici dello stesso tratto o in tratti a valle. Si possono fornire le seguenti raccomandazioni generali: 19. Nel caso di spostamenti limitati all’interno dello stesso tratto, ci si può ricondurre ai seguenti casi principali: (a) nel caso di rimozione di sedimenti da una barra alta in situazione di brusca curvatura (caso C10), i sedimenti vanno spostati a valle della curva, dove possono essere normalmente trasportati dalla corrente durante piene successive; (b) nel caso di rimozione di sedimenti dal fianco di una barra con sponda opposta in erosione, una parte dei sedimenti possono essere collocati sulla sponda stessa, in maniera da rallentarne temporaneamente l’arretramento ma senza alterare quantitativamente il flusso di sedimenti verso valle, un’altra porzione può essere collocata a valle della barra; (c) se esistono nello stesso tratto situazioni di erosioni localizzate (ad es. sottoescavazione delle pile di un ponte o di una protezione di sponda, ecc.), i sedimenti vanno collocati in loro corrispondenza. 20. Nel caso di spostamento in tratti a valle, esso va effettuato nel primo tratto a classe 3, secondo la “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione di sedimenti”, a valle dell’intervento di mobilizzazione. In tal caso sono da prendere in considerazione invece spostamenti di 134 Relazione Finale – Capitolo 5 sedimenti in tratti adiacenti in condizioni di deficit di sedimenti e con caratteristiche sedimentarie simili (vale a dire dimensioni granulometriche simili dei sedimenti del fondo), in modo da non creare alterazioni nei normali processi di selezione granulometrica. 21. Lo spostamento in tratti a valle è consentito ai tratti in classe 1 o classe 2 della “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione di sedimenti”, mentre nei tratti a classe 3 è consentito solo lo spostamento all’interno dello stesso tratto. 22. Un caso a parte è rappresentato dal tratto prefociale: per tale tratto (seppure non di classe 1 o 2) è previsto lo spostamento diretto alla foce o lungo zone costiere adiacenti. 2. Mobilizzazione di sedimenti nella pianura Una opzione alternativa a quella di mobilizzare sedimenti in alveo per il rifornimento dei tratti incisi è quella di effettuare interventi nella pianura adiacente. E’ utile a tal fine riportare brevemente l’esempio relativo al Fiume Ain in Francia (Piegay & Rinaldi, 2006). Il Fiume Ain, nel suo tratto vallivo, ha subìto un’erosione progressiva a seguito della realizzazione di una serie di dighe tra il 1933 ed il 1968. La progressione verso valle del deficit è stata stimata in una media di circa 500 m per anno sulla base della scomparsa di barre osservate da foto aeree. Questo è un problema rilevante in termini di preservazione ecologica, dal momento che si prevede che l’erosione raggiungerà ed interesserà nel prossimo decennio aree di grande valore ecologico. Per ridurre questo processo e ripristinare i tratti già disturbati, si sta conducendo una reintroduzione di sedimenti. I sedimenti ghiaiosi immagazzinati nella piana inondabile sono stati stimati in base a campioni e calcoli in GIS. Da queste stime, una reintroduzione artificiale di sedimenti immagazzinati nella pianura è stata considerata come una strategia realizzabile per parecchi decenni. Tale approccio è efficiente nel senso che esso ripristinerà il trasporto solido al fondo del fiume (metà del trasporto solido al fondo annuo potenziale) e gli habitat associati: esso, infatti, creerà una piana inondabile ad un livello topografico inferiore di quello precedente, in modo che si vengano a creare zone umide più frequentemente inondate e connesse nuovamente con la falda. La prima reintroduzione di sedimenti ha avuto luogo nell’agosto 2005 con materiali provenienti dall’approfondimento e allargamento di un canale abbandonato (Figura 5.29). Figura 5.29 – Sito di alimentazione artificiale di sedimenti lungo il tratto Varambon/Priay, Fiume Ain, Francia (da Piegay & Rinaldi, 2006). a) 19 Luglio 2005, poco prima della reintroduzione; b) 22 Febbraio 2006, immediatamente dopo; c) 30 Luglio 2006 dopo le piene annuali. 135 Relazione Finale – Capitolo 5 A B Figura 5.30 – Interventi di riqualificazione che si possono abbinare alla reintroduzione di sedimenti in alveo. A) Creazione di un canale secondario; B) Ricreazione di piana inondabile. La reintroduzione di sedimenti recuperati dalla pianura adiacente è una misura che può essere abbinata a progetti di riqualificazione fluviale che prevedano scavi per la ricreazione di piana inondabile o per la creazione di rami secondari, ed utilizzare la frazione grossolana per essere reimmessa in alveo. Progetti di questo tipo, oltre all’esempio del Fiume Ain riportato prima, sono abbastanza comuni in Europa (Figura 5.30). Si richiama a tal proposito il progetto di riqualificazione fluviale relativo al Fiume Vara tra Piana Battolla e la confluenza nel F.Magra, il quale prevede alcuni interventi di questo tipo. Sulla base di quanto riportato, si può fornire la seguente raccomandazione generale: 23. Promuovere progetti di riqualificazione fluviale che prevedano interventi di scavo nella pianura (creazione di piana inondabile, zone umide, canali secondari, ecc.) e reintrodurre, in via sperimentale, le frazioni grossolane del materiale scavato in tratti di alveo in deficit di sedimenti. 3. Reintroduzione di sedimenti in alveo La reintroduzione di sedimenti in tratti incisi è una pratica sempre più comune in altri paesi. La tecnica usata è in genere quella di creare un accumulo di sedimenti sciolti lungo una sponda, in modo che gli stessi si distribuiscano secondo il loro angolo di riposo (Figura 5.31). In questo modo, la reintroduzione di sedimenti non avverrà istantaneamente, rischiando così di provocare problemi di eccessiva sedimentazione localizzata, ma sarà graduale, in funzione della capacità di trasporto della corrente che eroderà progressivamente la base del cono di sedimenti favorendo una immissione naturale nel corso d’acqua. I sedimenti tenderanno progressivamente a disperdersi, formando una sorta di pennacchio che avanza sul fondo dell’alveo (Figura 5.32A). Interventi di questo tipo sono relativamente comuni in California (USA), dove sono presenti condizioni piuttosto simili a quelle di fiumi italiani per il forte impatto dovuto all’escavazione di inerti nei decenni passati e dove durante gli ultimi anni la reintroduzione di ghiaia è stata effettuata per un numero crescente di casi (Figura 5.32B). 136 Relazione Finale – Capitolo 5 Figura 5.31 – Reintroduzione di sedimenti a valle della Diga di Keswick, Fiume Sacramento (California, USA). Gli esempi precedenti si traducono nelle seguenti raccomandazioni: 24. Nel caso di mobilizzazione meccanica di sedimenti da tratti in sedimentazione, essi vanno reintrodotti nel primo tratto a valle a classe 3 e preferibilmente (ma non esclusivamente) con bilancio medio annuo negativo (tratti con tendenza all’incisione). A B Volume of Gravel Added (m3) 1 10 100 1,000 10,000 100,000 1,000,000 Sacramento River Clear Creek Middle Fork American River Trinity River Tuolumne River Stanislaus River Mokelumne River American River Feather River Merced River Payne's Creek Mill Creek Battle Creek Dry Creek Middle Creek Putah Creek Hamilton Branch Helms Creek Big Chico Creek Hat Creek Granite Creek Figura 5.32 – Reintroduzione di ghiaia in alvei fluviali incisi in California (USA). A) Migrazione della ghiaia verso valle a seguito della reintroduzione. B) Casi di reintroduzione di ghiaia e volumi immessi. 25. I sedimenti vanno reimmessi collocandoli su una sponda secondo il loro angolo di riposo. I punti di reimmissione nei tratti in deficit di sedimenti vanno individuati sulla base dei seguenti criteri: a) tratto di classe 3, cioè in deficit di sedimenti; b) accessibilità da parte di mezzi di trasporto e raggiungibilità attraverso vie camionabili; c) il punto di immissione non deve essere 137 Relazione Finale – Capitolo 5 ubicato non nelle immediate vicinanze di opere, infrastrutture o centri abitati. L’immissione può essere puntuale (caso più frequente), consistente in un singolo cono di sedimenti, oppure, nel caso di maggiori quantitativi di sedimenti, può essere distribuita per una certa lunghezza di sponda, creando una fascia di sedimenti, a forma di falda detritica, sempre distribuiti secondo il loro angolo di riposo. 26. Per quanto riguarda i quantitativi di sedimenti da poter reintrodurre, occorre far riferimento ai valori del bilancio medio annuo. Anche in questo caso (come per la quantità di sedimenti mobilizzabili, si veda punti B6 e B7) si possono distinguere due casi: a) il valore del bilancio è negativo (caso preferibile); b) il valore del bilancio è positivo (ciò è possibile nel caso in cui il tratto, secondo il bilancio idraulico, ha una tendenza alla sedimentazione). Nel primo caso, all’interno dell’intero tratto, in un anno, si può reintrodurre un quantitativo massimo pari (in valore assoluto) al bilancio medio annuo del tratto. Nel secondo caso (tratto con tendenza alla sedimentazione), il quantitativo da reintrodurre deve essere più limitato. 5.7.3 Documentazione da presentare per richieste di mobilizzazione Nel caso di richiesta di mobilizzazione di sedimenti, la documentazione da presentare da parte del soggetto proponente la mobilizzazione è la seguente: 1) Cartografia di inquadramento alla scala 1:10.000, con planimetrie e sezioni illustrative dell'intervento in scala adeguata e con calcolo dei volumi che si intendono mobilizzare; 2) Dettagliata descrizione della quantità di sedimenti da mobilizzare, delle procedure utilizzate per la mobilizzazione, e di dove spostare i sedimenti mobilizzati, che tenga conto delle Linee guida e Raccomandazioni riportate nel precedente paragrado e resi disponibili da parte dell’Autorità di Bacino. 3) Nel caso l’intervento di mobilizzazione proposto rientri in un tratto classificato in classe 2 o in classe 3 nella “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti”, è richiesta una dettagliata relazione idraulica che quantifichi i benefici idraulici, in termini di riduzione dei livelli idrici per portate con i tempi di ritorno adottati nelle fasce del PAI per le aree inondabili (30, 100 e 200 anni), conseguenti alle variazioni topografiche conseguenti alla rimozione di sedimenti proposta. 4) Va richiesta inoltre una verifica delle condizioni di rischio idraulico del tratto in cui si intendono reintrodurre i sedimenti e, in particolare, una valutazione dei possibili effetti, in termini di incrementi di livelli idrici, che la sedimentazione conseguente a tale reintroduzione possa comportare. 5) Ogni intervento di mobilizzazione di sedimenti deve inoltre essere accompagnato da uno studio adeguato, anche attraverso modellistica matematica, dei possibili effetti sulla morfodinamica dell’alveo, soprattutto laddove si tratti di interventi di mobilizzazione significativi. Questo vale in particolare quando si programmano rimozioni di sedimenti nel tratto prefociale, nel qual caso è necessario uno studio adeguato per valutare i possibili effetti a monte ed a valle che tali interventi possono provocare sull’equilibrio del fondo. 3.7.4 Aggiornamento della situazione attuale e monitoraggio Da parte dell’Autorità di Bacino, deve essere previsto un periodico aggiornamento della situazione attuale e di conseguenza della classificazione dei tratti d’alveo secondo quanto riportato nella “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti”. L’evoluzione futura dell’alveo dovrebbe essere seguita costantemente sulla base di un piano di monitoraggio futuro (si veda a tal proposito quanto riportato in Relazione Magra I). Tale piano di monitoraggio deve essere basato sul rilievo topografico periodico di un certo numero di sezioni di controllo e sull’esecuzione periodica di voli aerei a scala adeguata per tali scopi. Nel caso di verificarsi di piene di notevole intensità, potrebbero crearsi situazioni di rischio associate a sedimentazioni localizzate, non accertabili attraverso le sezioni di monitoraggio, tali da richiedere interventi urgenti. In tal caso, si 138 Relazione Finale – Capitolo 5 propone che l’Autorità di Bacino possa esprimere pareri relativi a tali situazioni critiche e potrà stabilire deroghe alle norme qui riportate. 5.8 RACCOMANDAZIONI RELATIVE AD OPERE IDRAULICHE In questo paragrafo si intendono fornire dei suggerimenti e raccomandazioni di carattere generale relativamente sia ad opere idrauliche esistenti (in particolare briglie e soglie di fondo) che di possibili opere programmate per il futuro (casse di espansione), senza peraltro scendere nei meriti delle singole opere (aspetto in parte trattato nel paragrafo conclusivo). 5.8.1 Opere trasversali esistenti E’ stato più volte ribadita la necessità che i sedimenti possano muoversi nel sistema fluviale con una certa continuità, senza brusche interruzioni che causino localmente fenomeni localizzati di deposizione e di erosione e che possano ridurre il transito di volumi di sedimenti verso valle. Le briglie di per sé, almeno una volta che si è verificato il completo riempimento a monte, non dovrebbero causare in teoria una riduzione della portata solida in quanto i sedimenti sono in grado in genere di transitare a valle. Tuttavia, molte volte la necessità di manutenzione di queste opere fa sì che periodicamente i sedimenti vengono rimossi a monte delle stesse, determinando di fatto una riduzione di sedimenti. Le opere trasversali presentano anche numerosi altri effetti negativi sugli ecosistemi. Per tutti questi motivi, la rimozione di briglie ed ostacoli (weir and obstraction removal) (Figura 5.33) rappresentano misure sempre più consigliate ed utilizzate per migliorare la connettività all’interno del reticolo idrografico e per scopi di riqualificazione fluviale (si veda ad es. Downs & Gregory, 2004) , fino ad arrivare alla rimozione di dighe (large dam removal) la quale rappresenta un argomento di grosso dibattito scientifico e tecnico, soprattutto negli USA, dove sono sempre più numerose le attuazioni di tali interventi (Figura 5.34). D’altra parte, nel caso di sistemi fortemente incisi nei quali uno degli obiettivi di riqualificazione fosse quello di ripristinare la connessione idraulica laterale tra alveo e pianura adiacente per promuovere la ricreazione di habitat ripariali, in alcuni casi si propone di realizzare opere trasversali in grado di promuovere il rialzamento del fondo. La scelta dell’una o dell’altra di queste strategie (rimuovere o aggiungere briglie) apparentemente antitetiche dipende molto dal contesto locale, sia in termini geomorfologicoidraulici che socio-economici. Nel caso si è in presenza di un alveo che scorre in una zona relativamente disabitata (come spesso accade negli USA), la rimozione di una diga e tutti i riaggiustamenti morfologici che ne conseguono possono rappresentare una soluzione accettabile. Nel caso di un sistema fluviale fortemente in deficit di sedimenti, tale da avere quasi completamente depauperato il materasso alluvionale ed inciso nel substrato, la rimozione di opere trasversali può addirittura avere un effetto controproducente, causando la perdita anche dei sedimenti intrappolati a monte delle stesse. Nel caso di alvei che attraversano tratti urbanizzati e sono interessati da opere di attraversamento, l’erosione regressiva (knickpoint migration) derivante dalla rimozione di un’opera trasversale può rapidamente destabilizzare interi tratti del corso d’acqua e mettere a rischio, se non causare la distruzione, delle opere di attraversamento stesse, così come il cuneo di sedimenti depositati a monte dell’opera, trasferendosi verso valle, può produrre notevoli impatti negativi. 139 Relazione Finale – Capitolo 5 Figura 5.33 - Uno dei tanti esempi di rimozione di briglie perr il recupero ambientale (Octoraro Creek dam, USA). Figura 5.34 - Rimozione di una diga (Koshkonong River, Wisconsin) (da Downs & Gregory, 2004). Tornando al caso del bacino del Fiume Magra, si ritiene che le condizioni di urbanizzazione e di presenza di opere di attraversamento, soprattutto nei tratti vallivi, sono tali da suggerire di evitare la rimozione di briglie o soglie. Si ricorda inoltre come alcune di queste opere, in particolare le soglie realizzate lungo il tratto vallivo del F.Vara (tra Piana Battolla e la confluenza), possono aver avuto un importante ruolo nella inversione di tendenza (da condizioni dominanti di incisione a condizioni almeno locali di sedimentazione). In termini di gestione delle briglie o soglie esistenti, si suggeriscono le seguenti raccomandazioni: 1. Periodico spostamento dei sedimenti da monte a valle dell’opera. Si tratta di rimuovere i sedimenti accumulatisi a monte di briglie o soglie e di reimmetterli immediatamente a valle delle stesse. Coincide con la misura M1 precedentemente definita. Nel caso di briglie lungo aste torrentizie, si ricorda a tal proposito come in Francia gli RTM (Restoration of Mountain Terrains), la cui missione nei decenni passati era quella di costruire le briglie e attuare le sistemazioni idraulico-forestali (analogamente alle nostre Comunità Montane), al giorno d’oggi hanno convertito il loro ruolo e si occupano di manutenzione delle briglie esistenti 140 Relazione Finale – Capitolo 5 attraverso periodica mobilizzazione e spostamento dei sedimenti a valle delle stesse (Figura 5.35). Ciò viene realizzato attraverso il semplice utilizzo di pale meccaniche che spostano meccanicamente e sedimenti sul bordo della briglia e li spingono a valle. Nel caso di soglie, in tratti fluviali di pianura, il tipo di intervento è sostanzialmente lo stesso, seppure possono esserci talora maggiori difficoltà (a causa della presenza di corrente nella parte sommersa dell’alveo). Figura 5.35 - Spostamento di sedimenti da monte a valle di briglie (Beoux River, Francia). Figura 5.36 - Tipico tratto con acqua ferma (“impounded”) formatosi a monte di una briglia. 2. Manutenzione di briglie o soglie esistenti: conversione in rampe. Nel caso le opere trasversali esistenti subissero dei danneggiamenti ed avessero bisogno di manutenzione, si raccomanda di prendere in considerazione l’ipotesi di convertirle ed adeguarle ad una rampa in massi, piuttosto che ripristinare la struttura originaria. Le rampe in massi presentano infatti alcuni vantaggi rispetto alle briglie tradizionali, quali: a) pur mantenendo stabile la quota del fondo, ed evitando quindi l’innesco di fenomeni erosivi, il dislivello è distribuito su un tratto più lungo, quindi è graduale e non repentino; b) ciò permette di evitare uno dei principali difetti delle briglie dal punto di vista ecologico, cioè quello di creare omogeneità a danno di habitat, soprattutto a monte, determinando perdita o modificazione di micro e mesohabitat lotici nel corso d’acqua con una innaturale creazione di ambienti lentici (sostituzione di successioni a riffle e pool con lunghi tratti 141 Relazione Finale – Capitolo 5 “impounded” a flusso pressoché fermo) (Figura 5.36). Sono numerose le esperienze di conversione di briglie in rampe realizzate con successo (Figura 5.37). Figura 5.37 - L’interruzione della continuità longitudinale in un torrente appenninico (T. Sellustra – BO) dovuta alla briglia posta sotto al ponte (sinistra) viene eliminata grazie alla costruzione della rampa in massi (destra). 5.8.2 Opere di laminazione Per quanto riguarda le opere di laminazione previste secondo il PAI e le loro possibili interazioni con gli obiettivi della gestione dei sedimenti definiti in questo progetto, vanno innanzitutto distinte a seconda della loro tipologia: (a) casse in linea o miste; (b) casse in derivazione. Le casse in linea come è noto sono costituite da uno sbarramento trasversale, con stramazzo e bocca tarata che genera, al passaggio di un’onda di piena, un invaso temporaneo in un’area a tale scopo individuata, inducendo quindi una riduzione del picco di portata. In alcuni casi si prevede la possibilità di casse miste, vale a dire casse in linea in cui è presente un argine longitudinale che delimita l’area di espansione, argine che pu`o essere interamente o parzialmente sormontabile. Tali opere sono previste soprattutto lungo il F.Vara (dove la totalità delle opere di laminazione in progetto rientrano in queste tipologie), lungo gli affluenti (previste tutte casse in linea ad eccezione di una), mentre lungo il F.Magra rientrano in questa tipologia solo le prime due ubicate più a monte. Tali opere determinano importanti effetti sulla dinamica dei sedimenti trasportati dalla corrente e, quindi, sull’apporto solido a valle delle stesse. La quantificazione di tali effetti è importante per l’equilibrio morfologico dell’alveo e per le conseguenze sulle tendenze all’incisione o alla sedimentazione in atto. Un importante studio finalizzato proprio alla quantificazione di tali aspetti è quello da poco concluso dal DIAM di Genova (Seminara et al., 2006), nell’ambito del quale è stato realizzato un modello fisico relativo ad una cassa di tipo in linea o misto prevista nella parte alta del Vara. I risultati ottenuti, estendibili entro certi limiti anche alle altre opere di analoga tipologia realizzativa in previsione lungo la parte medio-alta del Vara e lungo numerosi affluenti, hanno messo in evidenza che l’effetto di intrattenimento di sedimenti a monte dell’opera di sbarramento è notevole. Ad esempio, è stato verificato che, a seguito di una ipotetica sequenza di identici eventi trentennali e quindicennali, il volume depositatosi a monte dell’opera è pari al 100 % durante il primo evento, riducendosi poi gradualmente fino a circa il 40 % dopo quattro o cinque eventi successivi. Ulteriori eventi conducono ad una ulteriore riduzione dell’entità del deposito ma più lieve. Si può quindi dedurre che a seguito della realizzazione di una o più di queste opere, bisogna aspettarsi una considerevole riduzione delle portate solide che transiterebbero verso i tratti di valle del F.Vara. E’ ovvio che un eventuale intervento di rimozione dei depositi immagazzinati a monte dello sbarramento, successivo ad eventi di piena particolarmente intensi, ridurrebbe molto o azzererebbe questi effetti. 142 Relazione Finale – Capitolo 5 Fatte queste considerazioni, appare ovvio che le casse in linea andrebbero evitate nei tratti del sistema fluviale dove sono più forti i problemi di deficit di sedimenti o nei tratti ad essi immediatamente a monte. Il medio-alto Vara, in questo senso, appare invece il più adatto per l’eventuale realizzazione di tali opere, date le sue condizioni di relativa abbondanza di sedimenti e, a tratti, l’esistenza di condizioni opposte di sedimentazione. Per quanto riguarda gli affluenti, il criterio più ovvio da utilizzare per la selezione delle situazioni più adatte alla realizzazione di casse in linea è quello dell’appartenenza o meno dell’affluente ai sottobacini scelti come idonei per la ricarica dei sedimenti, vale a dire si possono escludere le casse ricadenti in sottobacini selezionati come adatti alla ricarica di sedimenti e consentirne invece la realizzazione nei sottobacini non selezionati a tale scopo. In tutti i casi, nel caso di realizzazione di casse in linea, è raccomandabile una periodica mobilizzazione dei sedimenti accumulatisi a monte dell’opera di sbarramento con spostamento immediatamente a valle della stessa. Le casse in derivazione, come è noto, a differenza di quelle in linea sfruttano porzioni di territorio adiacente all’alveo, alle quali vengono connesse idraulicamente attraverso soglie tra cimabili o altri sistemi idraulici collocati nel corpo arginale, progettate in maniera tale che la cassa venga allagata solo quando la portata durante una piena supera un certo valore di soglia. In generale, il loro impatto sul trasporto solido al fondo è decisamente inferiore rispetto alle casse in linea, in quanto l’interferenza con i processi di trasporto solido in alveo è indiretta, cioè è legata alla riduzione della portata liquida per eventi di piena di una certa entità. In particolare, per portate liquide inferiori a quelle di entrata in funzione delle casse, non esiste alcun effetto sui processi di erosione, trasporto solido, sedimentazione. Per portate liquide superiori a quelle di entrata in funzione delle casse, l’effetto è quello di una certa riduzione della portata di picco, con conseguente riduzione della capacità di trasporto della corrente. Essa può di conseguenza favorire condizioni di sedimentazione all’interno del tratto interessato dall’opera di laminazione. Il problema delle casse in derivazione rispetto alla gestione dei sedimenti ed ai naturali processi di dinamica geomorfologica è legato soprattutto all’artificializzazione dell’alveo che tali opere possono comportare. In particolare, nei casi in cui l’eventuale cassa in derivazione che ricade nella Fascia di Mobilità Funzionale, essa non sarebbe compatibile con gli obiettivi di riequilibrio sedimentologico dal momento che impedirebbe la mobilità laterale dell’alveo e richiederebbe una artificializzazione delle sponde e del fondo. La mancata possibilità di divagazione laterale dell’alveo è in palese contrasto con le funzioni della fascia di mobilità e con le raccomandazioni precedentemente fatte circa la sua gestione. Inoltre, l’inevitabile artificializzazione dell’alveo fluviale che ne deriverebbe (arginature, opere di derivazione e di restituzione), per far sì che l’opera funzioni idraulicamente e mantenga la sua efficienza, è anch’essa in contraddizione con le linee d’azione precedentemente definite riguardo la gestione dei sedimenti. Per le casse in derivazione, si suggerisce pertanto di prevedere una gestione della FMF differenziata per tratti, ossia riservare alcuni tratti esclusivamente alle tendenze evolutive naturali dell’alveo ed alle sue funzioni geomorfologiche connesse (zone di rifornimento di sedimenti, di riequilibrio di larghezza, ecc.), mentre per alcuni sottotratti rinunciare in parte a tali obiettivi ed accettare che possano essere riservati a scopi di laminazione delle piene. In tale ottica, i tratti prioritari da destinare alle tendenze evolutive naturali sono: a) Piana di Filattiera; b) basso Vara (da Piana Battolla alla confluenza Magra); c) basso Magra (da S.Stefano a Sarzana). Per la Piana di Filattiera e per la zona di confluenza Vara – Magra, essendo individuati come tratti con caratteristiche peculiari e proposti come tratti di pregio geomorfologico, si sconsiglia a maggior ragione la realizzazione di casse. Ad esclusione dei precedenti, si può prendere in considerazione la realizzazione di casse negli altri tratti che, per vari motivi, risultano meno prioritari per le tendenze evolutive. Riepilogando, si fanno le seguenti raccomandazioni relative alla possibile realizzazione ed ubicazione delle opere di laminazione: 143 Relazione Finale – Capitolo 5 1. Casse in linea lungo il F.Vara. Il medio-alto Vara, per la sua tendenza a condizioni di sedimentazione, appare il tratto più adatto alla realizzazione di casse in linea (o di tipo misto). E’ necessario tuttavia prevedere una periodica mobilizzazione dei sedimenti accumulatisi a monte dell’opera di sbarramento con spostamento immediatamente a valle della stessa. 2. Casse lungo affluenti. Si propone il seguente criterio: - per gli affluenti che ricadono tra i sottobacini scelti come significativi per la ricarica di sedimenti, evitare la realizzazione di casse in quanto la riduzione di apporto solido è in palese conflitto con gli obiettivi di ricarica; - per gli affluenti che non ricadono tra i sottobacini scelti come significativi per la ricarica di sedimenti, acconsentire alla eventuale realizzazione di casse, prevedendo anche in questi casi una periodica mobilizzazione dei sedimenti che si depositano a monte dell’opera. 3. Casse lungo il F.Magra: gestione della FMF differenziata per tratti. Per tale fiume si può prevedere un criterio differenziato per tratti. I tratti prioritari da destinare alle tendenze evolutive naturali sono: a) Piana di Filattiera; b) basso Vara (da Piana Battolla alla confluenza Magra); c) basso Magra (da S.Stefano a Sarzana). Ad esclusione dei precedenti, si può prendere in considerazione la realizzazione di opere di laminazione negli altri tratti. 4. Perseguire anche obiettivi di riqualificazione fluviale. Nei casi in cui si ritiene indispensabile la realizzazione di una cassa, si raccomanda di prendere in considerazione anche soluzioni progettuali alternative a quella di una cassa di espansione di tipo tradizionale, che cerchino di perseguire anche obiettivi di riqualificazione fluviale. Occorrerebbe prendere in considerazione una possibile polifunzionalità dell’opera, ad esempio attraverso scelte progettuali che esaltino contemporaneamente il ruolo depurativo, ricreativo e naturalistico delle zone umide. Soluzioni di questo tipo non sarebbero in alcun modo incompatibili con gli obiettivi relativi alla fascia di mobilità funzionale, in quanto si lascerebbe comunque l’alveo libero di divagare all’interno di quest’ultima. Si raccomanda quindi di prendere in debita considerazione un tipo di soluzione che vada in questa direzione, anche a costo di una minore efficienza idraulica. 5.9 RIEPILOGO DELLE STRATEGIE DI INDIRIZZO PER LA GESTIONE DEI SEDIMENTI PER AMBITI Il proposito di questo paragrafo finale è di riassumere le precedenti raccomandazioni, azioni e misure di gestione ambito per ambito, facendo quindi riferimento più specifico alle problematiche e le caratteristiche specifiche locali dei vari tratti fluviali. In alcuni casi si descriveranno più nel dettaglio alcune possibili misure, sulla base anche di esperienze condotte in altri paesi, nonché si entrerà nei meriti di possibili misure di gestione relative ad opere o tratti specifici. 5.9.1 Medio-alto Magra Strategie generali: 1. Preservare le caratteristiche morfologiche attuali; 2. Favorire la ricarica di sedimenti per i tratti a valle. Principali problematiche da considerare: 1. Gestione delle frane e dei sottobacini significativi per la ricarica; 2. Gestione delle erosioni di sponda; 3. Gestione della Piana di Filattiera; 4. Raccomandazioni relative ad opere idrauliche esistenti e/o in progetto. 1. Gestione delle frane e dei sottobacini significativi per la ricarica Per quanto riguarda l’Alto Magra, per la ricarica da frane si escludono quei sottobacini la cui chiusura è a monte del centro abitato di Pontremoli (Magra alto e T.Magriola), mentre sono inclusi i 144 Relazione Finale – Capitolo 5 rimanenti nei quali, per le frane riportate come significative, vale la misura conservativa C1. I sottobacini selezionati come significativi per la ricarica sono: T.Mangiola, T.Gordana, T.Verde ed il T.Caprio. Per tali sottobacini valgono tutte le rimanenti misure conservative (C2, C3, C4, C5, C6) nonché la misura migliorativa M1 (mobilizzare sedimenti a monte di briglie) finalizzata alla ricarica della Piana di Filattiera. La confluenza del T.Verde si trova immediatamente a valle del centro storico di Pontremoli, seppure ancora in un’area urbanizzata. Nel caso in cui la sedimentazione alla confluenza Verde – Magra si rilevasse localmente eccessiva, si raccomanda la mobilizzazione dei sedimenti ed il loro spostamento nel primo punto possibile del tratto a classe 3 della Piana di Filattiera. Per quanto riguarda il Medio Magra, per la ricarica da frane sono inclusi tutti i sottobacini nei quali, per le frane riportate come significative, vale la misura conservativa C1. I sottobacini selezionati come significativi per la ricarica sono: T.Osca, T.Taverone e T.Aulella suddiviso ulteriormente nei suoi sottobacini (Aulella, Lucido, Mommio, Rosaro, Bardine). Per tali sottobacini valgono tutte le rimanenti misure conservative (C2, C3, C4, C5, C6) nonché la misura migliorativa M1 (mobilizzare sedimenti a monte di briglie) finalizzata alla ricarica del basso Magra. Un caso particolare è il T.Taverone che, per questioni di ubicazione sfavorevole della confluenza (Aulla) sarebbe risultato da escludere dai sottobacini significativi. Tuttavia si è ritenuto opportuno selezionarlo per il suo elevato potenziale di ricarica e soprattutto per la distanza ridotta rispetto al tratto inciso del basso Magra. In tal caso vale la precauzione che i sedimenti accumulati alla confluenza devono essere periodicamente mobilizzati e spostati nel primo punto possibile a valle di Aulla. 2. Gestione delle erosioni di sponda Per la Fascia di Mobilità Funzionale, valgono le regole definite nel par.5.3, riassumibili nell’azione generale di non intervenire sui tratti di sponde in erosione eccetto che nelle situazioni dove esse possono comportare danni ad elementi ritenuti da difendere. Ciò vale in particolar modo per la Piana di Filattiera, identificata come uno dei principali tratti da destinare prioritariamente alle tendenze naturali del fiume, dove le sponde rappresentano una delle principali sorgenti di sedimenti per il recupero del tratto stesso e, nel più lungo termine, per garantire l’alimentazione dei tratti incisi a valle. Qualora il corso d’acqua dovesse in futuro avvicinarsi ai limiti della FMF, bisogna agire attraverso una gestione attiva delle erosioni di sponda, vale a dire prevedendo un programma di monitoraggio. 3. Gestione della Piana di Filattiera Rappresenta un tratto di pregio geomorfologico, per il quale si raccomanda di istituire normative che vadano ad evitare o limitare ogni modifica o azione che possa interferire con la dinamica fluviale (eccetto che per condizioni di rischio). Si suggerisce inoltre di valorizzare e potenziare le attività di fruizione, ricreazione, formazione e divulgazione. Un aspetto particolarmente critico all’interno del tratto è rappresentato dalla gestione delle “more”, le note mura arginali di origine prevalentemente ottocentesca e di una certa rilevanza storica. La manutenzione e/o il ripristino delle more non sono ritenuti compatibili con le esigenze e gli obiettivi di conservazione e recupero morfologico e sedimentologico del corso d’acqua, pertanto si ritiene che la maggior parte delle more debbano essere soggette alla stessa normativa delle comuni difese di sponda presenti all’interno della FMF (vale a dire non va prevista una loro manutenzione/ripristino se non difendono elementi a rischio). Si propone tuttavia, dato il loro valore storico-paesaggistico, di individuare 1 o 2 tratti di more da restaurare e preservare, e da valorizzarne la presenza inserendole come punto di sosta all’interno di un percorso pedonale e/o ciclabile storico – naturalistico da prevedere lungo il fiume, dotandole di appositi pannelli divulgativi. Si lascia ad un approfondimento da parte di un esperto storico – paesaggista l’individuazione del o dei tratti di more che più si presterebbero a questa funzione. Da un punto di vista geomorfologico, sarebbe preferibile che tale o tali tratti presentassero i seguenti requisiti: a) essere ubicati all’inizio o alla fine della Piana di Filattiera, in modo da non causare, all’interno del tratto, una discontinuità o una 145 Relazione Finale – Capitolo 5 costrizione artificiale in contrapposizione alle tendenze evolutive naturali del fiume; b) in tutti i casi, che non si causi un restringimento dell’alveo ma che possibilmente sia ubicata ad una certa distanza da esso. 4. Raccomandazioni relative ad opere idrauliche esistenti e/o in progetto Le problematiche principali in questo ambito riguardano le opere di laminazione previste secondo il PAI. Per quanto riguarda gli affluenti sono previste casse in linea lungo i T.Magriola, T.Verde, T.Gordana, T.Caprio, T.Bagnone, T.Civiglia e T.Taverone. Di queste, si sconsiglia la realizzazione lungo i T.Verde, Gordana, Caprio e Taverone, in quanto selezionati come significativi ai fini della ricarica, mentre si ritengono compatibili le casse lungo il T.Magriola, Bagnone e Civiglia. Per quanto riguarda le casse direttamente lungo il F.Magra, ne sono previste 3 nella Piana di Filattiera e 2 nel tratto MC2 (di poco a monte di Aulla). Per quanto riguarda le casse nella Piana di Filattiera, esse rientrano in parte nella FMF e pertanto se ne sconsiglia la realizzazione, per i vari motivi esposti prima (tratto di particolare pregio geomorfologico e da riservare ai processi naturali). Si potrebbe eventualmente prendere in considerazione la possibilità di destinare una delle tre casse previste ad area di laminazione che abbia tuttavia funzioni di riqualificazione fluviale (creazione di aree umide, bracci secondari, ecc) e che possa assolvere anche ad una funzione di laminazione delle piene. In tal caso, si potrebbe prevedere che le frazioni grossolane dei sedimenti derivanti da attività di scavo nella pianura possano essere reimmesse in alveo. Per quanto riguarda le due casse previste nel tratto MC2 a monte di Aulla, esse rientrano quasi del tutto nella FMF, ma non rientrano nei due tratti definiti precedentemente come prioritari per la preservazione dei processi naturali. Pertanto, secondo il criterio di gestione differenziata per tratti, in questo tratto si può prendere in considerazione l’ipotesi di realizzazione delle opere. 5.9.2 Medio-alto Vara Strategie generali: 1. Preservare le caratteristiche morfologiche attuali; 2. Favorire la ricarica di sedimenti per i tratti a valle. Principali problematiche da considerare: 1. Gestione delle frane e dei sottobacini significativi per la ricarica; 2. Gestione delle situazioni in sedimentazione; 3. Gestione delle erosioni di sponda; 4. Raccomandazioni relative ad opere idrauliche esistenti e/o in progetto. 1. Gestione delle frane e dei sottobacini significativi per la ricarica Per quanto riguarda l’Alto Vara, non sono considerate frane o sottobacini significativi a monte della Diga di S.Margherita ai fini della ricarica per i motivi spiegati nei capitoli precedenti (a. presenza della diga che impedirebbe il transito dei sedimenti per i tratti di valle; b. condizioni prevalenti di sedimentazione dell’alveo del Vara a monte della diga). Per quanto riguarda il Medio Vara, per la ricarica da frane sono inclusi tutti i sottobacini nei quali, per le frane riportate come significative, vale la misura conservativa C1. I sottobacini selezionati come significativi per la ricarica sono: T.Mangia, T.Gravegnola, T.Usurana, T.Ricco e T.Graveglia. Per tali sottobacini valgono tutte le rimanenti misure conservative (C2, C3, C4, C5, C6) nonché la misura migliorativa M1 (mobilizzare sedimenti a monte di briglie) finalizzata alla ricarica della Piana di Filattiera. 2. Gestione delle situazioni in sedimentazione Il medio-alto Vara costituisce la porzione del bacino dove sono più frequenti le situazioni di sedimentazione, generalizzata e/o localizzata, per le caratteristiche morfologiche particolari del tratto (alveo semiconfinato, presenza di curve piuttosto marcate che causano il rallentamento ed il 146 Relazione Finale – Capitolo 5 deposito localizzato del flusso solido) e per l’elevata alimentazione da parte dei versanti e di alcuni affluenti. Nei tratti in sedimentazione dove è necessario mobilizzare una parte dei sedimenti, si deve ricorrere ad una delle due possibili tecniche descritte nel paragrafo precedente (scavo lungo il bordo della barra oppure aumento locale della capacità di trasporto). Per la parte alta, si consiglia di spostare i sedimenti mobilizzati nel tratto a monte ed a valle della confluenza del T.Ruschia, tratto che risulta di classe 3 nella “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti”, mentre per la parte media (a valle cioè di questo tratto), si consiglia di spostare i sedimenti mobilizzati direttamente a valle della Diga di S.Margherita. 3. Gestione delle erosioni di sponda Per la Fascia di Mobilità Funzionale, valgono le regole definite nel par.5.3, riassumibili nell’azione generale di non intervenire sui tratti di sponde in erosione eccetto che nelle situazioni dove esse possono comportare danni ad elementi ritenuti da difendere. Nel Medio-Alto Vara non sono tuttavia stati individuati tratti prioritari da destinare alle tendenze evolutive naturali, dove massimizzare la funzione di ricarica di sedimenti dalle sponde, per vari motivi quali: a) alveo semiconfinato, quindi assenza di ampie zone di pianura e quindi larghezza in genere esigua della FMF; b) il tratto di per sé non presenta eccessivi problemi in termini di recupero morfologico, anzi è caratterizzato dalla presenza di situazioni in sedimentazione. 4. Raccomandazioni relative ad opere idrauliche esistenti e/o in progetto La problematica più rilevante è costituita dalla gestione della Diga di S.Margherita la quale, come più volte detto, rappresenta la più rilevante discontinuità del flusso solido ed impedisce l’alimentazione dei sedimenti provenienti dall’alto Vara per i tratti incisi a valle. Le misure di gestione devono essere volte il più possibile a permettere il transito di almeno una parte dei sedimenti accumulatisi a monte dello sbarramento. Devono essere pertanto esplorate varie possibili soluzioni tecniche, quali in particolare: a) periodica escavazione ed asportazione meccanica di sedimenti e loro spostamento ed immissione nel tratto immediatamente a valle; b) possibilità di realizzare scarichi di fondo. La prima soluzione (a) sembra più percorribile: si raccomanda a tal fine un approfondimento del problema, attraverso uno studio dei costi e della qualità dei sedimenti. Per quanto riguarda le opere di laminazione previste secondo il PAI, ne sono previste 4 lungo il medio-alto Vara a monte della Diga di S.Margherita. Si ritiene che, tra tutte le casse previste lungo gli alvei principali di F.Magra e Vara, tali siti siano i meno sfavorevoli per i seguenti motivi: a) nell’ottica di una gestione della FMF differenziata per tratti, esse non vanno a cadere in tratti prioritari da destinare alle tendenze evolutive naturali; b) i problemi di recupero morfologico di questo ambito non sono confrontabili con gli altri ambiti, anzi sono presenti tratti in sedimentazione; c) la presenza della Diga di S.Margherita a valle comunque al momento attuale impedisce la ricarica dei sedimenti per i tratti di valle. Nel basso Vara, sono previste casse lungo i T.Pignone, T.Ricco e T.Usurana. Si sconsiglia la realizzazione lungo i T.Ricco e Usurana, selezionati come significativi ai fini della ricarica, mentre si ritiene compatibile la realizzazione di casse lungo il T.Pignone. 5.9.3 Basso Magra e Vara Strategie generali: 1. Migliorare le caratteristiche morfologiche attuali attraverso la rialimentazione di sedimenti. Principali problematiche da considerare: 1. Gestione delle erosioni di sponda; 2. Provenienza ed immissione dei sedimenti; 3. Gestione del tratto di confluenza Magra – Vara; 4. Gestione del tratto prefociale; 5. Raccomandazioni relative ad opere idrauliche esistenti e/o in progetto. 147 Relazione Finale – Capitolo 5 1. Gestione delle erosioni di sponda Per la Fascia di Mobilità Funzionale, valgono le regole definite nel par.5.3, riassumibili nell’azione generale di non intervenire sui tratti di sponde in erosione eccetto che nelle situazioni dove esse possono comportare danni ad elementi ritenuti da difendere. Entrambi i tratti del basso Vara (da Piana Battolla alla confluenza Magra) e del basso Magra (da S.Stefano a Sarzana) sono stati precedentemente individuati come tratti prioritari da destinare alle tendenze evolutive naturali, i quali possono cioè costituire una sorgente primaria di sedimenti per la ricarica dei tratti stessi. In questi tratti deve essere quindi massimizzata la funzione della FMF. Qualora il corso d’acqua dovesse in futuro avvicinarsi ai limiti della FMF, bisogna agire attraverso una gestione attiva delle erosioni di sponda, vale a dire prevedendo un programma di monitoraggio. 2. Provenienza ed immissione dei sedimenti Il problema più rilevante di questo ambito, come più volte detto, è quello del recupero morfologico e sedimentologico dei tratti fortemente incisi. La strategia prevalente di gestione dei sedimenti risulta pertanto non tanto quella di una loro mobilizzazione, quanto piuttosto di una immissione di sedimenti proveniente da altre sorgenti. Le provenienze di sedimenti per tale funzione possono essere le seguenti: a) tratti a monte; b) affluenti; c) sponde; d) pianura. Per quanto riguarda i tratti a monte, essi sono individuabili nella “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti” (classi 1 e 2 degli ambiti Medio-alto Magra e Medio-alto Vara), dove i sedimenti vengono mobilizzati attraverso mobilizzazione meccanica (scavo lungo il bordo della barra). Per quanto riguarda gli affluenti, quelli che maggiormente si prestano per la ricarica di questo ambito sono il T.Taverone, il T.Aulella ed il T.Usurana. Per tali affluenti, ed in particolar modo per il T.Taverone, si può prevedere una periodica mobilizzazione di sedimenti in corrispondenza della loro confluenza ed uno spostamento nei tratti in oggetto. Per quanto riguarda le sponde, si tratta di una sorgente locale (dallo stesso tratto) che non richiede mobilizzazioni meccaniche e spostamenti di sedimenti ma che avviene attraverso processi naturali e che quindi va utilizzata al massimo attraverso la gestione della FMF (punto precedente). L’ultima opzione, quella di recuperare sedimenti dalla pianura adiacente, può comprendere le seguenti misure: a) prendere in considerazione ipotesi di reintroduzione di sedimenti immagazzinati nella piana alluvionale (esperimenti di questo tipo sono ad es. in corso lungo l’Ain R., Francia); b) promuovere progetti di riqualificazione fluviale che prevedano scavi per la ricreazione di piana inondabile o per la creazione di rami secondari (ad es. progetto di riqualificazione lungo il F.Vara), ed utilizzare la frazione grossolana per essere reimmessa in alveo. Per quanto riguarda l’immissione di sedimenti, si tratta di applicare la misura descritta precedentemente, vale a dire collocare sulla sponda secondo il loro angolo di riposo i sedimenti provenienti da altri punti, in siti ritenuti idonei per tale funzione (accessibili a mezzi pesanti tramite un percorso camionabile e sufficientemente lontani da zone a rischio). 3. Gestione del tratto di confluenza Magra - Vara Rappresenta il secondo tratto di pregio geomorfologico, per il quale si raccomanda di istituire normative che vadano ad impedire o limitare ogni modifica o azione che possa interferire con la dinamica fluviale (eccetto che per condizioni di rischio). Si suggerisce inoltre di valorizzare e potenziare le attività di fruizione, ricreazione, formazione e divulgazione, attraverso la creazione di un percorso naturalistico dotato di pannelli, lungo il quale organizzare anche visite guidate e promuovere attività informativa (soprattutto per le scuole). 4. Gestione del tratto prefociale Questo tratto è destinato al mantenimento della sezione di deflusso, pertanto può essere consentita una rimozione periodica di sedimenti in eccesso, dato che tale pratica non avrebbe effetti sulla gestione dei sedimenti dei tratti a monte. In tal caso i sedimenti eventualmente mobilizzati 148 Relazione Finale – Capitolo 5 vanno necessariamente mantenuti all’interno della stessa unità fisiografica (bacino), recapitandoli in prossimità della foce e/o sulla linea di costa adiacente. 5. Raccomandazioni relative ad opere idrauliche esistenti e/o in progetto Per quanto riguarda le opere di laminazione, l’unica prevista dal PAI che ricade in questo ambito è la cassa in località Cerlasca, posta in sinistra idrografica del Magra. La cassa rientra solo in piccola parte all’interno della FMF; tuttavia essa va a ricadere esattamente nel tratto confluenza Magra – Vara proposto come area di elevato pregio naturalistico e tratto in cui esaltare i processi naturali. Pertanto la sua collocazione in questo punto è critica sia per l’artificializzazione dell’alveo che ne deriverebbe che per i disturbi e l’artificializzazione della pianura. Si sconsiglia quindi fortemente la realizzazione di tale cassa, almeno come cassa di tipo tradizionale. Si potrebbe invece prendere in considerazione l’ipotesi di trasformare l’ipotesi di cassa tradizionale in un progetto di riqualificazione, anche con aspetti sperimentali, attraverso la creazione di un’area destinata alla laminazione naturale ed alla creazione di zone umide laterali all’alveo. Tale area potrebbe rappresentare un punto baricentrico del Parco del F.Magra e costituire un’attrattiva naturalistica, dove poter esaltare le attività di fruizione, ricreazione, formazione e divulgazione (punto 3 precedente). 149 Relazione Finale – Bibliografia BIBLIOGRAFIA AaVv (2006) – La Riqualificazione Fluviale in Italia. Linee guida, strumenti ed esperienze per gestire i corsi d’acqua e il territorio. A.Nardini & G.Sansoni (curatori), Collezione CIRF, Mazzanti Editore, Venezia, 832 pp. Agnelli, A., Billi, P., Canuti, P., Rinaldi, M. 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