Le “Maisons de la Culture” nella Francia del secondo dopoguerra

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Le “Maisons de la Culture” nella Francia del secondo dopoguerra
Le “Maisons de la Culture”
nella Francia del secondo
dopoguerra
Atlante di esempi
Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura Civile, Corso di laurea magistrale in Architettura
Ricerca di Andrea Doppio
Laboratorio di Progettazione degli Interni 1 _ a.a. 2009/2010
Roberto Rizzi, Stefano Levi della Torre con Marta Averna, Aurelia Belotti, Sara Calvetti, Ilaria Guarino
Relazione di sintesi
Per comprendere a pieno il ruolo delle
Maisons de la Culture in Francia bisogna
risalire fino agli ultimi anni dell’Ottocento
quando nascono le prime forme di movimenti associativi. In questo periodo, infatti,
si riscontra una tendenza culturale che sollecita, nelle principali città, la realizzazione
di molte opere pubbliche: teatri, musei, biblioteche ed edifici amministrativi; inoltre, il
riconoscimento ufficiale dei sindacati favorisce l’associazionismo operaio che provoca la costruzione di molte Bourses du Travail il cui modello è la Maison du Peuple di
Bruxelles di Victor Horta. L’esempio delle
Bourses du Travail viene ripreso anche nella Cité Industrielle (1901-1904) di Tony Garnier in cui l’edificio viene collocato in una
posizione del tutto centrale, all’incrocio di
due grandi arterie cittadine, intorno ad una
piazza porticata dominata da una torre.
Con lo scoppio della Prima Guerra mondiale, bisogna giungere fino agli anni
Trenta per trovare ulteriori esempi di
vita associativa su basi nettamente più
politicizzate, in particolare successivamente alla vittoria del Fronte Popolare nelle elezioni del Maggio del 1936.
Si assiste, di conseguenza, ad un notevole sviluppo nella costruzione di edifici
pubblici, Maisons du Peuple, Salles des
Fêtes, Circoli Comunali, Camere del Lavoro; ne nasce una costante tipologica
che consiste nell’essere pensati e costruiti
come sopraelevazioni del Mercato coperto
della città, ossia laddove esiste già una
pratica collettiva consolidata dello spazio
pubblico, con lo scopo di economizzare
la costruzione e massimizzare l’utilizzabilità degli spazi, definendo così l’origine del concetto di polivalenza: si tratta,
infatti, di organizzare spazi adattabili a
diverse funzioni per spettacoli teatrali e
cinematografici, conferenze, balli al di
sopra dell’edificio esistente del Mercato.
Nel secondo Dopoguerra, intorno ai valori
democratici e progressisti della Libera-
nel 1959 viene creato il Ministero della
Cultura, diretto da Andrè Malraux, che, con
l’introduzione delle Maison de la Culture,
punta a promuovere il patrimonio culturale in modo tale da renderlo disponibile
al maggior numero possibile di Francesi.
Nel 1961 vengono definiti i principi e le
finalità delle Maisons de la Culture: “devono accogliere tutte le arti, devono offrire
gli strumenti di un’espressione perfetta nel
campo del teatro, della musica, del cinema, delle arti plastiche, della conoscenza
letteraria, scientifica o umanistica, possedere la memoria permanente delle azioni
intraprese, stimolare lo sviluppo culturale
locale, promuovere la vita associativa e
gli scambi … esse trovano la loro caratteristica fondamentale nella nozione del
più alto livello culturale e della migliore
qualità possibile”. Emergono da questa
citazione i due aspetti fondamentali di
questa istituzione: la vocazione polivalente e la pratica culturale di alto livello.
Tutto ciò implica la definizione di un
programma-tipo complesso: 2 sale per
spettacoli rispettivamente di 100 e 300400 posti; sale prova; sale per conferenze, riunioni, concerti; biblioteca; spazio espositivo; caffetteria; l’utilizzo e la
progettazione di attrezzature elaborate,
legate a una tecnologia avanzata (“le cattedrali del ventesimo secolo”, Malraux).
Le Maisons saranno fondate là dove un
ambiente culturale profondamente preparato ne garantisca immediatamente la
piena utilizzazione, soprattutto là dove il
pubblico è allenato alla partecipazione da
una lunga pratica, ossia dove i centri teatrali hanno raggiunto la loro compiutezza.
Viene, infatti, privilegiata la componente
teatrale in quanto è l’arte collettiva per eccellenza e la più accessibile.
1. V. Horta, Maison du Peuple, Bruxelles,1895. Sezione
2. V. Horta, Maison du Peuple, Bruxelles,1895. Vista
3. V. Horta, Maison du Peuple, Bruxelles,1895. Piante
4. G. Auzolle, Salles des Fetes, Gennevilliers,1935. Vista
Il Sessantotto provoca all’interno della
cultura gli stessi effetti dirompenti che
in tutte le altre istituzioni e in particolare
rivaluta il rapporto tra pratiche sociali e
pratiche culturali e il ruolo effettivo delle
Maisons in un’ottica di socializzazione
della cultura attraverso un progressivo
decentramento delle loro attività a livello
locale. Di fronte a questo allontanamento dall’ideologia dominante, ai costi di
costruzione e di gestione lo stato (1972)
inizia quindi a scoraggiare sistematicamente i comuni che vogliono dotarsi di
una Maison de la Culture riducendo notevolmente i finanziamenti, imponendo
misure alquanto ridotte e obbligando a
ultimare i progetti in corso di realizzazione
e a modificare quelli presentati secondo le esigenze del nuovo programma.
Da questo momento in poi si assisterà ad
un progressivo abbandono delle Maisons
de la Culture da parte dello stato grazie ad
una politica di soffocamento, in particolare
tramite: una riserva per quanto riguarda
la diminuzione dei contributi, un controllo
delle iniziative culturali attraverso il ricatto
delle sovvenzioni, una maggiore disponibilità ai finanziamenti all’industria culturale
privata sulla base dell’affermazione che la
diffusione democratica della cultura viene fatta più efficacemente dall’industria
culturale (case editrici, dischi, televisione)
piuttosto che dagli enti culturali statali.
Al di là di questo apparente insuccesso,
solo sette Maisons sono state realizzate contro le 95 previste inizialmente da
Malraux (una per dipartimento), si assiste
invece oggigiorno alla riuscita dell’intento
originario; le principali istituzioni classiche
e storiche francesi stanno integrando le
discipline artistiche con il concetto della
plurivalenza: il Centro Pompidou, il Museo
d’Orsay, il Louvre, il Conservatorio Nazionale, la Commedia Francese ospitano
numerose funzioni quali biblioteche, teatri,
scuole, festivals che si accostano alle loro
funzioni principali. In questo modo, dopo
circa quarant’anni, lo spirito e l’intento della Maison de la Culture esce dalle “mura”
della Maison de la Culture originaria e si
insedia nelle principali istituzioni francesi,
raggiungendo così quello che era l’obbiettivo dei suoi promotori.
Nelle pagine a seguire verranno analizzate
tre tipologie di Maisons de la Culture che
esemplificano quanto descritto.
Il Musèe-Maison de la Culture a Le Havre,
come espressione del concetto di polivalenza, già espresso nel nome.
La Maison de la Culture di Grenoble, come
un edificio imponente che racchiude molteplici funzioni.
La Maison de la Culture di Bobigny, come
dimostrazione di elementi scissi dal singolo corpo e diffusi sul territorio, in risposta
alla mancata partecipazione statale.
Tutti e tre gli esempi hanno subito interventi
di recupero e di rinnovamento negli ultimi
anni; ciò indica un cambio di tendenza
dell’atteggiamento statale che oggi punta alla rivalorizzazione di questi edifici in
quanto promotori della cultura.
5. E. Beaudouin e M. Lods, Maison du Peuple, Clichy, 1935.
Spaccato assonometrico
6. E. Beaudouin e M. Lods, Maison du Peuple, Clichy, 1935.
Vista
bibliografia
“Hinterland”, n° 7-8, Gennaio - Aprile 1979, numero monografico su “spazio per la cultura e tempo libero di massa”,
pag. 4-15
“L’ Architecture d’aujourd’hui”, n° 129, Dicembre 1966 Gennaio 1967, in “Les Maisons de la Culture en France”,
pag 64-67
R. Audigier e G. Lanneau, Musèe-Maison de la culture, Le Havre, Francia 1961
Il Musèe – Maison de la Culture a Le Havre, realizzato nel 1961 dagli architetti
Audigier e Lagneau assistiti dall’ingegnere
Prouvé, sostituisce il Museo di Belle Arti distrutto dai bombardamenti della Seconda
Guerra mondiale. Esso è, come suggerisce il duplice nome, un organismo multiplo
e flessibile nella sua organizzazione. La
diversità delle attività è all’origine stessa
dell’architettura. La costruzione parte dai
locali del nuovo museo e, successivamente a partire dal 1967, ingloberà anche
il Teatro municipale. Gli spazi polivalenti
sono l’elemento essenziale, animato e
pubblico, dell’edificio: esso non è più pensato, secondo la concezione tradizionale,
come una serie di sale di esposizione, ma
come un volume i cui elementi possono
articolarsi e compenetrarsi differentemente secondo necessità; la disposizione e
l’attrezzatura sono state progettate per
permetterne un utilizzo flessibile nello
spazio, nel volume, nell’illuminazione.
Nel 1998 l’edificio è stato rinnovato e
restaurato dagli architetti Emanuelle et
Laurent Beaudouin in seguito alla necessità di maggiori spazi. Per far fronte
a questa esigenza e volendo contenere
l’altezza dell’edificio nei due piani esistenti, si è optato per raggruppare gli
elementi secondari quali la biblioteca,
la sala conferenza, gli uffici amministrativi e la caffetteria nella prima parte del
complesso e per sfruttare la struttura
sotto la copertura fino ad ora inutilizzata.
7.8.9.10.11.12.13;
R. Audigier e G.Lanneau,
Musèe-Maison de la Culture,
Le Havre, 1961.
Viste dell’esterno
14.15.
R. Audigier e G.Lanneau,
Musèe-Maison de la Culture,
Le Havre, 1961.
Viste dell’interno
bibliografia
“Hinterland”, n° 7-8, Gennaio - Aprile 1979, numero
monografico su “spazio per
la cultura e tempo libero di
massa”, pag. 4-15
http:// www.beaudouin-architectes.com
R. Audigier e G. Lanneau,
Musèe-Maison de la Culture, Le Havre, Francia 1961
16.17. Viste dell’interno
18. Sezioni
19. Sezione prospettica
20.21.22.23
Pianta piano terra, primo
piano e copertura
24. Schizzo
A. Wogensky, Maison de la culture, Grenoble, Francia 1968
25.26.27.28.29;
A. Wogensky, Maison de la
Culture, Grénoble, 1968.
Viste dell’esterno
30.31.32.33
A. Wogensky, Maison de la
Culture, Grénoble, 1968.
Viste dell’interno:
le tre sale di spettacolo e il
bistrot
Inaugurata nel 1968 è la prima Maison de
la Culture in Francia. Il progetto affidato
all’architetto Andrè Wogensky, allievo di
Le Corbusier, evoca la prua di una nave
e per dimensioni (100 metri per 40) e per
impianto risulta essere la più importante
realizzazione di questo tipo di edificio. Il
programma prevede: la costruzione di tre
sale di spettacolo studiate in modo tale da
garantire la più grande libertà di utilizzazione (una da 1300 posti con palcoscenico
mobile, un teatro sperimentale da 600 posti con platea girevole al centro del palco,
una sala polivalente da 300 posti a sedili
mobili per conferenze, spettacoli, concerti
di musica da camera); una biblioteca; una
discoteca; diverse sale per audiovisivi,
mostre e riunioni; uno snack-bar; un asilo nido. Gli spazi di distribuzione, inoltre,
sono pensati sovradimensionati e collegati
tra loro in modo da poter divenire a loro
volta luoghi per esposizioni temporanee.
Apparso per lungo tempo un oggetto isolato rispetto al quartiere circostante, la Maison chiude i battenti nel
1998 in attesa di un suo rinnovamento e di una sua ricontestualizzazione.
Ciò avviene nel 2004, dopo sei anni di
lavori, grazie al progetto dell’architetto
Antoine Stinco che prevede la costruzione
di una nuova ala collegata alla struttura
esistente tramite due passerelle vetrate in
quota. Il nuovo edificio accoglie una sala
per creazioni artistiche di 700 mq., due
sale per la danza, una sala prove per il
teatro e uno studio di registrazione. Per
quanto riguarda l’impianto storico, invece, l’intervento prevede la realizzazione
di una sala per concerti al posto dell’antico e teatro mobile, 65camerini, un bar,
un ristorante e, a livello più generale, una
riorganizzazione spaziale che sottolinei
la distinzione tra spazi pubblici e non.
Inoltre all’esterno viene realizzato un enorme sagrato scalinato che collega e apre
l’edificio al resto della città cercando di
risolverne l’isolamento rispetto all’intorno.
Si è mantenuta così la flessibilità e la fluidità degli ambienti.
bibliografia
“Hinterland”, n° 7-8, Gennaio - Aprile 1979, numero monografico su “spazio per la cultura e tempo libero di massa”,
pag. 4-15
Moniteur Architecture AMC, n°148, Marzo-Aprile 2005, pag.
96-97
http:// www.mc2grenoble.fr
http:// www.flickr.com
V. Fabre e J. Perroret, Maison de la culture, Bobigny, Francia 1976-79
34.35.36.37.38,39
V. Fabre e J. Perroret, Maison
de la Culture, Bobigny, 1976.
Viste dell’esterno
40.41
V. Fabre e J. Perroret, Maison
de la Culture, Bobigny, 1976.
Viste dell’epoca
42.
V. Fabre e J. Perroret, Maison
de la Culture, Bobigny, 1976.
Interno della sala prove
La Maison de la Culture a Bobigny rappresenta il primo tipo di Maison diffusa
(Maison eclatée); nel 1976 il dipartimento di Bobigny ha 1.500.000 abitanti, ma
nessuno dei comuni che ne fanno parte,
visto il taglio statale ai finanziamenti di
cui sopra, può permettersi di sostenere il
peso di un’operazione finanziaria molto
importante quale quello per la costruzione
di una Maison; al tempo stesso sono già
presenti sul territorio una rete di servizi culturali come biblioteche, conservatori, teatri
e centri culturali che possono costituire
un terreno ottimale per sviluppare l’attività
creativa che è la vocazione primaria delle
Maisons. Il programma, elaborato dal direttore Claude-Olivier Stern in accordo col
Ministero della Cultura, prevede quindi un
coordinamento intercomunale che consiste nell’attrezzare in primo luogo quattro
poli di attività nei comuni più importanti
utilizzando le strutture esistenti, e nel procedere successivamente alla costituzione
di altri poli in altre città del dipartimento,
attraverso un processo di crescita continua. I vantaggi, rispetto al funzionamento
tradizionale delle Maisons polivalenti, sono
numerosi: dall’autonomia finanziaria, alla
possibilità di diversificazione dei programmi e delle attività creative dei singoli poli.
A Bobigny viene progettata la sede
organizzativa della MC93 e l’Unità audiovisiva, a Aulnaysous-Bois
l’Unità infanzia; il progetto non si allargherà ad altri comuni a causa della revoca delle sovvenzioni statali.
Per quanto riguarda il polo di Bobigny il
programma, redatto dagli architetti Fabre e Perroret, si basa su quattro cardini:
due sale (una grande sala polivalente da
866 posti, una sala minore da 220 posti),
un centro audiovisivo e una hall con una
grande spazio espositivo per intrattenere il
pubblico al di fuori degli orari degli spettacoli. A partire dal 1990 vengono effettuati
dei lavori di ampliamento che riguardano
la costruzione di una nuova sala prove da
128 posti accostata alla sala polivalente,
degli ulteriori camerini, lo spostamento
delle attività cinematografiche al di fuori
dell’edificio, un sala cubica per gli spettacoli letterari e l’espansione della hall. Dal
1999 la MC93 si sviluppa ulteriormente
grazie alla creazione di nuovi atelier artistici, uffici, una biblioteca, una libreria ed un
ristorante.
V. Fabre e J. Perroret,
Maison de la Culture, Bobigny, Francia 1976
43.44.
V. Fabre e J. Perroret, Maison de la
Culture, Bobigny, 1976.
Pianta e sezione sala maggiore
45.46.
V. Fabre e J. Perroret, Maison de la
Culture, Bobigny, 1976.
Pianta e sezioni sala minore
bibliografia
“Hinterland”, n° 7-8, Gennaio - Aprile 1979, numero monografico su “spazio per la cultura e tempo libero di massa”,
pag. 4-15
http:// www.mc93.com
a cura di Andrea Doppio