Tutela del minore tra diritto alla riservatezza e dovere di vigilanza

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Tutela del minore tra diritto alla riservatezza e dovere di vigilanza
Eliana Flores
Tutela del minore
Eliana Flores
Tutela del minore tra diritto
alla riservatezza e dovere
di vigilanza
L’autonomia scolastica non solo non risulta essere stata propositiva, ma neppure ha
saputo fornire risposte, soluzioni e garanzie proporzionate alle sue potenzialità sul
versante del contemperamento dei contrapposti interessi tra il diritto alla riservatezza del
minore ed il dovere di vigilanza che fa capo ai docenti.
Il passaggio dal “testo al touch” ovvero dalla ”carta al bit” viene vissuto come un fenomeno
che coinvolge solo alcune discipline ovvero determinati contenuti, e tale criticità non passa
nell’indifferenza agli occhi degli alunni, che ricevono messaggi fuorvianti e contraddittori. A
fronte della formazione sulle nuove tecnologie a macchia di leopardo, i netizen sono
connessi h24 e i genitori sono impossibilitati a monitorare i dispositivi mobili dei propri figli.
Con rapidi cenni ad alcune norme - non vuole essere questa una trattazione processualcivilistica/penalistica che richiederebbe altri spazi - vengono prospettate nuove frontiere
per un cambio paradigmatico, negli organi collegiali della scuola e negli assetti
organizzativi, attinenti alla libertà di insegnamento e al diritto all’utilizzo attivo e
consapevole di Internet.
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Touch me!
L’utilizzo di internet e della quantità di connessione mobile negli ultimi tempi si è sviluppato
in modo esponenziale, comportando un parallelo decremento di quella domestica; pertanto
sempre più i ragazzi sono sottratti alla vigilanza dei genitori e per questi ultimi risulta
impossibile, allo stato, dotare smartphone, tablet, netbook, iPad ed ogni altro dispositivo
mobile di tutte quelle misure di controllo (c.d. parental control) agevolmente adottabili sul
pc di casa, come il tracciamento della cronologia nelle impostazioni del browser,
l’impostazione di filtri ovvero il controllo dell’hard-disk ed altro ancora.
Tralasciando gli ambienti e le dinamiche familiari, le nuove tecnologie hanno dotato ogni
alunno di una connessione individuale al web: al mattino si recano a scuola, oggi, non
tanto con zaino, libri e quaderni, ombrello ed occhiali, ma soprattutto con il bagaglio del
proprio mondo-internet fatto di contatti, community, app, alert, repository di messaggistica,
foto, video stratificati nel tempo e testimonianti se stessi e la propria storia, pronti a
rimpinguare, senza soluzione di continuità, del vissuto quotidiano sia le memorie fisiche
che il cloud. Percorrono le stesse strade, frequentano gli stessi quartieri e la stessa
scuola, prendono lo stesso tram, ma sono sempre anche con un piede di là, altrove, per
vivere la seconda loro presenzialità, espressa con i nuovi linguaggi, iconico, acronimico,
con funzioni semantiche e pragmatiche “ristrette” alla simbologia sintetica offerta
dall’interfaccia sw ed hw in dotazione allo smartphone.
Il dispositivo mobile non è un dettaglio, un mero accessorio aggiuntivo!
La scuola, in tutte le sue articolazioni, non sembra essersene accorta, o meglio, di fatto
continua a non prendere in carico in modo strutturato tale oceanica massa di ragazzi “col
capo chino” sul display, generazione che esiste (forse di più) nel mondo dei bit,
generazione che conosce delle condizioni meteo non alzando più gli occhi al cielo, non
scrutando più l’orizzonte, bensì con qualche touch sull’app di riferimento. Se si ha voglia di
scendere nel dettaglio dei dati, si può consultare il 13° Rapporto Eurispes – Telefono
Azzurro, inesorabile indagine nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza
svolta nel 2012, la cui ricerca si è concentrata soprattutto sull’utilizzo dei media
(http://www.eurispes.eu/content/rapporto-nazionale-sulla-condizionedell%E2%80%99infanzia-e-dell%E2%80%99adolescenza) pur se non recentissimo, offre
tutti i profili dei rischi cui risultano esposti bambini, adolescenti e ragazzi – dai 7 ai 18 anni
- su internet, non escluso quello di nuove dipendenze, la pressoché illimitata libertà di
scegliere dove, come, con chi e quando navigare, i discutibili, banali, improvvisati controlli
a singhiozzo delle agenzie educative, la percezione dell’effettivo divario generazionale che
si atteggia non tanto come gap tecnologico in senso stretto, bensì come percezione
dell’incapacità di genitori e docenti di gestire una situazione ormai fuori controllo e nella
antinomica considerazione del concetto di “privacy”.
È agevolmente intuibile come, dal 2012 ad oggi, la situazione complessiva possa
essere solo aggravata!
Offre spunti interessanti di riflessione comparativa la relazione sull’alfabetizzazione
mediatica dei bambini e ragazzi – dai 3 ai 15 anni – pubblicata nell’ottobre 2014 in Gran
Bretagna dall’Authority nel settore della concorrenza e delle comunicazioni del Regno
Unito (OFCOM), esponendo sull’uso dei vecchi e nuovi media, sugli atteggiamenti e la
conoscenza dei rischi di internet nonché le opinioni dei genitori sull’utilizzo dei dispositivi
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dei loro figli nonché le modalità che adottano per gestire ovvero limitare l’impiego dei
diversi tipi di media.
http://stakeholders.ofcom.org.uk/binaries/research/media-literacy/media-use-attitudes14/Childrens_2014_Report.pdf
- sintesi in lingua italiana disponibile a questo indirizzo:
http://www.generazioniconnesse.it/notizie/bambini-genitori-media-ricerca-ofcom-uk/
Chi lascerebbe andare da solo in giro un minore?
Chi lascerebbe un ragazzo con sostanze che creano dipendenza a portata di mano?
Ma la touch-generation è già migrante e già dipendente!
Il problema è posto, ma…
Da un ventennio ormai Organismi internazionali hanno iniziato a muoversi a vario titolo
studiando i problemi e sollecitando i Governi locali a redigere policy e predisporre sistemi
di governance.
• Dei minori si è occupato già dal 1998 il Consiglio dell’Unione europea, con
l’emanazione di una Raccomandazione “concernente lo sviluppo della competitività
dell’industria dei servizi audiovisivi e d’informazione europei attraverso la promozione di strutture nazionali volte a raggiungere un livello comparabile e efficace di
tutela dei minori e della dignità umana” che ha svolto un’importante funzione di
orientamento per i governi locali. Il Parlamento europeo (deputata francese Marielle
de Sarnez, relatrice del provvedimento) rivolse all’Unione una proposta di raccomandazione al fine di rendere più sicura la navigazione su internet dei minori, sia
mediante misure che li difendano da contenuti non adatti, che mediante l’istituzione
di un dominio apposito (.kid), ed infine mediante l’istituzione di un numero verde
europeo per avere informazioni appropriate; per i successivi sviluppi:
http://eurlex.europa.eu/legalcontent/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52011DC0556&qid=1
420995842719&from=IT
• Decisione del Consiglio del 29 maggio 2000 relativa alla lotta contro la pornografia
infantile su Internet
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32000D0375
• Decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 giugno 2003 che adotta
un piano pluriennale d’azione comunitario per promuovere l’uso sicuro di internet
attraverso la lotta alle informazioni di contenuto illegale e nocivo diffuse attraverso
le reti globali
http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32003D1151
• Relazione del 19 luglio 2005 sulla proposta di raccomandazione del Parlamento
europeo e del Consiglio relativa alla protezione dei minori e della dignità umana
http://www.privacy.it/cecA62005-244.html
• Negli Stati Uniti ci sono stati vari atti di legge di “regolamentazione censoria”,
come il “Telecomummunication Act” del 1996 (http://thomas.loc.gov/cgibin/query/z?c104:S.652.ENR), che incorporava i principi del “Communication
Decency Act” del 1995, ma anche provvedimenti opposti, come quello del Sindaco
di New York che ha emanato una disposizione secondo cui dal 2 marzo 2015 non vi
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sarà alcun
divieto nelle scuole e gli alunni potranno portare il cellulare sempre con sé
(http://www.lastampa.it/2015/01/09/societa/cellulari-in-classe-new-york-vara-la-finedel-proibizionismo-vqQKpP2U7ZRAXcqTcvkkcP/pagina.html ).
In Corea del Sud e Vietnam si è dovuti ricorrere a misure estreme di coprifuoco
on
line
(http://punto-informatico.it/3096308/PI/News/vietnam-notte-cala-suigame.aspx) e in Cina sono stati emessi provvedimenti ancor più discutibili, come il
Parents
Guardian
Project
for
Minors
playing
online
games
(http://www.china.org.cn/china/2011-02/01/content_21857426.htm), considerati gli
effetti sulla salute direttamente collegati alla permanente connessione a internet.
E in Italia come stanno le cose? Quali sono state le iniziative istituzionali, le misure
ministeriali e quelle fornite dall’autonomia scolastica per la governance del problema?
Vi sono stati dei pregevoli tentativi:
- ci si aspettava tanto dal (fallito tentativo del) Codice “Internet e Minori”, che poteva
rappresentare un esempio di buona pratica sul versante dell’autoregolamentazione
anche per le istituzioni scolastiche, sottoscritto il 19 novembre 2003
dall’Associazione Italiana Internet Provider – AIIP, dall’Associazione per la
Convergenza dei Servizi di Comunicazione – AnFoV, dall’Associazione Provider
Indipendenti – Assoprovider, dalla Federazione delle Imprese delle Comunicazioni
e dell’Informatica – Federcomin., dal Ministero delle Comunicazioni e dal Ministero
per l’Innovazione e le Tecnologie.
Scritto sulla traccia di quello dedicato alla tv e ai minori, purtroppo ha mostrato
subito alcune criticità, come la previsione di una navigazione differenziata, nonché
lacune macroscopiche, come quella sull’utilizzo dei dati dei minori raccolti on line,
strumenti di difesa del minore dallo spamming ovvero dalle informazioni indesiderate
dell’e-commerce, la tutela dalla forma giuridica di certe dichiarazioni on line
(contratti c.d. point and click). Il testo è ancora consultabile su altro sito governativo:
(http://www1.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/not
izie/minori/notizia_18980.html_956045916.html);
- ci si aspettava altro apporto anche dal Codice di autoregolamentazione per la
prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, in consultazione dal gennaio 2014.
Concordato tra rappresentanti delle Istituzioni (Mise, Agcom, Polizia postale e delle
comunicazioni, Direzione Centrale della Polizia Criminale, Autorità per la privacy,
Garante
per
l'infanzia e Comitato media e minori), delle Associazioni (Confindustria digitale,
Assoprovider ecc.), degli operatori (Google, Microsoft ecc.) e presieduto dal Vice
Ministro dello Sviluppo economico Antonio Catricalà, è visibile ancora come bozza
(http://www.sviluppoeconomico.gov.it/images/stories/documenti/codice_cyberbullis
mo_8%20gennaio_2013.pdf).
Generazione a km 0
Si parla già da anni di “scuola senza zaino” ovvero di scuola book-free, di nativi digitali con
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accezione esclusivamente positiva, ma nel frattempo i netizen scorrazzano nel loro campo
libero: sono alunni, consumatori, amici, nemici, agiscono da soli e fanno gruppo non
muovendosi dalla stessa sedia; viceversa i “migranti digitali”, ossia coloro che non sono
nati nell’epoca dei bit, pur avendo in astratto minor propensione tecnologica, risultano
avere maggior consapevolezza del potenziale internet.
Orbene, la scuola dell’autonomia quali scelte effettua, fin dove si è spinta nel darsi delle
regole sull’utilizzo dei dispositivi mobili all’interno delle istituzioni scolastiche?
Compiendo una semplice ricerca sul web delle centinaia di regolamenti scolastici, ci si può
rendere conto che non emergono posizioni diverse più di tanto, pur se alcune orlate da
qualche disposizione bizzarra; norme che dovrebbero garantire studenti, in particolar
modo minori, docenti e genitori durante il tempo-scuola:
• “È vietato tenere acceso il cellulare durante le attività didattiche; l’utilizzo è
consentito solo per un utilizzo didattico concordato con l’insegnante (es.: acquisizione di documentazione durante un’attività di laboratorio). Il docente che rileva
l’infrazione si farà consegnare il cellulare (o altro dispositivo elettronico indebitamente usato durante le attività didattiche) e lo metterà in una busta chiusa in
Segreteria contrassegnandola sul sigillo di chiusura con una firma del personale di
segreteria) e una dello studente; ciò garantirà la riservatezza dei dati contenuti nel
dispositivo fino al ritiro dello strumento da parte di un genitore”.
• “USO DEI CELLULARI E VIDEOFONINI A SCUOLA: durante le ore di lezione i
cellulari e i videofonini devono essere tenuti rigorosamente spenti, per evitare di
interferire con lo svolgimento dell’attività didattica, nonché per il rispetto della
normativa vigente in tema di privacy. Sono severamente punite tutte le azioni di
hackeraggio che mirino a carpire/falsificare/alterare informazioni relative a dati
sensibili contenuti nei registri elettronici. L’istituto non risponde di beni e oggetti
lasciati incustoditi”.
• “È vietato: l’uso del cellulare in classe; diffondere via web filmati, registrazioni audio,
fotografie digitali riguardanti studenti, docenti e persone che operano all’interno
della comunità scolastica, senza la preventiva autorizzazione degli interessati
(Legge sulla privacy). L’inosservanza di tali obblighi espone gli studenti, o chi
compia queste operazioni nella scuola, alle sanzioni previste dalla legge (pagamento da 3 a 18 mila euro, ovvero da 5 a 30 mila euro nei casi più gravi e a provvedimenti disciplinari).
• “Uso del telefono cellulare e di altri dispositivi elettronici. Salvo casi eccezionali di
assoluta gravità, necessità e urgenza, previa autorizzazione, nei quali, comunque,
l'uso deve avvenire al di fuori dell’aula, e per il tempo strettamente necessario, più
breve possibile, è assolutamente vietato tenere accesi e utilizzare, in tutte le ore
scolastiche, i cellulari e/o altri dispositivi elettronici da parte degli studenti. Tale
divieto deve essere rispettato sia in classe, durante lo svolgimento delle attività
didattiche, che in ogni altro ambiente scolastico (atri, corridoi, bagni, palestre,
ingressi, zone comuni, ecc.). Ciò in quanto l’uso del cellulare e degli altri dispositivi
elettronici, comportando: a) grave elemento di distrazione per chi lo usa, per tutta la
classe, e comunque, per i presenti e chi può comunque ascoltare; b) impossibilità,
per lo studente, di assolvere assiduamente all'obbligo di attenzione e di studio
necessario durante le lezioni; c) possibile, illegittima copiatura e diffusione di dati
durante i compiti in classe; costituisce pertanto grave mancanza di rispetto e
considerazione per i docenti, i compagni, le persone che lavorano nella Scuola,
passibile di applicazione di sanzione disciplinare”.
• “ART.14 L’uso dei telefonini all’interno della scuola è assolutamente vietato durante
le ore di lezione. È concesso telefonare dal proprio apparecchio solo durante
l’intervallo fra la terza e la quarta ora. In ogni altro momento il cellulare deve essere
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spento, in modo che non arrechi disturbo alle lezioni. È vietato anche preparare e
inviare SMS. È vietata la ripresa (con macchine fotografiche, videocamere,
videofonini) e l’uso di immagini di persone, luoghi e documenti senza
l’autorizzazione del D.S.”.
“Non è consentito tenere acceso il telefono cellulare nei locali scolastici, effettuare
telefonate o inviare messaggi con il medesimo. Nel caso in cui ciò non venga
rispettato, il docente può farsi consegnare il cellulare e portarlo al Dirigente
Scolastico che avverte immediatamente la famiglia tramite segreteria. I genitori
potranno ritirare il cellulare in Presidenza. In caso di necessità effettiva, gli alunni
possono comunicare con i familiari tramite il telefono della bidelleria”.
Disposizioni interne di tal genere garantiscono davvero? E chi?
Leggendo, si ha l’impressione di un disimpegno morale, di un collocamento in stand-by
delle coscienze, si percepisce che tali norme interne siano state poste più per blindarsi in
un alibi ex tunc- di aver adottato tutte le misure organizzative e disciplinari per evitare
danni cagionati da fatti illeciti commessi con l’utilizzo dei dispositivi mobili durante l’orario
scolastico - che non per prendere in carico responsabilmente il problema con l’apporto
costruttivo di tutte le componenti scolastiche in modo condiviso.
La fa da padrone il proibizionismo puro e semplice e non pare che abbia sortito grossi
effetti, considerato che sono raddoppiate nel 2014 le denunce che vedono il minore come
soggetto
passivo
del
reato
(sintesi
dell’indagine
consultabile
in:
http://www.key4biz.it/cyberbullismo-raddoppiate-in-anno-denunce-danni-minori/) sono in
crescita impressionante anche le fattispecie di cyber-bullismo in cui il minore è sia
soggetto attivo che passivo del reato.
Risulta arduo comprendere quali siano i valori ispiratori dell’azione scolastica, cioè il
c.d. curricolo implicito (hidden agenda); come mai la scuola dell’autonomia trovi risposte di
tipo esclusivamente sanzionatorio-repressivo alla domanda sociale di formazione sulle
nuove tecnologie; quale nuovo ruolo risulta assegnato al docente, visto che gli si chiede di
vigilare sui cellulari; se tali previsioni normative stimolino un atteggiamento attivo nei
confronti delle stesse; se, conclusivamente, sempre la scuola dell’autonomia, al di là delle
roboanti declaratorie posizionate sulla home del proprio sito istituzionale, in concreto ed in
modo sistemico, lavori per “competenze”, secondo la definizione contenuta nella
Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008, in termini di
responsabilità e autonomia
(http://www.isfol.it/sistemadocumentale/banchedati/normative/archivio/19991/Raccoman
dazioneEQF_GUE6.5.2008.pdf).
I docenti sono particolarmente attenzionati perché la scuola è il luogo in cui, in
particolare il minore non emancipato, deve esser protetto e i problemi conseguenti alla
connessione personale di cui è dotato devono trovare composizione nelle sedi deputate,
gli organi collegiali, altrimenti si rischia, basta guardarsi intorno, che ogni aula divenga un
mondo a sé, una jungla nella jungla. E questa non certo può dirsi “formazione ai nuovi
media”.
È una soluzione, viene da chiedersi, la devolution integrale della culpa in vigilando sulle
spalle di chi, al momento di un’eventuale commissione di fatto illecito – che può vedere il
minore sia come soggetto attivo che passivo del reato - si trovi, magari occasionalmente,
docente ovvero collaboratore, ad avere in carico l’allievo?
Possibile che la “scuola dell’autonomia” non sia in grado di porre in essere diversi e
migliori processi?
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Può gravare su una singola persona fisica il peso del continuo destreggiarsi tra dovere
di vigilanza e diritto dell’alunno al rispetto della propria sfera di riservatezza?
Quali sono oggi gli strumenti, i contributi, anche in termini normativi - senz’altro non
sufficienti -, di cui può servirsi la scuola per gestire diversamente la formazione sulle e alle
nuove tecnologie, affinché non rimanga principalmente momento addestrativo e spesso
affidato a un docente specifico, bensì trasversale a tutte le discipline e ambiti
interdisciplinari, analogamente all’educazione alla cittadinanza attiva e consapevole; anzi,
si può rilevare un parallelismo tra la prima e la seconda: i futuri lavoratori della neweconomy dovranno avere entrambe le competenze!
Impartire disposizioni generali spetta al Miur, e così è stato: ha emanato il Regolamento
recante lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, approvato
con D.P.R. 24 giugno 1998, n. 249 - in GU 29 luglio 1998, n. 17 - (nelle cui premesse
recepiva le indicazioni della legge 27 maggio 1991, n.176, di ratifica della Convenzione sui
diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, che, all’art. 16 e 17 tratta del
diritto alla riservatezza, ma anche della rilevanza dei mass-media nella formazione del
fanciullo
http://www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/Legge%20176%20del%201991.htm,
rimandando all’autonomia organizzativa le fattispecie sanzionabili che, per quanto riguarda
i dispositivi mobili, attualmente sembrano scritte le une sulla falsariga delle altre, con effetti
in alcuni casi davvero paradossali: poste tali norme interne, ci si chiede come possa il
docente chiarire agli alunni le fattispecie di un download legittimo; proteggerli dalle
esplorazioni selvagge del web; condurre l’acquisizione delle risorse aggiuntive on line dei
libri di testo in adozione ovvero utilizzarle quotidianamente senza i cellulari; far
comprendere come l’informazione senza alcun controllo moltiplica le notizie false e i
contenuti di bassa/dubbia qualità e l’informazione grigia intacca implacabilmente il dirittodovere di critica, il dibattito e quindi la cultura. I genitori, terminate le attività didattiche,
metteranno al riparo i propri figli, nativi digitali, (?!?) dalle derive del web 2.0, espresse
magistralmente dal guru americano Janor Lanier nel suo scritto: “You are not a gadget”,
come quella che banali lamenti anonimi abbiano lo stesso peso specifico di asserzioni dei
premi Nobel? Terminato il coprifuoco scolastico, chi insegnerà ai ragazzi a gestire la
sconfinata libertà di internet degenerata popperianamente in licenza, in anarchia di massa,
ove la discussione cede il posto all’urlo ed all’insulto (ed al reato), esercitabile a km 0?
Ma internet non è terra di nessuno; è vero che la sua anima è anarchica, ma ciò non
significa assenza di norme!
L’evoluzione tecnologica impressionante che ha tempi decisamente più accelerati di
quelli del diritto fa sì che l’antigiuridicità dei comportamenti virtuali non venga avvertita in
modo sufficiente; un esempio per tutti: il fenomeno del peer-to-peer è noto, c.d. file
sharing, e non è stato percepito per lunghissimo tempo come illegale dagli utenti della rete
in quanto paragonato al “prestito” nel mondo reale.
Ciò che preoccupa i docenti non è però il file-sharing, né le violazioni dei diritti morali
e/o patrimoniali degli autori di e-contents che i minori, sottraendosi fraudolentemente alla
vigilanza del docente, possono commettere durante l’orario scolastico; lo spauracchio si
chiama You-tube, Facebook, Whatsapp, community virtuali, chat e quant’altro nel
prossimo futuro consentirà la diffusione fuori controllo di user generated content. Se si
compie una semplice ricerca su Google, vi è ancora ampia testimonianza dell’episodio di
Torino del 2006, di un minore affetto da autismo, ripreso in classe in un particolare
momento, il cui video integrale fu caricato on line e vi rimase per mesi, prima di essere
rimosso per ordine del Giudice.
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Non occuparsi dell’educazione ai nuovi media, non considerarla un diritto significa
causare un danno ai minori di oggi e agli adulti di domani. Strepitoso esperimento
dell’adescamento di minori on line effettuato da Terre des hommes mediante la creazione
di Sweetie, la bambina virtuale (http://terredeshommes.it/comunicati/il-mio-nome-esweetie-nuovo-report-di-terre-des-hommes-sulla-pedopornografia-online/).
Il web, nella sua straordinaria potenza, può essere il luogo/mezzo privilegiato per la
commissione di fattispecie ascrivibili alla violazione di norme penali: le nuove frontiere si
chiamano sexting (diffusione arbitraria di parole/immagini/foto/video a sfondo sessuale),
grooming (instaurazione di un rapporto via web di un adulto con un minore con scopi a
sfondo sessuale – oggi reato di adescamento telematico); flaming (accendere una
discussione sul web a danno di terzi) diffusione di dati personali per scambio di identità
(altra fattispecie già reato); utilizzo improprio di alias, nickname, avatar; meccanismi psicopatologici di dipendenza da internet (c.d. addiction); gioco d’azzardo; prelevamenti da
carte prepagate di importi superiori a quelli che appaiono sul monitor; diffusione di falsità,
dicerie non più governabili dall’autore dopo la pubblicazione; contenuti digitali pericolosi ed
inappropriati che istigano al suicidio, xenofobia, razzismo, discriminazioni, reati in genere
ovvero che dispensano pericolosi consigli alimentari, cyber-bullismo e cyber-stalking che
comportino danno ingiusto; soprattutto le ultime due ipotesi sono molto più devastanti delle
omologhe nella vita reale, in quanto il cyber-bullo/stalker può molestare la vittima anche
mentre questa è in luogo potenzialmente sicuro, come la scuola, la casa ed inoltre,
l’impossibilità di cancellare definitivamente i contenuti digitali dannosi unitamente alla
velocità di diffusione, aggravano maggiormente il fenomeno.
Il minore, come già esposto, può non solo essere soggetto passivo del reato, ma anche
soggetto attivo.
Ogni atto illecito doloso o colposo che cagioni un danno ingiusto, dà luogo a
responsabilità civile extracontrattuale, ex art. 2043 del codice civile, cui consegue il
risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
Se il cyber-bullo minorenne non emancipato commette tali atti quando non è affidato
alla scuola, la responsabilità, e il risarcimento, sarà in via solidale dei genitori nei confronti
della vittima, ex art. 2048 c.c. (Responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei
maestri d’arte), primo comma, a meno che non “provino di non aver potuto impedire il
fatto” – terzo comma; sul versante processuale la prova deve essere fornita in positivo,
ossia aver adottato ogni tipo di precauzione imposta dagli obblighi che gli competono, ex
art. 30 Cost. ed art. 147 c.c..
E questo per giurisprudenza e dottrina prevalenti: vedi ultima Corte di Cassazione Sez. III - sent. 18 novembre 2014, n. 24475, di accoglimento dell’appello che ha
condannato i genitori di un minore al pagamento della somma di € 278.042,32, oltre
accessori; secondo la Corte “omissis… va ribadito il principio (Cass., n. 20322 del 20
ottobre 2005) secondo cui in relazione all'interpretazione della disciplina prevista nell'art.
2048 cod. civ., è necessario che i genitori, al fine di fornire una sufficiente prova liberatoria
per superare la presunzione di colpa dalla suddetta norma desumibile, offrano non la
prova legislativamente predeterminata di non aver potuto impedire il fatto (atteso che si
tratta di prova negativa), ma quella positiva di aver impartito al figlio una buona
educazione e di aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata; il tutto in conformità alle
condizioni sociali, familiari, all'età, al carattere e all'indole del minore.
L'inadeguatezza dell'educazione impartita e della vigilanza esercitata su un minore,
fondamento della responsabilità dei genitori per il fatto illecito dal suddetto commesso, può
essere desunta, in mancanza di prova contraria, dalle modalità dello stesso fatto illecito,
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che ben possono rivelare il grado di maturità e di educazione del minore, conseguenti al
mancato adempimento dei doveri incombenti sui genitori, ai sensi dell'art. 147 cod.
civ…omissis”.
Nel tempo di affidamento alla scuola, la responsabilità solidale ricade sulla persona
fisica che ha in consegna il minore; pertanto la scuola dell’autonomia, ferme restando le
considerazioni che attengono al curriculo implicito, deve regolamentare, evidentemente in
modo diverso dalle ipotesi esposte, e prevedere ogni tipo di situazione, preferibilmente in
modo condiviso da tutte le componenti scolastiche: compresenza, autogestione, assenza
temporanea dei docenti, uscite didattiche a vario titolo, giornate di open day, assemblee
studentesche, incontri pomeridiani per attività extracurriculari, colloqui con le famiglie,
presenza dei minori dei locali di segreteria, nei cortili ovvero altri locali non destinati ad
attività didattiche, etc.
Visto che la norma è la stessa (2048 c.c.), se il fatto illecito avviene durante il temposcuola, analogamente sul piano processuale, quindi nel giudizio risarcitorio, vi è tale
presunzione juris tantum (relativa) e il soggetto è liberato dalla responsabilità per culpa in
vigilando solo se riesca a fornire al Giudice la prova di aver adottato tutte quelle
precauzioni che, in relazione alle circostanze, apparivano idonee ad evitare il danno ed
aver adempiuto ai propri doveri connessi alla funzione svolta. Sarà lo stesso Giudice a
valutare, caso per caso, se la culpa in vigilando concorra solidalmente con la culpa in
educando (Tribunale di Bologna - Sez. III - Sent. 3 luglio 2013 n. 20827) ovvero possa
addirittura prenderne il posto.
Per i docenti sorprende, nell’alluvionale produzione di fonti ministeriali, che l’ultima
disposizione che fa divieto di utilizzare il c.d. cellulare riguardi il 1998 (consultabile
nell’archivio storico Miur:
http://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/1998/cm362_98.shtml), quindi ancor prima
dell’autonomia scolastica, ed a nessuno sia venuto in mente altro, visto che ne viene
ribadita la vigenza – anche dopo l’autonomia – in altra nota ministeriale, del 15 marzo
2007 (http://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/allegati/prot30_07.pdf), redatta
in un periodo emergenziale, a seguito di gravi fatti di bullismo e violenza nelle scuole.
Il periodo è stato fecondo per quanto attiene la produzione normativa: è stato modificato
in modo sostanziale il vecchio Statuto delle studentesse e degli studenti del 1998,
con l’emissione del D.P.R. 21 novembre 2007, n. 235 - Regolamento recante modifiche e
integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249,
concernente lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola
secondaria
(http://iostudio.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/88261a4a-03f611de-a646-ab725d54ee0d/Statuto%20Studenti%20con%20modifiche%20DPR%2024998%20235-07.pdf), che, unitamente alla circolare esplicativa del 31 luglio 2008
(http://iostudio.pubblica.istruzione.it/alfresco/d/d/workspace/SpacesStore/267f480d-bbc511dd-a033-c58cb9bba632/Circolare%20esplicativa%20statuto.pdf) ha conferito un bel giro
di vite alla scuola dell’autonomia e portato alcune innovazioni nel senso dell’affermazione
del principio della “corresponsabilità educativa”, dettagliando sugli aspetti procedurali,
affermando la vigenza anche in questo campo della legge sul procedimento
amministrativo, l. 8 agosto 1990, n. 241.
La direttiva del 30 novembre 2007, n. 104 che, in undici pagine, effettua un compendio
delle norme del codice civile, penale, codice privacy, legge sul diritto d’autore, n. 633 del
1941 (L.D.A.) per gli illeciti commessi attraverso lo scambio/produzione/diffusione di
contenuti digitali
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Eliana Flores
Tutela del minore
(http://www.smontailbullo.it/webi/_file/documenti/NORMATIVA/contrasto/3_%20Utilizzo%2
0dei%20telefoni%20cellulari%2030%20novembre%202007.pdf).
La direttiva del 5 febbraio 2007, prot. n. 16, che accenna al fenomeno del cyberbullismo. (http://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/dir16_07.shtml).
A fronte di questo insieme di fonti ministeriali, vi è un vademecum estremamente snello
del Garante privacy, ospitato anche sul sito Miur che vede come destinatari gli alunni
(http://www.istruzione.it/urp/privacy_tra_banchi.shtml), ma può ritenersi a pieno titolo parte
integrante di questo pacchetto di norme che è sempre preferibile avere a portata di
mano…o di click…, considerato che il digitale sarà sempre più lo scenario di riferimento
anche della scuola.
Se non si effettua un cambio di paradigma, tempo pochi mesi, saranno dati in pasto ai
media episodi di information warfare ovvero defacement sui registri elettronici; allora cadrà
a pioggia sui docenti un’altra mole di direttive, circolari, raccomandazioni, statuti, bozze in
autoconsultazione e, molto probabilmente saranno inaspriti ulteriormente i regolamenti
d’istituto, forse sarà inserita a cascata all’ordine del giorno dei collegi docenti e consigli
d’istituto la proposta di eliminare il wi-fi nella scuola ovvero sarà aggiunta in calce al Patto
di corresponsabilità qualche clausola aggiuntiva da far firmare ad i genitori, verranno
installati dei rilevatori sull’uscio della scuola, pensate soluzioni di sicurezza multilivello,
sarà stilata una carta dei possibili attacchi e contromisure fino ad un firewall proprio per
l’alunno…..
Paradossi a parte, il cambio di paradigma che si auspica è considerare l’accesso ad
internet ed il suo uso consapevole ed attivo un diritto fondamentale della persona, e la
scuola ne è necessariamente coinvolta prima della famiglia; l’educazione alla cittadinanza
digitale è una partizione dell’educazione alla cittadinanza.
La denegazione non può essere l’unica strategia pensata dall’autonomia scolastica;
addirittura l’Osservatorio sui Diritti dei Minori, da qualche giorno, ha formulato esplicita
richiesta al Ministro Giannini di emanare un regolamento per i rapporti docenti-studenti su
Facebook:(http://www.osservatoriominori.org/comunicato-stampa/; pur se discutibile su
diversi aspetti in punto di diritto, l’iniziativa fa emergere che un rinvio nel mutamento di
veduta non è più fattibile.
Un cambio di rotta che lascia ben sperare, con riferimento alle iniziative istituzionali, si
rinviene nell’art. 13 – DIRITTO ALL’EDUCAZIONE - della Bozza della Dichiarazione dei
diritti in internet
(http://www.camera.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/upload_file/upload
_files/000/000/187/dichiarazione_dei_diritti_internet_pubblicata.pdf),
attualmente
–
gennaio 2015 – in consultazione alla Camera dei deputati, testualmente recita: “Ogni
persona ha diritto di acquisire le capacità necessarie per utilizzare Internet in modo
consapevole e attivo. La dimensione culturale ed educativa di Internet costituisce infatti
elemento essenziale per garantire l’effettività del diritto di accesso e della tutela delle
persone.
Le istituzioni pubbliche promuovono attività educative rivolte alle persone, al sistema
scolastico e alle imprese, con specifico riferimento alla dimensione intergenerazionale.
Il diritto all'uso consapevole di Internet è fondamentale perché possano essere
concretamente garantiti lo sviluppo di uguali possibilità di crescita individuale e collettiva; il
riequilibrio democratico delle differenze di potere sulla Rete tra attori economici, Istituzioni
e cittadini; la prevenzione delle discriminazioni e dei comportamenti a rischio e di quelli
lesivi delle libertà altrui”.
Quando si tratta di introdurre nuove schiere di diritti e nuove sensibilità i percorsi non
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Eliana Flores
Tutela del minore
sono facili; l’evoluzione culturale non può partire dai ministeri e la tutela di un diritto non
può avere come prezzo la demolizione di un altro diritto.
Gli alunni in generale, ma l’attenzione è specialmente ai minori e ancora di più a quelli
“a chilometro 0” necessitano di un progetto culturale che assume la portata di una sfida,
considerato il ritardo con la quale si affronta e la scuola è si una pubblica amministrazione,
ma molto particolare; comporre contrapposti interessi, come il dovere di vigilanza e la
tutela della privacy, affidandosi al burocratese dei palazzi che blinda le scuole dal web
viola la persona e la personalità di studenti e docenti e la libertà di insegnamento
costituzionalmente protetta. La nostra Carta Costituzionale conferisce al docente due
libertà fondamentali che non possono essere intaccate: la libertà della cultura e della
ricerca scientifica e tecnica – art. 9; la libertà di insegnamento – art. 33.
La libertà della cultura ha la sua fonte nel dovere dello Stato di promuoverla e si
atteggia a libertà professionale tipica destinata alla più intellettuale delle professioni, che è
quella dell’insegnamento: è peculiarità della funzione docente ed è diversa dal diritto di
manifestare liberamente il proprio pensiero, diritto riconosciuto a tutti dall’art. 21. La
“curvatura sociale” della libertà dell’insegnamento e nell’insegnamento consente di
operare tale distinzione tra esse e gli altri diritti di libertà, nel senso che, l’esercizio di
quanto è nell’art. 9 e 33 soddisfa immediatamente un interesse sociale. Ne consegue che,
il danno sociale che tenta di ammortizzare la libertà di insegnamento è anche quello “…di
un insegnamento ipocrita e servile, che il docente ritenesse di dover impartire per
compiacenza verso chi governa”, l’istituzione di cui fa parte (così Potoosching U. – voce
“insegnamento (libertà di)” in Encicl. del diritto, Giuffrè, 1971). E quanto risulta attuale il
suo pensiero quando, proseguendo, asseriva: “..i veri pericoli per la libertà di
insegnamento provengono oggi non tanto dallo Stato o dai suoi organi di governo, quanto
direttamente dalla società o dai gruppi di potere che agiscono, in modo scoperto, ma più
spesso subdolo, nell’articolazione delle sue strutture e che cercano di impadronirsi così
dello stesso potere dello Stato”.
La libertà di insegnamento presuppone anche la libertà del docente di utilizzare metodi
e criteri svincolati didatticamente da intromissioni altrui o da condizionamenti imposti da
circolari ovvero da qualsivoglia autorità; libertà di insegnamento è confronto aperto di
posizioni culturali a vantaggio del docente e dei discenti. La libertà metodologica consente
un confronto aperto in stretto adempimento con il compito assegnato alla scuola, di
consentire il pieno sviluppo della personalità degli alunni.
Con l’introduzione nella didattica delle nuove tecnologie, essendo queste una modalità
di insegnamento non ne può essere proibito l’utilizzo da parte ministeriale, da organi
collegiali, dal dirigente. Se il docente ha la possibilità, con i dispositivi digitali, di effettuare
una lezione a km 0, attingendo ad una pluralità di risorse che una volta erano dislocate a
tutte le latitudini, e ne viene privato, risulta leso nella libertà di insegnamento, in tale
duplice accezione. Il baricentro del problema va spostato dall’aula agli assetti
organizzativi; non è questa la sede per un’analisi strettamente giuridica delle disfunzioni
organizzative nelle pubbliche amministrazioni – e nella scuola – ma istintivamente mi
ritorna alla mente un aforisma di Antonio Gramsci, or ora recuperato dal web, secondo cui
la cultura è organizzazione!
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