Indicazioni per una buona narrazione

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Indicazioni per una buona narrazione
Indicazioni per una buona narrazione
A seguito di una riflessione sulle modalità narrative nei contesti socio-educativi, condotta con gli
studenti partecipanti al Laboratorio “Scrivere in Educazione” della facoltà di Scienze della
Formazione dellʼUniversità Cattolica S.C. di Milano, vengono proposte alcune ulteriori indicazioni
sulle caratteristiche del buon racconto.
Viene di seguito allegato un brano esemplificativo tratto dalla letteratura: “Il Piccolo Principe”, di
Antoine de Saint-Exupéry.
Ovviamente tale brano non è stato scritto nellʼottica proposta dal laboratorio e dal percorso di
valutazione del progetto Mosaico Giovani. Rappresenta però una modalità molto coerente con le
indicazioni date per realizzare narrazioni semplici, oggettive e – comunque – molto evocative e
toccanti.
Le caratteristiche di una buona narrazione:
Semplice
Una buona narrazione è semplice.
Proprio perché il contenuto può essere complesso, occorre che la forma sia sempre facilmente
comprensibile. Certamente dai destinatari diretti della narrazione. Non sarebbe male se fosse di
facile comprensione per chiunque.
Un buon esempio è “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry: in questo capolavoro della
letteratura per bambini e per adulti, sono affrontati concetti anche difficili e ambivalenti (ad
esempio, lʼamicizia e la sofferenza) con termini molto semplici e una narrazione lineare,
essenziale. Le sensazioni che ne ricaviamo come lettori sono la spontaneità e la genuinità.
Alcune regole per una narrazione semplice:
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I termini difficili o tecnici dovranno essere illustrati, almeno una volta, nel momento in cui
vengono introdotti.
La prosa dovrà essere il più possibile lineare. È preferibile formulare frasi brevi, utilizzando
pochi “giri di parole” (ad es.: perifrasi). Un linguaggio più articolato e involuto dà la sensazione
di confusione: eccetto che non si voglia specificamente dare tale sensazione al lettore (“il
narratore è confuso”), è opportuno evitare una tale forma espressiva.
Nellʼillustrazione di dialoghi tra più persone, è preferibile utilizzare la forma diretta (il signor A
disse: “non ne ho bisogno…”. B rispose: “ne è proprio sicuro?”) rispetto a quella indiretta (il
signor A disse di non averne bisogno. Il signor B rispose se ne era proprio sicuro). Vengono
infatti solitamente utilizzate meno parole di introduzione alla battuta e diminuisce anche il grado
di interpretazione di quanto detto.
Oggettivo
La narrazione descrittiva si basa – e ne trae la sua efficacia – sulla mera descrizione di ciò che
accade e che è riscontrabile da chiunque possa avere vissuto la stessa esperienza. In questo
senso diciamo che è oggettiva. Perché prescinde dalla soggettività della persona coinvolta.
Utilizzando le parole di una studentessa del laboratorio: “neutralità: occorre lasciare spazio al
lettore di dare il nome a quello che sta leggendo.
Verranno pertanto descritti principalmente:
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Gli elementi osservabili del contesto
I cambiamenti che avvengono nellʼambiente
I comportamenti evidenti delle persone presenti (entrano, escono, si muovono o stanno
immobili; sono in piedi, seduti o in quale posizione…)
Le parole pronunciate dai presenti (o i loro silenzi). Quando non si sia in grado di rendere in
modo letterale tali parole, è opportuno specificarlo, senza però rinunciare a descrivere il
“senso” di quanto affermato
Possono essere introdotti – se necessario – anche i seguenti elementi, prestando molta attenzione
a non ingannare il lettore su una loro presunta “oggettività”:
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

Il “flusso di pensieri” del narratore
Le sensazioni e i sentimenti provati dal narratore
Le similitudini (ma in numero assai limitato e solo se non si trovano conoscono le parole per
descrivere esattamente ciò che si presenta nella realtà)
Vanno invece assolutamente evitate le interpretazioni su:
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

Intenzioni delle persone (al limite, anche su quelle del narratore)
Pensieri delle persone (evitare la “lettura del pensiero”)
Sensazioni e sentimenti provati dalle altre persone (che possono essere però “suggeriti” al
lettore, riferendo di indizi oggettivi del loro comportamento: rossore del viso, tono della voce, tic
o azioni ripetitive, ecc.)
Dettagliato
Per rendere conto delle sfumature emotive che alcune situazioni comportano, sono essenziali i
dettagli. Come ha detto uno studente del laboratorio: “i messaggi universali prendono avvio da
singole situazioni particolari”.
Per questo è importante rischiare e inserire riferimenti ad aspetti anche molto “minuti”, che
potrebbero sembrare di scarsa importanza.
Nel brano del “Piccolo Principe”, vi è un accenno allʼimportanza dei dettagli: la volpe chiede al
Piccolo Principe di arrivare tutti i giorni alla stessa ora. Il motivo è che in questo modo si instaura
unʼabitudine, fonte di attesa. Ma, di là del motivo, è interessante notare come lʼarrivare alla stessa
ora (dettaglio) possa essere un riferimento molto importante da segnalare nel racconto se si vuol
rendere lʼidea di come questo momento possa essere atteso da uno (o più?) dei protagonisti.
Si consiglia, in una prima stesura, di esagerare con la descrizione di aspetti di dettaglio: solo in un
secondo momento, in sede di rilettura, si potrà decidere che alcuni non sono significativi per
rendere conto di pensieri ed emozioni dei protagonisti e, come tali, non rimarranno inclusi..
Coerente
Non si fa qui riferimento ad una coerenza dei contenuti. Questa è data per scontata, nel momento
in cui si descrivono fatti realmente accaduti e quindi credibili.
Piuttosto (e in maniera piuttosto sofisticata), la coerenza dovrebbe ritrovarsi tra lo stile della
narrazione e ciò che si intende comunicare, soprattutto dal punto di vista dei vissuti emotivi.
Vediamo alcuni esempi:
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Se si vuole trasmettere tensione, nervosismo, lo stile delle frasi sarà breve, brusco. Interrotto.
Le parole, quelle di uso comune. Sarà intenso lʼuso della punteggiatura.
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Se invece si vuol trasmettere attesa, si useranno delle sospensioni…
Spazi.
Interruzioni.
Saltare da un punto allʼaltro del racconto, da un momento allʼaltro, cambiando spesso il
protagonista, muovendosi tra i luoghi, significa disorientare il lettore. Questo è da evitare, se
non si intende dare la sensazione di caos e ansia.
Questi sono solo esempi di cosa si intenda per coerenza: in altri termini, cercare di usare il
linguaggio – come scriviamo oltre a ciò che scriviamo – per aiutare il lettore a comprendere i ritmi e
le sensazioni provate dai protagonisti degli episodi che si narrano.
Altre brevi indicazioni specifiche
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In generale, lʼutilizzo della prima persona è più efficace per permettere al lettore di
immedesimarsi, di mettersi nei panni dellʼautore.
Lʼinizio del racconto è un momento chiave: trovare modo di interessare fin da subito il lettore
significa la (quasi-) garanzia di avere la sua attenzione fino al termine del brano (nel nostro
caso, i brani non sono particolarmente lunghi). In questo senso può essere opportuno
introdurre sin da subito il racconto, lasciando gli approfondimenti circa il contesto, gli antefatti e
i protagonisti a quando il lettore si è già immerso in situazione.
Questa indicazione è soprattutto di carattere stilistico e non si addice a tutti gli stili di
narrazione: molti preferiscono infatti seguire un ordine cronologico più tradizionale.
La presenza di sorprese, di colpi si scena, rendono il racconto più interessante per il lettore.
Questo ovviamente non significa che occorre inventare degli episodi inaspettati se non sono
realmente avvenuti; se però è accaduto qualcosa che non era stato previsto, introdurlo senza
“preavviso” rende più autentica lʼimpressione ricavata dal lettore.
Un esempio (e che esempio…)
Di seguito viene riportato, a titolo di esempio, un brano famoso. Si tratta del ventunesimo capitolo
de “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry. È uno dei brani più celebri: quello della volpe
che vuole essere addomesticata dal Piccolo Principe.
Sembra un brano particolarmente adatto a dimostrare come può essere fatto unʼottima narrazione
descrittiva.
È infatti molto di lettura molto semplice, tanto da essere destinato (anche?) a lettori molto giovani.
Forse non a caso, è nella forma di un dialogo, con pochissimi commenti tra le battute. Chiunque
avesse potuto (!) ascoltare i due protagonisti, avrebbe trascritto le stesse parole.
Ciononostante, riesce a dare delle suggestioni (idee, sensazioni, emozioni) anche molto profonde
e complesse (lʼamicizia, lʼabbandono, il senso delle abitudini…).
Sono peraltro reazioni che si manifestano in (quasi?) tutti i lettori: è uno dei libri più venduti nel
mondo e più tradotti in lingue diverse.
La scrittura è quasi completamente descrittiva: ci sono solo due piccolissime interpretazioni che
sono segnalate al termine del brano. Dʼaltronde lʼautore non aveva la necessità di rispettare
rigidamente i nostri standard. Però, secondo me, queste due interpretazioni non sono casuali ed è
interessante analizzarle:
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La prima riguarda una battuta del Piccolo Principe con le Rose.
Questa parte è forse ritenuta poco interessante e lʼautore decide di non soffermarsi. Sintetizza
lo stato dʼanimo delle Rose (“…a disagio…”) con un solo termine interpretativo.
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Lʼesito è che il lettore – in questo brano – non può cogliere il “colore” del rapporto tra il Piccolo
Principe e le Rose. Forse perché è più importante che rimanga concentrato sul rapporto con la
Volpe…?
La seconda, invece, è la sottolineatura insistita del motivo per cui il Piccolo Principe ripete le
ultime parole della Volpe (“…per ricordarselo…”).
È evidentemente fondamentale per lʼautore che il lettore capisca perché il Piccolo Principe si
continua a ripetere le parole.
Mi domando: davvero non sarebbe rimasto impresso comunque al lettore il senso di quelle
ultime battute, se non fossero state spiegate? Basta provare a rileggere la conclusione senza
le due parole “per ricordarselo”…
Il Piccolo Principe
Cap. XXI
In quel momento apparve la volpe. "Buon giorno", disse la volpe. "Buon giorno", rispose gentilmente1 il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno.
"Sono qui", disse la voce, "sotto al melo..." "Chi sei?" domandò il piccolo principe, "sei molto carino..."
"Sono una volpe", disse la volpe.
"Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, “sono così triste..."
"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata".
"Ah! scusa", fece il piccolo principe. Ma dopo un momento di riflessione soggiunse: "Che cosa vuol
dire addomesticare?"
"Non sei di queste parti, tu", disse la volpe, "che cosa cerchi?"
"Cerco gli uomini", disse il piccolo principe. "Che cosa vuol dire addomesticare?" "Gli uomini" disse la volpe, "hanno dei fucili e cacciano. È molto noioso! Allevano anche delle
galline. È il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?" "No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire "addomesticare?"
"È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami..."
"Creare dei legami?"
"Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila
ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una
volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu
sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo". "Comincio a capire" disse il piccolo principe. "C'è un fiore... credo che mi abbia addomesticato..." "È possibile", disse la volpe. "Capita di tutto sulla Terra..."
"Oh! non è sulla Terra", disse il piccolo principe.
1
Questo potrebbe essere un esempio di interpretazione da parte dellʼautore. Oppure una descrizione
dellʼattributo della voce: “rispose utilizzando una voce dal tono gentile”.
La volpe sembrò perplessa2: "Su un altro pianeta?" "Si".
"Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?"
"No". "Questo mi interessa. E delle galline?"
"No".
"Non c'è niente di perfetto", sospirò la volpe.
Ma la volpe ritornò alla sua idea: "La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini
danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi
annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata. Conoscerò un rumore di passi
che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire
dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non
mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è
triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato.
Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano..." La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe: "Per favore... addomesticami", disse. "Volentieri", disse il piccolo principe, "ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e
da conoscere molte cose".
"Non ci conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe. "Gli uomini non hanno più
tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono
mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico, addomesticami!"
"Che cosa bisogna fare?" domandò il piccolo principe. "Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti sederai un po' lontano da me,
così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte
di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino..." Il piccolo principe ritornò l'indomani. "Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe. "Se tu vieni, per esempio, tutti i
pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la
mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il
prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il
cuore... Ci vogliono i riti".
"Che cos'è un rito?" disse il piccolo principe. "Anche questa è una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe. "È quello che fa un giorno
diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore. C'è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il
giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo
sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e
non avrei mai vacanza". Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l'ora della partenza fu vicina: "Ah!" disse la volpe, "... piangerò". "La colpa è tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti
addomesticassi..." 2
Qui lʼautore interpreta lo stato dʼanimo della Volpe, ma molto onestamente dichiara che è quanto sembra a
lui. Rimane pertanto nei canoni della descrizione narrativa.
"È vero", disse la volpe. "Ma piangerai!" disse il piccolo principe. "È certo", disse la volpe. "Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano". Poi soggiunse: "Va' a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a
dirmi addio, ti regalerò un segreto". Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose. "Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi
non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato
nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne
ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo". E le rose erano a disagio3. "Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si puo' morire per
voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è
più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la
campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento. Perché su di lei ho uccisi i bruchi
(salvo i due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche
qualche volta tacere. Perché è la mia rosa". E ritornò dalla volpe.
"Addio", disse.
"Addio", disse la volpe. "Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore.
L'essenziale è invisibile agli occhi".
"L'essenziale è invisibile agli occhi", ripeté il piccolo principe, per ricordarselo4. "È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante". "È il tempo che ho perduto per la mia rosa..." sussurrò il piccolo principe per ricordarselo. "Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile
per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa..."
"Io sono responsabile della mia rosa..." ripeté il piccolo principe per ricordarselo.
Gianluca Braga
In collaborazione con i partecipanti del gruppo 12 – Laboratorio “Scrivere in Educazione”
Università Cattolica Sacro Cuore – Milano – Facoltà di Scienze della Formazione
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Questa è effettivamente una interpretazione dellʼautore. Il verbo non lascia dubbi che voglia fare apparire
come un dato oggettivo. È evidente come lʼautore sia concentrato sul rapporto tra il Piccolo Principe e la
Volpe e questo passaggio è solo utile a proseguire lʼaltro “ramo” del racconto.
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Da qui inizia una serie di interpretazioni del motivo per cui il Piccolo Principe fa un comportamento. Sembra
unʼesortazione dellʼautore al lettore di tenere a mente il concetto che ha appena voluto esprimere. Dal punto
di vista della descrizione non è adeguato. Forse, anche dal punto di vista del lettore, può essere
sovrabbondante.