giovedì 29 settembre 2016
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVI n. 223 (47.358) Città del Vaticano giovedì 29 settembre 2016 . All’udienza generale il Papa si appella alla coscienza dei responsabili dei bombardamenti sul centro abitato Al centro l’immigrazione ma anche questioni economiche Aleppo città martire Juncker a Berlino con Merkel e Hollande E parlando del buon ladrone ricorda che la misericordia è per tutti, anche per i cattivi Un «appello alla coscienza dei responsabili dei bombardamenti» in Siria, «che dovranno dare conto davanti a Dio» è stato rivolto da Papa Francesco al termine dell’udienza generale di mercoledì 28 settembre in piazza San Pietro. Visibilmente commosso, il Pontefice ha rivolto ancora una volta il proprio «pensiero all’amata e martoriata» nazione, da dove — ha spiegato — continuano a giungere «notizie drammatiche sulla sorte delle popolazioni di Aleppo». «Unito nella sofferenza, attraverso la preghiera e la vicinanza spirituale» il Papa ha espresso «profondo dolore e viva preoccupazione per quanto accade in questa già martoriata città, dove muoiono bambini, anziani, ammalati, giovani, vecchi», rinnovando «a tutti l’appello a impe- gnarsi con tutte le forze nella protezione dei civili, quale obbligo imperativo ed urgente». Tra le altre preoccupazioni espresse dal Pontefice durante i consueti saluti ai gruppi di fedeli, anche quelle «per le sofferenze del popolo messicano» e per gli operai licenziati della Basilicata: «Non può salire più — ha detto in proposito — la percentuale della disoccupazione». In precedenza Francesco aveva dedicato la catechesi alla figura del buon ladrone. Commentando il brano tratto dal vangelo di Luca (23, 32-43) che parla del perdono sulla croce, il Papa ha rimarcato anzitutto che Gesù «in questa grande sofferenza è rimasto così e lì ci ha salvati», mentre «noi sappiamo che non è facile “rimanere sulla croce”, sulle nostre piccole croci di ogni giorno». Ma in particolare, secondo il Pontefice, l’episodio insegna che «la salvezza di Dio è per tutti, nessuno escluso». Perché «la Chiesa non è soltanto per i buoni o per quelli che sembrano» tali «o si credono buoni: è per tutti, e anche preferibilmente per i cattivi». E ciò vale soprattutto in «questo tempo di grazia» che è il giubileo della misericordia. Lo dimostra proprio la vicenda del buon ladrone, «un condannato a morte» che diventa «un modello per noi», per ogni «cristiano che si affida a Gesù». Del resto, ha ricordato Francesco, «è vero, era un ladro. Ma alla fine, pentito, guardando Gesù è riuscito a rubarsi il cielo». PAGINA 8 Oltre centomila bambini costretti a bere acqua contaminata a causa della guerra y(7HA3J1*QSSKKM( +]!z!;!$!;! Allo stremo DAMASCO, 28. Più di 100.000 bambini ad Aleppo est sono costretti a bere acqua contaminata a causa dei danni alle condotte idriche e alle falde sotterranee provocati dagli intensi raid aerei. L’allarme è stato lanciato ieri dall’agenzia dell’Onu per l’infanzia (Unicef) ed è giunto poco prima di un altro drammatico appello diffuso dall’Organizzazione mondiale per la sanità (Oms), per cui bisogna creare immediatamente dei corridoi umanitari per evacuare le persone da Aleppo est. Secondo fonti dell’opposizione, oltre 600.000 siriani rischiano «un genocidio ad Aleppo». L’Onu afferma che nei quartieri assediati e sotto attacco rimangono ancora intrappolati 275.000 civili. I bombardamenti degli ultimi giorni, che hanno provocato la morte di più di duecento persone secondo bilanci approssimativi, hanno colpito anche ospedali, ambulatori e personale medico. I feriti ad Aleppo — afferma l’Oms — non possono quindi essere soccorsi e tratti in salvo. Ieri gli Stati Uniti hanno annunciato nuovi aiuti umanitari per la popolazione di Aleppo e non solo, per un totale di 364 milioni di dollari. Una parte di questi soldi andranno anche alle organizzazioni che assistono sul campo i civili siriani fuggiti in un altro paese. Il nuovo impegno, annunciato dall’assistente segretario di Stato Anne Richards, porta a 5,9 miliardi di dollari il totale degli aiuti umanitari statunitensi per la popolazione siriana in oltre cinque anni di guerra. Questo mentre le forze governative affermano di aver conquistato il quartiere di Farafira, nella città vecchia, e una fonte militare a Damasco ha annunciato, parlando con l’Asso- ciated Press, la volontà del governo di Assad di proseguire con l’offensiva «fino a quando tutti i terroristi non saranno cancellati da Aleppo est». La Nato, che ha sempre escluso la creazione di una no-fly zone in Siria, ha accusato ieri la Russia e il governo siriano di «violare in modo palese il diritto internazionale». Mosca ha tuttavia negato qualsiasi responsabilità, respingendo le accuse. Nei giorni scorsi, lo stato maggiore delle forze armate siriane aveva avvertito i civili rimasti ad Aleppo di abbandonare la città per non essere colpiti dall’offensiva condotta da Mosca e Damasco. Intanto, a pochi giorni dal primo anniversario dell’inizio delle operazioni militari russe in Siria, si è combattuto anche lontano da Aleppo. Formazioni di ribelli hanno riportato un significativo successo contro i governativi a nord di Hama, nella Siria centrale. Questo mentre gruppi di attivisti anti-Assad denunciano l’uccisione, da parte di guardie di frontiera turche, di dodici civili, tra cui cinque minori, in tre distretti a ridosso del confine tra i due paesi: Qamishli, Tal Abyad e Ras al Ayn. Secondo il conteggio, sale così a 145 il numero di civili siriani uccisi dai militari turchi alla frontiera dall’inizio dell’anno. Tra questi si contano 29 minori e 13 donne. Sul piano diplomatico, a Mosca c’è attesa per la visita del ministro degli esteri siriano Walid Muallem. Il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov e Muallem si sono già incontrati a New York, a margine dell’Assemblea generale Onu, ma «Muallem ha un visto aperto a Mosca e noi lo aspettiamo sempre», ha detto Mikhail Bogdanov, vice ministro de- gli esteri e rappresentante speciale del Cremlino per il Medio oriente e i paesi africani. E intanto, sulla questione del dialogo russo-statunitense alle Nazioni Unite, fattosi particolarmente teso nelle ultime settimane, è intervenuto oggi anche il ministro degli esteri italiano, Paolo Gentiloni, afferman- do: «Mi auguro che la Russia collabori a far smettere Assad nel suo atteggiamento di massacrare il suo popolo. Se non lo farà, credo che sarà inevitabile una rottura drammatica a livello diplomatico internazionale, salteranno tutti questi tavoli negoziali con la Russia, Mosca tornerà a essere isolata». BRUXELLES, 28. Il presidente della Commissione europea Jean- Claude Juncker partecipa stasera a Berlino, con il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande, alla cena organizzata dallo European Round Table of Industrialist (Erti). Da Bruxelles fanno sapere che si tratta di un incontro annuale con gli industriali. È la terza volta che l’Erti organizza questo evento. Si tratta di «un evento annuale e il presidente Juncker vi parteciperà per la terza volta da quando è in carica» ha spiegato la portavoce Mina Andreeva, precisando che l’incontro con il cancelliere Merkel e il presidente Hollande «sarà dedicato principalMigranti mente allo sviluppo dell’agenda digitale e a esso parteciperà quindi anche il commissario competente, Günther H. Oettinger». In realtà, secondo quanto riporta la stampa, i tre leader avranno modo a Berlino di confrontarsi soprattutto sul nodo dell’immigrazione e sulle nuove misure di ricollocamento allo studio. Non si esclude poi l’esame di temi economici, a partire dall’agenda per lo sviluppo. Intanto da Bruxelles la Commissione europea continua a lanciare appelli alla solidarietà in tema di ricollocamenti. Dimitris Avramopoulos, commissario per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza, ha espresso apprezzamento per l’accelerazione dell’ultimo mese: solo in settembre sono stati redistribuiti più di 1200 profughi. Ma Avramopoulos ha ricordato che, a un anno dall’entrata in vigore del meccanismo di ricollocamento, i numeri restano bassi, con 5651 persone partite dalla Grecia e dall’Italia (rispettivamente 4455 e 1196) su un totale di 160.000 previsti in due anni. Quanto al reinsediamento dei migranti che si trovano nei campi profughi dei paesi terzi rispetto all’Unione, cioè soprattutto Libano, Giordania e Turchia, le cifre sono più elevate: 10.695 persone sul totale di 22.504 concordato nel- Cordoglio del Pontefice per la morte di Shimon Peres soccorsi al largo della Libia (Reuters) lo schema messo a punto a luglio 2015. Inoltre, oltre mille siriani sono stati reinsediati in Europa dalla Turchia dallo scorso giugno, quando è diventato operativo l’accordo fra Bruxelles e Ankara per la gestione dei flussi. Di nuovo c’è che nelle ultime ore, la Commissione europea ha firmato due garanzie per un valore complessivo di 600 milioni di euro per gli aiuti ai rifugiati siriani presenti nei campi profughi in Turchia. Gli aiuti, di 300 milioni ciascuno, intendono garantire l’accesso all’istruzione e ai servizi sanitari. Nello specifico, almeno 500.000 studenti siriani riceveranno lezioni di lingua turca e avranno così più strumenti per integrarsi nel tessuto sociale locale. Le garanzie da 600 milioni sono coperte dallo strumento finanziario speciale da 1,4 miliardi istituito dalla commissione a fine luglio. Prosegue intanto l’emergenza nel Mediterraneo. Guardando all’Egitto, sono state arrestate quindici persone, tra cui il proprietario del barcone, in relazione al naufragio di migranti avvenuto mercoledì scorso davanti alle coste settentrionali dell’Egitto. Il bilancio delle vittime è salito, arrivando a oltre 200 morti ma resta ancora comunque provvisorio. L’accusa per tutti è di traffico di esseri umani e responsabilità diretta nella tragedia avvenuta al largo della città di Rosetta, dove tutti i fermati risultano avere la residenza. Eredità di pace L’ex presidente israeliano Shimon Peres, principale artefice degli accordi di Oslo e premio Nobel per la pace, è morto nella notte tra martedì 27 e mercoledì 28 settembre all’ospedale Sheba di Tel Aviv. Aveva 93 anni ed era ricoverato da circa dieci giorni in seguito a un’ischemia cerebrale. Appresa la notizia il Papa ha inviato al capo dello stato d’Israele, Reuven Rivlin, il telegramma di cordoglio che pubblichiamo in una nostra traduzione dall’inglese. Mi ha profondamente rattristato apprendere della morte di Sua Eccellenza Shimon Peres, e desidero trasmettere a lei e tutto il popolo d’Israele le mie sentite condoglianze. Ricordo con affetto il tempo trascorso in Vaticano con il signor Peres e rinnovo il mio profondo apprezzamento per l’instancabile impegno a favore della pace del compianto presidente. Mentre lo Stato d’Israele piange il Signor Peres, spero che il suo ricordo e i suoi molti anni di servizio ispirino tutti noi a lavorare con sempre maggiore urgenza per la pace e la riconciliazione tra popoli. In questo modo si renderà davvero onore alla sua eredità e il bene comune per il quale si è adoperato con tanta diligenza troverà nuove espressioni, mentre l’umanità cerca di progredire sul cammino verso la pace duratura. Assicurando le mie preghiere a tutti coloro che lo piangono, specialmente alla famiglia Peres, invoco le benedizioni divine della consolazione e della forza sulla nazione. FRANCESCO Shimon Peres con Abu Mazen e Papa Francesco durante l’incontro di preghiera per la pace dell’8 giugno 2014 nei Giardini vaticani LUCA M. POSSATI A PAGINA 3 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di São João da Boa Vista (Brasile) presentata da Sua Eccellenza Monsignor David Dias Pimentel. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Vescovo della Diocesi di São João da Boa Vista (Brasile) Sua Eccellenza Monsignor Antônio Emídio Vilar, S.D.B., trasferendolo dalla Diocesi di São Luiz de Cáceres. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 giovedì 29 settembre 2016 Manifestante a favore del sì all’accordo con le Farc (Reuters) Il 92 per cento della popolazione mondiale vive in aree in cui le polveri sottili superano il limite massimo consentito Di aria si muore Francia (11.000) e Spagna (6800). E oggi la situazione sembra essere addirittura peggiorata. L’inquinamento continua a incidere soprattutto sulla salute di donne, bambini e anziani, con conseguenze spesso imprevedibili. «Per essere in buona salute, le persone devono respirare aria pulita dal primo respiro all’ultimo» ha sottolineato in una nota il vicedirettore dell’Oms, Flavia Bustreo. Le principali fonti di inquinamento atmosferico sono legate alla mano dell’uomo, dai trasporti all’uso di carburante domestico, fino alla combustione dei rifiuti, alle centrali elettriche a carbone e alle attività industriali. Ma la qualità dell’aria può anche essere influenzata dalla natura: l’Oms ricorda le tempeste di polvere, in particolare nelle regioni vicine ai deserti. «Un’azione rapida per affrontare l’inquinamento atmosferico non sarà mai abbastanza veloce — afferma il rapporto dell’organismo internazionale con sede a Ginevra — ma le soluzioni esistono: il trasporto sostenibile nelle città, la gestione dei rifiuti solidi, l’accesso a combustibili “puliti” in casa, così come le energie rinnovabili e la riduzione delle emissioni industriali». GINEVRA, 28. Sempre più allarmanti i dati sull’inquinamento atmosferico. Il 92 per cento della popolazione mondiale vive in aree in cui le polveri sottili superano il limite massimo stabilito a livello internazionale. A denunciarlo è stata l’O rganizzazione mondiale della sanità (Oms) in un rapporto presentato ieri. Il documento si fonda su dati provenienti da tremila località internazionali, per lo più città, ed è stato elaborato in collaborazione con l’università di Bath, in Gran Bretagna. L'aria contaminata miete milioni di vittime, soprattutto nei paesi poveri e più esposti ai fumi di combustibili, mezzi di trasporto inefficienti, centrali a carbone e rifiuti inceneriti. E sempre secondo l’Oms, sono tre milioni le morti associabili ogni anno alle conseguenze dell’inquinamento atmosferico, ovvero di un’aria sempre più malsana, sia all’aperto che al chiuso. In base agli ultimi dati disponibili, risalenti al 2012, nel mondo si contano circa 6,5 milioni di decessi legati all’inquinamento: ogni nove persone morte, una è vittima dell’aria contaminata. Come detto, circa il 90 per cento delle morti per inquinamento riguardano paesi a reddito medio-basso; i due terzi si registrano nel sudest asiatico e nel Pacifico occidentale. Il 94 per cento dei decessi a causa delle conseguenze dell’aria inalata – riferisce sempre l’Oms – è dovuto a malattie come quelle cardiovascolari, ictus, broncopneumopatia cronica ostruttiva e cancro ai polmoni. In Cina sono 1,03 milioni le morti riconducibili all’aria cattiva. In India 621.000 e in Russia 140.000. In Europa, sempre nel 2012, l’Italia — con poco più di 21.000 decessi — conta più vittime rispetto a Regno Unito (16.000), I due candidati torneranno a confrontarsi altre due volte Clinton e Trump verso il nuovo dibattito WASHINGTON, 28. Dopo l’eco sui media del primo confronto televisivo tra Hillary Clinton e Donald Trump, si guarda ai prossimi due dibattiti, mentre gli Stati Uniti registrano la morte di un altro giovane afroamericano colpito dalla polizia. Il 9 ottobre i candidati alla presidenza degli Stati Uniti del partito democratico e di quello repubblicano torneranno a dibattere in diretta tv, questa volta dall’Università di St. Louis in Missouri, con un formato diverso. La metà del dibattito infatti sarà gestito in base alle domande poste direttamente dal pubblico presente, selezionato tra elettori che non abbiano già vincolato la loro preferenza. L’altra metà del tempo sarà scandita dagli interventi di un moderatore, sulla base di indicazioni emerse tra l’altro dai social media. I candidati avranno due minuti per rispondere mentre il moderatore avrà a sua disposizione un minuto per intervenire sollecitando il dibattito. È previsto un terzo confronto di fronte alle telecamere prima del voto l’8 novembre. Avrà luogo il 19 ottobre presso l’Università di Nevada — Las Vegas a Las Vegas e il formato ricalcherà quello adottato per il primo dibattito, cioè solo interventi con il moderatore. In tutti i casi, sono previsti 90 minuti per la durata senza alcuna interruzione pubblicitaria. Primo bambino nato da fecondazione assistita con il dna di tre persone CITTÀ DEL MESSICO, 28. È nato il primo bambino frutto di una fecondazione assistita che ha visto l’utilizzo del dna di tre persone diverse: oltre a quelli della mamma e del papà, anche quello di una donatrice. La notizia è stata diffusa ieri dalla rivista scientifica «New Scientist». Il trattamento genetico è avvenuto in Messico e condotto da una équipe di medici statunitensi. L’obiettivo, stando a quanto si legge nell’articolo, è stato quello di riuscire, tramite la nuova tecnica, a evitare che il bambino ereditasse la patologia della madre, che soffre della sindrome di Leigh. Il metodo usato è stato sviluppato soprattutto in Gran Bretagna, dove, dopo numerose polemiche, è stata anche approvata una legge che ne consente l’applicazione. Americhe libere dal morbillo GINEVRA, 28. Il continente americano è libero dal morbillo. Le Americhe, infatti, sono la prima regione del pianeta ad avere completamente eradicato l’infezione virale, che può causare gravi problemi di salute come polmonite, cecità, edema cerebrale, fino alla morte. Lo ha dichiarato ieri l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sottolineando che il traguardo è frutto di uno sforzo lungo 22 anni basato su vaccinazioni di massa contro morbillo, parotite e rosolia. GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Cittadini statunitensi in California assistono al confronto tra Clinton e Trump (Afp) ROMA, 28. La crescita in Italia si fermerà allo 0,8 per cento quest’anno e all’un per cento l’anno prossimo; il rapporto tra deficit e pil si attesterà al 2,4 per cento quest’anno e l’anno prossimo al 2 per cento, ma con una possibile estensione di un ulteriore 0,4. Questi i principalil dati contenuti nel Def, il Documento economico e finanziario, approvato ieri dal governo. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha precisato che per il 2017 «l’Italia chiederà un indebitamento ulteriore di 0,4 punti percentuali per il sisma Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione essere stato ferito da diversi colpi di arma da fuoco sparati ieri sera dalla polizia di El Cajon, alla periferia di San Diego, in California. L’uomo, secondo quanto riferito dalle forze dell’ordine, era disarmato ma aveva estratto un oggetto dalla sua tasca e lo aveva puntato contro gli agenti. Anche sui social media si moltiplicano le accuse alla polizia di razzismo. Il Consiglio dei ministri italiano approva il Def Il morbillo — precisa una nota dell’Oms — è la quinta patologia prevenibile attraverso il vaccino a essere eliminata dal continente americano, dopo l’eradicazione del vaiolo nel 1971, della poliomielite nel 1994, della rosolia e della sindrome da rosolia congenita nel 2015. Prima dell’avvio della vaccinazione di massa, nel 1980, il morbillo causava oltre due milioni e mezzo di morti l’anno. Solo nelle Americhe sono attribuibili alla malattia oltre 101.800 decessi tra il 1971 e il 1979. L’OSSERVATORE ROMANO Ma saranno anche i due candidati alla vicepresidenza a presentarsi faccia a faccia sullo schermo. Il 4 ottobre la Longwood University di Farmville, in Virginia, ospiterà il dibattito tra il democratico Tim Keine e il repubblicano Mike Pence. Intanto, si registrano proteste in varie città dopo la diffusione della notizia della morte di un afroamericano, deceduto in ospedale dopo Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va e per la gestione dell’immigrazione». Non si tratta di chiedere nuova flessibilità all’Europa, ha spiegato Renzi, sottolineando le spese straordinarie per la ricostruzione nelle zone del centro Italia colpite dal sisma del 24 agosto scorso. La stima del pil (prodotto interno lordo) per quest’anno è sostanzialmente allineata a quella delle principali istituzioni economiche internazionali (coincide con quella dell’O cse) e nazionali (Prometeia stima poco meno, lo 0,7 per cento, come Confindustria). Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale Sull’accordo tra governo e Farc In Colombia attesa per il referendum BO GOTÁ, 28. Il 2 ottobre i cittadini della Colombia si recheranno alle urne per pronunciarsi sull’accordo di pace fra il governo di Bogotá e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), firmato due giorni fa a Cartagena de Indias. I sondaggi assicurano che oltre il 54 per cento della popolazione è a favore. L’accordo segna l’inizio di una nuova era per il paese sudamericano, dopo la guerra civile durata più di mezzo secolo. Nominato l’ambasciatore statunitense a Cuba WASHINGTON, 28. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha nominato il primo ambasciatore a Cuba dopo oltre 50 anni. Si tratta di un funzionario diplomatico che ha svolto un ruolo nella fase di ripristino delle relazioni. La sua nomina deve essere ratificata dal senato di Washington. Il nome scelto da Obama è quello di Jeffrey De Laurentis, che ha già prestato servizio a Cuba come incaricato d’affari e capodelegazione, nel quadro degli storici incontri di luglio 2015 tra Washington e L’Avana. È stato lo stesso presidente ad annunciare di essere «orgoglioso della nomina del primo ambasciatore» dopo mezzo secolo di tensioni tra i due paesi. La nomina deve comunque essere ratificata dal senato. Si sono dichiarati contrari il senatore della Florida Marco Rubio e il senatore del Texas Ted Cruz. L’embargo economico in vigore contro l’isola dal 1960 era ritenuto il principale ostacolo a una completa normalizzazione delle relazioni. Al momento restano aperte alcune questioni, come quella delle compensazioni per le proprietà statunitensi confiscate. Decine di migliaia sono stati i morti, e oltre 29 milioni i rifugiati interni: la cifra più alta al mondo fino alla guerra in Siria. A ospitare le prime trattative è stata la Norvegia, poi Cuba, protagonista della fase conclusiva. Tra i punti chiave dell’accordo, c’è quello sulla riforma agraria integrale, che mira a risolvere le condizioni di miseria e di disuguaglianza che si registrano nelle zone rurali del paese: a partire dalla consegna di titoli di terra alle comunità contadine. Da considerare il capitolo sulla «partecipazione politica: apertura democratica per arrivare alla pace», che in sintesi prevede di eliminare qualunque forma di esclusione e promuovere la più ampia partecipazione dei cittadini. E ancora il punto che riguarda la «soluzione al problema delle droghe illegali», che disegna una nuova politica con un intento sociale e basato sui diritti umani per superare i danni della coltivazione di droghe per sostenere le spese della guerra. Di non minore importanza è l’intesa raggiunta sulla questione delle vittime, che comporta un sistema integrale per assicurare «verità, giustizia, riparazione». Si prevede una «giurisdizione speciale per la pace», una «unità di ricerca delle persone date per scomparse nel contesto e per le cause del conflitto», «piani di riparazione integrale», la restituzione delle terre. Centrale è il tema delle armi. Il punto sottoscritto dedicato alla «fine conflitto» implica «la cessazione delle ostilità, bilaterale e definitiva; l’abbandono delle armi; il meccanismo di monitoraggio e verifica che le Nazioni Unite hanno messo in campo mediante il dispiegamento degli osservatori dei paesi della Comunità di stati latinoamericani e dei Caraibi (Celac)». E infine la questione del rientro delle Farc nella vita civile: affinché, «a partire da un indulto e dalla più ampia amnistia politica, si apra il cammino per la riconversione in partito o movimento politico legale nel nuovo scenario». Precisamente è previsto che i guerriglieri potranno fare politica solo dopo il pronunciamento di tutta la popolazione al referendum che si terrà domenica prossima. Il sindaco di Londra auspica visti di lavoro facilitati LONDRA, 28. Il sindaco laburista di Londra, Sadiq Khan, ha auspicato ieri l’istituzione di speciali “visti di lavoro” facilitati per mantenere aperte le porte della capitale ai lavoratori stranieri, anche laddove la Brexit dovesse sfociare nella reintroduzione di un regime di visti fra la Gran Bretagna e gli altri paesi europei con controlli più stringenti a livello nazionale. La proposta, rende noto lo staff del sindaco, è già stata discussa con alcuni esponenti economici. Ora si tratta di trovare un accordo Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 con il governo conservatore: Khan ne ha già parlato con il cancelliere dello scacchiere, Philip Hammond, con il titolare degli esteri e suo predecessore, Boris Johnson, e con il ministro per la Brexit, David Davis, in attesa di avere un faccia a faccia con la premier, Theresa May. L’obiettivo, ha confermato Khan a SkyNews, a margine della conferenza annuale del Labour in corso a Liverpool, è elaborare «un modello che ci garantisca di continuare a reclutare e attirare talenti vitali per il sistema-Londra». Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 29 settembre 2016 pagina 3 Il premier libico designato Al Sarraj e il presidente francese Hollande (Afp) La morte di Shimon Peres Il difficile cammino della pace di LUCA M. POSSATI Aveva 93 anni ed era ricoverato da circa dieci giorni in seguito a un’ischemia cerebrale. L’ex presidente israeliano Shimon Peres, principale artefice degli accordi di Oslo e premio Nobel per la pace, è morto questa notte all’ospedale Sheba di Tel Aviv. È stato l’ultimo dei padri fondatori di Israele, amato e rispettato da tutte le forze politiche: si è spento serenamente, circondato dall’affetto dei familiari e dall’amore della sua gente. Con lui se ne va una figura di primo piano nella storia del novecento. Tutti i leader del mondo piangono la perdita. «Si è spenta una luce, ma la speranza che ci ha dato risplenderà per sempre» ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Difficile parlare della vita di Peres senza il continuo riferimento alla storia dello stato di Israele. Peres nasce in Europa, nella città polacca di Višneva, nell’agosto del 1923. Emigra in Vicino oriente a poco più di dieci anni, nel 1934, quando Gerusalemme e la Palestina sono ancora sotto il mandato britannico. Vive nei kibbutz, assimilandone la cultura e la tradizione, e gioca un ruolo di spicco nella nascita del movimento giovanile laburista, venendo a contatto con la personalità di Levi Eshkol. Ma è l’incontro nel 1946 con David Ben Gurion, futuro fondatore, a cambiargli la vita. Da quel momento, inizia per lui una straordinaria carriera politica e militare. Entra nelle prime forze armate israeliane nel 1947. Partecipa come capo della marina alla guerra d’indipendenza nel 1948 per poi diventare direttore della delegazione del ministero della difesa negli Stati Uniti, con una funzione di grande rilievo a livello diplomatico. Ha così la possibilità di approfondire gli studi alla New York School for Social Research e alla Harvard University. Arriva alla Knesset nel 1959 come membro del partito Mapai, la formazione di Ben Gurion. Dopo pochi anni lascia il Mapai per fondare insieme a Moshe Dayan un nuovo partito, il Rafi, che in seguito si riunirà al Mapai confluendo, nel 1968, nel partito laburista israeliano. All’inizio degli anni settanta risalgono i primi incarichi di governo. È inizialmente chiamato da Golda Meir ai trasporti (1970-1974), poi alle finanze (1988-1990) durante il secondo governo Shamir, ma a caratterizzare la sua carriera politica sono soprattutto i tre mandati di ministro degli esteri (1986-1988, 1992-1995, 2001-2002). Come capo della diplomazia, Peres gioca le sue carte migliori, dando un impulso fondamentale al dialogo internazionale, come dimostra la partecipazione agli accordi di Camp David con l’Egitto nel 1978. Diventa quindi premier nel 1984, succedendo a Shamir. Ma il suo capolavoro politico arriva circa dieci anni più tardi, con l’avvio dei primi negoziati con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) di Yasser Arafat, grazie alla mediazione di Stati Uniti e Norvegia, fino alla firma degli accordi di Oslo nel settembre 1993. Accordi che, oltre a sancire il reciproco riconoscimento delle parti, istituivano l’Autorità palestinese in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, tracciando così la base di un futuro stato palestinese autonomo, e aprivano per la prima volta la possibilità di una soluzione diplomatica del conflitto. Per questa iniziativa, insieme al premier Yitzakh Rabin — suo amico ed eterno rivale nel partito laburista — e ad Arafat, nel 1994 Peres riceve il premio Nobel per la pace. Dopo il brutale assassinio di Rabin nel 1995 e le difficoltà incontrate nell’attuazione degli accordi, con il riesplodere degli attacchi terroristici, l’azione politica di Peres attraversa una fase molto difficile. È premier dal 1995 al 1996, per poi essere sconfitto alle elezioni da Benjamin Netanyahu, leader del Likud, e lasciare la guida del suo partito. Nel 2005 lascia a sorpresa il partito laburista per aderire al partito centrista Kadima fondato da Ariel Sharon. Ed è quest’ultimo a conferirgli di nuovo per poco più di un anno (2001-2002) la carica di ministro degli esteri. Nel giugno 2007 viene eletto nono presidente dello stato di Israele. Terminato il mandato presidenziale nel 2014, Peres è rimasto molto attivo sulla scena politica, in particolare attraverso la sua fondazione, il Centro Peres per la pace di Jaffa che promuove il dialogo fra ebrei e arabi. Tracciare un bilancio complessivo di questa lunga parabola politica è impresa complessa e forse prematura. Nonostante un passato da “falco” (appoggiò i primi insediamenti ebraici in Cisgiordania negli anni settanta), Peres ha in seguito cercato e sostenuto una soluzione equa e duratura del conflitto in Vicino oriente. Come diceva nell’ultima intervista rilasciata a «L’O sservatore Romano» (1° maggio 2013), «siamo arrivati nella terra promessa e desideriamo farne una terra di promessa; comportarci conformemente ai dieci comandamenti e costruire la nostra vita sulla scienza e sulla pace». Chiara la visione del contributo di Israele alla stabilità del Medio oriente: «Dovremmo completare il processo di pace tra noi e i palestinesi. Di fatto, la soluzione è già evidente: due Stati per due popoli; uno Stato ebraico, Israele, e uno Stato arabo, la Palestina. Siamo partiti dagli accordi di Oslo, e ora dobbiamo superare il divario che ancora rimane. Ciò è possibile, e il modo per farlo è attraverso il dialogo». Da ricordare, inoltre, il profondo legame con Papa Benedetto XVI e Papa Francesco. Nel giugno del 2014, Peres incontrò nei giardini vaticani il presidente palestinese Mahmoud Abbas per invocare, insieme a Papa Francesco, il dono della pace per la Terra santa e piantare un ulivo. «La pace non arriva facilmente» aveva detto in quell’occasione. «Dobbiamo indirizzare tutti i nostri sforzi verso la sua realizzazione. Esige sacrifici e compromessi. I palestinesi sono nostri vicini. Preghiamo che sia ormai prossimo il giorno in cui inizieremo a vivere in coesistenza, rispetto reciproco e come buoni vicini». Drone statunitense colpisce postazione jihadista in Afghanistan KABUL, 28. Le autorità della provincia orientale afghana di Nangarhar hanno reso noto oggi un nuovo bilancio riguardante il raid di un drone statunitense nel distretto di Achin, che avrebbe causato la morte di diciotto miliziani del cosiddetto stato islamico (Is), fra i quali un comandante di alto livello, e tre civili. In mattinata, fonti anonime della sicurezza afghana avevano assicurato che l’incursione del velivolo senza pilota aveva causato la morte di 13 civili e il ferimento di altri 14. Poi è emersa l’identità delle vittime e dunque la natura dell’operazione. Al riguardo il generale Charles Cleveland, portavoce delle forze statunitensi in Afghanistan, ha confermato il raid, ma non ha commentato la possibile esistenza di vittime civili. L’ufficio stampa del governo di Nangarhar ha diffuso un comunicato in cui sostiene che il raid del drone statunitense, avvenuto la scorsa notte, ha centrato una casa del villaggio di Raghzi «uccidendo diciotto militanti dell’Is, compreso il loro comandante, e ferendone altri cinque». Contemporaneamente il razzo sparato sulla casa «ha ucciso tre civili e ne ha feriti altri sei». Negli ultimi mesi le forze statunitensi di stanza in Afghanistan hanno lanciato diversi raid contro le formazioni jihadiste nel paese. Il numero di miliziani ancora attivi sul territorio afghano ammontano a circa 1500 unità. Per la stabilità della Libia Parigi sostiene Al Sarraj PARIGI, 28. Massimo sostegno al governo di unità nazionale in Libia, per portare avanti la lotta contro il terrorismo e garantire la stabilità della regione. Questa la promessa che il presidente francese, François Hollande, ha fatto ieri al premier libico incaricato, Fayez Al Sarraj, in visita a Parigi. «La Francia darà tutto il sostegno possibile al governo di unità libico: coopereremo per quanto necessario» ha dichiarato il capo dell’Eliseo. «L’interesse della comunità internazionale è quello di avere una Libia stabile e sicura» e questo per evitare che la Libia «si trasformi in una nuova Siria», ovvero in uno scenario segnato da violenza e caos. «Non possiamo accettare che ci siano bombardamenti, che la popolazione civile sia colpita, e che i bambini siano colpiti» ha detto Hollande. E ieri, intanto, l’inviato speciale delle Nazioni Unite in Libia, Martin Kobler, ha dichiarato che «le milizie di Misurata hanno pagato un prezzo molto alto per la liberazione di Sirte» dalla morsa dei jihadisti del cosiddetto Stato islamico (Is), «con 600 morti e mille feriti tra i suoi combattenti». Parlando ai media locali nella sua recente visita all’ospedale civile di Misurata, Kobler ha affermato che «non c’è una famiglia della città che non abbia avuto una vittima a Sirte. Sono stato a Misurata la scorsa settimana e ho incontrato molte persone e tutte mi hanno detto di aver perso un proprio caro a Sirte». Il diplomatico tedesco si dice preoccupato «per l’uccisione senza processo degli uomini dell’Is che avvengono a Sirte in strada dopo che sono fatti prigionieri». La lotta al terrorismo «deve andare di pari passo col rispetto della legge» ha spiegato Kobler. Intanto, i combattimenti continuano. Gli aerei da guerra libici di Misurata hanno bombardato ieri l’ultimo avamposto dell’Is a Sirte con cinque raid. Dopo giorni di sospensione dei bombardamenti aerei, secondo quanto riferiscono i media, i caccia libici hanno colpito la zona costiera della città e in particolare i palazzi dove sono asserragliati gli ultimi terroristi nella parte settentrionale di Sirte. Fonti dell’operazione «Al Bunian Al Marsus», condotta dalle milizie misuratine, confermano che gli obiettivi sono stati colpiti. I raid sono scattati dopo un periodo di calma relativa e cessazione delle ostilità nella zona. Nell’area costiera libica — confermano fonti di stampa — si troverebbero ancora circa 120 miliziani jihadisti e cinquanta membri delle loro famiglie, non solo libici ma anche stranieri. La Corte penale internazionale infligge nove anni di carcere ad Ahmad Al Faqi Al Mahdi Rapporto Onu Prima condanna per le devastazioni a Timbuctu Violazione delle sanzioni nel Darfur BAMAKO, 28. Con una sentenza storica la Corte penale internazionale (Cpi) ha condannato a nove anni di reclusione Ahmad Al Faqi Al Mahdi, noto come Abu Tourab, sotto processo per la distruzione nell’estate del 2012 dei preziosi tesori culturali di Timbuctu, la città del Mali patrimonio mondiale dell’Unesco, soprannominata «la città dei 333 santi», sepolti, tra cimiteri, mausolei o semplici tombe. Il portavoce della Cpi ha spiegato in dichiarazioni rilasciate dopo la sentenza che, per i giudici, Al Mahdi — ex capo della polizia islamica del gruppo Ansar Dine legato ad Al Qaeda nel Maghreb islamico, (Aqmi) — è colpevole e coautore al di là di ogni ragionevole dubbio di crimini di guerra. L’uomo ha «diretto intenzionalmente attacchi contro edifici storici e luoghi di culto a Timbuctu», distruggendo nove mausolei e la moschea Sidi Yahia tra il 30 giugno e l’11 luglio 2012. Il portavoce ha inoltre sottolineato che gli edifici colpiti «non rappresentavano obiettivi militari» e «non avevano solo un valore religioso ma anche simbolico e affettivo per gli abitanti» della città del nord del Mali dichiarata dall’Unesco nel 1988 patrimonio mondiale dell’umanità. La condanna tiene conto di cinque attenuanti, compresa l’ammissione di colpevolezza. Difatti, Mahdi è stato non solo il primo jihadista processato all’Aja per distruzione del patrimonio culturale, ma anche il primo imputato a di- Alcune delle opere distrutte a Timbuctu chiararsi colpevole e pentito per i reati commessi davanti al Tribunale penale internazionale. I giudici hanno poi preso in considerazione anche il fatto che si fosse inizialmente mostrato reticente davanti alla volontà dei leader dei gruppi jihadisti di distruggere i tesori di Timbuctu. Il direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova, dopo la sentenza ha affermato che si tratta di «un passo L’India annulla la partecipazione al vertice della Saarc NEW DELHI, 28. La ripresa delle tensioni tra India e Pakistan in Kashmir ha indotto il governo di New Delhi a non partecipare al vertice del gruppo Saarc (Associazione sud-asiatica per la cooperazione regionale), previsto per novembre proprio in Pakistan. In una nota ufficiale ripresa dalle agenzie di stampa internazionali, l’India ha fatto sapere che a causa dei «crescenti attacchi terroristici» sul suo territorio «realizzati con infiltrazioni attraverso la frontiera», ha deciso di boicottare il diciannovesimo summit regionale della Saarc che si terrà nella capitale pakistana, Islamabad, tra due mesi. L’India, prosegue la nota, si è detta «ferma nell’impegno per la cooperazione re- gionale, lo sviluppo della connettività e dei contatti, ma ritiene che questi temi possano svilupparsi solo in un clima libero dal terrorismo». La nuova ondata di disordini prodottasi nelle ultime settimane in Kashmir e le infiltrazioni di militanti dal territorio pakistano nel Kashmir stesso — in una delle quali sono stati uccisi 18 soldati indiani — hanno ravvivato le tensioni fra Islamabad e New Delhi. Il gruppo Saarc comprende 8 paesi: Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, India, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka. In termini di popolazione, la sua sfera di influenza è la più estesa di qualunque organizzazione regionale: quasi un miliardo e mezzo di persone. importante per la pace e la protezione del patrimonio mondiale», rimarcando la portata storica della decisione del Tribunale per ottenere il riconoscimento dell’importanza del patrimonio per l’intera umanità e per le comunità che lo hanno conservato nei secoli. Bokova si è detta convinta che «il verdetto rappresenta un elemento chiave per contrastare l’estremismo violento». KHARTOUM, 28. Dito puntato contro il Sudan. Un nuovo rapporto stilato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite afferma che il Paese africano continua a violare le sanzioni internazionali imposte per le violazioni dei diritti umani nella provincia autonoma del Darfur, dove proseguono le violenze nei confronti della popolazione civile. Il documento mette in luce che Khartoum viola regolarmente l’embargo sulle armi e usa bombe a grappolo (bandite dalla comunità internazionale), oltre ad avvalersi di software di spionaggio illegali. Fra le violazioni dei diritti umani documentati dal rapporto dell’Onu si annovera anche il finanziamento di gruppi armati che operano per conto del governo di Khartoum. Negli anni passati le milizie arabe nel Darfur sono state accusate di atrocità e di sistematica pulizia etnica a danno delle popolazioni nere che vivono nella regione. Questi eventi sono valsi le sanzioni e una condanna in contumacia — la prima inflitta a un capo di stato in carica — e un mandato di arresto da parte della Corte penale internazionale (Cpi) nel 2009 nei confronti del presidente Omar al Bashir per crimini contro l’umanità e genocidio nel Darfur. Secondo Human Rights Watch (Hrw), il rapporto dimostra come le sanzioni al Sudan «esistano solo di nome». Esercitazioni navali tra Corea del Sud e Stati Uniti SEOUL, 28. Stati Uniti e Corea del Sud hanno condotto ieri una serie di esercitazioni navali congiunte nel mar del Giappone. Si tratta, indicano gli analisti, di una risposta agli ultimi test nucleari della Corea del Nord. L’operazione militare arriva, infatti, dopo il quinto e più potente test atomico di Pyongyang dei giorni scorsi — che, oltre a causare un sisma artificiale di magnitudo 5, ha provocato dure proteste della comunità internazionale — e ha lo scopo di «inviare un forte messaggio di unificata determinazione», come hanno affermato in una dichiarazione congiunta Washington e Seoul. Secondo quanto ha riferito un funzionario della marina statunitense, è la prima volta che le navi della Corea del Sud e degli Stati Uniti — armate con missili da crociera a lungo raggio e di precisione — operano insieme in acque così vicine alla costa orientale della Corea del Nord. Le esercitazioni navali seguono il volo della scorsa settimana di due bombardieri supersonici statunitensi sulla base aerea sudcoreana di Osan, a poche decine di chilometri dalla frontiera nordcoreana. E un altro test nucleare della Corea del Nord è verosimile possa esserci entro la fine dell’anno: è quanto ha affermato il ministro dell’unificazione sudcoreano, Hong Yong-pyo, secondo cui ci sono precisi «segnali preparatori di un’altra provocazione» del regime di Pyongyang. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 giovedì 29 settembre 2016 Epitaffi del diacono Leo e della consorte diacona Palumba, anni 519 e 535 (Atripalda, da un sepolcreto di Avellino) Sono una trentina le antiche iscrizioni che vi fanno riferimento Sulle tracce delle diaconesse mangono non poche questioni aperte che «è difficile dirimere (...) partendo dai soli dati storici». In questo complesso ambito problematico, non è forse superfluo ricordare che sul piano concettuale non esiste una gerarchia delle fonti. Dunque tra i dati per una migliore conoscenza storica dei ministeri femminili rientrano legittimamente anche le iscrizioni, che possono rispondere almeno a qualcuno dei non pochi interrogativi rimasti insoluti. Allo stato attuale, nell’ambito dell’orbis Christianus antiquus si conoscono una trentina di iscrizioni che direttamente o indirettamente fanno riferimento al diaconato femminile. La loro distribuzione nel territorio dell’impero è sensibilmente asimmetrica: un solo esemplare a Roma, due in Italia, uno in Africa, uno in DalmaLa distribuzione zia, venticinque nell’Asia Minore. delle testimonianze epigrafiche Nell’area occidentale nel territorio dell’impero è asimmetrica le uniche attestazioni con certezza attribuiUn solo esemplare a Roma bili a una diaconessa due in Italia, uno in Africa e in Dalmazia in senso proprio si trovano a Doclea Venticinque nell’Asia Minore (Duklja, Montenegro), a Rucuma (AinRekoub, Tunisia), a Ticinum (Pavia). Vi teologica internazionale, presieduta sono ricordate rispettivamente una dal prefetto della Congregazione per Ausonia diaconissa, probabilmente la dottrina della fede, allora il cardi- vedova, che scioglie un voto unitanale Joseph Ratzinger. Nel secondo mente ai propri figli (Corpus Incapitolo uno spazio adeguato è scriptionum Latinarum [CIL] III espressamente dedicato a «Il mini- 13845); una Accepta diacona decedustero delle diaconesse» (paragrafo ta all’inizio del V secolo («L’Année IV), analizzato nelle sue molteplici Épigraphique» 1981, 881); una Theodeclinazioni sulla base di una pun- dora diaconissa morta a quarantotto tuale analisi delle fonti neotestamen- anni il 22 luglio dell’anno 539 (Antotarie, patristiche, documentarie (de- nio Felle, Diaconi e diaconesse tra creti conciliari, lettere pontificie). Oriente e Occidente. L’apporto della Gli esiti di questo lavoro collettivo documentazione epigrafica, in «Studia non sono ancora definitivi. Gli stessi Ephemeridis Augustianum» 117, Rocuratori del documento, in relazione ma 2010, p. 520). Ancora nell’area alla storia del diaconato femminile, africana (Thabarka: Felle, p. 510) in riconoscono realisticamente che ri- una stessa iscrizione funeraria sono di CARLO CARLETTI a preistoria di un ministero femminile nelle più antiche comunità cristiane trova la sua prima fonte di informazione nel contesto della missione paolina. Nella lettera ai Romani (16, 1) Paolo ricorda e ringrazia «Febe, nostra sorella, che è diaconessa (diàkonon) della chiesa di Cencre». Questa testimonianza costituisce l’obbligato punto di avvio — sul piano della storia teologica, pastorale, disciplinare, canonica — degli approfondimenti e delle riflessioni proposti nel ponderoso documento, Il diaconato: evoluzione e prospettive — elaborato nel 2003 dalla Commissione L ricordati congiuntamente — forse non senza ragione — un Secundus amator pauperorum e una Civica, genericamente designata Dei minister, un titolo forse assimilabile sul piano funzionale a quello di diaconissa. Nell’area orientale le testimonianze sono molto più numerose e particolarmente concentrate in Licaonia, Frigia, Pisidia. Sono per lo più iscrizioni funerarie databili tra la fine del III secolo e l’inizio del VI secolo che in succinte strutture testuali conservano memoria di donne reali, di cui quasi sempre si conserva integro il nome — ad esempio Theodora, Agallias, Matrona, Nonna, Messalina, Simplikion, Atianis — seguito dal termine tecnico diacon / diaconissa. A Metropolis in Pisidia (Felle, pp. 502, 516) un’iscrizione del V secolo commemora la partecipazione della diaconessa Nyna alla fondazione di un insediamento cultuale per il martire Kerykos, promossa dal padre, il presbitero Kastor, e da un tale De- Miniatura dal Codex biblicus Legionensis (León, 960) metrios. Si tratta di un indizio forse non irrilevante di un effettivo inserimento, almeno in Pisidia, delle diaconesse in un proprio ordine ministeriale, e in questa direzione non è trascurabile che la diaconessa Nyna avesse trovato spazio e visibilità in una iscrizione dedicatoria, per sua natura più esposta alla pubblica fruizione e, di fatto, al controllo dei potenziali leggenti. Rispetto alla situazione occidentale, la maggiore consistenza quantitativa delle diaconesse che si registra soprattutto nelle regioni dell’Asia minore non è certo frutto del caso. In questa area dell’oriente cristiano più che altrove si era radicato in profondità il retaggio dell’esperienza missionaria paolina, alla quale avevano parteciNell’oriente cristiano più che altrove pato attivamente un numero consistente di si era radicato in profondità donne, come peraltro il retaggio dell’esperienza missionaria testimonia più volte lo stesso Paolo nelle dell’apostolo Paolo sue epistole. Inoltre Alla quale avevano partecipato in questa area geografica si erano propagati molte donne ricordate nel suo epistolario movimenti di ispirazione gnostica come montanisti ed encratiti (osservanti della continenza) che privilegiavano la cidentale il ministero diaconale rimapresenza femminile non solo nei mi- se costantemente una prerogativa nisteri di servizio ma anche in quelli maschile: a Roma tra il IV e il VI sesacramentali — presbiterato ed epi- colo a fronte della presenza di quascopato — come anche documentato ranta diaconi non si riscontra alcuna in alcune iscrizioni montaniste. Non testimonianza di un ministero femcasualmente a Laodicea di Pisidia minile. La tradizione paolina e l’icoun’iscrizione funeraria del IV secolo na di Febe di Cencre non avevano ricorda Elaphia «diaconessa della re- oltrepassato i confini delle comunità ligione degli encratiti» (diakònissa tes cristiane orientali. Delbrêl inedita Storia del monastero di Sant’Anna di Nocera di LUCETTA SCARAFFIA i sono tante ragioni per considerare interessante la minuziosa storia del convento domenicano di Sant’Anna scritta da Gerardo Ruggiero (Il monastero di Sant’Anna di Nocera nell’età moderna e contemporanea, 2015) che si trova a Nocera, ai piedi del monte: in primo luogo, la continuità. Da oltre sette secoli in quel luogo, e proprio in quell’edificio, sono infatti vissute le monache domenicane, resistendo a conflitti con le autori- C Una continuità eccezionale tà laiche e religiose locali, alle riforme tridentine che ne hanno cambiato in parte l’assetto, alle espropriazioni napoleoniche e a quelle del Regno d’Italia. Certo, molto è cambiato: un edificio fatto per ospitare più di settanta fra coriste e converse è ora abitato da una decina di religiose, e il grande patrimonio acquisito nel tempo, che ne aveva fatto un importante centro di committenza Chiostro della clausura del monastero di Sant’Anna, acquerello di GianBattista Visconti (XX secolo) enkratòn thriskìas), dedicante della sepoltura del presbitero Petros (Felle, p. 516). Queste circostanze non sono probabilmente estranee alla progressiva diffusione di un quasi totale disconoscimento dei ministeri femminili nell’ambito delle chiese occidentali. E in questa direzione va inoltre considerato che più della metà delle poche attestazioni dei termini diaconissa e diacona nell’area occidentale non si riferiscono a un reale diaconato femminile, ma più prosaicamente all’assorbimento da parte di mogli e sorelle del titolo di diacono ricoperto dai rispettivi mariti e fratelli. Questa ad esempio l’opzione di Palumba diacona (morta nel 535) ricordata in uno stesso epitaffio di Avellino insieme al marito Caelius Leo diaconus (Felle, p. 520). Analogamente a Roma in una dedica del VI secolo esposta nella basilica di San Paolo fuori le mura sono ricordati congiuntamente il plurititolato Dometius diaconus et arcarius sanctae sed(is) apostolicae adque praepositus e Anna diacona eius germana, la sorella (Felle, p. 523). Il complesso dei dati epigrafici esaminati conferma che nell’area oc- modelli proposti dalla cultura controriformistica. Proprio per questa assenza, del resto, si può supporre che non sia arrivata fin qui nessuna influenza riformatrice del Savonarola — domenicano che si rifaceva direttamente a Caterina — che invece studi recenti hanno scoperto nel contesto dei monasteri domenicani femminili del centro e nord Italia. Come sempre hanno fatto le religiose più capaci di autonomia, anche le monache di Sant’Anna hanno difeso la loro indipendenza giocando sul tavolo della contrapposizione fra le diverse autorità, preferendo cioè appellarsi sempre a quella più alta ma più lontana per contrastare i tentativi di controllo delle autorità vicine, che cercavano — inutilmente — di «ridurre le monache all’obbedienza». Una sostanziale indipendenza sembra dunque averle caratterizzate nei confronti sia dell’ordinario del luogo sia dell’ordine domenicano. Un’autonomia rafforzata nel corso dei secoli anche dai rapporti privilegiati che il monastero manteneva nei con- artistica, ovviamente non esiste più. Ma rimane vivo il rapporto con il territorio che ha segnato tutta la lunga vicenda del monastero, un rapporto il cui centro è stato il culto a sant’Anna, alla quale è dedicata la chiesa delle monache. Legame testimoniato, nel tempo, da episodi toccanti, come le donazioni elargite alle monache da coloro che avevano comprato quelli che un tempo erano stati i loro terreni, ormai messi all’asta dallo Stato. Quasi a risarcirle. Un fatto raro, e quindi doppiamente significativo. È stato un monastero importante, certo uno dei più importanti del Mezzogiorno, sia per potenza e ricchezza che per cultura e osservanza delle religiose, al punto che di frequente le badesse sono state inviate in altri monasteri per insegnare l’osservanza di una più stretta disciplina monastica. La biblioteca — che è composta da un discreto numero di voluNei suoi sette secoli di vita mi, anche non strettamente religiosi (ai quaè stato un centro importantissimo li in tempi recenti si sia per potenza che per cultura sono aggiunti quelli provenienti dalle biE osservanza delle religiose blioteche personali di alcune monache) — testimonia un buon livello di cultura. Colpisce però, dall’elenco fronti di famiglie notabili, come quella fornito da Ruggiero, che manchino testi dei Solimena (la stessa dei celebri pittoe agiografie della grande domenicana, ri le cui opere abbelliscono la chiesa) Caterina da Siena. Certo una donna per nel XVII secolo, o quella delle nipoti di Bartolo Longo, il fondatore del santuamolti versi scomoda, che usciva con le rio di Pompei, tra Otto e Novecento. sue parole coraggiose e profetiche dai «Se oggi occorresse dare un nome alla nostra famiglia, non sono sicura che sarei d’accordo nel darle quello che ha» scrive Madeleine Delbrêl il 31 gennaio 1953, in un testo inedito tradotto da Marco Roncalli e pubblicato su «Avvenire» del 28 settembre. Il nome della comunità di Madeleine Delbrêl era Carità di Gesù. «Ma se dovessi dire cosa vorrei che fosse — continua Delbrêl — sarebbe ciò che questo nome vuol significare. Sono ossessionata dal duplice mistero in mezzo al quale la nostra vita deve passare come una linea dritta: il mistero della Carità e il mistero della Chiesa. Credo che non abbiamo che una sola ragione di esistere: vivere la carità nella Chiesa. Se non lo facciamo, o se vi aggiungiamo qualcosa, non val la pena di esistere. Non credo che ci sia un’altra piccola famiglia che non abbia scelto d’essere nient’altro che questo, ma d’esserlo assolutamente, stando insieme nella diversità. Se non lo facciamo, questo mancherà nella Chiesa, e se facciamo qualcos’altro, siamo un doppione e non vale la pena». Il termine sposa di Cristo, quando si parla della Chiesa, ribadisce la mistica francese, deve essere interpretato in senso letterale. «Ogni battezzato partecipa a quest’amore nuziale. Con tutti i religiosi, con tutte le persone consacrate, abbiamo deciso di accontentarci di questo solo amore. Se non dedichiamo a lui tutt’intero il nostro esistere, o se non vi corrispondiamo totalmente nelle dimensioni che gli sono proprie, siamo celibi che non servono alla diffusione della vita, né della Vita eterna». L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 29 settembre 2016 pagina 5 Mario Sironi «La giustizia» (1935-1936) Henri de Lubac e Pedro Arrupe La fede esige la giustizia di JACQUES SERVAIS in dall’inizio del suo generalato, Pedro Arrupe diede alla Compagnia di Gesù un impulso determinante. Egli resta presente nella memoria e nel cuore di molti. Lo stesso Papa Francesco, in occasione della sua prima messa nella Chiesa del Gesù, alla fine della celebrazione volle raccogliersi in silenzio sulla sua tomba. Alla morte del suo predecessore, JeanBaptiste Janssens, nel 1965, la cristianità si identificava ancora fortemente con l’ordine occidentale. Quanto alla Compagnia, in larga misura essa continuava a vivere di punti di riferimento che, dal 1923, le avevano dato la sua coerenza e la sua forza. Padre Arrupe fu scelto come una personalità capace di adattare il modo di vivere tradizionale all’ordine multipolare dei nuovi tempi, quelli di cui, secondo il Discorso sulle quattro libertà (1941) di Roosevelt, gli uomini avrebbero dovuto poter godere dappertutto nel mondo. Il nuovo eletto godeva in effetti di un’ampia conoscenza, non solo del mondo europeo, ma F nell’essenza della sua dogmatica». Segnato dall’esperienza di Hiroshima, era prima di tutto preoccupato di venir in aiuto alle popolazioni che soffrivano a causa della povertà e dell’ingiustizia. Per lui la dimensione sociale del cattolicesimo significava la missione che, sotto la sua egida, la trentaduesima congregazione generale definirà come «servizio della fede, di cui la promozione della giustizia costituisce un’esigenza assoluta». Il gesuita, commentava volentieri, è qualcuno che è «totalmente impegnato sotto lo stendardo della Croce nella lotta decisiva del nostro tempo per la fede, e per la giustizia che la fede stessa esige». Per concepire e realizzare un tale programma, bisognava che egli fosse allo stesso tempo un apostolo e un uomo di preghiera. Nel mio governo — dichiarerà a un confratello poco tempo dopo l’ictus che lo costrinse a dare le dimissioni — fin dall’inizio «ho soprattutto seguito lo Spirito». «Tutti i punti sui quali mi sono, in seguito, appoggiato non venivano da me, ma dallo Spirito che ha animato, durante e dopo il concilio Vaticano II, la vita della Chiesa». Forte delle indicazioni di quest’ultimo concernenti il rinnovamento della vita religiosa, voleva contribuire a «reincarnare il carisma» della Compagnia, «ritrovando sant’Ignazio come fondatore, non come superiore generale». «Se fossimo fedeli a ciò che lo Spirito santo insegna alla Compagnia sui differenti aspetti del carisma ignaziano — spiegò — potremmo essere oggi più ignaziani che al tempo di Ignazio stesso». Se si sforzò di far uscire l’O rdine dall’impasse in cui l’aveva condotto un certo integrismo pre-conciliare, padre Arrupe non condivideva tuttavia le interpretazioni eccessive dei teologi para- e postconciliari. Era lontano da incoraggiare quelli che, per eccesso di zelo verso gli svantaggiati, oscillavano negli eccessi di una sorta di riduzione antropologica dei principi cristologici fondamentali. Nei suoi interventi, del resto allora molto discussi, al concilio non esiterà a stigmatizzare questa specie di ateismo cristiano tendente a infiltrarsi nei suoi ranghi. L’ateismo, diceva apertamente, la sua mentalità, la sua cultura, «non solo combatte dall’esterno contro la città di Dio, ma anche si diffonde nei recinti della città di Dio, e penetra nell’anima degli stessi credenti (persino religiosi e sacerdoti) e produce con il suo veleno, surrettiziamente, come suo frutto all’interno della Chiesa, il naturalismo, la diffidenza, la ribellione». Noi siamo — avvertiva ancora — davanti a «una profonda crisi della fede e a un profondo pericolo per la fede». Spirituale, persino mistico, si rendeva conto delle pericolose turbolenze che agitavano la Compagnia, specialmente nella persona di certi gesuiti che si esponevano imprudentemente al vuoto di senso caratteristico dei nostri contemporanei e rischiavano di essere loro stessi colpiti dalla mentalità corrente. I suoi interventi conciliari, il primo in particolare, provocarono una serie di controversie all’interno della Compagnia di Gesù, dove lo si rimproverava per il suo “papalismo”. Non mancava però il supporto tra i suoi. Sapeva di poter contare anche e soprattutto sull’appoggio degli esperti gesuiti del concilio, in particolare di padre de Lubac che ricevette in udienza l’8 ottobre 1965. Questi, in seguito, annoterà nei suoi Quaderni: «Il padre generale è accogliente, modesto, al tempo stesso vivace e dolce; possiede un grande ardore apostolico»; poi aggiunge: «Sembra comprendere la gravità della crisi spirituale che stiamo attraversando». Incoraggiato dall’accoglienza che aveva trovato in lui, de Lubac gli farà pervenire, qualche tempo dopo, una copia della sua «risposta del tutto privata» al progetto di dichiarazione da parte del comitato di «Concilium» sulla libertà del teologo. «La ringrazio molto», gli scrisse subito dopo padre Arrupe. «Non le nascondo il sollievo e anche la gioia che ho provato davanti all’atteggiamento tanto netto quanto leale da lei assunto a proposito della dichiarazione; ci voleva del coraggio per farlo. Lei ha agito da vero figlio di sant’Ignazio. Sa bene, penso, che altri teologi della Compagnia hanno risposto allo stesso modo». Aveva presente, forse tra gli altri, il padre Jean Daniélou che era stato molto impegnato nella redazione di quello che allora si chiamava lo schema 13. Lo stesso anno, il 1969, de Lubac aveva dato una conferenza all’università dei gesuiti di Saint-Louis (Missouri), negli Stati Uniti. Il testo ampliato era apparso in un opuscolo intitolato L’Église dans la crise actuelle. Si trattava di una specie di manifesto con il quale l’autore reagiva vigorosamente a uno stato d’animo che si insinuava in diversi settori del pensiero, particolarmente all’interno della Compagnia di Gesù. Vi denunciava soprattutto una propensione a rimettere tutto e sempre in questione, per principio e a ogni livello, senza che niente fosse veramente studiato e discusso. Padre Arrupe, che era venuto a conoscenza del testo, gli inviò di nuovo una lettera di incoraggiamento: «Non deve temere di essere sconfessato dalla Compagnia, caro padre de Lubac. Certo, il fermento di idee e di problematiche che oggi sconvolgono la Chiesa comporta anche aspetti positivi ed è normale che alcuni, nella Compagnia come altrove, vedano soprattutto questi aspetti; ma le deviazioni e i pericoli — soprattutto per la fede, ed è per questo che sono estremamente gravi e richiedono una vigilanza attenta — sono, ahimé, troppo reali, ed è un’opera molto opportuna quella che lei ha fatto scrivendo queste pagine. Un’opera anche molto bella: lei ha scritto qui, in particolare sull’amore di Gesù Cristo e sull’amore e la preoccupazione per l’unità della Chiesa, pagine che rimarranno. Avanti, caro padre. La Chiesa si aspetta molto dalla sua scienza teologica». Lo «stato critico» — sono parole di padre Jean-Yves Calvez, l’assistente generale molto ascoltato da Arrupe — nel quale si trovò la Compagnia negli anni 1971-1973, forniva una conferma della crisi che la scuoteva in ragione della falsa interpretazione che certi suoi membri davano dell’apertura al mondo voluta dal concilio. Nessuno sapeva come arginare il flusso e riflusso delle controversie che agitavano molte province. Soltanto un piccolo numero fra i gesuiti delle nostre parti, sottolineava de Lubac, si rendeva conto, tra l’euforia generale, del pericolo di una nuova forma di scissione tra natura e grazia: aprirsi al mondo «come se Dio non esistesse», sulla base di un’idea (astratta) di “natura umana” che convenga a tutti, relegando la fede — in accordo con i teorici dell’ateismo — nel campo delle “opzioni personali”. E tuttavia la Gaudium et spes, a cui molti si rifacevano, aveva chiaramente messo in guardia contro il “divorzio” tra la fede e le attività terrene. Bisognerà attendere il magistero di Giovanni Paolo II perché la costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo venisse intesa nel suo vero significato. E ancora qui, il padre de Lubac giocò un ruolo decisivo. L’autonomia relativa del mondo non può essere rettamente compresa se non all’interno della fede che concepisce l’incorporazione all’essere teandrico come ciò che sola permette all’uomo di realizzare la sua vocazione, che è soprannaturale; è — egli affermava già chiaramente alla fine degli anni trenta — Cristo, verbum caro factum, che rivela l’uomo a se stesso come immagine del Creatore. Proprio perché ha contemplato Cristo nella sua figura unica, il gesuita — l’uomo di Chiesa (homo ecclesiasticus) — è capace di riconoscerlo e di servirlo nei fratelli e nel povero che è la sua carne, il suo quasi sacramento. Nella sua famosa lettera del 1977 sulla disponibilità apostolica, il padre Arrupe — che del resto confermò in più di una circostanza la sua unione personale con il Papa, «superiore supremo della Compagnia» — esortava a una reale integrazione della vita spirituale e del ministero, sottolineando in particolare «la necessità di realizzare ancora oggi, in maniera concreta, il motto in actione contemplativus, in modo che non sia solamente uno slogan, ma una realtà vissuta». Per lui, lo zelo apostolico unito a una vera pietas era estraneo a ogni dicotomia tra giustizia (nell’ordine della natura) e fede (nell’ordine della carità). La sua vita e in particola- Pedro Arrupe re gli ultimi anni che ha passato sul suo letto di sofferenze ne sono la testimonianza: ai veri oranti è concesso lo Spirito santo che dona di cercare e trovare Dio nelle miserie più crude del nostro tempo e di servire i poveri senza mai cessare di fissare lo sguardo su Cristo, cammino verso il Padre di misericordia. Tale è il prezioso testamento che egli ci ha lasciato. Una riforma a partire dal Vangelo Rivoluzione della misericordia di ANTONIO SPADARO e CARLOS MARÍA GALLI La copertina della quarta edizione di «Catholicisme» anche dell’America del Nord e del Sud, e soprattutto dell’Asia. Pastore ardente, Pedro Arrupe descrisse subito ciò che, a suo avviso, doveva ormai presiedere alle scelte del ministero. Lo spiegò nei seguenti termini nel corso di un’intervista data alla televisione francese: «Se vogliamo lavorare a ciò che è più universale e più urgente, dobbiamo profondamente preoccuparci delle strutture [sociali] in corso di trasformazione». Con ciò si riferiva espressamente all’intuizione centrale del suo confratello Henri de Lubac in Catholicisme: «Il cattolicesimo è essenzialmente sociale. Sociale nel senso più profondo del termine. Non solamente nelle sue applicazioni nei campi delle istituzioni naturali, ma prima di tutto in se stesso, nel suo centro più misterioso, Molte riforme della Chiesa si sono ispirate a un ritorno alla povertà evangelica e a un rinnovato impegno a favore dei poveri. I movimenti riformisti nel XIII, XVI, XIX e XX secolo sono stati segnati dalla comunione con Cristo povero, dalla conversione alla parola di Dio e alla sua predicazione, da una vita comunitaria solidale, dal radicamento nelle nuove periferie urbane, dall’identificazione con gli esclusi, ossia con i fratelli «più piccoli» di Gesù (Matteo, 25, 40), e da nuove forme istituzionali per realizzare le opere di misericordia. L’amore per il povero nasce dalla fede in Cristo, che «si è fatto povero perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà» (2 Corinzi, 8, 9). L’11 settembre 1962 Giovanni XXIII parlò della «Chiesa di tutti, ma soprattutto la Chiesa dei poveri». Inaugurando il concilio, nell’esortazione Gau- det mater ecclesia, domandò che la Chiesa fosse «una madre amorosa di tutti, benigna, paziente, piena di misericordia e bontà». Nel discorso di chiusura del concilio, Paolo VI disse che l’episodio del buon samaritano era «il paradigma della spiritualità conciliare». Giovanni Paolo II espresse l’opzione della Chiesa per i poveri (Centesimus annus, 57) e Benedetto XVI mostrò che «nel più piccolo incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio» (Deus caritas est, 15). Oggi Francesco promuove una riforma a partire dal Vangelo e dalle periferie della povertà. La riforma della Chiesa è attuare la rivoluzione evangelica ed evangelizzatrice della tenerezza. Nel 1950 Yves Congar indicò come prima condizione per una vera riforma la finalità pastorale e il primato della carità. Gesù diede inizio alla «rivoluzione della tenerezza» (Evangelii gaudium, 88) che fa della misericordia l’asse portante che sostiene la vita, la missione e la riforma della Chiesa. La sua croce pasquale rivela «le viscere di misericordia del nostro Dio» (Luca, 1, 78). L’amore appassionato e compassionevole caratterizza «la Chiesa della carità», Chiesa samaritana che ha da essere una madre dal cuore aperto per testimoniare l’amorosa umanità del nostro Dio. Nell’Anno giubilare della misericordia rinnoviamo il desiderio di essere misericordiosi come il Padre misericordioso. Le riforme del e nel popolo di Dio, che ricevono impulso dallo Spirito santo, crescono mediante processi sinodali orientati alla dilatazione del regno di Dio inaugurato nella Pasqua di Cristo morto e risorto. Esse richiedono una forte coscienza storica e un acuto senso del tempo e dell’opportunità. In ogni processo è possibile compiere dei passi in avanti minimi con orizzonti massimi. La peregrinazione ecclesiale e i processi riformatori fanno leva sulla virtù teologale della speranza, che rende possibile ciò che è arduo, e sulle virtù che attengono all’ambito della fortezza: la perseveranza, la pazienza, la magnanimità e l’audacia. Essi esigono anche una grande prudenza e maggiore misericordia (Evangelii gaudium, 44). Teologi e canonisti Dal 28 settembre al 2 ottobre 2015 si è tenuto alla «Civiltà Cattolica» un seminario con trenta teologi, storici e canonisti di tredici Paesi i cui atti sono usciti nel libro La riforma e le riforme nella Chiesa (Brescia, Queriniana, 2016, pagine 615, euro 53). Pubblichiamo la parte conclusiva della prefazione dei curatori. «Il Dio della speranza» (Romani, 15, 13), «il Dio dell’amore» (2 Corinzi, 13, 11) — perché «Dio è amore» (1 Giovanni, 4, 8) — ci sostiene, ci guida e ci accompagna in questo cammino permanente di rinnovamento. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 giovedì 29 settembre 2016 Alla vigilia del viaggio del Papa in Georgia e Azerbaigian Il medico il polso e le periferie di GIUSEPPE PASOTTO* «Ma perché, con tanti luoghi più importanti che ci sono, il Papa viene proprio in Georgia?». Questa è stata la domanda che mi sono sentito rivolgere più volte da quando è stato annunciata la visita del Pontefice. Anche noi in Georgia, una volta preparato l’invito alla visita e averlo inviato in Vaticano assieme a quello del presidente della Repubblica e del patriarca ortodosso, ci chiedevamo se potesse venire accolto così in fretta: in fondo Giovanni Paolo II era stato qui, in visita, solo sedici anni prima! Una risposta ci è giunta qualche settimana fa, quando il direttore di Civiltà Cattolica, in una serie di incontri con la cittadinanza, organizzati per aiutarci a cogliere il senso principale dei viaggi del Pontefice nel mondo, ha usato un’espressione che ci ha colpiti: «Se un medico vuole capire come funziona il cuore, la prima cosa che fa è sentire il polso, e il polso si trova nella periferia del corpo. Ecco, il Papa ama andare nelle periferie per capire lo stato di salute del cuore, e di tutto il corpo». «La pace sia con voi» è il motto scelto per questo viaggio, ma io credo sia da tener presente anche quell’Ut unum sint, che abbiamo anche valutato nella scelta. Credo che i due motti si completino a vicenda e si adattino bene alla nostra realtà. Il Papa ama l’incontro, e l’incontro è sempre una possibilità per creare pace, unità e fraternità. Chi conosce i paesi transcaucasici (Georgia, Armenia e Azerbaigian) coglie subito la varietà di situazioni che questi vivono e la fragilità che sostiene la loro situazione politica e sociale. Non possiamo dimenticare che all’inizio il Pontefice pensava di raggiungere questi paesi in un unico viaggio, per sottolineare l’unità di intenti nelle sue visite. Chi vive a fianco dei georgiani non fatica a sentire quanto sia ancora aperta e profonda la ferita della guerra del 2008, quanto sia rimasta grande la sofferenza del cuore in un popolo tenacemente legato alla propria identità nazionale. Papa Francesco, certamente, per questa regione caucasica indicherà vie di pace, che diventino vie di giustizia, di rispetto per la storia di ogni popolo; le sue parole saranno analizzate e pesate come importanti e autorevoli non solo dai georgiani, proprio per la figura morale che egli ricopre nell’ambito internazionale. L’incontro con le autorità politiche che egli porrà come primo gesto, appena arrivato, danno importanza ed evidenzieranno anche questo aspetto. Il tema ecumenico è l’altro impegno che, parallelamente, sarà nel cuore del Papa. Appunto: «La pace sia con voi». Certo si renderà conto delle difficoltà che ci sono: non tutti infatti vedono il cammino verso l’unità come volontà di Dio, e permangono chiusure e diffidenze. La vita quotidiana lascia intendere quanto ancora sia lungo e difficile questo cammino tra ortodossi e cattolici. Ma ogni cammino è fatto di piccoli passi, va avanti se c’è tenacia, se si tiene presente la meta. Papa Francesco lo sa, e crede nella forza dei gesti. Anche il gesto del patriarca di ricevere il Papa all’aeroporto, in patriarcato e nella cattedrale di Mtskheta, e di inviare una delegazione alla messa che il Papa celebrerà allo stadio, sono segni che indicano e sussurrano possibili novità. Guardiamo a questi segni con tanta fiducia, certi che il Pontefice ci spingerà con forza a proseguire su questo cammino. Metto per ultimo l’incontro che Papa Francesco avrà con la comunità cattolica locale, ma pensandolo, con certezza, al centro del cuore del Papa. La nostra Chiesa, una piccola Chiesa che forse raggiunge l’un per cento della popolazione, è suddivisa in tre riti: latino, armeno e assiro-caldeo. Quattro momenti del programma diventano scelte, offrono chiare indicazioni. L’appuntamento con la Chiesa cattolica assiro-caldea è voluto per ricordare la situazione di persecuzione che essa vive in Medio oriente assieme alle altre comunità cattoliche. È la prima volta che il Papa entra in una chiesa assiro-caldea, nessun Papa prima di Francesco l’ha fatto. Sono contento che avvenga qui da noi; e oltremodo felice è la piccola comunità che vive Al servizio dei più deboli È solito definirsi «ambasciatore della carità in un Paese di frontiera». Marcello Celestini è l’ambasciatore del Sovrano Militare Ordine di Malta (Smom) in Georgia e sin dall’inizio del suo mandato diplomatico, nel 2009, ha adottato come protocollo operativo quello dell’aiuto ai poveri e ai malati. Nella capitale georgiana, grazie al suo impegno e a quello dei consiglieri dell’ambasciata, Teodorico Nanni e Corrado Ruggieri, lo Smom ha infatti organizzato un servizio socio-sanitario di assistenza domiciliare. Un’attività favorita dall’esperienza professionale di Celestini — che è medico ortopedico e fisiatra — e da un servizio svolto sin dal 2004 proprio in Georgia nella Caritas locale guidata da padre Witold Szulczynski. A Tbilisi, tra l’altro, riuscì anche a costruire un piccolo centro di formazione del personale per la riabilitazione. Quando giunse la chiamata dello Smom? Nel 2009, dopo che nel 2008, durante la guerra russo-georgiana, avevo prestato servizio come medico e organizzatore dei soccorsi dell’Associazione polacca dell’O rdine di Malta. E la divisa d’ambasciatore ha preso subito le sembianze del camice bianco... Il carisma dell’Ordine di Malta è Tuitio fidei et obsequium pauperum (“difesa della † I superiori e gli officiali della Pontificia Commissione Ecclesia Dei e della Congregazione per la Dottrina della Fede esprimono il loro profondo cordoglio per la scomparsa del padre di Monsignor Patrick Descourtieux, officiale della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, e si uniscono nel pio suffragio accompagnando la sua anima nel transito celeste. qui in Georgia e che vedrà, grazie alla visita del Papa, anche il suo patriarca con tutto il sinodo che verranno proprio per sottolineare la gioia e la gratitudine che tutti gli assiro-caldei del mondo sentiranno in quel giorno. La messa celebrata nello stadio per i cattolici, e per quanti si sentono bene quando sono con i cattolici, occuperà tutto il sabato mattina. Avevamo un po’ paura di essere in pochi, e invece vediamo un grande interesse per questa liturgia. Sono contento che a sostenere i canti della messa sia un coro di più di duecento elementi, formato dai cori delle varie comunità cattoliche, ma che ingloba anche cori di tante realtà protestanti e persone ortodosse che hanno accolto il nostro invito a stare assieme per rendere bella questa celebrazione. Sono certo che il Papa ci spingerà a rinnovare l’impegno per l’ut unum sint, sia all’interno della nostra Chiesa che con le altre confessioni cristiane. Chissà quando si avvererà questo sogno per il quale Gesù stesso ha pregato! Posso dire anche che siamo contentissimi che il Papa passi attraverso la nostra «porta santa», una porta giubilare che non conduce in una chiesa, ma ci dice che la misericordia deve superare ogni muro, deve essere rivolta a tutti; che la misericordia ci permette di guardare in alto, perché questa non ha né primi posti né ultimi. Passando at- La cattedrale cattolica dell’Assunta a Tbilisi traverso la porta il Papa confermerà il nostro cammino di Chiesa e gli impegni presi nell’anno giubilare. Il Pontefice incontrerà poi in cattedrale, cuore della Chiesa, tutti i sacerdoti, i consacrati e i consigli pastorali. Vogliamo che sia un momento familiare, per parlare con il nostro pastore, dirgli chi siamo e come viviamo: una mamma con la sua famiglia si soffermerà sui problemi della vita delle nostre famiglie; un giovane esprimerà le aspirazioni e le delusioni che si vivono in questa età in Georgia; un seminarista, guardando il suo futuro e il futuro della nostra Chiesa, porrà domande che sente forte nel cuore; un sacerdote armeno presenterà la situazione delle comunità armene. Vivere la minoranza ci fa capire tante cose e tante sofferenze di altre minoranze, ma ci dà anche il dono della libertà e del dover scegliere sempre e solo ciò che è primario e indispensabile. Infine ci sarà l’incontro con tutte le nostre organizzazioni che servono e assistono i poveri e gli ammalati: l’opera caritativa mostra la chiamata che ogni Chiesa ha a inginocchiarsi e servire chi soffre. Immagino questo momento come un abbraccio festoso e pieno di sorrisi che esprimeranno il grazie delle persone che si sono sentite accolte e delle persone che hanno potuto essere dono per gli altri. Non posso non pensare al sorriso che avrà, in mezzo a questa assemblea, Papa Francesco, un sorriso stimolante per tutti. La Chiesa cattolica in Georgia è in attesa trepidante, accompagnata dalla preghiera quotidiana; un’attesa che sentiamo condivisa da tante persone che ritengono vere le parole del profeta Isaia (52, 7): «Come sono belli, sui monti, i piedi del messaggero di lieti annunzi: messaggero di pace, messaggero di bene, che annunzia la salvezza, che dice a Sion “Regna il tuo D io”». Vieni, Papa Francesco, messaggero oggi sui monti del Caucaso! *Vescovo titolare di Musti, amministratore apostolico del Caucaso dei latini Nel piccolo gregge azero di VLADIMIR FEKETE* La Chiesa cattolica in Azerbaigian sta aspettando con grande gioia la visita di Papa Francesco. Dopo l’Armenia e la Georgia, l’Azerbaigian è il terzo Paese del territorio del Caucaso che ha questa opportunità di riceverlo. Con i nostri confinanti abbiamo una storia molto simile. La differenza maggiore si trova nel fatto che l’Azerbaigian — nonostante la tradizione cristiana sia presente già dal tempo degli apostoli e dei loro discepoli — è un Paese con maggioranza assoluta di musulmani. Due terzi sono sciiti e un terzo sunniti. La comunità cristiana più numerosa è invece la Chiesa ortodossa russa. fede e servizio ai poveri”), perciò, per attuare un programma di opere e non di parole, con i consiglieri d’ambasciata abbiamo istituito una fondazione intitolata al cardinale Pio Laghi. È una fondazione di beneficenza, riconosciuta dal governo georgiano, che vive esclusivamente grazie al sostegno di benefattori. come un albero sano e forte dare ombra e supporto a tutti coloro che hanno bisogno o stanno cercando la verità e il senso della vita. Il territorio dell’Azerbaigian era sotto la giurisdizione del vescovo di Tbilisi. Dopo l’arrivo di noi salesiani, nel 2000 è stata eretta la Missio sui iuris di Baku, sotto la giurisdizione della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Nel 2011 è stato firmato l’accordo internazionale tra la Santa Sede e l’Azerbaigian sullo stato giuridico della Chiesa cattolica nel paese, quindi Benedetto XVI ha eretto la prefettura apostolica. D all’inizio del suo pontificato, Papa Francesco sta mostrando il suo amore prediletto verso i bisognosi e gli emarginati e preferisce visitare le periferie del mondo. Ora è il momento degli abitanti del Caucaso, gente orgogliosa della propria terra, che sente di vivere in un posto importante, un crocevia tra l’est e l’ovest. Ma dal punto di vista dei numeri, noi cattolici ci sentiamo un po’ all’angolo del mondo cattolico. In concreto cosa avete organizzato? Ci siamo resi conto che uno dei bisogni più emergenti era quello dell’assistenza domiciliare e a quello abbiamo provveduto: ogni giorno un infermiere e un terapeuta si recano a casa dei malati per prestare cure igieniche, terapeutiche e riabilitative. Assistiamo circa venti pazienti giornalieri con un ricambio ogni due o tre mesi. Naturalmente le attività sono completamente gratuite e vengono erogate senza distinzioni religiose. L’unico criterio è il bisogno. Ora stiamo anche pensando a un paio di altri progetti che prevedono il sostegno alle suore missionarie della carità nella gestione degli asili nido estivi, e anche la ricostruzione dei tetti delle case di campagna che vengono fortemente lesionati dai rigidi inverni. Non è l’unica presenza cattolica in Georgia nel campo della carità? Naturalmente no. I nostri casi più gravi, ad esempio li indirizziamo all’ospedale dei camilliani. E non dimentichiamo la preziosa opera svolta dalle missionarie della carità di santa Teresa di Calcutta. Tutta la presenza cattolica in questo campo è vista con riconoscenza dalle autorità governative e dai vertici religiosi ortodossi. Tutti quanti avremo l’onore e la gioia di incontrare Papa Francesco sabato 1° ottobre proprio nel cortile del centro di assistenza dei padri camilliani. Il nostro impegno, per così dire, è una piccola goccia in un oceano, che rientra però nella tradizione dell’Ordine di Malta che, come ordine ospedaliero, oggi opera in più di cento Paesi in tutto il mondo. (maurizio fontana) La capitale Baku Per motivi storici e culturali l’islam in Azerbaigian è molto moderato. Si può forse dire che dopo settant’anni di persecuzione da parte dei bolscevichi, il popolo azero sia abbastanza secolarizzato. Durante gli ultimi vent’anni, comunque, la vita religiosa dei musulmani sta riprendendo, e se alla fine dell’epoca sovietica nell’intero paese erano solo diciassette le moschee aperte alla preghiera e al culto, adesso ve ne sono più di duemila. Sin dall’inizio dell’indipendenza il governo e i politici stanno cercando vie per conservare buoni rapporti tra le varie etnie e le religioni e per mantenere l’Azerbaigian un Paese tollerante. Un posto in qualche maniera “privilegiato”, al momento, lo hanno le religioni tradizionalmente presenti nel territorio: insieme con i musulmani, gli ebrei e la Chiesa ortodossa russa, tra loro si trova anche la Chiesa cattolica. Quest’ultima vive oggi una vera e propria rinascita. È composta solo di alcune centinaia dei cattolici locali e di alcune migliaia di stranieri che lavorano nel Paese. Tra dieci milioni di abitanti siamo proprio un piccolo seme. Stiamo pregando di ottenere la grazia — come un granello di senape — di avere la capacità di crescere, e poi, L’annuncio della visita del Pontefice è stato quindi accolto con grande entusiasmo da parte dei credenti locali, perché la maggioranza di loro non avrà mai la possibilità di viaggiare fino a Roma. Grandi sono anche le aspettative della società. Gli azeri stimano il Papa, come un leader religioso coraggioso, di grande autorità, e i suoi sforzi per la protezione dei valori non solo cristiani ma innanzitutto umani. Uno dei problemi più sentiti nel nostro paese è il conflitto con l’Armenia, per il controllo della regione del Nagorno-Karabakh. Dura già da tanti anni e ha causato numerose vittime. Noi tutti speriamo che la presenza di Papa Francesco possa incoraggiare la ricerca delle vie di riconciliazione. Perché alla frontiera stanno morendo musulmani, cristiani ed ebrei. L’Azerbaigian è uno dei grandi produttori di petrolio e gas, e le entrate dello stato essenzialmente dipendono dalla loro esportazione. Con il forte calo del prezzo del greggio negli ultimi due anni, l’economia ha ricevuto un duro colpo. La valuta locale ha perso più di due terzi del valore. È aumentata la disoccupazione. La Chiesa cattolica, sin dall’inizio della sua presenza, sta cercando di aiutare la po- polazione in campo sociale. Nel 2000 e poi, quando abbiamo iniziato la missione qui, nella capitale Baku abbiamo avuto tre posti per distribuire i pasti ai più poveri, soprattutto ai rifugiati dal territorio del Nagorno-Karabakh. Una volta che questo problema è stato gradualmente risolto dal governo, abbiamo cercato di portare aiuto in altri campi. Con un progetto di adozione a distanza aiutiamo le mamme abbandonate dai mariti. Con i nostri giuristi cerchiamo di soccorrere i poveri senza documenti d’identità. Solo una volta ricostruita burocraticamente la loro identità, potranno infatti attingere ai fondi sociali dello stato. Come eredi di don Bosco aiutiamo nel nostro centro di ricupero centinaia di ragazzi di famiglie povere. Le missionarie della carità di santa Teresa di Calcutta curano le persone senza tetto e aiutano le famiglie bisognose. Stiamo cercando — secondo le nostre possibilità — di stare accanto a tutti, poveri o emarginati. Il Pontefice incontrerà un popolo particolarmente aperto e curioso nei confronti degli stranieri e delle diverse tradizioni religiose. Lo stesso sceicco, capo dei musulmani del Caucaso, volle contribuire personalmente quando costruimmo la chiesa a Baku: fu un segno di stima che apprezzammo. In città la convivenza tra cristiani, ebrei e musulmani è buona: nella nostra chiesa dell’Immacolata, ad esempio, vengono a pregare molte donne musulmane, soprattutto quelle in attesa di un bimbo. Conosciamo molto bene i cari fratelli ortodossi, siamo legati da rapporti di sincero affetto e ci frequentiamo regolarmente. Invitiamo sempre l’arcivescovo Alexander alle nostre celebrazioni più importanti e lui non manca mai di ricambiare l’invito. Da quando abbiamo saputo della visita del Papa, nella nostra vita tutto è cambiato. Siamo in pochi, ma ci siamo preparati con entusiasmo. Ora attendiamo che l’aereo con Papa Francesco atterri a Baku. Il vescovo di Roma e vicario di Cristo arriverà sulle sponde del mar Caspio per incoraggiare un piccolo gregge di cattolici e portare un messaggio di pace, misericordia e fratellanza universale per il popolo azero. Già adesso vogliamo dirgli con tutto il nostro affetto: «Benvenuto tra di noi, caro Papa Francesco! Xoş gelmisiniz». *Prefetto apostolico di Azerbaigian L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 29 settembre 2016 pagina 7 Intervista al cardinale Beniamino Stella postulatore della causa di Albino Luciani Umiltà e servizio di NICOLA GORI Il 28 settembre 1978 moriva Giovanni Paolo I. Erano trascorsi appena trentatré giorni dalla sua elezione a successore di Pietro. Un pontificato breve, che però ha lasciato tracce importanti, passando alla storia per alcune caratteristiche che lo rendono ancora vivo: l’abbandono del plurale maiestatico, una rinnovata missionarietà e collegialità episcopale, la ricerca del dialogo con il mondo contemporaneo e dell’unità tra i cristiani. Ne parla, in questa intervista all’Osservatore Romano, il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il clero, da poco nominato postulatore della causa di canonizzazione del servo di Dio. Quali sono le note caratterizzanti della spiritualità di Albino Luciani emerse dal lavoro della causa? Nella sua esperienza non si riscontrano eventi eccezionali, ma una vita quotidiana spesa fedelmente e continuamente nel servizio sacerdotale e pastorale. Un servizio svolto secondo il modello del buon pastore. Nei suoi scritti non si intravede alcun intento di costruire un’immagine di sé, né la prospettiva o le ambizioni di glorie effimere. Egli consacrò alla salus animarum tutto il suo zelo di sacerdote e di vescovo, al tempo stesso, offrì tutta la sua dedizione alla cura della propria anima e della propria fede. Non ci fu in lui alcuna separazione tra la vita personale e la vita pastorale, tra la vita spirituale e l’esercizio di governo. La sua testimonianza di vita cristiana fu scritta nell’esemplare coincidenza tra quanto egli insegnava e quanto viveva, con fedeltà quotidiana alla sua vocazione, in tutto il suo percorso da giovane sacerdote fino alla cattedra di Pietro. Tutta la vita di Albino Luciani, si può dunque dire, fu impegnata a ricercare la sostanza del Vangelo, come unica e ininterrotta verità, al di là di ogni contingenza storica. Così anche nel breve pon- tificato, dopo la prima programmatica udienza generale sull’umiltà, egli dedicò le altre proprio alle tre virtù teologali. E nella semplicità evangelica si iscrive anche il ministero pastorale petrino pienamente esercitato, che per il servo di Dio mai si disgiunse dalla cura per il progresso personale nella fede, nella speranza e nella carità. In sostanza, nella santità. L’esito di questa cura fu un’attenzione sempre più forte alle dimensioni dell’umano, al servire l’uomo in quanto tale. E gli uomini, così come sono, con le concrete vicende della loro vita, non diventarono per il servo di Dio solamente destinatari del suo magistero, ma fratelli di una comune vocazione, nell’affidamento alla misericordia, ciò che unisce tutti. Sono queste le note caratterizzati della sua spiritualità, come si evince da quanto egli stesso disse: «Il vescovo chiede al Signore non solo di potervi insegnare questa cosa principalissima [l’amore di Dio e del prossimo] durante la missione che il Signore gli concederà di svolgere in mezzo a voi, ma di potervi precedere anche con l’esempio». Luciani veniva da un’estrazione sociale popolare. Come incisero queste sue origini nel ministero episcopale? Non si può certo ignorare l’humus sociale di quella storia di povertà rurale e operaia del Veneto dal quale proveniva, così come l’esempio che ricevette anche dai suoi formatori. La povertà per Luciani costituiva la fibra del suo essere sacerdote, ne aveva fatto la dote più importante e da essa aveva tratto alimento anche la sua cura d’anime. Tuttavia non è la povertà del populismo o del modesto prete di montagna, ma quella che per Luciani, sacerdote di solida formazione teologica e di elevata formazione culturale, affonda le radici nel mai dimenticato fondamento di una Chiesa senza trionfi mondani, vicina agli insegnamenti dei Padri, sul modello di Cristo e della sua predilezione per i poveri, senza la quale poco si capirebbe del Pontificio Collegio Messicano in Roma; Suore Missionarie; Suore di Nostra Signora delle Missioni; Suore del Sacro Cuore di Gesù; Ordine dei Servi di Maria; Partecipanti al Capitolo Generale delle Suore Terziarie; Cappuccine della Sacra Famiglia; Suore di Nostra Signora della Consolazione. Dall’Italia: Pellegrinaggio della Diocesi di Ascoli Piceno, con il Vescovo Giovanni D’Ercole; Pellegrinaggio dell’Arcidiocesi di Otranto, con l’Arcivescovo Donato Negro; Pellegrinaggio dalla Diocesi di Modena-Nonantola. Gruppi di fedeli dalle Parrocchie: Sant’Andrea, in Novoledo; San Bonaventura, in Cadoneghe; San Marco, in Mestre-Venezia; Sacra Famiglia, in Ghiaie di Bonate Sopra; Santa Maria Addolorata, in Cividino; San Martino, in San Martino in Strada; Santo Stefano, in Lenno-Tremezzina; San Giovanni Battista, in Bosconero Canavese; Santa Maria Assunta, in Chivasso; San Pietro, in Savona; San Giovanni e Santa Maria, in Novellara; Santa Maria alla Romola e San Pio X al Sodo, in Firenze; Santa Maria di Loreto e San Ciriaco, in Altidona; San Marone, in Civitanova Marche; Spirito Santo, in Lanciano; Sant’Antonio di Padova, in Capistrello; Santa Maria del Carmelo, in Torre Annunziata; Santa Maria Assunta, in Lusciano; San Sossio e Madonna del Pantano, in Villa Literno; San Giovanni Evangelista, in Paterno; San Benedetto, in Barletta; Unità pastorale di Schiavon e Longa; Santa Marina, in Polìstena; Sant’Antonio, in Reggio Calabria; Santa Caterina da Siena, in Scicli; San Giuseppe, in Passo di Rigano-Palermo; Unità pastorale Beato Oscar Romero, di Reggio Emilia. Gruppi di fedeli dalle Parrocchie di Pieve di Solìgo, e di Ronco e Gussago. Associazione laici amore misericordioso, di Paternò; Associazione lavoratori anziani del Gruppo Generali, di Milano; Associazione SOS, di Bari; Associazione buoni amici, di Favria; Associazione Campanari Reggiani; Associazione volontari ospedalieri, di Nocera-Sarno; Associazione pubblica assistenza, di Bergiola Maggiore; Associazione volontariato solidale europeo Sicilia, di Catania; Associazione Avis, di Lentate sul Seveso; Associazione Vivere Fu il primo Papa a scegliere il doppio nome in omaggio ai due predecessori e ad abbandonare il plurale maiestatis per un linguaggio più immediato. Quale significato attribuire a queste novità? Penso che la scelta del doppio nome “Giovanni Paolo” non sia stato solamente semplice omaggio ai suoi predecessori. Con questa scelta egli intendeva chiaramente proseguire l’attuazione del concilio Vaticano II ed erigere l’arco di congiunzione di coloro che erano stati le colonne portanti dell’opera conciliare. Giovanni XXIII e Paolo VI sono colonne che furono da taluni giudicate tra loro separate. Luciani conosceva questo dissidio in seno alla Chiesa e lo considerava offensivo della verità e nemico dell’unità e della pace. La scelta del doppio nome fu pertanto anche segno dell’unità che egli ricercava nella Chiesa e certamente espressione dell’intuito con cui egli sapeva con prontezza afferrare le questioni e sciogliere il nodo dei problemi difficili nella Chiesa. Anche gli altri gesti che egli compì durante il breve pontificato, così come la scelta di un linguaggio familiare, conversevole e accessibile, riconducono tutti all’essenziale semplicità evangelica, frutto dell’esigenza di un ritorno alle sorgenti del Vangelo e quindi di rinnovamento scaturita dal concilio. Quali sono state le sue priorità come pastore della Chiesa universale? Nel corso del suo brevissimo pontificato troviamo essenzialmente espresse le priorità e i tratti di un Pontefice che, incarnando il dettato conciliare, ne diviene apostolo facendo progredire la Chiesa sulle strade maestre indicate dal concilio: la risalita alle fonti del Vangelo e una rinnovata missionarietà, la collegialità episcopale, il servizio nella povertà, il dialogo con la contemporaneità, la ricerca dell’unità con i fratelli ortodossi, mostrato nell’incontro con il metropolita russo Nikodim, e la ricerca della pace. Quale messaggio ha lasciato in eredità alla Chiesa di oggi? Con Giovanni Paolo I non si è chiusa una breve pagina della storia dei Papi. Non c’è dubbio che in queste priorità espresse e nella prossimità manifestata alle realtà umane, specialmente ai più bisognosi, troviamo la perenne e stringente attualità di Papa Luciani, come evidenzia anche il recente numero speciale della rivista «Le tre Venezie» dal titolo Giovanni Paolo I, Albino Luciani un Papa attuale, pubblicato in occasione del trentottesimo anniversario della sua elezione. Ma certamente uno degli aspetti di attualità della vita e dell’opera del servo di Dio è legato al tema centrale, evangelico della misericordia. Basta ricordare solo alcune delle sue espressioni: «Dio è misericordia»; «Dio è padre, più ancora è madre»; «madre è anche la Chiesa, se è continuatrice di Cristo. Cristo è buono: anche la Chiesa dev’esser buona, dev’esser madre verso di tutti. Nessuno escluso»; «siamo tutti poveri peccatori (...) ma nessun peccato è troppo grande, nessuno più della misericordia sconfinata del Signore». Nell’ultima udienza generale sulla carità allo stesso modo ricorre l’insistenza sulle opere di misericordia. Sono questi motivi attualissimi dei quali è costellato il magistero di Papa Luciani. Egli è stato anzitutto testimone dell’amore misericordioso di Dio: è una costante della sua vita conforme alla sua predicazione. E il continuo riferimento alla natura del cuore di Dio che è amore, amore che ci precede, trova oggi consonanze profonde con il magistero di Papa Francesco. Come postulatore della causa di canonizzazione di Papa Luciani l’attende un importante compito. A che punto si trova adesso l’iter canonico? La causa di canonizzazione è giunta alla fase finale. Si avvia infatti all’esame di giudizio conclusivo da parte degli organi collegiali della Congregazione delle cause dei santi per la proclamazione delle virtù. Si chiude così la fase romana del processo sulla vita, le virtù e la fama di santità di Albino Luciani, che si era aperta il 13 giugno 2008, dopo che erano pervenuti a Roma gli atti dell’inchiesta diocesana svoltasi dal 2003 al 2006 nella diocesi di Belluno-Feltre. Dal 2008 a oggi che cosa si è fatto in questa fase romana del processo? La fase romana è stata condotta in questi ultimi anni dal relatore generale della Congregazione delle cause dei santi, il cappuccino Vin- Gruppi di fedeli all’udienza generale All’udienza generale di mercoledì 28 settembre, in piazza San Pietro, erano presenti i seguenti gruppi. Da diversi Paesi: Comunità sacerdotale dello spirito di governo di Giovanni Paolo I. Non sono pochi e sono forti i suoi richiami alla povertà ecclesiale secondo il decreto conciliare Presbyterorum ordinis. Del motivo della Chiesa povera al servizio dei poveri è intessuto il suo magistero. Tenaci furono le sue parole sul «grido dei popoli della fame», che egli pronunciò nell’ultima udienza generale, secondo quanto trasmesso dalla dottrina sociale della Chiesa e dalla Populorum progressio di Paolo VI. aiutando a vivere, di Usmate e di Busnago; Unione Parkinsoniani, di Verona; Gruppo di servizio per la letteratura giovanile, di Roma; gruppo Artiglieri, di Nembro; Gruppo «Il fuori coro»; gruppi dell’Unitalsi, di Adria, Vicenza e Verona; Centro di accoglienza gruppo per servire, di Querceta; Circolo Unione, di Bari; Comunità di Gesù, di Turi; Confraternita Maria Santissima della Consolazione, di Paternò; Laici dell’Opera Don Calabria; Comunità per disabili «Albatros», di Mirano; gruppo ospedali riuniti Padova sud, di Montagnana; gruppo di Operai licenziati, di Potenza; gruppo Sindacato nazionale autonomo pensionati, di Catania; Partecipanti all’iniziativa «Italian Wonder Ways», con il Vescovo Paolo Giulietti; gruppo Arpe-Federproprietà; gruppo dell’Azienda Auchan Italia; Istituto comprensivo «Rinaldi», di Ghedi. Gruppi di fedeli da Montechiaro d’Asti, La Spezia, Lendinara, Erchie, Torre del Greco, Bolzano, Taviano, Livigno. Dalla Svizzera: Missione cattolica polskim misjonarzem ks. Ciesielskim; grupa turystyczna z Poznania; pielgrzymi indywidualni. De France: Communauté du séminaire pontifical français de Rome; pèlerinage du diocèse de Belfort-Montbéliard, avec Mgr Dominique Blanchet; groupes de pèlerins des diocèses de Bordeaux et de Saint Die; délégation du groupe d’études à vocation internationale de l’Assemblée nationale française; groupe de l’Hospitalité montfortaine; groupe de pèlerins provenant de la Polynésie française; groupe Agape, de Paris. I polacchi: Pielgrzymi z parafii: św. Andrzeja Apostoła z Barczewa koło Olsztyna, Najświętszego Serca Pana Jezusa z Bytomia, z sanktuarium św. Jana Pawła II w Radzyminie, Najświętszej Maryi Panny Nieustającej Pomocy z Andrespola, Niepokalanego Serca Maryi z Kolonowskiego, Narodzenia św. Jana Chrzciciela z Leszna koło Błonia, św. Anny z Łodzi; Wspólnota Wiara i Światło «Skrzaty» z Olsztyna; Gimnazjum Katolickie im. Świętej Rodziny z Nazaretu w Krakowie; pielgrzymka Związku Zawodowego Pracowników Poczty Polskiej z Lublina i czytelników Katolickiego Tygodnika «Niedziela» z archidiecezji szczecińsko-kamieńskiej, diecezji zielonogórsko-gorzowskiej i legnickiej; pielgrzymi z Lęborka i Gniewina; angielskojęzyczna grupa z Zambii z From Australia: Pilgrims from the Diocese of Broome, Western Australia, accompanied by Bishop Christopher Saunders. From Brunei: Pilgrims from the Church of Our Lady of the Assumption, accompanied by Bishop Cornelius Sim. From India: Pilgrimd from the Archdiocese of Bombay. D’Autriche: Elèves du Gymnasium du From Indonesia: Pilgrims from: Malang Diocese; Purwokerto Diocese, Island of Java; Jakarta Cathedral. Sacré-Coeur, Vienne. D’Algérie: Pèlerinage interdiocésain. De Guinée: Groupe de pèlerins, avec Mgr Emmanuel Félémou. From various Countries: Religious Gruppi di fedeli da: Slovacchia; Gruppo di fedeli del Patriarcato di Romania; Pellegrinaggio della Diocesi di Ostrava-Opava, Repubblica Ceca; Pellegrinaggio delle Diocesi di Celje, Murska Sobota e Novo Mesto, Slovenia; Lituania; Ungheria. From Switzerland: Pilgrims from the Slovak Catholic Mission, Zurich. De Suisse: Groupe de contemporains 1936 du Noirmont. italiana, di Berna. Coppie di sposi novelli. Strand; Students and staff from St Paul’s School, Bergen. from the Congregation of the Holy Spirit. From England: Pilgrims from: Church of the Transfiguration, Kensal Rise, London; St Mary Magdalen Parish, Willesden Green, London. From Scotland: Pilgrims from the Diocese of Paisley, accompanied by Bishop John Keenan; Members of St Leonard’s Rambling Club, Glasgow. From Ireland: Pilgrims from the following parishes: Our Lady Mother of the Church, Castleknock, County Dublin; St Cronan, Brackenstown, Swords, County Dublin; Pilgrims from the “204 (North Irish) Field Hospital” medical unit Students and staff from Oakgrove Integrated College, County Derry. From Denmark: Students and staff from: Espergærde Secondary School; Silkeborg Technical School. From Norway: A group of Vietnamese from the Diocese of Oslo; Volunteers from the Lutheran Church of From Malaysia: Pilgrims from St Michael’s Catholic Church, Penampang. From South Korea: Pilgrims from Woorim Province. Catholic Church, Junju Groups of pilgrims from Canada, Japan, South Africa and Vietnam. From the United States of America: Pilgrims from: Archdiocese of San Francisco, California; Archdiocese of Baltimore, Maryland; Archdiocese of Philadelphia, Pennsylvania; Archdiocese of Detroit, Michigan; Diocese of Tucson, Arizona; Diocese of St Augustine, Jacksonville, Florida; Diocese of Kalamazoo, Michigan; Diocese of Austin, Texas; Pilgrims from the following parishes: St Maria Goretti, Campbell, California; Our Lady of the Sierra, Oakhurst, California; St Timothy, Lutz, Florida; St Kevin, Miami, Florida; St Francis of Assisi, Belchertown, Massachusetts; St Charles, Coldwater, Michigan; St John Vianney, Belgrad, Montana; St Francis of Assisi, Hackensack, New Jersey; St Gerard Majella, Paterson, New Jersey; St Gabriel, Saddle River, New Jersey; Our Lady of Guadalupe, Clovis, New Mexico; Holy Cross, Las Cruces, New Mexico; St Joseph, Syro-Malabar, Houston, Texas; Sacred Heart, McAllen, Texas; St Mary, Alexandria, Virginia; Candidates for the diaconate at the Pontifical North American College, with family members and friends; Seminarians from St John Vianney College Seminary, St Paul, Minnesota; The Board of Trustees of the Catholic University of America with their spouses and the Chancellor Donald Cardinal Wuerl; Patrons of the Arts in the Vatican Museums, Ohio and Texas Chapters; A group of pilgrims from Fort Myer Army Base, Virginia Students and faculty from: Walsh University, North Canton, Ohio, Rome Campus; St Benedict’s College, Collegeville, Minnesota. Aus der Bundesrepublik Deutsch- land: Pilgergruppen aus den Pfarrgemeinden St. Peter, Bonn; St. Benno, Dresden; St. Franziskus, Frankfurt; St. Peter, Gündlkofen; St. Martin, Hutthurm; St. Antonius, Kaarst-Vorst; Christus Erlöser, München; St. Johannes XXIII., Rüsselsheim; St. Kilian, Scheßlitz; St. Pankratius, Scheßlitz; St. Sebastianus, Schwalmtal; St. Bartholomäus, Schwarzenholz; St. Michael, Stadtsteinach; Pilgergruppen aus dem Bistum Magdeburg; Bistum Münster; Erzbistum Paderborn; Bistum Rottenburg-Stuttgart; Pilgergruppen aus Altenbeken; Augsburg; Hamburg; Menden; Trier; Wain; Xanten; Katholische Portugiesische Gemeinde, Darmstadt; Katholische Erwachsenenbildung, Dingolfing-Landau; Caritasverband, Hürth; Komturei St. Kilian des Ritterordens vom Heiligen Grab zu Jerusalem, Würzburg; Studienreisegruppe aus Karlsruhe; Schülerinnen, Schüler und Lehrer aus folgenden Schulen: König-Karlmann-Gymnasium, Altötting; Evangelisches Gymnasium, Berlin; Liebfrauenschule, Cloppenburg; Heinrich-Emanuel-Merck-Schule, Darmstadt; Gymnasium der Congregatio Beatae Mariae Virginis, Essen; St. Ursula-Schule, Hannover; Gymnasium, Isernhagen; Erzbischöfliche Maria-Ward-Mädchenrealschule, München (175-jähriges Jubiläum); Gesamtschule Rheydt-Mülfort, Mönchengladbach; Liebfrauenschule, Oldenburg; Tilman-RiemenschneiderGymnasium, Osterode am Harz; Kooperative Gesamtschule (Waldschule), Schwanewede; Gymnasium, Walsrode. Aus der Republik Österreich: Pilger aus Dornbirn; Priesterseminaristen aus cenzo Criscuolo, e come da prassi è stata essenzialmente caratterizzata dalla ricerca necessaria ai fini dell’acquisizione completa delle carte del servo di Dio, dallo studio di natura storico-scientifica, dal vaglio di tutte le fonti documentarie e testimoniali con relativa valutazione critica, e dunque dall’elaborazione e composizione della Positio, il dossier, ordinato in base a stabiliti criteri, che comprende tutto il corpus delle prove documentarie e testimoniali che devono dimostrare l’eroicità della vita, delle virtù e della fama di santità di Luciani. La Positio è stata stampata e rilegata in cinque volumi per oltre 3600 pagine complessive. Con la consegna in Congregazione della Positio si dovranno esprimere con voto due sessioni di esami: quella del congresso dei teologi e quella del congresso dei vescovi e cardinali. L’iter di giudizio finale si chiuderà, come auspico vivamente, con il decreto sancito dal Papa per la proclamazione delle virtù. Attendiamo pertanto con fiducia questo felice esito e che dunque presto Albino Luciani sia dichiarato venerabile. Che cosa ritiene sia importante sottolineare di quanto è stato compiuto? Vorrei sottolineare il lavoro di ricerca e di elaborazione enorme che è stato compiuto e dell’importanza che questo riveste anche dal punto vista storico e storiografico, data la scarsità di contributi scientifici prodotti sulla vita e l’opera di Luciani. Un lavoro che non era mai stato effettuato e che fin dall’inizio della fase romana è stato portato avanti con acribia e coscienza in particolare dalla dottoressa Stefania Falasca. Si tratta di una riconsegna doverosa alla memoria di Giovanni Paolo I affinché la sua valenza storica possa essere restituita con la correttezza e la serietà che gli si deve. Un lavoro prezioso dunque, che si è svolto anche in un tempo relativamente breve, se paragonato a quello delle cause di altri Pontefici del Novecento, ovviamente eccettuata la causa di Giovanni Paolo II. den Diözesen Graz-Seckau und GurkKlagenfurt in Begleitung der Diözesanbischöfe Dr. Wilhelm Krautwaschl und Dr. Alois Schwarz; Seniorenbund Grieskirchen; Radwallfahrtsgruppe der Freiwilligen Feuerwehr, Feldkirchen bei Graz; Schülerinnen, Schüler und Lehrer aus folgenden Schulen: Bildungsanstalt für Kindergartenpädagogik, Hartberg; Bischöfliches Gymnasium St. Ursula, Klagenfurt. Aus der Schweizerischen Eidgenossenschaft: Pilger aus Wohlen. Uit het Koninkrijk der Nederlanden: Gildepelgrimage 2016 de Nederlande; Pelgrimsgroep uit het Bisdom s’Hertogenbosch. De España: Peregrinación de la Diócesis de Alcalá de Henares, con S.E. Mons. Juan Antonio Reig Pla; grupo de peregrinos de la Arquidiócesis de Zaragoza; Parroquia Santa Catalina de Alejandría, de Villamante; Parroquia Nuestra Señora de Lourdes, de Barcelona; Parroquia Santísimo Cristo de la Victoria, de Madrid; Colegio Santa Joaquina de Vedruna de la Fundación educación católica, de Madrid; grupo de peregrinos de Valencia; grupo cultural Misericordias, de Reus. De México: Parroquia Nuestra Señora de Guadalupe, de Las Varas. De Panamá: grupo de peregrinos. De la República Dominicana: Parroquia Santa María Madre de Dios, de Mendoza. De Colombia: Parroquia San José, de O porapa. De Ecuador: Delegación de la Provincia de Loja. De Perú: peregrinos laicos claretianos. De Bolivia: Sacerdotes de la Arquidiócesis de Sucre. De Argentina: grupos de peregrinos. De Portugal: grupo de visitantes; Comunidade católica de língua portuguesa, da Alemanha L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 All’udienza generale il Papa parla del buon ladrone come modello per i cristiani «La Chiesa non è soltanto per i buoni o per quelli che sembrano buoni o si credono buoni; la Chiesa è per tutti, e anche preferibilmente per i cattivi, perché la Chiesa è misericordia». Lo ha sottolineato il Papa all’udienza generale del 28 settembre, commentando in piazza San Pietro l’episodio del buon ladrone (Luca 23, 32-43). La Chiesa è anche per i cattivi Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Le parole che Gesù pronuncia durante la sua Passione trovano il loro culmine nel perdono. Gesù perdona: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23, 34). Non sono soltanto parole, perché diventano un atto concreto nel perdono offerto al “buon ladrone”, che era accanto a Lui. San Luca racconta di due malfattori crocifissi con Gesù, i quali si rivolgono a Lui con atteggiamenti opposti. Il primo lo insulta, come lo insultava tutta la gente, come fanno i capi del popolo, ma questo povero uomo, spinto dalla disperazione dice: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!» (Lc 23, 39). Questo grido testimonia l’angoscia dell’uomo di fronte al mistero della morte e la tragica consapevolezza che solo Dio può essere la risposta liberatrice: perciò è impensabile che il Messia, l’inviato di Speranza di nome e di fatto L’hanno chiamata Speranza. Perché il suo battesimo, celebrato dieci giorni fa tra le macerie di Capodacqua — piccola frazione di Arquata del Tronto particolarmente devastata dal terremoto del 24 agosto — «dia una scossa per ritrovare la voglia di vivere e ricostruire». È con particolare affetto che Francesco ha benedetto la piccola, nata due mesi fa, e incoraggiato i suoi genitori, Ilaria, originaria proprio di Capodacqua, e Roberto Ruggeri. «Abbiamo perso tutto, piangiamo tante persone care che sono morte e cerchiamo di avere il coraggio di ripartire» dicono. E «abbiamo il dovere di farlo anche per i nostri bambini. Speriamo di essere sostenuti in questo nostro sforzo confidando che anche le piccole frazioni non vengano dimenticate». Ilaria e Roberto raccontano «storie di dolore ma anche di solidarietà: il terremoto distrugge ma può anche creare occasione di unità e di incontro». Con loro il vescovo di Ascoli Piceno, Giovanni D’Ercole, insieme a cento persone, soprattutto giovani, colpite dal sisma. Al Papa gli studenti dell’istituto Fermi di Ascoli, danneggiato dalle scosse, hanno presentato un loro brevetto, riconosciuto a livello internazionale: un bastone da passeggio, chiamato Eldess, con speciali sensori per aiutare anziani e disabili nel caso di un incidente. Un abbraccio particolare, poi, il Pontefice lo ha riservato a Pietro Gloria, soprannominato “nonno sprint”, che ad Amatrice, nonostante i suoi settantanove anni, ha saputo mettere in salvo tutta la sua famiglia. Piero ha presentato a Francesco la fiaccola della Settimana della famiglia che, dal 2 all’8 ottobre, vedrà «tutta Roma illuminata da tantissime iniziative per dare più forza alle famiglie, alla luce della Amoris laetitia». E «la fiaccola, quasi fosse quella olimpica, arderà anche per le gare sportive simpaticamente denominate “nonniadi” che vedranno giocare insieme nonni e nipoti» spiega don Andrea Manto, direttore del centro per la pastorale familiare della diocesi. «Siamo più di tremila eppure siamo invisibili agli occhi delle autorità politiche che dovrebbero trovare una soluzione al nostro problema: siamo senza lavoro e da due anni siamo senza alcun sussidio, neppure la cassa integrazione». Così si è presentata al Papa la delegazione di operai licenziati venuti dalla Basilicata per ricevere il suo incoraggiamento che non è mancato. «Siamo allo stremo delle forze — raccontano — e stiamo bussando a tutte le porte per avere lavoro, non elemosina». Al Papa hanno detto «di sentirsi proprio gli ultimi, nell’indifferenza di tutti: ci hanno abbandonato, togliendoci la dignità». Solo la Chiesa, riconoscono, «ci è sempre stata accanto». E ad accompagnarli ci sono monsignor Salvatore Ligorio, arcivescovo di Potenza - Muro Lucano - Marsico Nuovo, con don Salvatore Dattero, battagliero parroco di Avigliano. «Il Papa ci ha subito aperto la porta — affermano gli operai — mentre le autorità del nostro territorio non ci ricevono da due anni, nonostante abbiamo installato un gazebo in piazza per non farci dimenticare». Le loro sono storie di vera disperazione: «Viviamo con lo stipendio delle nostri mogli, se hanno la fortuna di avere un lavoro, o siamo assistiti da genitori e parenti». Chiedono che vengano «finalmente create le condizioni perché gli imprenditori possano dare prospettive di lavoro». Considerando che «ogni anno sono quattromila i giovani che vanno via dalla Basilicata in cerca di occupazione». Il Papa ha quindi salutato Tamara Ivanovna Chikunova, coraggiosa attivista per l’affermazione di diritti umani. Suo figlio Dmitrj venne fucilato in Uzbekistan nel 2000 e proprio quella tragedia l’ha convinta a fondare, insieme ad altre donne che avevano perduto i figli per un’esecuzione capitale, l’associazione «Madri contro la pena di morte e la tortura». La donna ha contribuito a salvare ventitré condannati a morte, facendo commutare la loro pena nella reclusione. Infine, a Casa Santa Marta, il Pontefice ha salutato il commissario Antonio Perfetti, primo dirigente del corpo della Gendarmeria, a conclusione del suo servizio. giovedì 29 settembre 2016 Dio, possa stare sulla croce senza far nulla per salvarsi. E non capivano, questo. Non capivano il mistero del sacrificio di Gesù. E invece Gesù ci ha salvati rimanendo sulla croce. Tutti noi sappiamo che non è facile “rimanere sulla croce”, sulle nostre piccole croci di ogni giorno. Lui, in questa grande croce, in questa grande sofferenza, è rimasto così e lì ci ha salvati; lì ci ha mostrato la sua onnipotenza e lì ci ha perdonati. Lì si compie la sua donazione d’amore e scaturisce per sempre la nostra salvezza. Morendo in croce, innocente tra due criminali, Egli attesta che la salvezza di Dio può raggiungere qualunque uomo in qualunque condizione, anche la più negativa e dolorosa. La salvezza di Dio è per tutti, nessuno escluso. È offerta a tutti. Per questo il Giubileo è tempo di grazia e di misericordia per tutti, buoni e cattivi, quelli che sono in salute e quelli che soffrono. Ricordatevi quella parabola che racconta Gesù sulla festa dello sposalizio di un figlio di un potente della terra. Quando gli invitati non hanno voluto andare, dice ai suoi servitori: «Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze» (Mt 22, 9). Tutti siamo chiamati: buoni e cattivi. La Chiesa non è soltanto per i buoni o per quelli che sembrano buoni o si credono buoni; la Chiesa è per tutti, e anche preferibilmente per i cattivi, perché la Chiesa è misericordia. E questo tempo di grazia e di misericordia ci fa ricordare che nulla ci può separare dall’amore di Cristo! (cfr. Rm 8, 39). A chi è inchiodato su un letto di ospedale, a chi vive chiuso in una prigione, a quanti sono intrappolati dalle guerre, io dico: guardate il Crocifisso; Dio è con voi, rimane con voi sulla croce e a tutti si offre come Salvatore a tutti noi. A voi che soffrite tanto dico, Gesù è crocifisso per voi, per noi, per tutti. Lasciate che la forza del Vangelo penetri nel vostro cuore e vi consoli, vi dia speranza e l’intima certezza che nessuno è escluso dal suo perdono. Ma voi potete domandarmi: “Ma mi dica, Padre, quello che ha fatto le cose più brutte nella vita, ha possibilità di essere perdonato?” — “Sì! Sì: nessuno è escluso dal perdono di Dio. Soltanto deve avvicinarsi pentito a Gesù e con la voglia di essere da Lui abbracciato”. Questo era il primo malfattore. L’altro è il cosiddetto “buon ladrone”. Le sue parole sono un meraviglioso modello di pentimento, una catechesi concentrata per imparare a chiedere perdono a Gesù. Prima, egli si rivolge al suo compagno: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena?» (Lc 23, 40). Così pone in risalto il punto di partenza del pentimento: il timore di Dio. Ma non la pau- ra di Dio, no: il timore filiale di Dio. Non è la paura, ma quel rispetto che si deve a Dio perché Lui è Dio. È un rispetto filiale perché Lui è Padre. Il buon ladrone richiama l’atteggiamento fondamentale che apre alla fiducia in Dio: la consapevolezza della sua onnipotenza e della sua infinita bontà. È questo rispetto fiducioso che aiuta a fare spazio a Dio e ad affidarsi alla sua misericordia. Poi, il buon ladrone dichiara l’innocenza di Gesù e confessa apertamente la propria colpa: «Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male» (Lc 23, 41). Dunque Gesù è lì sulla croce per stare con i colpevoli: attraverso questa vicinanza, Egli offre loro la salvezza. Ciò che è scandalo per i capi e per il primo ladrone, per quelli che erano lì e si facevano beffa di Gesù, questo invece è fondamento della sua fede. E così il buon ladrone diventa testimone della Grazia; l’impensabile è accaduto: Dio mi ha amato a tal punto che è morto sulla croce per me. La fede stessa di quest’uomo è frutto della grazia di Cristo: i suoi occhi contemplano nel Crocifisso l’amore di Dio per lui, povero peccatore. È vero, era ladrone, era un ladro, aveva rubato tutta la vita. Ma alla fine, pentito di quello che aveva fatto, guardando Gesù così buono e misericordioso è riuscito a rubarsi il cielo: è un bravo ladro, questo! Il buon ladrone si rivolge infine direttamente a Gesù, invocando il suo aiuto: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» (Lc 23, 42). Lo chiama per nome, “Gesù”, con confidenza, e così confessa ciò che quel nome indica: “il Signore salva”: questo significa il nome “Gesù”. Quell’uomo chiede a Gesù di ricordarsi di lui. Quanta tenerezza in questa espressione, quanta umanità! È il bisogno dell’essere umano di non essere abbandonato, che Dio gli sia sempre vicino. In questo modo un condannato a morte diventa modello del cristiano che si affida a Gesù. Un condannato a morte è un modello per noi, un modello per un uomo, per un cristiano che si affida a Gesù; e anche modello della Chiesa che nella liturgia tante volte invoca il Signore dicendo: «Ricordati... Ricordati del tuo amore...». Mentre il buon ladrone parla al futuro: «quando entrerai nel tuo regno», la risposta di Gesù non si fa aspettare; parla al presente: «oggi sarai con me nel paradiso» (v. 43). Nell’ora della croce, la salvezza di Cristo raggiunge il suo culmine; e la sua promessa al buon ladrone rivela il compimento della sua missione: cioè salvare i peccatori. All’inizio del suo ministero, nella sinagoga di Nazaret, Gesù aveva proclamato «la liberazione ai prigionieri» (Lc 4, 18); a Gerico, nella casa del pubblico peccatore Zaccheo, aveva dichiarato che «il Figlio dell’uomo — cioè Lui — è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19, 9). Sulla croce, l’ultimo atto conferma il realizzarsi di questo disegno salvifico. Dall’inizio alla fine Egli si è rivelato Misericordia, si è rivelato incarnazione definitiva e irripetibile dell’amore del Padre. Gesù è davvero il volto della misericordia del Padre. E il buon ladrone lo ha chiamato per nome: “Gesù”. È una invocazione breve, e tutti noi possiamo farla durante la giornata tante volte: “Gesù”. “Gesù”, semplicemente. E così fatela durante tutta la giornata. Appello per la martoriata città di Aleppo Chi bombarda è responsabile davanti a Dio Un «appello alla coscienza dei responsabili dei bombardamenti» della martoriata città siriana di Aleppo «che dovranno dare conto davanti a Dio» è stato rivolto dal Papa al termine dell’udienza generale. Nella circostanza, come di consueto, il Pontefice ha anche salutato i vari gruppi linguistici presenti in piazza San Pietro. lare i membri della «Comunità cattolica di lingua portoghese in Germania», e vi auguro che, in quest’Anno Santo, possiate fare esperienza della misericordia di Dio per essere testimoni di ciò che a Lui piace di più: perdonare i suoi figli e le sue figlie. Pregate anche per me! Dio vi benedica! Saluto cordialmente i pellegrini di lingua francese, in particolare il pellegrinaggio della Diocesi di Belfort-Montbéliard, con Mons. Dominique Blanchet, la delegazione di parlamentari dell’Assemblea Nazionale francese, il Seminario Francese di Roma, il pellegrinaggio interdiocesano d’Algeria, come pure i pellegrini venuti da Svizzera e Austria. In questo Anno Giubilare della Misericordia vi invito ad avvicinarvi al Signore Gesù morto sulla croce per ciascuno di noi. Chiediamogli perdono per i nostri sbagli e la forza di ripartire abitati da una vita nuova. Dio vi benedica! Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dall’Egitto e dal Medio Oriente. “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso” è la gioiosa proclamazione che Gesù rivolge a ogni persona che non si vergogna della Croce di Cristo; a ogni penitente che vede nel crocifisso il vero volto della misericordia di Dio; a ogni uomo capace di gridare con tutto il cuore, nonostante la sua miseria e i suoi peccati: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Il Signore vi benedica tutti e vi protegga dal maligno! Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra, Scozia, Irlanda, Danimarca, Norvegia, Svizzera, Brunei, India, Indonesia, Malaysia, Corea del Sud, Giappone, Vietnam, Sud Africa, Australia, Canada e Stati Uniti d’America. Un particolare benvenuto anche ai seminaristi del Pontificio Collegio Americano del Nord e le loro famiglie, qui convenuti in occasione dell’ordinazione diaconale che sarà celebrata domani. Dio vi benedica tutti! Un cordiale benvenuto a tutti i pellegrini di lingua tedesca, soprattutto ai numerosi giovani. In particolare saluto i seminaristi delle Diocesi di Graz-Seckau e di Gurk-Klagenfurt e le studentesse della Mädchen-Realschule Maria-Ward di Monaco. Cari amici, guardando a Gesù riscopriamo sempre più la bellezza della misericordia del Signore! Dio vi benedica tutti. Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española, en particular a los grupos provenientes de España y Latinoamérica. Pidamos al Señor por todos los que sufren por cualquier motivo o se sienten abandonados, para que mirando al crucificado, puedan descubrir y sentir el consuelo y el perdón de Cristo, rostro de la misericordia del Padre. Un especial pensamiento al pueblo mexicano, los invito a cantarle a la Guadalupana, lo que cantaron al inicio, pidiendo por los sufrimientos de este pueblo. Gracias. Carissimi pellegrini di lingua portoghese, vi saluto cordialmente tutti, in partico- Il mio pensiero va un’altra volta all’amata e martoriata Siria. Continuano a giungermi notizie drammatiche sulla sorte delle popolazioni di Aleppo, alle quali mi sento unito nella sofferenza, attraverso la preghiera e la vicinanza spirituale. Nell’esprimere profondo dolore e viva preoccupazione per quanto accade in questa già martoriata città, dove muoiono bambini, anziani, ammalati, giovani, vecchi, tanti … rinnovo a tutti l’appello ad impegnarsi con tutte le forze nella protezione dei civili, quale obbligo imperativo ed urgente. Mi appello alla coscienza dei responsabili dei bombardamenti, che dovranno dare conto davanti a Dio! Saluto con gioia i pellegrini cechi, in particolare i fedeli della Diocesi di Ostrava-Opava, accompagnati dal Vescovo Mons. Frantisek Václav. Cari fratelli e sorelle, il vostro pellegrinaggio giubilare vi infonda il coraggio di essere gioiosi annunciatori e testimoni della misericordia di Dio. Mentre vi affido alla celeste intercessione del vostro Patrono San Venceslao, del quale oggi facciamo memoria, di cuore imparto a voi e alle vostre famiglie la Benedizione Apostolica. Un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana! Sono lieto di accogliere i fedeli delle Diocesi di Ascoli Piceno — anche voi avete sofferto! — con il Vescovo Mons. Giovanni D’Ercole, e di Otranto con l’Arcivescovo Mons. Donato Negro, e quelli di Modena-Nonantola. Cari fratelli e sorelle, il vostro pellegrinaggio per l’Anno Santo esprima il senso di comunione con la Chiesa universale e vi renda testimoni di misericordia nelle vostre Chiese locali. Saluto la delegazione della Diocesi di Roma che ha preparato la Settimana della Famiglia, che si terrà dal 2 all’8 ottobre. Per loro accenderò tra poco una fiaccola, simbolo dell’amore delle famiglie di Roma e del mondo intero. Un pensiero speciale rivolgo all’Arcivescovo di Potenza e al gruppo di operai licenziati della Basilicata, ed auspico che la grave congiuntura occupazionale possa trovare una positiva soluzione mediante un incisivo impegno da parte di tutti per aprire vie di speranza. Non può salire più la percentuale della disoccupazione! Saluto le partecipanti al Capitolo Generale delle Suore Terziarie Cappuccine della Sacra Famiglia; l’Associazione Anziani con i ciclisti del Gruppo Generali; i partecipanti all’iniziativa «Italian Wonder Ways» con il Vescovo Mons. Paolo Giulietti; e i fedeli di Pieve di Soligo, qui presenti per ricordare l’anniversario della morte di Giovanni Paolo I. Sono lieto di accogliere i pellegrini sloveni, in particolare i fedeli delle Diocesi di Celje, Murska Sobota e Novo Mesto, accompagnati dai rispettivi Vescovi. Cari fratelli e sorelle, il passaggio della Porta Santa rinvigorisca la vostra fede e rafforzi l’appartenenza alla famiglia ecclesiale. Mentre auspico che la misericordia e l’amore di Dio siano la fonte del vostro apostolato, di cuore imparto a voi e alle vostre famiglie la Benedizione Apostolica. Siano lodati Gesù e Maria! Porgo infine il mio saluto ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. L’esempio di carità di san Vincenzo de’ Paoli, che ieri abbiamo ricordato quale patrono delle associazioni di carità, conduca voi, cari giovani, ad attuare i progetti del vostro futuro con un gioioso e disinteressato servizio al prossimo. Aiuti voi, cari ammalati, ad affrontare la sofferenza con lo sguardo rivolto a Cristo. E solleciti voi, cari sposi novelli, a costruire una famiglia sempre aperta ai poveri e al dono della vita. Saluto cordialmente i polacchi qui presenti. Nella liturgia di domani celebreremo la festa degli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. Essi «sono spiriti incaricati di un ministero, inviati a servire coloro che erediteranno la salvezza» (Eb 1, 14). Dobbiamo avere la consapevolezza della loro invisibile presenza. Invochiamoli nella preghiera affinché in ogni momento ci ricordino la presenza di Dio, ci appoggino nella lotta contro il male e ci conducano sicuri sulle strade della nostra vita. Affidiamo a loro noi stessi, i nostri cari e ciò che ci sta a cuore. Sia lodato Gesù Cristo. Nomina episcopale in Brasile La nomina di oggi riguarda il Brasile. Antônio Emídio Vilar vescovo di São João da Boa Vista Nato il 14 novembre 1957 a Guardinha, diocesi di Guaxupé, nello stato di Minas Gerais, ha compiuto gli studi di filosofia presso la facoltà salesiana di Lorena, stato di San Paolo (1976-1978) e quelli di teologia (baccalaureato e licenza) presso la Pontificia università Salesiana a Roma (1981-1986). Ha emesso la professione nella famiglia religiosa di san Giovanni Bosco il 31 gennaio 1976 ed è stato ordinato sacerdote il 9 agosto 1986. Nella sua congregazione è stato coordinatore di studi e formatore dei seminaristi; direttore di comunità; coordinatore e professore dell’Istituto teologico Pio XI a São Paulo; consigliere dell’ispettoria di São Paulo; maestro di novizi; parroco di Nossa Senhora Auxiliadora e direttore dell’Istituto Dom Bosco a São Paulo. Inoltre, è stato giudice del tribunale interdiocesano di Aparecida e membro del consiglio presbiterale della diocesi di São Carlos. Il 23 luglio 2008 è stato nominato vescovo di São Luiz de Cáceres e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 27 settembre successivo. Attualmente era vice-presidente della Conferenza episcopale regionale Oeste 2 e membro della Commissione episcopale per la gioventù della Cnbb.