DAL WELFARE AL WORKFARE: L`ATTIVAZIONE DELLE

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DAL WELFARE AL WORKFARE: L`ATTIVAZIONE DELLE
DAL WELFARE AL WORKFARE:
L’ATTIVAZIONE DELLE POLITICHE
PASSIVE
a cura di
Silvia Spattini
ADAPT
Dal Welfare al Workfare
SOMMARIO
1. Posizione del problema: gli effetti negativi delle politiche passive
di sostegno al reddito.
2. Gli orientamenti internazionali ed europei di welfare to work.
3. Dalla stato di disoccupazione al lavoro.
4. Dal welfare al workfare.
5. Le esperienze nazionali.
5.1. Olanda.
5.2. Danimarca.
5.3. Belgio.
5.4. Regno Unito.
5.5. Germania.
5.6. Francia.
5.7. Spagna.
5.8. Svezia.
5.9. Ungheria.
5.10. Polonia.
5.11. USA.
5.12. Giappone.
6. Osservazioni conclusive.
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Dal Welfare al Workfare
DAL WELFARE AL WORKFARE:
L’ATTIVAZIONE DELLE POLITICHE PASSIVE
1. Posizione del problema: gli effetti negativi delle politiche
passive di sostegno al reddito.
Tutti i paesi oggetto della comparazione sono dotati di un sistema di
sicurezza
sociale
disoccupazione,
altamente
prevede
sviluppato
delle
e
che,
prestazioni
in
caso
di
economiche
in
sostituzione del reddito dei lavoratori. Queste prestazioni sociali, da
un lato, si configurano come stabilizzatori macroeconomici nei
momenti di congiunture economiche negative (bassi livelli di
crescita, conseguente bassa domanda di lavoro, alti livelli di
disoccupazione).
Dall’altro
lato
per
i
lavoratori
disoccupati
significano la possibilità di una ricerca efficace di un posto di lavoro,
riducendo la pressione di dover accettare il primo lavoro disponibile
per la necessità di un reddito immediato.
Le indennità di disoccupazione vengono quindi ad assumere una
valenza positiva di tutela sociale, ma contemporaneamente, come
dimostrato dai più recenti studi (1), possono esercitare effetti negativi
sul mercato del lavoro. Infatti, in caso di un elevato livello di
prestazioni sociali e, in particolare, di un elevato tasso di rimpiazzo e
di una lunga durata della prestazione, il livello della retribuzione
pretesa dal lavoratore disoccupato per l’accettazione di un nuovo
posto di lavoro si innalza, dal momento che altrimenti sarebbe più
(1) Cfr. OECD, Benefits and Wages. OECD Indicators, Parigi, 2002.
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vantaggioso per il lavoratore non lavorare e percepire una elevata
prestazione sociale.
Un lavoratore che sa di poter contare per un lungo periodo di tempo,
misurato in anni, su una indennità avrà scarso interesse alla ricerca
di un lavoro. Valutando costi e benefici, anche se l’indennità ha un
ammontare non troppo elevato, tendenzialmente il lavoratore
preferisce una entrata sicura modesta, in assenza di lavoro, rispetto
ad un reddito da lavoro poco più elevato e tendenzialmente incerto.
Inoltre, connesse al lavoro, esistono spesso spese aggiuntive che non
sono rimborsate (come per esempio il costo di trasporto e di vitto),
che quindi riducono il reddito atteso in caso di occupazione.
Il meccanismo ora descritto, conosciuto come trappola della
disoccupazione, induce un allungamento dei tempi di ritorno al
lavoro, determinando quindi una disoccupazione di lungo periodo,
che dal punto di vista del sistema pubblico significa sopportare un
costo sociale prolungato nel tempo.
Nell’ambito della gestione della sicurezza sociale, la questione
fondamentale che si trovano ora ad affrontare i paesi oggetto della
ricerca è un aumento generale delle spesa sociale, che da un lato
spinge i Governi verso la ricerca di complesse e non sempre
socialmente accettate ipotesi di riforma dei sistemi di welfare e
dall’altro a dotarsi di sistemi di reinserimento al lavoro o meccanismi
di attivazione dei lavoratori disoccupati verso la ricerca di
un’occupazione.
2. Gli orientamenti internazionali ed europei di welfare to work.
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Già
all’inizio
degli
anni
Novanta,
l’Organizzazione
per
la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) mise in evidenza
come nei suoi paesi membri la spesa per le politiche attive per il
lavoro fosse soltanto la metà di quella per le politiche passive. Per
questo motivo, in molti paesi, divenne un importante obiettivo
politico dare maggiore rilievo alle misure di politica attiva, in
particolare attraverso l’impegno di maggiori risorse in questa
direzione (2).
Sulla base delle osservazioni dei processi in corso nei vari paesi e in
particolare delle difficoltà dei suoi paesi membri, era evidente che
non era sufficiente ipotizzare uno spostamento delle risorse dalle
politiche passive alle politiche attive. Nel 1994 l’OCSE elaborò una
Strategia per l’occupazione (OECD Job Strategy) che prospettava la
necessità di riforme dei mercati del lavoro, così come riforme dei
sistemi di sicurezza sociale e la loro interazione con i sistemi fiscali
per prevenire i loro effetti negati sul mercato del lavoro.
Anche la stessa Unione europea, nell’ambito della Strategia europea
per l’occupazione, ha elaborato degli orientamenti per le politiche
per l’occupazione (3) che sollecitano gli stati membri a rivedere o
riformare i sistemi fiscali e previdenziali e la loro interazione, al fine
di eliminare le trappole della disoccupazione, della povertà e
dell'inattività e di incoraggiare la partecipazione all'occupazione di
(2) Cfr. M. Peters, R. Dorenbos, M. van der Ende, M. Versantvoort, M. Arents, Benefit
Systems and their Interaction with Active Labour Market Policies, Commissione Europea,
Bruxelles, Febbraio 2004.
(3) Cfr. la decisione del consiglio del 22 luglio 2003 relativa a orientamenti per le politiche
degli Stati membri a favore dell’occupazione, consultabile in www.csmb.unimo.it, indice A-Z,
voce Strategia europea per l’occupazione.
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donne, lavoratori scarsamente qualificati, lavoratori anziani, persone
con disabilità e delle persone più lontane dal mercato del lavoro.
L’orientamento che esprime tale politica è sintetizzato dal motto
“make work pay”, far sì che il lavoro paghi, cioè rendere il lavoro
remunerativo (4).
Perché il lavoro sia remunerativo e in particolare più vantaggioso
rispetto al godere di una prestazione sociale, cioè perché il lavoratore
disoccupato sia incentivato a lavorare piuttosto che non lavorare,
beneficiando
della
prestazione
sociale,
è
necessario
che
il
differenziale economico tra la retribuzione che il lavoratore può
percepire e la prestazioni sociali di sostegno al reddito sia tale da
rendere il lavoro molto più vantaggioso. Infatti se la differenza tra
retribuzione e indennità di disoccupazione (o altra prestazione
alternativa) è limitata, in assenza di meccanismi di incentivazione al
lavoro, i lavoratori beneficiari di tali prestazioni saranno disposti ad
accettare un lavoro soltanto se è considerevole il guadagno
(4) Si riporta di seguito il testo dell’orientamento specifico, così come formulato dalla
decisione del consiglio del 22 luglio 2003 relativa a orientamenti per le politiche degli Stati
membri a favore dell’occupazione: «FAR SÌ CHE IL LAVORO PAGHI ATTRAVERSO
INCENTIVI FINANZIARI PER AUMENTARE L'ATTRATTIVA DEL LAVORO.
Gli Stati membri riformeranno gli incentivi finanziari al fine di rendere attrattivo il lavoro e
di incoraggiare gli uomini e le donne a cercare, accettare e mantenere un posto. Al riguardo,
gli Stati membri dovrebbero elaborare politiche appropriate, finalizzate a ridurre il numero
di lavoratori poveri. Essi sottoporranno a revisione e, ove opportuno, riformeranno i sistemi
fiscale e previdenziale e la loro interazione, al fine di eliminare le trappole della
disoccupazione, della povertà e dell'inattività, e di incoraggiare la partecipazione
all'occupazione di donne, lavoratori scarsamente qualificati, lavoratori anziani, persone con
disabilità e delle persone più lontane dal mercato del lavoro.
Pur mantenendo un elevato livello di protezione sociale, gli Stati membri rivedranno in
particolare i tassi di sostituzione e la durata delle prestazioni; garantiranno una gestione
efficace delle stesse, in particolare per quanto riguarda il collegamento con una vera ricerca
di un impiego, compreso l'accesso a misure di attivazione per sostenere l'occupabilità,
tenendo conto delle situazioni individuali; considereranno la corresponsione di prestazioni
per chi lavora, se del caso e si adopereranno al fine di eliminare le trappole dell'inattività.
In particolare, le politiche mireranno a ottenere entro il 2010 una riduzione significativa
delle aliquote marginali effettive elevate e, se del caso, del carico fiscale sui lavoratori a
bassa retribuzione, tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun paese.»
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aggiuntivo derivante dalla retribuzione rispetto alla indennità di
disoccupazione. In particolare, quanto maggiore è il livello della
prestazione sociale, tanto maggiore sarà il cosiddetto salario di
riserva, cioè la retribuzione per la quale un lavoratore disoccupato è
disposto ad accettare un lavoro.
Per raggiungere l’obiettivo dell’aumento del differenziale tra
remunerazione e prestazione sociale, si presentano due strade, non
necessariamente alternative. Da un lato, pur mantenendo un elevato
livello di protezione sociale, gli Stati devono rivedere ovvero ridurre
i tassi di sostituzione e la durata delle prestazioni. Dall’altro lato,
l’obiettivo di rendere più remunerativo il lavoro deve essere favorito
dalla riduzione significativa delle aliquote marginali e del carico
fiscale sulle retribuzioni più basse, in modo che il rapporto costibenefici sia più vantaggioso in caso di occupazione piuttosto che di
disoccupazione supportata da prestazioni sociali.
Accanto agli interventi sui sistemi previdenziali e fiscali, gli
orientamenti europei sottolineano che una gestione efficace delle
prestazioni sociali viene garantita per un verso mediante il
collegamento della prestazioni di sostegno al reddito con l’obbligo
del lavoratore alla ricerca attiva di una occupazione e per altro verso
dal collegamento delle politiche passive alle politiche attive, in
particolare
a
misure
(formazione,
riqualificazione)
dirette
a
accrescere l’occupabilità del lavoratore disoccupato attraverso
percorsi mirati di reinserimento al lavoro.
3. Dalla stato di disoccupazione al lavoro.
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I modelli economici e le ricerche empiriche (5) hanno dimostrato che
la decisione del lavoratore disoccupato di ricercare un lavoro e
conseguentemente di accettarlo dipende da vari fattori, tra i quali
rilevante è la configurazione del sistema di prestazione sociali. Le
indennità di disoccupazione se liquidate soltanto in base allo stato di
disoccupazione del lavoratore disincentivano la ricerca di una
occupazione. Nello specifico, la durata e il livello dell’indennità di
disoccupazione, ma anche il beneficiare di prestazioni sociali
accessorie (in particolare servizi o sussidi per i figli o persone
anziane a carico) legate allo stato di disoccupazione influenzano
negativamente la ricerca e l’accettazione di un posto di lavoro. Al
contrario la definizione dell’obbligo del lavoratore alla ricerca di una
occupazione, la limitazione della possibilità di rifiuto di un posto di
lavoro offerto e in particolare le sanzioni hanno un effetto positivo e
incentivante alla ricerca e accettazione di un lavoro da parte del
beneficiario di una indennità di disoccupazione o di altra prestazione
sociale.
La strutturazione quindi dei sistemi di prestazioni sociali incidono
sulla propensione e sull’impegno del lavoratore disoccupato alla
ricerca di lavoro e conseguentemente sulla permanenza dei
lavoratori nello stato di disoccupazione. Il numero di beneficiari di
prestazioni sociali e la durata della loro permanenza nel sistema di
welfare rappresentano per gli Stati anche un problema di sostenibilità
della spesa sociale, connessa a tali sistemi di protezione sociale, che è
(5) Cfr. M. Peters, R. Dorenbos, M. van der Ende, M. Versantvoort, M. Arents, Benefit
systems and their interaction with active labour market policies, Commissione europea, febbraio
2004.
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tanto più elevata, quanto maggiori sono i beneficiari e la durata della
loro permanenza nello stato di disoccupazione.
In questa prospettiva, risulta quindi necessaria l’istituzioni di sistemi
che non si limitino a elargire le loro prestazioni sociali sulla semplice
constatazione dell’assenza di un lavoro, ma che devono verificare
l’impegno concreto e attivo del lavoratore nella ricerca di una nuova
occupazione e l’effettiva disponibilità del lavoratore ad accettare un
nuovo lavoro.
Per le considerazioni ora esposte e nella prospettiva degli
orientamenti europei sopra descritti, i paesi europei sono impegnati
nella ridefinizione dei sistemi di welfare nella direzione di rendere i
cittadini economicamente autonomi, riducendo la loro dipendenza
dalle prestazioni sociali e di supporto al reddito dello Stato,
attraverso strumenti e meccanismi che incoraggino i lavoratori a
cercare, accettare e mantenere un posto di lavoro.
Questo obiettivo viene perseguito attraverso interventi sia sulle
politiche passive sia sulle politiche attive per l’occupazione. Da una
parte si interviene sulle condizioni di accesso al sistema delle
indennità, sulla generosità delle indennità e sugli adempimenti
richiesti ai beneficiari di tali prestazioni per incentivarli verso la
ricerca attiva di un lavoro e disincentivarli alla permanenza passiva
nel sistema di sicurezza sociale. Dall’altra parte si ritiene di dover
favorire le politiche attive per il lavoro che mirano a formare una
offerta di lavoro efficiente e maggiormente occupabile e costruire
percorsi di inserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro.
Particolare enfasi viene, quindi, attribuita al reinserimento del
lavoratore nel mercato del lavoro nel più breve tempo possibile e la
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conseguente riduzione della sua permanenza all’interno del sistema
di assicurazione contro la disoccupazione. Per raggiungere tale
obiettivo è necessario un assetto pro-attivo delle tutele in modo da
non disincentivare il lavoro, in altre parole occorre collegare le
politiche passive alla politiche attive, definendo la partecipazione alle
misure di politiche attiva da parte dei lavoratori disoccupati
presupposto di accesso alle prestazioni sociali.
4. Dal welfare al workfare.
Questa strategia di intervento – già adottata o sperimentata in quasi
tutti degli ordinamenti oggetto della ricerca e anche Italia con
l’articolo 13 del decreto legislativo 276 del 2003 e ora, più
solidamente, con il pacchetto competitività – viene definita come
welfare to work, caratterizzata dal tentativo del passaggio dal welfare,
cioè da un sistema basato sull’assistenza passiva dei lavoratori
disoccupati attraverso il sostegno del loro reddito, al workfare,
caratterizzato dalla centralità del lavoro e dell’impegno attivo del
lavoratore disoccupato alla ricerca di una nuova occupazione.
Tale sistema basato su un assetto pro-attivo o promozionale delle
tutele del lavoratore in caso di disoccupazione si caratterizza per:
•
un controllo periodico sulla permanenza nello stato di
disoccupazione involontaria dei soggetti che percepiscono
l’indennità;
•
l’effettiva disponibilità da parte del lavoratore disoccupato a
iniziare in breve tempo un lavoro;
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Dal Welfare al Workfare
•
l’ampliamento della definizione di lavoro “accettabile”,
riducendo la possibilità di rifiutare occasioni di lavoro;
•
programmi formativi o di reinserimento lavorativo a
frequenza obbligatoria per i soggetti che percepiscono
l’indennità di disoccupazione, con certificazione finale del
risultato ottenuto;
•
la perdita del diritto al sostegno del reddito nel caso di rifiuto
delle azioni di formazione, di altra misura o occasione di
lavoro di prestazioni di lavoro irregolare.
È proprio questo aspetto dell’obbligo per il beneficiario di una
prestazione sociale a partecipare a programmi di politica attiva del
lavoro, consistenti spesso in misure di job creation o di reinserimento
al lavoro, nonché le relative sanzioni previste, che rappresenta questo
passaggio da sistemi di welfare a sistemi di workfare, caratterizzati
appunto dalla connessione delle politiche passive alle politiche
attive.
Si potrebbe per questo parlare di una attivazione delle politiche
passive, nel senso di collegare appunto la prestazione assicurativa
e/o assistenziale ad una controprestazione richiesta al lavoratore e
consistente appunto nelle sua partecipazione a misure di politica
attiva di vario genere, da corsi di formazioni a programmi specifici di
reinserimento lavorativo.
Occorre inoltre sottolineare che il collegamento delle politiche
passive alle politiche attive per l’occupazione sembra poter essere
più efficiente ed efficace nei sistemi in cui la gestione delle diverse
politiche sia integrata, cioè dove le stesse autorità gestiscono
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contemporaneamente sia i servizi per l’impiego, che normalmente
implementano le politiche attive, sia le prestazioni sociali.
In questa ipotesi di integrazione di servizi e funzioni sembrano
potersi sviluppare sinergie ed economie di scala, nonché maggiore
efficienza, resa possibile da controlli facilitati degli adempimenti
richiesti ai beneficiari delle prestazioni, rispetto a situazioni in cui le
prestazioni
e
i
controlli
del
rispetto
delle
condizioni
e
l’implementazioni delle politiche attive sono competenza di enti
differenti.
Si possono citare come esempi la Germania e recentemente anche il
Regno Unito che, nel 2002, ha riunito il servizio di collocamento
pubblico e la gestione delle indennità di disoccupazione. In Olanda,
invece, sempre con l’obiettivo di garantire maggiori sinergie e
efficiente, ai CWI, servizi pubblici per l’impiego, è stato attribuito il
compito
di
raccogliere
le
domande
per
le
prestazioni
di
disoccupazione e di verificare lo stato di disoccupazione del
richiedente e il suo impegno nella ricerca di una occupazione.
5. Le esperienze nazionali.
5.1. Olanda.
Dall’analisi delle politiche per il lavoro attuate nei diversi paesi, si
evidenzia quindi il processo di passaggio dal modello tradizionale di
welfare, caratterizzato da politiche passive di sostegno al reddito, a
quello di workfare, basato su politiche attive che da un lato
incentivano il lavoratore disoccupato alla ricerca attiva di una
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Dal Welfare al Workfare
occupazione e dall’altro costituiscono condizione per beneficiare
delle prestazioni sociali.
Un esempio particolare di politiche di workfare è rappresentato dal
caso olandese, dove esse sono definite anche come reintegration
policies (politiche di reinserimento), back-to-work policies (politiche di
ritorno al lavoro) oppure work first policies. Già la denominazione
delle politiche evidenzia la centralità del lavoro rispetto alla
prestazione sociale di sostengo al reddito, sintetizzata anche dal
motto “work above income”. L’obiettivo delle politiche, infatti, consiste
nel creare un sistema di reinserimento al lavoro che appunto mira a
supportare il reinserimento dei lavoratori disoccupati nel mercato
del lavoro, favorendo quindi la loro indipendenza economica e la
loro uscita dal sistema di protezione sociale.
La diffusione di tali politiche è infatti direttamente collegata in
particolare alla elevata generosità del sistema di sicurezza sociale
olandese. La lunga permanenza dei disoccupati all’interno del
sistema di sicurezza sociale determina elevati livelli di spesa. Anche
per contenere e ridurre il peso di tale spesa, necessarie diventano
queste politiche di reinserimento al lavoro che appunto mirano a
reinserire i lavoratori nel mercato, rendendoli economicamente
autosufficienti.
La peculiarità del sistema olandese consiste nel fatto che è stato
privatizzato il servizio di reinserimento al lavoro, precedentemente
gestito dal servizio pubblico per l’impiego ed è stato costruito un
mercato dei servizi di reinserimento al lavoro in cui operano fornitori
privati, che attuano interventi per reinserire i disoccupati nel mercato
del lavoro.
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Nell’ottica del collegamento tra politiche passive e politiche attive
per il lavoro, esiste in Olanda una normativa sperimentale che ha
l’obiettivo di incentivare i beneficiari di prestazioni sociali a ritornare
nel mercato del lavoro.
Gli strumenti a disposizione per il raggiungimento di tale obiettivi
consistono in:
•
Collocamento in prova: i beneficiari di una indennità di
disoccupazione possono lavorare per un massimo di tre mesi
in prova per un datore di lavoro, che abbia concreta volontà di
assumere il lavoratore dopo la prova.
•
Integrazione della retribuzione: in caso di accettazione di un
lavoro con retribuzione inferiore alla prestazione sociale
percepita dal beneficiario, viene garantita una integrazione
della
retribuzione
a
raggiungimento
del
livello
della
prestazione sociale. Tale misura tenta di contrastare la
trappola della disoccupazione da un lato incentivando
l’accettazione di un lavoro che sarebbe rifiutato perché meno
remunerativo dell’indennità di disoccupazione e dall’altro
garantendo, in caso di accettazione di un lavoro, un livello di
retribuzione non inferiore all’indennità di disoccupazione.
•
Utilizzo preventivo di fondi: fondi possono essere utilizzati a
favore di lavoratori a rischi di disoccupazione per finanziare
per esempio programmi di formazione, volti a prevenire la
disoccupazione.
•
Formazione: sono previste opportunità di formazione e
istruzione continuando a percepire la prestazione sociale.
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Dal Welfare al Workfare
•
Diventare lavoratori autonomi: il beneficiario delle prestazioni
sociali che intraprenda una attività autonoma può continuare
a percepire per sei mesi la prestazione.
5.2. Danimarca
In Danimarca il sistema di collegamento delle politiche passive con le
politiche attive per il lavoro si basa sui Piani d’azione individuali.
Vige infatti il principio per il quale il lavoratore disoccupato deve
attivamente collaborare con il servizio pubblico per l’impiego
all’elaborazione del proprio programma di inserimento nel mercato
del lavoro.
Diversamente dalla maggior parte degli Stati europei e applicando
un modello c.d. di optional insurance, il sistema di assicurazione
contro la disoccupazione ha natura volontaria. Il lavoratore può
infatti decidere se aderire a uno dei Fondi per la disoccupazione
creati e gestiti dai sindacati e approvati dallo Stato.
Il sindacato, in quanto gestore di un fondo, raccoglie dagli iscritti a
tale fondo le quote assicurative (più o meno consistenti, a seconda
dei contributi erogati da Stato e associazioni imprenditoriali) e si
occupa della gestione diretta dei fondi, nonché dell’erogazione delle
indennità in caso di disoccupazione.
Parallelamente ai fondi gestiti dai sindacati, esiste il Labour market
fund (Arbejdsmarkedsfonden), un fondo alimentato dai contributi delle
imprese e dei lavoratori, sempre di natura privatistica, che ha la
funzione di erogare determinate prestazioni sociali, tra cui, appunto,
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l’indennità di disoccupazione, nei casi in cui i fondi di categoria non
arrivano ad erogare somme sufficienti.
È risaputo che la forza del sistema danese risiede nel principio della
flexicurity, caratterizzata dalla combinazione tra flessibilità e
sicurezza sociale. La flessibilità è legata al basso grado di tutela del
posto di lavoro, nel senso della protezione contro i licenziamenti, che
determina quindi un elevato grado di mobilità del lavoro. Dall’altro
lato, invece, la sicurezza è data proprio da un sistema di indennità di
disoccupazione piuttosto generoso. Il fatto che essa possa arrivare al
90% della retribuzione precedentemente percepita, determina infatti
un tasso di rimpiazzo piuttosto elevato. D’altra parte proprio questo
aspetto determina poi la necessità di una forte spinta all’attivazione
del lavoratore per il suo rientro nel mercato del lavoro e per
prevenire la trappola della disoccupazione.
Pare che la combinazione di questi fattori abbia garantito un mercato
del lavoro dinamico, caratterizzato da bassi tassi di disoccupazione.
5.3. Belgio.
In Belgio il sistema di connessione delle politiche passive alle
politiche attive per il lavoro si basa sulla elaborazione di piani
personali di intervento, costruiti “su misura” del lavoratore
disoccupato, ritenendo che questa sia la garanzia per un efficace
reinserimento nel mercato del lavoro.
A seguito della registrazione del lavoratore, quale percettore di una
prestazione sociale, i servizi pubblici per l’impiego contattano
costantemente il lavoratore e cercano di offrirgli settimanalmente
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delle proposte di lavoro. Il contatto costante con il lavoratore
dovrebbe creare una certa pressione sul lavoratore e un maggiore
impegno nella ricerca attiva di un lavoro.
Soltanto in una seconda fase, ma prima che siano trascorsi 6 mesi per
i giovani e 12 mesi per gli adulti, se il lavoratore, beneficiario di una
prestazione sociale, mostra difficoltà nella ricerca di un lavoro, viene
convocato dai servizi pubblici per l’impiego per un incontro in cui
definire il piano personale di intervento volto all’inserimento del
disoccupato nel mercato del lavoro. Tale piano si presume
applicabile nei 6 mesi successivi, al termine dei quali si concedono 3
mesi per cercare e trovare un lavoro.
Trascorso inutilmente questo tempo, l’ente competente per il
pagamento delle prestazioni sociali convoca il beneficiario della
prestazione per un colloquio e per verificare il suo impegno effettivo
nella ricerca di un lavoro.
Se per due volte consecutive il beneficiario della prestazione non
dimostra di impegno sufficiente nella ricerca di una occupazione,
sono previste sanzioni e in caso di ulteriori verifiche negative, è
prevista l’esclusione dalla prestazione.
5.4. Regno Unito.
Nel Regno Unito il concetto di welfare to work è stato utilizzato già
dagli anni Ottanta per rappresentare un sistema in cui il sostengo al
reddito dei lavoratori disoccupati deve essere sufficientemente
severo da cercare di ridurre la dipendenza passiva da esso e per
questo deve essere collegato a misure attive volte a incoraggiare e
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supportare l’ingresso o il ritorno dei lavoratori nel mercato del
lavoro. In questa ottica le politiche passive e le politiche attive sono
complementari.
Per dare sostegno e slancio alla realizzazione concreta delle politiche
di welfare to work, sono da pochi anni state ricondotte a un unico ente,
il Joncentreplus, le funzioni di servizi per l’impiego e di gestione delle
prestazioni sociali prima gestite da enti distinti, ritenendo infatti più
efficiente la gestione congiunta delle politiche attive e passive.
Come nella maggior parte dei sistemi di sicurezza sociale, la ricerca
attiva di una occupazione è premessa per l’ottenimento e la
conservazione della prestazione sociale di disoccupazione. A questo
si aggiungono altre misure di sollecitazione del lavoratore
disoccupato
alla
ricerca
attiva
di
un
lavoro,
nonché
di
accompagnamento e assistenza.
Nel sistema britannico, sono previsti per i beneficiari di prestazioni
sociali colloqui e incontri con il personal adviser, che deve appunto
aiutare e programmare con il lavoratore un percorso di ritorno al
lavoro. Anche la presenza e la partecipazione agli incontri fissati con
il
personal
adviser
sono
presupposto
per
la
conservazione
dell’indennità.
Accanto a tali misure, rilevanti per prevenire la trappola della
disoccupazione sono gli sgravi fiscali applicati ai lavoratori che
rientrano nel mercato del lavoro.
Per favorire il ritorno al lavoro ed aumentare concretamente tale
possibilità, è stato istituito l’Employment on Trial che permette ad un
lavoratore beneficiario delle prestazioni sociali che abbia accettato un
lavoro diverso da quello precedentemente svolto di poter recedere
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volontariamente dal contratto di lavoro nuovo dopo 4-12 settimane,
mantenendo il diritto alla prestazione sociale.
Per i disoccupati di lunga durata, sono state introdotte, già dalle fine
degli anni Ottanta, delle politiche attive denominate New Deal,
annoverate dall’Unione Europea come best practices della strategia di
welfare to work. Tali politiche hanno l’obiettivo di aiutare il ritorno dei
disoccupati al mercato del lavoro, offrendo servizi mirati a
determinate categorie di lavoratori. Esse sono considerate politiche
di workfare perché sono il presupposto per poter continuare a
percepire l’indennità di disoccupazione.
5.5. Germania.
Anche in Germania, le riforme degli scorsi anni sono andate nelle
direzione del collegamento tra politiche attive e passive nell’ottica di
una incentivazione alla ricerca attiva di una occupazione e un ritorno
immediato nel mercato del lavoro.
Per perseguire tali obiettivi, tra lavoratore, beneficiario delle
prestazioni sociali, e servizio per l’impiego viene concluso un
accordo di inserimento (al lavoro) nel quale vengono definite le
azioni che le parti si impegnano a intraprendere nei sei mesi
successivi per il raggiungimento dell’obiettivo dell’occupazione. Tra
queste
possono
essere
sono
comprese
anche
misure
di
riqualificazione e di inserimento nel mercato del lavoro.
Gli impegni assunti dal lavoratore disoccupato attraverso l’accordo
con il servizio per l’impiego sono vincolanti e il loro rispetto è
periodicamente verificato. In caso di inottemperanza degli impegni
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assunti possono essere imposte sanzioni da parte del servizio per
l’impiego.
L’accordo siglato tra il lavoratore disoccupato e il servizio per
l’impiego diventa quindi il presupposto per beneficiare delle
prestazioni sociali, accanto alle quali il servizio per l’impiego offre al
lavoratore misure di politica attiva per il rientro nel mercato del
lavoro, in cambio dell’impegno alla ricerca attiva di un lavoro.
Per garantire maggiori possibilità di reinserimento nel mercato del
lavoro di lavoratori disoccupati, le recenti riforme relative al sistema
di sicurezza sociale hanno modificato la definizione di lavoro
accettabile, considerando tale anche un impiego non equivalente al
precedente impiego o qualificazione.
5.6. Francia.
In Francia la gestione delle politiche passive è attribuita a un ente di
diritto privato, Assédic, distinto dall’ANPE competente della
gestione dei servizi per l’impiego e dell’implementazione delle
politiche attive. Nonostante tale gestione, non mancano misure di
collegamento tra politiche attive e politiche passive, realizzate
attraverso collaborazioni degli enti citati.
Se in generale tale collegamento viene garantito dal presupposto
della ricerca attiva di una occupazione da parte del lavoratore
disoccupato beneficiario di una prestazione sociale, nello specifico è
previsto un “piano di aiuto per il ritorno al lavoro” (Plan d'aide au
retour à l'emploi). Esso si caratterizza per la definizione di un piano di
azione personalizzata, creato sulla base di un colloquio tra il
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lavoratore e l’ANPE. Al lavoratore viene garantito il percepimento
della prestazione sociale, in cambio del rispetto dei alcuni obblighi,
compreso la partecipazione a programmi di politica attiva. Per
disincentivare il rifiuto di opportunità di lavoro e favorire il
reinserimento, la distanza non viene più considerata come ragione
legittima di rifiuto di un impiego.
5.7. Spagna.
Con una legge del 2003, anche in Spagna, viene riformato il sistema
di prestazioni sociali a favore dei lavoratori disoccupati, stabilendo il
coordinamento delle politiche attive con i benefici economici di
disoccupazione.
Nell’ottica del collegamento delle politiche attive e passive, tra i
requisiti necessari per avere accesso ai benefici sociali, si richiede ai
lavoratori disoccupati l’impegno in una ricerca attiva di una nuova
occupazione e la partecipazione alle misure di politica attiva che il
servizio pubblico per l’impiego deve individuare, nella definizione di
un percorso di reinserimento al lavoro. In particolare viene definito
un “accordo di attività”, in cui il beneficiario delle prestazioni sociali
si impegna formalmente a ricerca attivamente un lavoro, ad accettare
un lavoro adeguato (concetto opportunamente ampliato) e a
partecipare
ai
programmi
di
formazione,
informazione,
orientamento, riqualificazione che mirano a migliorare l’occupabilità
del lavoratore.
L’ente competente deve verificare l’adempimento di tali obblighi e
comunicare eventuali violazioni al servizio per l’impiego.
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5.8. Svezia.
Con l’obiettivo, in particolare, di ridurre il tasso di disoccupazione,
già nei primi anni novanta il governo svedese ha adottato misure di
politica attiva del lavoro, dirette a concretizzare il principio di
attivazione dei lavoratori disoccupati, incentivandone il ritorno al
lavoro.
Tali misure mirano a rendere attivo nella ricerca di una nuova
occupazione il lavoratore disoccupato, beneficiario di prestazioni
sociali, attraverso programmi offerti dal servizio pubblico per
l’impiego.
Anche nel sistema svedese, quindi, la collaborazione del lavoratore
disoccupato con il servizio pubblico per l’impiego nella definizione
di un programma di reinserimento al lavoro, la partecipazione alle
misure stabilite per aumentare l’occupabilità del lavoratore e la
ricerca attiva di un lavoro costituiscono il presupposto per
l’ottenimento delle prestazioni sociali.
5.9. Ungheria.
Con l'emergere della disoccupazione di massa nei primi anni
Novanta, è stato necessario una riforma del sistema di sicurezza
sociale, diretta a ridurre la durata dalle prestazione sociale, nonché
l’ammontare della stessa.
Ora è stata intrapresa una ulteriore riforma, caratterizzata da un lato
dall’inasprimento dei criteri di eleggibilità per l’accesso ai benefici e
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dall’altro dalla creazione di un sistema per cui i servizi pubblici per
l’impiego devono elaborare piani d'azione individuali per il
reinserimento al lavoro di tutti i disoccupati, beneficiari di
prestazioni sociali. Lo scopo principale della riforma è accertarsi che
il disoccupato in età lavorativa e in grado di lavorare sia supportato
nella ricerca attiva di un lavoro e possa in breve tempo ritornare nel
mercato del lavoro. Contemporaneamente si richiede al lavoratore di
collaborare con il servizio per l’impiego nella ricerca di una
occupazione.
Per facilitare il ritorno dei lavoratori disoccupati nel mercato del
lavoro e ridurre la possibilità di rifiuto di una nuova occupazione,
anche il Ungheria è stata modificata la definizione di lavoro congruo,
in particolare è previsto che la retribuzione relativa non sia inferiore
all’importo dell’indennità di disoccupazione e che i tempi di
trasferimento totali con i mezzi pubblici non superino le 3 ore.
Per garantire il rispetto degli obblighi imposti al lavoratore come
contropartita del beneficio sociale, anche nel sistema ungherese, sono
previste sanzioni, consistenti nella sospensione dell’indennità di
disoccupazione, in caso di violazione degli obblighi previsti.
5.10.
Polonia.
In linea con gli altri stati, anche la Polonia, ha sviluppato un sistema
di sicurezza sociale collegato ai programmi di politica attiva del
lavoro, per cui la partecipazione a varie misure di politica attiva del
lavoro, così come l’impegno attivo nella ricerca di una occupazione
sono il presupposto per l’ottenimento e il mantenimento della
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prestazione sociale.
Una particolare misura di inserimento al lavoro è rappresentata dal
“prestito di attivazione”. Essa incentiva il lavoratore a intraprendere
un lavoro part time, consentendo la permanenza del contatto con il
mondo del lavoro, facilitando l’aggiornamento professionale del
lavoratore e il ritorno al lavoro a tempo pieno.
5.11. USA.
Le politiche e la strategia di welfare to work sono nate negli Stati Uniti
agli inizi degli anni Novanta e da lì si sono poi diffuse in Europa.
Con lo scopo di attivare i lavoratori disoccupati alla ricerca di un
lavoro e disincentivare la loro permanenza nel sistema di welfare,
così come il rifiuto di opportunità lavorative, il livello dell’indennità
di disoccupazione e, in particolare, il tasso di rimpiazzo (intorno al
50%), non sono eccessivamente elevati. Contemporaneamente sono
ammissibili alle indennità soltanto i lavoratori che siano disoccupati
involontari e che comunque siano attivi nella ricerca di una
occupazione e nella partecipazione ai programmi di politica attiva
offerti dai servizi pubblici per l’impiego. I lavoratori che intendono
richiedere l’indennità di disoccupazione devo infatti iscriversi a tali
uffici, che offrono loro diversi programmi di reinserimento. Una
tipologia
di
programma,
denominata
work-first,
privilegia
l’immediato reinserimento del lavoratore disoccupato nel mercato
del lavoro, altri programmi mirano alla riqualificazione e al
rafforzamento delle qualifiche professionali attraverso istruzione e
formazione professionale.
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5.12. Giappone.
Anche nel sistema giapponese, l’erogazione della prestazione sociale
è subordinata al riconoscimento dello stato di disoccupazione, che
viene verificato dall’ufficio competente ogni 4 settimane. È prevista
la sospensione dell’indennità di disoccupazione in caso di rifiuto di
un posto di lavoro, della frequenza di un corso di formazione
professionale o di un percorso di reinserimento al lavoro.
6. Osservazioni conclusive.
Come già accennato, le prestazioni erogate in caso di disoccupazione
svolgono, da un lato, una importante funzione sociale, ma da punto
di vista strettamente economico determinato degli effetti negativi sul
mercato del lavoro, agendo in particolare attraverso la trappola della
disoccupazione. Per questo motivo assolutamente necessario è il
tentativo di impegnare il lavoratore nella ricerca attiva di un lavoro,
quindi cercare di invertire l’atteggiamento generalmente passivo del
lavoratore verso una partecipazione attiva alla ricerca di un nuovo
lavoro, incentivando quindi l’uscita dal sistema di welfare e
rendendolo economicamente dipendente.
Tale obiettivo si concretizza attraverso lo sviluppo da parte dei
servizi per l’impiego di programmi individualizzati per i lavoratori.
La tendenza europea interessante consiste nel prevedere servizi
personalizzati che seguono molto da vicino il lavoratore disoccupato,
attraverso consiglieri e veri e propri tutori. In alcune realtà nazionali,
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le riforme dei servizi pubblici per l’impiego e della gestione delle
prestazioni sociali (come nel caso tedesco e olandese, ma anche
inglese) hanno posto l’obiettivo di valutare unitariamente le
problematiche del lavoratore disoccupato, non soltanto quelle più
strettamente connesse alla sfera lavorativa, ma anche eventuali
questioni di rilevanza sociale, al fine di prendere in considerazione la
persona nel suo complesso.
Gli operatori dei servizi pubblici per l’impiego hanno quindi il
compito di definire il profilo del lavoratore e individuarne le
necessità per capire il tipo di intervento necessario. In primo luogo si
pianifica il reinserimento al lavoro, cercando di individuare da un
lato le offerte di lavoro che possono essere adatte al lavorare e
dall’altro attivando il lavoratore verso una ricerca autonoma, che il
servizio pubblico deve verificare. In secondo luogo il lavoratore
viene indirizzato e assistito nella richiesta della indennità di
disoccupazione o di altra prestazione sociale a cui può accedere. In
alcuni casi vengono sanciti veri e propri accordi o contratti tra il
lavoratore disoccupato, beneficiario delle prestazioni sociali, e il
servizio per l’impiego, nel quale sono definiti diritti e doveri delle
parti. Il lavoratore assumerà l’impegno di una ricerca attiva di un
lavoro e la partecipazione a eventuali programmi di reinserimento,
stabiliti dall’accordo, il servizio per l’impiego si impegnerà a
individuare il percorso di reinserimento del lavoratore e offrire
opportunità di lavoro, oltre all’erogazione della prestazione sociale.
In tutto questo, l’obiettivo primario rimane il reinserimento del
lavoratore nel mercato del lavoro nel più breve tempo possibile e la
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conseguente riduzione della sua permanenza all’interno del sistema
di previdenza sociale.
Perché il sistema sia maggiormente efficiente sembra necessario una
integrazione della gestione delle diverse politiche. In alcuni paesi,
come per esempio la Germania, la gestione dei servizi per l’impiego
e delle prestazioni sociali è da lungo tempo affidata ad una unica
agenzia. Nel Regno Unito, invece, recente è l’unificazione in un unico
organismo dei servizi pubblici per l’impiego (Employment Service) e
degli uffici che gestivano le indennità di disoccupazione (Benefit
Agency). In un sistema così organizzato, risulta maggiormente
agevole la gestione dei rapporti tra lavoratore e sistema pubblico, che
contemporaneamente gestisce il sostegno al reddito e i programmi di
reinserimento del lavoratore nel mercato del lavoro. Questa
unificazione di funzione attribuisce agli operatori dei servizi pubblici
per l’impiego uno strumento più efficace nell’accompagnamento del
lavoratore verso il ritorno al lavoro e della richiesta al lavoratore di
un impegno costante alla ricerca di un nuovo lavoro.
Un’altra tendenza osservata in alcuni paesi europei (Germania, Italia,
Ungheria) è rappresentata dalla modifica della definizione di lavoro
congruo o accettabile. Se originariamente un lavoro accettabile
doveva garantire lo svolgimento della stessa attività professionale
solitamente svolta dal lavoratore, una retribuzione non inferiore a
quella precedentemente percepita e una mobilità geografica limitata;
la tendenza si orienta verso una definizione più ampia del concetto
di lavoro accettabile, spingendosi a ritenere accettabile un lavoro che
prevede una attività professionale diversa rispetto a quella usuale
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per il lavoratore, una retribuzione inferiore oppure una maggiore
mobilità geografica.
L’obiettivo di questo intervento consiste nel ridurre la possibilità da
parte di disoccupati beneficiari di prestazioni sociali di rifiutare posti
di lavoro disponibili e rimuovere gli ostacoli a un veloce ritorno nel
mercato del lavoro.
In tale prospettiva, da studi effettuati (6), per incentivare il passaggio
dalla disoccupazione al lavoro, oltre agli effetti positivi derivanti
dalla riforma dei sistema delle indennità di disoccupazione e dei
sussidi sociali, maggiormente rilevanti sembrano essere gli effetti
determinati da riforme relative a benefici denominati in-work, legati
perciò alla condizione lavorativa.
La strada da intraprendere, perciò, da parte degli Stati per
incentivare l’uscita dal welfare e la transazione al lavoro, per quanto
ostacolata dalla trappola della disoccupazione, è rappresentata,
insieme
alla
riduzione
della
durata
delle
indennità
di
disoccupazione, dall’introduzione di incentivi e benefici legati al
lavoro. Essi si caratterizzano per il fatto che il lavoro rappresenta il
presupposto per poter percepire benefici a sostegno del reddito
oppure altri benefici accessori, per esempio indennità per i figlio o
altre persone a carico. Fanno parte dei benefici legati al lavoro anche
forme di crediti o sgravi fiscali.
Tali tipologie di benefici sembrano peraltro poter incidere sull’effetto
distorsivo legato alla trappola della inattività, caratterizzata per il
fatto che lavoratori inattivi che non percepiscono alcuna prestazione
(6)Cfr. M. Peters, R. Dorenbos, M. van der Ende, M. Versantvoort, M. Arents, Benefit
Systems and their Interaction with Active Labour Market Policies, Commissione Europea,
Bruxelles, Febbraio 2004.
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sociale sono disincentivati ad entrare nel mercato del lavoro a causa
delle elevate aliquote marginali dei sistemi fiscali.
Perché i sistemi creati, in particolare la richiesta al lavoratore di
attivarsi nella ricerca di un lavoro e la partecipare ai programmi di
politica attiva del lavoro, siano efficaci, assumono particolare
rilevanza le sanzioni previste in caso di mancata partecipazione dei
disoccupati, beneficiari di prestazioni a dette misure ovvero al
mancato rispetto degli obblighi imposti, quali controprestazioni delle
prestazioni sociali. In questa prospettiva, viene sottolineato la
necessità non solo di un mantenimento di tali sanzioni, ma un loro
rafforzamento.
A livello comunitario, anche la Commissione ha compreso
l’importanza dello sviluppo di sistemi che incentivino e rendano
possibile un veloce reinserimento del disoccupato nel mercato del
lavoro, sollecitando gli Stati verso l’introduzione della c.d. flexicurity,
definita dalla stessa Commissione come «una combinazione di
contratti di lavoro sufficientemente flessibili, politiche efficaci e attive
per il mercato del lavoro intese a facilitare il passaggio da un impiego
all’altro, un sistema di apprendimento permanente affidabile e in
grado di reagire ai cambiamenti nonché un’adeguata protezione
sociale» (7).
(7) Cfr. Commissione europea, Comunicazione della commissione al Consiglio europeo di
primavera - È ora di cambiare marcia, COM(2006)30.
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