relazione finale - Autorità di Bacino del Fiume Magra

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relazione finale - Autorità di Bacino del Fiume Magra
Dipartimento di Ingegneria Civile e
Ambientale
Università degli Studi di Firenze
APPROFONDIMENTI DELLO STUDIO
GEOMORFOLOGICO DEI PRINCIPALI ALVEI
FLUVIALI NEL BACINO DEL FIUME MAGRA
FINALIZZATO ALLA DEFINIZIONE DI LINEE
GUIDA DI GESTIONE DEI SEDIMENTI E DELLA
FASCIA DI MOBILITÀ FUNZIONALE
RELAZIONE FINALE
APRILE 2007
Committente: Autorità di Bacino del Fiume Magra
Responsabile del Progetto di Ricerca: Prof. Massimo Rinaldi,
Dipartimento di Ingegneria Civile, Università di Firenze
Relazione Finale – Indice
INDICE
PREMESSA
1. INQUADRAMENTO GENERALE DEL BACINO DEL FIUME MAGRA
1.1 Inquadramento fisiografico
1.2 Inquadramento geologico
1.4 Inquadramento climatico - idrologico
2. CARATTERI GEOMORFOLOGICI E TENDENZE EVOLUTIVE DEGLI
ALVEI DEI FIUMI MAGRA E VARA
2.1 Inquadramento generale dei fiumi Magra e Vara
2.2 Carta Geomorfologica dell’alveo
2.3 Rilievi sedimentologici e morfologici
2.4 Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo
2.5 Variazioni climatico - idrologiche
2.6 Quadro complessivo delle variazioni e delle cause
3. INDIVIDUAZIONE DELLE AREE DI POTENZIALE RICARICA DI
SEDIMENTI
3.1 Classificazione della rete idrografica e scelta dei sottobacini
3.2 Aspetti considerati
3.3 Potenziale di ricarica da frane
3.4 Potenziale di ricarica diretta nel reticolo idrografico
3.5 Fase di campo
3.6 Potenziale di ricarica da frane totale per sottobacino
3.7 Potenziale di ricarica diretta totale per sottobacino
3.8 Scelta delle aree del bacino significative per la ricarica di sedimenti
4. TRASPORTO SOLIDO E BILANCIO DI SEDIMENTI
4.1 Studi precedenti
4.2 Suddivisione in tratti
4.3 Modellazione idraulica
4.4 Stima del trasporto solido
4.5 Bilancio di sedimenti
5. STRATEGIE E LINEE GUIDA DI GESTIONE DELLA FASCIA DI
MOBILITA’ FUNZIONALE E DEI SEDIMENTI
5.1 Riequilibrio sedimentologico di sistemi fluviali incisi
5.2 Riepilogo dei problemi, degli obiettivi e dei principi
5.3 Fascia di Mobilità Funzionale
5.4 Gestione dei sedimenti: ambiti e linee generali d’azione
5.5 Carta di sintesi delle variazioni del fondo e delle tendenze attuali
5.6 Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti
5.7 Gestione dei sedimenti: linee guida e raccomandazioni
5.8 Raccomandazioni relative ad opere idrauliche
5.9 Riepilogo delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti per ambiti
i
1
2
2
4
5
7
8
9
11
26
28
32
36
36
37
38
44
45
47
49
51
55
55
63
65
71
82
91
91
96
101
113
119
124
127
139
144
Relazione Finale – Indice
BIBLIOGRAFIA
150
DVD ALLEGATO
1. Granulometrie (nuovi dati granulometrici)
2. Dati idrologico-climatici (temperature, piogge, portate)
3. Carte (Tav.1 Carta di sintesi e Carta di sintesi rispetto al 1950 Nuova versione; Carta di sintesi
delle variazioni del fondo e delle tendenze attuali; Carta delle strategie di indirizzo per la
gestione dei sedimenti)
4. Shape files (ArcGis)
5. Ricarica sedimenti (documentazione di campo)
6. Relazione Finale
7. Relazione di sintesi
ii
Relazione Finale - Premessa
PREMESSA
Nel mese di Novembre 2005 ha preso avvio, a seguito della stipula di apposita Convenzione tra
Autorità di Bacino Interregionale del Fiume Magra e Dipartimento di Ingegneria Civile
dell’Università di Firenze (in data 7 Novembre 2005), il progetto di ricerca dal titolo
“Approfondimenti dello studio geomorfologico dei principali alvei fluviali nel bacino del
fiume Magra finalizzato alla definizione di linee guida di gestione dei sedimenti e della fascia
di mobilità funzionale”. Tale studio è scaturito dall’esigenza di approfondimento e di
completamento del precedente progetto di ricerca (“Studio geomorfologico dei principali alvei
fluviali nel bacino del Fiume Magra finalizzato alla definizione della fascia di mobilità funzionale e
di linee guida di gestione dei sedimenti”), svoltosi tra Maggio 2004 e Agosto 2005.
Gli obiettivi del presente progetto di ricerca possono essere così sintetizzati:
1)
Completamento del quadro conoscitivo avviato nel precedente Studio Magra, con
riferimento soprattutto al completamento delle cartografie di dettaglio;
2)
Quantificazione del trasporto solido e del bilancio di sedimenti ed individuazione delle
principali aree di potenziale ricarica di sedimenti negli alvei principali;
3)
Definizione di un piano complessivo di gestione dei sedimenti e della fascia di mobilità
degli alvei del F.Magra e F.Vara.
L’articolazione della ricerca comprende i tre seguenti aspetti principali: 1. Completamento
delle cartografie geomorfologiche tematiche; 2. Individuazione delle aree di potenziale ricarica di
sedimenti e quantificazione del trasporto solido e del bilancio di sedimenti; 3. Definizione di
strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti e della fascia di mobilità funzionale.
Il Gruppo di Lavoro ha compreso:
- Prof. Massimo Rinaldi, docente di Geologia Applicata presso il Dipartimento di Ingegneria Civile
dell’Università di Firenze, responsabile della ricerca;
- Ing. Luca Solari, ricercatore di Idraulica presso il Dipartimento di Ingegneria Civile
dell’Università di Firenze, il quale ha seguito gli aspetti relativi alla quantificazione del trasporto
solido;
- Ing. Cristina Simoncini, Assegnista e Dottoranda di ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria
Civile dell’Università di Firenze;
- Ing. Giulia Doretti, Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Ingegneria Civile
dell’Università di Firenze;
- Fabrizio Vannacci, Tecnico del Laboratorio di Sedimentologia presso il Dipartimento di
Ingegneria Civile dell’Università di Firenze.
Hanno inoltre preso parte alla ricerca durante l’arco temporale del progetto:
- Dr.Geol. Daniele Sogni, collaboratore esterno, il quale ha contribuito alla realizzazione della
cartografia ed alla fase di individuazione delle aree di potenziale ricarica di sedimenti;
- Ing. Lara Coppi ed Ing. Stefania Lamagna, collaboratrici esterne, le quali hanno contribuito alla
fase di individuazione delle aree di potenziale ricarica di sedimenti.
- Ing. Lorenzo Bellacci, collaboratore esterno, il quale ha contribuito alla fase di valutazione del
trasporto solido ed alla realizzazione della Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei
sedimenti.
1
Relazione Finale – Capitolo 1
CAPITOLO 1 – INQUADRAMENTO GENERALE DEL BACINO DEL
FIUME MAGRA
In questo capitolo si riporta un breve inquadramento del bacino del Fiume Magra, sintetizzando
quanto già riportato nella Relazione Finale relativa alla prima fase del progetto (Relazione Magra I),
alla quale si rimanda per una trattazione più completa.
1.1 INQUADRAMENTO FISIOGRAFICO
Il bacino idrografico del fiume Magra (Figura 1.1) è situato nell’Italia centro-settentrionale, ha
un’estensione di 1698.5 Km2, e confina con: (a) quello del Po a Nord; (b) i bacini liguri del
Graveglia-Entella e del Gromolo-Petronio verso Ovest; (c) i bacini dello spezzino costiero verso
Sud-Ovest; (d) le Alpi Apuane, i bacini dei T.Carrione e Frigido, seguite dall’Appennino Tosco
Emiliano e dallo spartiacque col fiume Serchio verso Est.
Figura 1.1 – Il bacino idrografico del Fiume Magra.
All’interno del bacino del fiume Magra sono distinguibili tre distinti ambiti geografici (Figura
1.2), di seguito sinteticamente descritti.
A. Sottobacino del medio-alto Magra. In questa porzione di bacino l’asta principale riceve un
numero elevato d’affluenti caratterizzati da superfici significative (Aulella, 317.6 km2; Taverone,
87.2 km2; Verde, 68 km2; Bagnone, 59 km2; Gordana 50 km2) o in ogni caso rilevanti (Caprio,
Civiglia Teglia, Magriola, Mangiola, Osca, ed altri con bacini tra i 20 ed i 40 km2). Questo prima
porzione di bacino dell’alto e medio Magra, con riferimento ai dati relativi alla sezione di chiusura
2
Relazione Finale – Capitolo 1
di Albiano (superficie drenata di 970 km2, posta a 40 m s.l.m., a 3.7 km a monte della confluenza
con il fiume Vara e a 19.4 km dalla foce) è caratterizzata da (Baldacci & Raggi, 1969):
afflusso meteorico medio di 1707 mm/anno;
deflusso naturale medio nell’anno stimato in 1391.68 106 m3;
deflusso reale stimato in 1181.05 106 m3;
una temperatura media annua di 12.9° C;
una superficie boschiva pari al 76% della superficie del sottobacino.
M-A V
M-A M
B VM
Figura 1.2 – Suddivisione del bacino del F.Magra in tre ambiti geografici. M-A M: Medio-alto
Magra; M-A V: medio-alto Vara; B VM: basso Vara e Magra.
B. Sottobacino del medio-alto Vara. L’alto e medio Vara presenta affluenti di destra mediamente
più brevi e con bacini meno estesi ed affluenti di sinistra più lunghi e con bacini relativamente più
ampi. Il bacino, analizzato alla sezione di Piana Battolla (superficie drenata di 549 km2, posta ad
una quota di 50 s.l.m., a 6,2 km a monte della confluenza con il fiume Magra e a 21.9 km dalla
foce) è caratterizzato da (Baldacci & Raggi, 1969):
afflusso meteorico medio di 1770 mm/anno;
deflusso naturale medio nell’anno stimato in 569.46 106 m3;
deflusso reale stimato in 563.3 106 m3;
una temperatura media annua di 14.1°C;
una superficie boschiva pari al 93% dell’intera superficie del sottobacino.
C. Sottobacino del basso Vara e basso Magra. Il tratto terminale vallivo del F.Vara, quello del
F.Magra poco a monte della confluenza Vara e, soprattutto, il basso corso del F.Magra, dalla
confluenza alla foce, sono caratterizzati da un assetto di fondovalle molto più ampio e pianeggiante
rispetto agli altri due settori del bacino. In tale settore, il F.Magra, se si esclude il Vara stesso,
riceve affluenti naturali di scarso rilievo, ad eccezione del T.Calcandola (area drenata di 20 km2
3
Relazione Finale – Capitolo 1
circa), per la maggior parte largamente artificializzati ed in parte connessi ad opere o interventi di
bonifica delle aree paludose che nel passato caratterizzavano gran parte della pianura costiera. Non
sono presenti stazioni meteorologiche ed idrologiche funzionanti da lunghi periodi tali da poterne
descrivere sinteticamente le caratteristiche (come per i due settori precedenti).
1.2 INQUADRAMENTO GEOLOGICO
La costituzione litologico-strutturale del bacino deriva da una lunga e complessa storia
geologica responsabile della formazione delle catene appenninica ed alpina. E’ utile, per le finalità
di questa seconda fase di studio, sintetizzare anche in questa sede le principali litologie presenti nel
bacino (Figura 1.3), alle quali sono associabili differenti comportamenti rispetto ai meccanismi di
ricarica di sedimenti (Capitolo 4). A tal fine, si sono distinte le seguenti categorie:
1)
Depositi recenti: depositi alluvionali di I°, II° ordine; depositi terrazzati di vario ordine;
depositi fluviali recenti – limi sabbie e ciottoli; depositi fluviolacustri; depositi fluviolacustri
ciottolosi cementati; depositi fluviolacustri prevalentemente argillosi; depositi palustri recenti
limosi e sabbiosi; sabbie di ambiente litorale; alluvioni terrazzate e depositi fluviolacustri; sedimenti
fluviolacustri e marini recenti e attuali.
2)
Formazioni prevalentemente arenacee: arenarie fini intercalate a siltiti e marne; arenarie
stratificate con siltiti e marne; arenarie torbiditiche in grossi banchi; rocce arenacee.
3)
Formazioni prevalentemente argillose: argilliti fissili con calcari ed arenarie; argilliti, siltiti
e marne; rocce argillose.
4)
Formazioni prevalentemente calcaree:calcari cavernosi e brecce calcaree; calcari marnosi
stratificati; calcari massicci – marmi; calcari stratificati; rocce calcaree.
5)
Formazioni prevalentemente ofiolitiche: brecce ofiolitiche; ofioliti; rocce ofiolitiche.
6)
Formazioni prevalentemente silicee: diaspri – scisti sericitici; rocce silicee.
7)
Rocce metamorfiche e magmatiche: filladi quarzitiche; grezzoni – Marmi dolomitici; graniti;
rocce metamorfiche indifferenziate; rocce cristalline acide; rocce metamorfiche.
Da un punto di vista geomorfologico, il bacino del fiume Magra è costituito da un sistema di
due vallate tra loro parallele, ed a loro volta parallele anche alla linea di costa delle Cinque Terre:
ad occidente la valle del fiume Vara, ad oriente l’alta e media valle del fiume Magra. Gli alvei dei
due corsi d’acqua seguono il fondo di due depressioni tettoniche, allungate in direzione
appenninica, da NW verso SE, e solo nella loro parte terminale piegano con bruschi gomiti verso
quell’area ancora più depressa, nota come il Graben di Sarzana, caratterizzata dalla piana
alluvionale che da Santo Stefano di Magra si estende sino alla foce.
L’attuale configurazione della rete idrografica risulta quindi strettamente collegata alle direttrici
tettoniche e strutturali del territorio posto a NW delle Alpi Apuane e con l’evoluzione morfologica
di questa parte dell’Appennino Ligure. Pertanto, mentre i due rami principali si sono impostati entro
due strutture tettoniche plicative (sinclinali) con asse in direttrice appenninica, i tratti trasversali del
Magra e del Vara (in direzione circa Est-Ovest) sono molto più recenti, e conseguenti alle fasi
tettoniche che hanno causato l’approfondimento della pianura costiera tra Santo Stefano e Sarzana,
determinando quindi il richiamo del drenaggio verso questa zona.
Le principali tappe dell’evoluzione del reticolo idrografico avvenuta durante le ultime decine di
milioni di anni sono le seguenti (Raggi, 1985):
1. Durante il Miocene superiore, le due valli principali del bacino impostate lungo la direttrice NWSE corrispondono ad aree tettonicamente depresse originatesi come un insieme di sinclinali ad assi
paralleli.
2. Durante il Pliocene inferiore, si può ipotizzare una prima rete idrografica caratterizzata da due
principali corsi d’acqua, paleo-Vara e paleo-Magra, impostati lungo gli assi delle sinclinali ed
indipendenti tra di loro, con il secondo che continua il suo corso andando a costituire il paleoSerchio.
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Relazione Finale – Capitolo 1
3. Durante il Pliocene superiore, compaiono i laghi di Sarzana e La Spezia, ed in quest’ultimo
vanno a confluire sia il Vara che il Magra, catturato da un affluente di sinistra del paleo-Vara. Con
il sollevamento delle Apuane e l’ulteriore approfondimento del lago di Sarzana, quest’ultimo
richiama il drenaggio sia del Magra che del Vara, il quale confluisce nel primo all’incirca nella sua
posizione attuale.
4. Durante il Pleistocene superiore, la configurazione del bacino è nel complesso simile all’attuale,
con l’interrimento dei laghi intravallivi e degli stagni costieri e con una linea di riva molto più
avanzata rispetto all’attuale a causa dell’abbassamento del livello del mare culminato nella
glaciazione wurmiana.
Figura 1.3 – Schema litologico del bacino del Fiume Magra.
1.3 INQUADRAMENTO CLIMATICO - IDROLOGICO
Il bacino dal punto di vista idrologico-climatico può essere suddiviso in tre fasce che si
differenziano tra loro per le termometrie e per la distribuzione delle precipitazioni.
A. Fascia montana interna. Tale area risente dell’altitudine e presenta temperature medie invernali
prossime allo zero e medie estive prossime ai 20°C. Si registrano alte escursioni annue, tra i 18 20°C fino ad escursioni massime comprese tra 26 e 29°C.
B. Fascia intermedia. La fascia collinare è quella che, sotto l’aspetto termometrico, presenta più
marcate differenze tra Val di Magra e Val di Vara. Lungo il corso del F.Magra, infatti, l’influenza
mitigatrice del mare penetra in modesta misura fino a Pontremoli, le superfici collinari dolcemente
inclinate sono piuttosto estese ed i versanti più acclivi sono esposti prevalentemente a Sud. In Val di
Vara, invece, già all’altezza di Beverino si raggiungono minime e medie invernali discretamente più
basse, sia per l’orientamento dei versanti che per la presenza di più vasti coni d’ombra. Risultano
meno rilevanti le differenze tra le escursioni medie annue: a Pontremoli le temperature medie
5
Relazione Finale – Capitolo 1
variano tra i 4.5-5.5°C in inverno ed i 19-21°C in estate, mentre a S.Margherita in Val di Vara tra i
4-5°C invernali ed i 19.5-21.5°C estivi.
C. Fascia costiera. La fascia pianeggiante costiera è caratterizzata da un clima temperato,
fortemente condizionato dal contatto o dalla vicinanza col mare. In essa si registrano temperature
medie annue attorno ai 13-16°C, medie estive attorno ai 20-22°C e medie invernali attorno a 6-8°C
con escursioni annue contenute attorno ai 14°C (valori di escursione estrema pari a 20°C), indice di
clima temperato decisamente marittimo.
L’insieme dei fattori geografici ed orografici fanno sì che il bacino del F.Magra sia interessato
da precipitazioni molto elevate. Nel periodo 1920-1970 sono stati registrati fino a circa 3000 mm di
pioggia annua nelle parti più elevate, nella Val di Magra e nel versante settentrionale delle Apuane,
mentre i valori minimi (1000 – 1200 mm annui) corrispondono alla parte inferiore della pianura di
Sarzana, presso la foce del fiume. L’andamento delle piogge è tipicamente appenninico, con minimi
estivi e massimi nella stagione autunnale, mentre in primavera ed in inverno i valori delle
precipitazioni non presentano oscillazioni rispetto alla media annua (Figura 1.4).
250
225
A
B
C
D
Piogge (mm)
200
175
150
125
100
75
50
25
0
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
Figura 1.4 – Valori medi mensili delle precipitazioni totali per alcune stazioni di misura
rappresentative. A) Tavarone (603 m s.l.m.); B) Pontremoli (237 m s.l.m.); C) S.Margherita (200 m
s.l.m.); D) Sarzana (26 m s.l.m.).
6
Relazione Finale – Capitolo 2
CAPITOLO 2 – CARATTERI GEOMORFOLOGICI E TENDENZE
EVOLUTIVE DEGLI ALVEI DEI FIUMI MAGRA E VARA
In questo capitolo si tratteranno gli aspetti geomorfologici degli alvei fluviali oggetto dello
studio. Per molti aspetti questa parte costituisce una integrazione ed un completamento delle
conoscenze già acquisite nella prima fase dello studio (Relazione Magra I), alla quale si rimanda per
completezza. Si riporta un inquadramento generale dei fiumi Magra e Vara (par.2.1), seguito dalla
descrizione della Carta Geomorfologica (par.2.2) che, in questi approfondimenti, è stata completata
estendendola all’intero F.Magra e F.Vara. Si descrivono poi una serie di rilievi aggiuntivi (par.2.3),
di tipo geomorfologico e sedimentologico, che sono stati effettuati sia ai fini delle valutazioni di
trasporto solido che per un completamento del quadro conoscitivo. Successivamente si sintetizzano
i risultati sulle variazioni morfologiche e sulle tendenze evolutive attuali degli alvei, andando anche
in questo caso a riepilogare ed in parte integrare le conoscenze già acquisite durante la precedente
fase di ricerca.
2.1 INQUADRAMENTO GENERALE DEI FIUMI MAGRA E VARA
Per le caratteristiche fisiografiche e per la storia geologica del bacino (Cap.1), i due alvei
fluviali principali del reticolo idrografico hanno dimensioni e caratteristiche generali tra loro
confrontabili, soprattutto fino alla loro giunzione, a valle della quale il Fiume Magra assume il ruolo
di fiume principale del bacino nell’ultimo tratto di circa 14 km fino alla foce. La lunghezza
complessiva del Fiume Magra è di circa 69.5 km, mentre quella del Fiume Vara di circa 65 km.
MA
VA
MB
VB
VC
MC
VD
MD
VE
ME
Figura 2.1 - Suddivisione dei fiumi Magra e Vara in tratti relativamente omogenei per
caratteristiche geomorfologiche.
A partire dalla prima fase della ricerca, è stata effettuata una suddivisione geomorfologica dei
due alvei studiati in una serie di tratti e sottotratti relativamente omogenei funzionale agli obiettivi
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Relazione Finale – Capitolo 2
dello studio. I criteri seguiti per la suddivisione sono i seguenti: (a) morfologia del fondovalle
(ampiezza, direzione della valle e grado di confinamento del fiume); (b) morfologia planimetrica
dell’alveo. In particolare, sono stati in primo luogo distinti i principali tratti (Figura 2.1), in base
prevalentemente alla morfologia del fondovalle. Successivamente, ogni tratto è stato ulteriormente
suddiviso in sottotratti, considerando con maggior dettaglio la forma planimetrica dell’alveo e le
discontinuità idrologiche naturali in relazione alla presenza dei maggiori affluenti. Il riepilogo della
suddivisione complessiva è riportato in Tabella 2.1.
Tratto
nome
Limiti
Fiume Magra
MA
Confluenza T.Mariola – ponte
S.S.Annunziata
ponte S.S.Annunziata – Villafranca
MB
Lunigiana
MC
Villafranca Lunigiana – Aulla
MD
Aulla – confluenza F.Vara
ME
Confluenza F.Vara – foce
Fiume Vara
VA
da Casette alla confl. T.Torza
Confluenza T.Torza – confluenza
VB
T.Malacqua
VC
confl.T.Malacqua – Padivarma
VD
VE
Padivarma – Piana Battolla
Piana Battola - confluenza F.Vara
nome
-
Sottotratto
Limiti
-
MB1
MB2
MC1
MC2
MD1
MD2
ME1
ME2
ponte S.S.Annunziata - confl. T.Teglia
confl. T.Teglia- confl. T.Bagnone
confl. T.Bagnone – Lusuolo
Lusuolo – confl. T Aulella
confl. T.Aulella – confl. C.le Cardosa
confl. Canale Cardosa- confl. F.Vara
confl. F.Vara – confl. Canale Turi
confl. Canale Turi - foce
VB1
VB2
VC1
VC2
-
Confl.T.Torza - confl. C.le Durla
Confl. C.le Durla - T.Malacqua
Confl. T.Malacqua – T.Chiciola
Confl.T.Chiciola – confl. T.Riccò
-
Tabella 2.1 - Suddivisione dei fiumi Magra e Vara in tratti e sottotratti.
Si ricorda che, durante la prima fase della ricerca, sono stati definiti dei tratti di
approfondimento (1. F.Magra, Piana di Filattiera; 2. F.Magra, confluenza Vara – foce; 3. F.Vara,
Loc.Casette - confl. C.le Durla), per i quali sono state effettuate analisi e cartografie tematiche di
maggior dettaglio (Carta geomorfologia dell’alveo, Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo,
Carta della Fascia di Mobilità Funzionale). Durante questa seconda fase della ricerca, la
realizzazione delle cartografie tematiche è stata quindi estesa ai rimanenti tratti.
Per quanto riguarda le morfologie fluviali, entrambi gli alvei (F.Magra e F.Vara) sono
caratterizzati da una presenza significativa di barre e presentano morfologie prevalentemente di tipo
transizionale. Sono presenti morfologie di tipo wandering, con situazioni locali di intrecciamento,
soprattutto nei tratti con alvei non confinati e fondovalle relativamente ampio, quali il F.Magra nella
Piana di Filattiera (MB) e nel tratto in prossimità del F.Vara (MD2, ME1), e dello stesso F.Vara nel
suo tratto finale (VE). Nei tratti semiconfinati prevalgono morfologie di tipo sinuoso caratterizzate
comunque dalla costante presenza di barre. Nel tratto finale del F.Magra (ME2) invece si denota
una sostanziale scomparsa di corpi sedimentari ed un alveo caratterizzato da un canale
relativamente largo e profondo, con andamento planimetrico sinuoso.
Dal punto delle portate liquide, nel grafico seguente (Figura 2.2) si riportano i dati delle
portate medie mensili registrati presso le stazioni di misura che hanno funzionato per un intervallo
di tempo sufficientemente lungo ( Piccatelo e Calamazza lungo il Fiume Magra e Naseto lungo il
Fiume Vara). Si osserva in tutti i casi un regime tipicamente appenninico, con un minimo estivo
(Luglio per il F.Magra, Agosto per il F.Vara) ed un massimo autunnale nel mese di Novembre.
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Relazione Finale – Capitolo 2
80
Portate (m3/s)
70
A
B
C
60
50
40
30
20
10
0
G
F
M
A
M
G
L
A
S
O
N
D
Figura 2.2 – Valori medi mensili delle portate massime, medie e minime giornaliere per le
principali stazioni idrometriche lungo il F.Magra ed il F.Vara. A) F.Magra a Piccatelo (248 m
s.l.m.; bacino sotteso: 77 km2); B) F.Magra a Calamazza (44.5 m s.l.m.; bacino sotteso: 932 km2);
C) F.Vara a Naseto (185.5 m s.l.m.; bacino sotteso: 205 km2).
2.2 CARTA GEOMORFOLOGICA DELL’ALVEO
La Carta Geomorfologia dell’alveo, in scala 1:10.000, è composta da 7 tavole (Figura 2.3), con
numero progressivo da 1 a 7, come segue:
-Tavola 1: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Magra da Pontremoli a Villafranca L.;
-Tavola 2: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Magra da Villafranca L. ad Aulla;
-Tavola 3: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Magra da Aulla a Ressora;
-Tavola 4: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Magra da Ressora alla foce;
-Tavola 5: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Vara da Varese L. al Piano di Graviola;
-Tavola 6: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Vara dal Piano di Graviola a Borghetto V.
-Tavola 7: Carta Geomorfologica dell’alveo del F.Vara da Borghetto V. a Ceparana.
Figura 2.3 – Quadro di unione della Carta Geomorfologica dell’alveo
9
Relazione Finale – Capitolo 2
La carta, è stata ottenuta attraverso fotointerpretazione, utilizzando il Volo Terraitaly 2000, il
Volo IGM 2004, le Ortofoto Toscana 2003 e controlli di campo. Essa contiene la rappresentazione
delle principali forme fluviali e delle opere antropiche esistenti (la legenda di tale cartografia è
riportata in Figura 2.4). Per le definizioni delle forme fluviali si rimanda all’ampia descrizione
riportata in Relazione Magra I.
Figura 2.4 - Legenda della Carta Geomorfologica.
Rispetto al precedente Studio Magra, è stato acquisito il Volo IGM 2004 (scala di circa
1:33.000), pertanto è stato possibile riportare nella carta il tracciato dell’alveo ed i limiti della piana
inondabile dell’anno 2003 per il Magra (da Ortofoto Toscana che coprivano il tratto toscano) e 2004
per il Vara. Mentre le foto del 2003 sono ortorettificate, quelle del 2004 sono state solamente
georeferenziate, quindi si ritiene che la precisione di queste ultime sia inferiore a quella delle
precedenti. Nonostante ciò si è ritenuto importante riportare nella carta le variazioni riscontrate in
quest’ultimo volo in quanto le piene avvenute nel 1999-2000 hanno apportato notevoli modifiche
dell’alveo rispetto alla situazione rappresentata nel Volo Terraitaly 2000 (relativo al 1999 e
precedente alle piene).
La cartografia completa è stata consegnata in formato cartaceo in allegato alla Relazione
Intermedia (Maggio 2006) e si riporta nuovamente in formato digitale nel DVD allegato a questa
relazione.
10
Relazione Finale – Capitolo 2
2.3 RILIEVI SEDIMENTOLOGICI E MORFOLOGICI
Si ricorda che, durante la prima fase della ricerca, è stata condotta una intensiva attività di
campo, concentrata nel periodo Maggio – Ottobre 2004, durante la quale sono stati effettuati
(Relazione Magra I):
- rilevamenti geomorfologici di campo, attraverso la compilazione di 37 schede di rilevamento
geomorfologico e 37 schede di rilevamento sintetico (schede più speditive compilate in
corrispondenza di tutti i punti di accesso o di buona visibilità dell’alveo, quali i ponti) (Figura
2.5);
- rilevamenti sedimentologici, attraverso l’esecuzione di misure della distribuzione
granulometrica dello strato superficiale di barre attive, con metodo statistico (pebble count). In
particolare, sono state effettuate 27 misure granulometriche lungo F.Magra e F.Vara (14 e 13
rispettivamente), ed 8 misure lungo i principali affluenti (T.Gordana, T.Bagnone, T.Taverone,
T.Aulella per il F.Magra e T.Stora, T.Gottero, T.Mangia e T.Usurana per il F.Vara).
Figura 2.5 – Ubicazione delle schede compilate durante i rilievi del 2004 (da Relazione Magra I). I
quadrati indicano le schede di rilevamento geomorfologico, gli asterischi quelle di rilevamento
sintetico.
Durante questa fase di approfondimento, si sono effettuati una serie di rilievi sedimentologici
integrativi, ai fini di una caratterizzazione del sottostrato funzionale al calcolo del trasporto solido.
Inoltre, è stata effettuata una campagna aggiuntiva di rilievi di campo durante il mese di Maggio
2006 con una serie di approfondimenti relativi a due tratti rappresentativi (alto Magra e basso
Magra), anche in considerazione del fatto che il F.Magra è inserito tra i casi di studio del progetto di
ricerca in corso di svolgimento “Dinamica recente ed attuale di alvei fluviali in Italia centrosettentrionale: tendenze evolutive, cause ed implicazioni applicative” (Programma PRIN 2006/07,
MIUR, Resp. Prof. M.Rinaldi).
11
Relazione Finale – Capitolo 2
2.3.1 Test sedimentologici
Ai fini delle stime di trasporto solido, si è reso necessario integrare le misure granulometriche
effettuate durante la prima fase dello Studio Magra (con metodo statistico superficiale) con un certo
numero di campioni volumetrici rappresentativi delle dimensioni del sottostrato. Questo perché la
dimensione granulometrica del sottostrato è considerata in genere più rappresentativa per l’impiego
di alcune equazioni di trasporto solido. Questi tipi di campioni sono utili anche per valutare meglio
la percentuale di sabbia presente nelle varie unità fisiografiche e nei vari tratti, anche nell’ottica di
capire il contributo del trasporto solido del materiale del fondo al ripascimento delle spiagge.
Inoltre, contestualmente ai campionamenti volumetrici, sono state effettuate anche nuove misure
della distribuzione granulometrica dello strato superficiale, esattamente nello stesso punto, con
metodo areale. In tal modo è stato possibile fare dei confronti tra le dimensioni dello strato
superficiale e sottostrato, quantificare il grado di corazzamento, ed infine ricavare una relazione tra
le dimensioni dei due livelli in modo da poter valutare, ai fini del calcolo del trasporto solido, le
dimensioni del sottostrato anche per i tratti in cui non era stato effettuato il campionamento
volumetrico.
Durante una prima fase, si sono effettuati alcuni test sedimentologici, sperimentando nuove
strategie di campionamento proposte recentemente in letteratura, al fine di ridurre sensibilmente il
volume di sedimenti richiesto per un singolo campione (Buffington, 2005; Haschenburger et al.,
2005). Questa esigenza nasce dal fatto che la procedura prevista da Church et al. (1987) consiste nel
prelevare un campione con peso fornito da un apposito diagramma in funzione del diametro
massimo dei clasti presenti oppure, se Dmax>32 mm, il peso da prelevare è dato da m= 2.47 Dmax –
44.8, con m in kg e Dmax in mm. In casi come il F.Magra ed il F.Vara, soprattutto nei loro tratti
medio alti, l’applicazione di tale procedura comporta in molti casi la necessità di un peso
complessivo del campione intorno ai 1000 kg o superiore. Ciò rende pertanto questi tipi di
campionamenti particolarmente onerosi e ne limita di fatto il numero. Ciò premesso, sono stati
eseguiti tre test (1. Magra a Filattiera; 2. Magra a S.Stefano; 3. Vara a Ramello) al fine di verificare
quale metodo fornisse risultati più vicini all’applicazione della procedura classica prevista da
Church et al. (1987). In particolare le due strategie sono le seguenti:
- Metodo proposto da Haschenburger et al. (2005). Si preleva un campione del sottostrato per un
peso pari a quello previsto secondo il criterio di Church et al. (1987). Si suddivide il campione in
una serie di n sottocampioni, ognuno di peso di circa 1/n del peso totale del campione, e si procede
ad effettuare le analisi di questi sottocampioni indipendentemente. Una volta ottenuti i risultati di
ogni sottocampione, si ottengono n nuovi sottocampioni “fittizi” sommando progressivamente le
frequenze in peso di ogni classe granulometrica al sottocampione precedente, ed aumentando quindi
progressivamente il peso fino a raggiungere il peso totale del campione complessivo. A questo
punto, si riporta in funzione del peso progressivo del sottocampione il discostamento del diametro
mediano dello stesso rispetto a quello del campione totale. Si dovrebbe individuare quindi una
soglia (in peso campionato) oltre la quale ulteriori incrementi di peso non portano a significative
riduzioni del discostamento rispetto al campione totale (si può eventualmente fissare un limite di
tolleranza).
- Metodo proposto da Buffington (2005). Tale metodo è estremamente più semplice: si tratta di
prelevare il campione del sottostrato per un peso pari a quello previsto secondo il criterio di Church
et al. (1987), analogamente al caso precedente, e poi semplicemente di stenderlo con uno spessore
relativamente omogeneo su un telo in modo da fargli occupare una determinata area. A questo
punto si effettua semplicemente un campionamento areale (grid sample) con griglia predefinita
secondo quanto descritto in seguito.
I grafici con i risultati dei test sono mostrati nelle Figure 2.6 – 2.8. Confrontando i risultati dei
test si può vedere chiaramente che quelli ottenuti con il metodo di Buffington (2005) non sono
molto attendibili, pertanto si è deciso di utilizzare per i campioni successivi a quelli dei test sempre
il metodo di Haschenburger et al. (2005). Riguardo alla scelta del volume da estrarre, si è valutato
12
Relazione Finale – Capitolo 2
che, prelevando un volume pari al 60% di quello totale seguendo Church et al. (1987), si ottiene un
diametro mediano che differisce di circa 1 mm rispetto a quello ottenuto col volume intero e una
curva granulometrica sostanzialmente coincidente con quella ottenuta col volume totale (Figura
2.9), pertanto i campioni successivi sono stati raccolti decurtando il 40% al volume previsto dal
procedimento di Church et alii (1987).
A
40
D50 (mm)
37
34
31
28
25
0
50
100
150
200
250
300
350
400
450
500
550
Peso (kg)
B
100
Church
90
Buffington
Passante cumulato (%)
80
70
60
50
40
30
20
10
0
-10 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Phi
Figura 2.6 – Risultati Test 1 (S.Stefano M.): A) Risultati ottenuti con il metodo di Haschenburger et
al. (2005); B) Confronto della curva ottenuta con il metodo di Church et alii (1987) con quella
attenuta con il metodo di Buffinghton (2005).
13
Relazione Finale – Capitolo 2
A
D50 (mm)
24
21
18
15
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1000
Peso (kg)
B
100
Church
90
Buffington
Passante cumulato (%)
80
70
60
50
40
30
20
10
0
-10 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Phi
Figura 2.7 – Risultati Test 2 (Filattiera): A) Risultati ottenuti con il metodo di Haschenburger et al.
(2005); B) Confronto della curva ottenuta con il metodo di Church et alii (1987) con quella attenuta
con il metodo di Buffinghton (2005).
14
Relazione Finale – Capitolo 2
A
22
21
D50 (mm)
20
19
18
17
16
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
Peso (kg)
B
100
Church
90
Buffington
Passante cumulato (%)
80
70
60
50
40
30
20
10
0
-10 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Phi
Figura 2.8 – Risultati Test 3 (Ramello): A) Risultati ottenuti con il metodo di Haschenburger et al.
(2005); B) Confronto della curva ottenuta con il metodo di Church et alii (1987) con quella ottenuta
con il metodo di Buffinghton (2005).
15
Relazione Finale – Capitolo 2
100
Church
90
0.6 Church
Passante cumulato (%)
80
70
60
50
40
30
20
10
0
-10 -9 -8 -7 -6 -5 -4 -3 -2 -1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Phi
Figura 2.9 – Confronto fra la curva granulometrica ottenuta estraendo l’intero volume consigliato
dalla formula di Church et alii (1987) ed estraendo solo il 60% di esso (Test.1).
2.3.2 Campionamenti volumetrici ed areali
Partendo dai risultati provenienti dai test, sono stati effettuati altri 10 campionamenti
volumetrici del substrato e areali dello strato superficiale (7 sul F.Magra e 3 sul F.Vara), per un
totale di 13 campioni (inclusi i 3 utilizzati per i test), funzionali ai calcoli del trasporto solido e del
bilancio di sedimenti. L’ubicazione dei nuovi campionamenti è riportata in Figura 2.10 e riepilogata
in Tabella 2.2.
N
Mvol1
Mvol2
Mvol3
Mvol4
Mvol5
Mvol6
Mvol7
Mvol8
Mvol9
Vvol1
Vvol2
Vvol3
Vvol4
Data
10/03/06
01/03/06
13/12/05
01/02/06
01/02/06
15/03/06
16/11/05
15/03/06
08/02/06
22/03/06
29/03/06
20/12/05
29/03/06
Fiume
Magra
Magra
Magra
Magra
Magra
Magra
Magra
Magra
Magra
Vara
Vara
Vara
Vara
Sottotratto
MA
MB1
MB2
MC1
MC2
MD1
MD2
ME1
ME1
VA-VB1
VB1
VC2
VE
Località
Pontremoli
valle confl. T.Teglia
Filattiera
Villafranca L.
Terrarossa
Stadano
S.Stefano M.
Raffinerie Arcola
Sarzana
S.Pietro V.
valle confl. T.Stora
Ramello
Follo
Tabella 2.2 – Riepilogo dei rilievi granulometrici effettuati e della loro ubicazione.
Si nota che lungo il F.Vara si dispone di un numero inferiore di campioni, soprattutto
relativamente al tratto intermedio a causa di problemi di accessibilità (si ricorda infatti che per
effettuare campionamenti volumetrici, a differenza dei superficiali, bisogna avere accesso diretto
con automezzo al sito di campionamento in quanto vanno trasportati in laboratorio volumi
significativi di sedimenti).
16
Relazione Finale – Capitolo 2
A
Mvol1
1
Vvol1
1 Vvol2
1
1
Mvol2
Mvol3
1
Mvol4
1
Mvol5
1
Vvol3
1
Vvol4
1
Mvol6
1
Mvol7
1
Mvol8
1
Mvol9
1
B
Figura 2.10 – Campionamenti effettuati nel 2006. A) Ubicazione dei campionamenti e relative
sigle; B) quadro completo dei campionamenti del 2005 e 2006.
17
Relazione Finale – Capitolo 2
La metodologia adottata è descritta di seguito. Scelto il sottotratto in cui eseguire il
campionamento, si è cercato un punto facilmente accessibile anche con l’autoveicolo ed in cui fosse
presente almeno una barra attiva. Si è poi proceduto ai campionamenti dello strato superficiale e del
sottostrato come segue:
a) Campionamento areale dello strato superficiale della barra mediante griglia (grid sample). A
tal fine è stata realizzata una griglia quadrata predefinita, con area pari ad 1 m2, ottenuta attraverso
una cornice di legno ed un reticolato di fili di nylon fissati ai lati della cornice con scansione
spaziale di 1 dm (Figura 2.11). In tal modo, appoggiando la griglia sulla superficie da misurare,
vengono materializzati 100 nodi in corrispondenza dei quali prelevare un granulo. Ripetendo la
procedura per 4 volte, si ottiene un totale di 400 granuli.
b) Campionamento volumetrico del sottostrato. Per il campionamento volumetrico, è stato
dapprima calcolato il peso di sedimenti necessario secondo il criterio di Church et al. (1987). Il peso
effettivo prelevato è stato pari al 60% di quello previsto dal criterio di Church, in accordo ai risultati
dei test. Si procedeva pertanto dapprima all’asportazione di un livello superficiale di spessore
all’incirca pari al diametro massimo rinvenuto. Successivamente si procedeva allo scavo del
materiale sottostante (Figura 2.12A), il quale progressivamente si pesava e si stendeva su un telone
di nylon, fino al raggiungimento del peso desiderato. A tal punto si proseguiva ad una analisi
granulometrica in sito per le frazioni più grossolane, separando queste ultime nelle varie classi
granulometriche attraverso piastra sagomata e pesando direttamente in sito il sedimento relativo ad
ogni classe (Figura 2.12B). Per le classi più fini, si procedeva per ultimo ad una quartatura e solo
una parte dell’intero campione veniva portata nel Laboratorio di Sedimentologia del DIC, presso il
quale veniva completata l’analisi granulometrica per setacciatura durante i giorni successivi.
Figura 2.11 – Griglia utilizzata per i campionamenti areali dello strato superficiale (nella foto la
griglia è utilizzata per il test secondo la procedura di Buffington et al., 2005).
Sono stati inoltre effettuati altri 2 campionamenti superficiali sul T.Verde e sul T.Caprio,
affluenti non campionati nella prima fase della ricerca ma ritenuti invece significativi ai fini del
bilancio di sedimenti.
18
Relazione Finale – Capitolo 2
A
B
Figura 2.12 – Fasi del campionamento volumetrico del sottostrato. A) Scavo del materiale del
sottostrato necessario per il campionamento; B) Separazione delle frazioni più grossolane tramite
piastra sagomata e pesatura in sito.
Per la successiva elaborazione dei dati, è stato utilizzato un foglio di calcolo in ambiente
Microsoft® EXCEL appositamente realizzato presso il DIC per l’elaborazione di dati
granulometrici, il quale permette di rappresentare l’istogramma di frequenza e la curva di frequenza
cumulata, di determinare tutti i principali parametri statistici di interesse della distribuzione
granulometrica (media, deviazione standard, skewness, kurtosis) ed i principali percentili
caratteristici. Nelle Tabelle 2.3 e 2.4 si riporta il riepilogo dei parametri statistici e dei percentili
caratteristici per ogni distribuzione granulometrica, rispettivamente per i campioni volumetrici e
superficiali, mentre tutte le curve granulometriche sono riportate nel DVD allegato in formato
digitale.
N
Mvol1
Mvol2
Mvol3
Mvol4
Mvol5
Mvol6
Mvol7
Mvol8
Mvol9
Vvol1
Vvol2
Vvol3
Vvol4
D40
D50
D84
D90 Dmedio
D16
(mm) (mm) (mm) (mm) (mm) (phi)
3.8
29.5
44.2 136.2 177.7 -5.24
3.9
26.1
37.1
94.4 107.3 -4.83
1.3
14.1
24.3
90.9 114.7 -4.31
10.2
49.4
60.8 122.9 141.4 -5.62
2.8
18.1
31.8
75.6
88.1 -4.53
1.3
15.9
25.1
73.4
82.2 -4.36
1.3
17.6
29.5
74.5
837
-4.38
1.4
11.5
17.4
43.5
50.8 -3.83
0.6
4.2
7.4
24.9
33.2 -2.78
11.8
38.6
52.2
98.3 108.6 -5.48
1.0
12.5
23.1
74.4
99.7 -4.10
1.6
10.8
16.9
68.9
84.2 -4.08
1.4
14.5
26.2
80.2
94.5 -4.34
σ
(mm)
2.61
2.63
2.87
2.41
2.52
2.54
2.66
2.43
2.36
2.13
2.75
2.47
2.60
sk
Ku
0.99
1.39
0.92
1.78
1.13
0.91
1.01
1.12
0.56
1.92
0.68
0.71
0.80
3.34
4.06
2.88
5.56
3.51
2.70
2.85
3.31
2.29
6.46
2.30
2.67
2.49
Tabella 2.3 – Parametri caratteristici delle distribuzioni granulometriche dei campioni volumetrici.
N: numero del campione; D16…D90: principali percentili; Dmedio: media della distribuzione
granulometrica; σ: deviazione standard; sk: asimmetria (skewness); Ku: appuntimento (kurtosis).
19
Relazione Finale – Capitolo 2
N
Msup1
Msup2
Msup3
Msup4
Msup5
Msup6
Msup7
Msup8
Msup9
Vsup1
Vsup2
Vsup3
Vsup4
D40
D50
D84
D16
(mm) (mm) (mm) (mm)
18.8
36.9
45.8 101.7
21.3
37.7
45.8
87.9
10.0
29.5
39.0
838
20.5
41.8
51.7 107.8
16.8
25.9
29.4
56.6
14.8
18.3
24.6
64.8
18.8
36.2
45.5
82.4
14.3
24.5
29.0
49.6
7.4
12.4
14.6
27.2
20.5
42.7
52.1 108.3
13.2
29.8
36.8
69.3
5.9
14.5
18.8
48.5
20.0
38.4
46.9
95.4
D90 Dmedio
(mm) (phi)
126.2 -5.96
104.2 -5.94
98.7 -5.09
123.6 -6.08
69.4 -5.41
80.3 -5.40
89.8 -5.84
56.9 -5.22
31.5 -4.16
124.6 -6.96
81.1 -5.30
60.2 -4.42
110.8 -5.83
σ
(mm)
1.26
1.01
2.49
1.13
0.94
1.03
1.02
0.96
1.36
1.81
1.73
1.84
1.46
sk
Ku
0.52 4.40
0.24 3.06
1.90 6.05
0.46 2.72
0.10 3.52
0.23 4.31
0.61 2.81
1.27 6.69
1.87 7.61
1.95 6.88
1.91 7.15
1.21 4.26
2.18 10.38
Tabella 2.4 – Parametri caratteristici delle distribuzioni granulometriche dei nuovi campioni
superficiali. N: numero del campione; D16…D90: principali percentili; Dmedio: media della
distribuzione granulometrica; σ: deviazione standard; sk: asimmetria (skewness); Ku: appuntimento
(kurtosis).
In Figura 2.13 si riporta l’andamento spaziale del diametro mediano (D50) per i punti di
campionamento lungo il Fiume Magra. Si nota che tale andamento è simile per lo strato superficiale
e per il sottostrato, cioè in generale diminuisce da monte verso valle. Gli aumenti localizzati di D50
che si possono osservare probabilmente sono dovuti all’immissione di affluenti che trasportano
sedimenti più grossolani (ad esempio il T.Bagnone a Villafranca).
70
Villafranc a
SUPERFICIALE
60
Pontremoli
VOLUMETRICO
Filattiera
50
D50 (mm)
Stadano
Raffinerie
40
Sarzana
30
20
10
0
Distanza verso valle
Figura 2.13 - Andamento del diametro mediano risultante dal campionamento superficiale e
volumetrico del 2006 per il fiume Magra.
Per il Fiume Vara il numero di campioni raccolti è stato inferiore (pari a 4), come detto prima
data soprattutto la scarsa accessibilità diretta con mezzo di trasporto. I dati non sono pertanto
sufficienti per visualizzare con sufficiente dettaglio, analogamente a quanto fatto per il Magra, la
distribuzione spaziale (da monte verso valle) delle dimensioni granulometriche. Per tale scopo si
20
Relazione Finale – Capitolo 2
rimanda alla Relazione Magra I dove tale aspetto è stato ampiamente già trattato sulla base dei dati
della campagna granulometrica del 2004 e di quelle effettuate in precedenza nell’ambito di altri
studi.
E’ interessante in questa sede soffermarci invece sulle relazioni tra dimensioni dello strato
superficiale e del sottostrato. Solitamente i sedimenti che si trovano nel sottostrato sono di
dimensioni inferiori a quelli dello strato superficiale. La differenza tra dimensioni dello strato
superficiale e del sottostrato aumenta quanto più è accentuato il corazzamento. Recenti studi
(Hassan et al., 2006) hanno infatti definito un parametro che vuole esprimere appunto il grado di
corazzamento del fondo di un alveo ghiaioso, in base al confronto tra dimensioni dello strato
superficiale e del sottostrato. In particolare, è stato introdotto a tal fine il cosiddetto rapporto di
corazzamento (armour ratio), definito come rapporto fra diametro mediano dello strato superficiale
e del sottostrato. Un alveo non corazzato presenta valori prossimi o addirittura inferiori all’unità,
mentre in un alveo in cui si ha un corazzamento ben sviluppato tale rapporto supera il valore di 2.
Hassan et al. (2006) hanno mostrato come tale rapporto varia anche a seconda del tipo di alveo e
delle condizioni generali di alimentazione di sedimenti e di capacità di trasporto, soprattutto in
funzione di diversi contesti geografici e climatici. In particolare, corsi d’acqua di clima umido
(perenni) tendono a presentare un corazzamento più sviluppato, mentre in alvei effimeri di clima
arido il rapporto di corazzamento è più basso, spesso vicino all’unità. Il grado di corazzamento,
essendo quindi legato al rapporto tra alimentazione di sedimenti e capacità di trasporto della
corrente, può in qualche modo riflettere anche le tendenze evolutive di un dato corso d’acqua, nel
senso che maggiori valori del rapporto di corazzamento possono essere associati a condizioni di
incisione, mentre valori bassi (corazzamento scarso o assente) possono essere associati a condizioni
di sedimentazione.
E’ interessante pertanto osservare i risultati dei campionamenti effettuati lungo i fiumi Magra e
Vara. In Tabella 2.5 sono riepilogati i diametri mediani dei campionamenti effettuati e, nell’ultima
colonna, si riporta il rapporto di corazzamento.
Fiume
Sottotratto
Località
N
Magra
Magra
Magra
Magra
Magra
Magra
Magra
Magra
Magra
Vara
Vara
Vara
Vara
MA
MB1
MB2
MC1
MC2
MD1
MD2
ME1
ME1
VA-VB1
VB1
VC2
VE
Pontremoli
valle confl. T.Teglia
Filattiera
Villafranca L.
Terrarossa
Stadano
S.Stefano M.
Raffinerie Arcola
Sarzana
S.Pietro V.
valle confl. T.Stora
Ramello
Follo
Msup1
Msup2
Msup3
Msup4
Msup5
Msup6
Msup7
Msup8
Msup9
Vsup1
Vsup2
Vsup3
Vsup4
D50
(mm)
45.8
45.8
39.0
51.7
29.4
24.6
45.5
29.0
14.6
52.1
36.8
18.8
46.9
N
Mvol1
Mvol2
Mvol3
Mvol4
Mvol5
Mvol6
Mvol7
Mvol8
Mvol9
Vvol1
Vvol2
Vvol3
Vvol4
D50
(mm)
44.2
37.1
24.3
60.8
31.8
25.1
29.5
17.4
7.4
52.2
23.1
16.9
26.2
RC
1.04
1.23
1.6
0.85
0.92
0.98
1.54
1.67
1.97
0.99
1.59
1.11
1.79
Tabella 2.5 – Riepilogo dei diametri mediani dei campionamenti volumetrici e superficiali e relativo
rapporto di corazzamento (RC).
E’ possibile subito osservare che i valori del rapporto di corazzamento sono sempre al di sotto
del valore di 2, vale a dire non si osserva mai un corazzamento ben sviluppato. Inoltre, in molti casi
(4 su un totale di 13), il rapporto è addirittura inferiore all’unità, vale a dire la dimensione mediana
del livello superficiale è inferiore rispetto al sottostrato. In particolare, tali situazioni si concentrano
nei tratti MC ed MD1, lungo il Magra, e nella parte superiore del Vara. Si può pertanto dire che i
valori di tale parametro sono in generale coerenti con le interpretazioni di campo della tendenza
21
Relazione Finale – Capitolo 2
evolutiva in quanto entrambi i fiumi si sono interpretati come attualmente in equilibrio o in
sedimentazione, mentre solo localmente (ad es. nella parte finale del Magra) è presumibile che il
fondo sia tuttora in incisione.
70
D50 volumetrico (mm)
60
50
40
30
20
10
0
0
10
20
30
40
50
60
D50 superficiale (mm)
Figura 2.14 - Rapporto fra diametro mediano superficiale e volumetrico dei campioni raccolti nel
2006.
70
60
D50 vol (2006)
50
40
30
20
10
0
0
10
20
30
40
50
60
70
D50 sup (2005)
Figura 2.15 - Rapporto fra diametro mediano dei campionamenti superficiali del 2005 con quelli
volumetrici del 2006 (dove risulta possibile il confronto).
E’ utile ora, ai fini delle successive valutazioni del trasporto solido, verificare se esistano delle
correlazioni soddisfacenti tra dati dello strato superficiale e del sottostrato, al fine di poter
estendere, entro certi limiti, i risultati dei campioni volumetrici ai tratti in cui tali campioni non sono
stati effettuati. Considerando tutti i campioni raccolti si può osservare (Figura 2.14) che esiste una
corrispondenza soddisfacente (R2=0.71) fra diametro mediano del campionamento superficiale e
volumetrico: ciò ci permette di dire che esiste una relazione fra strato superficiale e sottostrato. Al
fine di estendere i dati volumetrici ai siti per i quali essi non sono disponibili, è tuttavia più utile
ricavare una regressione tra campioni superficiali raccolti nella campagna di misure del 2005 con i
campioni volumetrici attuali fatti circa nello stesso sito (Figura 2.15): anche in questo caso si ottiene
una soddisfacente corrispondenza (R2=0.78). Ciò permetterà di poter utilizzare i risultati dei
22
Relazione Finale – Capitolo 2
campioni superficiali raccolti nel 2005 (che sono in numero maggiore rispetto a quelli del 2006) per
stimare il diametro mediano del sottostrato per i tratti in cui quest’ultimo non è stato campionato
nell’ultimo rilievo.
2.3.3 Campagne di misure di Maggio-Settembre 2006
Durante il periodo Maggio – Settembre 2006 sono state svolte altre attività di ricerca relative al
F.Magra le quali, seppure non rientranti direttamente nel programma di ricerca relativo al presente
progetto, hanno contribuito ad un avanzamento dello stato conoscitivo del fiume stesso e ad alcuni
approfondimenti parte dei quali utili ai fini di questa relazione.Queste attività sono sinteticamente
ricordate di seguito.
Campagna di rilievi 28/05 – 2/06/2006
Nella settimana compresa tra il 28 Maggio ed il 2 Giugno 2006 è stata svolta una campagna
intensiva di rilievi di campo, in collaborazione con il Dr. H.Piegay del CNRS di Lione (Francia) ed
il suo staff. Il gruppo francese era costituito da 9 persone ed al gruppo italiano hanno preso parte, in
totale, 10 persone, alcune delle quali alternandosi durante la settimana.
La settimana di rilievi si è concentrata su due tratti rappresentativi, la Piana di Filattiera ed il
basso Magra (fino a Sarzana circa, cioè fino a dove sono presenti sedimenti ghiaiosi), con
l’obiettivo di studiare le differenze in termini di evoluzione e di recupero morfologico. I risultati
derivanti da questi rilievi sono tuttora in fase di elaborazione e saranno oggetto di future
pubblicazioni scientifiche. In particolare, sono stati trattati i seguenti aspetti:
1. Rilievi topografici e caratterizzazione sponde. E’ stato eseguito un profilo del thalweg, tramite
GPS differenziale, per gli interi due tratti (Figura 2.16 e 2.17). Per quanto riguarda le sponde, sono
stati mappati i tratti in arretramento (sempre tramite GPS) e, per ogni sponda in arretramento, ne è
stata misurata la geometria (altezza e pendenza media) e misurati gli spessori delle due componenti,
quella grossolana (ghiaia e ciottoli) e quella fine (sabbia e limo) quando presente. Questi dati sono
poi stati impiegati nel bilancio di sedimenti per quantificare l’input di materiale, per ogni tratto del
bilancio, derivante da erosione di sponda. Sono state inoltre selezionate 3 sezioni per ognuno dei
due tratti, che fossero sufficientemente rappresentative delle caratteristiche medie ed allo stesso
tempo comprendessero una sufficiente varietà di superfici (barre, barre alte, isole, piana inondabile,
ecc.) caratteristiche del tratto stesso. Il rilievo delle sezioni è stato eseguito con stazione totale
(distanziometro e teodolite) allacciandolo con il rilievo GPS. In corrispondenza di tali sezioni sono
stati eseguiti altri tipi di rilievi, descritti nei due seguenti punti.
A
B
C
Figura 2.16 – Fasi dei rilievi topografici. A e B: GPS e stazione totale; C: misura della geometria di
una sponda in erosione.
23
Relazione Finale – Capitolo 2
30
Quota (m.s.l.m.)
25
20
Confl.F.Vara
15
10
5
2006
1989
0
31000
33000
35000
37000
39000
41000
Distanza verso valle (m)
Figura 2.17 – Profilo longitudinale del thalweg del 2006 per il tratto del basso Magra confrontato
con il profilo del 1989.
A
B
120
0.60
100
0.50
80
D16
D50
60
D90
40
Dx medio (mm
Dx medio (mm)
C
0.40
D16
D50
0.30
D90
0.20
0.10
Sponda
Barra alta
Canale
secondario
Barra bassa
0.00
0
Piana
inondabile/Isola
20
Figura 2.18 – Rilievi granulometrici. A: Campionamento superficiale lungo un canale secondario;
B: rilievo volumetrico del materiale di sponda; C: risultati medi delle analisi granulometriche
condotte su diverse superfici (sezione 1, Piana di Filattiera).
24
Relazione Finale – Capitolo 2
2. Granulometrie. Nelle sei sezioni rappresentative descritte al punto precedente, sono stati
effettuati campionamenti granulometrici per caratterizzare le varie forme e superfici presenti (barra
bassa, barra alta, isola, piana inondabile, canale secondario, sponda in erosione), adottando diverse
metodologie (superficiale o volumetrico) a seconda dei casi (Figura 2.18).
3. Vegetazione riparia. Per ogni sezione trasversale rilevata, sono state descritte le unità ripariali
(habitat presenti e specie prevalenti in ogni habitat, densità e altezza per le principali specie,
estensione degli habitat principali) (Figura 2.19). Gli obiettivi di questa fase erano: 1) caratterizzare
le singole sezioni, 2) confrontare pattern di vegetazione in due diversi contesti di restringimento in
termini di diversità e rigenerazione delle specie, 3) capire se esiste e qual è la relazione fra
vegetazione e incisione nel contesto del restringimento.
Figura 2.19 – Esempio di descrizione delle unità ripariali per una sezione tipo (sezione 1 nella Piana
di Filattiera).
4. Detriti legnosi. Sono state rilevate la posizione e le caratteristiche dei LWD presenti lungo i due
tratti di studio, adottando specifiche schede di rilevamento sviluppate appositamente per i detriti
legnosi (Figura 2.20). Gli obiettivi di questa fase erano: 1) individuare le sorgenti di legno, 2)
trovare relazioni fra distribuzione dei LWD e processi geomorfologici; 3) comprendere la loro
interazione con le condizioni idrodinamiche.
A
B
Figura 2.20 – Fasi di rilievo di un accumulo di detriti legnosi.
5. Aspetti sociali legati alla percezione del fiume. Sono stati fatti compilare dei questionari
relativamente agli aspetti sociali di percezione del fiume, appositamente predisposti da un esperto in
tali aspetti del gruppo di Lione. Un primo questionario riguardava la valutazione della percezione
dei sedimenti nell’ambiente fluviale ed in relazione al paesaggio circostante; un secondo
questionario la valutazione della percezione dell’evoluzione del fiume e dell’impatto di essa sulle
attività antropiche. Tali questionari sono stati compilati da varie persone (scuole, proprietari di
25
Relazione Finale – Capitolo 2
terreni limitrofi al fiume, membri di associazioni ambientaliste o di pescatori, amministrazioni
pubbliche, persone del posto).
Volo aereo CGR Parma Luglio 2006
Durante il mese di Luglio 2006, quindi poco successivamente ai rilievi di campo, è stato
effettuato un volo aereo da parte della ditta CGR di Parma, con scala di circa 1:8.000. Tale volo ha
riguardato gli stessi due tratti oggetto dei rilievi di campo (Piana di Filattiera e basso Magra). Il
totale delle foto è di 86. E’ in corso la georeferenziazione delle immagini, in base alla quale
successivamente verranno fatte osservazioni e misure varie. Tale volo è stato finanziato nell’ambito
del progetto “Dinamica recente ed attuale di alvei fluviali in Italia centro-settentrionale: tendenze
evolutive, cause ed implicazioni applicative” (Programma PRIN 2006/07, MIUR, Resp. Prof.
M.Rinaldi). I risultati saranno resi disponibili una volta completate le misure.
Riunione programma PRIN Settembre 2006 sul F.Magra
Si segnala inoltre che, nell’ambito dello stesso programma di ricerca PRIN prima menzionato,
è stata svolta nei giorni 27-29 Settembre 2006 una riunione delle varie Unità Operative (Firenze,
Padova, Pavia) coinvolte nel progetto presso Mulazzo. Durante uno dei tre giorni, è stata svolta
attività di campo in una delle tre sezioni rappresentative della campagna di Maggio-Giugno 2006
della Piana di Filattiera, con l’obiettivo di perfezionare la messa a punto di schede geomorfologiche
di campo finalizzate all’interpretazione delle tendenze evolutive che si stanno realizzando
nell’ambito di tale progetto. Tale attività di campo ha dato l’occasione di esaminare in maggior
dettaglio le evidenze di campo relative alle variazioni morfologiche di questo tratto. Tali risultati,
insieme a quelli relativi alla campagna di Maggio – Giugno 2006, hanno indotto a ritenere che il
tratto della Piana di Filattiera ha subìto un grado di incisione leggermente superiore (anche
superiore ai 3 m) rispetto a quanto inizialmente interpretato (nella campagna del 2004), mentre è
confermata l’attuale tendenza in sostanziale equilibrio o leggera sedimentazione. Questo ha portato
ad una leggera modifica nella “Carta di sintesi” in quanto tale tratto è stato variato da classe ad
“incisione moderata” a classe ad “incisione intensa” nelle variazioni altimetriche del fondo (si veda
anche paragrafo 2.6).
2.4 CARTA DELLE VARIAZIONI PLANIMETRICHE DELL’ALVEO
La Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo, in scala 1:10.000, è composta da 7 tavole,
con numero progressivo da 8 a 14 (Figura 2.21) come segue:
-Tavola 8: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Magra da Pontremoli a Villafranca;
-Tavola 9: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Magra da Villafranca L. ad Aulla;
-Tavola 10: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Magra da Aulla a Ressora;
-Tavola 11: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Magra da Ressora alla foce;
-Tavola 12: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Vara da Varese L. al Piano di
Graviola;
-Tavola 13: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Vara dal Piano di Graviola a
Borghetto V.
-Tavola 14: Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo del F.Vara da Borghetto V. a Ceparana.
Nella carta viene riportato il tracciato dell’alveo attivo a partire dal 1877 (Tavolette storiche
IGM) e per i seguenti voli aerei (Figura 2.22):
- Volo del 1937, in bianco e nero, scala di circa 1:18.000 (non si ha copertura per il tratto a monte di
Filattiera);
- Volo GAI del 1954, in bianco e nero, scala di circa 1:66.000, copertura completa;
- Volo IGM del 1971, in bianco e nero, scala di circa 1:33.000, copertura completa;
- Volo IGM del 1981, in bianco e nero, scala di circa 1:33.000, copertura completa;
- Volo AIMA del 1995, a colori, copertura completa;
- Volo Italia 2000, effettuato nel 1999, a colori, scala di circa 1:40.000, copertura completa.
26
Relazione Finale – Capitolo 2
- Ortofoto del 2003, in bianco e nero, relative alla parte del bacino rientrante in Toscana.
- Volo IGM del 2004, in bianco e nero, scala di circa 1:33.000, copertura completa.
La cartografia completa è stata consegnata in formato cartaceo in allegato alla Relazione
Intermedia (Maggio 2006) e si riporta nuovamente in formato digitale nel DVD allegato a questa
relazione.
Figura 2.21 – Quadro di unione delle tavole della Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo.
Figura 2.22 – Esempio di Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo, con relativa legenda,
relativa ad una porzione della Piana di Filattiera.
27
Relazione Finale – Capitolo 2
2.5 VARIAZIONI CLIMATICO - IDROLOGICHE
Durante la prima fase della ricerca, sono state prese in esame le serie storiche di dati idrologici
disponibili per le principali stazioni di misura. In particolare, si sono analizzati i trend di
precipitazioni totali annue e di portate giornaliere massime annue (per queste ultime, la mancanza di
dati in alcuni intervalli di tempo ha reso piuttosto incerta l’interpretazione). In tutti i casi, da tale
analisi non sono emerse evidenze significative di variazioni di tali grandezze idrologiche tali da
poter essere messe in qualche modo in relazione con le consistenti variazioni morfologiche degli
alvei. Viceversa, la corrispondenza cause-effetti con i fattori antropici è talmente chiara da aver
indotto a ritenere, con molta probabilità, che le variazioni morfologiche sono attribuibili del tutto o
in larghissima parte a tali fattori piuttosto che a cause naturali.
Temperature
Bagnone (1932-1998)
Pontremoli (1932-1998)
La Spezia (1932-1988)
Tavarone (1934-1998)
Arlia (1933-1998)
Baselico di Guinadi (1967-1998)
Calice (1934-1998)
Levanto (1934-1998)
Novegino (1963-1998)
Presa Gordana (1967-1998)
Rocchetta (1967-1998)
S.Margherita (1967-1998)
Varese Ligure (1967-1998)
Precipitazioni
Portate
Arlia (1933-1999)
Passo della Cisa (1918-1999)
Montelungo Superiore (19221978)
Guinadi (1937-1999)
Presa Gordana (1959-1999)
Rocca Sigillina (1935-1999)
Parana (1935-1999)
Rocchetta (1933-1999)
Villafranca Lunigiana (19201999)
Iera (1926-1999)
Bagnone (1919-1999)
Bola di Tresana (1934-1999)
Passo del Cerreto (1918-1999)
Matucaso (1935-1999)
Equi Terme (1937-1999)
Tendola (1922-1999)
Varese Ligure (1927-1999)
Tavarone (1933-1999)
Cembrano (1918-1999)
Chiusola (1934-1999)
S.Margherita (1928-1999)
Mattarana (1957-1999)
Padivarma (1926-1999)
Serò di Zignago (1933-1999)
Riccò del Golfo (1928-1999)
Calice al Cornoviglio (19211999)
Piana Battolla (1933-1996)
La Foce (1927-1999)
Sarzana (1921-1999)
La Spezia (1921-1988)
Montale di Levanto (1953-1999)
Novegino (1939-1999)
Turano (1934-1999)
Pontremoli (1921-1999)
Magra a Piccatello (1934-1942;
1957-1977; 1996)
Magra a Calamazza (1936-1977;
1993-1996)
Aulella (1955-1977; 1994-1996)
Bagnone (1934-1977)
Taverone (1933-1943)
Vara a Naseto (1932-1975; 19931995)
Vara a Padivarma (1932-1937)
Vara a Piana Battolla (1934-1943)
Tabella 2.6 – Riepilogo delle stazioni di misura di temperature, precipitazioni e portate. In
parentesi: anno iniziale e finale di misure (si noti che per le temperature e le precipitazioni
l’intervallo tra anno iniziale e finale può non essere completo; per le portate si riportano invece gli
intervalli di funzionamento).
28
Relazione Finale – Capitolo 2
In questa seconda fase, si è ritenuto utile approfondire per quanto possibile questo aspetto,
andando ad analizzare in maniera più sistematica i trend temporali dei principali parametri
idrologico – climatici (in particolare piogge e portate). Sono state prese in esame le stazioni di
misura riepilogate in Tabella 2.6, partendo dai dati in formato digitale già in possesso dell’Autorità
di Bacino ed in alcuni casi andando ad integrare la digitalizzazione sulla base dei dati riportati in
forma cartacea sugli Annali Idrologici. I dati completi sono riportati nel DVD allegato.
Si precisa che tale analisi non è stata finalizzata ad investigare su possibili variazioni climatiche
in atto (per le quali ovviamente sarebbero richieste analisi ben più approfondite e dati relativi agli
ultimi anni, non in nostro possesso) ma piuttosto, come prima spiegato, a verificare se ci possano
essere state delle significative variazioni idrologiche che possano avere in qualche modo influito
sulle variazioni morfologiche degli alvei fluviali. L’attenzione si è dunque concentrata sui dati di
pioggia e portata, le cui variazioni temporali possono avere qualche possibile influenza sulle
variazioni morfologiche d’alveo.
A
800
Pioggia mensile (mm)
700
600
500
400
300
200
100
0
1900
B
1920
1940
1960
Anno
1980
2000
2020
Pioggia totale annua (mm)
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
1920
1930
1940
1950
1960
Anno
1970
1980
1990
2000
Figura 2.23 – Variazioni temporali delle precipitazioni per la stazione di Pontremoli (quota:
237 m s.l.m.). A) Precipitazioni mensili; B) Precipitazioni totali annue.
Si riportano i risultati relativi a 3 stazioni pluviometriche rappresentative dei diversi ambiti
fisiografici del bacino: Pontremoli (alto Magra), S.Margherita (medio Vara), Sarzana (basso
Magra). Per la stazione di Pontremoli, in Figura 2.23A si riportano i valori di pioggia totale mensile
29
Relazione Finale – Capitolo 2
in funzione del tempo. Tali dati tuttavia non sono particolarmente adatti a questo tipo di analisi, a
causa della loro estrema variabilità legata alle condizioni stagionali. Pur tuttavia, complessivamente
non sembra poter osservare significative variazioni temporali delle piogge, se non una piuttosto
lieve riduzione temporale delle stesse, evidenziata dalla linea di tendenza. Si è provato quindi a
riportare in diagramma per ogni anno solo il valore di pioggia totale (Figura 2.23B): si osserva che
tale diagramma permette di visualizzare con più immediatezza e chiarezza le eventuali variazioni
temporali. Nel caso in esame, la linea di tendenza evidenzia un trend simile a quello osservato
plottando i valori mensili di pioggia, cioè una riduzione temporale delle piogge totali annue, anche
più accentuata rispetto al grafico precedente.
Per le due stazioni successive (S.Margherita e Sarzana), si è preferito quindi direttamente
analizzare il grafico delle variazioni temporali delle precipitazioni totali annue. Anche in questi due
casi (Figura 2.24A e B), non si osservano variazioni significative: per S.Margherita il trend è simile
a quello di Pontremoli, con una lieve riduzione delle precipitazioni totali annue nel tempo, mentre
per Sarzana non si registra tale riduzione, anzi si verifica un lieve aumento nel tempo.
A
3500
Pioggia totale annua (mm)
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
1920
B
1930
1940
1950
1960
Anno
1970
1980
1990
2000
1940
1950
1960
Anno
1970
1980
1990
2000
Pioggia totale annua (mm)
2500
2000
1500
1000
500
0
1920
1930
Figura 2.24 – Variazioni temporali delle precipitazioni totali annue per le stazioni di
S.Margherita Vara e Sarzana. A) S.Margherita Vara (quota: 200 m s.l.m.); B) Sarzana (quota: 26 m
s.l.m.).
30
Relazione Finale – Capitolo 2
A
Portata media mensile (m 3/s)
300
250
200
150
100
50
0
1935
B
dati non
disponibili
1945
1955
1965
Anno
1975
1985
1995
Portata media annua (m 3/s)
80
70
60
dati non
disponibili
50
40
30
20
10
0
1920
C
1930
1940
1950
1960
Anno
1970
1980
1990
2000
Q picco massima annua (m 3/s)
1600
1400
1200
1000
dati non
disponibili
800
600
400
200
0
1920
1930
1940
1950
1960
Anno
1970
1980
1990
2000
Figura 2.25 – Variazioni temporali delle portate per la stazione idrometrica di Calamazza lungo
il F.Magra. A) Portate medie mensili; B) Portate medie annue; C) Portate di picco massime annuali.
Per quanto riguarda le portate, si è ritenuto particolarmente significativo analizzare le eventuali
variazioni temporali relativamente alla principale stazione di misura lungo il F.Magra (Calamazza),
la quale ha funzionato per un intervallo di tempo sufficientemente lungo, seppure si registra un
intervallo di dati mancanti tra il 1978 ed il 1992. In maniera simile alle piogge per la stazione di
31
Relazione Finale – Capitolo 2
Pontremoli, si sono riportate le portate medie mensili (Figura 2.25A), quelle medie annue (Figura
2.25B) ed infine si è ritenuto interessante riportare anche le massime portate al colmo annue (Figura
2.25C). Anche in questo caso (come per le piogge), si notano dei risultati leggermente contrastanti:
le portate medie mensili risultano pressoché costanti, le portate medie annue mostrano un lieve
incremento nel tempo, mentre le portate al colmo massime annuali si riducono leggermente nel
tempo.
Nel complesso, si può concludere che l’analisi delle variazioni dei principali parametri
idrologici non ha messo in evidenza chiari ed univoci trend temporali, tali che le notevoli variazioni
morfologiche degli alvei possano essere in qualche modo messe in relazione con tali parametri.
2.6 QUADRO COMPLESSIVO DELLE VARIAZIONI E DELLE CAUSE
In questo paragrafo si riporta un quadro complessivo delle variazioni morfologiche, dei trend
evolutivi attuali e delle relative cause durante gli ultimi 150 anni,, secondo quanto già descritto
nella Relazione Magra I (alla quale si rimanda per maggiori dettagli) ed integrandolo con i nuovi
elementi conoscitivi scaturiti dalle attività svolte nel periodo Maggio – Settembre 2006 e
dell’analisi delle variazioni climatico-idrologiche (descritte nei due paragrafi precedenti).
Rimboschimenti,sistemazioni
idraulico-forestali
FATTORI
ANTROPICI
Escavazione
di sedimenti
Dighe
Pennelli
Soglie
I
I
II
1810/23
INCISIONE CRESCENTE
1877
1938
1995
1999/2004
III
1800
1850
1900
1920
1940
1960
1980
2000
Figura 2.26 – Schema riepilogativo delle variazioni morfologiche dei fiumi Magra e Vara e dei
principali tipi di fattori antropici (le date relative alle varie fasi si riferiscono agli anni delle
principali cartografie o foto aeree analizzate).
32
Relazione Finale – Capitolo 2
Si può suddividere l’intervallo temporale preso in esame in alcuni principali sottoperiodi, come
descritto di seguito, facendo riferimento allo schema riepilogativo riportato in Figura 2.26 (riferito
in particolar modo ai tratti del basso Magra e basso Vara).
(1) XIX secolo
Intorno al 1830 i fiumi Magra e Vara, nei loro tratti più vallivi ed in particolar modo in
prossimità della loro confluenza, presentavano una tipica morfologia a canali intrecciati con un
alveo attivo molto largo. Tali morfologie sono da mettere in relazione in primo luogo con la forte
alimentazione di sedimenti provenienti dai rilievi montuosi che a quell’epoca erano per ampie zone
privi di copertura boschiva, a seguito dell’intenso disboscamento dei secoli precedenti. Un secondo
fattore che favorisce l’esistenza di queste morfologie è certamente la scarsa antropizzazione di
queste aree di fondovalle. Dalla cartografia del 1877-78 si osserva ancora il mantenimento di una
morfologia a canali intrecciati simile a quella del 1830, seppure si verifica già una certa riduzione
della larghezza e dell’indice di intrecciamento. Non sono ben chiare le cause di queste prime
variazioni di larghezza, dal momento che i fattori antropici (disboscamenti, dighe, pennelli)
cominciano ad essere significativi a partire dalla fine del XIX secolo e soprattutto nei primi decenni
del XX secolo. Si potrebbe ipotizzare una possibile influenza di variazioni climatiche. In
particolare, la fine della Piccola Età Glaciale avrebbe comportato una riduzione della frequenza e
della intensità delle precipitazioni e di conseguenza una certa diminuzione dell’apporto di sedimenti
ai sistemi fluviali, la quale spiegherebbe questa prima fase di restringimento degli alvei.
Nella seconda metà del secolo furono emanate le leggi del Regno d’Italia (20 marzo 1865 ed in
particolare legge forestale 20 giugno 1877) sui rimboschimenti. Tali leggi segnavano un importante
cambiamento nella politica di gestione del bacino idrografico e risultarono comunque in un
rallentamento dell’attività di disboscamento. E’ utile ricordare a tal proposito che, anche per quanto
riguarda la linea di costa in prossimità della foce, essa continuò ad avanzare, proseguendo il trend
dei secoli precedenti, fino a circa metà del XIX secolo. Seppure solo dal 1878 si dispone di
materiale cartografico attendibile per effettuare misure delle variazioni della linea di riva, secondo
Albani (1940) già dalla metà del 1800 la spiaggia posta a SE della foce entrò in erosione.
(2) Prima metà del XX secolo
La prima metà del XX secolo rappresenta un periodo di significative variazioni morfologiche
degli alvei, seppure le modificazioni più intense avverranno nella seconda metà del secolo. I
principali tipi di fattori antropici che hanno potuto avere un ruolo significativo nell’evoluzione
degli alvei fluviali durante tale periodo possono essere così riepilogati:
1. Variazioni di uso del suolo a scala di bacino (rimboschimenti, sistemazioni idraulico-forestali).
Le leggi dei primi decenni del 1900 (1912, 1923 e 1933) promossero la realizzazione di
sistemazioni idraulico forestali, consistenti principalmente nella realizzazione di briglie lungo i
torrenti montani, sistemazioni dei versanti e rimboschimenti, sistemazioni idraulico-agrarie
(terrazzamenti, ecc.).
2. Pennelli. E’ ben noto come, a partire dagli anni ’20 venne intrapresa la realizzazione, nelle aree
di fondovalle dei tratti vallivi del Magra e del Vara, di una rete di pennelli.
3. Dighe. La diga più rilevante è quella di S.Margherita sul F.Vara, realizzata negli anni ’30. Altri
tre tre serbatoi di ritenuta, realizzati intorno alla metà del secolo, sono ubicati nella parte alta del
bacino del Magra ed il più grande di essi è situato sul T.Teglia, affluente di destra del Magra.
4. Escavazione di inerti. Un certo utilizzo dei sedimenti dei due alvei fluviali come materiali inerti
esisteva già in questo periodo.
Le variazioni morfologiche degli alvei del F.Magra e F.Vara, in conseguenza di questi vari tipi
di disturbi antropici, sono state molto significative e si possono così riepilogare:
(1) La larghezza del 1937-38 si è significativamente ridotta rispetto a quella del 1877-78, mentre
più limitate sono le variazioni tra 1937-38 e 1954. Inoltre si registra una parziale perdita della
33
Relazione Finale – Capitolo 2
configurazione a canali intrecciati, con il passaggio verso una configurazione transizionale
(wandering).
(2) Più frammentarie sono le informazioni che riguardano le variazioni della quota del fondo. Negli
unici tratti per i quali si disponeva di dati altimetrici relativamente a questo periodo (MD2 ed
ME del F.Magra), risulta un notevole abbassamento del fondo (fino a 4-5 m) tra 1914 e 1958.
Per quanto riguarda la linea di costa, un forte arretramento si registra già tra 1878 e 1928,
analogamente tra 1928 e 1938 mentre tra 1938 e 1954 il litorale non varia più di tanto la sua
posizione ed assume un assetto prossimo a quello attuale (Aminti & Pranzini 2000).
(3) Periodo compreso tra la metà del XX secolo e gli inizi degli anni ‘90
Per quanto riguarda i fattori antropici relativi a questo periodo,oltre al perdurare di quelli
relativi al periodo precedente (rimboschimenti, ulteriori pennelli nel fondovalle), si intensifica
notevolmente l’escavazione di sedimenti. In particolare il periodo di massima attività fu raggiunto
negli anni ’60 – ‘70 in concomitanza con la realizzazione delle autostrade A12 e A15 a poca
distanza dai due fiumi.
La principale conseguenza è rappresentata dall’intenso abbassamento del fondo nel tratto
vallivo del F.Magra, che ha raggiunto complessivamente, tra 1914 e 1999, l’ordine dei 10 m in
alcuni punti. Per quanto riguarda il F.Vara, i dati sono più limitati, tuttavia anche per questo fiume
gli abbassamenti del fondo successivi al 1958 sono dell’ordine di qualche metro. All’incisione del
fondo si è abbinato un accentuarsi del restringimento dell’alveo attivo, sia come risultato del
deficit di portata solida al fondo che a seguito della progressiva colonizzazione di vegetazione su
porzioni di alveo rimaste sopraelevate rispetto al fondo, a causa dell’abbassamento di quest’ultimo.
Per quanto riguarda le porzioni medio-alte del bacino (medio-alto Vara e medio-alto Magra),
l’abbassamento del fondo è stato certamente più limitato. Lungo l’alto Vara, l’abbassamento del
fondo è stato limitato o assente, in conseguenza dei seguenti fattori: a) escavazione di inerti molto
limitata o assente; b) erosione regressiva limitata o assente in quanto impedita dalla presenza di
soglie rocciose; c) forte potenziale di ricarica da parte dei versanti; d) configurazione dell’alveo
(semiconfinato e con numerose curvature) che determina un lento transito verso valle del materiale
solido. Lungo l’alto Magra si osservano alcune condizioni simili all’alto Vara, ma anche alcune
differenze che hanno determinato un abbassamento a tratti più rilevante (in particolare la Piana di
Filattiera appare più significativamente incisa), seppure non confrontabile con quello verivicatesi
nel tratto di pianura. Tra le differenze, c’è da annotare anche la presenza di alcuni sbarramenti lungo
alcuni affluenti di destra (in particolare T.Teglia), che hanno contribuito ad un minore apporto
solido da parte dei sottobacini (De Stefanis, com.pers.). L’abbassamento è probabilmente
continuato anche nei primi anni ’90, a causa di un ritardato effetto di erosione regressiva che è
andata ad interessare tali tratti (in particolare la Piana di Filattiera). L’erosione regressiva ha avuto
modo di manifestarsi in maniera più accentuata rispetto all’alto Vara (dove, come detto, è stata
quasi assente) per i seguenti motivi: a) grado di incisione più rilevante del basso Magra; b) le soglie
intermedie (Aulla – S.Stefano e Villafranca), hanno avuto un effetto meno rilevante nell’arrestare
l’erosione regressiva in quanto non costituivano vere e proprie soglie rocciose ma tratti con un certo
spessore di materasso alluvionale che in parte è stato asportato dall’erosione.
(4) Gli ultimi 15 anni circa
Negli ultimi anni si registra un’inversione di tendenza del trend di variazione della larghezza,
con l’inizio di una fase di allargamento, combinata in alcuni tratti anche ad un’inversione del trend
del fondo, quest’ultima meno generalizzata e più accentuata lungo il medio-alto Vara e lungo il
Magra a valle della confluenza tra i due. Questa inversione di tendenza, riscontrata peraltro anche in
altri fiumi pedealpini a configurazione inizialmente a canali intrecciati, potrebbe essere attribuita ad
un incremento di disponibilità di sedimenti in alveo (principalmente per netta riduzione, ma non
totale scomparsa, dell’attività di escavazione), i quali promuovono l’accrescimento di barre e, di
conseguenza, favoriscono l’allargamento dell’alveo attivo (Surian & Rinaldi, 2004). L’allargamento
34
Relazione Finale – Capitolo 2
stesso, a sua volta legato alla nuova aumentata disponibilità di sedimenti in alveo, alimenta i tratti a
valle di ulteriori sedimenti, pertanto si crea una retroazione (feedback) tra i due processi che sono
correlati tra loro. Le tendenze evolutive attuali e le possibili cause verranno approfondite nel
paragrafo successivo. Una evoluzione leggermente differente rispetto a quella generale ora descritta
sembra avere interessato il tratto della Piana di Filattiera. In questo tratto, infatti, il confronto tra
profilo del 1989 e del 2006 (ultima campagna di rilievi topografici) ha denotato una riduzione
generale della quota del fondo, seppure le evidenze di campo attuali mostrano indubbiamente una
tendenza all’equilibrio o leggera sedimentazione. Tale apparente incongruenza è spiegabile con il
fatto che l’erosione regressiva ha raggiunto ed interessato piuttosto recentemente il tratto della
Piana di Filattiera, vale a dire negli anni ’90 il fondo ha continuato ad abbassarsi (in concomitanza
anche con il proseguimento della fase di restringimento), mentre solo più recentemente
(probabilmente a partire dall’evento di piena del 2000) si è cominciata a manifestare l’inversione di
tendenza del fondo.
35
Relazione Finale – Capitolo 3
CAPITOLO 3 – INDIVIDUAZIONE DELLE AREE DI POTENZIALE
RICARICA DI SEDIMENTI
Un aspetto strettamente legato al trasporto solido ed alla gestione dei sedimenti è quello del
potenziale di ricarica di sedimenti, con particolare riferimento alle frazioni relativamente grossolane
che vanno a contribuire al trasporto solido al fondo. In questo capitolo si descrive la metodologia
messa a punto ed utilizzata per individuare le aree di maggiore produzione di sedimenti nel bacino
ed i risultati conseguiti.
La metodologia qui definita ha preso spunto da uno studio analogo, con gli stessi obiettivi,
realizzato in Francia per il bacino del Fiume Drome (Liebault et al., 2001). Secondo tale lavoro, i
settori con forte potenziale di ricarica di sedimenti vengono individuati in base ai seguenti principali
parametri:
(a)
Tipologia di sorgente (in base allo stato di attività della sorgente, si differenziano frane
attive, sospese e inattive quiescenti);
(b)
Potenziale litologico (in funzione del tipo di roccia affiorante e la sua potenzialità a produrre
detriti che alimentano il trasporto solido al fondo);
(c)
Potenzialità di connessione (esprime la distanza e connessione diretta o meno della sorgente
di sedimenti da un elemento della rete idrografica);
(d)
Distanza dalla zona di incisione.
La metodologia adottata in questo progetto parte dalla precedente, la quale è stata tuttavia
adattata al caso in esame in funzione del diverso contesto geomorfologico e degli obiettivi specifici.
Si tratta di una metodologia semiquantitativa, basata sull’attribuzione di punteggi, ai parametri
ritenuti più importanti nel processo di produzione di sedimenti, proporzionali all’importanza che
ciascuno di essi assume, o si ritiene che assuma, nel processo complessivo. Pertanto si sottolinea
che non si tratta di un metodo quantitativo, cioè non ha in alcun modo la pretesa di quantificare
l’apporto di sedimenti alla rete idrografica, ma piuttosto di un sistema capace di effettuare una
classificazione ed una zonazione del bacino, andando ad individuare le aree potenzialmente più
adatte alla ricarica del trasporto solido al fondo. Si tratta di una procedura particolarmente adatta
all’utilizzo di piattaforma GIS per effettuare in maniera automatica tutti i vari passaggi e prodotti
per il calcolo degli indici di seguito descritti.
3.1 CLASSIFICAZIONE DELLA RETE IDROGRAFICA E SCELTA DEI SOTTOBACINI
Innanzitutto è stata fatta una suddivisione del reticolo idrografico, classificando i vari corsi
d’acqua in funzione delle loro dimensioni e delle loro caratteristiche morfologiche. Facendo
riferimento a Church (1992), i corsi d’acqua di un sistema fluviale possono essere suddivisi,
scalandone le dimensioni (larghezza) in funzione del diametro dei sedimenti presenti, in tre
categorie (Figura 3.1): a) alvei di piccole dimensioni (small) (alvei torrentizi); b) alvei intermedi
(intermediate); c) alvei di grandi dimensioni (alluvionali) (large). Gli alvei torrentizi comprendono
alvei generalmente confinati o semiconfinati, prevalentemente impostati su substrato roccioso, con
presenza di materiale grossolano (ciottoli, massi, roccia), pendenze elevate e configurazioni del
fondo in roccia, a rapide o a step-pool, larghezza generalmente tra 1 e 10 volte il diametro massimo
dei sedimenti presenti sul fondo. Gli alvei intermediate scorrono in un fondovalle relativamente
stretto o semiconfinato, hanno larghezza dell’alveo più di 10 volte il diametro dei sedimenti del
fondo, tipicamente dell’ordine di 20-30 m. Gli alvei di grandi dimensioni (large) sono i tipici alvei
alluvionali a fondo mobile, con larghezze dell’alveo molto superiori al diametro massimo dei
sedimenti del fondo, orientativamente superiori a 20-30 m.
36
Relazione Finale – Capitolo 3
Figura 3.1 – Classificazione dei corsi d’acqua in funzione delle loro dimensioni.
Applicando tale criterio al bacino del F.Magra, gli alvei di piccole dimensioni, o torrentizi,
sono tutte le aste fluviali di ordine più basso, incluse le porzioni medio-alte dei principali affluenti;
gli alvei intermedi sono identificati come le parti medio-basse dei principali affluenti, cioè quei
tratti compresi tra lo sbocco nel fondovalle alluvionale (quando cioè abbandonano il tratto confinato
o semiconfinato tra versanti) fino alla confluenza nei due fiumi principali del bacino; gli alvei di
grandi dimensioni (alluvionali) sono ovviamente rappresentati dal Fiume Magra e dal Fiume Vara.
Durante questa fase iniziale, sono stati inoltre delimitati e selezionati i sottobacini su cui
effettuare le analisi successive. Essi sono risultati un totale di 35, di cui 17 rientranti nel sottobacino
del F.Vara e 18 nella rimanente parte del bacino del F.Magra (Tabella 3.1). Il sottobacino del
T.Aulella, che in una prima fase è stato considerato come sottobacino unico, è stato
successivamente suddiviso in sei sottobacini date le sue dimensioni molto rilevanti e quindi le
condizioni relativamente disomogenee al suo interno.
Sottobacini F.Magra
Magra alto, Magriola, Verde,
Gordana, Caprio, Teglia, Mangiola,
Bagnone, Taverone, Osca, Cisolagna,
Penolo, Aulella (Aulella, Rosario,
Mommio, Lucido, Bardine, Pesciola)
Sottobacini F.Vara
Vara alto, Stora, Ruschia, Cesinelle,
Borsa,Torza, Trambacco, Gottero,
Mangia, Malacqua, Pogliaschina,
Gravegnola, Pignone, Ricco,
Graveglia, Usurana, Durasca
Tabella 3.1 – Sottobacini considerati per l’individuazione delle aree di potenziale ricarica dei
sedimenti.
3.2 ASPETTI CONSIDERATI
Durante una fase iniziale si sono prese in considerazione, in accordo a quanto fatto da Liebault
et al. (2001), solo le frane come principali sorgenti di sedimenti. Successivamente, tale assunzione è
apparsa piuttosto limitativa, in quanto molti volumi di sedimenti derivano da vari processi a piccola
37
Relazione Finale – Capitolo 3
scala (degradazione meteorica, piccoli movimenti di massa, erosione fluviale di sponde o fondo
rocciosi) che si manifestano sulle porzioni di versanti o di sponde a diretto contatto con le aste
fluviali (Figura 3.2), o anche sul fondo delle stesse, e che, per la loro tipologia o per le piccole
dimensioni, non sono catalogate come frane. Differentemente dalla metodologia proposta da
Liebault et al. (2001), si è ritenuto pertanto importante considerare anche questo tipo di sorgente di
sedimenti, non più di tipo puntuale come le frane ma piuttosto di tipo lineare.
Figura 3.2 - Esempio di ricarica diretta da parte dei versanti al reticolo idrografico.
Pertanto, gli aspetti considerati complessivamente, sia per la ricarica da frane che per la ricarica
diretta dal reticolo idrografico, sono i seguenti:
1. Sorgenti puntuali di sedimenti (frane), tenendo conto a sua volta di: a) attività; b)
connessione
2. Litologia (potenziale litologico)
3. Fisiografia (fasce altimetriche)
4. Uso del suolo (copertura o meno della vegetazione)
3.3 POTENZIALE DI RICARICA DA FRANE
Per quanto riguarda il potenziale di ricarica da frane, si è proceduto ad una classificazione delle
sorgenti di sedimenti (frane) in funzione della loro attività e della loro connessione al reticolo
idrografico, combinata con le caratteristiche litologiche del materiale che costituisce la sorgente
stessa. Sono stati quindi considerati 3 parametri per la successiva definizione dell’indice di
potenziale di ricarica: 1) attività; 2) connessione; 3) litologia.
1. Attività. Sono stati acquisiti i dati utilizzati dall’Autorità di Bacino relativi alle frane (soltanto i
corpi di frana con superficie superiore a 5000 mq) ed al loro stato di attività (shape
geomorfologica_2005).Per quanto riguarda lo stato di attività, sono state distinte tre classi, attiva,
quiescente ed inattiva, utilizzando la corrispondenza con la legenda contenuta nello shape
geomorfologica_2005 definita in Tabella 3.2. Sono stati quindi attribuiti i seguenti punteggi:
38
Relazione Finale – Capitolo 3
1) Attiva = 2
2) Quiescente = 1
3) Inattiva = 0
In questo modo, le frane inattive (punteggio 0) sono state escluse nella successiva
quantificazione dell’indice, in quanto ritenuto appunto nullo il loro contributo alla ricarica di
sedimenti.
Stato
Attributo FORM_CARG
Frana attiva
Corpi di frana in evoluzione
Attiva
Corpi di frana di scorrimento in evoluzione
Corpi di frana di colamento in evoluzione
Corpi di frana di colamento con indizi di evoluzione
Frana quiescente
Quiescente Frana di scorrimento quiescente
Frana di crollo quiescente
Frana inattiva
Corpi di frana senza indizi di evoluzione
Corpi di frana di scorrimento pleistocenici (inattivi)
Corpi di frana di scorrimento senza indizi di evoluzione
Inattiva
Corpi di frana di colamento senza indizi di evoluzione
Frana antica
Paleofrana
Frana profonda
Conoide alluvionale
Conoide alluvionale e da debris - flow
Depositi (varie tipologie)
Tabella 3.2 – Corrispondenza tra stato di attività delle frane e attributo nella cartografia
geomorfologica fornita dall’Autorità di Bacino.
Figura 3.3 – Definizione di sorgenti (frane) connesse o non connesse al reticolo idrografico.
2. Connessione. E’ importante considerare il grado di connessione delle frane con il reticolo
idrografico. Infatti, anche se attive, le frane possono non contribuire all’alimentazione di sedimenti
nel reticolo se esse non sono connesse con un elemento dello stesso. A tal fine, si sono distinte le
due seguenti situazioni (Figura 3.3):
39
Relazione Finale – Capitolo 3
- Sorgente connessa: la frana è direttamente a contatto con un’asta del reticolo o con la piana
inondabile;
- Sorgente disconnessa: la frana non è direttamente a contatto con un’asta del reticolo o con la piana
inondabile.
Nel primo caso si presume che il materiale possa entrare direttamente in alveo o sia disponibile
ad essere preso in carico durante eventi di piena o per erosione laterale. Alle due situazioni
precedenti si sono quindi attribuiti i seguenti punteggi:
1) Sorgente connessa = 1
2) Sorgente disconnessa = 0
In questo modo, nella successiva quantificazione dell’indice la connessione o meno ha
permesso semplicemente di includere o escludere dall’analisi le frane a seconda che siano connesse
o disconnesse rispettivamente.
3. Litologia. Attraverso questo fattore si è voluta esprimere l’attitudine delle diverse litologie
affioranti (potenziale litologico) a produrre sedimenti relativamente grossolani, utili cioè per la
ricarica del trasporto solido al fondo. Si sono acquisiti i dati in formato digitale forniti dall’Autorità
di Bacino relativi alla litologia del bacino, con la relativa legenda. Pertanto sono state definite
quattro classi alle quali attribuire diversi punteggi, e sono state definite le corrispondenze tra
litologie e classi (Tabella 3.3). Le classi sono le seguenti: 1) Litologia molto favorevole; 2)
Litologia favorevole; 3) Litologia intermedia; 4) Litologia sfavorevole.
L’attribuzione delle diverse litologie alle varie classi e quindi l’attribuzione dei pesi è stata
condivisa con i tecnici dell’Autorità di Bacino e con il Geol.De Stefanis (Comitato Tecnico). I
punteggi attribuiti sono i seguenti:
1) Litologia molto favorevole = 3
2) Litologia favorevole = 2
3) Litologia intermedia = 1
4) Litologia sfavorevole = 0
COD Legenda
Formazione
Punteggio
OLP
cM
OLP
a
aa
aa
a2
a3
ar
b
b1
b1a
b1r
bn
bn1
bn2
BVM1
BVM2
BVM3
cn
Molto favorevoli
Conglomerati di Olivola
Conglomerato della Val di Magra
Conglomerati di Olivola
Depositi di versante
Depositi detritici
Depositi di versante
Depositi detritici
Depositi detritici (coni)
Depositi su superfici relitte
Depositi alluvionali attuali
Depositi alluvionali attuali
Depositi alluvionali attuali
Depositi alluvionali recenti
Depositi alluvionali terrazzati
Depositi alluvionali terrazzati - 1° ordine
Depositi alluvionali terrazzati - 2° ordine
Sub - sintema di San Bartolomeo
Sub - sintema di Santo Stefano Magra
Sub - sintema di Ceparana
Conoide alluvionale e da debris flow
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
3
Tabella 3.3 – Definizione delle classi di potenziale litologico e relativi punteggi. A) Litologie molto
favorevoli.
40
Relazione Finale – Capitolo 3
APE
ARB
ARBa
CCV1
CCV5
CSU
GOT
GOTa
MAC
MACa
MOD
OTO
FAN
ANL
Cc
CCA
CGV
MAI
RSA
POD
RET
GSB
CLF
ENT
LIM
di
ds
DSD
BETA
gamma
AQU
MMR1
MMR2
MMR3
MMR4
MMR7
MRZ
MDD
af
PRS
SIGMA
VINa
GRE
Favorevoli
Arenarie e Conglomerati di Petrignacola
Arenarie di Ponte Bratica
Arenarie di Ponte Bratica - litofacies arenaceo - conglomeratica
Arenarie di Ostia
Arenarie di Casanova
Arenarie di Casanova
Arenarie di Monte Gottero
Arenarie di Monte Gottero
Macigno
Macigno - litofacies delle Arenarie Zonate
Arenarie di monte Modino
Flysch di Ottone
Formazione del Monte Antola
Calcari ad Angulati
Lembi di Calcari a Calpionelle
Calcare Cavernoso
Calcari di Groppo del Vescovo
Maiolica
Rosso Ammonitico
Calcari e Marne a Posidonia
Calcari e marne a rhaetavicula contorta
Gessi di Sassalbo
Calcari selciferi
Calcari selciferi ad entrochi
Calcare selcifero di Limano
Diaspri di Monte Alpe
Diaspri di MVE
Diaspri
Basalti di MVE
graniti
Quarziti della Rivaccia
Marmo ordinario
Marmo nuvolato
Marmo venato
Marmo bardiglio
Marmo arabescato
Marmo zebrino
Marmi dolomitici e dolomie cristalline
Anfiboliti
Porfiroidi e scisti porfirici
Ultramafiti serpentinizzate
Formazione di Vinca
Grezzoni
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
Tabella 3.3 – Definizione delle classi di potenziale litologico e relativi punteggi. B) Litologie
favorevoli.
41
Relazione Finale – Capitolo 3
c1
ca
ACC
ACCa
ap
APA
AUA
AUL
MMA
MPT
FAF
ms
SSR
CCV3
OTO1b
OTO1o
STOa
b bet
CCV4
MAS
DELTA
Intermedie
Depositi morenici
Depositi morenici
Argille e Calcari dell'Unità di Canetolo
Argille e Calcari dell'Unità di Canetolo
Argille a Palombini (lembi di successioni in CCV2)
Argille a Palombini
Argille, Sabbie e Conglomerati di Aulla
Argille, sabbie e conglomerati di Aulla
Marne di Mamoreto
Marne del Torrente Pignone
Filladi inferiori
Micascisti
Scisti sericitici
Brecce calcaree del Complesso di Casanova
Brecce calcaree di OTO1
Brecce ofiolitiche di OTO1
Brecce calcareo-silicee di Scaglia Toscana
Brecce di pillow - lavas di MVE
Brecce ofiolitiche di CCV2
Calcare Massiccio
Basalti
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
b7
b8
e3
LVG
LVGa
MVE
OMM
OTO1
STO
STO1
sVL
GOT1
CCV2
Sfavorevoli
Depositi colluviali
Depositi eluvio - colluviali
Depositi palustri
Argilliti della Val Lavagna
Argilliti della Val Lavagna - litofacies pelitico - arenacea
Complesso di Monte Veri
Olistrotroma di Monte Modino
Argilliti di Monte Veri
Scaglia Toscana
Scaglia toscana - membro delle argilliti di Brolio
Scisti della Val Lavagna (lembi di successioni in CCV2)
Intercalazioni marno - argillose di GOT
Brecce di S.Maria
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
Tabella 3.3 – Definizione delle classi di potenziale litologico e relativi punteggi. C) Litologie
intermedie e sfavorevoli.
Nel caso, peraltro molto frequente, di litologie complesse (formazioni arenacee-marnose,
flysch, calcari marnosi) si è valutato di volta in volta l’attitudine alla produzione di sedimenti
grossolani e si è assegnato di conseguenza un valore ponderato.
Potenziale di ricarica da frane. Una volta assegnati i punteggi sopra descritti ai tre principali
aspetti (attività, connessione, litologia) di cui si è tenuto conto, è stato definito un potenziale di
ricarica da frane (P1) attribuito ad ogni singola sorgente (frana) definito come:
P1= Attività x Connessione x Litologia
In tal modo, le frane presenti nel bacino sono state classificate in funzione del loro potenziale di
ricarica, definendo le seguenti classi:
1) Potenziale molto basso (P1<1.2);
2) Potenziale basso (1.2≤P1<2.4);
3) Potenziale intermedio (2.4≤P1<3.6);
4) Potenziale alto (2.4≤P1<3.6);
42
Relazione Finale – Capitolo 3
5) Potenziale molto alto (3.6≤P1≤6).
Nelle figure successive (Figure 3.4 e 3.5) si riporta un esempio di applicazione tramite GIS
della procedura descritta. Tutti i risultati sono riportati, sotto forma di shape files in ArcGis per ogni
tematismo, nel DVD allegato.
A
C
B
Figura 3.4 – Esempio di applicazione ad un sottobacino del potenziale di ricarica da frana tramite
GIS (sottobacino del T.Magriola). A) Attività; B) Connessione; C) Potenziale litologico.
Figura 3.5 - Potenziale di ricarica da frane per un sottobacino, ottenuto come prodotto fra attività,
connessione e potenziale litologico.
43
Relazione Finale – Capitolo 3
3.4 POTENZIALE DI RICARICA DIRETTA NEL RETICOLO IDROGRAFICO
Per quanto riguarda il potenziale di ricarica diretta nel reticolo idrografico, sono stati
considerati 3 parametri, come meglio descritto in seguito: 1) litologia; 2) fisiografia; 3) uso del
suolo.
1. Litologia. Per quanto riguarda questo fattore, sono state mantenute le stesse classi definite
precedentemente per il potenziale di ricarica da frana.
2. Fisiografia e uso del suolo. Per quanto riguarda la fisiografia, seppure la pendenza dei versanti è
un fattore topografico significativo riguardo alla produzione dei sedimenti, non si è ritenuto utile
procedere ad una classificazione delle pendenze in quanto avrebbe complicato notevolmente
l’analisi, ma si è ritenuto sufficientemente semplificato e significativo, ai fini degli obiettivi di
questa metodologia, considerare una suddivisione del bacino in macro-fasce altimetriche così
definite:
1) Aree montuose (quote superiori ai 600 m s.l.m.)
2) Aree collinari (quote inferiori ai 600 m s.l.m.)
3) Aree di pianura
Analogamente, per quanto riguarda l’uso del suolo, si è ritenuto che l’elemento più
significativo di cui tener conto ai fini della potenziale ricarica di sedimenti fosse la presenza o meno
di vegetazione, pertanto si sono distinte le seguenti macroclassi:
1) Aree destinate a nessun uso del suolo (nude)
2) Aree destinate a bosco, pascolo o coltivazioni
3) Aree urbane
Ai fini dei punteggi, si sono ricavate un totale di 4 classi incrociando tra loro fisiografia ed uso
del suolo, come segue:
1) Aree montuose nude = 2
2) Aree montuose con boschi o coltivazioni =1.5
3) Aree collinari con boschi o coltivazioni = 1
4) Aree di pianura o urbanizzate = 0
A
B
C
Figura 3.6 - Esempio di applicazione ad un sottobacino del potenziale di ricarica diretta tramite
GIS. A) Potenziale litologico; B) Fisiografia e uso del suolo; C) Potenziale di ricarica diretta.
44
Relazione Finale – Capitolo 3
Potenziale di ricarica diretta. E’ stato a questo punto definito, in maniera analoga al potenziale da
frana, un potenziale diretta nel reticolo idrografico (P2) così definito:
P2= Litologia x Fisiografia & Uso del suolo
In tal modo, le aree presenti nel bacino sono state classificate, definendo le seguenti classi:
1) Potenziale molto basso (P1<1.2);
2) Potenziale basso (1.2≤P1<2.4);
3) Potenziale intermedio (2.4≤P1<3.6);
4) Potenziale alto (2.4≤P1<3.6);
5) Potenziale molto alto (3.6≤P1≤6).
In Figura 3.6 si riporta un esempio di applicazione tramite GIS della procedura descritta.
3.5 FASE DI CAMPO
Parallelamente alle analisi GIS, è stata effettuata una fase di sopralluoghi di campo strettamente
finalizzata a questi aspetti. Gli scopi della fase di campo erano quelli di documentare le condizioni
dell’affluente principale di ogni sottobacino, in termini di disponibilità di sedimenti, in modo da
poter integrare ed in un certo senso verificare i risultati delle analisi GIS. In particolare, esiste un
aspetto, quello della connettività di sedimenti all’interno del reticolo idrografico, che non è stato
possibile esplicitamente prendere in esame attraverso le analisi condotte. Vale a dire, anche se un
dato sottobacino presenta un elevato potenziale di ricarica di sedimenti (da frane e/o diretta), il
rifornimento effettivo di materiale solido all’alveo principale (F.Magra o F.Vara) all’uscita del
sottobacino è condizionato dalla presenza o meno e dalla frequenza di discontinuità trasversali, che
possono determinare una interruzione parziale del flusso solido verso valle. Tali discontinuità
possono essere rappresentate in gran parte da opere antropiche (briglie o dighe) e, in secondo luogo,
da ostacoli naturali (affioramenti rocciosi in alveo). Seppure le briglie, una volta colmate a monte
da sedimenti, dovrebbero far transitare gran parte della portata solida al fondo (quindi dopo la fase
di riempimento non dovrebbero più ostacolare il passaggio), di fatto spesso, per motivi di
manutenzione, i sedimenti a monte vengono periodicamente rimossi e quindi le briglie stesse
funzionano come una sorta di trappola di sedimenti, determinando comunque una riduzione del
flusso solido verso valle.
E’ risultato estremamente difficoltoso affrontare questo aspetto attraverso un censimento delle
briglie presenti lungo tutto il reticolo idrografico, informazione non disponibile in formato digitale
da parte dell’Autorità di Bacino e non rilevabile con completezza né da foto aeree né da cartografia.
Pertanto si è deciso di tener conto indirettamente di questo aspetto: la condizione dell’alveo
principale di un sottobacino, nel suo tratto finale, è in un certo senso l’espressione sia del potenziale
di ricarica di sedimenti che dell’eventuale riduzione di portata solida a causa di presenza di
disconnessioni.
A tal fine, è stata innanzitutto messa a punto una scheda di campo che permettesse di
effettuare delle valutazioni speditive e qualitative da abbinare alla documentazione fotografica. Tale
scheda (Figura 3.7) contiene infatti una serie di indicatori associabili a condizioni di forte
rifornimento (presenza di sedimenti, connessione con i versanti, assenza di opere trasversali)
(Figura 3.8A) o di scarso rifornimento (scarsità di sedimenti, disconnessione, presenza di opere
trasversali) (Figura 3.8B). La scheda è stata applicata in corrispondenza di 39 siti, lungo i tratti
intermedi (cioè tra lo sbocco nel fondovalle e la confluenza nei fiumi principali) di tutti gli affluenti
principali dei sottobacini considerati nell’analisi della ricarica (Figura 3.9). Il materiale relativo
(schede, documentazione fotografica) alla fase di campo è riportato nel DVD allegato.
45
Relazione Finale – Capitolo 3
POTENZIALE DI RICARICA SEDIMENTI
Generalità
Data
Corso d'acqua
Numero/Sigla tratto
Posizione GPS (centro tratto)
Tipo di alveo
Configurazione fondo
Rilevatori
Tratto
N
E
Intermedio (intermediate )
Confinato (small )
R=rapide, SP=step/pool, LP=letto piano, RP=riffle/pool
Schema morfologico planimetrico (lunghezza 10-20 volte la larghezza)
Indicatori di campo
Forte rifornimento
Scarso rifornimento
Substrato
r1 sedimenti sciolti predominanti
r2 roccia/massi predominanti
(ciottoli, ghiaia, sabbia)
Barre
R3 barre continue su entrambi lati
R5 barre discontinue
R4 barre laterali alternate
R6 barre scarse
R7 barre assenti
Sponde
r8 in materiale sciolto, in erosione
r9 roccia/massi, artificiali o stabili
Connessione versanti
r10 alimentazione diretta versanti
r11 disconnessione da versanti
Disconnessioni flusso sedimenti
R12 assenza opere trasversali
Presenza opere trasversali (indicare tipo e numero)
R13 ponti con pile
R14 soglie
R15 briglie colmate
R16 briglie sporgenti
R17 a valle diga
Note e commenti
Figura 3.7 – Scheda di campo per il potenziale di ricarica di sedimenti.
46
Relazione Finale – Capitolo 3
A
B
Figura 3.8 – Esempi di affluenti a forte rifornimento (A: T.Verde) ed a scarso rifornimento (B:
T.Pogliaschina).
Figura 3.9 – Ubicazione dei siti nei quali è stata applicata la scheda del potenziale di ricarica.
3.6 POTENZIALE DI RICARICA DA FRANE TOTALE PER SOTTOBACINO
Si è ritenuto utile a questo punto procedere ad una analisi dei valori di potenziale di ricarica per
ogni singolo sottobacino, sia per poter agevolare la visualizzazione dei risultati che per
eventualmente definire dei criteri di selezione dei sottobacini più significativi.
Per calcolare il potenziale di ricarica da frane totale da attribuire ad ogni singolo sottobacino, è stata
dapprima effettuata la sommatoria di tutti i valori dell’indice di ogni frana, moltiplicato per l’area
della frana stessa (in modo da tener conto oltre che del numero di frane anche delle loro
dimensioni). Successivamente, per poter confrontare tra loro sottobacini con superfici sottese
diverse, si è diviso il precedente valore per la superficie del sottobacino, in modo da esprimere per
47
Relazione Finale – Capitolo 3
ogni sottobacino un potenziale di ricarica per unità di superficie. Pertanto il potenziale di ricarica
da frane totale (P1tot) per un dato sottobacino è espresso come:
n
P1tot =
∑ P (i) xA(i)
i =1
1
Atot
dove P1(i) è l’indice di ricarica della frana i-esima, A(i) è la relativa area, Atot è l’area totale del
sottobacino, n il numero totale di frane.
In una prima fase, tale procedura è stata applicata per tutte le frane presenti, a prescindere
dalle condizioni di rischio, vale a dire indipendentemente dal fatto che tali frane potessero venire
stabilizzate e quindi di fatto non potessero contribuire realmente alla ricarica di sedimenti. Per
visualizzare i risultati, sono state definite nuove classi del potenziale P1tot, partendo dal range di
valori dell’indice per tutti i sottobacini studiati (valore minimo P1tot= 0 e valore massimo
P1tot=0.4625) e suddividendolo in cinque intervalli uguali come segue:
- Classe I: potenziale di ricarica molto basso (0≤P1tot<0.0925);
- Classe II: potenziale di ricarica basso (0.0925≤P1tot<0.185);
- Classe III: potenziale di ricarica intermedio (0.185≤P1tot<0.2775);
- Classe IV: potenziale di ricarica alto (0.2775≤P1tot<0.370);
- Classe V: potenziale di ricarica molto alto (0.370≤P1tot≤0.4625).
Figura 3.10 – Classificazione dei sottobacini in funzione del potenziale di ricarica da frane totale
per sottobacino.
In Figura 3.10 si mostra il risultato di tale classificazione. Tale figura permette di visualizzare
con immediatezza le zone del bacino che potenzialmente di più potrebbero contribuire alla ricarica
da frane. Esse sono: a) alta porzione del bacino del F.Magra (T.Verde, T.Magriola, Magra alto); b)
48
Relazione Finale – Capitolo 3
porzioni medio-alte del bacino del Vara, in particolare sottobacini in sinistra idrografica (T.Stora,
T.Mangia, T.Gravegnola); c) sottobacino del T.Pesciola (Aulella).
In una seconda fase, si è ritenuto opportuno tenere in conto anche delle condizioni di rischio,
ovvero escludere dall’analisi a scala di sottobacino quelle frane che verranno stabilizzate e quindi
di fatto non contribuiranno alla ricarica di sedimenti. A tal fine, si sono considerate tutte le frane
appartenenti alle classi R3 ed R4 secondo il Piano di Assetto Idrogeologico e sono state escluse dal
calcolo del potenziale complessivo dei sottobacini. I risultati sono variati in maniera piuttosto
significativa (Figura 3.11): è ovvio che i potenziali complessivi per sottobacino sono diminuiti,
determinando quasi sempre il passaggio a classi a potenziale inferiore. In particolare, le porzioni più
significative rimangono le stesse individuate nella prima fase (Alto Magra, sottobacini in sinistra
medio-alto Vara, Pesciola nel sottobacino dell’Aulella), ma i sottobacini che rientrano dalla classe
III in su (potenziale di ricarica da intermedio a molto alto) sono limitati a 3: T.Verde, T.Mangia e
T.Pesciola.
Figura 3.11 - Classificazione dei sottobacini in funzione del potenziale di ricarica da frane totale per
sottobacino, escludendo le frane a rischio (di classe R3 ed R4 secondo il PAI).
3.7 POTENZIALE DI RICARICA DIRETTA TOTALE PER SOTTOBACINO
In maniera analoga, per quanto riguarda il potenziale di ricarica diretta, è stata dapprima
effettuata la sommatoria dei valori dell’indice moltiplicando, per ogni porzione del sottobacino con
quel dato valore, per la sua superficie. Successivamente, si è diviso il valore ottenuto per l’area
totale del sottobacino, ricavando quindi il potenziale di ricarica diretta totale (P2tot) espresso
come:
49
Relazione Finale – Capitolo 3
n
P2tot =
∑ P (i) xL(i)
i =1
2
Ltot
dove P2(i) è il potenziale di ricarica del tratto di reticolo i-esimo, L(i) è la relativa lunghezza, Ltot è
la lunghezza totale del reticolo nel sottobacino, n il numero di aste fluviali.
Per visualizzare i risultati, sono state definite nuove classi del potenziale P2tot, partendo dal
range di valori dell’indice per tutti i sottobacini studiati (valore minimo P2tot=0.36 e valore massimo
P2tot=2.58) e suddividendolo in cinque intervalli uguali come segue:
- Classe I: potenziale di ricarica molto basso (0.36≤P2tot<0.80);
- Classe II: potenziale di ricarica basso (0.80≤P2tot<1.25);
- Classe III: potenziale di ricarica intermedio (1.25≤P2tot<1.69);
- Classe IV: potenziale di ricarica alto (1.69≤P2tot<2.14);
- Classe V: potenziale di ricarica molto alto (2.14≤P2tot≤2.58).
Figura 3.12 - Classificazione dei sottobacini in funzione del potenziale di ricarica diretta totale per
sottobacino.
In Figura 3.12 si mostra il risultato di tale classificazione. Analogamente alla ricarica da frane,
tale figura permette di visualizzare con immediatezza le zone del bacino che potenzialmente di più
potrebbero contribuire alla ricarica diretta nel reticolo idrografico. Rispetto alla ricarica da frane, si
osserva che quasi tutti i sottobacini ricadono almeno in classe III. In particolare, tutta la porzione di
bacino ricadente nel medio-alto Magra rientra in classi medio-alte, soprattutto i sottobacini del
Teglia, Mangiola, Bagnone, Mommio e Lucido rientrano nelle classi IV o V. Anche in questo caso i
sottobacini in sinistra del medio-alto Vara presentano potenziali di ricarica relativamente elevati, a
cui si aggiungono alcuni sottobacini in destra idrografica nella porzione media (Pogliaschina, Ricco,
Graveglia, Durasca). In particolare, tutta la porzione di bacino ricadente nel medio-alto Magra
50
Relazione Finale – Capitolo 3
rientra in classi medio-alte, soprattutto i sottobacini del Verde, Teglia, Caprio, Mangiola, Bagnone,
Taverone, Mommio e Lucido rientrano nelle classi IV o V. Anche in questo caso i sottobacini in
sinistra del medio-alto Vara presentano potenziali di ricarica relativamente elevati (Ruschia,
Gottero, Mangia, Gravegnola, Usurana), a cui si aggiungono alcuni sottobacini in destra idrografica
nella porzione media (Malacqua, Pogliaschina, Pignone, Ricco, Graveglia e Durasca).
3.8 SCELTA DELLE AREE DEL BACINO SIGNIFICATIVE PER LA RICARICA DI
SEDIMENTI
Come descritto nel paragrafo precedente, i risultati finora ottenuti hanno consentito di
visualizzare con immediatezza i sottobacini, quindi le varie porzioni dell’intero bacino del F.Magra,
con maggiori o minori potenziali di ricarica. Ai fini della definizione delle strategie di gestione dei
sedimenti, si è reso a questo punto necessario effettuare una selezione delle aree del bacino ritenute
più significative ai fini della ricarica di sedimenti, considerando i due indici (potenziale di ricarica
da frana e ricarica diretta) e tenendo conto anche di altri aspetti (ad es. distanza dei tratti incisi, ecc.)
analogamente a quanto fatto da Liebault et al. (2001). In particolare, gli ulteriori aspetti di cui si è
tenuto conto sono i seguenti:
1) Distanza dell’affluente (nel suo punto di confluenza con il fiume principale) rispetto alla parte
più bassa del bacino, cioè i tratti di Vara e Magra che necessitano maggiormente di una ricarica
(cioè rispetto a Piana Battolla per il Vara e S.Stefano Magra per il Magra).
2) Ubicazione, cioè se l’area di ricarica o la confluenza del corso d’acqua principale del sottobacino
nel Vara o nel Magra fossero favorevoli o sfavorevoli rispetto alla posizione di centri abitati (vale a
dire, se un affluente con potenziale di ricarica alto presentasse la confluenza all’interno di un centro
abitato, questa condizione è stata giudicata sfavorevole).
3) Connessione, vale a dire si è cercato di tener conto della possibilità o meno che i sedimenti
potessero raggiungere i tratti più incisi. Ciò è stato fatto sia tenendo conto delle opere di
sbarramento negli alvei principali (diga di S.Margherita lungo il F.Vara) che tenendo conto delle
condizioni dell’alveo dei singoli affluenti nella loro parte terminale. Per quanto riguarda questo
secondo aspetto, si è voluto tener conto cioè del forte o scarso rifornimento di sedimenti, giudicato
in base alle schede di campo, che tenesse indirettamente conto del grado di connettività dei
sedimenti lungo l’affluente stesso (come spiegato nel par.3.5).
Si è ritenuto opportuno procedere alla selezione delle aree con criteri diversi per la ricarica da
frane e per la ricarica diretta, come spiegato di seguito.
Ricarica da frane
Per la ricarica da frane si sono utilizzati i seguenti criteri.
1) Classe del potenziale di ricarica da frane e classe di rischio. Si sono selezionate solo le frane
ricadenti in classe IV (potenziale alto) e V (potenziale molto alto), escludendo le frane a rischio
ricadenti nelle classi R3 ed R4 del PAI.
2) Distanza e ubicazione. Si sono esclusi i sottobacini della porzione alta del bacino del Magra a
monte dell’abitato di Pontremoli, per due ragioni: a) distanza considerevole dai tratti incisi nelle
porzioni basse del bacino; b) al precedente fattore si aggiunge che i sedimenti convogliati nella rete
idrografica dovrebbero attraversare il centro abitato di Pontremoli (fattore ubicazione). Si è ritenuto
invece opportuno non escludere i sottobacini a valle di Pontremoli che, seppure distanti dai tratti
incisi a valle (fattore distanza sfavorevole), potessero contribuire alla ricarica della Piana di
Filattiera, sia per il mantenimento dei processi esistenti in questo tratto che, a più lungo termine, per
il rifornimento dei tratti a valle.
3) Connessione. Si sono escluse le frane nella porzione di bacino del F.Vara a monte della diga di
S.Margherita, sia perché i sedimenti verrebbero poi bloccati in corrispondenza della diga che perché
esistono numerosi tratti del Vara a monte della stessa già in sedimentazione relativamente elevata.
51
Relazione Finale – Capitolo 3
In Figura 3.13 si riportano le frane complessivamente selezionate.
Figura 3.13 – Frane selezionate come significative per la ricarica da frane.
Ricarica diretta
Differentemente dalla ricarica da frane, in questo caso si è preferito operare una selezione per
sottobacini, vale a dire individuare un certo numero di sottobacini ritenuti più adatti alla ricarica
diretta. I criteri usati sono i seguenti:
1) Classe del potenziale di ricarica: sono stati esclusi tutti i sottobacini ricadenti nelle classi I, II e
III del potenziale di ricarica diretta totale del sottobacino.
2) Distanza: si è tenuto conto della distanza dell’affluente rispetto ai tratti incisi di valle o rispetto
alla Piana di Filattiera.
3) Ubicazione: si è tenuto conto se la confluenza si trovasse all’interno o di poco a monte di centri
abitati per i quali l’eventuale transito di eccessive quantità di sedimenti potesse creare condizioni di
rischio.
4) Connessione: si è tenuto conto della presenza di dighe nel sottobacino (es. Teglia), oppure della
posizione del sottobacino rispetto alla diga di S.Margherita sul Vara (per i sottobacini a monte
questa era una condizione sfavorevole), oppure dello scarso o abbondante rifornimento di sedimenti
nel tratto finale dell’affluente giudicato in base alle schede di campo.
In Tabella 3.4 si riepilogano i risultati di questa selezione. I sottobacini selezionati risultano in
totale 16 (Figura 3.14), suddivisi in Tabella 3.5 per i diversi ambiti fisiografici del bacino. Un caso
a parte è quello del T.Taverone: esso risulta in classe IV e molto favorevole come distanza, ma
risulterebbe sfavorevole secondo il criterio di ubicazione, in quanto la sua confluenza si trova nel
centro abitato di Aulla. Si ritiene tuttavia, proprio per la sua distanza molto favorevole rispetto ai
tratti incisi, di considerarlo tra quelli selezionati prevedendo, in caso di eccessiva sedimentazione
52
Relazione Finale – Capitolo 3
alla confluenza, una mobilizzazione diretta di sedimenti verso i tratti incisi a valle (come meglio
precisato nel Cap.5).
Sottobacino
Distanza
Ubicazione
Connessione
Ruschia
Classe
Potenziale
V
Favorevole
Favorevole
Bagnone
V
Favorevole
Mangiola
V
Mommio
Lucido
Taverone
Teglia
V
V
V
V
Caprio
V
Ricco
Verde
V
V
Osca
Magriola
IV
IV
Rosaro
Magra alto
IV
IV
Durasca
IV
Favorevole (per Piana
Filattiera)
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole (per Piana
Filattiera)
Favorevole (per Piana
Filattiera)
Favorevole
Favorevole (per Piana
Filattiera)
Favorevole
Favorevole (per Piana
Filattiera)
Favorevole
Favorevole (per Piana
Filattiera)
Favorevole
Sfavorevole
(Villafranca)
Favorevole
Sfavorevole
(monte diga
S.Margherita)
Favorevole
Graveglia
Gravegnola
Pogliaschina
IV
IV
IV
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Usurana
Pignone
IV
IV
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Aulella
Gottero
IV
IV
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Gordana
IV
Favorevole
Mangia
Malacqua
IV
IV
Favorevole (per Piana
Filattiera)
Favorevole
Favorevole
Bardine
IV
Favorevole
Favorevole
53
Favorevole
Favorevole
Sfavorevole (Aulla)
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Sfavorevole
(diga)
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Sfavorevole (monte
Pontremoli)
Favorevole
Sfavorevole (monte
Pontremoli)
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Favorevole
Sfavorevole
(scarso
rifornimento)
Favorevole
Favorevole
Sfavorevole
(scarso
rifornimento)
Favorevole
Sfavorevole
(scarso
rifornimento)
Favorevole
Sfavorevole
(monte diga
S.Margherita)
Favorevole
Favorevole
Sfavorevole
(scarso
rifornimento)
Favorevole
Relazione Finale – Capitolo 3
Trambacco
Pesciola
Penolo
Stora
Cisolagna
Borsa
Vara alto
Cesinelle
Torza
III
III
III
III
III
II
I
I
I
-
-
-
Tabella 3.4 – Selezione dei sottobacini in funzione della ricarica diretta. In giallo: sottobacini
selezionati; in arancione: motivi di esclusione dalla selezione.
Figura 3.14 – Sottobacini selezionati per la ricarica diretta.
Ambito
Sottobacini
Verde, Gordana, Caprio, Mangiola, Osca,
Taverone, Lucido, Mommio, Aulella, Rosaro,
Bardine
Mangia, Gravegnola, Usurana, Graveglia, Ricco
Medio-Alto Magra
Medio-Alto Vara
Tabella 3.5 – Sottobacini significativi selezionati suddivisi per i tre ambiti fisiografici del bacino.
54
Relazione Finale – Capitolo 4
CAPITOLO 4 - CALCOLO DEL TRASPORTO SOLIDO E BILANCIO DI
SEDIMENTI
Al fine di verificare e integrare le interpretazioni basate soprattutto su indagini di campo, è
stato realizzato lo studio del trasporto solido dei fiumi Magra e Vara e, sulla base dei risultati
ottenuti, il bilancio dei sedimenti.
La quantificazione del trasporto solido è importante per vari motivi, tra i quali: (a) verificare ed
integrare, attraverso i bilanci sedimentologici, le interpretazioni basate soprattutto su indagini di
campo effettuate nel precedente Studio Magra relative alle tendenze evolutive in atto (incisione o
sedimentazione); (b) integrare le raccomandazioni relative alla gestione dei sedimenti, attraverso la
definizione delle massime quantità di sedimenti eventualmente mobilizzabili nei tratti che risultano
in sedimentazione nei casi di necessità di mitigazione del rischio idraulico.
Lo studio del trasporto solido si è articolato in diverse fasi: (a) acquisizione ed analisi degli
studi di trasporto solido pregressi e dei dati esistenti riguardanti il bacino del Fiume Magra; (b)
suddivisione in tratti dei corsi d’acqua principali; (c) modellazione idraulica dei due corsi d’acqua
principali e degli affluenti maggiori; (d) calcolo della capacità di trasporto al fondo; (e) calcolo del
bilancio di sedimenti per tratti; (f) valutazione dell’apporto di materiale dovuto all’erosione laterale
delle sponde.
4.1 STUDI PRECEDENTI
Nel corso degli ultimi decenni sono stati eseguiti diversi studi riguardanti il Fiume Magra, in
particolare sul trasporto solido e sulle conseguenze dovute all’estrazione di inerti. E’ utile partire da
una rassegna degli studi precedenti (riprendendo ed ampliando quanto già fatto nella Relazione
Magra I), sintetizzandone i risultati e le considerazioni riportate in ciascuno di essi e ritenute utili ai
fini di questo studio.
4.1.1 Dati di trasporto torbido
I primi dati presi in esame sono quelli di trasporto torbido relativi alla stazione di Calamazza
lungo il Fiume Magra raccolti da parte del Servizio Idrografico di Genova. I dati sono limitati
all’intervallo di tempo compreso tra 1957 e 1971.
45
40
35
Qt (Kg/s)
30
25
20
15
10
5
Dicembre
Novembre
Ottobre
Settembre
Agosto
Luglio
Giugno
Maggio
Aprile
Marzo
Febbraio
Gennaio
0
Figura 4.1 – Valori medi mensili del trasporto torbido del Fiume Magra misurato a Calamazza tra il
1957 e 1971.
55
Relazione Finale – Capitolo 4
Si riporta in Figura 4.1 l’andamento delle medie mensili del trasporto torbido per tale intervallo
di tempo: si osserva un andamento che ricalca quello delle portate liquide, con due massimi, uno
assoluto in novembre ed uno relativo nel mese di febbraio. Dai dati riportati si può inoltre desumere
un valore di portata torbida media annua di 490.000 m3/a, per l’intervallo di tempo interessato dalle
misure.
4.1.2 Elettroconsult (1972)
Si tratta dello studio: Elettroconsult, “Rinalveamento del Fiume Magra. Studio di massima sulle
possibilità estrattive di inerti nel quadro di una risistemazione dell’alveo del Fiume Magra”,
Associazione Nazionale Estrattori-Produttori-Lapidei e Affini, Parma, 1972.
Purtroppo non si dispone direttamente di tale studio, ma è stato possibile ricostruire almeno in
parte i risultati ottenuti e le considerazioni svolte attraverso le citazioni di altri autori.
Le stime effettuate forniscono un valore del trasporto totale pari a 850.000 m3/a a Calamazza ed
a 1.400.000 m3/a a valle della confluenza con il Fiume Vara. Per quanto riguarda il trasporto in
sospensione, viene fatto riferimento ai dati di trasporto torbido registrati a Calamazza dal 1957 al
1970 e pubblicati sugli Annali dal Servizio Idrografico di Genova, secondo cui la portata torbida
media annua è di circa 490.000 m3/a. Secondo gli autori, tale valore scende di poco procedendo
verso la foce, per cui viene stimato un trasporto in sospensione pari a circa 476.000 m3/a. Nella
stima del trasporto al fondo viene utilizzata una curva granulometrica per il tratto compreso tra
Caprigliola e Podenzana, in cui il D50 risulta pari a 3 mm; non vengono però indicate né la zona del
prelievo, né la modalità di campionamento.
Le curve granulometriche utilizzate per i tratti più a valle vengono ricavate da questa tagliando
via via la componente più grossolana, nell’ipotesi, non verificata, di progressiva diminuzione delle
dimensioni verso valle. Le elaborazioni per il calcolo del trasporto solido sono realizzate utilizzando
le formule classiche di Meyer Peter & Muller e di Schoklitsch.
4.1.3 Cavazza et al. (1977)
Si tratta dello studio: Cavazza S., Merlisenna P., Piaggi G., “Variazioni morfologiche del
tronco terminale del Fiume Magra nel quindicennio 1958 – 1973”, 1977.
In questo studio gli autori effettuano un bilancio basato sulle variazioni morfologiche del tratto
terminale dell’alveo del Fiume Magra. In particolare, viene realizzato, infatti, un confronto tra
rilievi batimetrici effettuati nel 1958, 1971 e 1973 dall’Ufficio del Genio Civile di La Spezia, in
modo da analizzare sia le variazioni morfologiche dell’alveo sia quelle del profilo idrico.
L’evoluzione morfologica dell’alveo è stata valutata attraverso l’analisi delle variazioni del
profilo longitudinale ed il tracciamento delle isoallobate, che indicano l’entità degli abbassamenti o
degli innalzamenti del fondo alveo. Da un primo esame delle carte ottenute appare evidente che le
variazioni avvenute sono generalmente negative, cioè che il letto ha subìto un abbassamento
generalizzato nel periodo in esame. In particolare, si osserva che, procedendo verso monte, nei
primi 2.5 Km tali variazioni risultano piuttosto contenute, mentre più a monte si entra in una zona
con variazioni negative molto forti, fino a -14 m, con la presenza di numerose buche molto
profonde. Suddividendo il tratto in esame in zone con caratteristiche omogenee, sono state stimate,
quindi, le variazioni volumetriche cui è stato soggetto il fondo nel quindicennio considerato,
ottenendo una variazione negativa di 6.400.000 m3 ed una positiva di 300.000 m3, per un totale di
6.100.000 m3 di materiale rimosso dal tratto.
Le cause cui attribuire tali processi possono essere sia naturali che artificiali, ma gli autori
affermano che quella che ha influenzato maggiormente l’abbassamento dell’alveo è stata
sicuramente l’estrazione di inerti operata dal 1958 al 1973, anno in cui venne sospesa dal Genio
Civile di La Spezia.
Gli autori procedono quindi ad una stima della quantità di materiale estratto dall’alveo del
fiume, con particolare riferimento al tratto di intrusione marina, cioè dal ponte dell’Aurelia presso
Sarzana fino alla foce. Sommando i volumi estratti per concessione del Genio Civile a quelli
56
Relazione Finale – Capitolo 4
ricostruiti mediante una stima delle quantità di materiale utilizzato per la costruzione delle maggiori
infrastrutture presenti nella zona (autostrade, strade, edifici pubblici e privati, linee ferroviarie etc.),
si ottiene un volume estratto dal Fiume Magra e dai suoi principali affluenti dal 1958 al 1973 di
24.400.000 m3 circa, di cui 6.640.000 m3 nel tronco del dominio di intrusione marina.
4.1.4 Cavazza (1977)
Si tratta della pubblicazione: Cavazza S., “I criteri di stima dell’apporto terrigeno alla foce dei
corsi d’acqua e il caso del Fiume Magra”, Atti del Convegno di studi per il Riequilibrio della Costa
tra il Fiume Magra e Marina di Massa, 1977.
In questa pubblicazione l’autore affronta la stima del bilancio di sedimenti nel tratto di dominio
dell’intrusione marina dei corsi d’acqua, con particolare riferimento al Fiume Magra.
In questo tratto dell’alveo le condizioni di deflusso sono condizionate dalla presenza dell’acqua
del mare: la variabilità delle portate d’acqua dolce che scorre in superficie verso la foce e
l’influenza delle maree, del vento e del moto ondoso del mare producono costanti variazioni
dell’equilibrio tra le masse di acqua dolce e salata, per cui nella zona di dominio dell’intrusione
marina la velocità dell’acqua a contatto con il fondo alveo varia durante la giornata con inversioni
di direzione in dipendenza dalle maree. Nel caso di corsi d’acqua di notevoli dimensioni il dominio
dell’intrusione marina penetra in alveo per vari chilometri, nei quali le condizioni del deflusso
liquido e solido sono molto diverse da quelle esistenti a monte.
Per quanto riguarda il trasporto in sospensione, all’inizio del dominio l’acqua dolce ha già
praticamente raggiunto una quota di poco superiore al livello del mare ed una pendenza minima, per
cui le diminuzioni di concentrazione che si possono verificare sono molto modeste. La gran parte
dei sedimenti trasportati in sospensione, quindi, arriva fino alla foce per poi entrare direttamente in
mare, senza subire alterazioni.
Per quanto concerne il trasporto al fondo, invece, la presenza del cuneo marino a contatto con il
fondo alveo crea condizioni di moto del tutto indipendenti da quelle esistenti a monte, per cui nel
punto di massima intrusione si crea una discontinuità di regime del trasporto di fondo e, di
conseguenza, del modellamento dell’alveo e della sua dinamica evolutiva. In particolare, in questo
punto si ha una netta diminuzione della forza di trascinamento della corrente, che si distacca dal
fondo scivolando sul cuneo salato, per cui il materiale solido tende ad accumularsi ed a creare nel
profilo dell’alveo una soglia più o meno ben definita e persistente. Durante gli eventi di piena gran
parte del materiale costituente la soglia riprende il suo movimento fino a raggiungere il mare.
Dalle precedenti considerazioni viene dedotto uno schema del trasporto di fondo caratterizzato,
nel tratto di dominio dell’intrusione marina, da un continuo accumulo di materiale alla soglia di tale
dominio e da un suo trasferimento alla foce mediante movimenti impulsivi, discontinui ed
irregolari. È evidente, quindi, come sia impossibile applicare in queste condizioni le consuete
formule del trasporto solido, per cui il bilancio viene ottenuto nel modo illustrato di seguito.
Con riferimento al caso del Fiume Magra, viene calcolato il bilancio di sedimenti tra la foce
(sezione B) e l’estremità del cuneo salino (sezione A) nel periodo 1958-1973 utilizzando
l’equazione:
T A + C1 '+ ∆V '1 = TB + C 2 '+ ∆V2 '
dove:
T A = volume del trasporto solido in arrivo al tratto attraverso la sezione A;
TB = volume dell’apporto terrigeno alla foce B;
C1 ' = variazione volumetrica del fondo nel tratto a monte del cuneo salino;
C 2 ' = variazione volumetrica del fondo nel tratto di intrusione marina;
∆V1 ' = volume del materiale solido asportato dall’alveo nel tratto a monte del cuneo salino;
∆V2 ' = volume del materiale solido asportato dall’alveo nel tratto di dominio dell’intrusione
marina.
Lo schema teorico è rappresentato in Figura 4.2.
57
Relazione Finale – Capitolo 4
Figura 4.2 - Schema del bilancio di sedimenti nel tratto terminale del F.Magra secondo lo studio di
Cavazza (1977).
Vengono quindi stimati i vari fattori in modo da ricavare TB , che è dato dalla somma della
componente di trasporto al fondo, TB , f , e di quella di trasporto in sospensione, TB ,s :
- T A,s = 500000 ÷ 450000 m 3 / a ricavato confrontando lo studio della ELC ed i dati del
Servizio Idrografico
- T A, f = 1000000 ÷ 800000 m 3 / a
- C1 ' = 8000000 ÷ 7000000 m 3
Dallo studio “Variazioni morfologiche del tronco terminale del fiume Magra nel quindicennio
1958-1973” (Cavazza et al., 1977):
- C 2 ' = 6100000 m 3
- ∆V1 '+ ∆V2 ' = 24400000 m 3
Si ottiene quindi:
- T A = 1500000 ÷ 1250000 m 3 / a = 22500000 ÷ 18750000 m 3 nel quindicennio
- TB ,MAX = 813000 m 3 / a = 12200000 m 3
- T B , min = 497000 m 3 / a = 7450000 m 3
Ponendo alla foce TB ,s = 475000 ÷ 425000 m 3 / a (di poco inferiore a TA,s , in accordo con la
ELC), si ha che l’apporto di materiale solido al fondo alla foce del Magra è
TB , f = 338000 ÷ 72000 m 3 / a .
Infine, in riferimento al ripascimento del litorale lunense-versiliese, l’autore osserva che il
materiale trasportato in sospensione è molto fine, per cui si disperde immediatamente in mare senza
contribuire al rifornimento alle coste, mentre il materiale trasportato al fondo raggiunge il litorale in
quantità estremamente esigua.
4.1.5 Cavazza & Pregliasco (1981)
Si tratta della pubblicazione: Cavazza S., Pregliasco P., “Sulle modificazioni dell’apporto
terrigeno alla foce del Fiume Magra causate dall’uomo”. In: Antonelli, A., Cavazza, S.,
Cortemiglia, G.C., Egori, F., Martinelli, M., Pellegrini, N., Pregliasco, P., Raggi, G., Tra fiumi,
mare e terraferma, Tipografia Zappa, Sarzana, 57-128, 1981.
Viene considerato dagli autori il bilancio dei sedimenti nel tratto prefociale del Fiume Magra.
In pratica viene ripreso lo studio di Cavazza del 1977, apportando modifiche dovute alla miglior
conoscenza delle grandezze caratteristiche del corso d’acqua, misurate sperimentalmente.
58
Relazione Finale – Capitolo 4
L’equazione del bilancio di sedimenti in termini volumetrici tra le due sezioni A e F utilizzata è
la seguente:
T As + T Af + C − E = TFs + TFf
dove:
T As = trasporto solido in sospensione in ingresso = 490.000 m3/a;
T Af = trasporto solido di fondo in ingresso = 57.800 m3/a;
C = abbassamento dell’alveo nel tronco prefociale = 407.000 m3/a;
E = estrazione di materiale dal tronco prefociale = 443.000 m3/a;
TFs = trasporto solido in sospensione alla foce = 476.000 m3/a.
Si ottiene quindi:
TFf = trasporto solido di fondo alla foce = 35.800 m3/a.
Come si vede, tale valore è nettamente inferiore a quello ottenuto nello studio precedente. I
risultati ottenuti e le considerazioni svolte in relazione al trasporto di materiale nel tratto di
intrusione marina, analoghe a quelle descritte nello studio del 1977, sono stati poi controllati
attraverso misure sperimentali di portata liquida e solida.
Dai profili di velocità ottenuti è evidente la validità della teoria dello scivolamento delle acque
dolci su quelle salate nel dominio di intrusione marina e della variabilità del limite del cuneo a
seconda della portata proveniente dal corso d’acqua.
Per quanto riguarda il trasporto solido al fondo, è stata registrata la totale assenza di trasporto al
ponte della Colombiera per portate Q ≤ 185.2 m 3 / s , che può essere considerata una buona
conferma del basso valore del trasporto di fondo alla foce TFf . Le misure di trasporto in
sospensione, infine, forniscono valori molto bassi, in concordanza con i dati riportati sugli annali
dal Servizio Idrografico di Genova.
4.1.6 Tecnosviluppo et al. (1991)
Si tratta dello studio: Tecnosviluppo, Ilesi, Agristudio, Eptaconsult, Geoscience,
“Caratteristiche del trasporto solido e della evoluzione morfologica degli alvei e dei versanti.
Modello matematico del trasporto solido” (studio per il Piano di Bacino del Fiume Magra,
Ministero dei Lavori Pubblici, 1991).
Viene ottenuto un bilancio sedimentologico per il bacino del Fiume Magra basandosi sullo
studio di alcuni tratti significativi dell’asta principale e degli affluenti maggiori.
Nella prima parte dello studio viene stimata per ciascun tratto la capacità di trasporto solido
che, nell’ipotesi di equilibrio, rappresenta il trasporto solido stesso. Poiché l’alveo è costituito sia da
ghiaia, che forma uno strato corazzato, che da sabbia, nel sottostrato, il trasporto solido viene
scomposto nel trasporto di materiale grossolano e in trasporto di materiale sabbioso:
QT = QS + QG
Ciascuna componente viene calcolata come media aritmetica dei valori forniti da due formule
di trasporto solido, quella di Schoklitsch e quella di Parker per il materiale grossolano, quella di
Brownlie e quella di Ackers-White per il materiale sabbioso. In particolare il trasporto di materiale
sabbioso viene poi moltiplicato per la frazione di sabbia misurata durante i campionamenti.
Viene ottenuto un valore di trasporto solido totale nel tratto prefociale del Fiume Magra pari
a QT = 140851 m 3 / a . Si osserva che l’ipotesi di equilibrio viene rispettata, essendo la capacità di
trasporto del tratto prefociale sostanzialmente uguale (di poco inferiore) all’apporto di materiale
proveniente da monte.
Nella seconda parte viene considerata la dinamica dell’alveo, ricostruita attraverso i rilievi
effettuati nel corso degli anni. In particolare si distingue tra il periodo 1914-1958 e il periodo 19581989, considerando i rilievi eseguiti negli anni alle estremità dei due periodi.
59
Relazione Finale – Capitolo 4
Per quanto riguarda il periodo 1914-1958, vengono utilizzate le caratteristiche idrauliche
riportate nella prima parte, assumendo che non siano variate nel tempo. L’elaborazione numerica è
uguale a quella precedente, con l’unica modifica di considerare una quantità doppia di materiale
sabbioso, per considerare una maggiore disponibilità del materiale. Si ottiene un valore di trasporto
solido nel tratto prefociale di QT = 277412 m 3 / a , che è sostanzialmente in equilibrio con l’apporto
di materiale da monte.
Stimando l’abbassamento dell’alveo avvenuto tra i rilievi del 1914 e del 1958, viene calcolato
l’apporto di materiale al trasporto solido medio annuo per ogni tratto, e quindi il trasporto solido
totale come differenza tra questo e quello calcolato nel 1914 (nell’ipotesi che la capacità di
trasporto sia invariante nel tempo). Si ottiene un valore nel tratto prefociale QT 1958 = 212078 m 3 / a ,
ancora in equilibrio con il materiale proveniente da monte.
Nel periodo 1958-1989, viene considerata anche l’attività di estrazione di inerti dall’alveo del
Magra, per cui vengono ricostruiti, basandosi sulle stime effettuate nello studio “Variazioni
morfologiche del tronco terminale del fiume Magra nel quindicennio 1958-1973” (Cavazza,
Merlisenna, Piaggi, 1977), i volumi di sedimenti asportati da ciascun tratto. Con un’analisi simile a
quella eseguita per il periodo precedente, includendo anche i volumi estratti, viene effettuato il
bilancio sedimentologico per ciascun tratto, da cui risulta che la portata solida nel tratto prefociale è
pari a QT 1989 = 148933 m 3 / a , nell’ipotesi di invarianza di produzione solida del bacino dal 1958, e a
QT 1989 = 84291 m 3 / a nell’ipotesi di una diminuzione del materiale sabbioso fino alla quantità
utilizzata nella prima parte. Vengono forniti anche i valori di apporto di sedimenti alla foce nelle
due ipotesi, rispettivamente pari a 119464 m3/a ed a 54822 m3/a.
Nella terza parte viene presa in esame la produzione totale di sedimenti a scala di bacino,
facendo riferimento principalmente alla carta dell’erodibilità, ottenuta combinando insieme la carta
geologica, quella delle pendenze e quella dell’uso del suolo. Suddividendo la superficie del bacino
in tre classi di erodibilità e tenendo conto dei dati torbidimetrici misurati a Calamazza (1957-1970)
e a S.Genesio (1934-1938) pubblicati sugli annali, viene attribuito al trasporto torbido medio
annuo alla foce un valore pari a QT ,s = 668000 m 3 / a .
4.1.7 Cooperativa Mediterranea Prospezioni (2000)
Si tratta dello studio: Cooperativa Mediterranea Prospezioni, “Determinazione e studio del
trasporto solido di fondo nelle tre stazioni di Calamazza (Comune di Aulla), Santa Giustina e
Piccatello (Comune di Pontremoli) sul Fiume Magra in provincia di Massa Carrara”, Ufficio del
Genio Civile di Massa Carrara, 2000.
In questo studio vengono riportati i risultati ottenuti da una campagna di misure di trasporto
solido al fondo ed in sospensione nelle stazioni di Calamazza, Santa Giustina e Piccatello.
Per misurare il trasporto al fondo sono stati utilizzati due metodi diversi: a Piccatello ed a
S.Giustina è stata realizzata una trincea e, attraverso rilievi planoaltimetrici eseguiti dopo eventi di
piena significativi, sono stati determinati i corrispondenti apporti di materiale; a Calamazza invece
gli apporti di sedimenti sono stati calcolati sia mediante rilievi batimetrici del tratto d’alveo
interessato, sia mediante un campionatore.
I risultati ottenuti sono riportati nelle Tabelle 4.1 e 4.2. Per valutare il trasporto in sospensione
sono stati effettuati prelievi d’acqua nelle varie condizioni della corrente su più verticali, in modo
da ottenere risultati rappresentativi dell’intera sezione. I risultati ottenuti sono riportati nella Tabella
4.3.
Nel presente studio vengono anche evidenziate le variazioni climatiche riscontrate negli ultimi
anni, che hanno portato ad un apporto meteorico concentrato in periodi brevi, tanto che i valori di
portata liquida massima sono notevolmente aumentati rispetto al periodo 1865-1977. Queste
variazioni si riscontrano anche nel trasporto solido, sia al fondo che in sospensione, che è di
notevole entità solo in corrispondenza degli eventi di piena.
60
Relazione Finale – Capitolo 4
stazione
Piccatello
Santa Giustina
Calamazza
Volume
depositato (m3)
392
321
Data evento
20/10/99-26/10/99
12/12/99-30/12/99;
29/02/00-03/03/00;
24/03/00-01/04/00
25/03/99-22/04/99
20/10/99-26/10/99
12/12/99-30/12/99;
29/02/00-03/03/00;
24/03/00-01/04/00
25/03/99-22/04/99
20/10/99-26/10/99
12/12/99-30/12/99
29/02/00-03/03/00
24/03/00-01/04/00
1432
1169
1718
331
1950
2220 asportato
499
1075
Tabella 4.1 - Risultati dei rilievi plano-altimetrici e batimetrici (Cooperativa Mediterranea
Prospezioni, 2000).
Data
08/05/99
11/06/99
10/08/99
28/10/99
12/01/00
29/03/00
Ql (m3/s)
28.280
8.055
3.342
41.984
24.752
414.638
Peso campione (g)
29.5
19.8
14.2
79.5
26.3
836.8
Tabella 4.2 - Risultati ottenuti a Calamazza con il campionatore (Cooperativa Mediterranea
Prospezioni, 2000).
stazione
Piccatello
Santa Giustina
Calamazza
Ql media annua (m3/s)
3.48
2.66
90
Qt media annua (t)
8375
20646
1008042
Tabella 4.3: Misure della portata solida in sospensione media annua Qt in funzione alla portata
liquida media annua Ql (Cooperativa Mediterranea Prospezioni, 2000).
Per quanto riguarda l’origine dei sedimenti, il contributo maggiore viene attribuito, attraverso
l’analisi geolitologica dei campioni prelevati, ai sottobacini in sinistra orografica, caratterizzati da
una maggiore erodibilità delle formazioni geologiche e da frequenti fenomeni franosi lungo le aste
degli affluenti.
Particolare attenzione viene posta sull’andamento del trasporto solido a Calamazza: il materiale
trasportato, data la bassa energia cinetica, si deposita anche durante eventi di piena, innalzando
l’alveo naturale fino a creare una barriera per lo scorrimento delle acque. Quando si manifesta poi
un evento di piena particolarmente violento, in tale tratto di fiume si accumula una massa d’acqua
capace di trascinare a valle i depositi di fondo e ripristinare le condizioni d’alveo iniziale.
61
Relazione Finale – Capitolo 4
4.1.8 Hydrodata et al. (2003)
Si tratta dello studio: Hydrodata, Intecno-DHI, Medingegneria, STI, “Indagini e progetto
preliminare per la risagomatura della sezione di deflusso del tratto focivo del Fiume Magra”,
Autorità di Bacino Interregionale del Fiume Magra, 2003.
Nel capitolo dedicato al trasporto solido, viene condotta una simulazione in modo da calcolare
il volume di sedimenti che si può depositare nel tratto focivo nel corso di una piena significativa a
partire dallo stato geometrico ottenuto con l’ipotesi di risagomatura sviluppata nel progetto, in
modo da valutare la durabilità dell’intervento stesso.
Per analizzare la stabilità dell’alveo, vengono confrontati i rilievi del fondo eseguiti nel 1992,
1998, 2000 e 2001: si riscontra un sostanziale equilibrio dei fondali, da ritenersi in senso dinamico.
Utilizzando i rilievi dell’Ottobre 1998 e del Maggio 2001, viene stimato il volume di sedimenti
trasportato durante la piena del Novembre 1999 (con picco di circa 2000 m3/s) in 200000 m3 circa.
Per le simulazioni viene utilizzato il modello numerico bidimensionale MIKE 21C, che
accoppia le equazioni del moto a quelle del trasporto solido restituendo la modificazione
longitudinale e trasversale della batimetria del fiume, mentre per valutare l’apporto di materiale da
monte si fa ricorso all’equazione di Van Rijn, distinguendo tra materiale fine (diametro medio 0.15
mm) e grossolano (diametro medio 5 mm).
4.1.9 Riepilogo dei dati e delle stime precedenti
Per concludere la rassegna, si riporta di seguito una scheda riassuntiva delle stime e/o misure di
trasporto solido ricavabili dagli studi sopra citati (Tabella 4.4).
Elettroconsult (1972)
Stima Trasporto Solido totale
Calamazza
Valle confluenza Vara
850.000 m3/a
1.400.000 m3/a
Trasporto torbido (da dati Servizio Idrografico Genova)
Calamazza
490.000 m3/a
Foce
476.000 m3/a
Cavazza (1977)
Stima su base di bilancio di sedimenti 1958-1973 (da variazioni sezioni) tra confluenza Vara e
foce:
Alla foce:
Trasporto in sospensione
da cui ricava un Trasporto solido al fondo
425.000 – 475.000 m3/a
72.000 – 338.000 m3/a
Cavazza & Pregliasco (1981)
Stima trasporto solido al fondo (ponte Aurelia presso Battifollo):
Formula di Shields
51.151 m3/a
Formula di Meyer-Peter Muller
64.628 m3/a
Stima indiretta materiale lapideo estratto:
24.400.000 m3 nel quindicennio 1958-1973
62
Relazione Finale – Capitolo 4
Stima su base di bilancio di sedimenti (modificata da Cavazza, 1977):
Alla foce:
Trasporto in sospensione
Trasporto solido al fondo
Apporto terrigeno totale
476.000 m3/anno
35.800 m3/anno
511.800 m3/anno
Tecnosviluppo et al. (1991)
Presso la foce
Stima Capacità di trasporto (formule trasporto solido)
Trasporto torbido annuo (basato su dati Servizio Idrografico)
140.851 m3/a
668.000 m3/a
Cooperativa Mediterranea Prospezioni (2000)
Trasporto in sospensione (in base a misure)
Piccatello
8375 t/a
Santa Giustina
20.646 t/a
Calamazza
1.008.042 t/a
Hydrodata et al. (2003)
Alla foce:
Stima volume sedimenti trasportato durante piena 1999:
2.000 m3
Tabella 4.4 - Scheda riepilogativa delle stime e delle misure di trasporto solido riportate negli
studi esistenti sul Fiume Magra.
4.2 SUDDIVISIONE IN TRATTI
Ai fini della valutazione del trasporto solido, il primo passo è stato quello di suddividere i corsi
d’acqua studiati (F.Magra e F.Vara) in tratti relativamente omogenei dal punto di vista morfologico
ed idraulico. Tale suddivisione è partita da quella adottata in precedenza per lo studio
geomorfologico, definendo alcuni nuovi tratti che tengono conto soprattutto delle discontinuità
idrauliche dovute alla confluenza con i maggiori affluenti ed alla presenza di stazioni di misura
della portata liquida. In totale, si sono ricavati 12 tratti per il F.Magra e 12 per il F.Vara, come
riepilogato in Tabella 4.5.
Ai fini del bilancio di sedimenti, sono stati inclusi anche i principali affluenti, cioè quelli
ritenuti significativi in termini di alimentazione solida ai corsi d’acqua principali, vale a dire: 1)
T.Verde; 2) T.Gordana; 3) T.Caprio; 4) T.Bagnone; 5) T.Taverone; 6) T.Aulella; 7) T.Stora; 8)
T.Gottero; 9) T.Mangia; 10) T.Usurana. In Figura 4.3 si riporta la suddivisione in tratti e gli
affluenti inclusi nel bilancio.
Nome tratto
Limiti
m0
m1
m2
m3
m4
m5
m6
m7
sorgente - Piccatello
Piccatello – confl. T. Verde
confl. T.Verde – confl. T.Gordana
confl. T.Gordana – confl. T.Caprio
confl. T.Caprio – confl. T.Bagnone
confl. T.Bagnone - Lusuolo
Lusuolo – confl. T.Taverone
confl. T.Taverone – confl. T.Aulella
63
Relazione Finale – Capitolo 4
m8
m9
m10
m11
m12
v0
v1
v2
v3
v4
v5
v6
v7
v8
v9
v10
v11
v12
confl. T.Aulella - Calamazza
Calamazza - Caprigliola
Caprigliola – confl. F.Vara
confl. F.Vara – ponte FS Sarzana
Ponte FS Sarzana - foce
Casette – confl. T.Torza
confl. T.Torza – confl. T.Stora
Confl. T.Stora - Naseto
Naseto – confl. T.Gottero
confl. T.Gottero – diga S.Margherita
diga S.Margherita – confl. T.Malacqua
confl. T.Malacqua – confl. T.Mangia
confl. T.Malacqua – confl. T.Mangia
confl. T.Mangia – confl. T.Chichiola
confl. T.Chichiola - Padivarma
Padivarma – confl. T.Riccò
confl. T.Riccò – confl. T.Usurana
confl. T.Usurana – confl. F.Magra
Tabella 4.5 - Suddivisione dei fiumi Magra e Vara in tratti relativamente omogenei ai fini del
calcolo del trasporto solido.
Figura 4.3 - Suddivisione dei fiumi Magra e Vara in tratti e principali affluenti considerati ai fini del
bilancio di sedimenti.
64
Relazione Finale – Capitolo 4
4.3 MODELLAZIONE IDRAULICA
Ai fini del bilancio di sedimenti è necessario definire, per ogni singolo tratto, la scala delle
portate ed i parametri idraulici necessari per il calcolo del trasporto solido al variare dei livelli idrici
e delle portate stesse. A tal fine, si è proceduto per il F.Magra ad una modellazione in moto
permanente (utilizzando il software Hec-Ras), mentre per gli affluenti (compreso il F.Vara) si è
ritenuto sufficientemente dettagliato procedere al calcolo dei parametri idraulici attraverso una
modellazione in moto uniforme, utilizzando il software SAM poi in parte impiegato per
l’applicazione di alcune equazioni di trasporto solido.
4.3.1 Il modello di moto permanente
Il modello adottato si basa sulle equazioni del moto e di continuità per una corrente
unidimensionale che, nella formulazione generale di De Saint Venant, esprimono le caratteristiche
idrauliche (portata, velocità, carico piezometrico, altezza d’acqua) in funzione di spazio e tempo.
Se si trascura la dipendenza dal tempo, si ottiene il modello di moto permanente, descritto dalle
equazioni:
dQ
= q( x)
dx
dH
= −J
dx
dove: Q = portata liquida [m3/s]; q(x) = portata laterale (positiva se entrante) [m3/s]; H = carico
totale della corrente [m]; J = perdite di carico effettivo per unità di lunghezza.
A queste equazioni se ne aggiungono altre per la stima delle dissipazioni energetiche sia di
carattere concentrato che distribuito. Le perdite concentrate di energia, dovute alla variazione della
sezione trasversale, sono valutate attraverso i coefficienti di contrazione ed espansione, mentra
quelle distribuite attraverso il coefficiente di scabrezza di Manning (n):
2
2
1
Q = AR 3 i f 3
L3 T
n
dove: n = coefficiente di Manning; A = area del flusso; R = raggio idraulico; if = pendenza del
fondo.
La risoluzione dello schema di moto viene ottenuta per via numerica, discretizzando le
equazioni nel dominio spaziale: la soluzione viene pertanto ottenuta solo nei punti di
discretizzazione, rappresentati dalle sezioni geometriche rilevate.
I calcoli sono stati eseguiti utilizzando il software Hec-Ras 3.1.3 (Hydrologic Engineering
Center’s River Analysis System), elaborato dall’ U.S. Army Corps of Engineers.
[
]
4.3.2 Il modello di moto uniforme
Nell’ipotesi di moto uniforme viene eliminata anche la dipendenza dallo spazio delle
caratteristiche idrauliche di una corrente unidimensionale. In tali condizioni la velocità media V
della corrente è legata alle caratteristiche dell’alveo (pendenza, scabrezza, forma della sezione
trasversale) e della corrente (altezza d’acqua, area del flusso, raggio idraulico) attraverso la legge
del moto uniforme, che di solito viene espressa dalla formula di Chezy:
V =C R i
da cui:
Q = AC R i
dove: A = area del deflusso; C = coefficiente di scabrezza; R = raggio idraulico; i = pendenza del
fondo.
Come si può notare, una volta fissata la portata Q, non è possibile ottenere una espressione
esplicita per l’altezza d’acqua h: la soluzione viene quindi ottenuta per via iterativa. Nel presente
65
Relazione Finale – Capitolo 4
studio tali calcoli sono stati eseguiti avvalendosi del software SAM, sviluppato dall’Hydraulics
Laboratory of the Waterways Experiment Station (WES).
4.3.3 Dati utilizzati
Per l’implementazione dei modelli idraulici è stato necessario reperire i seguenti dati:
- sezioni fluviali;
- dati idrologici.
Sezioni fluviali
Le sezioni utilizzate sono quelle rilevate per lo “Studio per il piano di bacino del fiume Magra”
tra il 1989 ed il 1991: esse comprendono 251 sezioni per il Fiume Magra (dalla località Mignegno
alla foce), 219 per il Fiume Vara ( da Noceto alla confluenza con il Fiume Magra) e 216 per gli
affluenti.
L’utilizzo di tali sezioni comporta una certa approssimazione, visto che il rilievo non è
esattamente rappresentativo dello stato attuale dei corsi d’acqua, ma non era possibile fare
altrimenti data la mancanza di rilievi più recenti. Inoltre, dall’utilizzo di questi dati, risulta che
spesso le opere in alveo sono state rilevate in modo insufficiente, come già osservato nella relazione
del Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico Settore Idraulico. Si è ritenuto comunque di non
utilizzare le sezioni integrative effettuate proprio per gli studi del PAI in quanto, essendo state
realizzate molti anni dopo, contengono dati non omogenei con quelli del rilievo utilizzato.
Dati idrologici
La caratterizzazione del regime delle portate liquide dei corsi d’acqua è stata ottenuta
assegnando ad ogni tratto la relativa curva di durata. Un generico valore D(Q) sulla curva indica il
numero di giorni del periodo base considerato (in genere un anno) nei quali la portata liquida sia
stata non minore di Q. Per costruire la curva di durata è necessario effettuare un’analisi delle portate
registrate in stazioni presenti lungo il corso del fiume.
600.00
500.00
Q (m³/s)
400.00
300.00
200.00
100.00
1 9 32
1 9 33
1 9 34
1 9 35
1 9 36
1 9 37
1 9 38
1 9 39
1 9 40
1 9 41
1 9 42
1 9 43
1 9 44
1 9 47
1 9 51
1 9 53
1 9 54
1 9 56
1 9 57
1 9 58
1 9 60
1 9 61
1 9 62
1 9 63
1 9 64
1 9 65
1 9 66
1 9 67
1 9 68
1 9 69
1 9 70
1 9 71
1 9 72
1 9 73
1 9 74
1 9 75
1 9 93
1 9 94
1 9 95
1 9 96
1 9 96
0.00
Figura 4.4 - Andamento delle portate liquide alla stazione di Naseto lungo il Fiume Vara nel
periodo compreso tra il 1932 ed il 1996.
Sui fiumi Magra e Vara e sui loro principali affluenti sono presenti alcune stazioni di misura
della portata, tra le quali quelle che presentano una serie storica di dati sufficientemente ampia
perché la curva di durata risulti rappresentativa (almeno 10 anni, secondo Biedenharn et al., 2001)
sono le seguenti: Piccatello e Calamazza sull’asta del Fiume Magra; Naseto, Padivarma e Piana
Battolla sul Fiume Vara; Bagnone sul T.Bagnone; Licciana sul Torrente Taverone; Soliera sul
T.Aulella. Dopo una prima fase di ricerca, sono stati quindi acquisiti tutti i dati di portata media
66
Relazione Finale – Capitolo 4
giornaliera (in media circa 7700 per ogni stazione) pubblicati sugli Annali Idrologici dal Servizio
Idrografico di Genova e, visto che erano disponibili soltanto in forma cartacea, sono stati
digitalizzati ed in seguito elaborati con l’ausilio del software Excel.
Vista la diversa disponibilità dei dati sul Fiume Magra e sul Fiume Vara, l’elaborazione ha
seguito due approcci diversi. Per quanto riguarda il Fiume Vara, la stazione che presenta un
numero maggiore di dati è quella di Naseto, per la quale sono stati pubblicati dati dal 1932 al 1996,
per un totale di circa 40 anni. In questo periodo il regime delle portate liquide è stato pressoché
costante, senza sostanziali variazioni nel tempo (Figura 4.4).
400
350
300
Padivarma
250
y = 1.9289x
2
R = 0.9096
200
150
100
50
0
0
20
40
60
80
100
120
140
160
Naseto
Figura 4.5 - Regressione dei valori di portata tra le stazioni di Naseto e Padivarma sul F.Vara.
900
800
700
Pianabattolla
600
y = 2.6308x
2
R = 0.8154
500
400
300
200
100
0
0
50
100
150
200
250
300
Naseto
Figura 4.6 - Regressione dei valori di portata tra le stazioni di Naseto e Piana Battola sul F.Vara.
La stazione di Piana Battolla presenta dati di portata dal 1934 al 1943, mentre quella di
Padivarma dal 1925 al 1937. Vista la distribuzione abbastanza omogenea delle tre stazioni
all’interno del bacino imbrifero, è stato possibile ricavare una correlazione tra i dati misurati a
Padivarma e a Piana Battolla e quelli misurati a Naseto sfruttando gli anni di contemporaneo
funzionamento (Figure 4.5 e 4.6 rispettivamente). In questo modo sono state completate anche le
67
Relazione Finale – Capitolo 4
serie storiche relative alle due stazioni che presentano un numero minore di dati originali, in modo
da rendere poi possibile la determinazione della curva di durata sulla base di un numero più ampio
di anni.
Per quanto riguarda i dati di portata relativi al Fiume Magra, le due stazioni che presentano
una serie sufficiente di dati sono Piccatello e Calamazza. Queste due stazioni si trovano: la prima
pochi chilometri dopo la sorgente, la seconda poco prima della confluenza con il Fiume Vara. Tra
questi due punti, il Fiume Magra riceve l’apporto di numerosi affluenti, anche di notevoli
dimensioni come il T.Bagnone, il T.Taverone ed il T.Aulella, e drena vaste aree del bacino soggette
a condizioni geo-litologiche e climatiche diverse. Per questi motivi non è stato possibile stabilire
una correlazione tra i dati delle due stazioni, in modo da completare la serie storica che presenta un
minor numero di elementi, come è stato fatto per il Fiume Vara. Si è deciso pertanto di selezionare
un intervallo di tempo di misure che fosse in comune alle due stazioni ed in comune anche alle
stazioni ubicate sui principali affluenti. Non essendo disponibili dati più recenti, è stato considerato
il periodo 1957-1977 per le stazioni di Piccatello, Calamazza, Bagnone e Soliera, mentre per
Licciana è stato utilizzato l’unico periodo disponibile, che va dal 1933 al 1943.
100
Q (mc/s)
10
1
0.1
0.01
0.10
1.00
10.00
100.00
frequenza di superamento (%)
Figura 4.7 - Curva di durata relativa alla stazione di Piccatello sul Fiume Magra.
frequenza di superamento 1%
400
350
300
Q (mc/s)
250
y = 0.4384x - 9.0221
R2 = 0.9994
200
150
100
50
0
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
1000
2
Area (km )
Figura 4.8 - Regressione tra portate ed aree del bacino per la frequenza di superamento dell’1%,
utilizzata per ricavare le curve di durata dei sottotratti.
La procedura classica per la costruzione della curva di durata prevede la suddivisione in classi
del range di portate ed il calcolo della frequenza di superamento di ciascuna classe (cioè del numero
di giorni in un anno in cui viene uguagliata o superata la portata rappresentativa di ciascun
68
Relazione Finale – Capitolo 4
intervallo). Riportando su un grafico la portata in funzione della frequenza, si ottiene la curva di
durata (Figura 4.7).
Nel presente studio la procedura è stata modificata seguendo quanto suggerito da Biedenharn et
al. (2001): sono stati fissati valori di frequenza significativi e per ciascun valore è stata determinata
la portata corrispondente. In questo modo, oltre a costruire la curva di durata per i tratti in cui
ricadono le stazioni di misura sopra citate, è stato possibile estendere la curva di durata agli altri
tratti di studio attraverso una regressione sulle aree drenate (Figura 4.8).
4.3.4 Implementazione del modello idraulico
Il modello in moto permanente è stato applicato sull’asta del Fiume Magra dalla località
Mignegno, poco a monte di Pontremoli, fino al ponte della ferrovia presso Sarzana. Sono stati creati
in Hec-Ras tanti progetti quanti sono i tratti: le condizioni al contorno adottate per ciascun tratto
sono la scala di deflusso dell’ultima sezione a valle del tratto immediatamente precedente come
condizione di monte e l’altezza di moto uniforme (normal depth) come condizione di valle. Le
scabrezze sono state determinate come coefficiente di Manning, calcolato utilizzando tabelle e
formule riportate in letteratura, e assumono valori da 0.04 a 0.028 in alveo a seconda del tratto in
esame e 0.05 sulla piana inondabile. In conformità con quanto riportato nella relazione del PAI, i
coefficienti di espansione e contrazione in prossimità dei ponti sono stati assunti rispettivamente
pari a 0.5 e 0.3, mentre in assenza di ponti essi valgono 0.2 e 0.1.
Per la verifica e taratura del modello sono stati utilizzati i risultati riportati nel PAI: sono state
quindi confrontate le altezze d’acqua ottenute con quelle riportate nel Piano Stralcio a parità di
portata e, sulla base di tale confronto, sono stati modificati i vari parametri fino a quando gli scarti
tra le due serie di dati non sono risultati accettabili.
Come già detto, per il Fiume Vara e per tutti gli altri affluenti inclusi nel bilancio di sedimenti è
stato utilizzato un modello di moto uniforme. Anche in questo caso sono stati realizzati in SAM
tanti progetti quanti sono i tratti individuati in precedenza: in ingresso sono state quindi fornite la
portata liquida, la geometria della sezione trasversale, la scabrezza (in termini di n di Manning) e la
pendenza del fondo.
4.3.5 Risultati ottenuti
I due diversi modelli sono stati utilizzati per ottenere i parametri idraulici relativi alle portate
ricavate dalla curva di durata, per un totale di trenta profili per sezione. In particolare, per ogni
sezione è stata ricavata la scala delle portate (o scala di deflusso) (Figura 4.9), l’andamento della
velocità (Figura 4.10), del raggio idraulico (Figura 4.11) e delle tensioni tangenziali in funzione
delle portate (Figura 4.12).
265.0
264.5
h (m s.l.m.)
264.0
263.5
263.0
262.5
262.0
0
10
20
30
40
50
60
70
Q (mc/s)
Figura 4.9 – Esempio di scala delle portate relativa al tratto m0.
69
Relazione Finale – Capitolo 4
3.5
3.0
v (m/s)
2.5
2.0
1.5
1.0
0.5
0.0
0
10
20
30
40
50
60
70
80
Q (mc/s)
Figura 4.10 – Esempio di andamento delle velocità relativamente al tratto m0.
1.20
1.00
R (m)
0.80
0.60
0.40
0.20
0.00
0
10
20
30
40
Q (mc/s)
50
60
70
80
Figura 4.11 – Esempio di andamento del raggio idraulico relativamente al tratto m0.
140
shear stress (N/mq)
120
100
80
60
40
20
0
0
10
20
30
40
50
60
70
80
Q (mc/s)
Figura 4.12 – Esempio di andamento delle tensioni tangenziali relativamente al tratto m0.
70
Relazione Finale – Capitolo 4
4.4 STIMA DEL TRASPORTO SOLIDO
Nel presente studio, per la valutazione di trasporto solido sono state utilizzate equazioni
idrauliche proposte in letteratura, ottenute dall’elaborazione di dati sperimentali misurati
prevalentemente in laboratorio. Occorre tener conto che la natura empirica dei vari modelli
introduce forti semplificazioni rispetto alle condizioni naturali, a cui si aggiunge l’assunzione che
venga saturata completamente la capacità di trasporto della corrente, cioè che sia sempre disponibile
alla mobilizzazione tutto il materiale che il corso d’acqua riesce a trasportare.
4.4.1 Metodi di calcolo del trasporto al fondo
Una prima selezione delle equazioni da utilizzare nel presente studio è stata effettuata, oltre che
sulla base della letteratura esistente, anche con l’ausilio del software SAM, il quale contiene un
data base interno grazie al quale vengono selezionate le equazioni ritenute più attendibili per un
dato caso di studio sulla base delle sue caratteristiche idrauliche, morfologiche e sedimentologiche.
Il software SAM infatti consente l’utilizzo di numerose equazioni di trasporto solido, quali:
Toffaleti, Yang, Einstein (total load), Ackers-White, Colby, Toffaleti – Schoklitsch, Meyer Peter &
Muller, Brownlie, Laursen (Madden), Laursen (Copeland), Parker, Einstein (bed load), Profitt
(Sutherland), Engelund – Hansen, Schoklitsch, Van Rjin, Toffaleti – MPM.
Di seguito si riportano le equazioni per il calcolo del trasporto solido al fondo che sono state
utilizzate nel presente studio.
Schoklitsch
E’ uno dei metodi più utilizzati per il calcolo del trasporto al fondo in corsi d’acqua montani.
Fornisce la capacità di trasporto istantanea Q s [Kg / s ] relativa alla portata liquida Q m 3 / s :
[
]
Q s = 2500 S 3 / 2 (Q − Q cr )
dove Q cr [mc / s ] rappresenta la portata critica di inizio del moto dei sedimenti ed è data da:
Q cr = 0.6 B
con B [m ] larghezza dell’alveo attivo, D40 [m]
pendenza del fondo.
D 40
3/2
S 7/6
diametro rappresentativo dei sedimenti e S
Meyer Peter & Muller
E’ una delle formule più utilizzate per il calcolo del trasporto al fondo in alvei di pianura.
Deriva da una formula proposta da Favre e Einstein, modificata sulla base della considerazione, su
base sperimentale, che solo una parte della tensione contribuisce al trasporto del materiale, mentre
la restante è utilizzata per bilanciare l’effetto forma:
3/ 2
⎛ ns ⎞
2/3
⎜ ⎟ ⋅ θ = 0.047 + Φ
⎝ n ⎠
dove:
1/ 6
D90
ns =
secondo Strickler (D90 espresso in metri);
26
1
U
= 2 / 3 1 / 2 con n= coefficiente di resistenza totale di Manning;
n R S
θ = parametro di Shields di mobilità totale;
Φ=
qb
γs
γ
⎛ 1 ⎞
⎜
⎟
γ s − γ ⎜⎝ gD 3 ⎟⎠
1/ 2
= portata solida adimensionale per unità di larghezza;
71
Relazione Finale – Capitolo 4
qb = Φ
(S
g
− 1)gD 3 = portata solida per unità di larghezza.
Si può dimostrare che il primo membro dell’equazione di MPM rappresenta il parametro di
Shields di mobilità effettiva θ ' , per cui:
Φ = 8(θ '−0.047) 3 / 2
Smart & Jäggi (1983)
Rappresenta l’estensione della formula di Meyer Peter & Muller ai corsi d’acqua con forte
pendenza (da 3% a 20%):
0.2
⎛D ⎞
⎛u⎞
Φ = 4 ⎜⎜ 90 ⎟⎟ i 0f .6 θ 0.5 (θ − θ cr )⎜⎜ ⎟⎟
⎝ u* ⎠
⎝ D30 ⎠
0.2
⎛D ⎞
Nella formula il rapporto ⎜⎜ 90 ⎟⎟ può essere sostituito dal numero 1.05, valore approssimato
⎝ D30 ⎠
che tiene conto della non uniformità del materiale. Gli autori inoltre consigliano θ cr =0.05 .
Parker (1990)
E’ una formula di trasporto solido al fondo, risultato di una variazione di una versione del 1982,
per alvei con fondo ghiaioso e/o corazzato. Questo modello fa riferimento alle dimensioni dello
strato superficiale ed alla teoria secondo la quale la maggior parte delle particelle della mistura si
mobilita in corrispondenza circa della stessa tensione tangenziale.
Definiti:
∗
q b = capacità di trasporto solido espressa in termini dimensionali;
qb = portata volumetrica al fondo per unità di larghezza dell’alveo;
g = accelerazione gravitazionale;
γ s , γ = peso specifico dei sedimenti e dell’acqua;
D50 = diametro caratteristico della mistura;
τ = tensione tangenziale al fondo;
θ = parametro di mobilità di Shields
Si ricava:
qb
∗
qb =
γs −γ
3
⋅ g ⋅ D50
γ
W∗ =
qb
∗
θ 3/ 2
τ
θ=
(γ s − γ ) ⋅ D50
con:
[
⎧0.00218 exp 14.2(φ50 − 1) − 9.28(φ50 − 1)2
⎪
4.5
⎪
⎛
0.853 ⎞
∗
⎟⎟
φ50 > 1.59
W = ⎨11.93⎜⎜1 −
φ
50
⎝
⎠
⎪
⎪0.00218φ 14.2
φ50 < 1
50
⎩
φ50 =
θ
∗
1.18θ c
72
]
1 < φ50 < 1.59
Relazione Finale – Capitolo 4
θ c ∗ = 0.028
Shields (1936)
Nel 1936 Shields ricavò sperimentalmente la seguente equazione:
(τ −τ )
q s = 10 Q S 0 0 cr
(r −1)d
dove: qs= portata solida in peso per unità di larghezza; Q= portata liquida; S0= pendenza del fondo;
τ0= tensione tangenziale media; τcr= tensione tangenziale critica; (r-1) = peso specifico immerso
relativo dei sedimenti; d= diametro dei sedimenti.
4.4.2 Scelta dei parametri
Per il calcolo della capacità di trasporto al fondo è stata effettuata un’ulteriore discretizzazione
dell’asta fluviale: per ogni tratto è stata assunta come rappresentativa un’unica sezione (Figura
4.13), caratterizzata dalle grandezze geometriche medie (larghezza di bankfull, pendenza) del tratto
stesso. Ad ogni tratto è stata poi assegnata una curva granulometrica rappresentativa della
composizione sedimentologica (Figura 4.14), ottenuta o per campionamento volumetrico realizzato
direttamente in sito, o per regressione nei tratti in cui non sono stati effettuati rilievi, secondo
quanto riportato nel Cap.2. In Tabella 4.6 si riporta il riepilogo dei dati geometrici e sedimentologici
di ogni tratto.
276
274
quota (m s.l.m.)
272
270
268
266
264
262
260
0
50
100
150
200
distanza progressiva (m)
250
300
Figura 4.13 - Sezione rappresentativa del tratto m0.
100
80
70
60
50
40
30
20
10
9
Phi
Figura 4.14 – Esempio di curva granulometrica relativa al tratto m0.
73
10
8
7
6
5
4
3
2
1
0
-1
-2
-3
-4
-5
-6
-7
-8
-9
0
-1
0
Passante cumulato (%)
90
Relazione Finale – Capitolo 4
Tratto
Lunghezza
(Km)
Larghezza
bankfull (m)
Pendenza
%
D50
(mm)
Area
drenata
(Km2)
m0
m1
T.Verde
m2
T.Gordana
m3
T.Caprio
m4
T.Bagnone
m5
m6
T.Taverone
m7
T.Aulella
m8
m9
m10
m11
v0
v1
T.Stora
v2
v3
T.Gottero
v4 (diga)
v5
v6
T.Mangia
v7
v8
v9
v10
T.Usurana
v11
v12
1.7
2.4
1.0
1.0
1.0
3.8
1.0
7.0
1.0
3.5
5.8
1.0
1.8
1.0
1.5
4.7
4.3
6.5
6.5
1.5
1.0
5.2
3.8
1.0
1.5
6.4
2.3
1.0
2.3
6.0
1.7
5.2
1.0
2.4
5.7
16
17
13
34
29
55
10
138
30
60
180
75
422
55
62
65
216
260
36
63
58
33
49
15
48
73
25
77
88
95
68
70
80
125
1.89
1.49
1.74
1.43
3.00
0.97
2.44
0.87
1.73
0.65
0.56
1.16
0.63
0.50
0.25
0.33
0.4
0.15
1.29
0.9
1.88
0.5
0.47
2.00
0.60
0.65
2.5
0.40
0.6
0.57
0.36
3.00
0.4
0.35
75.7
44.2
29.8
44.2
24.2
37.1
28.6
44.0
24.6
60.8
31.8
18.0
27.3
19.9
27.3
25.1
29.5
17.4
67.6
38.5
23.0
64.0
64.0
55.6
38.9
38.9
49.5
12.4
40.8
40.8
33.6
39.6
46.1
46.1
77
81
73
159
50
229
26
364
59
427
485
121
610
319
933
948
960
1609
104
188
33
205
207
38
247
282
313
27
350
417
420
489
26
519
564
Tabella 4.6 – Caratteristiche geometriche e sedimentologiche medie di ogni tratto.
74
Relazione Finale – Capitolo 4
4.4.3 Confronto tra risultati e misure dirette
Il calcolo è stato quindi effettuato utilizzando le varie formule selezionate in precedenza.
Queste forniscono la capacità di trasporto istantanea Qs (Kg/s) al variare della portata liquida. Per
ottenere la portata solida media annua è necessario integrare la Qs sull’intervallo Q=365 gg, una
volta note le durate dei vari intervalli di portata sulla base della curva di durata, secondo
l’equazione:
Q sa = ∫ Q s dt
T
I risultati ottenuti sono stati confrontati con i dati di trasporto solido ottenuti per misura diretta
riportati in letteratura. In particolare, si è tenuto conto dei seguenti risultati, ritenuti più significativi
come termini di paragone e verifica delle stime tramite equazioni di trasporto solido, relativi agli
studi precedenti (par.4.1).
Cavazza, Pregliasco (1978):
a) trasporto solido al fondo in ingresso al tratto prefociale = 57.800 m3/a;
Cooperativa Mediterranea Prospezioni (2000):
b) trasporto solido al fondo a Piccatello = 713 m3/a;
c) trasporto al fondo a S. Giustina = 4.319 m3/a.
Tra le 5 equazioni impiegate per la capacità di trasporto solido al fondo (Schoklitsch, Meyer
Peter & Muller, Smart & Jäggi, Parker, Shields), la formula che ha fornito i risultati più prossimi
alle misure dirette è risultata essere la formula di Shields. Si riporta in Tabella 4.7 il confronto tra
dati misurati e dati calcolati secondo la formula di Shields, mentre in Tabella 4.8 si evidenziano le
differenze anche di ordini di grandezza delle stime tra le varie equazioni utilizzate, relativamente
alle misure sperimentali a Piccatello e S.Giustina.
Misure dirette
a
b
c
57.800 m3/a
713 m3/a
4.319 m3/a
Formula di Shields
(1936)
29.251 m3/a
560 m3/a
4.065 m3/a
Tabella 4.7 – Confronto tra dati misurati e calcolati secondo la formula di Shields. a) Ingresso tratto
prefociale; b) Piccatello; c) S.Giustina.
Stazioni di
misura
Piccatello (b)
S.Giustina (c)
Misure
dirette (m3/a)
713
4.319
Schoklitsch
(m3/a)
55.465
75.563
Parker
(m3/a)
7.195
152.174
MPM
(m3/a)
683.045
773.964
Shields
(m3/a)
560
4.065
Tabella 4.8 - Confronto tra dati misurati a Piccatello e S.Giustina e valori calcolati secondo varie
formule.
L’equazione di Shields è stata pertanto adoperata per calcolare la capacità di trasporto di
ciascun tratto: i risultati complessivi sono riportati in Tabella 4.9. Per il tratto m12, corrispondente
al tronco prefociale del Fiume Magra, non è stata effettuata la stima del trasporto al fondo, in
quanto in tale tratto i processi di trasporto solido sono influenzati dalla presenza del cuneo di
intrusione marina, per cui non possono essere modellati utilizzando le formule classiche di
letteratura.
75
Relazione Finale – Capitolo 4
tratto
Capacità di
trasporto
Shields
(m3/a)
Fiume Magra
m0
560
m1
1.013
T.Verde
1.237
m2
4.065
T.Gordana
210
m3
4.526
T.Caprio
293
m4
4.189
T.Bagnone
1.087
m5
3.046
m6
3.518
T.Taverone
4.231
m7
17.258
T.Aulella
3.176
m8
8.954
m9
14.832
m10
24.755
m11
29.250
Capacità
tratto
di
trasporto
Shields
(m3/a)
Fiume Vara
v0
875
v1
1.450
T.Stora
2.299
v2
2.370
v3
151
T.Gottero
561
v4 (diga)
0
v5
3.675
v6
570
T.Mangia
306
v7
941
v8
1.304
v9
3.001
v10
4.138
T.Usurana
1.154
v11
2.713
v12
2.060
Tabella 4.9 – Riepilogo dei risultati delle stime della capacità di trasporto al fondo medio annuo.
Dai risultati riportati in Tabella 4.9 si osserva come le massime capacità di trasporto si
registrano nei tratti finali del Fiume Magra (m9, m10 ed m11), con valori che vanno da circa 15.000
a circa 30.000 m3/anno. Al contrario, si osserva piuttosto sorprendentemente come il Fiume Vara,
anche nel suo tratto finale (v12) presenti una capacità di trasporto molto più bassa (circa 2.000
m3/anno, vale a dire tra il 7 ed il 13% di quella del Magra nel suo tratto finale). Ciò è da imputare
ad una concomitanza di fattori (dimensioni sedimenti, portate liquide, pendenze), ma quello che
sembra pesare di più sono le dimensioni granulometriche significativamente maggiori per il F.Vara
(46.1 mm) rispetto a quelle del F.Magra nei tratti finali (comprese tra 17 e 24 mm circa) (Tab.4.6).
4.4.4 Trasporto solido in sospensione e totale
Il calcolo del trasporto solido in sospensione presenta problemi e margini di incertezza ancor
più grandi di quelli relativi al trasporto solido al fondo data l’estrema complessità del fenomeno. La
portata solida Q ss trasportata in sospensione attraverso una sezione Ω è data da:
Q ss = ∫ c u d Ω = b q ss
Ω
dove c è la concentrazione volumetrica media nella sezione, u è la velocità della corrente, b è la
larghezza della sezione e q ss la portata solida in sospensione per unità di larghezza. Quest’ultima
può essere espressa da:
Y
q ss = ∫ c( y ) u ( y ) dy
a
con Y profondità della corrente e a quota di riferimento a cui corrisponde la concentrazione di
riferimento c r .
76
Relazione Finale – Capitolo 4
La portata in sospensione dipende quindi dalla distribuzione della concentrazione c( y ) ,
determinata da Rouse nel 1937 imponendo l’equilibrio tra la portata diretta verso il basso, associata
alla velocità di sedimentazione, e quella mediamente rivolta verso l’alto, associata alle fluttuazioni
turbolente della velocità.
L’espressione a cui si perviene è:
Z
⎛Y − y a ⎞
c = c r ⎜⎜
⎟⎟
⎝ y Y −a⎠
dove Z è detto numero di Rouse ed è dato da:
W
Z= s
k u*
con k = 0.4 costante di V. Karman, u * velocità di attrito e W s velocità di caduta.
La portata solida in sospensione per unità di larghezza è quindi data dall’espressione:
⎡
⎤
⎛ 30Y ⎞
q ss = 11.6 c r u* a ⎢ I 1 ln⎜
⎟ + I2 ⎥
⎝ ε ⎠
⎣
⎦
dove ε è la scabrezza assoluta della parete e I 1 e I 2 sono coefficienti dipendenti da Z e da a / Y
riportati in appositi grafici.
Per determinare i valori di a e di c r si ricorre a metodi empirici, tra i quali vengono indicati
come più affidabili i seguenti:
-metodo di Smith & Mc-Lean:
⎛ θ
⎞
0.0024 ⎜⎜
− 1⎟⎟
⎝ θ cr
⎠
c r = 0.65
⎛ θ
⎞
1 + 0.0024 ⎜⎜
− 1⎟⎟
⎝ θ cr
⎠
a = 26.3 (θ − θ cr )D + ε
-metodo di Van Rijn:
⎧0.01Y
a=⎨
⎩ε e
seε e < 0.01Y
seε e ≥ 0.01Y
1.5
⎞
D⎛ θ
− 0.2
c r = 0.015 ⎜⎜
− 1⎟⎟ R p
a ⎝ θ cr
⎠
ε e = 3 D90 nel caso di fondo piano
-metodo di Garcia & Parker:
a = 0.05Y
5
A Zu
cr =
A
⎛
5⎞
Zu ⎟
⎜1 +
0 .3
⎝
⎠
u * ' 0.6
Rp
Ws
il diametro D utilizzato è il D50 della curva granulometrica a cui sono state sottratte le frazioni più
grossolane non trasportate in sospensione.
con A = 1.3 × 10 −7 e Z u =
Ai fini dello studio del trasporto solido in sospensione del F.Magra, sono stati analizzati i dati
pubblicati sugli Annali Idrologici dal Servizio Idrografico di Genova e quelli riportati nello studio
77
Relazione Finale – Capitolo 4
realizzato dalla Cooperativa Mediterranea Prospezioni (2000). I dati pubblicati sugli Annali
Idrologici si riferiscono alla portata torbida media mensile misurata a Calamazza dal 1957 al 1971
(Figura 4.1). I dati riportati nello studio della Cooperativa Mediterranea Prospezioni, invece, si
riferiscono a misure di portata torbida giornaliera alle stazioni di Piccatello, S. Giustina e
Calamazza. Il metodo di misura utilizzato consiste nel prelievo di diversi campioni d’acqua in più
verticali ed a diverse profondità, in corrispondenza di condizioni idrauliche prestabilite: durante la
fase crescente e discendente della piena, dopo l’evento di piena ed in assenza di precipitazioni. I
campioni così raccolti sono stati poi filtrati, in modo da eliminare la componente in soluzione,
essiccati e pesati, in modo da ottenere la torbidità espressa in g/l.
25000
portate solide (Kg/s)
20000
15000
2,1589
y = 0,0004x
2
R = 0,8454
10000
5000
1,784
y = 0,0008x
2
R = 0,6539
0
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
3500
4000
3
Portate liquide (m /s)
Figura 4.15 – Correlazione tra portate liquide e portate solide in sospensione misurate presso la
stazione di Calamazza (Cooperativa Mediterranea Prospezioni, 2000).
14000
3
Portate solide (m /a)
12000
10000
8000
6000
4000
2000
855
1433
480
356
243
191
162
143
125
112
95
103
87
65
52
43
36
31
26
23
20
17
15
13
11
8
10
7
6
4
0
3
Portate liquide (m /s)
Figura 4.16 – Portate solide in sospensione medie annue per classi di portate liquide per la stazione
di Calamazza.
Le misure di portata torbida eseguite nell’ambito dello studio della Cooperativa Mediterranea
Prospezioni (2000) sono state utilizzate per verificare le stime di portata solida in sospensione
78
Relazione Finale – Capitolo 4
attraverso l’applicazione dei tre metodi empirici per il calcolo dei coefficienti numerici relativi alla
soluzione di Rouse. E’ stato verificato che nessuno dei tre metodi permette di approssimare in modo
soddisfacente attraverso la soluzione di Rouse i dati misurati. Questo non ha consentito quindi di
stimare la portata in sospensione attraverso la soluzione di Rouse per i vari tratti dei due corsi
d’acqua in esame. Si è pertanto deciso di effettuare una stima della portata in sospensione media
annua solo relativamente alla stazione di Calamazza, basandosi esclusivamente sui dati misurati
dalla Cooperativa Mediterranea Prospezioni (2000). Le misure di portata torbida sono state messe in
relazione con le portate liquide relative al momento dei prelievi: sono state ricavate due regressioni
di potenza, per portate inferiori e superiori a Q=300 m3/s rispettivamente (Figura 4.15).
Successivamente, è stata utilizzata la curva di durata delle portate precedentemente ricavata per
Calamazza e sono state quindi moltiplicate le portate in sospensione relative ai vari intervalli di
portata, secondo le regressioni di potenza, per la relativa durata delle portate liquide. Dal grafico
che se ne ricava (Figura 4.16), si osserva che il contributo solido in sospensione parte da valori di
portate liquide di circa 11 m3/s e diventa molto significativo nell’intervallo di portate liquide
comprese tra 356 e 1433 m3/s, con un valore massimo in corrispondenza della classe di portate di
480 m3/s. Da tale analisi risulta che il valore di trasporto solido in sospensione totale medio
annuo del F.Magra alla stazione di Calamazza è di circa 40.814 m3.
Tale analisi, seppure limitata ad un’unica stazione del F.Magra (tuttavia particolarmente
significativa), è risultata di particolare interesse per valutare i rapporti tra trasporto solido al fondo
ed in sospensione e per stimare la portata solida totale media annua in tale sezione. In Figura 4.17 si
riporta il confronto tra portata solida al fondo, stimata precedentemente attraverso l’equazione di
Shields, e portata solida in sospensione. Si nota come la portata solida in sospensione è sempre
significativamente superiore rispetto a quella al fondo, e tale differenza diventa particolarmente
marcata soprattutto per portate liquide maggiori di tra 356 m3/s. Il trasporto solido al fondo totale
medio annuo a Calamazza risulta stimato in circa 23.727 t che, sommato a quello totale annuo in
sospensione (circa 108.157 t), risulta in un trasporto solido totale medio annuo complessivo di
circa 131.884 t. Il trasporto solido al fondo, secondo tali stime, risulterebbe rappresentare circa il
18% del trasporto solido totale, dato molto in accordo con altri alvei ghiaiosi di simili
caratteristiche (Hicks et al., 2004; Liebault, com.pers.; Surian & Cisotto, 2007).
35000
Portate solide (t/a)
30000
trasporto al fondo
Shieldsr
25000
trasporto in sospensione
Serie2
20000
15000
10000
5000
855
1433
480
356
243
191
162
143
125
112
103
94,9
87,4
65,4
51,8
43,2
36,3
30,9
26,4
23,1
19,8
17,4
13
14,8
11,5
9,65
8,33
7,01
3,5
5,85
0
3
Portate liquide (m /s)
Figura 4.17 – Confronto tra portate solide al fondo ed in sospensione per il F.Magra a Calamazza.
In particolare, si sottolinea come non esistano in letteratura molti dati misurati di confronto per
alvei fluviali di dimensioni e caratteristiche simili a quelle del F.Magra. Tra i pochi lavori in cui
79
Relazione Finale – Capitolo 4
esistano delle stime o misure dei vari tipi di trasporto solido, è sembrato utile fare riferimento a
titolo di confronto al recente lavoro di Surian & Cisotto (in stampa) riferito al Fiume Brenta,
essendo tale corso d’acqua di caratteristiche paragonabili a quelle del F.Magra. Il F.Brenta è un
alveo ghiaioso a morfologia inizialmente a canali intrecciati ed attualmente di tipo transizionale
(wandering), il bacino totale è di 1567 km2, per cui il tratto intermedio, a cui si riferisce il
confronto, ha un bacino sotteso confrontabile con quello del Magra a Calamazza (932 km2). Le
valutazioni del trasporto solido del F.Brenta derivano in parte da misure ed in parte
dall’applicazione del metodo geomorfologico, cioè sulla base della quantificazione delle variazioni
di volume dell’alveo in un certo intervallo di tempo tramite confronto di sezioni trasversali. I
risultati di tale confronto sono riportati in Tabella 4.10: si denota come i risultati siano molto
confrontabili, sia per quanto riguarda le frazioni di trasporto solido (al fondo ed in sospensione) che
per quanto riguarda la percentuale del trasporto al fondo rispetto a quello totale, che risulta per il
Brenta compreso tra il 13 ed il 24 %.
Trasporto solido
Ts fondo (m3/anno)
Ts sospensione (m3/anno)
Ts totale (m3/anno)
Ts fondo / Ts totale
F.Magra a Calamazza
8.954
40.814
49.768
18 %
F.Brenta (tratto intermedio)
5.600 - 12.200
37.000
42.600 - 49.200
13 – 24 %
Tabella 4.10 – Confronto tra le stime di trasporto solido del F.Magra e del F.Brenta.
Per quanto riguarda il trasporto in sospensione, esistono più dati disponibili in letteratura
rispetto al trasporto solido al fondo, esistendo per molti fiumi le misure di trasporto torbido
effettuate dal Servizio Idrografico, almeno in alcuni intervalli di tempo. A titolo di esempio, si fa
riferimento ai valori del deflusso torbido unitario medio annuo relativi al F.Po ed al F.Tevere,
confrontandoli con quello relativo al F.Magra a Calamazza secondo le misure effettuate dalla
Cooperativa Mediterranea Prospezioni (2000):
- Fiume Po: 260 t/km2 anno
- Fiume Tevere: 470 t/km2 anno
- Fiume Magra: 116 t/km2 anno
Il valore più alto, relativo al F.Tevere, è spiegabile con la predominanza di rocce più erodibili
nel bacino. Il F.Magra presenta invece il valore più basso tra i tre casi riportati, probabilmente per la
percentuale relativamente elevata di copertura vegetale (boschi) all’interno del bacino.
Il trasporto solido totale è rappresentato dalla somma del trasporto solido al fondo e del
trasporto in sospensione. Si ricorda che quest’ultimo comprende sia la sospensione di materiale
presente sul fondo (trasporto in sospensione in s.s.) che la componente di wash-load, costituita di
materiale fine non presente in quantità significativa nel materiale del letto e, soprattutto, non
direttamente correlabile con le caratteristiche idrauliche della corrente. I criteri di stima del
trasporto totale si basano essenzialmente su esperienze di laboratorio, ove la componente di washload è assente. Pertanto, le stime che si riportano di seguito si riferiscono al trasporto solido totale
del materiale del letto (bed-material load) e non includono quindi il wash-load.
E’ stata nuovamente utilizzata la sezione del F.Magra a Calamazza, per la quale erano noti il
trasporto al fondo ed il trasporto in sospensione totale (quindi comprendente la frazione di washload) sulla base delle stime precedentemente descritte, come sezione di verifica delle formule di
trasporto solido totale del materiale del letto. A tal fine, sono state utilizzate sei equazioni più
comunemente usate in letteratura, elencate di seguito:
- Bagnold (1966)
- Engelund & Hansen (1967)
- Ackers & White (1973)
- Brownlie (1981)
80
Relazione Finale – Capitolo 4
-
Yang (1984)
Ackers & White (1990)
I risultati, riepilogati in Tabella 4.11, differiscono tra loro anche di alcuni ordini di grandezza.
Bagnold (1966)
(m3/anno)
1.157.137.834
Engelund &
Hansen (1967)
(m3/anno)
6,43 1011
Ackers &
White (1973)
(m3/anno)
28.275
Brownlie
(1981)
(m3/anno)
2.036.673
Yang
(1984)
(m3/anno)
41.052
Ackers &
White (1990)
(m3/anno)
29.713
Tabella 4.11 – Stime del trasporto solido totale del materiale del letto per il F.Magra a Calamazza.
Sulla base di tali stime, si noti che la formula di Yang (1984) fornisce un risultato (41.052
m /anno) che più si avvicina al trasporto solido totale stimato precedentemente per la stessa sezione
di Calamazza in 49.768 m3/anno, valore che comprende anche la frazione di wash-load e quindi
appare pienamente coerente con la stima ottenuta in base alla formula di Yang (la quale invece non
comprende tale componente). Successivamente, si è ritenuto comunque utile applicare tutte le
formule utilizzate per la sezione di Calamazza anche ad altri quattro tratti scelti come
rappresentativi del F.Magra e del F.Vara, vale a dire:
- tratti m3 ed m4, rappresentativi del trasporto solido nella Piana di Filattiera;
- tratto v2, rappresentativo dell’alto Vara (a monte della diga di S.Margherita)
- tratto v12, rappresentativo del basso Vara (prina della confluenza nel F.Magra).
3
I risultati ricavati dalle varie equazioni di trasporto totale di materiale del letto sono stati
confrontati con quelli relativi al solo trasporto solido al fondo precedentemente ottenuti attraverso
l’equazione di Shields: in particolare, si è verificato che il trasporto totale del materiale del letto
fosse sempre maggiore del trasporto al fondo precedentemente stimato. Sulla base dei risultati
ottenuti, la formula di Yang ha confermato, anche per gli altri tratti, di risultare quella più
attendibile.
E’ opportuno a questo punto riportare la formula di Yang (1984), la quale restituisce la
concentrazione della portata solida in parti per milione (ppm). L’equazione adimensionale derivata
da Yang (1984) per fiumi ghiaiosi è:
ωD50
ωD50
V ⎡
V ⎤ ⎛ VS Vcr S ⎞
− 4.816 log * + ⎢2.784 − 0.305 log
− 0.282 log * ⎥ log⎜
−
log C = 6.681 − 0.633 log
⎟
ν
ω ⎣
ν
ω⎦ ⎝ ω
ω ⎠
nella quale la velocità critica adimensionale di moto incipiente può essere espressa come:
VD
2.5
⎧
+ 0.66 per 1.2 < * 50 ≤ 70
⎪ VD
ν
Vcr ⎪ log * 50 − 0.06
=⎨
ν
ω ⎪
VD
⎪2.05
per 70 ≤ * 50
ν
⎩
dove:
C = concentrazione della portata solida, in parti per milione del peso
ω = velocità media di caduta dei grani di diametro D50 [m/s]
D50 = diametro medio [m]
υ = viscosità cinematica [m2/s]
V* = velocità d’attrito [m/s]
V = velocità media [m/s]
S = pendenza della linea dell’energia [m/m]
Vcr = velocità critica di moto incipiente [m/s]
Si riportano in Tabella 4.12 i risultati ottenuti dalla formula di Yang per i tratti rappresentativi
selezionati, confrontando il trasporto solido totale del materiale del letto con il trasporto al fondo
81
Relazione Finale – Capitolo 4
(ottenuto precedentemente attraverso la formula di Shields) e, per differenza, il trasporto in
sospensione s.s. (escluso la frazione di wash load). Nell’ultima colonna si riporta infine la
percentuale del trasporto solido al fondo rispetto al trasporto totale del materiale del letto secondo
tali stime.
Tratto
Trasporto solido
totale del
materiale del
letto (m3/anno)
Trasporto solido
al fondo
(m3/anno)
Trasporto solido
in sospensione
(m3/anno)
m3
m4
m8 (Calamazza)
v2
v12
50.655
178.492
41.052
3.245
32.004
4.526
4.189
8.954
2.370
2.060
46.129
174.303
32.098
875
29.944
% Trasporto al
fondo rispetto al
totale del
materiale del
letto
9
2
22
73
6
Tabella 4.12 – Stime del trasporto solido totale del materiale del letto e confronti con il trasporto
solido al fondo per alcuni tratti rappresentativi del F.Magra e F.Vara.
Dai risultati esposti in Tab.4.12 si possono fare le seguenti considerazioni:
- per il tratto v2 (alto Vara) la formula di Yang con molta probabilità sottostima significativamente
il trasporto totale del materiale del letto (ciò è dovuto presumibilmente alle pendenze ed alle
dimensioni dei sedimenti elevate rispetto al campo tipico di applicazione dell’equazione di
Yang), in quanto secondo tale stima il trasporto al fondo risulterebbe il 73% del trasporto totale;
- nella Piana di Filattiera si registrano i valori più elevati di trasporto totale del materiale del
fondo, soprattutto nel tratto m4;
- il trasporto totale del materiale del letto del F.Vara nel suo tratto finale è confrontabile con quello
del Magra, a differenza del trasporto al fondo che, per il Vara, è notevolmente più basso.
4.5 BILANCIO DI SEDIMENTI
E’ stato effettuato un bilancio di sedimenti per ognuno dei sottotratti in cui sono stati suddivisi i
fiumi Magra e Vara. Tale bilancio è strettamente finalizzato ad integrare lo studio geomorfologico
per l’interpretazione delle tendenze evolutive dei vari tratti e per la definizione delle strategie di
indirizzo per la gestione dei sedimenti (trattata nel capitolo successivo). A tal fine, il bilancio di
sedimenti riguarda il solo trasporto solido al fondo, essendo questa la frazione del trasporto totale
che ha maggiore influenza sulle modifiche dell’alveo, sulle sue tendenze evolutive e sulla gestione
dei sedimenti.
4.5.1 Bilancio di sedimenti al fondo medio annuo
L’equazione di continuità al fondo dei sedimenti può essere scritta nella forma:
∂QS ∂z
+ (1 − e) ± QS = 0
B∂x ∂t
dove Qs: portata solida al fondo, B: larghezza dell’alveo, x: distanza lungo l’alveo, z: quota del
fondo, e: indice dei vuoti dei sedimenti, ±Qs: afflussi laterali di portata solida. In base a tale
equazione ed alla quantificazione della capacità di trasporto, è possibile stimare la tendenza
evolutiva della quota del fondo z .
Si consideri il generico tratto i-esimo del corso d’acqua e si assuma che:
- il tratto (i-1) , subito a monte del tratto in esame, riesca a saturare la sua capacità di trasporto,
che quindi è uguale alla portata solida uscente;
82
Relazione Finale – Capitolo 4
-
al tratto i giunga una quantità di sedimenti pari a quella in uscita dal tratto a monte e da
eventuali affluenti (Figura 4.18).
QS(i-1)
QS(affluente)
QS(i)
Figura 4.18 – Schematizzazione del bilancio di sedimenti in un tratto i-esimo.
tratto
Bilancio di
sedimenti (∆V
in m3/a)
m0
m1
m2
m3
m4
m5
m6
m7
m8
m9
m10
m11
0
-453
-1814
-252
631
2229
-472
-9510
11481
-5878
-9923
-2435
Bilancio per
unità di
lunghezza (∆V
in m3/a m)
0
-0.19
-1.78
-0.07
0.09
0.64
-0.08
-5.17
7.76
-1.26
-2.29
-0.37
tratto
Bilancio di
sedimenti
(∆V in m3/a)
v0
v1
v2
v3
v4 (diga)
v5
v6
v7
v8
v9
v10
v11
v12
0
1725
-920
2218
712
-3675
3104
-65
-364
-1697
-1137
2580
653
Bilancio per
unità di
lunghezza (∆V
in m3/a m)
0
1.17
-0.18
0.59
0.49
-0.58
1.34
-0.03
-0.06
-0.98
-0.22
1.09
0.11
Tabella 4.13 – Riepilogo dei risultati del bilancio di sedimenti al fondo medio annuo in termini di
variazioni di volume (m3).
Utilizzando le stime di capacità di trasporto al fondo ottenute nel paragrafo precedente, è
possibile pertanto calcolare il bilancio dei sedimenti per ogni tratto in cui è stato suddiviso il Fiume
Magra ed il Fiume Vara. Per quanto riguarda gli affluenti, avendo a disposizione dati
sedimentologici solo per i tratti terminali (subito a monte della confluenza con le aste dei corsi
d’acqua principali), è stata assunta l’ipotesi di apporto da monte pari alla capacità di trasporto. Essi
sono stati cioè utilizzati solo per stimare l’apporto di portata solida al fondo nei due corsi d’acqua
principali piuttosto che per fare un bilancio dell’affluente stesso (risultando quest’ultimo
ovviamente nullo per l’ipotesi fatta, cioè il tratto terminale dell’affluente risulta in equilibrio). Lo
stesso è stato fatto per i due tratti a monte dei fiumi Magra e Vara (m0 e v0), i quali risultano quindi
in equilibrio. I risultati ottenuti sono riportati in Tabella 4.13.
I volumi relativi al bilancio di ogni singolo tratto dipendono ovviamente dalla lunghezza del
tratto, per cui non sono direttamente confrontabili tra loro per avere una valutazione dell’entità della
tendenza all’erosione o alla sedimentazione. Pertanto è stato ricavato il bilancio anche in termini di
volumi di sedimenti unitari (per unità di lunghezza), in modo da rendere i risultati meglio
confrontabili tra i vari tratti (Tabella 4.13).
83
Relazione Finale – Capitolo 4
Come precedentemente detto, i risultati del bilancio di sedimenti possono essere confrontati ed
integrati con i risultati dello studio geomorfologico in termini di interpretazione delle tendenze
attuali, derivanti questi ultimi da evidenze di campo e da confronti di profili recenti (quando
disponibili). Si ricorda a tal proposito che i dati del bilancio di sedimenti effettuato con equazioni di
capacità di trasporto, date le numerose approssimazioni ed ipotesi semplificative, vanno interpretati
non come risultati rigorosi della tendenza attuale dei corsi d’acqua, quanto piuttosto come una
predisposizione di ogni tratto a condizioni di incisione o sedimentazione, sulla base delle sue
caratteristiche idrauliche, morfologiche e sedimentologiche. In particolare, l’ipotesi più restrittiva è
quella che la capacità di trasporto di ogni tratto venga saturata completamente, cioè che sia sempre
disponibile alla mobilizzazione tutto il materiale che il corso d’acqua riesce a trasportare, ipotesi
non sempre verificata.
Inoltre, per poter rendere i risultati del bilancio di sedimenti più confrontabili e più funzionali
alla definizione delle strategie di gestione, è risultata l’esigenza di definire una classe intermedia di
equilibrio. Infatti, i risultati del bilancio forniscono dei volumi positivi o negativi quindi, a rigore,
una tendenza all’erosione o alla sedimentazione rispettivamente, senza invece prevedere la
possibilità di condizioni di equilibrio. Queste ultime sono ristrette al solo caso in cui il bilancio sia
perfettamente nullo, cioè la portata solida uscente è pari a quella entrante, oppure ai tratti che
rappresentano condizioni al contorno (tratti di monte del F.Magra e F.Vara ed affluenti) per i quali
cioè la condizione di equilibrio è stata imposta (capacità di trasporto pari alla portata solida
disponibile). Nelle interpretazioni di campo, invece, si sono classificate in equilibrio quelle
situazioni in cui non esisteva una chiara tendenza all’incisione o alla sedimentazione, senza peraltro
con questo voler dire che il tratto è necessariamente in perfetto equilibrio (bilancio di sedimenti in
entrata ed in uscita nullo). Nella Carta di sintesi delle tendenze evolutive (Relazione Magra I) si è
inoltre distinta una ulteriore classe intermedia, definita come in equilibrio/sedimentazione, attribuita
ai casi in cui fossero presenti evidenze di entrambe le situazioni.
Per definire la classe intermedia di equilibrio, si è fatto riferimento ai valori dei volumi di
bilancio unitari e si sono a loro volta divisi per la larghezza media del tratto. Si sono quindi definite
le seguenti classi intermedie:
- equilibrio/incisione: rappresenta situazioni attribuibili ad una condizione generale prossima
all’equilibrio seppure con un bilancio negativo, cioè con una lieve tendenza all’incisione;
- equilibrio: situazioni al contorno (tratti di monte o affluenti) per le quali il bilancio è posto
esattamente pari a zero;
- equilibrio/sedimentazione: rappresenta situazioni attribuibili ad una condizione generale
prossima all’equilibrio, seppure con un bilancio positivo, cioè con una lieve tendenza alla
sedimentazione.
84
Relazione Finale – Capitolo 4
m0
m1
-453 m3/a
-0.19 m3/a m
T.Verde
m2
m3
-1814 m3/a
-1.78 m3/a m
-252 m3/a
-0.07 m3/a m
T.Caprio
m4
+631 m3/a
+0.09 m3/a m
T.Bagnone
m5
+ 2229 m3/a
m6
-472 m3/a
+0.64 m3/a m
-0.08 m3/a m
T.Taverone
m7
-9510 m3/a
-5.17 m3/a m
T.Aulella
m8
m9
+653 m3/a
F. Vara
+11481 m3/a
+7.76 m3/a m
-5878 m3/a
-1.26 m3/a m
m10
-9923 m3/a
m11
-2435 m3/a
+0.11 m3/a m
-2.29 m3/a m
-0.37 m3/a m
Figura 4.19 – Risultati schematici del bilancio di sedimenti per il Fiume Magra e relativa
classificazione. I numeri in grassetto relativi ad ogni tratto indicano il bilancio al fondo medio
annuo (m3/a) mentre quelli in corsivo indicano il bilancio al fondo medio annuo per unità di
lunghezza (m3/a m). In rosso: tratti con tendenza all’incisione; in arancio: tratti con tendenza
all’equilibrio/incisione; in giallo: tratti al contorno per i quali si è imposta una condizione di
equilibrio (bilancio pari a 0); in verde chiaro: tratti con tendenza all’equilibrio/sedimentazione; in
verde scuro: tratti con tendenza alla sedimentazione.
85
Relazione Finale – Capitolo 4
v0
v1
+1725 m3/a
+1.17 m3/a m
T.Stora
v2
v3
3
-920 m /a
-0.18 m3/a m
+2218 m3/a
+0.59 m3/a m
T.Gottero
v4
+712 m3/a
+0.49 m3/a m
Diga S.Margherita
v5
v6
-3675 m3/a
-0.58 m3/a m
+3104 m3/a
+1.34 m3/a m
T.Mangia
3
v7
-65 m /a
v8
-364 m3/a
v9
v10
-0.03 m3/a m
-0.06 m3/a m
-1697 m3/a
-0.98 m3/a m
-1137 m3/a
-0.22 m3/a m
T.Usurana
v11
v12
+2580 m3/a
+1.09m3/a m
+653 m3/a
+0.11 m3/a m
Figura 4.20 – Risultati schematici del bilancio di sedimenti per il Fiume Vara e relativa
classificazione. I numeri in grassetto relativi ad ogni tratto indicano il bilancio al fondo medio
annuo (m3/a) mentre quelli in corsivo indicano il bilancio al fondo medio annuo per unità di
lunghezza (m3/a m). In rosso: tratti con tendenza all’incisione; in arancio: tratti con tendenza
all’equilibrio/incisione; in giallo: tratti al contorno per i quali si è imposta una condizione di
equilibrio (bilancio pari a 0); in verde chiaro: tratti con tendenza all’equilibrio/sedimentazione; in
verde scuro: tratti con tendenza alla sedimentazione.
86
Relazione Finale – Capitolo 4
In Figura 4.19 e 4.20 si riporta il bilancio schematico in termini di volumi di sedimenti unitari
(per unità di lunghezza) rispettivamente per il Fiume Magra e Fiume Vara, con la suddivisione in
classi di incisione, equilibrio/incisione, equilibrio, equilibrio/sedimentazione e sedimentazione. In
Figura 4.21 si riporta la classificazione nelle tre macroclassi (incisione, equilibrio e sedimentazione)
con la rappresentazione dell’andamento dei corsi d’acqua e degli affluenti inclusi nel bilancio in
termini di apporto solido e con riportato, per ogni tratto, il valore del bilancio medio annuo
complessivo.
m0
v4
v5
C
T.
rio
ap
a
agr
F.M
v3
m3
m4
te
ro
v2
T.Mangia
v1
m1
m2
T.G
ot
v0
rde
T.Stora
T.V
e
v8
v7
F.V
ara
v9
m5
T.U
su r
ana
v6
T.Bagnone
v10
m6
ne
vero
T.Ta
m7
v11
m8
m9
u
T.A
lell
a
v12
Bilancio
di sedimenti
m10
m11
S
E/S
E
E/I
I
Figura 4.21 – Risultati del bilancio di sedimenti. S: in sedimentazione; E/S: in
equilibrio/sedimentazione; E: in equilibrio; E/I: in equilibrio/incisione; I: in incisione.
E’ utile a questo punto fare alcune considerazioni di carattere generale sulle tendenze evolutive
derivanti dal bilancio di sedimenti, soprattutto confrontandole con quanto ricavato precedentemente
sulla base di evidenze geomorfologiche di campo. A tal fine si riporta in Figura 4.22 la
classificazione delle tendenze evolutive così come ricavate sulla base dello studio geomorfologico
(da Relazione Magra I). Sulla base di tali evidenze, si ricorda che ad entrambi i fiumi erano state
attribuite prevalentemente le classi equilibrio, equilibrio/sedimentazione e sedimentazione, essendo
invece la classe incisione presente solo nel tratto terminale prefociale, in parte a causa dei periodici
dragaggi effettuati in quel tratto. Dai risultati del bilancio di sedimenti (Figura 4.21) si nota che
molti tratti sono attribuiti alle classi intermedie di equilibrio/incisione o equilibrio/sedimentazione,
mentre i tratti con una marcata predisposizione all’incisione o alla sedimentazione sono
relativamente limitati. Essi possono essere così riepilogati:
87
Relazione Finale – Capitolo 4
- Alcuni tratti del medio-alto Vara risultano con tendenza alla sedimentazione, in particolare i
tratti immediatamente a monte delle confluenze del T.Stora (v1), del T.Gottero (v3) e del
T.Mangia (v6). Per tali tratti si ha un sostanziale accordo con le evidenze di campo.
- Il tratto a valle della diga di S.Margherita Vara, secondo il bilancio di sedimenti, risulta con
una netta tendenza all’incisione. Questo è facilmente spiegabile in quanto nel bilancio di
sedimenti si impone che la capacità di trasporto nel tratto immediatamente a monte della diga è
nulla, che equivale a dire che tutto il trasporto solido al fondo è bloccato dalla stessa, per cui il
tratto immediatamente a valle si viene a trovare in condizioni di deficit. Dalle evidenze di
campo, si erano osservate condizioni di sedimentazione anche a valle della diga, e ciò era stato
attribuito all’elevata produzione di sedimenti dai versanti e da una forte alimentazione diretta,
capace di ripristinare velocemente il deficit creatosi a valle della diga stessa (fattori di cui non è
possibile tenere conto nel bilancio di sedimenti).
- Per il medio-alto Magra, si osservano condizioni molto prossime all’equilibrio, seppure con una
prevalente tendenza verso l’incisione. In particolare per il tratto immediatamente a valle di
Pontremoli (m2) risulta una netta tendenza all’incisione (in disaccordo con le evidenze di
campo).
Figura 4.22 - Tendenza recente delle quote del fondo del F.Magra e F.Vara sulla base delle
variazioni tra il 1989 e 2004 (da Relazione Magra I). S: in sedimentazione; E/S: in
equilibrio/sedimentazione; E: in equilibrio; I: in incisione.
- Per il basso Magra: si nota una marcata tendenza alla sedimentazione nel tratto immediatamente
a valle della confluenza del T.Aulella (m8), come risultato della consistente alimentazione dello
stesso, mentre i tratti successivi fino alla confluenza Vara (m9 ed m10) denotano una netta
tendenza all’incisione, come risultato di un notevole incremento della capacità di trasporto.
Questo risulta essere un significativo tratto con una predisposizione naturale all’incisione.
88
Relazione Finale – Capitolo 4
- A valle della confluenza con il F.Vara (m11), rimane una condizione di deficit, derivante dal
bilancio negativo del tratto immediatamente a monte ma quasi completamente bilanciato
dall’apporto del Vara: la tendenza complessiva risulta pertanto prossima all’equilibrio.
E’ il caso di rimarcare che entrambi i metodi, le evidenze geomorfologiche di campo ed il
bilancio di sedimenti basato su equazioni di trasporto solido, presentano alcuni vantaggi e limiti, e
che le incongruenze tra i risultati possono essere attribuite a numerosi fattori. Ad esempio, il
bilancio di sedimenti finora effettuato non tiene conto del possibile apporto dalle sponde (aspetto
trattato nel prossimo paragrafo), fattore questo che potrebbe aver sbilanciato i risultati verso
situazioni di deficit rispetto alle condizioni reali. L’approccio migliore per l’utilizzazione di questi
risultati ai fini della gestione dei sedimenti è di tener conto di entrambi i metodi, come viene fatto
nel capitolo successivo.
4.5.2 Bilancio di sedimenti con apporto dalle sponde
Come anticipato a conclusione del precedente paragrafo, il bilancio di sedimenti finora
effettuato non ha tenuto conto del possibile apporto laterale da parte delle sponde. Si è voluto quindi
introdurre questo aspetto, seppure in maniera relativamente semplificata, per verificare quanto le
sponde potrebbero influire sulle tendenze evolutive dei due corsi d’acqua in esame.
Pertanto per ogni tratto è stato incluso all’interno del bilancio un apporto laterale da parte delle
sponde (termine +Qs) derivante dall’arretramento delle sponde procedendo come segue:
(1) per il tasso di arretramento di sponda medio annuo all’interno di ogni tratto, è stato fatto
riferimento ai valori utilizzati per definire la fascia di erosione probabile a medio termine (si
veda par.5.3), i quali sono dei valori mediati nel tratto che derivano dalle tendenze evolutive in
atto di allargamento misurate da foto aeree;
(2) per ogni tratto sono state utilizzate misure di campo relative all’altezza media delle sponde ed
allo spessore del materiale grossolano all’interno delle stesse;
(3) è stato pertanto calcolato il volume apportato dalle sponde moltiplicando il tasso di
arretramento nel tratto per lo spessore del materiale grossolano (è stato assunto che solo i
sedimenti grossolani, peraltro nettamente prevalenti, andassero ad alimentare il trasporto al
fondo, mentre il materiale fine coesivo va ad alimentare il trasporto in sospensione).
(4) Si è tenuto conto della porosità (0.35 in base a misure effettuate su sponde con granulometrie
simili), pertanto si sono moltiplicati i precedenti valori per un fattore di correzione di 0.65, in
modo da ricavare il volume di sedimenti immessi dalle sponde e disponibili per il trasporto
solido al fondo.
I risultati di questa analisi sono riepilogati in Tabella 4.14, in termini di bilancio di sedimenti
per ogni tratto. Si evince immediatamente da tali risultati che tutti i tratti, includendo l’apporto delle
sponde, risulterebbero in sedimentazione, con volumi di eccesso di sedimenti anche molto
significativi in alcuni tratti (si veda ad esempio i tratti m3 ed m4 relativi alla Piana di Filattiera ed il
tratto m6 più a valle, dove i tassi di arretramento di sponda sono particolarmente elevati).
Sulla base di tali risultati, si possono fare le seguenti considerazioni:
(1) I risultati rappresentano una sovrastima dell’effettivo apporto delle sponde, in quanto si
assume che tutte le sponde, in tutti i tratti, continuino ad arretrare annualmente secondo un
tasso di arretramento basato sull’allargamento di questi ultimi anni. Tale tasso è stato assunto
per una determinazione cautelativa della fascia di erosione probabile, ma non è invece
plausibile per una quantificazione dei processi attuali.
(2) In tutti i casi, anche ammettendo plausibili tali valori, non esiste un rapporto diretto tra apporti
volumetrici dalle sponde ed innalzamento della quota del fondo. La maggior parte dei volumi
derivanti dall’erosione delle sponde tende a rimanere immagazzinata lungo le fasce laterali
dell’alveo, sotto forma di barre alte o ricostituendo una nuova piana inondabile, mentre solo
una porzione entra effettivamente nel bilancio di sedimenti medio annuo che interessa la
porzione più attiva dell’alveo (canale e barre attive). Il bilancio di sedimenti effettuato non è in
89
Relazione Finale – Capitolo 4
grado di tenere conto di questi aspetti, per i quali occorrerebbe applicare il metodo
geomorfologico basato sulla quantificazione delle differenze di volume tra le varie superfici in
base a foto aeree e rilievi topografici. Occorre inoltre notare che l’arretramento delle sponde,
anche se ha l’effetto di produrre sedimentazione, determina nella maggior parte dei casi un
aumento della sezione bagnata (per allargamento della stessa).
(3) Fatte le precedenti precisazioni, il risultato comunque dimostra l’importanza che le sponde
assumono come processo di alimentazione del trasporto solido al fondo e come processo
che favorisce condizioni di sedimentazione.
(4) I due bilanci di sedimenti effettuati possono rappresentare i due limiti (senza alcun apporto
dalle sponde e con il massimo apporto possibile) di un range di situazioni all’interno del quale
può trovarsi la situazione reale, in funzione dell’effettiva alimentazione o meno da parte delle
sponde tratto per tratto.
(5) Seppure i risultati del bilancio di sedimenti con l’apporto delle sponde appaiono significativi
per le considerazioni finora fatte, ai fini della gestione della definizione di strategie di
indirizzo per la gestione di sedimenti (capitolo successivo) si ritiene più opportuno far
riferimento ai risultati del bilancio senza l’apporto delle sponde che, come detto al punto (2),
si ritiene più rappresentativo delle condizioni della porzione più attiva dell’alveo (canale e
barre attive) e quindi delle tendenze evolutive della quota del fondo. Ciò si ritiene anche più
cautelativo ai fini della gestione dei sedimenti, in quanto l’inclusione dell’apporto delle sponde
potrebbe indicare dei volumi di sedimenti maggiori di quelli effettivamente disponibili,
fornendo in tutti i tratti una percezione di sedimentazione del fondo erronea (per i motivi prima
spiegati).
Bilancio di
sedimenti
(∆V in m3/a)
Fiume Magra
m0
0
m1
3.323
m2
123
m3
61.387
m4
170.683
m5
20.577
m6
89.602
m7
18.385
m8
15.603
m9
30.294
m10
32.915
m11
33.197
Tratto
Bilancio di
sedimenti
(∆V in m3/a)
Fiume Vara
v0
0
v1
16.595
v2
17.684
v3
5.942
v4 (diga)
712
v5
20.725
v6
9.970
v7
9.876
v8
34.164
v9
1.857
v10
26.224
v11
10.186
v12
46.238
Tratto
Tabella 4.14 - Risultati del bilancio di sedimenti ottenuto considerando l’apporto delle sponde.
90
Relazione Finale – Capitolo 5
CAPITOLO 5 –STRATEGIE E LINEE GUIDA DI GESTIONE DELLA
FASCIA DI MOBILITA’ FUNZIONALE E DEI SEDIMENTI
L’obiettivo generale di questa fase finale del progetto di ricerca è quello di definire strategie,
linee guida, indirizzi e raccomandazioni per la gestione della fascia di mobilità funzionale e dei
sedimenti, finalizzate a conservazione e/o miglioramento delle condizioni attuali degli alvei.
E’ utile partire da una breve rassegna dei principali metodi, approcci e concetti (par.5.1), alcuni
dei quali verranno poi ripresi ed applicati al caso in esame. Successivamente si fa un riepilogo delle
problematiche geomorfologiche relative ai fiumi Magra e Vara e si definiscono gli obiettivi
(par.5.2). Si illustrano poi i due principali prodotti cartografici finali di questo progetto (Fascia di
Mobilità Funzionale e Gestione dei sedimenti), corredati dalla definizione di strategie, linee guida,
indirizzi e raccomandazioni. Si conclude con un riepilogo delle principali strategie per la gestione
dei sedimenti per i tre ambiti del bacino.
5.1 RIEQUILIBRIO SEDIMENTOLOGICO DI SISTEMI FLUVIALI INCISI
Prima di entrare nei meriti delle proposte relative al bacino del Fiume Magra, è utile effettuare
in questo paragrafo una sintetica rassegna delle possibili tipologie generali di interventi e strategie
per il recupero sedimentologico di sistemi fluviali instabili, con particolare riferimento al caso,
peraltro più comune, di sistemi incisi, vale a dire affetti da condizioni generali di deficit di
sedimenti.
5.1.1 Tipologie di interventi di riequilibrio sedimentologico
Una prima classificazione delle possibili opzioni di intervento può essere fatta in funzione della
scala spaziale di applicazione. In tal senso, si possono distinguere principalmente quattro categorie
di strategia di intervento (Shields et al., 1999):
1)
misure a scala di bacino;
2)
progetti a scala di tratto;
3)
strutture localizzate;
4)
nessun intervento.
Nella Tabella 5.1 si riepilogano sinteticamente le implicazioni (costi, impatti e benefici
ambientali) di ognuna delle quattro categorie.
1. Interventi e strategie a scala di bacino
Il migliore approccio a problemi di incisione o sedimentazione è proprio quello di intervenire
sulle cause a scala di bacino, andando cioè ad agire sulle variabili guida del sistema (portate liquide
e solide) per cercare di riequilibrare il bilancio sedimentologico del corso d’acqua, piuttosto che
intervenire sulla forma dell’alveo. Tuttavia ciò presuppone la realizzazione di interventi in genere
complessi, estensivi e quindi costosi. Si distingue tra le due situazioni opposte di incisione e
sedimentazione.
Nel caso di alvei in incisione, per i quali sia accertato un deficit di sedimenti disponibili per il
trasporto solido, le possibili misure di riequilibrio (tutte orientate ad un aumento del rifornimento di
sedimenti in alveo) sono:
- Aumento dell’apporto di sedimenti dai versanti. Si tratta di individuare le principali sorgenti di
sedimenti (frane direttamente connesse con la rete idrografica, falde detritiche che immettono
materiale direttamente nelle aste torrentizie), evitando interventi tali da ridurre l’apporto solido. In
alcuni casi, compatibilmente con le situazioni di rischio, si può scegliere di non stabilizzare o
addirittura di favorire la riattivazione di frane che alimentano direttamente i corsi d’acqua;
interventi di questo tipo sono stati effettuati recentemente in corsi d’acqua prealpini in Francia
(Liebault et al., 2001).
91
Relazione Finale – Capitolo 5
- Aumento dell’apporto di sedimenti dalle sponde. Le sponde costituiscono un’eccezionale
riserva di sedimenti; i processi di arretramento delle stesse, favorendo l’alimentazione di sedimenti,
sono perciò da considerare sicuramente positivi per il riequilibrio di alvei incisi o in incisione.
Anche in questo caso, si può scegliere tra non intervenire, permettendo il naturale verificarsi di tali
fenomeni, o favorire tali processi, attraverso la rimozione di difese esistenti fino alla realizzazione
di strutture in alveo che favoriscano l’innesco dell’erosione di sponda.
Strategie
Costi
Misure a scala
di bacino
Molto elevati,
proibitivi per bacini
grandi
Progetti a scala
di tratto
Da moderati ad
elevati
Interventi
localizzati
Relativamente bassi
Non intervenire
Bassi, ma vanno
considerati i costi per
piano di gestione,
monitoraggio ed
eventuali interventi
successivi
Benefici ambientali
Incertezze
/
Impatti
ambientali
Possono aggredire alla radice Allo stato attuale dell’arte non
le cause di instabilità;
sono generalmente disponibili
potenzialmente efficaci, ma
strumenti previsionali
possono impiegare decadi per completi
realizzarsi
Potenzialmente molto elevati Qualche rischio di erosione o
(creazione di habitat, stabilità) sedimentazione; possibili
impatti nei tratti contigui non
riqualificati
Benefici ecologici limitati
Il successo di strutture in
poiché le misure sono locali
alveo presenta incertezze da
moderate ad alte
Sono disponibili pochi
Possono essere a breve
termine per quanto concerne modelli di simulazione per
prevedere accuratamente il
la crescita di una fascia
tipo ed i tassi di evoluzione
vegetazionale, ma solo a più
lungo termine per il recupero dell’alveo
morfologico e lo sviluppo di
habitat in alveo
Tabella 5.1 – Strategie di intervento, costi, benefici e impatti ambientali (da AaVv, 2006,
modificato da Shields et al., 1999).
- Reimmissione di sedimenti in alveo. Il caso estremo è quello di alimentare l’alveo immettendo
sedimenti. Questi possono provenire esternamente dall’alveo (ad esempio da escavazioni nella
pianura adiacente) o da altri tratti dell’alveo stesso dove il problema può essere opposto (alvei in
sedimentazione), in particolare a monte di sbarramenti. Un esempio relativo a quest’ultimo caso è
quello del Fiume Reno dove, a valle di una diga, vengono trasportati e scaricati una media annua di
170.000 tonnellate di sabbia e ghiaia per compensare i sedimenti bloccati a monte della stessa
(Bravard et al., 1999). In questa categoria possono rientrare anche gli interventi di manutenzione
o rimozione di opere in alveo, quali: a) asportazione di sedimenti accumulatisi a monte di opere
(briglie o dighe) e reimmissione degli stessi a valle; b) rimozione di briglie o dighe (dam removal),
tipo di intervento che sta diventando sempre più diffuso negli USA. In Francia, gli RTM
(Restoration of Mountain Terrains) (corrispondenti alle nostre Comunità Montane) nel bacino del
Rodano, che durante i decenni passati hanno attuato rimboschimenti montani e costruito briglie per
ridurre la pendenza dei torrenti e stabilizzarne le sponde, oggi si occupano di spostare la ghiaia a
valle delle briglie, particolarmente nei tratti con un deficit di sedimenti e problemi connessi. In un
invaso del Rodano superiore (Seyssel), che viene riempito da sedimenti grossolani trasportati dal
Fiume Les Usses, la ghiaia è catturata da una pompa e trasportata a valle della diga attraverso una
condotta per mantenere la continuità di sedimenti. Sul Fiume Reno a valle dello sbarramento di
Iffezheim, per compensare l’intrappolamento di sedimenti a monte delle dighe, viene scaricata
nell’alveo a valle una media annuale di 170.000 tonnellate di sabbia e ghiaia per mezzo di chiatte
(Piegay & Rinaldi, 2006). Simili approcci sono stati sperimentati lungo il Danubio austriaco a valle
di Vienna dopo la realizzazione della centrale idroelettrica Fredenau (circa 300.000 m3 di ghiaia per
anno). Sul Fiume Rodano vicino Chautagne, la sabbia e la ghiaia depositati a monte di una diga
92
Relazione Finale – Capitolo 5
sono meccanicamente trasferiti al tratto inciso a valle della Diga Motz ad un costo annuo di 170.000
Euro (Piegay & Rinaldi, 2006).
2. Interventi a scala di tratto
Si tratta di interventi che tendono direttamente a realizzare o a ricreare una morfologia più
naturale di un corso d’acqua, agendo sulle forme e/o sui processi a scala di tratto di alveo piuttosto
che sulle variabili guida del sistema. Sono in genere interventi drastici proponibili soprattutto in
corsi d’acqua fortemente artificializzati, impossibilitati a riacquistare spontaneamente la loro
morfologia naturale o nei quali, comunque, tale processo richiederebbe tempi molto lunghi,
incompatibili con le esigenze di progetto (ad es. tratti a bassa energia). Sono meno adatti invece a
corsi d’acqua geomorfologicamente attivi, in quanto la nuova geometria realizzata potrebbe
innescare fenomeni di instabilità, o semplicemente il ritorno spontaneo alla configurazione iniziale,
vanificando gli sforzi intrapresi. Si possono includere in questa categoria anche gli interventi che
comportano un rimodellamento o una ricreazione di superfici o altre forme (ad es. ricreazione di
pianura inondabile o di rami secondari) nelle adiacenze del corso d’acqua, senza necessariamente
modificare la geometria dell’alveo stesso. Il termine “progettazione geomorfologica di alvei” è
usato in maniera specifica per questo tipo di interventi.
Tra i tipi di interventi rientranti in questa categoria dei quali sono riportati casi in letteratura (ad
es. Brookes, 1988; Brookes & Shields, 1996.), si possono citare i seguenti:
- Geometria non uniforme dell’alveo. Si tratta di ricreare una morfologia quanto più possibile vicina
a quella naturale, con una geometria non uniforme (sia in sezione che in planimetria).
- Geometria della sezione a due stadi, con ricreazione di piana inondabile. Consiste nel creare (o
ricreare) una sezione composta da un alveo a due livelli: un primo stadio (livello inferiore) per
accogliere le portate abituali e le piene più frequenti (con tempo di ritorno 2-3 anni) ed un secondo
stadio adiacente (livello superiore) destinato ad accogliere le piene maggiori. In pratica si cerca di
ricreare una porzione di pianura inondabile (floodplain) adiacente all’alveo di primo stadio
(bankfull channel).
- Riempimento di un alveo inciso. In alternativa (o in associazione) all’intervento precedente, gli
effetti dell’incisione possono essere controbilanciati riempiendo l’alveo inciso con sedimenti
(incised channel filling) e scavando all’interno un alveo più piccolo con dimensioni e morfologia
simili a quelle precedenti l’incisione.
- Realizzazione o ricreazione di canali secondari. Soprattutto nel caso di alvei incisi, alcuni canali
secondari possono venire completamente abbandonati o percorsi dall’acqua con frequenze molto
inferiori, comportando la perdita di funzionalità di questi importanti habitat; lo scavo di alvei
secondari è mirato a recuperarla.
- Variazioni delle dimensioni della sezione: allargamento dell’alveo. Sono possibili vari tipi di
variazioni delle dimensioni della sezione (larghezza e/o profondità), tuttavia casi documentati che
rientrano in questa categoria consistono prevalentemente in interventi di allargamento. Sono spesso
realizzati in tratti precedentemente ristretti e canalizzati e che hanno subìto incisione.
L’allargamento della sezione ha vari effetti: a) ridurre le tensioni tangenziali, quindi la capacità
erosiva della corrente; b) favorire condizioni di sedimentazione (in corsi d’acqua incisi); c)
aumentare l’area della sezione e quindi la portata transitabile; d) favorire la formazione di barre,
quindi la diversificazione di morfologie e di habitat. Esempi di questo tipo di intervento sono quelli
relativi al Fiume Emme (Svizzera) ed al Fiume Drava (Austria).
- Incremento della sinuosità e ricreazione di meandri. Sono usati principalmente nel caso di corsi
d’acqua precedentemente meandriformi, successivamente rettificati. Le finalità sono quelle di
recuperare la diversificazione di morfologie, quindi di habitat, tipica di corsi d’acqua meandriformi.
3. Interventi localizzati
Questo gruppo comprende quegli interventi che non interferiscono in maniera sostanziale sulle
attuali dimensioni dell’alveo, ma che consistono nell’inserimento di altri elementi (briglie, pennelli,
93
Relazione Finale – Capitolo 5
sedimenti, vegetazione) o nell’eliminazione di elementi esistenti, principalmente per migliorare
habitat e/o condizioni di stabilità dell’alveo. In questa categoria possono rientrare:
- Inserimento di strutture in alveo. Si tratta di varie tipologie di strutture utili per favorire la
ricreazione di una varietà di forme, soprattutto allo scopo di miglioramento di habitat in corsi
d’acqua uniformi (canalizzati) (deflettori di corrente, briglie in massi con o senza tronchi di legno
ancorati, massi sparsi, cumuli di tronchi ancorati, ecc.).
- Ricreazione di riffles e pools. Si basa sulla ricreazione diretta delle irregolarità morfologiche del
fondo, principalmente attraverso reinserimento di sedimenti relativamente grossolani per ricostituire
i riffles.
- Ripristino di sedimenti del fondo. Si cerca di ricostituire le condizioni naturali del fondo
reinserendo sedimenti in alvei precedentemente canalizzati. È un intervento inteso non tanto al
riequilibrio sedimentologico, quanto a ricreare una granulometria del fondo favorevole al
miglioramento di habitat.
- Ingegneria naturalistica. Numerose tecniche di ingegneria naturalistica possono rientrare in questa
categoria di interventi, soprattutto qualora la difesa di una sponda, pur non essendo compatibile con
le tendenze evolutive del corso d’acqua, sia necessaria per proteggere importanti elementi a rischio.
- Rimozione di opere di difesa. Nel caso in cui l’obiettivo sia permettere al corso d’acqua di
divagare e aggiustare liberamente la propria larghezza, si possono rimuovere difese di sponda
longitudinali o pennelli trasversali.
4. Non intervenire
Si tratta di lasciare il corso d’acqua evolvere naturalmente (natural recovery). Bisogna
sottolineare che ciò non coincide necessariamente con l’opzione “non fare niente” in senso stretto
(“do nothing”), intesa come scelta rinunciataria di fronte alla impossibilità di risolvere i problemi,
ma si tratta piuttosto di una scelta consapevole di “permettere gli aggiustamenti naturali del corso
d’acqua” (“allowing natural adjustments”), derivante da una conoscenza accurata dei problemi e
delle tendenze evolutive del corso d’acqua stesso. Ad esempio, tale scelta è perseguibile se un
accurato studio geomorfologico ha messo in evidenza che la tendenza naturale del corso d’acqua è
esattamente nella direzione di quello che è l’assetto desiderato, mentre non è percorribile se lo
stesso studio ha messo in evidenza che il corso d’acqua è in una fase di instabilità. Tale opzione è
inoltre perseguibile se i tempi necessari con il riequilibrio naturale del corso d’acqua sono
compatibili con le esigenze del progetto.
È importante a questo punto porsi la questione di fino a che punto permettere l’evoluzione
naturale del corso d’acqua, cioè se delimitare o meno lo spazio all’interno del quale lo si lascia
libero di divagare. Per tale scopo, è spesso utilizzato il concetto di fascia di pertinenza fluviale
(“streamway approach”), cioè di fascia da preservare o ricreare, all’interno della quale permettere
le divagazioni naturali del corso d’acqua. Più recentemente, tale approccio è stato meglio definito
da un punto di vista metodologico introducendo il concetto di Fascia di Mobilità Funzionale
(Malavoi et al., 1998).
5.1.2 Gerarchizzazione dei principi di gestione
E’ utile far riferimento ad alcuni concetti fondamentali, che saranno entro certi limiti applicati
al bacino del F.Magra, relativi alla gerarchizzazione dei principi di gestione, secondo quanto
riportato in Downs & Gregory (2004). Quando ci si trova di fronte ad un sistema fluviale nel quale
sono presenti alcuni tratti relativamente naturali ed altri fortemente degradati, può rivelarsi
necessario innanzitutto fare una delle due seguenti scelte generali di priorità:
1. preservare rimanenti tratti d’alveo in condizioni relativamente naturali (near-pristine) ed i
processi che li rendono tali;
2. migliorare tratti molto degradati nonostante i costi ed il potenziale di miglioramento ambientale
sia modesto.
94
Relazione Finale – Capitolo 5
Una volta definita la priorità, si possono individuare i principi di gestione con il fine di gestire
il corso d’acqua come un idrosistema nel quale conservare o ripristinare l’integrità fisica ed
ecologica. In tutti i casi l’obiettivo primario deve essere quello di ricreare la naturale varietà di
processi fisici che promuovono i miglioramenti strutturali e funzionali degli habitat in alveo, nelle
zone riparie e nella piana inondabile.
Principi di gestione
1 Preservare i processi naturali dove
continuano a funzionare
2 Limitare cambiamenti nei processi
3 Ripristinare i processi dove possibile
4 Ripristinare la geometria naturale
dell’alveo
5 Ripristinare la vegetazione riparia
6 Reinserire animali e piante
acquatiche nativi
Descrizione
Proteggere la variabilità naturale dei regimi delle portate liquide
e solide ed i processi geomorfologici associati con libere
esondazioni attraverso soluzioni non strutturali progettate per
permettere al corso d’acqua di continuare a funzionare
dinamicamente.
Nei tratti in cui i processi naturali continuano a funzionare, ma
dove esiste una minaccia di cambiamenti significativi, proteggere
i processi naturali usando soluzioni non strutturali
potenzialmente in combinazione con misure designate a
prevenire che instabilità sistemiche raggiungano i tratti da
proteggere.
In fiumi regolati, riportare quanto più possibile i regimi di
portate liquide e solide a scala di bacino verso condizioni non
regolate (es. ripristinare la variabilità delle piene) sulla base dei
regimi da giornalieri a stagionali e da annuali alla scala delle
decadi. Dovrebbe essere considerata l’influenza le variazioni di
uso del suolo contemporanee e future sull’idrologia del bacino e
sulla generazione di sedimenti. In sistemi fluviali dove non è
possibile intervenire sul regime delle portate liquide, perché è il
risultato di variazioni di uso del suolo a scala di bacino o
canalizzazioni estese, cercare di perseguire la riqualificazione
modificando localmente i processi idraulici e di trasporto solido
usando strutture a piccola scala designate in un contesto a scala
di bacino.
Effettuare riqualificazione a scala di tratto attraverso
modificazioni morfologiche dirette in corsi d’acqua con basso
potenziale di recupero naturale. Il processo inizierà variazioni
idrauliche e di trasporto di sedimenti locali e le implicazioni di
tali variazioni devono essere pienamente comprese e adattate al
contesto dei regimi delle portate liquide e solide affinché
l’approccio possa essere sostenibile.
Le comunità di piante ripariali possono diventare una parte
funzionale dell’alveo e della piana inondabile ma tale opzione ha
poche probabilità di successo a meno che il ripristino di processi
e/o morfologie non abbiano creato habitats adatti: in corsi
d’acqua modificati ci sono spesso vincoli severi sull’estensione
degli habitat ai margini degli alvei e variazioni nella profondità
della falda rispetto alla situazione naturale.
Può essere richiesto dove la flora e fauna nativa sono stati
eliminati in passato ma è improbabile che abbia successo a meno
che altri interventi di riqualificazione non abbiano ricreato gli
habitat richiesti dalle varie specie, ripristinato i processi critici
per la sopravvivenza ed eliminato o spostato specie non native.
Tabella 5.2 – Descrizione dei sei principi gerarchici di gestione (da Downs & Gregory, 2004).
Più nel dettaglio, può essere definita una gerarchia di sei principi di gestione, organizzata in
modo da preferire la preservazione prima della ricreazione, il ripristino dei processi prima che delle
forme, la ricreazione degli habitat prima che la reintroduzione di specie (National Research
Council, 1992; Sacramento River Advisory Council, 2000). Tale gerarchia è così sintetizzabile:
95
Relazione Finale – Capitolo 5
1. Preservare i processi naturali dove continuano a funzionare;
2. Limitare cambiamenti nei processi;
3. Ripristinare i processi dove possibile;
4. Ripristinare la geometria naturale dell’alveo;
5. Ripristinare la vegetazione riparia;
6. Reinserire animali e piante acquatiche nativi.
La gerarchia riflette il fatto che una riqualificazione basata sui principi degli ordini inferiori è
improbabile che sia sostenibile senza che si faccia attenzione all’ordine superiore. Ad esempio, il
tentativo di ripristinare una comunità vegetale riparia (5) è improbabile che possa avere successo in
un corso d’acqua fortemente canalizzato senza che si tenti di ripristinare una geometria naturale
dell’alveo (4), a causa della ridotta estensione della zona riparia di transizione tra habitat acquatici e
terrestri. Oppure, la ricreazione di una morfologia d’alveo ‘naturalizzata’ (4) è improbabile che sia
sostenibile senza un’appropriata attenzione ai regimi delle portate liquide e solide che guidano i
processi geomorfologici (3). Viceversa, una riqualificazione che parte da un’attenzione per i
processi geomorfologici (3) può portare nel tempo al conseguimento anche di obiettivi di livello
gerarchico più basso, quale il miglioramento degli habitat per animali e piante acquatiche nativi (6).
5.2 RIEPILOGO DEI PROBLEMI, DEGLI OBIETTIVI E DEI PRINCIPI
Problematiche attuali
I problemi principali emersi dalla fase conoscitiva, e per i quali si intende in qualche modo
risolvere o mitigare attraverso la definizione delle strategie di gestione, possono essere in estrema
sintesi così riepilogati:
1. Generale deficit di sedimenti (nella scala temporale delle decine di anni);
2. Esistono alcuni tratti più critici, i quali hanno subìto una più forte incisione del fondo: essi sono i
tratti vallivi del F.Magra e del F.Vara (basso Vara e basso Magra);
3. Nonostante le condizioni generali di deficit di sedimenti, accentuate nella parte bassa del bacino,
esistono situazioni locali di sedimentazione nelle porzioni medio alte (soprattutto nel bacino del
Vara).
Esistono poi alcuni problemi connessi, cioè non riguardanti direttamente le condizioni
morfologiche e sedimentologiche degli alvei fluviali ma che risentono di esse. Tali aspetti non sono
direttamente affrontati in questo progetto ma di essi va tenuto conto, cercando di fare in modo che
le strategie di gestione dei sedimenti vadano in una direzione anche di una loro mitigazione. Essi
sono:
4. Erosione costiera;
5. Perdita di risorse idriche, in particolar modo nella piana costiera (abbassamento falda, risalita
cuneo salino);
6. Peggioramento o perdita di ecosistemi a causa della degradazione fisica dell’alveo.
Immagine obiettivo
Le strategie di gestione definite in questo capitolo intendono rispondere ai seguenti obiettivi
generali:
1. Favorire una maggiore disponibilità di sedimenti, in modo da andare nella direzione di ristabilire
il materasso alluvionale (dove non più presente) e promuovere una certa continuità del flusso di
sedimenti;
2. Favorire la mobilità laterale dell’alveo, sia in funzione dell’obiettivo precedente che per finalità
ecologiche (promuovere la ricreazione di habitat ripariali);
3. Contribuire a promuovere o preservare la funzionalità ecologica in determinati tratti, attraverso il
mantenimento o il recupero dei processi fisici e delle forme responsabili della diversità di habitat.
Avendo definito i principali problemi riscontrati nel bacino del Fiume Magra e gli obiettivi
generali, si può ora definire l’immagine obiettivo (vision), cioè l’assetto a cui si vuole tendere
96
Relazione Finale – Capitolo 5
attraverso la definizione delle strategie di gestione. Tale immagine obiettivo può essere per
comodità suddivisa in varie componenti, in funzione delle diverse problematiche da affrontare nel
piano di gestione, per ognuna delle quali si può definire uno stato di partenza, la condizione attuale
e lo stato a cui si vuole tendere. Per fare ciò, avvalendosi dello studio geomorfologico finora
eseguito, si considera di seguito la situazione della fine 1800 – inizi 1900 come situazione di
partenza e quella del 1950 come situazione di riferimento a cui si vuole tendere (non coincidente
con una situazione originaria o naturale, ma una situazione relativamente più naturale rispetto a
quella attuale). In altri termini, le strategie di gestione che si vogliono definire rientrano nell’ottica
di una riqualificazione fluviale intesa come “rehabilitation” (Brookes & Shields, 1996; LWRRDCCRCCH, 1999), cioè di un parziale ritorno verso una condizione relativamente naturale. Le
componenti dell’immagine obiettivo sono le seguenti:
1.
Morfologia dell’alveo;
2.
Disponibilità di sedimenti in alveo;
3.
Continuità longitudinale del flusso di sedimenti;
4.
Continuità trasversale del flusso di sedimenti;
5.
Interazione tra processi ed opere.
Inoltre, si considerano anche altri due aspetti, non direttamente riguardanti i processi
geomorfologici ma ad essi collegati:
6.
Disponibilità della risorsa acqua;
7.
Funzionalità ecologica.
1. Morfologia dell’alveo. L’alveo in condizioni relativamente naturali non era inciso ed era più
largo di quello attuale, in alcuni tratti a canali intrecciati (Figura 5.1). L’alveo attuale è invece in
gran parte inciso e ristretto (soprattutto nei tratti vallivi del F.Magra e F.Vara. La configurazione
morfologica obiettivo è quella di un alveo più largo e meno inciso dell’attuale (situazione di
riferimento è quella del 1950).
Figura 5.1 – Morfologia dell’alveo: configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo.
97
Relazione Finale – Capitolo 5
2. Disponibilità di sedimenti in alveo. L’alveo in condizioni relativamente naturali era ricco di
sedimenti, come testimoniato dalla presenza di barre estese e di varie tipologie (Figura 5.2). Allo
stato attuale, la presenza e l’estensione di barre è drasticamente ridotta, come conseguenza
dell’attuale deficit di sedimenti rispetto al passato. La configurazione obiettivo corrisponde ad un
incremento nella presenza di barre, seppure non al livello della configurazione passata.
Figura 5.2 – Disponibilità sedimenti: configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo.
3. Continuità longitudinale del flusso di sedimenti. In condizioni passate l’alveo aveva
caratteristiche di spiccata naturalità e nessuna opera influenzava il trasferimento di sedimenti da
monte a valle. Successivamente, per esigenze di varia natura (produzione di energia, stabilizzazione
del fondo, ecc.), sono state costruite delle opere trasversali che ostacolano la continuità
longitudinale del flusso di sedimenti, come dighe o soglie. Le dighe, in particolare, creano uno
sbarramento che i sedimenti non possono oltrepassare, mentre a valle si instauri un processo di
incisione. Molte di queste opere sono state costruite negli anni ’50 non solo sulle aste principali, ma
anche su quelle di alcuni affluenti del F.Magra (T.Gordana, T.Teglia, T.Verde, T.Magriola, ecc.).
La configurazione obiettivo prevede invece di ripristinare il più possibile la continuità longitudinale
del flusso di sedimenti (Figura 5.3).
Figura 5.3 – Continuità longitudinale : configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo.
4. Continuità trasversale del flusso di sedimenti. L’alveo nel tempo, a causa del processo di
abbassamento del fondo, ha perso la connessione laterale con la piana inondabile (Figura 5.4). La
configurazione obiettivo prevede di andare nella direzione di ripristinare il più possibile tale
connessione, sia attraverso una riduzione dell’incisione che attraverso la ricreazione di piana
inondabile attraverso la mobilità laterale naturale del fiume.
98
Relazione Finale – Capitolo 5
Figura 5.4 – Continuità trasversale: configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo.
5. Interazione tra processi ed opere. Seppure le condizioni generali siano di deficit di sedimenti,
possono esistere alcuni casi locali dove, viceversa, la presenza eccessiva di sedimenti ha ridotto
l’efficienza di opere di attraversamento, aumentando le condizioni di rischio (ad es. S.Pietro Vara).
In tali casi, la configurazione obiettivo prevede una riduzione di sedimenti (Figura 5.5).
Figura 5.5 – Interazione opere: configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo.
6. Disponibilità della risorsa idrica. Tale problema riguarda soprattutto la pianura costiera del
F.Magra dove, in passato, la falda era notevolmente più alta. Successivamente, con l’incisione
dell’alveo, la falda si è abbassata e ridotta determinando un duplice effetto negativo: da una parte ha
favorito la risalita del cuneo salino, quindi alcuni pozzi emungono acqua non più potabile, dall’altra
in alcuni punti l’abbassamento è stato tale che i pozzi non arrivano più alla falda. La configurazione
obiettivo è quindi quella di andare nella direzione di rialzare il livello di falda attraverso un
99
Relazione Finale – Capitolo 5
recupero della quota del fondo dell’alveo e quindi un ripristino parziale dei volumi degli acquiferi
(Figura 5.6).
Figura 5.6 – Disponibilità risorsa idrica: configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo.
Figura 5.7 – Funzionalità ecologica: configurazione passata, attuale e configurazione obiettivo.
100
Relazione Finale – Capitolo 5
7. Funzionalità ecologica. La situazione passata era caratterizzata da un alveo con spiccate
caratteristiche di naturalità con una elevata funzionalità ecologica (fascia riparia continua, aree
umide laterali, connessione idraulica con la piana inondabile, diversità di habitat in alveo e ripariali,
ecc.). In seguito ai processi morfologici che si sono succeduti ed alla progressiva artificializzazione
dell’alveo (almeno a tratti), molte di queste caratteristiche sono andate riducendosi. La
configurazione obiettivo prevede quindi un alveo con maggiore dinamica, diversità di habitat e
connessioni con le aree ripariali (Figura 5.7).
Principi di intervento e di gestione
Facendo riferimento alle tipologie di intervento enunciate nel paragrafo precedente, si
cercherà di privilegiare interventi di riequilibrio a scala di bacino, cioè che vadano ad
intervenire innanzitutto sulle cause del problema (deficit di sedimenti) piuttosto che sui sintomi.
Pertanto il principio che ha guidato la definizione delle strategie di gestione è quello di incentivare
l’alimentazione di sedimenti nel sistema, dove e quando possibile, e di facilitarne il raggiungimento
delle parti più incise (tratti vallivi). Come precisato precedentemente, gli interventi a scala di bacino
possono realizzarsi in scale temporali relativamente lunghe ed i loro risultati non sono pertanto
immediati. Si intende tuttavia delineare strategie di gestione da seguire da ora in avanti che vadano
in questa direzione.
Per quanto riguarda la gerarchizzazione dei principi di gestione, si cercheranno di
privilegiare le azioni che vadano nella direzione di preservare i processi i processi naturali laddove
funzionano, limitarne i cambiamenti o ripristinarli ove possibile (cioè i punti 1, 2 e 3 nella scala
gerarchica di Tabella 5.2). Ciò si traduce in pratica in cercare di agire in entrambe le direzioni di (1)
preservare tratti d’alveo in condizioni relativamente naturali ed i processi che li rendono tali, e (2)
migliorare tratti degradati.
Le strategie di gestione si traducono in due principali prodotti cartografici:
1. Carta della Fascia di Mobilità Funzionale;
2. Carta delle Strategie di indirizzo per la Gestione dei Sedimenti.
A corredo delle carte sono abbinate varie raccomandazioni, strategie e linee guida.
5.3 FASCIA DI MOBILITA’ FUNZIONALE
5.3.1 Principi generali
Si riportano di seguito alcuni principi generali, tratti da Piegay & Rinaldi (2006), relativi alla
possibilità di consentire l’erosione delle sponde per una gestione sostenibile del trasporto
solido al fondo. L’erosione delle sponde è uno dei problemi centrali nella gestione degli alvei
fluviali. Esiste una vasta letteratura che si concentra sui principali impatti negativi delle erosioni di
sponda, quali la perdita di terreni, delle risorse associate e i danni a proprietà ed infrastrutture.
Perciò l’erosione di sponda è quasi sempre considerata come un pericolo naturale da prevenire.
Tuttavia vi è oggi un ripensamento sulle politiche tradizionali per gestire le erosioni di sponda,
grazie all’accresciuta consapevolezza (i) del carattere insostenibile di alcune protezioni
ingegneristiche delle sponde (es. riducendo i sedimenti riforniti al fiume, tali protezioni possono
innescare una incisione locale che può destabilizzare strutture e/o semplicemente spostare
l’erosione a valle); (ii) dei costi economici per realizzare tali protezioni; (iii) del ruolo chiave
dell’erosione di sponda nella dinamica d’alveo; e (iv) del riconoscimento che l’erosione di sponda
fornisce benefici agli ecosistemi (in precedenza non considerati nelle analisi costi-benefici). Per
esempio, in fiumi incisi, permettere l’erosione delle sponde può contribuire ad una riqualificazione
spontanea sia dell’alveo, attraverso il rifornimento di sedimenti grossolani, che delle fasce riparie,
per le quali l’erosione di sponda è spesso l’agente chiave di creazione e rinnovamento del loro
complesso mosaico di habitat.
Pertanto, i gestori dei corsi d’acqua stanno adottando in maniera crescente l’idea di consentire
ai fiumi di migrare liberamente all’interno di un corridoio definito, ottenendone i diritti di proprietà
101
Relazione Finale – Capitolo 5
attraverso la negoziazione con i proprietari o acquistando i terreni. Il Corpo degli Ingegneri
Americano (US Army Corps of Engineers) ha per anni erogato incentivi ai proprietari per
permettere al fiume di erodere liberamente, sebbene tale politica sia stata attuata essenzialmente
caso per caso. Più recentemente, in Francia sono stati intrapresi progetti più ambiziosi (a scala di
tratto) (Malavoi et al., 1998; Hydratec, 1999, 2001).
L’esperienza francese è istruttiva in relazione all’evoluzione normativa sul concetto di fascia
erodibile (ECC). Nelle linee guida del Piano di Bacino del Rodano Mediterraneo Corsica pubblicate
nel 1998, il corridoio erodibile, chiamato ‘Spazio di Libertà’, è definito come “la piana
inondabile in cui l’alveo attivo può naturalmente muoversi in modo da mantenere una
alimentazione di sedimenti grossolani ed un funzionamento ottimale degli ecosistemi acquatici e
terrestri” (Malavoi et al., 1998). Un decreto del 24 Gennaio 2001 approvato dal Ministero
dell’Ambiente ha indicato che non saranno più permessi siti di escavazione nello “spazio di
mobilità” dei fiumi, definito come il corridoio di piana inondabile in cui l’alveo si può muovere.
Analogamente, il decreto 2002/202 (13 Febbraio 2002) modifica le norme per autorizzare le
strutture di protezione delle sponde maggiori di 50 m (per fiumi con larghezza inferiore a 7,5 m) o
di 200 m (per fiumi con larghezza maggiore di 7,5 m). La legge indica che le protezioni di sponda
non devono ridurre significativamente lo “spazio di mobilità” dell’alveo, definendo tale corridoio
sulla base di analisi storiche della mobilità dello stesso.
Non è quindi tanto il concetto di corridoio erodibile ad essere una novità di per sé, ma piuttosto
la combinazione (i) di un quadro normativo in evoluzione che ora richiede la concreta delimitazione
del corridoio erodibile, e (ii) dell’applicazione pratica del concetto ad un numero crescente di
problemi a più larga scala (di tratto) che sta oggi configurando nuove sfide per le comunità
scientifiche e professionali. La fascia erodibile (ECC) è solo una delle numerose strategie che sono
disponibili per la gestione dell’erosione di sponda. Queste, infatti, comprendono anche le tecniche
tradizionali di stabilizzazione di sponda derivate dall’ingegneria civile e naturalistica. Queste
opzioni differenti non sono in contrapposizione, bensì complementari l’una all’altra: la scelta
dell’approccio più adatto dipende dal contesto locale e dalla dinamica del fiume (es. mobilità
naturale del fiume, benefici ecologici del processo e sensibilità umana all’erosione di sponda).
Pertanto, mentre la definizione di una fascia erodibile può essere valida in un bacino, in un altro
possono essere richieste tecniche di stabilizzazione più tradizionali. È importante riconoscere quindi
che l’approccio della fascia di mobilità non è universalmente applicabile. Nel definire quei
fiumi che possono trarre benefici dall’applicazione della fascia di mobilità, è necessario considerare
(i) l’intensità dei processi di erosione di sponda, e (ii) il risultato di una analisi costi – benefici
associata con le previsioni di erosione di sponda. Dove l’erosione di sponda è di entità minima o
solo a scala locale, molto probabilmente l’ecosistema acquatico non ne è significativamente
influenzato e l’applicazione della fascia di mobilità non è necessaria. Analogamente, il concetto non
è ben adatto ai casi in cui l’erosione di sponda è un processo ‘nuovo’, sintomatico di qualche causa
più profonda (es. creazione di nuovi canali di ‘avulsione’). Probabilmente i casi in cui la fascia
erodibile è meglio applicabile sono quelli di fiumi meandriformi o a canali intrecciati liberi di
muoversi in piane alluvionali e che ragionevolmente ci si può attendere che rimangano all’interno di
un corridoio definito nella scala temporale di interesse (alcuni decenni).
La fascia di mobilità ha maggiore potenzialità di essere un utile strumento di gestione nei casi
dove c’è un movimento generalizzato delle sponde (ad es. qualche metro di arretramento annuo per
un tratto sufficientemente lungo di fiume), e dove le attività antropiche nella fascia di pertinenza
non sono talmente sviluppate da entrare in forte conflitto con altri obiettivi di gestione (ad es. dove
il risultato dell’analisi costi–benefici è favorevole). Nel contesto europeo, tali criteri possono essere
soddisfatti in fiumi montani e pedemontani che sono spesso caratterizzati da rimboschimento,
sistemazioni idrauliche degli affluenti e conseguente riduzione dell’alimentazione di sedimenti.
Molti di questi fiumi europei, che trasportano meno sedimenti, stanno diventando più stretti e più
incisi e possono essere considerati come sistemi senescenti che generalmente erodono porzioni di
102
Relazione Finale – Capitolo 5
piana inondabile corrispondenti a canali attivi recenti, non ancora fortemente occupati da attività
antropica.
5.3.2 Metodologia e risultati
Come descritto nel paragrafo precedente, soprattutto dall’esperienza francese nasce il concetto
di “Fascia di Mobilità Funzionale”, inizialmente applicato da Malavoi et al. (1998) per il bacino
del Rodano. Secondo tale lavoro, la fascia di mobilità funzionale corrisponde a quella fascia in cui
ha divagato il fiume durante le ultime centinaia di anni e le zone di probabile riattivazione per
erosione laterale nel medio periodo (prossimi 40-50 anni). La procedura utilizzata per la definizione
di tale fascia richiede una approfondita analisi geomorfologica, con il pregio di non essere
eccessivamente complessa e, soprattutto, di basarsi su analisi ed operazioni poco soggettive. Le fasi
per definire la fascia secondo quanto proposto originariamente da Malavoi et al. (1998) sono
descritte di seguito.
1) Fascia di divagazione storica: individuazione e delimitazione, sulla base di cartografia storica e
fotografie aeree, delle zone interessate dalla dinamica fluviale nel corso degli ultimi 200 anni.
2) Zone di erosione probabile a medio termine (50 anni): viene stimato il tasso medio di erosione
laterale del corso d’acqua sulla base del quale si definisce la larghezza delle due fasce al contorno
dell’alveo attuale nelle quali è più probabile che si verifichino processi di erosione nei prossimi 50
anni. Per quanto possa trattarsi di un approccio semplificato al problema (si tenga conto che non si
tratta di una previsione della posizione dell’alveo tra 50 anni), l’individuazione di queste fasce è
indispensabile per alvei caratterizzati da elevate variazioni planimetriche.
3) Fascia di mobilità funzionale: deriva dalla combinazione delle aree individuate nelle due fasi
precedenti, quindi viene determinata sulla base della dinamica sia passata (documentata) che futura
(potenziale). Un ulteriore passo successivo consiste eventualmente nel considerare i vari
aspetti/elementi antropici che condizionano attualmente in modo significativo la dinamica fluviale
(ad esempio le principali opere idrauliche e le principali infrastrutture).
Figura 5.8 – Quadro di unione delle tavole della Carta delle Fascia di Mobilità Funzionale.
Nel presente studio è stata realizzata la Carta della Fascia di Mobilità Funzionale, in scala
1:10.000, composta da 7 tavole, con numero progressivo da 15 a 21 (Figura 5.1) come segue:
-Tavola 15: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Magra da Pontremoli a Villafranca L.;
103
Relazione Finale – Capitolo 5
-Tavola 16: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Magra da Villafranca L. ad Aulla;
-Tavola 17: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Magra da Aulla a Ressora;
-Tavola 18: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Magra da Ressora alla foce;
-Tavola 19: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Vara da Varese L. al Piano di Graviola;
-Tavola 20: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Vara dal Piano di Graviola a Borghetto
Vara.
-Tavola 21: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale del F.Vara da Borghetto V. a Ceparana.
La cartografia completa è stata consegnata in formato cartaceo in allegato alla Relazione
Intermedia (Maggio 2006) e si riporta nuovamente in formato digitale nel DVD allegato a questa
relazione.
La metodologia adottata nel presente studio è la stessa già utilizzata nella prima fase della
ricerca (Relazione Magra I) per i tratti di dettaglio. Di seguito si riporta la descrizione completa
della metodologia così come già riportata nella Relazione Magra I. Si noti tuttavia che, a differenza
della Relazione Magra I, in questa versione per alveo attuale si intende l’ultimo alveo disponibile
da foto aerea, quindi quello del 2003 per il Magra e del 2004 per il Vara (secondo quanto già
precisato nella Relazione Intermedia di questo progetto).
Fascia di divagazione storica
1) Si è scelto un intervallo di tempo di 50 anni più breve di quello proposto originariamente (200
anni) da Malavoi et al. (1998). Questo è dovuto principalmente al fatto che, se si fosse
considerato un intervallo di 200 anni, si sarebbe ottenuta in molti tratti una fascia di divagazione
quasi coincidente con l’intera pianura alluvionale, quindi si sarebbe pervenuti ad un risultato di
dubbia utilità per i fini pratici attuali. Si è scelto quindi di utilizzare le foto aeree del 1954 come
situazione di riferimento iniziale per gli scopi della fascia di mobilità.
Figura 5.9 - Fascia di divagazione storica per un tratto del Fiume Magra a valle della confluenza
con il Fiume Vara.
2) La fascia di divagazione è definita quindi come inviluppo più esterno dei tracciati, così come
riportati nella Carta delle variazioni planimetriche dell’alveo, a partire da quello del 1954
(escludendo quindi il 1877) fino a quello del 2003/04 (Figura 5.9).
104
Relazione Finale – Capitolo 5
Fascia di erosione probabile a medio termine (50 anni)
3) Per ognuno dei tratti di dettaglio per i quali è stata ottenuta la carta, sono stati ricavati i tassi
medi di erosione laterale, utilizzando per tale calcolo l’intervallo temporale degli ultimi 10 anni
circa, per tener conto delle attuali tendenze evolutive di larghezza. In particolare sono state
utilizzate le foto aeree del 1995 e del 2003/04.
4) I tassi medi di erosione sono stati differenziati per ognuno dei sottotratti di suddivisione
geomorfologica iniziale, utilizzando una scansione spaziale per le misure di erosione di 250 m,
e ricavando quindi un valore medio di tasso di arretramento per sottotratto.
5) Sulla base di ciò, sono state definite due fasce con andamento parallelo alle sponde attuali
(come sponde attuali sono state assunte quelle del 2003/04) di larghezza pari al prodotto del
tasso di arretramento medio del sottotratto (in m/anno) per 50 anni, che rappresentano quindi le
zone di erosione probabile a medio termine (Figura 5.10). Nelle zone di passaggio tra due
sottotratti adiacenti, si è scelto di utilizzare una fascia di transizione di lunghezza compresa tra
100 e 500 m, in funzione della minore o maggiore differenza tra i tassi di erosione, con una
variazione progressiva lineare di larghezza tra un sottotratto ed il successivo.
Figura 5.10 - Fascia di erosione probabile a medio termine per un tratto del Fiume Magra a valle
della confluenza con il Fiume Vara.
6) E’ opportuno precisare meglio il significato della fascia di erosione probabile a medio
termine. Si sottolinea come tale metodo non ha in alcun modo lo scopo di costituire una
previsione di come si modificherà l’alveo nei prossimi 50 anni, ma costituisce più
semplicemente una procedura oggettiva per definire una fascia all’interno della quale potrebbe
divagare il fiume in tale intervallo di tempo, considerati gli attuali tassi di erosione di sponda. In
altri termini, il limite esterno della fascia di erosione probabile va interpretato come il limite che
potrebbe essere raggiunto dall’alveo nei prossimi 50 anni, e non come l’andamento dell’alveo tra
50 anni (vale a dire è possibile che ciò avvenga solo in alcuni punti, non in maniera continua ed
omogenea). Si tiene infatti a precisare che non è possibile associare un arretramento di sponda ad
un evento di piena con dato tempo di ritorno (analogamente a quanto avviene per la definizione
delle aree inondabili) a causa della natura continua e cumulativa del processo di arretramento di
sponda, differente dal fenomeno di inondazione che avviene per superamento di una certa soglia.
Nel caso dell’arretramento di sponda, bisognerebbe quindi definire una probabilità che si
verifichi una certa successione di eventi in un dato intervallo di tempo piuttosto che un singolo
evento. Ciò rende quindi tuttora irrisolvibile il problema da un punto di vista analitico o
deterministico, pertanto si preferisce ricorrere a metodi semplificati come quello adottato in
questo studio.
105
Relazione Finale – Capitolo 5
7) Alla luce di quanto precisato al punto precedente, è anche opportuno chiarire il motivo per cui si
è preferito definire un tasso medio di arretramento di sponda per sottotratto geomorfologico
(della lunghezza di vari km), piuttosto che adottare tassi di arretramento differenziati per
sottotratti di lunghezza inferiore (ad esempio per ogni km), in modo da tenere conto
dell’arretramento verificatosi localmente. La perplessità nell’adottare un tasso di arretramento
mediato su un tratto piuttosto lungo (in questo caso il sottotratto geomorfologico) può derivare
dalle seguenti domande che potrebbero sorgere spontanee: come mai se un determinato tratto di
sponda (ipotizziamo della lunghezza di qualche centinaio di metri) non è arretrato per nulla
durante gli ultimi anni dovrebbe poi arretrare nei prossimi anni? O, viceversa, come mai se un
determinato tratto di sponda è arretrato molto negli ultimi anni dovrebbe arretrare con un tasso
sensibilmente inferiore nei prossimi anni? Si ammetta quindi il caso di voler estrapolare
localmente (con una scansione ipotizziamo dell’ordine del km) i tassi di arretramento ai prossimi
50 anni. In tal caso, non si farebbe altro che accentuare le differenze tra tratti nei quali si è
verificato un forte arretramento negli ultimi anni e tratti relativamente stabili (Figura 5.11).
A
1995
2003
B
C
Figura 5.11 – Possibili andamenti della fascia di erosione probabile a seconda della lunghezza dei
sottotratti per i quali assumere un dato tasso di arretramento. A) Esempio di andamento delle
sponde in due anni diversi (sulla base dei quali si calcola il tasso di arretramento medio annuo) con
suddivisione del tratto in tre sottotratti; B) andamento della fascia di erosione probabile nel caso si
applicassero tassi di arretramento diversi ai tre sottotratti; C) andamento della fascia di erosione
probabile assumendo un tasso di arretramento medio per l’intero tratto.
La configurazione della fascia di erosione probabile risulterebbe in un’alternanza di tratti molto
larghi e tratti molto stretti. Si ritiene che ciò sia inverosimile, dal momento in cui i processi di
arretramento di sponda e di accrescimento delle barre (strettamente associati ai primi) presentano
una marcata componente longitudinale (in genere da monte verso valle) (in altre parole
l’arretramento di sponda, dopo aver agito in un tratto, tende ad estendersi verso valle piuttosto
che continuare ininterrottamente in direzione ortogonale all’andamento dell’alveo), soprattutto in
alvei con morfologie di tipo sinuoso a barre alternate o wandering come i fiumi studiati. Per
tenere conto di questo aspetto, appare quindi molto più ragionevole mediare i valori di
arretramento di sponda ad un tratto sufficientemente lungo, con caratteristiche geomorfologiche
106
Relazione Finale – Capitolo 5
relativamente omogenee in termini di tracciato e di grado confinamento nel fondovalle,
ricavando così una fascia di erosione probabile di larghezza uniforme.
8) Nel caso di fiumi o tratti molto o completamente fissati planimetricamente, il concetto di
fascia di erosione probabile perde di significato, in quanto risulterebbe un valore di erosione
recente molto basso o nullo (è questo il caso del tratto pre-fociale ME2), il quale implicherebbe
che la fascia di erosione probabile risulterebbe nulla. Ciò da una parte può essere vero,
ipotizzando che le difese di sponda continuino ad esistere nei prossimi 50 anni, ma in tal caso la
fascia di mobilità funzionale che ne risulterebbe (soprattutto se anche la fascia di divagazione
storica è nulla o limitata perché il fiume è canalizzato da vari decenni) non avrebbe
assolutamente il significato di spazio che il fiume dovrebbe avere per il suo corretto
funzionamento geomorfologico, come era invece nelle intenzioni originarie di questo progetto.
9) Significato della fascia di erosione probabile in corrispondenza di un tratto di sponda
protetto da una difesa. Il significato della fascia in questo caso è ovviamente quello di spazio
che potenzialmente potrebbe essere eroso nel caso in cui non ci fosse la difesa, e non di reale
zona ad erosione probabile fermo restando le condizioni attuali (come invece accade per i tratti
di sponda non protetti). Ciò è molto utile per visualizzare con immediatezza quello i beni che
sono difesi dalla difesa di sponda: se ad esempio esiste un insediamento o un’infrastruttura
all’interno della fascia di erosione retrostante la difesa, è immediato percepire l’importanza della
struttura. Se viceversa non esiste un insediamento o un’infrastruttura all’interno della fascia di
erosione retrostante la difesa, è lecito chiedersi se il costo di manutenzione della difesa equivale
o meno al valore del bene (in questo caso un terreno agricolo) che si sta difendendo.
10) La fascia di erosione probabile fornisce anche uno strumento utile ai fini pianificatori e
decisionali nei casi in cui viene proposta la realizzazione di un nuovo intervento di difesa di
sponda. In tal caso è infatti possibile visualizzare con immediatezza, ed eventualmente
quantificare, se il costo dell’intervento vale o meno il valore del bene da proteggere
(nell’orizzonte temporale dei prossimi 50 anni). Si ricorda che le recenti esperienze francesi (in
particolare Piégay et al., 1997) hanno dimostrato che, considerando il problema in un orizzonte
temporale sufficientemente ampio (ad es. di 50 anni), molto spesso è molto maggiore il costo
della realizzazione di una difesa e della sua manutenzione rispetto al valore del terreno che si
protegge.
Fascia di mobilità funzionale
Figura 5.12 - Fascia di mobilità funzionale per un tratto del Fiume Magra a valle della confluenza
con il Fiume Vara.
107
Relazione Finale – Capitolo 5
11) La fascia di mobilità funzionale è stata ottenuta come inviluppo esterno delle due precedenti
fasce (Figura 5.12). Rappresenta quindi la fascia attiva negli ultimi 50 anni e di possibile
riattivazione nei prossimi 50 anni, facendo riferimento quindi ad un intervallo temporale
complessivo di 100 anni (che coincide con la media scala temporale). Su questa cartografia, la
fascia di mobilità funzionale è quella teorica su base geomorfologica, cioè non tiene conto di
elementi e vincoli antropici (ad es. infrastrutture, insediamenti, ecc.) che si decide debbano
essere esclusi dalla stessa. Per soddisfare almeno in parte tale esigenza, si rimanda alla
successiva cartografia (si veda paragrafo successivo).
Figura 5.13 – Esempio di Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e relativa Legenda.
12) Nel sottotratto pre-fociale del F.Magra (ME2: dalla confluenza del Canale Turi in prossimità
del ponte di Battifollo alla foce) si è scelto di non tracciare la fascia di mobilità funzionale per
alcuni dei problemi messi in evidenza ai punti precedenti. Per questo sottotratto, infatti, la fascia
di divagazione dal 1954 è quasi nulla (l’alveo del 1954 e degli anni successivi coincidevano
quasi sempre con quello attuale per la già avvenuta fissazione artificiale del tracciato
planimetrico) ed i tassi di arretramento degli ultimi 10 anni sono ugualmente nulli, pertanto la
fascia di mobilità funzionale non è definibile. Tracciare la fascia di mobilità funzionale
facendola pressoché coincidere con l’alveo attuale sarebbe stato in questo caso fuorviante, in
108
Relazione Finale – Capitolo 5
quanto si sarebbe potuto interpretare come se l’alveo avesse allo stato attuale lo spazio
sufficiente per esplicare la sua dinamica morfologica, al contrario di quanto accade in realtà,
essendo l’alveo completamente costretto nel suo tracciato attuale. Solo per questo sottotratto, si è
ritenuto utile, non essendo definita la fascia di mobilità funzionale, riportare il tracciato del 1877,
cioè relativamente ad una situazione precedente al 1954 in cui l’alveo era più largo e presentava
una certa mobilità.
In Figura 5.13 si riporta uno stralcio esemplificativo della Carta della Fascia di Mobilità
Funzionale con la relativa Legenda.
5.3.3 Gestione della Fascia di Mobilità Funzionale
La Fascia di Mobilità Funzionale, come definita nel precedente paragrafo, è stata ottenuta sulla
base di criteri oggettivi esclusivamente di tipo geomorfologico, non tenendo conto quindi degli
elementi antropici eventualmente contenuti in essa. Per giungere ad una Fascia di Mobilità “reale”,
bisogna quindi stabilire dei criteri per escludere dalla fascia o gestire quegli elementi antropici
ritenuti irrinunciabili.
Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale
Il primo passo per ritagliare la Fascia di Mobilità Funzionale sugli elementi antropici è stato
quello di incrociarla con la Fascia di Riassetto Fluviale. Quest’ultima, infatti, è stata definita
dall’Autorità di Bacino sulla base principalmente di criteri idraulici, ma tenendo conto del contesto
antropico.
E’ stata pertanto ricavata la Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di
Riassetto Fluviale, tagliando la Fascia di Mobilità Funzionale sulla base della Fascia di Riassetto
Fluviale (cioè escludendo le porzioni esterne della prima fascia quando essa si intersecasse con la
seconda). In questo modo, la Fascia di Mobilità Funzionale tiene almeno in parte conto degli
elementi antropici più importanti (insediamenti, infrastrutture, ecc.) che si ritiene di dover
escludere, essendo questi già esterni alla Fascia di Riassetto.
E’ emersa inoltre l’esigenza (già per la Relazione Magra I) di una più affinata definizione e
determinazione (in sede di adeguamento o aggiornamento del Piano Stralcio Assetto Idrogeologico)
di “Alveo attuale”, coerentemente con la definizione di alveo contenuta nel R.D. 25 Luglio 1904,
n.523 (“…Formano parte degli alvei i rami o canali, o diversivi dei fiumi, torrenti, rivi e scolatoi
pubblici, ancorchè in alcuni tempi dell’anno rimangono asciutti …”). Si è stabilito che tale
elemento possa essere definito su base geomorfologica e che debba comprendere l’insieme di alveo
attivo e pianura inondabile attiva, così come riportati nella Carta Geomorfologica (quindi riferiti
alla situazione del 2003/04). Si ricordano di seguito le definizioni di questi due elementi
morfologici.
Alveo attivo: comprende il canale, le barre attive e le barre alte (corrisponde a quanto indicato in
letteratura anglosassone come bankfull). E’ la porzione dell’alveo soggetta al continuo
modellamento del letto ad opera del trasporto solido di fondo ed ai processi di erosione e
sedimentazione connessi.
Pianura inondabile: è una superficie pianeggiante costruita dall’alveo nelle sue attuali condizioni
di regime (corrispondente a quanto indicato in letteratura anglosassone come floodplain), dove
prevalgono i processi di tracimazione piuttosto che di trasporto solido al fondo. In genere, secondo
la letteratura, tale superficie è inondata frequentemente, mediamente almeno una volta ogni 1-3
anni. Nel caso dei fiumi Magra e Vara, avendo tali fiumi subìto un certo grado di incisione, esistono
porzioni di piana inondabile attiva o incipiente che si sono originate, una volta terminato
l’abbassamento del fondo, a seguito delle attuali divagazioni laterali del canale e delle barre o anche
per abbandono di precedenti barre attive. Tali zone sono effettivamente interessate da piene molto
ricorrenti (spesso con frequenze anche superiori ad una volta ogni 1-3 anni), pertanto si ritiene
coerente l’inserimento di tali superfici in quello che è definito alveo attuale.
109
Relazione Finale – Capitolo 5
Nei casi in esame l’alveo attuale, inteso come insieme di alveo attivo e pianura inondabile,
viene ad essere delimitato esternamente come segue:
- nei tratti alluvionali, dove è presente una pianura alluvionale ed in genere una porzione di
pianura inondabile attiva, i limiti esterni dell’alveo sono rappresentati dagli orli del terrazzo più
vicino all’alveo (anch’essi indicati in Carta Geomorfologica con apposito simbolo);
- nei tratti semiconfinati, dove non è presente pianura alluvionale ma l’alveo confina
direttamente con i versanti, i limiti esterni dell’alveo coincidono nella Carta Geomorfologica
con i limiti dell’alveo attivo.
La Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale, anch’essa
in scala 1:10.000, è composta da 7 tavole, con numero progressivo da 22 a 28, in particolare (Figura
5.14):
- Tavola 22: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del
F.Magra da Pontremoli a Villafranca L.;
- Tavola 23: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del
F.Magra da Villafranca L. ad Aulla;
- Tavola 24: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del
F.Magra da Aulla a Ressora;
- Tavola 25: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del
F.Magra da Ressora alla foce;
- Tavola 26: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del
F.Vara da Varese L. al Piano di Graviola;
- Tavola 27: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del
F.Vara dal Piano di Graviola a Borghetto V.
- Tavola 28: Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto Fluviale del
F.Vara da Borghetto V. a Ceparana.
Figura 5.14 – Quadro di unione delle tavole della Carta delle Fascia di Mobilità Funzionale e della
Fascia di Riassetto Fluviale.
Riepilogando, la Carta comprende i seguenti tre elementi (Figura 5.15):
110
Relazione Finale – Capitolo 5
-
-
Alveo attuale, comprendente alveo attivo e pianura inondabile come riportati in Carta
Geomorfologica;
Fascia di Mobilità Funzionale “modificata”, comprendente la stessa fascia riportata nella
cartografia precedente, delimitata però esternamente dalla Fascia di Riassetto Fluviale, nel caso
di intersezione tra loro;
Fascia di Riassetto Fluviale, così come fornita dall’Autorità di Bacino.
Figura 5.15 – Esempio di Carta della Fascia di Mobilità Funzionale e della Fascia di Riassetto
Fluviale.
Proposte di riduzione e gestione della Fascia di Mobilità Funzionale
I successivi passi per un’eventuale riduzione della Fascia di Mobilità, per tener conto di altri
elementi antropici ritenuti irrinunciabili non inclusi nella Fascia di Riassetto Fluviale, è un compito
che deve essere realizzato dai tecnici dell’Autorità di Bacino (come peraltro concordato nei
Comitati Tecnici di Febbraio e Marzo 2007), sulla base della loro conoscenza specifica del territorio
e delle problematiche locali. In questa sede ci si limita a fornire dei suggerimenti e proposte sui
criteri da adottare per passare ad una “Fascia di Mobilità Reale” ed alle possibili normative da
imporre all’interno di tale area. E’ auspicabile intraprendere, a seguito della conclusione del
presente progetto di ricerca, una serie di riunioni a cui è invitato a partecipare anche il gruppo di
ricerca stesso, nell’ambito delle quali definire questi aspetti.
L’unico suggerimento relativo ad un restringimento della FMF che si fornisce in questa sede è
quello di effettuare un eventuale taglio solo in corrispondenza delle principali vie di
comunicazione (strade statali, provinciali, comunali, ferrovia) che attraversano la fascia stessa,
laddove queste non fossero già escluse dalla Fascia di Riassetto. E’ infatti inverosimile pensare che,
nel caso l’erosione laterale del corso d’acqua andasse ad interessare una di queste importanti vie di
111
Relazione Finale – Capitolo 5
comunicazione si potesse impedirne la protezione. Pertanto, tutte le aree che dovessero essere
incluse nella FMF all’esterno di queste vie di comunicazione di fatto non potranno mai svolgere la
funzione di fascia erodibile ed il limite fisico esterno della FMF di fatto è rappresentato dalla via di
comunicazione. Resta inteso che, nel caso di futuri adeguamenti e modifiche della rete viaria che
potessero interessare tali tratti, si deve cercare di imporre soluzioni che vadano nella direzione di un
allontanamento della via di comunicazione dal fiume.
Eccezion fatta per le vie di comunicazione, che come detto costituiscono di fatto un limite
esterno della FMF, si suggerisce che tutti gli altri elementi a rischio puntuali e discontinui presenti
all’interno della fascia (case isolate o gruppi di abitazioni, impianti sportivi, ecc.) non siano motivo
di un ulteriore restringimento, ma rimangano all’interno della fascia stessa seppure soggetti a regole
specifiche o deroghe della normativa da istituire. In particolare si propongono le seguenti regole per
i seguenti elementi antropici presenti nella FMF:
- Case ed insediamenti: si consente la loro protezione attraverso interventi di difesa di sponda solo
quando effettivamente tali elementi sono messi a rischio dall’erosione laterale del corso d’acqua. Si
può stabilire una distanza a partire dalla quale si ritiene necessario intervenire: tale distanza può
dipendere dal tasso di erosione medio del tratto e si può quantificare in un valore pari a 10 volte il
tasso medio annuo di arretramento di sponda (vale a dire idealmente rappresenta quella distanza che
il corso d’acqua potrebbe erodere nei successivi 10 anni).
- Impianti sportivi ed attività ricreative varie: nel caso siano presenti piccoli impianti sportivi o
altri elementi per attività ricreative, eccezion fatta per impianti sportivi comunali di un certo rilievo,
ed essi siano messi a rischio dall’erosione laterale del corso d’acqua, non si dovrebbe approvare la
loro protezione attraverso opere di difesa di sponda.
- vie di comunicazione secondarie (strade sterrate, sentieri, stradine poderali, ecc.): qualora sono
messe a rischio o sono interrotte da erosioni di sponda, non si deve acconsentire la loro protezione o
ripristino.
- Difese di sponda esistenti: se viene inoltrata una richiesta di ripristino o manutenzione di una
difesa di sponda esistente, bisogna valutare se tale opera effettivamente difende un elemento a
rischio (casa o via di comunicazione), nel qual caso si approva il progetto. Viceversa, nel caso in cui
l’opera ha la funzione di proteggere esclusivamente un terreno, senza che siano presenti elementi a
rischio significativi al suo interno, non si approva la richiesta.
- Difese di sponda in corrispondenza di ponti o traverse: nel caso le difese di sponda siano in
corrispondenza di un’opera di attraversamento e la loro presenza è motivata dalla protezione
dell’opera stessa, è necessario acconsentirne la manutenzione e l’eventuale rifacimento nel caso di
danneggiamento o rottura.
- Fabbricati abusivi, fabbricati industriali o artigianali dismessi, ecc.: in questi casi è ovvio che
non solo tali elementi non vanno difesi, ma è necessario prevedere una loro eliminazione o
spostamento con bonifica e riqualificazione dell’area. Possono rientrare in questa categoria anche
l’eventuale presenza di orti abusivi, recinzioni, capanne, ecc. i quali, non solo possono avere impatti
negativi sull’ambiente, ma possono essere fonte di rischio in occasione di piene.
112
Relazione Finale – Capitolo 5
5.4 GESTIONE DEI SEDIMENTI: AMBITI E LINEE GENERALI D’AZIONE
Ai fini della definizione delle strategie di gestione dei sedimenti, si può innanzitutto
suddividere il bacino in tre ambiti con aspetti e problematiche leggermente differenziati tra loro, i
quali corrispondono ai tre ambiti fisiografici definiti precedentemente in questo progetto (Figura
5.16): 1. Medio-alto Magra; 2. Medio-alto Vara; 3. Basso Magra e Vara.
Figura 5.16 – Suddivisione del bacino in tre ambiti ai fini della gestione.
Si riepilogano di seguito le principali problematiche (Figura 5.17) e le priorità (Figura 5.18)
e le principali strategie di gestione per i tre ambiti prima definiti.
1. Medio-alto Magra
Caratteristiche e problematiche. Tale ambito non presenta elementi gravi dal punto di vista del
recupero morfologico. Seppure alcuni tratti hanno subìto una certa incisione, l’alveo del F.Magra si
presenta in condizioni discrete, denotando comunque una certa abbondanza di sedimenti, presenza
di barre, una certa mobilità laterale, ecc. Alcuni tratti risultano adatti come zone di ricarica e
alimentazione di sedimenti per i tratti a valle. In particolare la Piana di Filattiera funziona come una
sorta di bacino di accumulo che consente di immagazzinare una riserva di sedimenti, garantendo
una alimentazione continua per i tratti di valle.
Priorità. La priorità di questo ambito, per quanto riguarda l’alveo del F.Magra, è quella di
preservare le attuali condizioni, vale a dire preservare o ridurre le variazioni di quei processi di
alimentazione, trasporto e deposito di sedimenti che determinano le attuali condizioni morfologiche.
Allo stesso tempo, è necessario anche intraprendere misure che favoriscano l’alimentazione ed il
transito di sedimenti, non tanto per il miglioramento dei tratti compresi in questo ambito quanto
piuttosto per favorire il miglioramento dei tratti a valle (ambito 3: basso Magra e Vara).
Strategie di gestione. Le strategie di gestione devono quindi da un lato tendere a preservare le
attuali condizioni dell’alveo, lasciando il fiume libero di evolvere naturalmente, dall’altro favorire
la ricarica ed il trasporto verso valle per tendere a migliorare le condizioni degli alvei nell’ambito 3.
113
Relazione Finale – Capitolo 5
2. MEDIO-ALTO VARA
Elevate caratteristiche di
naturalità, non presenta
problematiche particolari
per il recupero, tranne
situazioni localizzate legate
ad opere antropiche. Alcuni
tratti risultano adatti come
zone di ricarica e
alimentazione di sedimenti
per i tratti a valle.
4. PIANA FILATTIERA
Tratto di elevato pregio geomorfologico
1. MEDIO-ALTO MAGRA
Non presenta elementi gravi dal
punto di vista del recupero. Alcuni
tratti risultano adatti come zone di
ricarica e alimentazione di sedimenti
per i tratti a valle.
3. BASSO MAGRA E VARA
Ambito con problemi più gravi, in
particolare deficit generalizzato di
sedimenti e relative conseguenze.
6. TRATTO PREFOCIALE
Necessità di mantenimento
condizioni di navigabilità
5. CONFLUENZA MAGRA-VARA
Tratto di elevato pregio geomorfologico
Figura 5.17 – Caratteristiche generali dei tre ambiti ai fini della gestione.
2. Medio-alto Vara
Caratteristiche e problematiche. Tale ambito presenta caratteristiche piuttosto simili al Medio-alto
Magra, esibendo elevate caratteristiche di naturalità ma con un grado di incisione dell’alveo anche
inferiore, presentando anzi situazioni localizzate di eccessiva sedimentazione. Alcuni tratti risultano
adatti come zone di ricarica e alimentazione di sedimenti per i tratti a valle.
Priorità. Le priorità di questo ambito sono analoghe al caso precedente, cioè innanzitutto
preservare le attuali condizioni, ed in secondo luogo favorire il miglioramento dei tratti a valle.
Strategie di gestione. Le strategie di gestione si identificano con quelle dell’ambito precedente.
3. Basso Magra e Vara
Caratteristiche e problematiche. E’ l’ambito caratterizzato dalle problematiche geomorfologiche
più gravi, cioè da un generalizzato deficit di sedimenti nella media scala temporale (incisione più
forte) e dalle relative conseguenze (deficit di sedimenti alla foce, perdita risorse idriche, ecc.).
Nonostante ciò, gli alvei dei fiumi Magra e Vara presentano attualmente condizioni morfologiche
discrete (presenza di barre, mobilità laterale, ecc.), escludendo il tratto terminale del F.Magra
pressoché fissato artificialmente.
Priorità. La priorità di questo ambito diventa di conseguenza quella di migliorare le condizioni
degli alvei, cercando di recuperare per quanto possibile le condizioni morfologiche ed il deficit di
sedimenti ereditato dai decenni passati di intensa attività estrattiva.
Strategie di gestione. La principale strategia in questo ambito diventa quella di favorire
l’arrivo/immissione di sedimenti soprattutto da tratti a monte, ed in qualche misura dal tratto stesso
(per erosione laterale), per risanare il deficit.
114
Relazione Finale – Capitolo 5
2. MEDIO-ALTO
VARA
CONSERVAZIONE/
MIGLIORAMENTO
(per tratto a valle)
4. PIANA FILATTIERA
CONSERVAZIONE
1. MEDIO-ALTO
MAGRA
CONSERVAZIONE/
MIGLIORAMENTO
(per tratto a valle)
3. BASSO MAGRA E VARA
MIGLIORAMENTO
6. TRATTO
PREFOCIALE
MANUTENZIONE
5. CONFLUENZA MAGRA-VARA
CONSERVAZIONE
Figura 5.18 – Scala delle priorità nelle strategie di gestione nei tre ambiti.
Oltre ai tre principali ambiti del bacino, si individuano due tratti con caratteristiche
geomorfologiche peculiari:
4. Piana di Filattiera. Nonostante il tratto abbia subìto una certa incisione, esso presenta
caratteristiche di naturalità piuttosto spiccate, con un alveo ricco di sedimenti e dotato di una
notevole mobilità laterale (Figura 5.19).
Figura 5.19 – Immagine del Fiume Magra nella Piana di Filattiera che mette in evidenza le sue
spiccate caratteristiche di naturalità.
Queste caratteristiche morfologiche ne fanno un tratto con buone caratteristiche geomorfologiche,
in termini di forme e processi esistenti, di conseguenza con buona valenza naturalistica, ecologica
ed ambientale, nonostante la connessione idraulica laterale con le fasce ripariali sia a tratti limitata
115
Relazione Finale – Capitolo 5
ad una stretta fascia a causa dell’incisione subìta. Si ritiene pertanto di considerarlo come tratto di
elevato pregio geomorfologico, per il quale istituire normative che vadano ad evitare o limitare
ogni modifica o azione che possa interferire con la dinamica fluviale.
5. Confluenza Vara – Magra. In questo tratto entrambi gli alvei (F.Magra e F.Vara) hanno subìto
una forte incisione (vari metri) e profonde trasformazioni morfologiche. Ciò nonostante, l’area
conserva un elevato pregio geomorfologico, legato alla forte dinamicità, a sua volta associata alla
presenza di sedimenti ancora rilevante (Figura 5.20). Il pregio di quest’area è ancor maggiore se si
considera la vicinanza di aree urbanizzate (molto più che non nella Piana di Filattiera). Pertanto
questa zona può valorizzare ancora di più le sue funzioni di fruizione, e le varie attività ricreative,
formative e divulgative, peraltro già esistenti nell’ambito del Parco Magra. Si propone pertanto
anche per questo tratto di istituire normative che vadano a preservare le attuali condizioni
morfologiche, evitando o limitando ogni modifica o azione che possa interferire con la dinamica
fluviale.
Figura 5.20 – Immagine della confluenza tra Fiume Vara e Fiume Magra che mette in evidenza le
caratteristiche di naturalità morfologica (alvei localmente a canali intrecciati) e di elevato pregio
naturalistico.
6. Tratto prefociale. Infine si definisce la parte prefociale, esattamente compresa tra la foce ed il
limite di navigabilità, come tratto con caratteristiche e problematiche specifiche. Esso è infatti
destinato al mantenimento delle condizioni di navigabilità, pertanto in tale tratto si può consentire la
rimozione periodica di sedimenti. In tal caso, il materiale rimosso deve essere recapitato in
prossimità della foce e/o sulla linea di costa adiacente. In questo modo, pur soddisfacendo le
esigenze di utilizzazione di questo tratto come fiume percorribile da imbarcazioni, si vanno a
spostare alla foce e nelle sue vicinanze i volumi di sedimenti che comunque sarebbero destinati nel
tempo ad raggiungere la linea di costa, senza quindi alterarne il bilancio.
116
Relazione Finale – Capitolo 5
In Figura 5.21 si riepilogano le strategie di gestione per i tre ambiti definiti.
2. MEDIO-ALTO VARA
Favorire la ricarica ed il
trasporto verso valle.
Lasciare il fiume libero di
evolvere naturalmente
4. PIANA FILATTIERA
Esaltare i processi che
promuovono la naturalità
1. MEDIO-ALTO MAGRA
Favorire la ricarica ed il trasporto
verso valle. Lasciare il fiume libero
di evolvere naturalmente
3. BASSO MAGRA E VARA
Favorire l’arrivo/immissione di
sedimenti da tratti a monte per
risanare il deficit
6. TRATTO PREFOCIALE
Consentire la mobilizzazione
di sedimenti, in tal caso
spostandoli in prossimità
della foce
5. CONFLUENZA MAGRA-VARA
Esaltare i processi che promuovono
la naturalità
Figura 5.21 – Strategie generali di gestione nei tre ambiti.
Si definiscono ora le principali linee d’azione o misure da applicare nei diversi ambiti, tratti e
sottobacini, secondo quanto indicato nella Carta delle Strategie di Indirizzo per la Gestione dei
Sedimenti. Tali azioni sono suddivise in due principali gruppi, coerentemente alla definizione della
scala delle priorità: 1) Misure conservative; 2) Misure migliorative. Le misure conservative
consistono sostanzialmente in divieti (non fare determinate azioni ossia non intervenire), mentre le
misure migliorative consistono in azioni (interventi) che si realizzano soprattutto lungo gli alvei
fluviali principali (F.Magra e F.Vara) nonché lungo i tratti di confluenza dei principali affluenti. Di
seguito si elencano e si illustrano brevemente le linee d’azione (Figure 5.22 e 5.23).
Misure conservative
C1) Non intervenire su frane. Consiste nel non effettuare interventi di stabilizzazione su frane.
C2) Non intervenire su versanti a diretto contatto con reticolo. Consiste nel non effettuare alcun
tipo di intervento di stabilizzazione, protezione dall’erosione di versanti o sponde rocciose a
diretto contatto con aste fluviali del reticolo idrografico.
C3) Non intervenire su sponde in erosione. Consiste nel non effettuare interventi di stabilizzazione
o protezione dall’erosione su sponde in sedimenti alluvionali che sono in arretramento per
erosione.
C4) Non costruire nuove opere trasversali. Consiste nell’evitare la realizzazione di qualunque
nuova opera trasversale (soglie, briglie, traverse, dighe).
C5) Non costruire nuove opere longitudinali. Consiste nell’evitare la realizzazione di qualunque
nuova opera longitudinale (difese di sponda, argini, ecc.).
C6) Non fare manutenzione su opere esistenti. Consiste nel non effettuare interventi di
manutenzione o ripristino di opere longitudinali o trasversali che sono soggette ad erosione.
117
Relazione Finale – Capitolo 5
Figura 5.22 – Misure conservative. C1) non intervenire su frane; C2) non intervenire su versanti a
diretto contatto con reticolo; C3) non intervenire su sponde in erosione; C4) non costruire nuove
opere trasversali; C5) non costruire nuove opere longitudinali; C6) non fare manutenzione su opere
esistenti.
Misure migliorative
M1) Mobilizzare sedimenti intrappolati a monte di opere trasversali. Consiste nel rimuovere
meccanicamente sedimenti accumulatisi a monte di briglie o traverse e reimmetterli
immediatamente a valle dell’opera stessa o trasportarli in altri punti del reticolo.
M2) Mobilizzare sedimenti in alveo. Consiste nel mobilizzare sedimenti da tratti in sedimentazione,
secondo varie modalità: può comprendere l’asportazione meccanica (es. scavo dal bordo di barre)
oppure la rimodellazione della sezione, facendo in modo che la corrente acquisti maggiore
capacità di trasporto e sia in grado di convogliare i sedimenti a valle (si veda in seguito per
maggiori dettagli).
M3) Mobilizzare sedimenti dalla piana inondabile. Consiste nel recuperare volumi di sedimenti
all’interno della pianura adiacente attraverso interventi di riqualificazione (creazione di piana
inondabile, creazione di rami secondari, ecc.) (si veda in seguito per maggiori dettagli).
M4) Prevedere rilascio di un deflusso solido a valle degli sbarramenti. Consiste nel favorire il
rilascio di una parte dei sedimenti accumulatisi a monte di sbarramenti artificiali, attraverso la loro
periodica escavazione ed asportazione meccanica o attraverso scarichi di fondo.
M5) Mobilizzare sedimenti in situazioni di rischio (per sedimentazione). Consiste nel mobilizzare
depositi localizzati in corrispondenza di strutture di attraversamento (ponti) laddove questi
depositi possono indurre condizioni di rischio idraulico, reimmettendoli a valle della struttura
stessa o in altri tratti a valle.
M6) Immettere sedimenti provenienti da altri tratti del reticolo. Consiste nell’immissione puntuale
o lungo brevi tratti di sedimenti provenienti da altri tratti, appoggiando tali sedimenti sulla sponda
secondo il loro angolo di riposo (si veda in seguito per maggiori dettagli).
M7) Immettere sedimenti in corrispondenza di opere in situazioni di rischio (per erosione).
Rappresenta il caso opposto della misura M5: nel caso di erosioni localizzate in corrispondenza di
opere di attraversamento (erosione alle pile del ponte), si tratta introdurre sedimenti mobilizzati di
poco a monte o da altri tratti e provenienti da situazioni in sedimentazione (in particolare caso
M2).
118
Relazione Finale – Capitolo 5
Figura 5.23 – Misure migliorative. M1) mobilizzare sedimenti intrappolati a monte di opere
trasversali; M2) mobilizzare sedimenti in alveo; M3) mobilizzare sedimenti dalla piana inondabile;
M4) prevedere rilascio di un deflusso solido a valle degli sbarramenti; M5) mobilizzare sedimenti in
situazioni di rischio (per sedimentazione); M6) immettere sedimenti provenienti da altri tratti del
reticolo; M7) immettere sedimenti in corrispondenza di opere in situazioni di rischio (per erosione).
5.5 CARTA DI SINTESI DELLE VARIAZIONI DEL FONDO E DELLE TENDENZE
ATTUALI
Ai fini dell’ottenimento della “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti”
(si veda paragrafo successivo), si è reso necessario definire una classificazione degli alvei principali
(F.Magra e F.Vara) funzionale alla gestione dei sedimenti, che tenesse conto allo stesso tempo di
vari aspetti, quali le variazioni altimetriche passate, le tendenze attuali ed il grado di recupero
morfologico del fondo. Pertanto è stata realizzata una tavola propedeutica, denominata “Carta di
sintesi delle variazioni del fondo e delle tendenze attuali”, la quale viene illustrata in questo
paragrafo. Nella carta viene riportata la classificazione di sintesi, in scala 1:60.000, ed in quattro
riquadri separati sul margine destro della tavola i quattro tematismi sui quali si è basata la
classificazione stessa (Fig.5.24), vale a dire:
1. Variazioni altimetriche dal 1900 al 2004. Tale tematismo è tratto dalla “Carta di sintesi delle
tendenze evolutive” (Relazione Magra 1) e comprende le seguenti classi: S) Stabile (variazioni tra
0.5 e -0.5 m); Il) Incisione limitata (tra -0.5 e -1 m); Im) Incisione moderata (tra -1 e -2 m); Ii)
119
Relazione Finale – Capitolo 5
Incisione intensa (tra -2 e -4 m); Iii) Incisione molto intensa (<-4 m, vale a dire abbassamento
maggiore di 4 m).
2. Recupero morfologico rispetto al 1950. Tale tematismo è tratto dalla “Carta di sintesi dello stato
attuale rispetto al 1950” (Relazione Magra 1), la quale è quella che meglio sintetizza il rapporto tra
le tendenze attuali e le variazioni complessive avvenute nel corso degli ultimi 150 anni circa ed è
quindi particolarmete adatta per gli scopi di gestione dei sedimenti. In particolare, sono state prese
in considerazione solo le classi di recupero altimetrico (quota del fondo), vale a dire: A) recupero di
quota del fondo superiore al 100 %; B) recupero di quota del fondo compreso tra 80 e 100 %; C)
recupero di quota del fondo compreso tra 50 e 80 %; D) recupero di quota del fondo compreso tra 0
e 50 %; E) recupero di quota del fondo inferiore allo 0 %.
3. Tendenze evolutive. Tale tematismo è tratto dalla “Carta di sintesi delle tendenze evolutive”
(Relazione Magra 1) e comprende i seguenti casi: S) in sedimentazione; E/S) in
equilibrio/sedimentazione (tratti in cui fossero presenti evidenze di entrambe le tendenze); E) in
equilibrio; I) in incisione.
4. Bilancio di sedimenti. Sono state considerate le classi derivanti dai risultati del bilancio di
sedimenti ottenuto mediante i calcoli del trasporto solido al fondo, vale a dire: S) in sedimentazione;
E/S) in equilibrio/sedimentazione; E) in equilibrio; E/I) in equilibrio/incisione; I) in incisione. Per
fare ciò, si è ritenuto opportuno fare riferimento al bilancio di sedimenti senza l’inclusione delle
sponde, in quanto, come spiegato nel Cap.4, ritenuto più significativo ai fini della gestione dei
sedimenti.
Figura 5.24 – Carta di sintesi delle variazioni del fondo e delle tendenze attuali.
In Tabella 5.3 si riepilogano le classi relative ai quattro tematismi.
120
Relazione Finale – Capitolo 5
1. Variazioni altimetriche dal 1900 al 2004
S
Stabile (variazioni tra 0.5 e -0.5 m)
Il
Incisione limitata (tra -0.5 e -1 m)
Im
Incisione moderata (tra -1 e -2 m)
Ii
Incisione intensa (tra -2 e -4 m)
Iii
Incisione molto intensa (<-4 m, vale a dire abbassamento maggiore di 4 m)
Nota: mai osservati casi di aggradazione rispetto al 1900
2. Recupero morfologico rispetto al 1950
A
Recupero >100% (cioè in sedimentazione rispetto al 1950)
B
Recupero tra 80 e 100%
C
Recupero tra 50 e 80%
D
Recupero tra 0 e 50%
E
Recupero <100% (cioè tuttora in incisione)
3. Tendenza attuale
S
In sedimentazione
E/S
In equilibrio/sedimentazione
E
In equilibrio
I
In incisione
4. Bilancio sedimenti
S
In sedimentazione
E/S
In equilibrio/sedimentazione
(E)
In equilibrio
E/I
In equilibrio/incisione
I
In incisione
Nota: in equilibrio solo per i tratti a monte e per gli affluenti (condizioni di equilibrio imposte)
Tabella 5.3 – Riepilogo delle classi relative ai quattro tematismi utilizzati per l’ottenimento
della Carta di sintesi delle variazioni del fondo e delle tendenze attuali.
Combinando tra loro le varie possibili casistiche sulla base dei quattro tematismi prima esposti,
sono state ricavate 3 nuove classi, ognuna delle quali suddivisa in due sottoclassi (per un totale di
sei sottoclassi), secondo quanto definito in Tabella 5.4 e 5.5.
Classe
1
2
3
Definizione sintetica
Tratti con tendenza alla
sedimentazione e recupero alto
rispetto al 1950
Tratti con tendenza variabile e
recupero medio rispetto al 1950
Tratti incisi con recupero basso
rispetto al 1950
Definizione estesa
Tratti con tendenza univoca alla sedimentazione,
con aggradazione (1A) o recupero molto alto (1B)
rispetto al 1950
Tratti con recupero alto rispetto al 1950 ma con
tendenze attuali non univoche (2A) oppure con
recupero medio e tendenza univoca alla
sedimentazione (2B)
Tratti incisi, con recupero medio rispetto al 1950
ma con tendenze attuali non univoche oppure con
tendenze univoche alla sedimentazione ma
recupero basso (3A), fino a recupero basso e
tendenza attuale all’incisione (3B)
Tabella 5.4 – Definizione delle classi finalizzate alla gestione dei sedimenti.
In pratica, si è cercato di tener conto delle tendenze attuali (basate sia sulle interpretazioni di
campo che sui calcoli di trasporto solido) rapportate al grado di recupero morfologico. La classe 1
comprende situazioni in cui sia le interpretazioni di campo (tendenze attuali) che i calcoli del
trasporto solido (bilancio di sedimenti) suggeriscono una tendenza univoca alla sedimentazione, e
121
Relazione Finale – Capitolo 5
per le quali allo stesso tempo il recupero altimetrico del fondo rispetto al 1950 fosse molto alto (in
alcuni casi anche superiore al 100%, vale a dire in aggradazione netta anche rispetto al 1950). La
classe 2 rappresenta una situazione intermedia, vale a dire attualmente con tendenza univoca alla
sedimentazione (cioè sia in base ad interpretazioni di campo che in base al bilancio di sedimenti)
ma recupero medio, oppure con recupero alto ma tendenze non univoche alla sedimentazione (vale
a dire quando le interpretazioni di campo ed il bilancio idraulico presentano risultati tra loro
contrastanti). La classe 3 raccoglie i tratti con incisione da moderata a molto intensa, con alcuni casi
di sedimentazione attuale ma con recupero ancora limitato rispetto al 1950, fino a casi tuttora in
incisione.
Classe
1A
1. Variazioni
altimetriche
rispetto al 1900
S
1B
S, Il
2A
S, Il
2B
3A
Im, Ii, Iii
Im, Ii, Iii
2. Recupero
rispetto al 1950
3. Tendenze
attuali
4. Bilancio di
sedimenti
A
S, E/S (E non esiste
associato a classe A
di recupero)
S, E/S (E)
B
C, D
A, B
C, D
A, B
C, D
B, C
C
C
D
E, E/S, E
E, E/S, E
S, E/S, E
S, E/S, E
I
I
S, E/S
S, E/S, E
E
S, E/S
S, E/S (E)
S, E/S (E)
E/I, I
E/I, I
S, E/S
S, E/S
S, E/S (E)
E/I, I
S, E/S
S, E/S, E, E/I, I
D
S, E/S, E, I
(qualunque)
S, E/S, E
(qualunque)
Im, Ii, Iii
3B
D, E
E, I
E/I, I
Tabella 5.5 – Definizione delle classi sulla base dell’incrocio delle casistiche relative ai quattro
tematismi considerati.
Tratto
Variazioni
Recupero
Tendenze
Bilancio
Classe
1M
2M
3M
Gordana
4M
5M
6M
7M
8M
9M
10M
11M
12M
13M
14M
Bagnone
15M
16M
17M
18M
S
S
S
Il
Il
S
Il
Il
Il
Im
Im
Im
Im
S
S
Il
S
S
Il
Im
D
D
D
nd
B
A
B
C
C
C
C
B
C
A
A
nd
A
A
C
C
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E
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E/S
E/S
E/S
S
E
S
S
S
E/I
1B
2A
2A
1B
2A
2A
2A
2A
1B
2B
2B
2B
2B
1A
1A
1B
1A
1A
1B
2A
122
Relazione Finale – Capitolo 5
19M
20M
21M
22M
Taverone
23M
24M
Aulella
25M
26M
27M
28M
29M
30M
31M
32M
33M
1V
2V
3V
4V
5V
6V
7V
8V
Stora
9V
10V
11V
12V
13V
14V
15V
16V
17V
Gottero
18V
19V
20V
21V
22V
23V
24V
25V
26V
Mangia
27V
28V
29V
30V
31V
32V
33V
34V
35V
36V
37V
38V
39V
S
Il
Im
Im
S
Im
Im
Il
Im
Im
Im
Ii
Ii
Ii
Ii
Iii
Iii
Il
Il
Il
Il
S
S
Il
Il
S
Il
Im
Im
Im
Im
Il
Il
S
Il
S
Im
S
Il
Il
Im
Im
Im
Im
Im
S
Im
Im
S
Im
Im
Im
Im
Im
Im
Im
Ii
Ii
Ii
A
C
C
C
nd
C
C
nd
C
C
C
D
D
D
D
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D
D
D
B
B
A
A
B
B
nd
B
C
C
C
C
B
B
A
B
nd
C
D
D
B
C
C
C
C
C
nd
C
C
A
C
C
C
D
C
D
D
D
C
C
E/S
E
E/S
E
E/S
E/S
E
E
E
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S
S
S
S
S
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S
S
S
S
S
S
E
S
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E
S
S
123
E/I
E/I
E/I
I
E
I
S
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S
I
I
I
I
I
I
I
I
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E/I
E/I
E/I
E/I
E/I
I
I
E/I
E/I
E/I
2A
2A
3A
3A
1B
3A
3A
1B
3A
3A
3A
3B
3B
3B
3A
3B
3B
1B
1B
1B
1B
1A
1A
1B
1B
1B
2A
3A
3A
3A
3A
1B
1B
1A
1B
1B
3A
2A
2A
2A
3A
3A
3A
3A
2B
1B
2B
3A
2A
3A
3A
3A
3B
3A
3B
3B
3B
3A
3A
Relazione Finale – Capitolo 5
40V
41V
42V
Usurana
43V
44V
45V
46V
47V
48V
49V
50V
34M
35M
36M
37M
38M
39M
40M
41M
42M
43M
44M
45M
46M
47M
48M
49M
Im
Im
Im
Il
Ii
Ii
Ii
Ii
Im
Im
Ii
Ii
Iii
Iii
Iii
Iii
Iii
Iii
Iii
Iii
Iii
Iii
Iii
Iii
Iii
Iii
Iii
Iii
D
D
D
nd
D
D
D
D
C
D
D
D
D
D
D
D
D
D
D
D
E
E
E
D
D
E
D
D
E
E
E
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E
E/S
E/S
E
E/S
E
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S
S
S
S
S
S
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I
I
E
E
I
E
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E/I
E/I
E
S
S
E/S
E/S
E/S
E/S
E/S
E/S
E/I
E/I
E/I
E/I
E/I
E/I
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
nd
3B
3B
3B
1B
3A
3A
3A
3A
2B
3A
3A
3A
3B
3A
3A
3A
3A
3A
3A
3A
3B
3B
3B
3A
3A
3B
3A
3A
Tabella 5.6 – Classificazione dei tratti, per ogni km, in funzione delle variazioni morfologiche,
recupero, tendenze attuali e bilancio di sedimenti. La classe di recupero per gli affluenti non è
disponibile (nd). Il bilancio di sedimenti si ferma al tratto 48M, pertanto a valle di esso la classe di
bilancio non è disponibile (nd).
5.6 CARTA DELLE STRATEGIE DI INDIRIZZO PER LA GESTIONE DEI SEDIMENTI
Attraverso la “Carta delle Strategie di Indirizzo per la Gestione dei Sedimenti” si sintetizzano le
linee d’azione ed i principi ispiratori generali descritti finora, applicandoli ai vari ambiti, sottobacini
e tratti fluviali nel bacino del Fiume Magra. La carta è in scala 1:60.000 e comprende un’unica
tavola (Figura 5.25).
La Legenda è organizzata in due parti: 1) la prima parte, disposta in verticale sul fianco sinistro
della tavola, riporta gli elementi conoscitivi; 2) la seconda parte, disposta orizzontalmente
nell’angolo in basso a sinistra della tavola, riporta le strategie di gestione e linee di azione. Si
descrivono di seguito sinteticamente gli elementi rappresentati in legenda.
Elementi conoscitivi
1. Ambiti territoriali e reticolo idrografico. Si delimitano innanzitutto i tre ambiti territoriali
definiti precedentemente, vale a dire: 1. Medio-alto Magra; 2. Medio-alto Vara; 3. Basso Magra e
Vara. Si riporta inoltre il reticolo idrografico dal secondo ordine secondo la gerarchizzazione di
Horton-Strahler.
124
Relazione Finale – Capitolo 5
Figura 5.25 – Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti.
2. Frane. Si riportano sulla carta solo le frane selezionate come significative ai fini della ricarica dei
sedimenti, secondo i criteri definiti nel par.3.8, vale a dire: 1) frane ricadenti in classe IV
(potenziale alto) e V (potenziale molto alto), escludendo le frane a rischio ricadenti nelle classi R3
ed R4 del PAI.; 2) sono escluse le frane ricadenti nei sottobacini della porzione alta del bacino del
Magra a monte dell’abitato di Pontremoli, per motivi di distanza ed ubicazione sfavorevole; 3) sono
escluse le frane nella porzione di bacino del F.Vara a monte della diga di S.Margherita, per motivi
di connessione sfavorevole.
3. Sottobacini per la ricarica diretta nel reticolo. Si riportano sulla carta i sottobacini selezionati
come significativi ai fini della ricarica diretta di sedimenti (totale di 16), secondo i criteri definiti
nel par.3.8, vale a dire: 1) classe del potenziale di ricarica diretta (esclusi i sottobacini ricadenti
nelle classi I, II e III); 2) Distanza; 3) Ubicazione; 4) Connessione. In particolare, da un punto di
vista grafico, sulla carta vengono evidenziate (sfondo verde) le aree con potenziale di ricarica
diretta maggiore di zero. All’interno di tali aree si riporta il reticolo idrografico, mentre la parte di
reticolo non ricadente in aree significative per il potenziale di ricarica non è riportata sulla carta, ad
eccezione dei tratti terminali di tutti i principali affluenti (quelli classificati come intermedi).
4. Classificazione alvei principali. Gli alvei sono classificati nelle tre classi (1, 2, 3) e sei
sottoclassi (1A, 1B, 2A, 2B, 3A, 3B) secondo quanto definito nel paragrafo precedente e secondo
quanto riportato nella “Carta di sintesi delle variazioni del fondo e delle tendenze attuali”.
5. Bilancio sedimenti. Vengono evidenziati i tratti in cui sono stati suddivisi i due fiumi ai fini del
bilancio di sedimenti e vengono riportati i valori di bilancio medio annuo. Tali valori sono
utililizzati successivamente nell’ambito delle linee guida di gestione dei sedimenti
(raccomandazioni B6 e B7) relative ai quantitativi mobilizzabili nei tratti a classi 1 o 2.
125
Relazione Finale – Capitolo 5
6. Condizioni confluenza. Vengono classificate le condizioni della confluenza dei principali
affluenti (secondo quanto osservato nella fase di campo: si veda par.3.5), distinguendo i due casi:
A) abbondanza di sedimenti; S) scarsità di sedimenti.
7. Tratti particolari. Si evidenziano i due tratti ad elevato pregio naturalistico, vale a dire: 1.
Piana di Filattiera; 2. Confluenza Vara – Magra. Si evidenzia infine il tratto prefociale,
caratterizzato da problematiche e criteri di gestione dei sedimenti particolari.
Strategie di gestione e linee d’azione
1. Strategie generali ambiti territoriali. Innanzitutto si possono associare alcune priorità e
strategie differenziate ai tre ambiti territoriali, sintetizzabili come segue:
Strategie generali ambito 1: preservare le attuali condizioni dell’alveo e favorire la ricarica ed il
trasporto verso valle per tendere a migliorare le condizioni degli alvei nell’ambito 3.
Strategie generali ambito 2: preservare le attuali condizioni dell’alveo e favorire la ricarica ed il
trasporto verso valle per tendere a migliorare le condizioni degli alvei nell’ambito 3.
Strategie generali ambito 3: favorire l’arrivo/immissione di sedimenti da tratti a monte e dal tratto
stesso (per erosione laterale).
2. Linee d’azione o misure. Si riportano le misure o linee d’azione descritte nel paragrafo
precedente e qui di seguito elencate.
Misure conservative: C1) Non intervenire su frane; C2) Non intervenire su versanti a diretto
contatto con reticolo; C3) Non intervenire su sponde in erosione; C4) Non costruire nuove opere
trasversali; C5) Non costruire nuove opere longitudinali; C6) Non fare manutenzione su opere
esistenti.
Misure migliorative: M1) Mobilizzare sedimenti intrappolati a monte di opere trasversali; M2)
Mobilizzare sedimenti in alveo; M3) Mobilizzare sedimenti dalla piana inondabile; M4) Prevedere
rilascio di un deflusso solido a valle degli sbarramenti; M5) Mobilizzare sedimenti in situazioni di
rischio (per sedimentazione); M6) Immettere sedimenti provenienti da altri tratti del reticolo; M7)
Immettere sedimenti in corrispondenza di opere in situazioni di rischio (per erosione).
Linee d’azione frane
- Le frane riportate sulla carta sono da considerarsi aree di ricarica naturale di sedimenti non a
rischio. Per tali frane vale l’azione C1: “Non intervenire su frane”, vale a dire è fortemente
sconsigliato qualunque intervento di stabilizzazione.
Linee d’azione sottobacini
- Per tali sottobacini vale in generale l’azione C2: “Non intervenire su versanti a diretto contatto con
reticolo”, ovvero è fortemente sconsigliato qualunque intervento di stabilizzazione o di protezione
dall’erosione di sponde o versanti a contatto o nelle immediate vicinanze con aste fluviali del
reticolo.
- Valgono inoltre le seguenti misure relative alle aste fluviali rientranti in questi sottobacini:
C3: “Non intervenire su sponde in erosione”; C4: “Non costruire nuove opere trasversali”; C5:
“Non costruire nuove opere longitudinali”.
- Vale la misura C6: “Non fare manutenzione su opere esistenti” eccetto laddove le opere esistenti
sono a protezione di elementi a rischio e la loro mancata manutenzione minacci il danneggiamento
di tali elementi.
- Vale inoltre la misura M1: “Mobilizzare sedimenti intrappolati a monte di opere trasversali”
laddove esistono opere trasversali (briglie o dighe) che bloccano o rallentano il libero transito di
sedimenti al fondo.
3. Gestione sedimenti negli alvei principali. Alle tre classi principali (1, 2 e 3) si associano
determinate strategie e linee d’azione, definite come segue:
Classe 1: Promuovere la mobilizzazione nel tratto stesso (azione M2) o verso i tratti a classe 3 a
valle più vicini (azioni M1 o M5);
126
Relazione Finale – Capitolo 5
Classe 2: Consentire la mobilizzazione nel tratto stesso (azione M2) o verso i tratti a classe 3 a
valle più vicini (azioni M1 o M5);
Classe 3: Non consentire alcuna mobilizzazione, eccetto nel caso di sedimentazioni localizzate in
corrispondenza di opere (azione M5), permettendo solo spostamenti a valle all’interno dello stesso
tratto. Promuovere l’immissione di sedimenti (azioni M6 o M7) provenienti da tratti a monte.
Per raccomandazioni più dettagliate relative ai sedimenti in alveo, si rimanda al paragrafo
successivo.
4. Gestione tratti specifici. Per quanto riguarda i tratti specifici, si definiscono le seguenti
raccomandazioni:
Tratti ad elevato pregio geomorfologico: evitare modifica o azione in alveo che possa interferire
con la morfologia ed i processi attuali (azioni C3, C4, C5, C6).
Tratto prefociale: mantenimento della sezione di deflusso, consentendo a tal fine periodiche
mobilizzazioni di sedimenti, a condizione che essi rimangano all’interno della stessa unità
fisiografica.
5.7 GESTIONE DEI SEDIMENTI: LINEE GUIDA E RACCOMANDAZIONI
Scopo di questo paragrafo è quello di integrare le raccomandazioni già definite
precedentemente nella Relazione Magra I sulla base dei nuovi elementi conoscitivi acquisiti in
questa seconda fase dello studio. Le presenti raccomandazioni sono parte integrante della “Carta
delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti” e sono quindi ad essa strettamente
collegate. Per alcune tipologie di interventi e di strategie di gestione, si farà inoltre riferimento ad
esperienze condotte in altri paesi per gli stessi scopi.
5.7.1 Normativa esistente per il bacino del Fiume Magra
La base di partenza e di riferimento per la definizione o il perfezionamento di linee guida e di
procedure normative per la gestione di sedimenti nel bacino del Fiume Magra è costituita dalla
normativa esistente in merito, vale a dire l’Art.10 delle Norme di attuazione delle Misure di
Salvaguardia per l’Assetto Idrogeologico del bacino del fiume Magra, Autorità di Bacino
Interregionale del Fiume Magra, il cui testo è riportato integralmente di seguito per comodità di
lettura.
ART. 10 Rimozione di sedimenti da alvei ed aree inondabili - Norme generali.
1. Anche al fine di coniugare le esigenze locali di ripristino dell’officiosità idraulica degli alvei e di ripascimento degli
arenili, negli alvei dei corsi d’acqua che costituiscono il reticolo idrografico del bacino del F. Magra valgono le
seguenti norme generali vincolanti:
a) La rimozione di sedimenti è consentita nei seguenti casi:
1. interventi che riguardino quantitativi massimi di mc.100 per richiedente per anno e che siano finalizzati ad
interventi di realizzazione di opere idrauliche, di restauro conservativo di edifici e infrastrutture, nonché al
mantenimento dei percorsi esistenti in ambito fluviale, previa specifica autorizzazione dell’Autorità idraulica
competente;
2. interventi che si rendano necessari per la navigabilità nelle zone consentite, per la manutenzione e
conservazione della sezione utile di deflusso e per l’eliminazione di cause di pregiudizio della funzionalità
delle opere e delle infrastrutture;
3. interventi che si rendano necessari per il mantenimento dell’officiosità dei canali di scarico e/o del volume
utile di ritenzione di bacini regolati da opere di sbarramento idraulico;
4. interventi che si rendano necessari per il mantenimento dell’efficienza idraulica delle opere di laminazione
realizzate secondo le previsioni del Piano.
b) Le attività previste alla lettera a), punti 2), 3) e 4) sono consentite a condizione che il materiale rimosso sia
utilizzato nei seguenti modi e priorità:
1. movimentazione in loco o nelle immediate pertinenze dell’alveo, con possibilità di utilizzo della frazione
grossolana per la realizzazione di opere idrauliche;
2. risistemazione in sezioni a valle soggette ad erosione;
3. risistemazione nei litorali connessi come definiti all’art. 5;
127
Relazione Finale – Capitolo 5
4. in deroga al punto precedente, è consentita la risistemazione nei litorali non connessi della riviera spezzina,
non dotati di alimentazione propria, qualora sia impossibile la risistemazione nei litorali connessi;
5. smaltimento in discarica solo nel caso in cui il materiale sia classificato come rifiuto non inerte.
c) Ai sensi dell’art. 10 della Legge 23 marzo 2001, n. 93, i sedimenti oggetto di rimozione dal demanio fluviale e di
risistemazione nel demanio marittimo, ai fini del ripascimento degli arenili, non sono considerati rifiuti.
d) I progetti degli interventi di rimozione di sedimenti dagli alvei, di cui al presente comma, sono approvati
dall’Autorità Idraulica competente, che acquisisce il parere obbligatorio e vincolante del Comitato Tecnico
dell’Autorità di Bacino nei casi di progetti riguardanti volumi superiori ai 5.000 m3.
e) I progetti di cui alla lettera d) devono prevedere tempi di realizzazione più brevi possibili, con conseguente
scadenza dell’autorizzazione in caso di superamento dei tempi previsti, nonché modalità di controllo delle
quantità estratte anche attraverso accertamenti documentali e verifica delle sezioni riferite ad inizio e termine
lavori.
f) I progetti di cui alla lettera d) devono in ogni caso contenere, oltre agli aspetti idraulici, anche quelli relativi alla
tutela degli elementi ambientali coinvolti dagli interventi, rispettando indicazioni di cui all’Allegato n. 3.
2. Fino al 31.12.2002, e limitatamente alle quantità di sedimenti, di cui al comma 1, lettera a), punti 2, 3 e 4, che sia
dimostrato non essere possibile ricollocare nei modi indicati al comma 1, lettera b), è consentita la compensazione
dell’onere della sistemazione, conseguente a calamità naturali o diretta a prevenire situazioni di rischio, con il
valore del materiale estratto riutilizzabile in conformità all’art.10-bis della L. 23 dicembre 1996, n.677, ossia sulla
base di appositi piani d’intervento da sottoporre a nulla osta del Comitato Tecnico dell’Autorità di Bacino, e da
redigersi seguendo i criteri indicati nell’Allegato n° 7.
3. La scadenza di cui al comma 2 può essere prorogata dal Comitato Istituzionale dell’Autorità di Bacino a seguito di
analoghe proroghe concesse dallo Stato in materia di protezione civile.
4. Al fine di tutelare il sistema idrogeologico di fondovalle, la rimozione dei sedimenti dalle aree inondabili di golena
esterne agli alvei, perimetrate in TAV. 4 come inondabili per eventi con tempi di ritorno fino a 200 anni, è consentita
solo nei seguenti casi ed alle seguenti condizioni:
a) deve riguardare le sole aree interessate da interventi strutturali di laminazione previsti dal Piano;
b) può configurarsi come cava di prestito per la realizzazione di opere pubbliche di interesse statale, riconosciuto
dalla Regione Liguria e dalla Regione Toscana per i rispettivi territori di competenza, se finalizzata anche alla
realizzazione delle opere connesse con gli interventi strutturali di laminazione di cui alla lettera a);
c) non deve interferire con il regime idrico della falda e deve riguardare i soli volumi utili alla laminazione e quelli
necessari alla realizzazione delle opere idrauliche e degli interventi di recupero ambientale;
d) i relativi progetti devono contenere contestualmente anche il progetto dell’opera idraulica e di ripristino
ambientale, così come contestuale deve essere anche la loro realizzazione; tali progetti, in quanto progetti di
Piano, devono essere approvati con le modalità indicate all’art. 16, comma 2, lettera b).
5. Ad esclusione dei casi consentiti ed indicati al presente articolo, è vietata la rimozione di sedimenti dagli alvei dei
corsi d’acqua e dalle aree perimetrale in TAV 4 come inondabili per eventi con tempi di ritorno fino a T=200 anni.
5.7.2 Raccomandazioni e linee guida per la gestione dei sedimenti
Le seguenti raccomandazioni sono suddivise in tre principali azioni (Tabella 5.7):
1. Mobilizzazione di sedimenti in alveo;
2. Mobilizzazione di sedimenti dalla pianura;
3. Reintroduzione di sedimenti in alveo.
La mobilizzazione di sedimenti in alveo è l’azione principale. Si parla di mobilizzazione di
sedimenti in quanto, condividendo quanto riportato nell’Art.10, comma 1 lettera b) delle norme di
attuazione del Progetto di Piano Stralcio, il materiale rimosso andrebbe riutilizzato prioritariamente
per obiettivi di riequilibrio sedimentologico del fiume o della linea di costa. Non è quindi
contemplata la possibilità di rimozione dei sedimenti intesa come asportazione degli stessi dal
sistema fluviale. Si prenderanno in rassegna inoltre varie tipologie di mobilizzazione di sedimenti
dalla pianura, qualora questa strategia fosse perseguibile e soprattutto in associazione a possibili
interventi di riqualificazione fluviale, facendo riferimento ad esperienze simili condotte in altri
paesi. L’ultima azione è quella di immissione, o il più delle volte meglio definibile come
reimmissione di sedimenti in alveo.
128
Relazione Finale – Capitolo 5
Azioni
1. Mobilizzazione di sedimenti in alveo
A. Se e quando mobilizzare sedimenti
B. Quanti sedimenti possono essere mobilizzati
C. Da dove dovrebbero essere mobilizzati
D. Qual è il modo migliore per mobilizzare sedimenti
E. Quanto frequentemente dovrebbero essere mobilizzati
F. Dove spostare i sedimenti mobilizzati
2. Mobilizzazione di sedimenti nella pianura
3. Reintroduzione di sedimenti in alveo
Raccomandazioni
A1, A2, A3
B4, B5, B6, B7, B8, B9
C10, C11, C12, C13, C14
D15, D16, D17
E18
F19, F20, F21, F22
23
24, 25, 26
Tabella 5.7 – Riepilogo delle raccomandazioni di gestione dei sedimenti suddivise per azioni.
1. Mobilizzazione di sedimenti in alveo
A. Se e quando mobilizzare sedimenti
1. E’ necessario preservare il più possibile la diversificazione morfologica naturale che il corso
d’acqua possiede o tende ad acquisire, cioè le sequenze riffle-pool, le barre, le isole, la piana
inondabile, le sinuosità naturali del canale di magra, in quanto la loro presenza promuove
spontaneamente la diversificazione di habitat e la funzionalità ecologica e da un punto di vista
geomorfologico favorisce il mantenimento di una configurazione stabile (equilibrio dinamico).
2. In generale è necessario pertanto limitare gli interventi di mobilizzazione di sedimenti in
alveo, dal momento che essi possono arrecare alterazioni al sistema fisico e disturbo agli
ecosistemi esistenti. In particolare, deve essere evitato qualunque intervento durante il periodo
di riproduzione dei pesci o altri periodi critici per gli ecosistemi, sia per il disturbo diretto che
per il possibile aumento di torbidità dell’acqua.
3. Si possono mobilizzare sedimenti esclusivamente da tratti attualmente in equilibrio e/o
sedimentazione che rientrano in classe 1 o classe 2 della “Carta delle strategie di indirizzo per
la gestione dei sedimenti” (quindi aventi un elevato recupero morfologico del fondo rispetto alla
situazione di riferimento del 1950). Nel caso di tratti in classe 1, è opportuno promuovere la
mobilizzazione di sedimenti, destinandoli a tratti a valle in deficit di sedimenti. Nel caso di
tratti in classe 2, si può consentire la mobilizzazione di sedimenti, spostandoli nello stesso
tratto o destinandoli a tratti a valle in deficit di sedimenti, qualora la presenza di un’eccessiva
quantità di sedimenti può creare condizioni di rischio per infrastrutture o abitazioni adiacenti.
Qualora non siano presenti condizioni di rischio (vicinanza di infrastrutture o abitazioni), pur in
condizioni di evidente sedimentazione, non è necessario intervenire. Nel caso di tratti in classe
3, si possono mobilizzare sedimenti solo in situazioni di sedimentazione localizzata in
corrispondenza di opere, dove tali sedimenti possano creare condizioni di grave rischio per le
opere stesse o per infrastrutture o abitazioni adiacenti.
B. Quanti sedimenti possono essere mobilizzati
4. L’alimentazione di sedimenti in un tratto di fiume è fortemente variabile nel tempo. Talora,
per un numero considerevole di anni non si verificano portate tali da produrre una significativa
alimentazione di sedimenti in un dato tratto di fiume ed in questi anni solo piccole quantità di
sedimenti sono rifornite a quel tratto. Ciò implica che il mantenimento di tassi di rimozione
stazionari nel tempo in tali periodi può essere molto dannoso. E’ preferibile che la quantità di
sedimenti stabilita con i criteri successivi venga mobilizzata a seguito di piene di una certa
intensità, in grado di produrre o accentuare situazioni di sedimentazione, piuttosto che durante
periodi senza piene significative.
5. Affinché la rimozione di sedimenti abbia effetti minimi sulle condizioni morfologiche
dell’alveo, è cruciale il rapporto tra quantità rimossa ed il tasso di rifornimento di
sedimenti da monte (o alimentazione: replenishment rate). La quantità rimossa dovrebbe
129
Relazione Finale – Capitolo 5
6.
7.
8.
9.
essere inferiore al tasso di alimentazione. Per definire quantitativamente l’eventuale volume di
sedimenti da mobilizzare: (a) si fa riferimento alla stima del solo trasporto solido al fondo; (b)
in particolare, la grandezza su cui si basa la massima quantità mobilizzabile è la differenza tra
trasporto solido proveniente dal tratto a monte e capacità di trasporto del tratto.
Per i volumi mobilizzabili, occorre pertanto far riferimento ai valori del bilancio medio
annuo. Per i tratti in classe 1, si possono distinguere due casi: a) il valore del bilancio medio
annuo del tratto è positivo; b) il valore del bilancio medio annuo del tratto è negativo (si ricorda
che ciò è possibile nel caso in cui il tratto, secondo il bilancio idraulico, è in equilibrio,
richiamando il fatto che tale caso comprende anche situazioni di bilancio lievemente negativo).
Nel caso di bilancio positivo, è possibile prevedere uno spostamento verso il primo tratto a
valle di classe 3: il volume mobilizzabile da un tratto non può eccedere il valore di bilancio
medio annuo, riportato nella “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti”.
Dato che è raccomandabile eseguire un intervento di mobilizzazione nello stesso tratto al
massimo ogni 5 anni (punto E18), teoricamente sarebbe possibile mobilizzare un volume pari a
5 volte il valore del bilancio medio annuo. Tuttavia, cautelativamente si raccomanda di non
superare un volume pari a 2,5 volte il bilancio medio annuo. Nel caso di bilancio negativo, i
sedimenti mobilizzati devono essere spostati all’interno dello stesso tratto, a valle
dell’intervento, preferendo un intervento di aumento locale della capacità di trasporto (punto
D16) piuttosto che una mobilizzazione meccanica.
Per i tratti in classe 2, analogamente al punto precedente, si possono distinguere due casi: a) il
valore del bilancio medio annuo del tratto è positivo; b) il valore del bilancio medio annuo del
tratto è negativo (si ricorda che ciò è possibile nel caso in cui il tratto ha una tendenza
all’incisione, secondo il bilancio idraulico, oppure è in equilibrio, ricordando che tale caso
comprende anche situazioni di bilancio lievemente negativo). Nel caso di bilancio positivo, è
possibile prevedere uno spostamento verso il primo tratto a valle di classe 3: per quanto riguarda
i volumi mobilizzabili, si è ricondotti al punto precedente (B6). Nel caso di bilancio negativo, i
sedimenti mobilizzati devono essere di volume limitato e spostati all’interno dello stesso tratto,
a valle dell’intervento di mobilizzazione e dove non esistano situazioni di sedimentazione
localizzata ed allo stesso tempo condizioni di rischio, preferendo un intervento di aumento
locale della capacità di trasporto (punto D16) piuttosto che una mobilizzazione meccanica.
Per i tratti in classe 3, i quantitativi rimossi devono essere molto limitati, limitandosi alla
quantità strettamente necessaria per eliminare la sedimentazione localizzata.
Esistono comunque molte incertezze legate all’attendibilità delle stime di portata solida ed al
fatto che i tassi di alimentazione di sedimenti sono fortemente variabili nel tempo. E’ necessario
quindi prevedere in tutti i casi un monitoraggio, per riverificare i tassi massimi
precedentemente definiti nel caso in cui si registrassero effetti indesiderati.
C. Da dove dovrebbero essere mobilizzati
Una volta individuato il tratto dove effettuare una certa mobilizzazione di sedimenti (in base al
punto A3), devono esistere anche alcune limitazioni sui punti precisi dove intervenire, in modo
da preservare la variabilità morfologica e topografica nell’alveo. Si possono definire le seguenti due
limitazioni particolari:
10. Non deve essere consentito un abbassamento sistematico della sommità delle barre lungo
l’intero tratto di intervento. Ciò infatti eliminerebbe gli habitat ad esse associati, i quali sono
particolarmente importanti come rifugio per la fauna durante le piene, e ridurrebbe la possibilità
per lo sviluppo di nuove isole nel tratto interessato (si veda per maggiori dettagli il punto D).
11. Non deve essere contemplata una persistente mobilizzazione di sedimenti del fondo in un
unico punto della quantità massima stabilita, in quanto ciò produrrebbe un’interruzione del
flusso continuo di materiale del fondo a valle di quel punto e creare una netta discontinuità. Ciò
130
Relazione Finale – Capitolo 5
porterebbe ad abbassamento del fondo immediatamente a monte ed a valle, con una significativa
riduzione della variabilità topografica nel tratto interessato.
12. In situazioni di barre alte a forma lobata caratteristiche di tratti semiconfinati a brusca
curvatura, si potrebbe effettuare una mobilizzazione di sedimenti dalla superficie della barra e
sul fianco rivolto verso il fondo dell’alveo per circa i 2/3 di valle della barra, in modo da
incrementare la portata defluibile e ridurre i livelli idrici locali ed a monte durante le piene. I
sedimenti rimossi possono essere spostati e ridistribuiti immediatamente a valle della curva, in
modo da essere mobilizzati durante piene successive. Bisognerebbe invece evitare una
rimozione di materiale nella zona di testa (estremità a monte) della barra: essendo questa una
zona di incidenza diretta da parte della corrente liquida, caratterizzata in genere da sedimenti più
grossolani ed in parte corazzati, una sua rimozione completa potrebbe destabilizzare l’alveo
producendo effetti imprevedibili ed indesiderati. Inoltre, i punti più alti della barra non
dovrebbero essere rimossi per le ragioni prima esposte.
13. Nei casi di barre laterali o di meandro la cui presenza favorisce l’incidenza della corrente
nei confronti della sponda opposta, la quale risulta in erosione ed il cui arretramento mette a
rischio la presenza di insediamenti o infrastrutture che si vogliono difendere: si possono
considerare valide le precedenti raccomandazioni, cercando di rimuovere sedimenti solo dal
fianco della barra, evitando quindi di abbassarne la sommità, ed utilizzando i sedimenti
mobilizzati adagiandoli sulla sponda opposta in erosione, in modo da favorirne il transito verso
valle durante le piene successive
14. In situazioni di sedimentazione localizzata legate ad opere antropiche (ponti, briglie, soglie),
è opportuno rimuovere periodicamente i sedimenti dalle pile del ponte o a monte della briglia e
della soglia, spostandoli e distribuendoli uniformemente a valle, per un tratto sufficientemente
lungo da evitare accumuli localizzati che possano avere effetti sensibili sulla corrente. Se anche
il tratto immediatamente a valle è in forte sedimentazione ed esistono altre situazioni di rischio,
ci si riconduce ai casi G17 o G18.
D. Qual è il modo migliore per mobilizzare sedimenti
Esistono varie tecniche per mobilizzare sedimenti da un alveo fluviale. Si possono
innanzitutto distinguere due approcci diversi: a) mobilizzare meccanicamente i sedimenti, attraverso
operazioni di asportazione e spostamento effettuate con mezzi di scavo; b) indurre un aumento
localizzato della capacità di trasporto, favorendo la mobilizzazione da parte della corrente.
1. Mobilizzazione meccanica. Le tecniche possibili sono a loro volta riconducibili alle seguenti
principali categorie: (1) realizzazione di uno scavo profondo (deep pit) lungo il canale principale
o nelle immediate adiacenze; (2) dragaggio continuo del fondo (continuous dredging); (3)
asportazione della sommità della barra (bar scalping); (4) scavo lungo il bordo della barra (baredge excavation).
La realizzazione di uno scavo profondo (deep pit) (Figura 5.26a) (più frequentemente
adoperata) è quella economicamente più conveniente dal punto di vista di chi effettua l’attività
estrattiva, dal momento che è relativamente più semplice tecnicamente e, a parità di lunghezza del
tratto di intervento, i volumi estratti sono maggiori. Dal punto di vista morfologico ed ecologico
essa rappresenta invece la tecnica più dannosa, in quanto ha un maggiore impatto sull’equilibrio
morfologico del corso d’acqua. L’intervento può infatti indurre un riempimento della zona soggetta
a scavo e privare il tratto di valle dei sedimenti depositatisi, causando possibili processi di erosione
che progressivamente possono alterare la morfologia dell’alveo.
Il dragaggio continuo del fondo (continuous dredging) è invece quello tipicamente utilizzato
per scopi di mantenimento della navigabilità. Rappresenta ovviamente un intervento a forte impatto
per la morfologia dell’alveo o gli habitat, ma nel tratto prefociale è l’unico possibile se
effettivamente si vogliano mantenere condizioni di navigabilità.
131
Relazione Finale – Capitolo 5
L’asportazione della sommità di una barra (bar scalping) (Figura 5.26a) è, rispetto alle due
precedenti, certamente meno impattante. Può essere eseguita durante periodi di magra interamente
su porzioni emerse della barra, pertanto non ha effetti immediati consistenti sulla qualità dell’acqua
(aumento di torbidità). Tale tecnica presenta tuttavia una serie di problemi dal punto di vista di
conservazione degli habitat, principalmente i seguenti:
- Modifica aree relativamente estese dell’alveo in rapporto al volume di materiale rimosso. Viene
generata una superficie di materiale sciolto e parzialmente rimaneggiato che è soggetto più
facilmente ad erosione, soprattutto le frazioni più fini, rispetto alla superficie parzialmente
corazzata pre-esistente.
- Elimina le irregolarità presenti sulle sommità delle barre che sono generalmente in grado di
creare microhabitat.
- Riduce la quota della sommità delle barre eliminando dei potenziali rifugi per organismi di vario
genere durante piene di modesta entità.
Lo scavo lungo il bordo della barra (bar-edge excavation) (Figura 5.26b), permette di
lasciare invariata la quota della sommità della barra effettuando lo scavo solo dal lato a contatto con
il canale di magra. La sezione rimossa è assimilabile ad un parallelogramma, il cui spessore può
variare a seconda del volume totale di sedimenti da rimuovere. Tale tecnica minimizza gli svantaggi
precedenti: in particolare, rimanendo invariata l’altezza della barra, permette il mantenimento di
rifugi durante piene di modesta entità. Tuttavia esiste l’inconveniente di richiedere uno scavo
direttamente a contatto con l’acqua, con varie conseguenze, quali: effetti sulla qualità dell’acqua per
i tratti a valle a seguito del rilascio di materiale fine; possibile disturbo di aree adatte alla
deposizione di uova da parte di pesci; forti impatti sulle popolazioni di organismi bentonici.
Figura 5.26 - Possibili tecniche di asportazione di sedimenti da un tratto in sedimentazione con
barre (da Church et al., 2001). a) Realizzazione di uno scavo profondo (deep pit) o asportazione
della sommità della barra (bar scalping); b) scavo lungo il bordo della barra (bar-edge excavation).
2. Aumento locale della capacità di trasporto. Una tecnica alternativa alla mobilizzazione
meccanica è quella di rimodellare l’alveo attivo in modo tale da creare una geometria temporanea
che accresca localmente la capacità di trasporto della corrente. Ciò viene ottenuto restringendo
localmente l’alveo attivo, spostando i sedimenti in posizione più centrale in modo da delimitare il
canale attivo da uno o da entrambi i lati da piccoli rilevati di ghiaia spostati nel tratto stesso. Il corso
d’acqua aumenta localmente la capacità di trasporto ed è in grado di mobilizzare i sedimenti stessi
accumulati sui fianchi e ne favorisce il transito verso valle. Tali interventi, ripetuti lungo i tratti più
sensibili, permettono ai sedimenti di migrare nei tratti in deficit. Interventi di questo tipo sono stati
ad esempio eseguiti nel bacino del Drome in Francia (Figura 5.27) (Piegay & Rinaldi, 2006).
132
Relazione Finale – Capitolo 5
Figura 5.27 – Esempio di intervento di aumento locale della capacità di trasporto sul F.Drome
(Francia).
Nel caso di un tratto rettilineo, i sedimenti accumulati sulle barre laterali vanno spostati verso il
centro dell’alveo in modo da creare una specie di argine fra il canale di magra e la barra (Figura
5.28A). Particolare cautela va usata nel modellare l’inizio del restringimento: esso va realizzato in
modo che il flusso venga convogliato completamente all’interno del canale di magra, senza che si
formino canali esterni che renderebbero meno efficiente l’intervento. Se il tratto è meandriforme o
presenta delle curve, il principio rimane quello di spostare i sedimenti verso la parte centrale del
canale di magra creando una specie di arginello in ghiaia (Figura 5.28B), anche in questo caso
prestando particolare cautela ad evitare la formazione di canali di taglio sulla barra; oltre alla
diminuzione dell’efficienza dell’intervento in questo caso si avrebbe anche un accorciamento del
percorso con conseguente aumento della pendenza e possibile innesco di fenomeni erosivi, oltre che
un impoverimento delle forme fluviali.
A
B
Figura 5.28 – Interventi di aumento localizzato della capacità di trasporto. A) Caso di un tratto
rettilineo compreso tra barre alternate; B) caso di un tratto curvo.
133
Relazione Finale – Capitolo 5
Le considerazioni precedenti si possono sintetizzare nelle seguenti raccomandazioni:
15. Nel caso di mobilizzazione meccanica di sedimenti in alveo: a) scartare la realizzazione di uno
scavo profondo (1); b) limitare la tecnica di asportazione della sommità di una barra (3) solo a
barre di piccole dimensioni; c) preferire la tecnica di scavo lungo il bordo della barra per
barre di dimensioni relativamente grandi. Lo scavo potrebbe riguardare l’intera lunghezza della
barra e continuare fino alla coda della stessa, evitando invece di rimuovere sedimenti dalla testa
(estremità di monte della barra), la quale generalmente è bassa e corazzata. La stabilità globale
dell’intera barra e dell’alveo dipende infatti fortemente dalla stabilità della testa della barra
stessa. L’intervento dovrebbe in tutti i casi essere eseguito in modo da mimare le
caratteristiche forme sedimentarie, cioè creando irregolarità sulla sommità delle barre per
mantenere la diversità di microhabitat.
16. Promuovere, anche a livello sperimentale e con successivo monitoraggio, la realizzazione di
alcuni interventi di aumento locale della capacità di trasporto. Tali interventi possono essere
preferibili soprattutto in corrispondenza di accentuate sedimentazioni localizzate, dove il
deposito di sedimenti è legato alla configurazione planimetrica dell’alveo (ad es. in
corrispondenza di tratti a forte curvatura) o a condizioni di perdita locale della capacità di
trasporto, e dove i tratti di poco a valle sono invece in condizioni di deficit di sedimenti.
17. Consentire la tecnica del dragaggio continuo del fondo esclusivamente per il tratto prefociale.
E. Quanto frequentemente dovrebbero essere mobilizzati da uno stesso punto
Per rispondere a questa domanda bisognerebbe conoscere meglio i seguenti aspetti:
- effetti di una rimozione ripetuta di sedimenti sia sulla morfologia del sito di asportazione che sul
tratto a valle, in termini di flusso di sedimenti e di variazioni morfologiche;
- effetti di disturbi ripetuti sugli ecosistemi, pesci ed organismi bentonici.
Sul primo aspetto ci si può basare sulle esperienze passate relative a vari casi di studio: laddove
le escavazioni sono state protratte a lungo nel tempo e sono state tali che il materiale rimosso
risultasse superiore al tasso di rifornimento di sedimenti da monte, le conseguenze sono state
drammatiche, sia nel sito di asportazione che a monte ed a valle.
Alla luce della limitata conoscenza di questi aspetti, si può effettuare una raccomandazione in
via precauzionale:
18. Bisogna evitare di intervenire negli stessi punti per più di una volta in 5 anni consecutivi.
Rimozioni ripetute nello stesso punto non dovrebbero essere consentite per evitare eccessivi
stress alle comunità presenti nonché il possibile innesco di fenomeni erosivi.
F. Dove spostare i sedimenti mobilizzati
I sedimenti mobilizzati vanno trasferiti in altri punti meno critici dello stesso tratto o in tratti a
valle. Si possono fornire le seguenti raccomandazioni generali:
19. Nel caso di spostamenti limitati all’interno dello stesso tratto, ci si può ricondurre ai seguenti
casi principali: (a) nel caso di rimozione di sedimenti da una barra alta in situazione di brusca
curvatura (caso C10), i sedimenti vanno spostati a valle della curva, dove possono essere
normalmente trasportati dalla corrente durante piene successive; (b) nel caso di rimozione di
sedimenti dal fianco di una barra con sponda opposta in erosione, una parte dei sedimenti
possono essere collocati sulla sponda stessa, in maniera da rallentarne temporaneamente
l’arretramento ma senza alterare quantitativamente il flusso di sedimenti verso valle, un’altra
porzione può essere collocata a valle della barra; (c) se esistono nello stesso tratto situazioni di
erosioni localizzate (ad es. sottoescavazione delle pile di un ponte o di una protezione di sponda,
ecc.), i sedimenti vanno collocati in loro corrispondenza.
20. Nel caso di spostamento in tratti a valle, esso va effettuato nel primo tratto a classe 3, secondo
la “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione di sedimenti”, a valle dell’intervento di
mobilizzazione. In tal caso sono da prendere in considerazione invece spostamenti di
134
Relazione Finale – Capitolo 5
sedimenti in tratti adiacenti in condizioni di deficit di sedimenti e con caratteristiche
sedimentarie simili (vale a dire dimensioni granulometriche simili dei sedimenti del fondo), in
modo da non creare alterazioni nei normali processi di selezione granulometrica.
21. Lo spostamento in tratti a valle è consentito ai tratti in classe 1 o classe 2 della “Carta delle
strategie di indirizzo per la gestione di sedimenti”, mentre nei tratti a classe 3 è consentito solo
lo spostamento all’interno dello stesso tratto.
22. Un caso a parte è rappresentato dal tratto prefociale: per tale tratto (seppure non di classe 1 o
2) è previsto lo spostamento diretto alla foce o lungo zone costiere adiacenti.
2. Mobilizzazione di sedimenti nella pianura
Una opzione alternativa a quella di mobilizzare sedimenti in alveo per il rifornimento dei tratti
incisi è quella di effettuare interventi nella pianura adiacente. E’ utile a tal fine riportare brevemente
l’esempio relativo al Fiume Ain in Francia (Piegay & Rinaldi, 2006). Il Fiume Ain, nel suo tratto
vallivo, ha subìto un’erosione progressiva a seguito della realizzazione di una serie di dighe tra il
1933 ed il 1968. La progressione verso valle del deficit è stata stimata in una media di circa 500 m
per anno sulla base della scomparsa di barre osservate da foto aeree. Questo è un problema rilevante
in termini di preservazione ecologica, dal momento che si prevede che l’erosione raggiungerà ed
interesserà nel prossimo decennio aree di grande valore ecologico. Per ridurre questo processo e
ripristinare i tratti già disturbati, si sta conducendo una reintroduzione di sedimenti. I sedimenti
ghiaiosi immagazzinati nella piana inondabile sono stati stimati in base a campioni e calcoli in GIS.
Da queste stime, una reintroduzione artificiale di sedimenti immagazzinati nella pianura è stata
considerata come una strategia realizzabile per parecchi decenni. Tale approccio è efficiente nel
senso che esso ripristinerà il trasporto solido al fondo del fiume (metà del trasporto solido al fondo
annuo potenziale) e gli habitat associati: esso, infatti, creerà una piana inondabile ad un livello
topografico inferiore di quello precedente, in modo che si vengano a creare zone umide più
frequentemente inondate e connesse nuovamente con la falda. La prima reintroduzione di sedimenti
ha avuto luogo nell’agosto 2005 con materiali provenienti dall’approfondimento e allargamento di
un canale abbandonato (Figura 5.29).
Figura 5.29 – Sito di alimentazione artificiale di sedimenti lungo il tratto Varambon/Priay, Fiume
Ain, Francia (da Piegay & Rinaldi, 2006). a) 19 Luglio 2005, poco prima della reintroduzione; b) 22
Febbraio 2006, immediatamente dopo; c) 30 Luglio 2006 dopo le piene annuali.
135
Relazione Finale – Capitolo 5
A
B
Figura 5.30 – Interventi di riqualificazione che si possono abbinare alla reintroduzione di sedimenti
in alveo. A) Creazione di un canale secondario; B) Ricreazione di piana inondabile.
La reintroduzione di sedimenti recuperati dalla pianura adiacente è una misura che può essere
abbinata a progetti di riqualificazione fluviale che prevedano scavi per la ricreazione di piana
inondabile o per la creazione di rami secondari, ed utilizzare la frazione grossolana per essere
reimmessa in alveo. Progetti di questo tipo, oltre all’esempio del Fiume Ain riportato prima, sono
abbastanza comuni in Europa (Figura 5.30). Si richiama a tal proposito il progetto di
riqualificazione fluviale relativo al Fiume Vara tra Piana Battolla e la confluenza nel F.Magra, il
quale prevede alcuni interventi di questo tipo.
Sulla base di quanto riportato, si può fornire la seguente raccomandazione generale:
23. Promuovere progetti di riqualificazione fluviale che prevedano interventi di scavo nella
pianura (creazione di piana inondabile, zone umide, canali secondari, ecc.) e reintrodurre, in
via sperimentale, le frazioni grossolane del materiale scavato in tratti di alveo in deficit di
sedimenti.
3. Reintroduzione di sedimenti in alveo
La reintroduzione di sedimenti in tratti incisi è una pratica sempre più comune in altri paesi. La
tecnica usata è in genere quella di creare un accumulo di sedimenti sciolti lungo una sponda, in
modo che gli stessi si distribuiscano secondo il loro angolo di riposo (Figura 5.31). In questo modo,
la reintroduzione di sedimenti non avverrà istantaneamente, rischiando così di provocare problemi
di eccessiva sedimentazione localizzata, ma sarà graduale, in funzione della capacità di trasporto
della corrente che eroderà progressivamente la base del cono di sedimenti favorendo una
immissione naturale nel corso d’acqua. I sedimenti tenderanno progressivamente a disperdersi,
formando una sorta di pennacchio che avanza sul fondo dell’alveo (Figura 5.32A). Interventi di
questo tipo sono relativamente comuni in California (USA), dove sono presenti condizioni piuttosto
simili a quelle di fiumi italiani per il forte impatto dovuto all’escavazione di inerti nei decenni
passati e dove durante gli ultimi anni la reintroduzione di ghiaia è stata effettuata per un numero
crescente di casi (Figura 5.32B).
136
Relazione Finale – Capitolo 5
Figura 5.31 – Reintroduzione di sedimenti a valle della Diga di Keswick, Fiume Sacramento
(California, USA).
Gli esempi precedenti si traducono nelle seguenti raccomandazioni:
24. Nel caso di mobilizzazione meccanica di sedimenti da tratti in sedimentazione, essi vanno
reintrodotti nel primo tratto a valle a classe 3 e preferibilmente (ma non esclusivamente) con
bilancio medio annuo negativo (tratti con tendenza all’incisione).
A
B
Volume of Gravel Added (m3)
1
10
100
1,000
10,000
100,000
1,000,000
Sacramento River
Clear Creek
Middle Fork American River
Trinity River
Tuolumne River
Stanislaus River
Mokelumne River
American River
Feather River
Merced River
Payne's Creek
Mill Creek
Battle Creek
Dry Creek
Middle Creek
Putah Creek
Hamilton Branch
Helms Creek
Big Chico Creek
Hat Creek
Granite Creek
Figura 5.32 – Reintroduzione di ghiaia in alvei fluviali incisi in California (USA). A) Migrazione
della ghiaia verso valle a seguito della reintroduzione. B) Casi di reintroduzione di ghiaia e volumi
immessi.
25. I sedimenti vanno reimmessi collocandoli su una sponda secondo il loro angolo di riposo. I
punti di reimmissione nei tratti in deficit di sedimenti vanno individuati sulla base dei seguenti
criteri: a) tratto di classe 3, cioè in deficit di sedimenti; b) accessibilità da parte di mezzi di
trasporto e raggiungibilità attraverso vie camionabili; c) il punto di immissione non deve essere
137
Relazione Finale – Capitolo 5
ubicato non nelle immediate vicinanze di opere, infrastrutture o centri abitati. L’immissione può
essere puntuale (caso più frequente), consistente in un singolo cono di sedimenti, oppure, nel
caso di maggiori quantitativi di sedimenti, può essere distribuita per una certa lunghezza di
sponda, creando una fascia di sedimenti, a forma di falda detritica, sempre distribuiti secondo il
loro angolo di riposo.
26. Per quanto riguarda i quantitativi di sedimenti da poter reintrodurre, occorre far riferimento
ai valori del bilancio medio annuo. Anche in questo caso (come per la quantità di sedimenti
mobilizzabili, si veda punti B6 e B7) si possono distinguere due casi: a) il valore del bilancio è
negativo (caso preferibile); b) il valore del bilancio è positivo (ciò è possibile nel caso in cui il
tratto, secondo il bilancio idraulico, ha una tendenza alla sedimentazione). Nel primo caso,
all’interno dell’intero tratto, in un anno, si può reintrodurre un quantitativo massimo pari (in
valore assoluto) al bilancio medio annuo del tratto. Nel secondo caso (tratto con tendenza alla
sedimentazione), il quantitativo da reintrodurre deve essere più limitato.
5.7.3 Documentazione da presentare per richieste di mobilizzazione
Nel caso di richiesta di mobilizzazione di sedimenti, la documentazione da presentare da
parte del soggetto proponente la mobilizzazione è la seguente:
1) Cartografia di inquadramento alla scala 1:10.000, con planimetrie e sezioni illustrative
dell'intervento in scala adeguata e con calcolo dei volumi che si intendono mobilizzare;
2) Dettagliata descrizione della quantità di sedimenti da mobilizzare, delle procedure utilizzate per
la mobilizzazione, e di dove spostare i sedimenti mobilizzati, che tenga conto delle Linee guida e
Raccomandazioni riportate nel precedente paragrado e resi disponibili da parte dell’Autorità di
Bacino.
3) Nel caso l’intervento di mobilizzazione proposto rientri in un tratto classificato in classe 2 o in
classe 3 nella “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti”, è richiesta una
dettagliata relazione idraulica che quantifichi i benefici idraulici, in termini di riduzione dei livelli
idrici per portate con i tempi di ritorno adottati nelle fasce del PAI per le aree inondabili (30, 100 e
200 anni), conseguenti alle variazioni topografiche conseguenti alla rimozione di sedimenti
proposta.
4) Va richiesta inoltre una verifica delle condizioni di rischio idraulico del tratto in cui si intendono
reintrodurre i sedimenti e, in particolare, una valutazione dei possibili effetti, in termini di
incrementi di livelli idrici, che la sedimentazione conseguente a tale reintroduzione possa
comportare.
5) Ogni intervento di mobilizzazione di sedimenti deve inoltre essere accompagnato da uno studio
adeguato, anche attraverso modellistica matematica, dei possibili effetti sulla morfodinamica
dell’alveo, soprattutto laddove si tratti di interventi di mobilizzazione significativi. Questo vale in
particolare quando si programmano rimozioni di sedimenti nel tratto prefociale, nel qual caso è
necessario uno studio adeguato per valutare i possibili effetti a monte ed a valle che tali interventi
possono provocare sull’equilibrio del fondo.
3.7.4 Aggiornamento della situazione attuale e monitoraggio
Da parte dell’Autorità di Bacino, deve essere previsto un periodico aggiornamento della
situazione attuale e di conseguenza della classificazione dei tratti d’alveo secondo quanto riportato
nella “Carta delle strategie di indirizzo per la gestione dei sedimenti”. L’evoluzione futura
dell’alveo dovrebbe essere seguita costantemente sulla base di un piano di monitoraggio futuro (si
veda a tal proposito quanto riportato in Relazione Magra I). Tale piano di monitoraggio deve essere
basato sul rilievo topografico periodico di un certo numero di sezioni di controllo e sull’esecuzione
periodica di voli aerei a scala adeguata per tali scopi. Nel caso di verificarsi di piene di notevole
intensità, potrebbero crearsi situazioni di rischio associate a sedimentazioni localizzate, non
accertabili attraverso le sezioni di monitoraggio, tali da richiedere interventi urgenti. In tal caso, si
138
Relazione Finale – Capitolo 5
propone che l’Autorità di Bacino possa esprimere pareri relativi a tali situazioni critiche e potrà
stabilire deroghe alle norme qui riportate.
5.8 RACCOMANDAZIONI RELATIVE AD OPERE IDRAULICHE
In questo paragrafo si intendono fornire dei suggerimenti e raccomandazioni di carattere
generale relativamente sia ad opere idrauliche esistenti (in particolare briglie e soglie di fondo) che
di possibili opere programmate per il futuro (casse di espansione), senza peraltro scendere nei meriti
delle singole opere (aspetto in parte trattato nel paragrafo conclusivo).
5.8.1 Opere trasversali esistenti
E’ stato più volte ribadita la necessità che i sedimenti possano muoversi nel sistema fluviale
con una certa continuità, senza brusche interruzioni che causino localmente fenomeni localizzati di
deposizione e di erosione e che possano ridurre il transito di volumi di sedimenti verso valle. Le
briglie di per sé, almeno una volta che si è verificato il completo riempimento a monte, non
dovrebbero causare in teoria una riduzione della portata solida in quanto i sedimenti sono in grado
in genere di transitare a valle. Tuttavia, molte volte la necessità di manutenzione di queste opere fa
sì che periodicamente i sedimenti vengono rimossi a monte delle stesse, determinando di fatto una
riduzione di sedimenti. Le opere trasversali presentano anche numerosi altri effetti negativi sugli
ecosistemi. Per tutti questi motivi, la rimozione di briglie ed ostacoli (weir and obstraction
removal) (Figura 5.33) rappresentano misure sempre più consigliate ed utilizzate per migliorare la
connettività all’interno del reticolo idrografico e per scopi di riqualificazione fluviale (si veda ad es.
Downs & Gregory, 2004) , fino ad arrivare alla rimozione di dighe (large dam removal) la quale
rappresenta un argomento di grosso dibattito scientifico e tecnico, soprattutto negli USA, dove sono
sempre più numerose le attuazioni di tali interventi (Figura 5.34).
D’altra parte, nel caso di sistemi fortemente incisi nei quali uno degli obiettivi di
riqualificazione fosse quello di ripristinare la connessione idraulica laterale tra alveo e pianura
adiacente per promuovere la ricreazione di habitat ripariali, in alcuni casi si propone di realizzare
opere trasversali in grado di promuovere il rialzamento del fondo.
La scelta dell’una o dell’altra di queste strategie (rimuovere o aggiungere briglie)
apparentemente antitetiche dipende molto dal contesto locale, sia in termini geomorfologicoidraulici che socio-economici. Nel caso si è in presenza di un alveo che scorre in una zona
relativamente disabitata (come spesso accade negli USA), la rimozione di una diga e tutti i
riaggiustamenti morfologici che ne conseguono possono rappresentare una soluzione accettabile.
Nel caso di un sistema fluviale fortemente in deficit di sedimenti, tale da avere quasi completamente
depauperato il materasso alluvionale ed inciso nel substrato, la rimozione di opere trasversali può
addirittura avere un effetto controproducente, causando la perdita anche dei sedimenti intrappolati a
monte delle stesse. Nel caso di alvei che attraversano tratti urbanizzati e sono interessati da opere di
attraversamento, l’erosione regressiva (knickpoint migration) derivante dalla rimozione di un’opera
trasversale può rapidamente destabilizzare interi tratti del corso d’acqua e mettere a rischio, se non
causare la distruzione, delle opere di attraversamento stesse, così come il cuneo di sedimenti
depositati a monte dell’opera, trasferendosi verso valle, può produrre notevoli impatti negativi.
139
Relazione Finale – Capitolo 5
Figura 5.33 - Uno dei tanti esempi di rimozione di briglie perr il recupero ambientale (Octoraro
Creek dam, USA).
Figura 5.34 - Rimozione di una diga (Koshkonong River, Wisconsin) (da Downs & Gregory, 2004).
Tornando al caso del bacino del Fiume Magra, si ritiene che le condizioni di urbanizzazione e
di presenza di opere di attraversamento, soprattutto nei tratti vallivi, sono tali da suggerire di
evitare la rimozione di briglie o soglie. Si ricorda inoltre come alcune di queste opere, in
particolare le soglie realizzate lungo il tratto vallivo del F.Vara (tra Piana Battolla e la confluenza),
possono aver avuto un importante ruolo nella inversione di tendenza (da condizioni dominanti di
incisione a condizioni almeno locali di sedimentazione).
In termini di gestione delle briglie o soglie esistenti, si suggeriscono le seguenti
raccomandazioni:
1. Periodico spostamento dei sedimenti da monte a valle dell’opera. Si tratta di rimuovere i
sedimenti accumulatisi a monte di briglie o soglie e di reimmetterli immediatamente a valle delle
stesse. Coincide con la misura M1 precedentemente definita.
Nel caso di briglie lungo aste torrentizie, si ricorda a tal proposito come in Francia gli RTM
(Restoration of Mountain Terrains), la cui missione nei decenni passati era quella di costruire le
briglie e attuare le sistemazioni idraulico-forestali (analogamente alle nostre Comunità Montane), al
giorno d’oggi hanno convertito il loro ruolo e si occupano di manutenzione delle briglie esistenti
140
Relazione Finale – Capitolo 5
attraverso periodica mobilizzazione e spostamento dei sedimenti a valle delle stesse (Figura 5.35).
Ciò viene realizzato attraverso il semplice utilizzo di pale meccaniche che spostano
meccanicamente e sedimenti sul bordo della briglia e li spingono a valle.
Nel caso di soglie, in tratti fluviali di pianura, il tipo di intervento è sostanzialmente lo stesso,
seppure possono esserci talora maggiori difficoltà (a causa della presenza di corrente nella parte
sommersa dell’alveo).
Figura 5.35 - Spostamento di sedimenti da monte a valle di briglie (Beoux River, Francia).
Figura 5.36 - Tipico tratto con acqua ferma (“impounded”) formatosi a monte di una briglia.
2. Manutenzione di briglie o soglie esistenti: conversione in rampe. Nel caso le opere trasversali
esistenti subissero dei danneggiamenti ed avessero bisogno di manutenzione, si raccomanda di
prendere in considerazione l’ipotesi di convertirle ed adeguarle ad una rampa in massi, piuttosto che
ripristinare la struttura originaria. Le rampe in massi presentano infatti alcuni vantaggi rispetto alle
briglie tradizionali, quali: a) pur mantenendo stabile la quota del fondo, ed evitando quindi l’innesco
di fenomeni erosivi, il dislivello è distribuito su un tratto più lungo, quindi è graduale e non
repentino; b) ciò permette di evitare uno dei principali difetti delle briglie dal punto di vista
ecologico, cioè quello di creare omogeneità a danno di habitat, soprattutto a monte, determinando
perdita o modificazione di micro e mesohabitat lotici nel corso d’acqua con una innaturale
creazione di ambienti lentici (sostituzione di successioni a riffle e pool con lunghi tratti
141
Relazione Finale – Capitolo 5
“impounded” a flusso pressoché fermo) (Figura 5.36). Sono numerose le esperienze di conversione
di briglie in rampe realizzate con successo (Figura 5.37).
Figura 5.37 - L’interruzione della continuità longitudinale in un torrente appenninico (T. Sellustra –
BO) dovuta alla briglia posta sotto al ponte (sinistra) viene eliminata grazie alla costruzione della
rampa in massi (destra).
5.8.2 Opere di laminazione
Per quanto riguarda le opere di laminazione previste secondo il PAI e le loro possibili
interazioni con gli obiettivi della gestione dei sedimenti definiti in questo progetto, vanno
innanzitutto distinte a seconda della loro tipologia: (a) casse in linea o miste; (b) casse in
derivazione.
Le casse in linea come è noto sono costituite da uno sbarramento trasversale, con stramazzo e
bocca tarata che genera, al passaggio di un’onda di piena, un invaso temporaneo in un’area a tale
scopo individuata, inducendo quindi una riduzione del picco di portata. In alcuni casi si prevede la
possibilità di casse miste, vale a dire casse in linea in cui è presente un argine longitudinale che
delimita l’area di espansione, argine che pu`o essere interamente o parzialmente sormontabile. Tali
opere sono previste soprattutto lungo il F.Vara (dove la totalità delle opere di laminazione in
progetto rientrano in queste tipologie), lungo gli affluenti (previste tutte casse in linea ad eccezione
di una), mentre lungo il F.Magra rientrano in questa tipologia solo le prime due ubicate più a monte.
Tali opere determinano importanti effetti sulla dinamica dei sedimenti trasportati dalla corrente
e, quindi, sull’apporto solido a valle delle stesse. La quantificazione di tali effetti è importante per
l’equilibrio morfologico dell’alveo e per le conseguenze sulle tendenze all’incisione o alla
sedimentazione in atto. Un importante studio finalizzato proprio alla quantificazione di tali aspetti è
quello da poco concluso dal DIAM di Genova (Seminara et al., 2006), nell’ambito del quale è stato
realizzato un modello fisico relativo ad una cassa di tipo in linea o misto prevista nella parte alta del
Vara. I risultati ottenuti, estendibili entro certi limiti anche alle altre opere di analoga tipologia
realizzativa in previsione lungo la parte medio-alta del Vara e lungo numerosi affluenti, hanno
messo in evidenza che l’effetto di intrattenimento di sedimenti a monte dell’opera di
sbarramento è notevole. Ad esempio, è stato verificato che, a seguito di una ipotetica sequenza di
identici eventi trentennali e quindicennali, il volume depositatosi a monte dell’opera è pari al 100 %
durante il primo evento, riducendosi poi gradualmente fino a circa il 40 % dopo quattro o cinque
eventi successivi. Ulteriori eventi conducono ad una ulteriore riduzione dell’entità del deposito ma
più lieve. Si può quindi dedurre che a seguito della realizzazione di una o più di queste opere,
bisogna aspettarsi una considerevole riduzione delle portate solide che transiterebbero verso i tratti
di valle del F.Vara. E’ ovvio che un eventuale intervento di rimozione dei depositi immagazzinati
a monte dello sbarramento, successivo ad eventi di piena particolarmente intensi, ridurrebbe molto
o azzererebbe questi effetti.
142
Relazione Finale – Capitolo 5
Fatte queste considerazioni, appare ovvio che le casse in linea andrebbero evitate nei tratti del
sistema fluviale dove sono più forti i problemi di deficit di sedimenti o nei tratti ad essi
immediatamente a monte. Il medio-alto Vara, in questo senso, appare invece il più adatto per
l’eventuale realizzazione di tali opere, date le sue condizioni di relativa abbondanza di sedimenti e,
a tratti, l’esistenza di condizioni opposte di sedimentazione. Per quanto riguarda gli affluenti, il
criterio più ovvio da utilizzare per la selezione delle situazioni più adatte alla realizzazione di casse
in linea è quello dell’appartenenza o meno dell’affluente ai sottobacini scelti come idonei per la
ricarica dei sedimenti, vale a dire si possono escludere le casse ricadenti in sottobacini selezionati
come adatti alla ricarica di sedimenti e consentirne invece la realizzazione nei sottobacini non
selezionati a tale scopo. In tutti i casi, nel caso di realizzazione di casse in linea, è raccomandabile
una periodica mobilizzazione dei sedimenti accumulatisi a monte dell’opera di sbarramento con
spostamento immediatamente a valle della stessa.
Le casse in derivazione, come è noto, a differenza di quelle in linea sfruttano porzioni di
territorio adiacente all’alveo, alle quali vengono connesse idraulicamente attraverso soglie tra
cimabili o altri sistemi idraulici collocati nel corpo arginale, progettate in maniera tale che la cassa
venga allagata solo quando la portata durante una piena supera un certo valore di soglia. In
generale, il loro impatto sul trasporto solido al fondo è decisamente inferiore rispetto alle casse in
linea, in quanto l’interferenza con i processi di trasporto solido in alveo è indiretta, cioè è legata alla
riduzione della portata liquida per eventi di piena di una certa entità. In particolare, per portate
liquide inferiori a quelle di entrata in funzione delle casse, non esiste alcun effetto sui processi di
erosione, trasporto solido, sedimentazione. Per portate liquide superiori a quelle di entrata in
funzione delle casse, l’effetto è quello di una certa riduzione della portata di picco, con conseguente
riduzione della capacità di trasporto della corrente. Essa può di conseguenza favorire condizioni di
sedimentazione all’interno del tratto interessato dall’opera di laminazione. Il problema delle casse
in derivazione rispetto alla gestione dei sedimenti ed ai naturali processi di dinamica
geomorfologica è legato soprattutto all’artificializzazione dell’alveo che tali opere possono
comportare. In particolare, nei casi in cui l’eventuale cassa in derivazione che ricade nella Fascia
di Mobilità Funzionale, essa non sarebbe compatibile con gli obiettivi di riequilibrio
sedimentologico dal momento che impedirebbe la mobilità laterale dell’alveo e richiederebbe una
artificializzazione delle sponde e del fondo. La mancata possibilità di divagazione laterale
dell’alveo è in palese contrasto con le funzioni della fascia di mobilità e con le raccomandazioni
precedentemente fatte circa la sua gestione. Inoltre, l’inevitabile artificializzazione dell’alveo
fluviale che ne deriverebbe (arginature, opere di derivazione e di restituzione), per far sì che l’opera
funzioni idraulicamente e mantenga la sua efficienza, è anch’essa in contraddizione con le linee
d’azione precedentemente definite riguardo la gestione dei sedimenti.
Per le casse in derivazione, si suggerisce pertanto di prevedere una gestione della FMF
differenziata per tratti, ossia riservare alcuni tratti esclusivamente alle tendenze evolutive naturali
dell’alveo ed alle sue funzioni geomorfologiche connesse (zone di rifornimento di sedimenti, di
riequilibrio di larghezza, ecc.), mentre per alcuni sottotratti rinunciare in parte a tali obiettivi ed
accettare che possano essere riservati a scopi di laminazione delle piene. In tale ottica, i tratti
prioritari da destinare alle tendenze evolutive naturali sono: a) Piana di Filattiera; b) basso Vara
(da Piana Battolla alla confluenza Magra); c) basso Magra (da S.Stefano a Sarzana). Per la Piana di
Filattiera e per la zona di confluenza Vara – Magra, essendo individuati come tratti con
caratteristiche peculiari e proposti come tratti di pregio geomorfologico, si sconsiglia a maggior
ragione la realizzazione di casse. Ad esclusione dei precedenti, si può prendere in considerazione la
realizzazione di casse negli altri tratti che, per vari motivi, risultano meno prioritari per le tendenze
evolutive.
Riepilogando, si fanno le seguenti raccomandazioni relative alla possibile realizzazione ed
ubicazione delle opere di laminazione:
143
Relazione Finale – Capitolo 5
1. Casse in linea lungo il F.Vara. Il medio-alto Vara, per la sua tendenza a condizioni di
sedimentazione, appare il tratto più adatto alla realizzazione di casse in linea (o di tipo misto). E’
necessario tuttavia prevedere una periodica mobilizzazione dei sedimenti accumulatisi a monte
dell’opera di sbarramento con spostamento immediatamente a valle della stessa.
2. Casse lungo affluenti. Si propone il seguente criterio:
- per gli affluenti che ricadono tra i sottobacini scelti come significativi per la ricarica di
sedimenti, evitare la realizzazione di casse in quanto la riduzione di apporto solido è in palese
conflitto con gli obiettivi di ricarica;
- per gli affluenti che non ricadono tra i sottobacini scelti come significativi per la ricarica di
sedimenti, acconsentire alla eventuale realizzazione di casse, prevedendo anche in questi casi
una periodica mobilizzazione dei sedimenti che si depositano a monte dell’opera.
3. Casse lungo il F.Magra: gestione della FMF differenziata per tratti. Per tale fiume si può
prevedere un criterio differenziato per tratti. I tratti prioritari da destinare alle tendenze
evolutive naturali sono: a) Piana di Filattiera; b) basso Vara (da Piana Battolla alla confluenza
Magra); c) basso Magra (da S.Stefano a Sarzana). Ad esclusione dei precedenti, si può prendere in
considerazione la realizzazione di opere di laminazione negli altri tratti.
4. Perseguire anche obiettivi di riqualificazione fluviale. Nei casi in cui si ritiene indispensabile la
realizzazione di una cassa, si raccomanda di prendere in considerazione anche soluzioni progettuali
alternative a quella di una cassa di espansione di tipo tradizionale, che cerchino di perseguire anche
obiettivi di riqualificazione fluviale. Occorrerebbe prendere in considerazione una possibile
polifunzionalità dell’opera, ad esempio attraverso scelte progettuali che esaltino
contemporaneamente il ruolo depurativo, ricreativo e naturalistico delle zone umide. Soluzioni di
questo tipo non sarebbero in alcun modo incompatibili con gli obiettivi relativi alla fascia di
mobilità funzionale, in quanto si lascerebbe comunque l’alveo libero di divagare all’interno di
quest’ultima. Si raccomanda quindi di prendere in debita considerazione un tipo di soluzione che
vada in questa direzione, anche a costo di una minore efficienza idraulica.
5.9 RIEPILOGO DELLE STRATEGIE DI INDIRIZZO PER LA GESTIONE DEI
SEDIMENTI PER AMBITI
Il proposito di questo paragrafo finale è di riassumere le precedenti raccomandazioni, azioni e
misure di gestione ambito per ambito, facendo quindi riferimento più specifico alle problematiche e
le caratteristiche specifiche locali dei vari tratti fluviali. In alcuni casi si descriveranno più nel
dettaglio alcune possibili misure, sulla base anche di esperienze condotte in altri paesi, nonché si
entrerà nei meriti di possibili misure di gestione relative ad opere o tratti specifici.
5.9.1 Medio-alto Magra
Strategie generali:
1. Preservare le caratteristiche morfologiche attuali;
2. Favorire la ricarica di sedimenti per i tratti a valle.
Principali problematiche da considerare:
1. Gestione delle frane e dei sottobacini significativi per la ricarica;
2. Gestione delle erosioni di sponda;
3. Gestione della Piana di Filattiera;
4. Raccomandazioni relative ad opere idrauliche esistenti e/o in progetto.
1. Gestione delle frane e dei sottobacini significativi per la ricarica
Per quanto riguarda l’Alto Magra, per la ricarica da frane si escludono quei sottobacini la cui
chiusura è a monte del centro abitato di Pontremoli (Magra alto e T.Magriola), mentre sono inclusi i
144
Relazione Finale – Capitolo 5
rimanenti nei quali, per le frane riportate come significative, vale la misura conservativa C1. I
sottobacini selezionati come significativi per la ricarica sono: T.Mangiola, T.Gordana, T.Verde ed il
T.Caprio. Per tali sottobacini valgono tutte le rimanenti misure conservative (C2, C3, C4, C5, C6)
nonché la misura migliorativa M1 (mobilizzare sedimenti a monte di briglie) finalizzata alla ricarica
della Piana di Filattiera. La confluenza del T.Verde si trova immediatamente a valle del centro
storico di Pontremoli, seppure ancora in un’area urbanizzata. Nel caso in cui la sedimentazione alla
confluenza Verde – Magra si rilevasse localmente eccessiva, si raccomanda la mobilizzazione dei
sedimenti ed il loro spostamento nel primo punto possibile del tratto a classe 3 della Piana di
Filattiera.
Per quanto riguarda il Medio Magra, per la ricarica da frane sono inclusi tutti i sottobacini
nei quali, per le frane riportate come significative, vale la misura conservativa C1. I sottobacini
selezionati come significativi per la ricarica sono: T.Osca, T.Taverone e T.Aulella suddiviso
ulteriormente nei suoi sottobacini (Aulella, Lucido, Mommio, Rosaro, Bardine). Per tali sottobacini
valgono tutte le rimanenti misure conservative (C2, C3, C4, C5, C6) nonché la misura migliorativa
M1 (mobilizzare sedimenti a monte di briglie) finalizzata alla ricarica del basso Magra. Un caso
particolare è il T.Taverone che, per questioni di ubicazione sfavorevole della confluenza (Aulla)
sarebbe risultato da escludere dai sottobacini significativi. Tuttavia si è ritenuto opportuno
selezionarlo per il suo elevato potenziale di ricarica e soprattutto per la distanza ridotta rispetto al
tratto inciso del basso Magra. In tal caso vale la precauzione che i sedimenti accumulati alla
confluenza devono essere periodicamente mobilizzati e spostati nel primo punto possibile a valle di
Aulla.
2. Gestione delle erosioni di sponda
Per la Fascia di Mobilità Funzionale, valgono le regole definite nel par.5.3, riassumibili
nell’azione generale di non intervenire sui tratti di sponde in erosione eccetto che nelle situazioni
dove esse possono comportare danni ad elementi ritenuti da difendere.
Ciò vale in particolar modo per la Piana di Filattiera, identificata come uno dei principali tratti da
destinare prioritariamente alle tendenze naturali del fiume, dove le sponde rappresentano una delle
principali sorgenti di sedimenti per il recupero del tratto stesso e, nel più lungo termine, per
garantire l’alimentazione dei tratti incisi a valle. Qualora il corso d’acqua dovesse in futuro
avvicinarsi ai limiti della FMF, bisogna agire attraverso una gestione attiva delle erosioni di sponda,
vale a dire prevedendo un programma di monitoraggio.
3. Gestione della Piana di Filattiera
Rappresenta un tratto di pregio geomorfologico, per il quale si raccomanda di istituire
normative che vadano ad evitare o limitare ogni modifica o azione che possa interferire con la
dinamica fluviale (eccetto che per condizioni di rischio). Si suggerisce inoltre di valorizzare e
potenziare le attività di fruizione, ricreazione, formazione e divulgazione.
Un aspetto particolarmente critico all’interno del tratto è rappresentato dalla gestione delle
“more”, le note mura arginali di origine prevalentemente ottocentesca e di una certa rilevanza
storica. La manutenzione e/o il ripristino delle more non sono ritenuti compatibili con le esigenze e
gli obiettivi di conservazione e recupero morfologico e sedimentologico del corso d’acqua, pertanto
si ritiene che la maggior parte delle more debbano essere soggette alla stessa normativa delle
comuni difese di sponda presenti all’interno della FMF (vale a dire non va prevista una loro
manutenzione/ripristino se non difendono elementi a rischio). Si propone tuttavia, dato il loro valore
storico-paesaggistico, di individuare 1 o 2 tratti di more da restaurare e preservare, e da valorizzarne
la presenza inserendole come punto di sosta all’interno di un percorso pedonale e/o ciclabile storico
– naturalistico da prevedere lungo il fiume, dotandole di appositi pannelli divulgativi. Si lascia ad
un approfondimento da parte di un esperto storico – paesaggista l’individuazione del o dei tratti di
more che più si presterebbero a questa funzione. Da un punto di vista geomorfologico, sarebbe
preferibile che tale o tali tratti presentassero i seguenti requisiti: a) essere ubicati all’inizio o alla
fine della Piana di Filattiera, in modo da non causare, all’interno del tratto, una discontinuità o una
145
Relazione Finale – Capitolo 5
costrizione artificiale in contrapposizione alle tendenze evolutive naturali del fiume; b) in tutti i
casi, che non si causi un restringimento dell’alveo ma che possibilmente sia ubicata ad una certa
distanza da esso.
4. Raccomandazioni relative ad opere idrauliche esistenti e/o in progetto
Le problematiche principali in questo ambito riguardano le opere di laminazione previste
secondo il PAI. Per quanto riguarda gli affluenti sono previste casse in linea lungo i T.Magriola,
T.Verde, T.Gordana, T.Caprio, T.Bagnone, T.Civiglia e T.Taverone. Di queste, si sconsiglia la
realizzazione lungo i T.Verde, Gordana, Caprio e Taverone, in quanto selezionati come significativi
ai fini della ricarica, mentre si ritengono compatibili le casse lungo il T.Magriola, Bagnone e
Civiglia.
Per quanto riguarda le casse direttamente lungo il F.Magra, ne sono previste 3 nella Piana di
Filattiera e 2 nel tratto MC2 (di poco a monte di Aulla). Per quanto riguarda le casse nella Piana di
Filattiera, esse rientrano in parte nella FMF e pertanto se ne sconsiglia la realizzazione, per i vari
motivi esposti prima (tratto di particolare pregio geomorfologico e da riservare ai processi naturali).
Si potrebbe eventualmente prendere in considerazione la possibilità di destinare una delle tre casse
previste ad area di laminazione che abbia tuttavia funzioni di riqualificazione fluviale (creazione di
aree umide, bracci secondari, ecc) e che possa assolvere anche ad una funzione di laminazione delle
piene. In tal caso, si potrebbe prevedere che le frazioni grossolane dei sedimenti derivanti da attività
di scavo nella pianura possano essere reimmesse in alveo. Per quanto riguarda le due casse previste
nel tratto MC2 a monte di Aulla, esse rientrano quasi del tutto nella FMF, ma non rientrano nei due
tratti definiti precedentemente come prioritari per la preservazione dei processi naturali. Pertanto,
secondo il criterio di gestione differenziata per tratti, in questo tratto si può prendere in
considerazione l’ipotesi di realizzazione delle opere.
5.9.2 Medio-alto Vara
Strategie generali:
1. Preservare le caratteristiche morfologiche attuali;
2. Favorire la ricarica di sedimenti per i tratti a valle.
Principali problematiche da considerare:
1. Gestione delle frane e dei sottobacini significativi per la ricarica;
2. Gestione delle situazioni in sedimentazione;
3. Gestione delle erosioni di sponda;
4. Raccomandazioni relative ad opere idrauliche esistenti e/o in progetto.
1. Gestione delle frane e dei sottobacini significativi per la ricarica
Per quanto riguarda l’Alto Vara, non sono considerate frane o sottobacini significativi a monte
della Diga di S.Margherita ai fini della ricarica per i motivi spiegati nei capitoli precedenti (a.
presenza della diga che impedirebbe il transito dei sedimenti per i tratti di valle; b. condizioni
prevalenti di sedimentazione dell’alveo del Vara a monte della diga).
Per quanto riguarda il Medio Vara, per la ricarica da frane sono inclusi tutti i sottobacini nei
quali, per le frane riportate come significative, vale la misura conservativa C1. I sottobacini
selezionati come significativi per la ricarica sono: T.Mangia, T.Gravegnola, T.Usurana, T.Ricco e
T.Graveglia. Per tali sottobacini valgono tutte le rimanenti misure conservative (C2, C3, C4, C5,
C6) nonché la misura migliorativa M1 (mobilizzare sedimenti a monte di briglie) finalizzata alla
ricarica della Piana di Filattiera.
2. Gestione delle situazioni in sedimentazione
Il medio-alto Vara costituisce la porzione del bacino dove sono più frequenti le situazioni di
sedimentazione, generalizzata e/o localizzata, per le caratteristiche morfologiche particolari del
tratto (alveo semiconfinato, presenza di curve piuttosto marcate che causano il rallentamento ed il
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Relazione Finale – Capitolo 5
deposito localizzato del flusso solido) e per l’elevata alimentazione da parte dei versanti e di alcuni
affluenti. Nei tratti in sedimentazione dove è necessario mobilizzare una parte dei sedimenti, si deve
ricorrere ad una delle due possibili tecniche descritte nel paragrafo precedente (scavo lungo il bordo
della barra oppure aumento locale della capacità di trasporto).
Per la parte alta, si consiglia di spostare i sedimenti mobilizzati nel tratto a monte ed a valle
della confluenza del T.Ruschia, tratto che risulta di classe 3 nella “Carta delle strategie di indirizzo
per la gestione dei sedimenti”, mentre per la parte media (a valle cioè di questo tratto), si consiglia
di spostare i sedimenti mobilizzati direttamente a valle della Diga di S.Margherita.
3. Gestione delle erosioni di sponda
Per la Fascia di Mobilità Funzionale, valgono le regole definite nel par.5.3, riassumibili
nell’azione generale di non intervenire sui tratti di sponde in erosione eccetto che nelle situazioni
dove esse possono comportare danni ad elementi ritenuti da difendere. Nel Medio-Alto Vara non
sono tuttavia stati individuati tratti prioritari da destinare alle tendenze evolutive naturali, dove
massimizzare la funzione di ricarica di sedimenti dalle sponde, per vari motivi quali: a) alveo
semiconfinato, quindi assenza di ampie zone di pianura e quindi larghezza in genere esigua della
FMF; b) il tratto di per sé non presenta eccessivi problemi in termini di recupero morfologico, anzi
è caratterizzato dalla presenza di situazioni in sedimentazione.
4. Raccomandazioni relative ad opere idrauliche esistenti e/o in progetto
La problematica più rilevante è costituita dalla gestione della Diga di S.Margherita la quale,
come più volte detto, rappresenta la più rilevante discontinuità del flusso solido ed impedisce
l’alimentazione dei sedimenti provenienti dall’alto Vara per i tratti incisi a valle. Le misure di
gestione devono essere volte il più possibile a permettere il transito di almeno una parte dei
sedimenti accumulatisi a monte dello sbarramento. Devono essere pertanto esplorate varie possibili
soluzioni tecniche, quali in particolare: a) periodica escavazione ed asportazione meccanica di
sedimenti e loro spostamento ed immissione nel tratto immediatamente a valle; b) possibilità di
realizzare scarichi di fondo. La prima soluzione (a) sembra più percorribile: si raccomanda a tal fine
un approfondimento del problema, attraverso uno studio dei costi e della qualità dei sedimenti.
Per quanto riguarda le opere di laminazione previste secondo il PAI, ne sono previste 4 lungo
il medio-alto Vara a monte della Diga di S.Margherita. Si ritiene che, tra tutte le casse previste
lungo gli alvei principali di F.Magra e Vara, tali siti siano i meno sfavorevoli per i seguenti motivi:
a) nell’ottica di una gestione della FMF differenziata per tratti, esse non vanno a cadere in tratti
prioritari da destinare alle tendenze evolutive naturali; b) i problemi di recupero morfologico di
questo ambito non sono confrontabili con gli altri ambiti, anzi sono presenti tratti in
sedimentazione; c) la presenza della Diga di S.Margherita a valle comunque al momento attuale
impedisce la ricarica dei sedimenti per i tratti di valle. Nel basso Vara, sono previste casse lungo i
T.Pignone, T.Ricco e T.Usurana. Si sconsiglia la realizzazione lungo i T.Ricco e Usurana,
selezionati come significativi ai fini della ricarica, mentre si ritiene compatibile la realizzazione di
casse lungo il T.Pignone.
5.9.3 Basso Magra e Vara
Strategie generali:
1. Migliorare le caratteristiche morfologiche attuali attraverso la rialimentazione di sedimenti.
Principali problematiche da considerare:
1. Gestione delle erosioni di sponda;
2. Provenienza ed immissione dei sedimenti;
3. Gestione del tratto di confluenza Magra – Vara;
4. Gestione del tratto prefociale;
5. Raccomandazioni relative ad opere idrauliche esistenti e/o in progetto.
147
Relazione Finale – Capitolo 5
1. Gestione delle erosioni di sponda
Per la Fascia di Mobilità Funzionale, valgono le regole definite nel par.5.3, riassumibili
nell’azione generale di non intervenire sui tratti di sponde in erosione eccetto che nelle situazioni
dove esse possono comportare danni ad elementi ritenuti da difendere.
Entrambi i tratti del basso Vara (da Piana Battolla alla confluenza Magra) e del basso Magra
(da S.Stefano a Sarzana) sono stati precedentemente individuati come tratti prioritari da destinare
alle tendenze evolutive naturali, i quali possono cioè costituire una sorgente primaria di sedimenti
per la ricarica dei tratti stessi. In questi tratti deve essere quindi massimizzata la funzione della
FMF. Qualora il corso d’acqua dovesse in futuro avvicinarsi ai limiti della FMF, bisogna agire
attraverso una gestione attiva delle erosioni di sponda, vale a dire prevedendo un programma di
monitoraggio.
2. Provenienza ed immissione dei sedimenti
Il problema più rilevante di questo ambito, come più volte detto, è quello del recupero
morfologico e sedimentologico dei tratti fortemente incisi. La strategia prevalente di gestione dei
sedimenti risulta pertanto non tanto quella di una loro mobilizzazione, quanto piuttosto di una
immissione di sedimenti proveniente da altre sorgenti. Le provenienze di sedimenti per tale
funzione possono essere le seguenti: a) tratti a monte; b) affluenti; c) sponde; d) pianura.
Per quanto riguarda i tratti a monte, essi sono individuabili nella “Carta delle strategie di
indirizzo per la gestione dei sedimenti” (classi 1 e 2 degli ambiti Medio-alto Magra e Medio-alto
Vara), dove i sedimenti vengono mobilizzati attraverso mobilizzazione meccanica (scavo lungo il
bordo della barra). Per quanto riguarda gli affluenti, quelli che maggiormente si prestano per la
ricarica di questo ambito sono il T.Taverone, il T.Aulella ed il T.Usurana. Per tali affluenti, ed in
particolar modo per il T.Taverone, si può prevedere una periodica mobilizzazione di sedimenti in
corrispondenza della loro confluenza ed uno spostamento nei tratti in oggetto. Per quanto riguarda
le sponde, si tratta di una sorgente locale (dallo stesso tratto) che non richiede mobilizzazioni
meccaniche e spostamenti di sedimenti ma che avviene attraverso processi naturali e che quindi va
utilizzata al massimo attraverso la gestione della FMF (punto precedente). L’ultima opzione, quella
di recuperare sedimenti dalla pianura adiacente, può comprendere le seguenti misure: a) prendere
in considerazione ipotesi di reintroduzione di sedimenti immagazzinati nella piana alluvionale
(esperimenti di questo tipo sono ad es. in corso lungo l’Ain R., Francia); b) promuovere progetti di
riqualificazione fluviale che prevedano scavi per la ricreazione di piana inondabile o per la
creazione di rami secondari (ad es. progetto di riqualificazione lungo il F.Vara), ed utilizzare la
frazione grossolana per essere reimmessa in alveo.
Per quanto riguarda l’immissione di sedimenti, si tratta di applicare la misura descritta
precedentemente, vale a dire collocare sulla sponda secondo il loro angolo di riposo i sedimenti
provenienti da altri punti, in siti ritenuti idonei per tale funzione (accessibili a mezzi pesanti tramite
un percorso camionabile e sufficientemente lontani da zone a rischio).
3. Gestione del tratto di confluenza Magra - Vara
Rappresenta il secondo tratto di pregio geomorfologico, per il quale si raccomanda di istituire
normative che vadano ad impedire o limitare ogni modifica o azione che possa interferire con la
dinamica fluviale (eccetto che per condizioni di rischio). Si suggerisce inoltre di valorizzare e
potenziare le attività di fruizione, ricreazione, formazione e divulgazione, attraverso la creazione di
un percorso naturalistico dotato di pannelli, lungo il quale organizzare anche visite guidate e
promuovere attività informativa (soprattutto per le scuole).
4. Gestione del tratto prefociale
Questo tratto è destinato al mantenimento della sezione di deflusso, pertanto può essere
consentita una rimozione periodica di sedimenti in eccesso, dato che tale pratica non avrebbe effetti
sulla gestione dei sedimenti dei tratti a monte. In tal caso i sedimenti eventualmente mobilizzati
148
Relazione Finale – Capitolo 5
vanno necessariamente mantenuti all’interno della stessa unità fisiografica (bacino), recapitandoli in
prossimità della foce e/o sulla linea di costa adiacente.
5. Raccomandazioni relative ad opere idrauliche esistenti e/o in progetto
Per quanto riguarda le opere di laminazione, l’unica prevista dal PAI che ricade in questo
ambito è la cassa in località Cerlasca, posta in sinistra idrografica del Magra. La cassa rientra solo
in piccola parte all’interno della FMF; tuttavia essa va a ricadere esattamente nel tratto confluenza
Magra – Vara proposto come area di elevato pregio naturalistico e tratto in cui esaltare i processi
naturali. Pertanto la sua collocazione in questo punto è critica sia per l’artificializzazione dell’alveo
che ne deriverebbe che per i disturbi e l’artificializzazione della pianura. Si sconsiglia quindi
fortemente la realizzazione di tale cassa, almeno come cassa di tipo tradizionale. Si potrebbe invece
prendere in considerazione l’ipotesi di trasformare l’ipotesi di cassa tradizionale in un progetto di
riqualificazione, anche con aspetti sperimentali, attraverso la creazione di un’area destinata alla
laminazione naturale ed alla creazione di zone umide laterali all’alveo. Tale area potrebbe
rappresentare un punto baricentrico del Parco del F.Magra e costituire un’attrattiva naturalistica,
dove poter esaltare le attività di fruizione, ricreazione, formazione e divulgazione (punto 3
precedente).
149
Relazione Finale – Bibliografia
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