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Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR settimanale diretto da luigi amicone Lui corvo noi polli Vatileaks, tutte le storielle che ci hanno dato da bere numero 41 | 17 ottobre 2012 | 2,00 EDITORIALI LA PROSSIMA TRANSIZIONE (CONTABILE) Magari non scorrerà il sangue, ma il futuro del paese sa di macerie N per capire che l’agenda politica dell’establishment è un governo Bersani con presidenza della Repubblica (Monti o Prodi) di “garanzia” europea. Il resto, ovvero tutto quanto non è commestibile per le grazie di una élite che ha molti conti in Svizzera e molte bollicine in Borsa, viene tranquillamente consegnato alla cura sacerdotale delle procure e avviato all’inceneritore della politica che non si porta più. Rispetto ad altre nazioni in esplosiva agonia (Grecia e Spagna), l’Italia ha l’indubbio vantaggio di essere un paese pacifico e caciarone, forcaiolo al bar sport ma che detesta il sangue. Un paese che oggi sembra essersi rassegnato alla schiavitù partorita da un potere che ha saputo distrarre l’attenzione dall’ignominia della propria inettitudine e indirizzare l’opinione pubblica contro la politica. Nella rappresentazione caricaturale della politica come cosa da Er Batman. Lo svantaggio italiano è che gli esiti più gravi di questo avvelenamento delle sorgenti sono i giovani sbandati e le realtà di associazionismo popolare fuori gioco. A dirla volando basso, il risultato del vuoto riempito dal tintinnar di manette e dal fascino di un onesto capo contabile è che più del 50 per cento degli italiani oggi non sa per chi votare e nemmeno se andrà a votare. Insomma, un futuro per l’Italia proprio non si vede. Per questo, sotto le maniere roboanti delle primarie a sinistra e dell’orfanotrofio a destra, altro non si respi- Nei piani dell’establishment c’è un ra che odori di fumo e di macerie. Purtroppo, governo Bersani con un capo dello come Grecia e Spagna già anticipano, l’Europa sta correndo verso il suo peggior incubo: Stato di “garanzia” europea (Monti una transizione caotica verso inimmaginabi- o Prodi). Il resto viene consegnato li (oggi) forme di autoritarismo tecnocratico. alle procure e all’antipolitica on bisogna essere lettori particolarmente smaliziati MOLTI DISASTRI, MOLTISSIME CLIENTELE Se l’egemonia di Chávez resiste perfino alla sua incapacità, la colpa è del petrolio N on sono bastati l’alto tasso di criminalità che ha spento 150 mila vite dal 1999 a oggi, i black-out elettrici a ripetizione, i problemi di approvvigionamento idrico, il 50,9 per cento della popolazione costretta nell’economia sommersa o disoccupata, la chiusura di metà delle imprese private, l’economia manifatturiera e l’agricoltura allo sbando dopo la raffica di nazionalizzazioni che hanno consegnato nelle mani di incompetenti amici del regime più di mille aziende. Non è bastato nemmeno il cancro, che a tre riprese ha attaccato la salute del presidente: Hugo Chávez ha vinto per la quarta volta le elezioni del Venezuela, e se il fisico glielo consentirà governerà fino al 2018. Il segreto del successo del colonnello dei parà riciclatosi in politica dopo aver fallito un golpe nel 1992 ha un solo nome: petrolio. Quando Chávez salì al potere nel 1998 si vendeva a 14 dollari al barile, oggi a più di 100. I suoi governi non sono stati in grado di utilizzare la manna petrolifera per lo sviluppo del paese, ma hanno saputo creare un’immensa base clientelare con assunzioni pletoriche e distribuzioni di risorse a pioggia: i dipendenti della Pdvsa, l’azienda nazionale del petrolio, sono aumentati da 32 mila a 105 mila mentre la produzione scendeva da 3,5 milioni di barili al giorno a 2,4 (ma compensati dall’aumento del prezzo). I dipendenti pubblici sono passati da 1 milione a 2,5 milioni. I fedelissimi hanno avuto diritto a un posto nelle Milizie bolivariane (115 mila elementi) o a un’impresa esproI suoi governi non sono stati priata ai capitalisti (1.136 aziende). L’assistenin grado di utilizzare l’oro nero zialismo spacciato per socialismo bolivariano per lo sviluppo del paese, ma e i successi del regime dureranno finhanno saputo creare consenso ché dureranno il petrolio e i suoi distribuendo risorse a pioggia prezzi attuali, non un minuto di più. FOGLIETTO Inguaiati e spiazzati. Una crisi acuta richiede risposte complesse. Troppo per i nostri seminatori di proteste C il presidente Giorgio Napolitano l’Italia sta attraversando una crisi particolarmente acuta. A una congiuntura assai dura (anche a causa di alcune scelte del governo Monti indispensabili nell’indirizzo ma sbagliate tecnicamente) si collega un grado eccezionale di influenze straniere sulla nostra sovranità. La società risponde alla situazione con elementi di frustrazione e rabbia che indeboliscono radicalmente una politica già fragile: ciò è dovuto anche alla crisi verticale di uno Stato la cui Costituzione in parti essenziali ha terminato la sua funzione con la fine della storia che l’aveva prodotta, cioè la Guerra fredda. Congiuntura, influenze straniere, sfiducia della società e crisi dello Stato: non è facile trovare una via di uscita. Si deve tenere insieme una risposta concreta ai problemi del momento, il che vede una naturale divisione anche di valori tra destra e sinistra, alla ricostruzione di uno Stato che oggi non è possibile senza convergenze tra le stesse destra e sinistra. È una fase in cui le risposte non possono che essere “complesse”. Ciò spiazza inevitabilmente un grande semplificatore come Silvio Berlusconi ma, insieme, anche tutti i seminatori di protesta da Beppe Grillo ai liberisti rabbiosi a qualsiasi tipo di radicali e in qualche misura allo stesso Matteo Renzi se non articolerà l’analisi. Parafrasando Lindon B. Johnson, che sfotteva Gerald Ford, abbiamo bisogno di politici che sappiano camminare e masticare chewinggum allo stesso tempo. Lodovico Festa ome bene ha ricordato | | 17 ottobre 2012 | 3 SOMMARIO COPERTINA Complicità oscure. Insabbiamenti. Violenze sui sospettati. Così il processo al maggiordomo infedele del Santo Padre ha smontato tutte le panzane che ci hanno dato da bere sul caso Vatileaks Roma, Piazza San Pietro, giornalisti e telecamere in attesa della sentenza che il 6 ottobre scorso ha condannato l’ex maggiordomo del Papa Paolo Gabriele a 18 mesi di carcere per furto di documenti (e altro) nell’appartamento pontificio Foglietto Lodovico Festa...................................3 6 Non sono d’accordo Oscar Giannino.............................. 13 numero 41 | 17 ottobre 2012 | 2,00 settimanale diretto da luigi amicone Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr Lui corvo noi polli Boris Godunov Renato Farina................................. 27 Vatileaks, tutte le storielle che ci hanno dato da bere carta dei diritti 6 Megacomplotti segreti. Tentativi di insabbiamento. Perfino la presunta tortura del sospettato numero uno. Un Vatileaks pieno di balle GLI STRUMENTI Dalla Cassa integrazione alla mobilità la Cassa integrazione guadagni (Cig) è una prestazione economica erogata dall’inps con la funzione di integrare o sostituire la retribuzione dei lavoratori che vengono a trovarsi in precarie condizioni economiche per sospensione o riduzione dell’attività lavorativa. È ordinaria quando la sospensione o riduzione dell’attività aziendale dipende da eventi temporanei e transitori non imputabili né al datore di lavoro né ai lavoratori. È straordinaria quando l’azienda subisce Straordinaria | | 17 ottobre 2012 | 7 5 ottobre. Alle uffici sono quelli di via Taramelli e a par9.30 nei pressi dalla fermata lare è Fulvio Matone, direttore generale della metropolitana di Gioia il dell’Agenzia regionale per l’istruzione, traffico è intenso. Dalla metro escono in la formazione e il lavoro (Arifl). Questa modo composto una trentina di persone è solo una delle situazioni in cui Matocon bandiere e striscioni ancora arrotola- ne e il suo team – un’affiatata squadra di ti. Sono alcuni dei lavoratori dello stabili- una cinquantina di persona – si trovano mento della Nokia-Siemens di Cassina de’ ogni giorno. Arifl è stata istituita con la legge Pecchi: oggi è prevista una manifestazione sotto i palazzi della Regione Lombar- regionale di riforma del mercato del lavodia che dovrebbe concludersi dopo l’in- ro in Lombardia (22/2006) e il suo ruocontro con l’assessore all’Occupazione lo è quello di garantire l’attuazione dele alle politiche del lavoro del Pirellone, le politiche regionali di welfare, in parGianni Rossoni. Al centro della protesta ticolare negli ambiti dell’istruzione, deli 580 licenziamenti prospettati in Italia la formazione e del lavoro. Le prerogatidal gruppo di telefonia. Intanto comin- ve istituzionali sono quelle connesse alla ciano ad arrivare le prime camionette di gestione delle vertenze delle crisi aziencarabinieri e polizia. Ci sono anche agen- dali: in questo ambito l’Agenzia ha potenti della prefettura in borghese e alcuni ziato il suo ruolo di recettore delle segnafunzionari della Regione. Alcuni manife- lazioni e delle istanze provenienti dal terstanti iscritti a Cigl e Fiom si radunano e ritorio in modo tale da intervenire per iniziano a dialogare con loro; tutto tran- tempo nell’affrontare le crisi e monitoquillo, un colloquio vivace ma senza ten- rare l’efficacia delle politiche. In Lomsioni. Dopo poco i dirigenti della Regione bardia le grandi imprese hanno risposto si allontanano, non prima di aver garan- allo spostamento del livello complessitito che «l’incontro con l’assessore Ros- vo di domanda dei mercati con razionasoni si fa, vi chiedo che la manifestazione sia conte«A volte gli ammortizzatori sociali, che sono nuta in toni accettabili, un grandissimo valore per la collettività, evitando tensioni per le possono diventare ostacoli a rimettersi in strade. Vi aspetto alle 11 gioco per un futuro professionale diverso» sotto i nostri uffici». Gli INTERNI processi di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione, crisi aziendale o sia assoggettata a procedure come fallimento o liquidazione. la cassa integrazione in deroga è un intervento di integrazione salariale a sostegno di imprese o lavoratori non destinatari della normativa sulla cassa integrazione guadagni. infine la mobilità è un intervento a sostegno di particolari categorie di lavoratori licenziati da aziende in difficoltà che garantisce al lavoratore un’indennità sostitutiva della retribuzione e ne favorisce il reinserimento nel mondo del lavoro. 2.443.199 22,36% 10.924.312 5.615.251 21,46% 26.168.559 Deroga 3.801.785 12,69% Totale 11.860.235 17,69% 29.949.613 Lombardia 67.042.484 Italia Fonte: www.Arifl.it Rapporto tra nascita e mortalità delle imprese in Italia Agricoltura Iscrizioni ilano, venerdì | 17 ottobre 2012 | | Mamma Oca Annalena Valenti..................... 55 Cig, ore erogate in Italia e in Lombardia (agosto 2012) Ordinaria Con trenta vertenze a settimana, l’agenzia lombarda per la formazione e il lavoro gioca una partita cruciale nell’italia della crisi e dei casi ilva. Perché il conflitto non può essere la cifra dei rapporti con le aziende. Parla il direttore Matone 14 Lui co rvo, noi polli quando il territorio soffre L’impresa di mettersi d’accordo 2011 25.186 Totale Industria Gen-Giu 2012 2011 69.336 17.057 -25.617 -15.054 -32.111 -50.803 Cessazioni* Gen-Giu 2012 40.929 -30.695 -23.084 Servizi 145.466 86.112 2011 -64.013 -100.031 -130.754 -215.898 Fonte: previsioni Ufficio Studi Confcommercio lizzazioni significative o con la chiusura di intere unità produttive. Le situazioni ancora incerte generano una consistente domanda di ammortizzatori sociali, così il panorama si compone di poco confortanti mix tra sessioni di cassa integrazione e licenziamenti collettivi. «In questo momento – spiega Fulvio Matone a Tempi – le imprese che reagiscono ai cambiamenti solo in base a una riduzione dei costi e non conseguono incrementi di produttività consistenti sono soggette alla pressione concorrenziale più rapidamente di prima. Gli effetti di scoraggiamento leggibili nelle tendenze del mercato del lavoro si accompa- re le crisi aziendali. In Lombardia non c’è più crisi che altrove, semplicemente per la legge dei grandi numeri le imprese in difficoltà e i lavoratori a rischio sono davvero tanti. Matone cita i dati Istat relativi al secondo trimestre di quest’anno: «La Lombardia ha una popolazione di quasi 10 milioni di persone, di quelle in età lavorativa gli occupati sono il 64,9 per cento, mentre la disoccupazione è arrivata a quota 7,4 per cento». La crisi c’è e si sente. Il compito di Arifl è quello di ritagliare spazi e soluzioni perché la locomotiva d’Italia non deragli. Uno dei compiti dell’Agenzia è infatti quello di istituire momenti di lavoro con le varie direzioni di Regione Lombardia, così che direttori e amministratori siano al corrente della situazione di crisi sul | Gen-Giu 2012 -70.432 -44.642 * il numero delle cessazioni comprende quelle d'ufficio gnano all’aumento del numero di persone che non lavorando percepiscono sussidi sociali». Arifl rende costante il raccordo tra le parti sociali e continua l’attenzione e la messa a fuoco delle dinamiche territoriali. Inoltre, mantiene il presidio dei tavoli ministeriali, sia per le vertenze sugli ammortizzatori di competenza del ministero del Lavoro, sia verso il ministero dello Sviluppo economico per tutte quelle situazioni aziendali che hanno impatto nazionale. I numeri aiutano a capire meglio lo scopo e le prerogative dell’Agenzia. Dal primo gennaio 2012 ad oggi Arifl ha gestito 14 mila istanze di cassa in deroga (di cui circa 10 mila già prese in carico) e ha seguito una media di 30 vertenze alla settimana tra sindacati e imprese per gesti- La protesta dei lavoratori della Nokia-Siemens di Cassina de’ Pecchi foto: aP/laPresse M | 17 ottobre 2012 | Le nuove lettere di Berlicche..................................................... 39 Vatileaks. Corvi, sciacalli e allocchi Tutte le storielle che ci hanno dato da bere i media sui documenti rubati al Papa. E le verità del processo contro il maggiordomo infedele. Una lezione alla giustizia italiana Ubaldo Casotto...........................................................................................................................................................................................................................6 14 INTERNI territorio e possano progettare interventi mirati per potenziare il mercato del lavoro, ad esempio migliorando l’incontro tra domanda e offerta e accrescendo il livello di istruzione e di competenze degli individui. Gli accordi fra imprese e sindacati raggiunti con il contributo di Arifl hanno infatti evidenziato che quando l’azienda si fa carico, con competenze professionali esterne, di una vera attività di reimpiego sul territorio, le probabilità di riposizionamento del personale aumentano. In questo Matone vede la possibilità di ribaltare uno schema troppo spesso riproposto dalle semplificazioni giornalistiche, secondo cui impresa e sindacati sono destinati a rimanere attori di un conflitto perenne e insanabile. «È vero che ogni realtà può conoscere delle degenera| | 17 ottobre 2012 | 15 Crisi. Per uscire dal tunnel Parlano Matone (Arifl) e Sangalli (Confcommercio).........14 Politica in esilio. Monti bis un corno Lo strano tifo per il tecnico e i piani del prof.......................................... 20 Giustizia. Oltre il carcere Giovanna Di Rosa (Csm) chiede misure alternative............ 24 28 ESTERI Sotto e a sinistra, un momento della Diada, la festa ufficiale della Catalogna. In basso e a destra, una manifestazione a Bilbao contro la sentenza di carcerazione a un presunto membro dell’Eta VERSO LA SECESIÓN? ESTERI LA POSIZIONE DELLA CHIESA LA CONFERENZA EPISCOPALE «Le proposte di Artur Mas non tengono conto della nostra storia» Doccia fredda della Chiesa cattolica sull’indipendentismo catalano. Il 4 ottobre la Commissione permanente della Conferenza episcopale spagnola ha emesso una dichiarazione nella quale si legge: «Non si potrebbe capire nessuno dei popoli o delle regioni che fanno parte dello Stato spagnolo così come sono oggi, se non avessero fatto parte di una lunga storia di unità culturale e politica di questa antica nazione che è la Spagna. Proposte volte alla disintegrazione unilaterale di questa unità ci provocano grande inquietudine». Artur Mas è avvisato. Recessione, deficit, spread alle stelle. Madrid sprofonda e gli indipendentisti si fanno sempre più forti. Così le elezioni nei Paesi Baschi e in Catalogna rischiano di disintegrare il regno di Juan Carlos. E l’Unione Europea sta a guardare 28 | 17 ottobre 2012 | da Madrid Lartaun De Azumendi B arcellona, 11 settembre 2012. Si celebra la Diada, la festa ufficiale della Catalogna, nella quale si commemora la presa di Barcellona nell’anno 1714 – durante la Guerra di successione spagnola – da parte delle truppe borboniche comandate dal duca di Berwick, e con essa l’abolizione delle leggi e delle istituzioni proprie della Corona di Aragona, a cui apparteneva questo territorio. Tutti gli anni la Catalogna ricorda questo giorno con una esaltazione patriottica piena di rivendicazioni nazionaliste. Ma quello che è accaduto quest’anno è andato molto, molto più lontano. Si prevedeva che avrebbe partecipato più gente del solito, ma la realtà ha superato ogni aspettativa. Si è trattato di un’adunata storica, che ha occupato più di tre chilometri delle arterie centrali della capitale catalana. Alla testa della manifestazione c’era uno striscione che non lasciava spazio a dubbi: «Catalogna, nuovo Stato d’Europa». Al di là della guerra delle cifre sul numero dei partecipanti – fra i 600 mila e Foto: AP/LaPresse Se si rompe la Spagna il milione e mezzo di persone – la verità è che, per la prima volta dalla fine del franchismo, un grandissimo numero di catalani ha chiesto apertamente scendendo in strada l’indipendenza dalla Spagna. Il giorno seguente, il presidente della Generalitat catalana, Artur Mas, ha fatto sua la causa della manifestazione e si è presentato davanti ai media per dire, con un discorso nuovo, che la Catalogna «ha bisogno di uno Stato proprio». Quali motivi hanno fatto sì che centinaia di migliaia di catalani si siano riversati nelle strade per chiedere l’indipendenza in uno dei momenti più difficili che la Spagna sta attraversando negli ultimi anni? Questa è la domanda che si sono fatti molti spagnoli all’indomani dell’avvenimento. Perché non va dimenticata la congiuntura in cui si trova la Spagna: sul punto di chiedere un salvataggio finanziario, in cammino verso i 6 milioni di disoccupati, con uno spread sui titoli di Stato tedeschi che non scende sotto i 400 punti base, bersaglio designato di tutti i mercati. E a tutto questo si aggiunge l’entrata in vigore di un duro pacchetto di rifor- me e di tagli: aumento delle imposte dirette e indirette, introduzione di nuove tasse, una dura riforma del mercato del lavoro, diminuzione dei salari della funzione pubblica, eliminazione degli sgravi fiscali, eccetera. Perché emerge proprio ora con tanta intensità il problema catalano? Non sarebbe più importante adesso offrire una immagine di unità per evitare un’ulteriore punizione da parte dei mercati? Sull’orlo della bancarotta Il punto focale della crisi va situato nell’economia. La Catalogna è attualmente la Comunità più indebitata di Spagna, con un debito che supera i 42 miliardi di euro. Per far fronte alle scadenze di pagamento, la Generalitat ha chiesto 5.023 milioni al Fondo di liquidità delle autonomie istituito dal governo spagnolo per aiutare le Comunità autonome. Questo è avvenuto dopo che l’esecutivo di Artur Mas ha messo in atto una politica di forti tagli concentrati nella sanità e nell’educazione, con misure molto discusse come riduzioni degli stipendi dei funzionari. Il fatto che una delle Comunità più ric- | che di Spagna sia sull’orlo della bancarotta ha varie spiegazioni, fra cui la cattiva gestione del precedente governo, guidato dal Partito socialista di Catalogna, che ha fatto esplodere il debito nei suoi otto anni di governo. Però molti catalani, anche riconoscendo questo spreco, danno la colpa dello squilibro dei conti al sistema di finanziamento delle autonomie in vigore in Spagna. Grosso modo, lo Stato spagnolo incassa una determinata quantità di denaro in ogni Comunità in funzione dei redditi, e poi la ripartisce fra tutte le regioni in virtù delle loro necessità specifiche. Si crea così una forma di “solidarietà interterritoriale” che fa sì che alcune Comunità apportino allo Stato più di quello che ricevono in investimenti. Con questo sistema, secondo il governo catalano, la Catalogna risulta sempre svantaggiata. Il “deficit fiscale” che soffre questa regione presuppone un contributo alle entrate dello Stato molto superiore a quanto esso spende in Catalogna. Per la precisione, dicono, i catalani stanno contribuendo al 19,5 per cento delle entrate dell’amministrazione centrale della Previdenza sociale, | | 17 ottobre 2012 | 29 Spagna. Un paese diviso Così la crisi rafforza gli indipendentisti....................................................................... 28 Islam. In campo per la pace Il leader dei sufi muridi contro gli estremisti........................................... 32 Femen. L’esibizionismo e gli ideali Se queste son le nuove frontiere del femminismo....................36 40 ROSSOPORPORA ROSSOPORPORA La vera questione morale Quando l’istruzione del popolo e il pensiero sociale sono appesi al nulla, lo Stato non è laico. Se mai sarà ideologico. Dalla Francia delle nozze gay all’Italia delle coppie di fatto, i cardinali contro le “avanguardie” dei diritti che producono danni di Giuseppe Rusconi R 40 | 17 ottobre 2012 | Per il cardinale Jean-Pierre Ricard l’introduzione del matrimonio gay annunciata dal presidente Hollande «avrà pesantissime ripercussioni sociali» in Francia. Anche il cardinale Angelo Bagnasco critica le “aperture” che servono solo a liquidare la famiglia vani e anche di adulti, della storia della Francia e della cultura francese marcata dal cattolicesimo. Ciò non permette a chi non sa di intavolare un colloquio serio ad esempio con i cattolici, che non conosce e perciò non comprende. Vede, mi dice un grande libraio di Bordeaux che spesso arrivano da lui studenti di storia dell’arte a livello universitario che gli chiedono se Foto: AP/LaPresse icordate Nicolas sarkozy e la sua “laicità positiva”? Ora, dopo che l’ex presidente è riuscito nell’impresa di passare il testimone a François Hollande, la laicité suona un po’ diversamente. Ne abbiamo parlato con il cardinale Jean-Pierre Ricard (a Roma per la visita ad limina del primo gruppo di vescovi transalpini), cogliendo l’occasione della sua ampia e dettagliata relazione in materia giovedì 27 settembre presso il Centre Saint-Louis de France, davanti a un folto pubblico cui ha dato il benvenuto l’ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, Bruno Joubert. Eminenza, come si qualifica la nuova laicité dell’era Hollande? «In genere evito di connotare con un aggettivo di valore la laicità», risponde il sessantottenne arcivescovo di Bordeaux. «Per me la vera laicità è fondamentalmente rispettosa delle religioni, permettendo loro di esprimersi nello spazio pubblico e assicurando dunque il libero esercizio dei culti». Nella sua relazione, tra le correnti laiche in voga, ha citato come molto pericolosa quella che, pur non essendo di per sé ostile alla Chiesa, vuole applicare una secolarizzazione avanzata… «Quello che mi preoccupa molto è l’ignoranza profonda, presso un certo numero di gio- non ci sia un testo che possa far loro capire certe locuzioni dei loro professori: “Ci parlano di quadri sull’Annunciazione, sulla Natività, sul ritrovamento di Gesù nel Tempio. Ma che significa? Ci può aiutare?”. È per questo che abbiamo la grande responsabilità di non disertare lo spazio pubblico, le relazioni con politici e amministratori e nel contempo di infor- | mare costantemente sia l’opinione pubblica che i nostri interlocutori sulla vita quotidiana concreta di parrocchie e diocesi. Pensi che ho trovato alti responsabili politici che la ignoravano bellamente». Eminenza, in tale situazione, come valuta l’intenzione del ministro dell’Educazione nazionale Vincent Peillon di introdurre dall’anno scolastico 2013-2014 un’ora di “morale laica” («Non ho detto istruzione civica, ma proprio morale laica», ha precisato il ministro in un’intervista al Journal du Dimanche)? «Per un verso si può osservare che ci ritroviamo in una fase sociale in cui si impara sempre meno che cosa significhi vivere in una collettività: si insegna poco in famiglia, ancora meno a scuola. Le conseguenze di tale vuoto traspaiono ad esempio nelle difficoltà di comportamento di non pochi giovani tra loro e nei rapporti con l’ambiente in cui vivono. Perciò, che si possa imparare una morale che aiuti i giovani a comportarsi nella società, è di per sé qualcosa di positivo. Tuttavia…». Tuttavia? «Tuttavia molto presto irrompono nella questione tante domande fondamentali: da dove trae origine, da quale concezione dell’uomo dipende la morale che si vuole insegnare? Come si nutre? Quali sono i suoi contenuti? Che cosa la giustifica? In base a quale criterio qualcosa è defini| | 17 ottobre 2012 | 41 Nuovi diritti. Una società smarrita Dalla Francia delle nozze gay all’Italia delle coppie di fatto, i cardinali smascherano le sedicenti avanguardie che producono uno Stato non laico ma ideologico Giuseppe Rusconi..............................................................................................................................................................................................40 52 L’itaLia chE Lavora L’Italia che lavora La casa del recupero Lucilla poteva accontentarsi del negozietto di famiglia specializzato in tutori, ma Stefano l’ha sfidata. Così è nato un centro di ortopedia che attrae atleti famosi e semplici amatori, per vincere gli infortuni e le gare più difficili S ulla parete arancione spiccano, una vicina all’altra, foto di atleti, di pezzi grossi della storia del calcio, della ginnastica italiana, del rugby, della pallavolo, dello sci. Ogni ritratto è autografato, e reca impresso dediche affettuose, di ringraziamento e riconoscimento per il lavoro svolto da Ortholabsport, così come le maglie dei giocatori sparse qua e là per il centro di ortopedia sportiva. Perché qui in corso San Gottardo 3 a Milano, ogni atleta infortunato che arriva viene seguito in modo speciale e unico, come unico sarà il tutore confezionato per lui da Stefano Duchini e Lucilla Pezzoni, i titolari. In soli sei anni di attività, il passaparola tra gli atleti che si sono riappropriati dei propri movimenti è stato intensissimo, ed è così che, a poco a poco, la parete arancione ha iniziato a popolarsi di fotografie. «L’ultima appesa è quella di Kevin Prince Boateng, centrocampista del Milan, venuto da noi per un tutore alla mano. Chiaramente realizzato in rosso e nero e con il numero 10 impresso sopra», racconta Lucilla spiegando come i tutori applicati agli atleti vengano spesso personalizzati in laboratorio, da un grafico specializzato nel soddisfare i desiderata degli sportivi. La prima richiesta di questo genere era stata fatta dall’ormai ex giocatore dell’Inter Ramiro Cordoba, per una prote- 52 | 17 ottobre 2012 | | i plantari della campionessa olimpica Di Francisca. in alto, i rugbisti della Nazionale. a lato, Stefano Duchini e Lucilla Pezzoni zione facciale in colori nerazzurri. Un’altra richiesta fu quella di Giampaolo Pazzini con la scritta “pazzo”, quando giocava per la Sampdoria, o ancora il parastinchi di Zlatan Ibrahimovic, allora giocatore dell’Inter, ma con una “sospetta” richiesta di un drago rosso su sfondo nero. Lucilla Pezzoni è davvero fiera di aver detto di sì alla proposta di Stefano Duchini di aprire un centro di ortopedia insieme. «Io lavoravo nel negozio dei miei genitori, poco lon- tano da qui, che prima dei miei genitori era dei miei nonni, quindi si può dire che sia cresciuta a pane e tutori», spiega ridendo. «Siamo soci e la nostra unione funziona anche perché ci occupiamo di aspetti diversi, io mi occupo della gestione degli ospedali, della contabilità, del rapporto con i clienti, e il mio partner invece è alle prese con lo studio delle problematiche dei clienti e la loro relativa soluzione». Uno studio che avviene in una parte appo- LA SETTIMANA sita del centro Ortholabsport e si avvale di un tapis roulant speciale, in grado di fare la cosiddetta “gait analisys”, cioè lo studio del movimento e della deambulazione del paziente. Il passo successivo è l’“angle test”, necessario per rilevare eventuali dismetrie tra le gambe. In questo modo è possibile progettare un plantare perfetto, pronto solitamente in una settimana. A quel punto lo sportivo torna per la prova, dopo la quale è sempre possibile apportare nuovi cambiamenti. «E gli sportivi amatoriali sono esigenti tanto quanto quelli professionisti». Se Lucilla è un fiume di parole mentre illustra le dinamiche aziendali di Ortholabsport e mostra la nuova sede appena inaugurata, Stefano ha il piglio meticoloso dell’artigiano talmente fiero del suo lavoro da risultare umile, mentre spiega, con gli occhi pieni di emozione, che fa quello che fa perché è la cosa che gli riesce meglio fare. «In Italia l’idea di costruire plantari personalizzati non c’era, soprattutto se legata al mondo degli sportivi, così ho pensato di procedere in questa zia, e l’abbiamo progettato noi. Solo che ci erano state riferite delle misure inesatte per lo spessore. E in partita, in una delle tante mischie in cui si è buttato quel gigante buono di Castrogiovanni, il tutore si è rotto. Dobbiamo stare attentissimi ai parametri da rispettare perché in certi casi si potrebbe addirittura scivolare nel doping tecnologico», spiega serio Stefano. Che però si illumina se parlando di doping tecnologico si accenna a Oscar Pistorious. «Lui è un eroe, un eroe vero. Non a caso il mio sogno e progetto più grande sarebbe quello di potermi dedicadirezione. Già prima con il centro che ave- re agli atleti paralimipici». vo, e poi dopo con l’inizio delle attività di Ultima atleta olimpica seguita, inveOrtholabsport. Il fatto che gli atleti parli- ce, è stata Elisa Di Francisca, schermitrice no negli spogliatoi e si indichino a vicen- d’oro di Londra 2012, alla quale Ortholabda che strategia curativa stanno seguen- sport ha costruito un plantare. «Se costrudo ci ha aiutato tantissimo per farci cono- iamo un caschetto, il nostro lavoro è sotscere, in un modo inaspettato e inatteso». to gli occhi di tutti. Ma se si tratta di qualcosa di nascosto, come un plantare, lo sa Il passaparola negli spogliatoi solo l’atleta, e noi che lo guardiamo in tv. Se dal laboratorio di Stefano escono circa Ogni volta che seguo le gare di uno spor3 mila plantari l’anno, per quanto riguar- tivo che abbiamo rimesso in sesto sono da altri tipi di tutori è più difficile con- contento che anche per il nostro impeteggiare. «Dipende letteralmente da quan- gno sia arrivato alla vittoria, mi emozioto e come si infortunano gli atleti. Per no come se fossi il suo allenatore o un suo esempio, era un brutto infortunio quel- familiare». E tenendo conto del fatto che lo di Martin Castrogiovanni, che durante Ortholabsport si prende cura della Fisi Italia-Inghilterra, uno dei match del Sei (federazione italiana sport invernali), delNazioni di quest’anno, si era fratturato la Fir (federazione italiana rugby), dell’Inuna costola. Serviva un tutore per ripor- ter, Milan, dell’Atalanta, della Sampdotarlo in campo in tempo per Italia-Sco- ria, del Chelsea, del Shakhtar Donetsk, del Fulham, e della Nazionale volley donne, Stefano i titolari ricordano la protezione facciale in Duchini e Lucilla Pezzoni nerazzurro di cordoba. E poi il parastinchi di hanno davvero una grande ibra, ancora all’inter, ma con una “sospetta” e bella famiglia. richiesta di drago rosso su sfondo nero Elisabetta Longo | | 17 ottobre 2012 | 53 In campo. Al servizio dello sport La storia di Ortholabsport, il centro di ortopedia ormai punto di riferimento per gli atleti di ogni livello. Perché per vincere bisogna avere gli strumenti giusti Elisabetta Longo..................................................................................................................................................................................................52 Post Apocalypto Aldo Trento........................................ 60 Sport über alles Fred Perri................................................. 62 Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano........................ 63 Diario Marina Corradi............................66 RUBRICHE Green Estate.........................................54 Per Piacere.............................................. 57 Mobilità 2000.................................. 59 Lettere al direttore................. 62 Taz&Bao..................................................... 64 Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 18 – N. 41 dall’11 al 17 ottobre 2012 IN COPERTINA Foto: Marka, Fotomontaggio: Tempi DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Emanuele Boffi, Laura Borselli, Mariapia Bruno, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Benedetta Frigerio, Massimo Giardina, Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Elisabetta Longo, Pietro Piccinini, Chiara Rizzo, Chiara Sirianni SEGRETERIA DI REDAZIONE: Elisabetta Iuliano DIRETTORE EDITORIALE: Samuele Sanvito PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò FOTOLITO E STAMPA: Roto2000 S.p.A., Via L. da Vinci, 18/20, Casarile (MI) DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Corso Sempione 4 • 20154 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 tel. 02/31923730, fax 02/34538074 [email protected] EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Editoriale Tempi Duri Srl tel. 02/3192371, fax 02/31923799 GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione, 4 20154 Milano. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico di Tempi Società Cooperativa verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (D.LEG. 196/2003 tutela dati personali). Complicità oscure. Insabbiamenti. Violenze sui sospettati. Così il processo al maggiordomo infedele del Santo Padre ha smontato tutte le panzane che ci hanno dato da bere sul caso Vatileaks Lui co r 6 | 17 ottobre 2012 | | COPERTINA Roma, Piazza San Pietro, giornalisti e telecamere in attesa della sentenza che il 6 ottobre scorso ha condannato l’ex maggiordomo del Papa Paolo Gabriele a 18 mesi di carcere per furto di documenti (e altro) nell’appartamento pontificio o rvo, noi polli | | 17 ottobre 2012 | 7 di Ubaldo Casotto I Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa accusato di furto aggravato di documenti (oltre a un assegno da 100 mila euro, una pepita presunta d’oro e una preziosa cinquecentina dell’Eneide) è stato condannato a tre anni di reclusione, ridotti a un anno e sei mesi in virtù delle attenuanti («l’assenza di precedenti penali, le risultanze dello stato di servizio in epoca antecedente ai fatti contestati, il convincimento soggettivo – sia pure erroneo – indicato dall’imputato quale movente della sua condotta, nonché la dichiarazione circa la sopravvenuta consapevolezza di aver tradito la fiducia del Santo Padre») rico- 8 l caso è chiuso. | 17 ottobre 2012 | | nosciutegli dalla Corte che l’ha giudicato e lette dal suo presidente Giuseppe Dalla Torre sabato scorso 6 ottobre, dopo un dibattimento di quattro udienze nel quale sono stati ascoltati otto testimoni. Difficile che il difensore dell’imputato, l’avvocato Cristiana Arru, decida di ricorrere in appello (ha tre giorni di tempo e il termine scade subito dopo la consegna di questo articolo) avendo definito la condanna del suo assistito «una buona sentenza, una sentenza equilibrata». Ma il caso non è chiuso. «Si è chiuso un importante capitolo», dice a Tempi Greg Burke, il giornalista statunitense che dallo scorso 10 giugno è “consulente per la comunicazione” della Segretaria di Stato della Santa Sede (un ruolo che non esisteva in passato e che è uno dei frutti della crisi mediatica per la fuga di documenti riservati di Benedetto XVI, più nota come “Vatileaks”), «ma è vero che altri aspetti della vicenda restano aperti. Anche se va detto che la drammatizzazione mediatica di questa sentenza e Il primo capitolo del romanzo Vatileaks è stato dei misteri che lascerebbe irrisolti è un fatto molscritto con una velocità che la giustizia italiana to italiano. Come caso a non osa neanche sognare. Il libro di Nuzzi livello globale, pur avendo avuto la sua importanè uscito il 19 maggio, il 6 ottobre la sentenza COPERTINA PRIMALINEA Foto: AP/LaPresse L’eventualità che il Papa conceda la grazia a Paolo Gabriele (foto sopra, al centro) è «concreta e verosimile», ha detto ai giornalisti dopo la sentenza il direttore della Sala stampa vaticana padre Federico Lombardi (a lato). Ma con ogni probabilità il Pontefice attenderà la conclusione del processo contro Sciarpelletti, il tecnico informatico accusato di favoreggiamento (a sinistra, l’aula in cui Gabriele è stato proclamato colpevole) za, dopo la sentenza di sabato scorso l’attenzione dei media internazionali è molto scemata. Quello del vaticanista, in fondo, è un ruolo soprattutto italiano». Il caso non è chiuso perché, appello a parte, resta da celebrare il processo contro Claudio Sciarpelletti, il tecnico informatico che lavorava in Segreteria di Stato rinviato a giudizio insieme a Paolo Grabriele per il reato di favoreggiamento. Il procedimento è stato stralciato e inizierà, probabilmente tra la fine ottobre e l’inizio di novembre, terminato il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, che è cominciato il giorno dopo la condanna del maggiordomo del Papa, e avviato l’Anno della fede. Meglio evitare sovrapposizioni mediatiche. C’è molta aspettativa rispet- to a questo nuovo processo, per l’audizione di testimoni diversi da quelli ascoltati per Gabriele, soprattutto per la deposizione di monsignor Carlo Maria Polvani, prelato di stanza in Segreteria di Stato e responsabile dell’informazione nell’esecutivo vaticano. Ma, almeno a sentire chi in Vaticano conosce meglio le carte del processo, è un’attesa sovradimensionata, il processo a Sciarpelletti avrà portata ed eco mediatiche decisamente inferiori rispetto a quello contro Gabriele. Il caso non è chiuso soprattutto perché nella requisitoria del 13 agosto e nel conseguente rinvio a giudizio, sia il promotore di giustizia Nicola Piccardi nella sua richiesta, sia il giudice istruttore Piero Antonio Bonnet nella sua sentenza hanno ricordato i rapporti della Polizia giudiziaria vaticana in cui si denunciavano anche altri reati: «Delitti contro lo Stato (art. 104 e ss. C.p.); delitti contro i poteri dello Stato (art. 117 e ss. C.p.); vilipendio delle istituzioni dello Stato (art. 126 C.p.); calunnia (art. 212 C.p.); diffamazione (art. 333 C.p.); concorso di più persone in reato (art. 63 C.p.); inviolabilità dei segreti (art. 159 C.p.)», oltre al «furto aggravato (artt. 402, 403 e 404 C.p.); favoreggiamento (art. 225 C.p.)». Questo vuol dire due cose. La prima: il garantismo con cui la giustizia vaticana ha trattato Gabriele e Sciarpelletti. Di fronte a un’istruttoria che «si presentava complessa e laboriosissima e, quindi, suscettibile di durare per un periodo molto lungo», i magistrati, considerando il fatto che nei confronti dei due indagati si erano prese misure restrittive della libertà (anche Sciarpelletti fu arrestato e rilasciato in libertà provvisoria su cauzione), hanno deciso di procedere con celerità per il reato di cui avevano più evidenza, il furto aggravato. La seconda implicazione è che non è escluso che l’istruttoria proceda per i due ed eventualmente anche per altre persone sulle altre imputazioni («restando, ovviamente, aperta l’istruttoria per i restanti fatti costituenti reato nei confronti dei predetti imputati, e/o di altri»). Formalmente quindi l’attività istrutGreg Burke, consulente per la comunicazione toria non è affatto concludel Vaticano: «È vero che restano aperti aspetti sa, bisogna vedere se c’è del caso. Ma la drammatizzazione mediatica dei vera intenzione e volontà “misteri” della vicenda è un fatto solo italiano» di perseguirla. Per ora la | | 17 ottobre 2012 | 9 denuncia per le altre fattispecie di reato ipotizzate è contro ignoti. Resta il fatto che “il primo capitolo” del romanzo Vatileaks, per usare le parole di Greg Burke, è stato scritto con una velocità che la giustizia italiana non osa neanche sognare. Il 19 maggio 2012 usciva il libro di Gianluigi Nuzzi Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI, il 20 maggio veniva presentato in Italia, il 23 maggio era pronto il primo rapporto del direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione Civile del Vaticano che sollevava sospetti nei confronti di Paolo Gabriele, il 24 maggio un nuovo rapporto rendeva conto dei risultati della perquisizione dell’alloggio di Gabriele e dell’enorme quantità di documenti trovati, lo stesso giorno il maggiordomo veniva arrestato e con lui anche Sciarpelletti dopo la perquisizione del suo ufficio in Segreteria di Stato. Una personalità suggestionabile Gabriele è rimasto in cella 59 giorni, poi gli sono stati concessi i domiciliari. Sulla durata della custodia cautelare è stata tentata una polemica (singolare visti i tempi di carcerazione preventiva cui ci ha abituato la giustizia italiana). Il massimo previsto dal codice vaticano è di 50 giorni, raddoppiabili per particolari esigenze istruttorie. Il prolungamento è spiegabile anche in base al fatto che durante la detenzione Gabriele è stato sottoposto a due perizie psicologiche che hanno sospeso i termini della custodia (i giorni usati per le perizie, insomma, non si contano). Il perito d’ufficio, professor Roberto Tatarelli dell’Università La Sapienza di Roma ha concluso che «il signor Gabriele si caratterizza per un’intelligenza semplice in una personalità fragile con derive paranoidi a copertura di una profonda insicurezza personale e di un bisogno irrisolto di godere della considerazione e dell’affetto degli altri. Accanto ad elementi di sospettosità interpersonale sono presenti condotte ossessive del pensiero e dell’azione (meticolosità, perseverazione), sentimento di colpa e senso di grandiosità, connessi ad un desiderio di agire a favore di un personale ideale di giustizia. La necessità di ricevere affetto può esporre il soggetto a manipolazioni da parte degli altri ritenuti suoi amici ed alleati». Tatarelli concludeva quindi la sua perizia con un parere favorevole all’imputabilità del maggiordomo, persona capace di intendere e volere anche se «suggestionabile», in quanto caratterizzata da «un profondo bisogno di ricevere attenzione e affetto da parte degli altri» che lo porta ad «andare incontro ai bisogni ed alle 10 | 17 ottobre 2012 | | necessità di chi si mostra con lui accogliente, amichevole, e disponibile a dimostrargli stima e confidenza. In questo caso il Gabriele può essere soggetto a manipolazioni da parte di coloro che mostrano gli atteggiamenti ora indicati». I risultati di questa perizia sono stati avvalorati dalle stesse parole di Gabriele che «vedendo male e corruzione dappertutto nella Chiesa, sono arrivato negli ultimi tempi, quelli… della degenerazione, ad un punto di non ritorno, essendomi venuti meno i freni inibitori. Ero sicuro che uno shock, anche mediatico, avrebbe potuto essere salutare per riportare la Chiesa nel suo giusto binario. Inoltre nei miei interessi c’è sempre stato quello per l’intelligence, in qualche modo pensavo che nella Chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito Santo, di cui mi sentivo in certa maniera un infiltrato». L’infiltrato dello Spirito Santo non aveva invece, per la seconda perizia, quella del professor Tonino Cantelmi della Pontificia Università Gregoriana, «la coscienza e la libertà dei propri atti», e non era quindi imputabile. Ritenuta meno credibile della prima perizia, questa, che puntava sull’infermità di mente, è stata abbandonata anche dalla difesa. Le molteplici testimonianze sulla coscienziosità con cui Gabriele svolgeva il suo lavoro, «cercando di farlo nel modo migliore possibile», contrastavano con la «forte inadeguatezza ad assolvere alle mansioni lavorative ricoperte» sostenuta da Cantelmi. Il complottone smentito Come una persona «suggestionabile e, come tale, in grado di commettere anche azioni eterodirette che possono danneggiare se stesso e/o altri», è arrivata a ricoprire una mansione così delicata nell’appartamento pontificio? Un esterno pensa a dure selezioni o a particolari raccomandazioni, in Vaticano fanno notare che il curriculum professionale di Gabriele è una storia molto semplice e regolare: ha iniziato come sostituto estivo di personale addetto alle pulizie, si è guadagnato sempre molta stima per l’ordine e la precisione, nel suo fascicolo personale risultano autorevoli valutazioni di «lodevole servizio», «discreto e responsabile servizio» e nessuna nota negativa. Assunto stabilmente dopo i periodi di supplenza, era tra i candidati naturali per la sostituzioSecondo una perizia psichiatrica «la necessità ne di Angelo Gugel, storidi ricevere affetto» di Paolo Gabriele «può co maggiordomo pontifiesporre il soggetto a manipolazioni da parte cio di Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, quandegli altri ritenuti suoi amici ed alleati» COPERTINA PRIMALINEA LA MONTATURA DEI MALTRATTAMENTI Ma quali torture al detenuto Avercene di carceri così in Italia I magistrati hanno riconosciuto che «il crimine dell’imputato è maturato in un contesto di disagio e di critica consapevole nei riguardi di vicende, organismi e personalità della Chiesa» Foto: AP/LaPresse A sorpresa, durante il processo, Paolo Gabriele si è lamentato per i maltrattamenti subìti durante la carcerazione preventiva. Senza averlo mai denunciato prima, ha accusato i suoi carcerieri di averlo rinchiuso in una cella troppo stretta, da non poter allargare le braccia, nella quale la luce veniva tenuta accesa 24 ore su 24, e anche che gli era stato negato persino un cuscino. Da qui all’accusa di “tortura”, apparsa su alcuni giornali italiani e nelle dichiarazioni di qualche politico o esponente di associazioni che si occupano di carcere, il passo è stato più che breve. Ai più la denuncia è parsa solo uno stratagemma difensivo, un colpo emotivo a favore dell’imputato, tanto che i giornalisti presenti all’udienza hanno chiesto conto all’avvocato difensore Cristiana Arru delle sue dichiarazioni positive sulle condizioni di Gabriele durante il periodo di custodia cautelare. L’avvocato se l’è cavata con un imbarazzato e imbarazzante: mi riferivo alle condizioni di quel giorno. Comunque, il presidente della Corte ha immediatamente deciso di far aprire un fascicolo sulla vicenda, così che non se ne discutesse durante il dibattimento. Da parte sua la Gendarmeria vaticana ha precisato le condizioni di detenzione dell’imputato, sottolineando che la «cella di custodia segue gli standard di detenzione previsti anche per altri paesi, per situazioni analoghe». Inoltre, in Vaticano fanno osservare che durante i 59 giorni di custodia cautelare il Promotore di giustizia ha emanato 39 provvedimenti in favore del detenuto: permessi, visite mediche, colloqui con i parenti, incontri con un sacerdote, sostegno psicologico… Quanto alla luce accesa nelle ventiquattro ore, a difesa della quale è stata fornita a Gabriele una mascherina notturna che gli consentisse il più completo oscuramento, è evidente la precauzione per prevenire eventuali atti autolesionistici dell’imputato. Anzi, ha aggiunto la Gendarmeria, «lo stesso detenuto, nei giorni a venire, ha chiesto che la medesima luce rimanesse accesa durante la notte perché la riteneva di compagnia». Tortura? C’è una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 6 novembre 2009 che condanna l’Italia perché a Rebibbia in una cella di 16 metri quadrati stavano in sei. Fate voi i conti. [uc] do questi andò in pensione. Sul suo nome non fu fatta alcuna obiezione. Dopo la sua condanna il tam tam giornalistico si chiede quando arriverà l’annunciata – da parte del direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi – grazia di Benedetto XVI. Ma i tempi non saranno brevi: non prima, almeno, della fine del processo contro Sciarpelletti La sentenza che ha condannato Gabriele a diciotto mesi di reclusione esclude che il maggiordomo abbia avuto complici. A chi fa notare che prima il giornalista Nuzzi, che ha parlato di una ventina di “corvi”, e poi lo stesso Gabriele, che ha detto di non essere il solo ad aver passato documenti alla stampa, parrebbero smentire questa conclusione, in Vaticano rispondono con tranquillo realismo: «Che Gabriele non sia l’unico e il primo che passa docu- menti ai giornalisti non è una novità, è sempre successo. La differenza è nel luogo da cui i documenti sono stati sottratti: altro è un dipendente di una congregazione che passa l’anteprima di un testo, altro trafugare carte riservate del Papa nel suo appartamento. Il fatto che più persone facciano uscire dal Vaticano documenti riservati non vuol necessariamente dire che lo facciano in modo coordinato tra loro». Quanto all’ipotesi, prospettata quando il caso scoppiò, di procedere per il reato di ricettazione contro i giornalisti che hanno pubblicato i documenti rubati, sembra difficile che si concretizzi. Sinora c’era un ostacolo giudiziario: per accusare una persona di ricettazione devi prima dimostrare che ciò di cui è entrato in possesso è materiale rubato, e fino alla condanna di Gabriele questo non era possibi- le. Adesso in teoria si potrebbe procedere, ma non è realistico pensare che Oltretevere vogliano imbarcarsi in una vicenda che coinvolgerebbe la magistratura italiana e che verosimilmente assumerebbe i toni di uno scontro tra la Chiesa cattolica e la libertà di stampa in Italia. Resta un ambiente da “purificare” Al di là dell’ansia sui “complici” che a detta di molti in perenne ricerca del complotto questa sentenza avrebbe coperto, resta un problema: anche i magistrati vaticani hanno riconosciuto che «l’attività criminosa dell’imputato è maturata in un contesto di disagio e di critica consapevole nei riguardi di vicende, organismi e personalità della Chiesa e dello Stato della Città del Vaticano», quelle che Gabriele ha definito «circostanze ambientali, in particolare dalla situazione di uno Stato nel quale c’erano delle condizioni che determinavano scandalo per la fede, che alimentavano una serie di misteri non risolti e che destavano diffusi malumori». Benedetto XVI, oltre all’ormai famoso «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!» della Via Crucis del 2005, l’ultima di Giovanni Paolo II di cui l’allora cardinale Ratzinger scrisse i testi, ha più volte usato nei suoi discorsi la parola “purificazione”. Questo è, per autorevoli voci interne al Vaticano, il vero caso che rimane aperto, che si è manifestato in modo eclatante già con la vicenda dell’annullamento della scomunica ai vescovi lefebvriani, quando, dopo le accuse e le polemiche che dilaniarono la Chiesa, il Papa parlò di prelati che si sbranano tra loro come cani. Benedetto XVI, come ha dimostrato nel caso della pedofilia, non è persona cui piaccia tacere di fronte agli scandali. In questa vicenda ha confermato la fiducia ai suoi più stretti collaboratori, ma oltre le mura leonine, e tra i suoi stessi collaboratori, c’è chi pensa che il Papa stia riflettendo profondamente su quanto successo, se cioè le tensioni che questo scandalo ha portato alla luce siano solo espressione di una normale umanità con i suoi limiti e difetti o se si sia andati oltre ciò che ci si può aspettare da un’istituzione sia pur ecclesiale o vaticana. Il caso non è chiuso. n | | 17 ottobre 2012 | 11 L’OBIETTORE CE NE FOSSERO DI PRIMARIE Auguri a Renzi perché se vince lui perdono i mandarini alla Scalfari di Oscar Giannino I Foto: AP/LaPresse l Pd ha scelto le regole con le quali tenere le primarie. Di questo va reso merito al partito e NON SONO al suo segretario, che ha rinunciato D’ACCORDO alla norma statutaria che gli conferiva di diritto il ruolo di candidato premier. Delle “vecchie” forze politiche, una sola, travolta dagli scandali e dal bilancio disastroso di collaborazione per 18 anni con Berlusconi, ha cambiato leader e linea. Ed è appunto la Lega, che ha pensionato Bossi e scelto Maroni. Ma il Pd è l’unica forza politica che nella scelta del candidato premier da proporre a un’alleanza sceglie di coinvolgere iscritti ed elettori. È un merito, qualunque cosa pensiate del Pd, della sua storia, e dei patti oligarchici con i quali sono state scelte le sue leadership. Una sola volta per la segreteria post-Pci si coinvolse in qualche modo la base, ma il segretario non fu Veltroni, preferito dal cosiddetto “popolo dei fax”, bensì D’Alema. Da patti oligarchici vennero poi Veltroni e Fassino, come il segretario attuale Bersani. Ma Prodi riuscì a far passare l’idea delle primarie per il candidato premier, e su questa idea giusta il Pd non è arretrato. Il Pdl resta indietro anni luce. Lo dico anche dopo aver letto il manifesto neotradizionalista firmato da alcuni dei suo esponenti, manifesto che non contiene una riga di autocritica sul fatto che in 18 anni di Berlusconi politiche come quelle che nel manifesto vengono sostenute (famiglia, sussidiarietà e via continuando) non si sono viste neanche col più potente dei telescopi. Reso al Pd il giusto tributo, veniamo al merito della scelta. Se il partito ha deciso nella sua pletorica assemblea le primarie, il merito è solo di Matteo Renzi, della sua coraggiosa e tagliente iniziativa. L’unico vero grande tentativo di discontinuità partorito dal veccio sistema dei partiti. Tutti gli altri, da Grillo per primo a Fermareildeclino per ultimo, sono fieramente estranei al recinto del vecchio circo Barnum. Non so se Renzi abbia fatto bene ad accettare le modalità stabilite, cioè il registro degli La sua coraggiosa iniziativa è l’unico tentativo di rinnovamento partorito dal sistema dei partiti. Un suo trionfo produrrebbe la rottura della continuità ideologica difesa da Repubblica e dai papaveri Pd elettori sostenitori dell’alleanza “progressista e democratica”, alleanza che Bersani ha avuto mandato di definire trattando in prima persona, estendendone i princìpi che gli elettori partecipanti alle primarie dovranno dichiarare di sottoscrivere a prescindere, per poter votare. A me pare una classica pretesa da partito-Chiesa: pretendere che i princìpi e l’alleanza debbano essere eguali se vince Vendola o se vince Renzi è una fesseria pura. È il vecchio copione: “Compagno, se hai perso meglio umiliarti e restare col partito di cui sei minoranza tollerata che uscire e tradire i compagni indebolendoli in faccia al nemico”. Credo che con questo sistema Renzi abbia chance di vincere al primo turno solo se porta a iscriversi più dei 3,2 milioni che – si disse – portò Prodi. Non è facilissmo. Al secondo turno, non potendosi più iscrivere alcun elettore, Vendola con la sua candidatura ha fatto a Bersani il favore di diventare candidato mediano, cioè vincente. Anche se non bisognerebbe nemmeno tifare Intendiamoci, io mi aguro che Renzi ce la faccia. Certo, chi come me è interessato a un’offerta politica estranea ai vecchi partiti, non potrà andare a votare per lui. Anzi dovrà astenersi anche dal tifare. Perché è evidente qual è l’accusa più vibrante rivolta al sindaco di Firenze da tutte le correnti Pd. Tutte tutte, non solo la maggioranza convinta che dopo Berlusconi si debba finalmente farla finita con la finzione quindecennale di stimare Blair, al posto della vecchia linea Stato-spesa-tasse. Renzi sta sulle scatole ai cattocomunisti come Bindi e Franceschini, i più lividi nelle stroncature personali. Sta sugli zebedei persino ai liberal come Morando ed Enrico Letta, cosa che appare senza senso, almeno a me che li stimo personalmente. Qual è l’accusa? Nella forma di anatema sommo-sacerdotale, l’avete letta su Repubblica il 30 settembre, scagliata verso il cielo da Eugenio Scalfari. Renzi non è solo un ragazzino vuoto, ambizioso imitatore di parole d’ordine altrui. È soprattutto una quinta colonna di Silvio, un Quisling, un pupazzo nelle mani di un ex televisionaro Mediaset. Un virus che porta a decesso un vecchio corpo glorioso, non un antidoto ai veleni che ha ingerito. È la miglior prova del perché se vincesse Renzi si produrrebbero cose positive: sarebbe la rottura della continuità ideologica che Scalfari difende insieme ai mandarini rossi. E lo dico pur non capendo che cosa davvero proponga su debito pubblico, spesa e tasse, visto che la sua prima idea annunciata in tv, quella dei cento euro pubblici in tasca a chiunque ne abbia meno di duemila al mese, è una fregnaccia berlusconian-bengodiana bella e buona. E se invece Renzi perde, magari bene ma perde? Peccato, vorrà dire che l’elefantone rosso se lo digerirà piano piano. Un’altra grande occasione perduta, e a maggior ragione uno sprone a cambiare le cose da fuori, rispetto ai vecchi dinosauri partitici. O almeno a provarci, che sia facile non me l’avete di sicuro mai sentito dire. | | 17 ottobre 2012 | 13 INTERNI quando il territorio soffre L’impresa di mettersi d’accordo Con trenta vertenze a settimana, l’Agenzia lombarda per la formazione e il lavoro gioca una partita cruciale nell’Italia della crisi e dei casi Ilva. Perché il conflitto non può essere la cifra dei rapporti con le aziende. Parla il direttore Matone M 14 | 17 ottobre 2012 | | La protesta dei lavoratori della Nokia-Siemens di Cassina de’ Pecchi lizzazioni significative o con la chiusura di intere unità produttive. Le situazioni ancora incerte generano una consistente domanda di ammortizzatori sociali, così il panorama si compone di poco confortanti mix tra sessioni di cassa integrazione e licenziamenti collettivi. «In questo momento – spiega Fulvio Matone a Tempi – le imprese che reagiscono ai cambiamenti solo in base a una riduzione dei costi e non conseguono incrementi di produttività consistenti sono soggette alla pressione concorrenziale più rapidamente di prima. Gli effetti di scoraggiamento leggibili nelle tendenze del mercato del lavoro si accompa- Foto: AP/LaPresse uffici sono quelli di via Taramelli e a parilano, venerdì 5 ottobre. Alle 9.30 nei pressi dalla fermata lare è Fulvio Matone, direttore generale della metropolitana di Gioia il dell’Agenzia regionale per l’istruzione, traffico è intenso. Dalla metro escono in la formazione e il lavoro (Arifl). Questa modo composto una trentina di persone è solo una delle situazioni in cui Matocon bandiere e striscioni ancora arrotola- ne e il suo team – un’affiatata squadra di ti. Sono alcuni dei lavoratori dello stabili- una cinquantina di persona – si trovano mento della Nokia-Siemens di Cassina de’ ogni giorno. Arifl è stata istituita con la legge Pecchi: oggi è prevista una manifestazione sotto i palazzi della Regione Lombar- regionale di riforma del mercato del lavodia che dovrebbe concludersi dopo l’in- ro in Lombardia (22/2006) e il suo ruocontro con l’assessore all’Occupazione lo è quello di garantire l’attuazione dele alle politiche del lavoro del Pirellone, le politiche regionali di welfare, in parGianni Rossoni. Al centro della protesta ticolare negli ambiti dell’istruzione, deli 580 licenziamenti prospettati in Italia la formazione e del lavoro. Le prerogatidal gruppo di telefonia. Intanto comin- ve istituzionali sono quelle connesse alla ciano ad arrivare le prime camionette di gestione delle vertenze delle crisi aziencarabinieri e polizia. Ci sono anche agen- dali: in questo ambito l’Agenzia ha potenti della prefettura in borghese e alcuni ziato il suo ruolo di recettore delle segnafunzionari della Regione. Alcuni manife- lazioni e delle istanze provenienti dal terstanti iscritti a Cigl e Fiom si radunano e ritorio in modo tale da intervenire per iniziano a dialogare con loro; tutto tran- tempo nell’affrontare le crisi e monitoquillo, un colloquio vivace ma senza ten- rare l’efficacia delle politiche. In Lomsioni. Dopo poco i dirigenti della Regione bardia le grandi imprese hanno risposto si allontanano, non prima di aver garan- allo spostamento del livello complessitito che «l’incontro con l’assessore Ros- vo di domanda dei mercati con razionasoni si fa, vi chiedo che la manifestazione sia conte«A volte gli ammortizzatori sociali, che sono nuta in toni accettabili, un grandissimo valore per la collettività, evitando tensioni per le possono diventare ostacoli a rimettersi in strade. Vi aspetto alle 11 gioco per un futuro professionale diverso» sotto i nostri uffici». Gli GLI STRUMENTI Dalla Cassa integrazione alla mobilità La Cassa integrazione guadagni (Cig) è una prestazione economica erogata dall’Inps con la funzione di integrare o sostituire la retribuzione dei lavoratori che vengono a trovarsi in precarie condizioni economiche per sospensione o riduzione dell’attività lavorativa. È ordinaria quando la sospensione o riduzione dell’attività aziendale dipende da eventi temporanei e transitori non imputabili né al datore di lavoro né ai lavoratori. È straordinaria quando l’azienda subisce processi di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione, crisi aziendale o sia assoggettata a procedure come fallimento o liquidazione. La cassa integrazione in deroga è un intervento di integrazione salariale a sostegno di imprese o lavoratori non destinatari della normativa sulla cassa integrazione guadagni. Infine la mobilità è un intervento a sostegno di particolari categorie di lavoratori licenziati da aziende in difficoltà che garantisce al lavoratore un’indennità sostitutiva della retribuzione e ne favorisce il reinserimento nel mondo del lavoro. Cig, ore erogate in Italia e in Lombardia (agosto 2012) Ordinaria 2.443.199 22,36% 10.924.312 Straordinaria 5.615.251 21,46% 26.168.559 Deroga 3.801.785 12,69% 29.949.613 Totale 11.860.235 17,69% Lombardia 67.042.484 Italia Fonte: www.Arifl.it Rapporto tra nascita e mortalità delle imprese in Italia Agricoltura Iscrizioni 2011 25.186 Totale Industria Gen-Giu 2012 2011 69.336 17.057 -25.617 -15.054 -32.111 -50.803 Cessazioni* Gen-Giu 2012 40.929 -30.695 -23.084 Servizi 145.466 86.112 2011 -70.432 -44.642 -64.013 -100.031 -130.754 * il numero delle cessazioni comprende quelle d'ufficio -215.898 Foto: AP/LaPresse Fonte: previsioni Ufficio Studi Confcommercio gnano all’aumento del numero di persone che non lavorando percepiscono sussidi sociali». Arifl rende costante il raccordo tra le parti sociali e continua l’attenzione e la messa a fuoco delle dinamiche territoriali. Inoltre, mantiene il presidio dei tavoli ministeriali, sia per le vertenze sugli ammortizzatori di competenza del ministero del Lavoro, sia verso il ministero dello Sviluppo economico per tutte quelle situazioni aziendali che hanno impatto nazionale. I numeri aiutano a capire meglio lo scopo e le prerogative dell’Agenzia. Dal primo gennaio 2012 ad oggi Arifl ha gestito 14 mila istanze di cassa in deroga (di cui circa 10 mila già prese in carico) e ha seguito una media di 30 vertenze alla settimana tra sindacati e imprese per gesti- re le crisi aziendali. In Lombardia non c’è più crisi che altrove, semplicemente per la legge dei grandi numeri le imprese in difficoltà e i lavoratori a rischio sono davvero tanti. Matone cita i dati Istat relativi al secondo trimestre di quest’anno: «La Lombardia ha una popolazione di quasi 10 milioni di persone, di quelle in età lavorativa gli occupati sono il 64,9 per cento, mentre la disoccupazione è arrivata a quota 7,4 per cento». La crisi c’è e si sente. Il compito di Arifl è quello di ritagliare spazi e soluzioni perché la locomotiva d’Italia non deragli. Uno dei compiti dell’Agenzia è infatti quello di istituire momenti di lavoro con le varie direzioni di Regione Lombardia, così che direttori e amministratori siano al corrente della situazione di crisi sul Gen-Giu 2012 territorio e possano progettare interventi mirati per potenziare il mercato del lavoro, ad esempio migliorando l’incontro tra domanda e offerta e accrescendo il livello di istruzione e di competenze degli individui. Gli accordi fra imprese e sindacati raggiunti con il contributo di Arifl hanno infatti evidenziato che quando l’azienda si fa carico, con competenze professionali esterne, di una vera attività di reimpiego sul territorio, le probabilità di riposizionamento del personale aumentano. In questo Matone vede la possibilità di ribaltare uno schema troppo spesso riproposto dalle semplificazioni giornalistiche, secondo cui impresa e sindacati sono destinati a rimanere attori di un conflitto perenne e insanabile. «È vero che ogni realtà può conoscere delle degenera| | 17 ottobre 2012 | 15 quando il territorio soffre interni zioni, ma la maggior parte delle persone che incontro sente una corresponsabilità e secondo noi la via d’uscita da questa situazione difficili è proprio questa: che ognuno sia più responsabile. Da una parte lavoriamo perché un’azienda possa continuare a produrre, ma anche perché cominci ad accompagnare realmente le persone messe in mobilità; dall’altra facciamo in modo che i lavoratori siano più responsabili della propria situazione e non la vivano come una battaglia contro i propri datori. I nostri risultati dimostrano che quando ognuno svolge bene il proprio ruolo le cose funzionano benissimo e la realtà cambia, di questo va reso merito anche alle imprese che non smettono di costruire. Questo lavoro mi ha fatto rivalutare molto anche i sindacati: la maggior parte delle volte conosco persone che hanno realmente a cuore che i propri rappresentati possano tornare a lavorare. Il nostro compito è sostenere e indirizzare queste energie». Benedetti ammortizzatori sociali E l’armonia ha un valore non solo simbolico, se si considera che per esempio la cassa integrazione straordinaria e in deroga viene concessa solo quando si trova un accordo tra le varie parti sociali. Per gestire queste vertenze servono ore e ore di lavoro e spesso quando si è a un passo dal traguardo non si guarda l’orologio. È il caso della vertenza con una grande azienda conclusa recentemente: cominciata dopo pranzo è terminata alle 7 del mattino seguente. «L’accordo è segno di responsabilità dei datori di lavoro nei confronti dei dipendenti e dei lavoratori rispetto alla propria azienda e a loro stessi. È una sorta di autoregolamentazione: si decidono delle cose insieme e si rispettano, per il bene e gli interessi di tutti. La cassa integrazione è un’iniezione di risorse economiche enormi che vanno a bene- ficio dei lavoratori sospesi e allo stesso fl avrebbe gestito la situazione assai comtempo compensano la fatica delle azien- plicata dell’Ilva di Taranto, che sembra de». È la più grande erogazione di denaro bloccata in un ricatto tra le parti in giopubblico fatta dal Dopoguerra a oggi. Che co: da una parte l’acciaieria chiede di in questa situazione può diventare un’ar- continuare a lavorare per non licenziare ma a doppio taglio: «Purtroppo ci è capi- tutti i dipendenti e di conseguenza affatato anche di incontrare persone che di mare un’intera città; dall’altra la magimestiere cercano di fare i cassaintegrati. stratura che non cede al diktat “zero È inammissibile. Le faccio un inquinamento altrimenesempio: l’Alfa Romeo di Areti si chiude”. «Le produziose non riesce più a produrre, ni aziendali con forte impatnon c’è verso di ripristinare to ambientale sono situazioni Il calo del Pil nel l’attività, ma gli operai contidelicatissime. Noi ne abbiamo 2012 secondo nuano a dire che la produziogestita una simile, ma molto l’Ufficio studi Confcommercio ne deve tornare lì. Gli è scadumeno problematica, in una ta da poco la mobilità, è finito circostanza dove è emerso un l’assegno di disoccupazione, eppure con- grande senso di responsabilità: la Tamoil tinuano a pretendere di lavorare all’Al- di Cremona, che ha chiuso l’attività di fa di Arese. Spiace dirlo, ma a volte gli raffinazione. Nel caso Ilva – da quel che ammortizzatori sociali, che sono un gran- conosco – credo che la responsabilità stodissimo valore sociale, possono diventare rica iniziale sia dell’azienda. Detto quedegli ostacoli a rimettersi in gioco per cre- sto, sono convinto che la soluzione giuarsi un futuro professionale diverso, acco- diziaria in qualche modo complichi la modandosi al fatto che un po’ di sodi alla situazione, perché il magistrato non ha fine del mese arrivano sempre, ma ormai gli strumenti per accompagnare o trovala festa è finita». re degli accordi tra le parti. BisognerebSe l’ammortizzatore sociale, che be fermarsi un attimo prima, lavorando nasce come strumento per tampona- di comune accordo con il maggior numere una crisi, diventa uno degli ostacoli ro di istituzioni». Proprio quello che fa per superarla, allora bisogna Arifl: «La cosa bella è che lavochiedersi quanto è utile conriamo con tutti, dalla prefettinuare a foraggiare le sue tura alla questura, il comucasse. «Io credo che sia utine, la provincia, le comuniIl calo dei consumi le mantenerlo, ma allo stestà montane. Il colore politico delle famiglie (2012) so tempo bisogna comincianon è mai stato un ostacolo, destinato a calare dello 0,3% nel 2013 re a limitarlo. Va riconosciututti sono chiamati a una corto se un’impresa è in grado di responsabilità e l’esperienza ricominciare a produrre oppure no. Se la dice che ci stanno. Si rivolgono a noi per risposta è negativa bisogna aiutare i lavo- risolvere delle situazioni spinose. Siamo ratori a crearsi un nuovo profilo, occor- come un ospedale: uno ci va perché ha re accompagnarli nel reinserimento nel dei problemi e quasi sempre ne esce con mondo del lavoro con politiche attive; è una soluzione. Sia un gesso o una proteinutile perpetuare proteste sterili, lavora- si. Ecco, noi troviamo il gesso o la protesi re è un diritto, non farlo è decadente per utile per azienda e lavoratori, anzi la trol’umano e per la stessa società». vano loro, noi li aiutiamo soltanto». Viene spontaneo chiedersi come AriGermano Di Michele il presidente di confcommercio Un’equazione per i tecnici Meno consumi uguale meno imprese e meno occupazione. Sangalli lancia l’allarme e avverte: aumentare ancora l’Iva sarebbe una catastrofe -2,2% -2,8% I Italia il tasso di disoccupazione potrebbe essere più alto di quello ufficiale. Lo scrive la Bce nel rapporto su Il mercato del lavoro dell’Eurozona e la crisi che considera anche gli “scoraggiati”, cioè quelle persone disponibili a lavorare ma che hanno smesso di cercare occupazione perché convinti di non trovarla. I disoccupati ad agosto erano 2.744 mila (dati ancora provvisori). Se il numero è diminuito dello 0,3 per cento rispetto a luglio (-9 mila unità), bisogna considerare che su base annua si registra invece una crescita pari al 30,4 per cento (640 n | | 17 ottobre 2012 | 17 interni quando il territorio soffre Presidente, quali sono le vostre previsioni per il 2013? Le nostre previsioni segnalano, anche per il 2013, un’ulteriore contrazione sia del prodotto che dei consumi interni. È una situazione da allarme rosso che vede in particolare le imprese del commercio, del turismo e dei servizi vivere ormai da anni e sulla propria pelle tutte le difficoltà legate, soprattutto, al crollo della domanda interna: negli ultimi 10 anni i consumi sono cresciuti, mediamente, di appena lo 0,5 per cento annuo e, dall’inizio della crisi, sono diminuiti a livello pro capite di oltre 3 punti percentuali. Una difficoltà che, anche a causa dell’aumento dei costi di gestione e delle tasse, continua a determinare una morìa di imprese commerciali. Solo l’anno scorso hanno 18 | 17 ottobre 2012 | | chiuso oltre 60 mila piccoli esercizi e già nei primi sei mesi di quest’anno 36 mila negozi hanno abbassato definitivamente la saracinesca. Come si può arrestare secondo voi il crollo dei consumi? recessione e per tornare a costruire crescita e occupazione. Eppure il governo continua a battere cassa. Se non dal prospettato aumento dell’Iva da dove ritiene che possano arrivare quei soldi? Credo che questi dati impongano di La via è obbligata: un tempestivo archiviare l’ipotesi di un ulteavanzamento della spending riore incremento dell’Iva prereview, per generare risparvisto dal 1° luglio 2013. Permi che consentano appunché gli effetti di questa misuto di disinnescare la mina Il calo degli investira sull’economia reale rischiadei prospettati aumenti Iva, menti (2012) che no di essere davvero drammae destinare l’incremento di dovrebbero crescere tici, in particolare nei nostri gettito derivante dal contradell’1,2% nel 2013 settori, dove le imprese vivosto all’elusione e all’evasione no di mercato interno e di consumi del- fiscale alla riduzione del carico fiscale su le famiglie. Abbiamo calcolato che que- famiglie e imprese. Ma chiediamo anche sta misura, insieme agli aumenti delle ali- che venga riconosciuto il contributo alla quote già attuati lo scorso anno, compor- maggiore produttività e alla maggiore teranno tra il 2011 e il 2014 una riduzione crescita che può venire dal commercio dei consumi di circa 38 miliardi di euro. e da tutto il sistema dei servizi di mercaPer questo, oggi, è più che mai to che rappresenta oltre il 50 necessario accantonare definiper cento del Pil e dell’occutivamente i prospettati nuopazione del nostro paese. Da vi aumenti Iva e porre al cenqui, la nostra richiesta di una La crescita delle tro del dibattito e dell’aziopolitica per i servizi – cioè un esportazioni (2012). ne di governo i temi del rilansistema di regole, di strumenPrevisto un aumento cio dei consumi e della cresciti e di risorse – che suppordell’1,6% nel 2013 ta per mettere le imprese del ti i processi di rafforzamento terziario, e tutte le imprese, in condizio- della produttività in particolare attraverne di essere più competitive e produttive. so l’innovazione del sistema dei servizi, Voglio ricordare che la domanda interna perché l’innovazione – tecnologica, ma – per consumi e investimenti – rappresen- anche organizzativa – è un formidabile ta circa l’80 per cento del Pil e quindi è da propellente di produttività aggiuntiva. qui che si deve ripartire per contrastare la Daniele Guarneri -6,5% 0,5% Foto: AP/LaPresse mila unità). Il tasso di disoccupazione è pari al 10,7 per cento, stabile rispetto a luglio e in aumento di 2,3 punti percentuali nei dodici mesi. Ma se a questi si somma l’esercito degli “scoraggiati” che secondo l’Istat nel secondo trimestre del 2012 erano 1.664.000, i dati della disoccupazione reale risultano ancora più allarmanti. Nel rapporto della Bce si legge che «l’Italia è un chiaro esempio di come le cifre ufficiali sulla disoccupazione possano sottostimare la sottoutilizzazione della forza lavoro». I dati nel dettaglio sono sconfortanti: confrontando il secondo trimestre del 2012 con lo stesso periodo del 2007 (prima della crisi), gli occupati tra i 15 anni e 34 anni sono passati da 7,3 milioni a 5,9. Solo nell’ultimo anno il calo è stato di 230 mila unità. Avere meno di 35 anni e trovare lavoro in Italia sembra essere la vera mission impossible al tempo della crisi. Se a questi dati accostiamo anche quelli di Confcommercio si capisce quanto il quadro recessivo che stiamo vivendo sia pesante, e la sua fine ancora lontana. «Chiuderemo il 2012 con una caduta del prodotto interno del 2,4 per cento circa e una diminuzione della spesa delle famiglie intorno al 3,3 per cento», prevede non senza preoccupazione Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio dal 2006. Si tratta, spiega a Tempi, di «un calo di una profondità mai registrata nella storia economica repubblicana del nostro paese». Da OlTRE CINQUaNT’aNNI laVORIamO PER la TUa SICUREZZa SUllE FERROVIE ITalIaNE GRUPPO ROSSI (GCF & GEFER) V i a l e d e l l ’O c e a n O a t l a n t i c O n . 190, 00144 R O m a T E l . +39.06.597831 - F a x +39.06.5922814 - E - m a I l g c f @ g c f . i t - g e f e R @ g e f e R . i t INTERNI LINEA DI GALLEGGIAMENTO Monti, Monti Monti un bis Fra i terzopolisti alla ricerca di un elettorato e le faide interne al Pd, il tanto invocato secondo mandato per il governo di emergenza somiglia più a un trucco che a un progetto politico. Quanto al prof, lui un’idea di quello che farà da grande ce l’ha N egli ultimi mesi due sono i principali problemi che rovinano il sonno agli italiani. Da una parte le enormi difficoltà economiche e finanziarie ne hanno messo a dura prova le tasche. Dall’altra il vistoso sbandamento di un sistema politico incapace di rispondere alla crisi ne ha scosso la coscienza civile. Su entrambi i frangenti la risposta è stata in un certo senso la medesima. Nel primo caso, file infinite alle casse dei discount e code chilometriche ai distributori che abbassano il prezzo del carburante di una manciata di centesimi. Nel secondo, processione di adepti osannanti il nume tutelare dei tecnici cooptati al governo. Ma mentre far quadrare i conti del proprio bilancio familiare è problema del cittadino comune, massimizzare il proprio tornaconto politico è l’affanno che mette in ansia i partiti. Che sono ricorsi a Mario Monti e alla sua equipe quasi-ottuagenaria per la manifesta incapacità di offrire al paese un’alternativa politica. Non ce l’aveva il Pdl, ancora oggi faticosamente impegnato a raccogliere le macerie di una lenta e metodica autodistruzione. E ne era sprovvisto il Pd, mestamente attestato su percentuali irrisorie, nonostante intorno gli si aprissero praterie che nemmeno ai pionieri del Kansas. Per tacer dei magmatici centristi, il cui peso diventa irrilevante in una situazione 20 | 17 ottobre 2012 | | in cui non solo non si vede un cavallo vincente, ma prendono schiaffi tutti i possibili alleati. Nonostante la storiella della “cosa migliore che si potesse fare per il paese”, il governo tecnico trova la propria ragion d’essere nell’assoluta incapacità delle forze politiche di garantirsi rendite di medio periodo nel precipitare della situazione parlamentare dello scorso novembre. Se Napolitano non si ripete Cos’è cambiato in questi mesi? Assolutamente nulla. Ergo, gli adepti del “Monti bis” hanno scarso o nullo interesse che il professore continui a sedere sullo scranno più alto di Palazzo Chigi. Chi auspica oggi che il premier succeda a se stesso, adotta semplicemente L’unico richiamo alla terzietà che conservi il più antico schema del risiko un minimo di appeal è la promessa di un bis politico di tutti i tempi: massimizzare il proprio peso in ter- del professore. Ottimo slogan da talk show mini di potere. Gli strateghi di cui sarà facile sbarazzarsi a urne chiuse del secondo mandato consecutivo ai tecnici ben sanno che c’è una varia- maggioranza sui futuri assetti parlamenbile di non poco conto da tenere in consi- tari. Se è vero che Pierferdinado Casini derazione: la legge elettorale. Giorno dopo «non è interessato» a un’ipotesi di govergiorno, una riforma del Porcellum diventa no con Pier Luigi Bersani e Nichi Vendoun’aspirazione sempre più utopica. Anche la (come il leader dell’Udc va sbandieranqualora la disprezzata creatura di Calde- do in ogni dove), in caso di ingovernabiroli cambiasse, la strada sarebbe quella di lità l’unica soluzione che preveda un tecun sistema proporzionale, che ridurreb- nico al governo costringerebbe Pd e Pdl a be ulteriormente l’impatto del premio di trovare un accordo sulle larghe intese. Un Foto: AP/LaPresse Fini e Casini sono a parole i primi promotori di un ipotetico Monti bis. Il cromosoma tecnico, però, decisamente non fa parte del loro Dna rebus complicatissimo, che interesserebbe anche il Quirinale, e nel quale i centristi e le loro ambizioni neo-montiane giocherebbero un ruolo assai marginale. Se invece vivesse il Porcellum, i prodi centristi dovrebbero puntare a essere determinanti al Senato. Ottenendo di certo qualche strapuntino di lusso, ma senza poter mirare a strappare al centrosinistra la poltronissima in funzione della quale è stato organizzato l’ambaradan delle primarie (si tace del centrodestra in quanto, ad oggi, non pervenuto). Proprio il Quirinale, tra l’altro, è la destinazione cui ambisce il professore. E anche quella più proba- bile. Il suo celebre «se serve mi metto a servizio del paese», la dichiarazione che ha aperto il bailamme sul Monti bis, lasciava sottintendere infatti la disponibilità a farsi garante della delicata transizione verso un governo politico nella prossima legislatura, più che a lasciarsi invischiare nelle sabbie mobili dei partiti. Un gioco di squadra messo in piedi con Giorgio Napolitano. Il giorno dopo la famosa frase del premier, infatti, il presidente della Repubblica si è affrettato a scrivere una lettera a Pubblico per smentire uno scoop che ne prefigurava un rinnovo di mandato. Un passo con pochi precedenti, che è suonato a molti come contrappunto alle travisate parole del primo ministro. Rimane il fatto che i più rumorosi esponenti di questo Game of Thrones all’amatriciana sono i fanatici di Monti. Quelli che hanno sbandierato ai quattro venti di voler comporre le future liste elettorali «mettendole a servizio» del presidente del Consiglio. Il Terzo polo, o quel che ne rimane, ha gettato così sul campo l’unica possibilità di sopravvivenza di cui dispone: invocare la continuità con il professore, quale dotta e sofisticata alternativa al corpaccione un po’ bifolco dei due principali partiti ai quali Udc e Fli si dichiarano alternativi. Una sorta di versione salottiera dell’antipolitica centrista. Possibilità che intorno a questa ipotesi i terzopolisti ottengano una maggioranza parlamentare? Zero. Lo sanno anche gli uomini di Casini e di Gianfranco Fini. Tra i (pochi) profeti di un improbabile straripamento elettorale delle “liste Monti” si segnala il filosofo ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari: «Una lista civica nazionale con Monti capolista potrebbe squinternare tutto il quadro politico, potrebbe raccogliere più voti del Pd o del Pdl», ha vaticinato qualche giorno fa. Il centrista che bocciava i tecnici Senza contare che il cromosoma tecnico non fa parte del patrimonio genetico dell’odierno centrista. Serve una prova? «Più che il liquidatore fallimentare di un regime moribondo, mi pare che il suo governo sia una sorta di commissariamento straordinario. Credo che sarà facile far capire agli italiani che non può essere un governo antipartitocratico quello che ottiene la fiducia dell’85 per cento (e forse più) dei presenti in Parlamento e, quindi, dei rappresentanti delle forze politiche. Il suo è un governo che, anziché tendere all’archiviazione di un sistema, cerca di garantirne la continuità». Non sono le becere parole di un leghista qualunque che sbraita contro gli scranni dell’esecutivo attuale. È la dichiarazione di voto di Fini registrata dagli stenografi della Camera il 7 maggio del 1993, quando l’allora deputato del Msi bocciò sonoramente il governo di Carlo Azeglio Ciampi, l’unico precedente di governo tecnico in qualche modo assimilabile all’esperienza di Monti. «Nel gioco del trono non ci sono alternative: o vinci o muori». La frase cult della sopracitata serie tv che spopola sulle due | | 17 ottobre 2012 | 21 INTERNI LINEA DI GALLEGGIAMENTO PARLAMENTO DA FINE IMPERO E a Palazzo sono spariti i peones Tutti a caccia di lavoro per il 2013 Un’ala del Pd preme perché il partito porti avanti l’Agenda Monti. Ma se non con Monti, con chi? Nelle foto sopra, i principali candidati alla guida della sinistra, Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi La variabile Montezemolo C’è la variabile Luca Cordero di Montezemolo, è vero. Ma è una variabile già logora, per via del morettiano dilemma del presidente della Ferrari: lo si noterà di più se viene alla festa e se ne sta in disparte o se non viene per niente? Un’indecisione che lo ha portato alla scadenza del tempo utile per presentarsi agli elettori sospinto dall’onda del nuovismo, costringendolo a flirtare con l’attuale premier come unico modo per non disperdere il patrimonio di Italia Futura e per distinguerlo dagli attuali partiti. Che il gioco di Montezemolo non sia lo stesso dei centristi è testimoniato dai (per ora unidirezionali) continui attestati di disistima che il leader dell’Italia dei carini (copyright Maurizio Crozza) ha destina22 | 17 ottobre 2012 | | to simpaticamente al Terzo polo. Ulteriore segnale del fatto che il Monti bis è più una manovra tattica che non un progetto organico di un insieme di forze. A proposito di tattica, l’argomento utilizzato da Casini & co. è anche un modo per strizzare l’occhio a chi, nel Pd, da mesi invoca la necessità di dare continuità all’azione dell’attuale governo. Principali sparring partner del leader Udc nel dar fiato alle stanche trombe del professore sono i quindici esponenti democratici che a luglio firmarono la cosiddetta Agenda Monti, un documento nel quale si chiede al segretario Bersani di impegnarsi a proseguire sulla strada tracciata dal professore. Non è un mistero che l’ambizione di Casini sia attrarre il maggior numero di democratici montiani nella propria orbita, magari grazie alla mediazione di qualcuno dei ministri che siedono al governo (Andrea Riccardi e Corrado Passera i prin- cipali indiziati). E se l’operazione potrebbe riuscire nel caso dell’irrequieta componente che fa capo all’ex ministro dell’Istruzione Beppe Fioroni, forse anche in quella del figliol prodigo Marco Follini, per tutti gli altri c’è poco da fare. Il gioco dei democratici montiani, infatti, è tutto interno al partito, e ben poco influiranno le aspettative centriste. O meglio, Pietro Ichino, Andrea Morando e Giorgio Tonini vorrebbero sì un avvicinamento all’Udc, scaricando magari Sel. Ma per contare di più all’interno di una compagine nella quale sono finiti a fare mesta opposizione al primo bersaniano passato di lì per caso. E ogni riferimento a Stefano Fassina è puramente casuale. Agenda Monti sì, dunque, magari insieme ai centristi. Ma giammai con Monti. I montiani del Pd vogliono un leader che contribuisca a cambiare gli equilibri interni al partito, uno che al momento della distribuzione delle cariche non dimenticherebbe mai di riservaNon è un mistero che l’ambizione di Casini re a loro la giusta considerazione. Un Matteo Renzi, insomma. sia attrarre il maggior numero di montiani Pietro Salvatori democratici nella propria orbita, magari segui “Le belle statuine”, il blog grazie alla mediazione di qualche ministro di Pietro Salvatori su tempi.it Foto: AP/LaPresse sponde dell’oceano ben si adatta alle prospettive di Fini e compagni. Per non soccombere all’ondata che minaccia di seppellirli, l’unico richiamo alla terzietà che abbia un minimo di appeal è la promessa di un bis del professore. Ottimo argomento da campagna elettorale di cui sarà facile sbarazzarsi a urne chiuse, quando si potrà tornare ad arraffare l’arraffabile. «A quanto pare sarà dura essere rieletti». «Ma quale rielezione, sto già cercando lavoro». Nei corridoi di Montecitorio il clima è già da day after. Tra i peones del Parlamento all’ansia di quel che sarà è subentrata la rassegnazione. Soprattutto nel centrodestra. Qualunque sarà la legge elettorale, qualunque sarà la scelta delle liste alle prossime politiche (una, due, dieci?), il corpaccione del Pdl sarà enormemente ridimensionato. Oggi sono 326, tra Camera e Senato, i deputati azzurri a Palazzo. Alcuni calcoli che girano da settimane stimano che la pattuglia verrà ridotta di circa un terzo. Solo l’ufficio di presidenza e l’inner circle di Berlusconi e Alfano contano più di cento dirigenti; aggiungi una manciata di volti nuovi coi quali rinfrescare le liste, e capisci che il margine di ricandidatura di molti onorevoli che hanno viaggiato nell’ombra in questi mesi è veramente esiguo. «È un clima da fine impero», spiega uno di loro. «Più passano le settimane, più le aule del Parlamento si svuotano. Altro che partecipare ai lavori: ognuno pensa a trovarsi un paracadute». La situazione emerge drammaticamente nelle commissioni. Nell’aula di una di queste, quattro persone stravaccate sulle poltrone stanno chiaccherando. Salve, che state facendo? «La prego di uscire, siamo in plenaria». Quattro persone su un totale che supera le quarantacinque unità. «Da queste parti ci sarà il pienone se e quando si voterà la legge elettorale», continua l’anonimo deputato. «Poi per un paio di settimane tutti ronzeranno come api intorno al miele davanti alle porte degli uffici in cui si decideranno le candidature. Ma si sa che le speranze sono poche». Già oggi, per incrociare tutti insieme una dozzina di occhi nei silenziosi corridoi del Palazzo, rimane un’unica possibilità. La buvette. [ps] INTERNI LA SOLITA «PREPOTENTE URGENZA» Prigionieri dell’ignoranza «Il giustizialismo unisce destra e sinistra nell’idea sbagliata che l’unica pena è dietro le sbarre». Le galere esplodono e Giovanna Di Rosa (Csm) chiede amnistia e misure alternative. Quelle che il ministro Severino si è impegnata a incentivare. Solo a parole A una fallace esigenza di sicurezza, che si coniuga con un concetto distorto del giusto e con la spettacolarizzazione della pena, le isituzioni italiane spesso usano il carcere per esigenze che hanno poco a che fare con la pubblica utilità. Per Giovanna Di Rosa, già magistrato di Sorveglianza a Milano e oggi membro togato del Csm, l’eguaglianza fra pena e detenzione è frutto di un ragionamento errato. Il carcere dovrebbe essere usato come ultimo rimedio. Investire sulle misure alternative garantirebbe sostenibilità ed efficacia al sistema penale. A sollecitare riforme in questo senso non ci sono soltanto l’emergenza del sovraffollamento e la presenza di metà della popolazione carceraria in custodia cautelare (quindi ancora in attesa di processo), ma anche le statistiche sulle recidive: a ritornare al crimine sono il 70 per cento dei carcerati a fronte del 20 per cento di chi ha ottenuto pene alternative. Ma al di là delle adesioni formali, poco o nulla è stato fatto perché il principio secondo cui il carcere è una extrema ratio sia realmente applicato. limentando nei cittadini Cosa ostacola l’applicazione di questo principio? Nessun investimento, norme contraddittorie e nessuna riforma coraggiosa della giustizia. Inoltre a spingere in una 24 | 17 ottobre 2012 | | direzione opposta al principio del carcere come ultimo rimedio c’è una cultura che risponde a un’esigenza trasmessa nel sentire collettivo dalle rappresentazioni della stampa, ma priva di fondamento. È il cosiddetto giustizialismo, che ha fatto avvicinare posizioni culturalmente opposte, a destra e a sinistra, che sulla questione carceri convergono in un medesimo discorso sulla giustizia omogeneo, superficiale, dove si ignorano i dati e le peculiarità del sistema penale. Secondo una statistica pubblicata qualche settimana fa, gran parte degli italiani sarebbe favorevole al carcere per gli evasori. Non crede che il largo consenso all’introduzione di nuove misure detentive possa prospettare un ostacolo anche alla necessità delle depenalizzazioni? Sono discorsi che rendono evidenti molte contraddizioni. Da una parte c’è l’esigenza, condivisa ma solo in senso formale, di depenalizzare certi reati; dall’altra la spettacolarizzazione della pena, attuata soprattutto in questi ultimi anni, spinge verso altri obiettivi. In generale, non si considera che oltre alla privazione della libertà, ci sono provvedimen- ti altrettanto incisivi, che in molti casi si rivelano meno dispendiosi e più efficaci. Per esempio, l’interdizione alle pubbliche funzioni o la sanzione pecuniaria. Non si comprende, non si vuole comprendere l’idea che la pena non è soltanto mandare chi ha violato le leggi “dietro le sbarre”. Attualmente “dietro le sbarre” ci sono più di sessantamila persone. Vivono in condizioni al limite. A disposizione hanno uno spazio medio inferiore a quello destinato ai maiali negli allevamenti intensivi. Dopo varie condanne da parte degli organi europei, anche il governo ha dovuto ammettere il problema. La scorsa settimana è stato il presidente delle Repubblica, accogliendo una delegazione dei 136 giuristi firmatari di una petizione in favore dell’amnistia (sottoscritta anche da Tempi), ad auspicare Qui sotto, l’interno del carcere milanese di San Vittore fotografato da Giorgio Mesghetz per la mostra Libertà va cercando, ch’è sì cara. Vigilando redimere (Meeting 2008). In basso, Giovanna Di Rosa (Csm) colosità sociale perché scatta automaticamente e ha portato a chiudere in carcere tantissimi che non lo meritavano. Il 40 per cento della popolazione carceraria è ancora in attesa di giudizio. I magistrati fanno un uso eccessivo della custodia cautelare? La situazione richiede un mutamento culturale e un’assunzione rinnovata di responsabilità anche della magistratura, che della custodia cautelare fa senz’altro ampio uso. Però bisogna ricordare che i comportamenti dei singoli magistrati si collocano in un contesto più ampio che risponde a un sitema normativo dove la sicurezza è sentita come prioritaria. L’attenzione politica è orientata al mantenimento di più ipotesi nelle quali la custodia cautelare deve essere assicurata. È prima di tutto questo sistema di norme non chiaro che tende ad aumentare il ricorso alla custodia cautelare. I magistrati non possono ricorrere anche in questo caso a misure alternative? Il giudice può concederle, strutturare le misure e aumentare il numero laddove ha un servizio di esecuzione penale esterna. Ciò significa: assistenti sociali, educatori, figure istutizionali che garantiscono il giudice. Il tallone d’Achille delle misure alternative sono il domicilio e il lavoro per chi non ce l’ha. Se una persona deve lavorare per vivere, non può farlo senza retribuzione o qualcuno che provveda al mantenimento. Risulta difficile applicare misure alternative se vi è una carenza di strutture organizzative sul territorio. un accordo delle forze parlamentari a riguardo. Dal presidente della Repubblica è arrivata una dichiarazione di supporto all’amnistia importantissima. Per quanto si tratti di un intervento tampone, per ragioni umanitarie, sarebbe indispensabile. Non c’è nulla di sorprendente. Periodicamente si è sempre arrivati a questo tipo di provvedimenti. Si tratta, senz’altro, di una misura estemporanea che pone il problema dell’adozione di misure coordinate che non diano luogo a una situazione episodica in un quadro dove non c’è un strategia complessiva sul sistema penale. A parte l’amnistia, quali interventi sono necessari per sanare stabilmente la situazione delle carceri italiane? La discussione deve partire dal sistema penale e non dal carcere. È l’organizzazione della pena che deve essere cambiata. Il principio è quello di individuare la giusta pena e non il “giusto carcere”. Il numero di detenuti dimostra invece che attualmente il carcere non è considerato come residuale al sistema della pena, ma coincide con la pena. In realtà, sono pochi i detenuti colpevoli di reati di reale allarme sociale e la maggior parte non è pericolosa. In termini pratici, bisognerebbe intervenire da subito, effettuando una scrematura della popolazione carceraria, partendo dai molti arrestati per reati bagatellari, in carcere a scontare tre, quattro, cinque mesi. La svuota-carceri è stata un fallimento? È una legge a termine, adottata in attesa dell’attuazione del piano straordinario penitenziario e della riforma complessiva del sistema delle misure alternative. Ha gli stessi problemi di tutti gli interventi timidi e non coerenti di questi anni. Bisogna affrontare una riforma organica. Oltre a incentivare le misure alternative, è necessario procedere con le depenalizzazioni, e infine ripensare alla legge sulla recidiva, che non consente accertamenti sulla peri- Il ministro della Giustizia Paola Severino ha dichiarato di volere promuovere l’uso delle misure alternative al carcere. In che modo è possibile farlo? Innanzitutto è necessario che le dichiarazioni si accompagnino agli investimenti. Ma attualmente gli operatori che seguono l’esecuzione penale esterna sono quelli con l’organico più lacerato e più ridotto e i tagli si muovono nel contrasto delle misure che si afferma voler promuovere, colpendo quindi soprattutto le misure alternative. In questo quadro non so proprio come potrà essere applicata e a chi la messa alla prova in discussione. Quale cultura può stare alla base di una politica della giustizia efficace? Una cultura impostata sui valori di solidarietà e apertura, che crede al cambiamento dell’uomo. Inoltre sarebbe più d’aiuto ricorrere ai pareri degli operatori e all’aiuto delle istituzioni locali, al posto di attuare iniziative estemporanee che poi si traducono in norme che si stratificano in un sistema impazzito. Francesco Amicone | | 17 ottobre 2012 | 25 IL NOSTRO UOMO A PALAZZO UNA SOLUZIONE ALLA RUSSA CHE PIACERÀ A GRAMELLINI Quando si inneggia alla galera è ora di instaurare la junta judicial di Renato Farina Cedo volentieri la parola, essendo il qui presente firmatario piuttosto agitato, al mio avatar Boris Godunov, vecchio rivoltoso e zar russo. Vai avanti tu, Boris… C ari italiani, vi propongo una soluzione russa molto equilibrata. Quando presi la ca- BORIS GODUNOV drega di zar, prima di essere fatto fuori (càpita ai rivoluzionari), unificai i vari poteri nella mia persona. Uno solo batte moneta, uno solo fa le leggi, uno solo dà ordini al boia per allestire la forca: io. In Italia vedo che c’è una categoria di eminenti cittadini aspiranti a unificare in sé queste incombenze. Trattasi dei signori magistrati, almeno la loro ala più brillante e volitiva. Smontano giunte, nominano amministratori di banche e commissari di acciaierie; inoltre determinano con mosse educatrici il Parlamento perché si conformi alle loro idee pedagogiche per il popolo; infine erigono forche ad libitum, ci appendono con oculata selezione anche quanti ancora non sono stati condannati, tanto per inco- “Dai giudici un messaggio alla raggiarli a collaborare. Allora, dico: italiani, consegnate i tre poteri Casta”, titola la Stampa. Ma il – legislativo, esecutivo, giudiziario – a uno solo, e se proprio non ne messaggio qui non è quello che si fa trovate uno solo, almeno a una bella squadretta con la toga, che per l’occasione sarà dotata di scettro e corona di lauro. Una bella jun- con i telefonini. Ha l’esecutività ta né militar né civil, nessuno spreco di colonnelli greci o banchie- delle manette e l’autorità della cella ri svizzero-inglesi: una junta judicial o come diavolo si chiama. Non democrazia, ma demokratjia, una roba alla russa. Mi hanno condotto a questo pronunciamento, non solo la generale considerazione del fragile assetto del mondo, ma un giorno preciso e vari articoli precisi, usciti su un giornale preciso: la Stampa di Torino, che non è solo Fiat, ma molto di più. È la linea di Zagrebelsky nel diritto e nella filosofia, quella secondo cui fuori dai tribunali, se non si è coperti dal manto dell’azionismo, non si è degni del consesso civile. Ed è il puritanesimo col culo degli altri oggi espresso dall’uomo dotato di una specie di tosatore delle anime altrui, Massimo Gramellini, il quale batte sempre molto volentieri il pugno sul petto degli altri. Ecco, sulla Stampa, proprio il 4 ottobre, ce- Così il 4 ottobre la Stampa lebrazione del Poverello di Assisi, patrono d’Italia, si festeggia la detronizzazione di ha celebrato «la cannonata» Francesco e l’ascesa irresistibile del Nuovo Principe. Il Nuovo Principe o Zar della de- della condanna a dieci anni comminata dal tribunale di mokratjia è la Togheria, la Giustizieria, Mater et Magistra. Il titolo di prima pagina Milano a Piero Daccò, il doppio dopo arresti e condanne che lambiscono la politica è questo: “Dai giudici un messag- della pena richiesta dai pm gio alla Casta”. Il messaggio in questo caso non è come quello che si fa con i telefonini, o come quello del capo dello Stato per l’amnistia a cui il Pd risponde cippirimerlo. Qui il messaggio ha l’esecutività delle manette e l’autorità della galera. Altro articolo, sempre sulla Stampa, firmato da Paolo Colonnello, dove si spiega la condanna a dieci anni per Piero Daccò, il doppio di quanto chiesto dai pm. «Di certo la decisione del giudice viene letta in Procura come un segnale assai rigoroso di come i tribunali non intendano più transigere sugli sperperi di denaro pubblico che ormai si ripercuotono a livello sociale». Interessante. C’è anche un messaggio colto dalla Procura (visto che è noto che pm e giudici proprio non si parlano): avanti, più cattivi stavolta, il popolo soffre, e noi magistrati siamo il loro vero protettore. Ma sì, italiani, nominateli Zar: poi qualcuno scriverà Cimiteri sotto la luna. Twitter: @RenatoFarina | | 17 ottobre 2012 | 27 ESTERI VERSO LA SECESIÓN? Recessione, deficit, spread alle stelle. Madrid sprofonda e gli indipendentisti si fanno sempre più forti. Così le elezioni nei Paesi Baschi e in Catalogna rischiano di disintegrare il regno di Juan Carlos. E l’Unione Europea sta a guardare 28 | 17 ottobre 2012 | | B arcellona, 11 settembre 2012. Si celebra la Diada, la festa ufficiale della Catalogna, nella quale si commemora la presa di Barcellona nell’anno 1714 – durante la Guerra di successione spagnola – da parte delle truppe borboniche comandate dal duca di Berwick, e con essa l’abolizione delle leggi e delle istituzioni proprie della Corona di Aragona, a cui apparteneva questo territorio. Tutti gli anni la Catalogna ricorda questo giorno con una esaltazione patriottica piena di rivendicazioni nazionaliste. Ma quello che è accaduto quest’anno è andato molto, molto più lontano. Si prevedeva che avrebbe partecipato più gente del solito, ma la realtà ha superato ogni aspettativa. Si è trattato di un’adunata storica, che ha occupato più di tre chilometri delle arterie centrali della capitale catalana. Alla testa della manifestazione c’era uno striscione che non lasciava spazio a dubbi: «Catalogna, nuovo Stato d’Europa». Al di là della guerra delle cifre sul numero dei partecipanti – fra i 600 mila e Foto: AP/LaPresse Se si rompe la Spagna da Madrid Lartaun De Azumendi Sotto e a sinistra, un momento della Diada, la festa ufficiale della Catalogna. In basso e a destra, una manifestazione a Bilbao contro la sentenza di carcerazione a un presunto membro dell’Eta LA POSIZIONE DELLA CHIESA Foto: AP/LaPresse LA CONFERENZA EPISCOPALE «Le proposte di Artur Mas non tengono conto della nostra storia» Doccia fredda della Chiesa cattolica sull’indipendentismo catalano. Il 4 ottobre la Commissione permanente della Conferenza episcopale spagnola ha emesso una dichiarazione nella quale si legge: «Non si potrebbe capire nessuno dei popoli o delle regioni che fanno parte dello Stato spagnolo così come sono oggi, se non avessero fatto parte di una lunga storia di unità culturale e politica di questa antica nazione che è la Spagna. Proposte volte alla disintegrazione unilaterale di questa unità ci provocano grande inquietudine». Artur Mas è avvisato. il milione e mezzo di persone – la verità è che, per la prima volta dalla fine del franchismo, un grandissimo numero di catalani ha chiesto apertamente scendendo in strada l’indipendenza dalla Spagna. Il giorno seguente, il presidente della Generalitat catalana, Artur Mas, ha fatto sua la causa della manifestazione e si è presentato davanti ai media per dire, con un discorso nuovo, che la Catalogna «ha bisogno di uno Stato proprio». Quali motivi hanno fatto sì che centinaia di migliaia di catalani si siano riversati nelle strade per chiedere l’indipendenza in uno dei momenti più difficili che la Spagna sta attraversando negli ultimi anni? Questa è la domanda che si sono fatti molti spagnoli all’indomani dell’avvenimento. Perché non va dimenticata la congiuntura in cui si trova la Spagna: sul punto di chiedere un salvataggio finanziario, in cammino verso i 6 milioni di disoccupati, con uno spread sui titoli di Stato tedeschi che non scende sotto i 400 punti base, bersaglio designato di tutti i mercati. E a tutto questo si aggiunge l’entrata in vigore di un duro pacchetto di rifor- me e di tagli: aumento delle imposte dirette e indirette, introduzione di nuove tasse, una dura riforma del mercato del lavoro, diminuzione dei salari della funzione pubblica, eliminazione degli sgravi fiscali, eccetera. Perché emerge proprio ora con tanta intensità il problema catalano? Non sarebbe più importante adesso offrire una immagine di unità per evitare un’ulteriore punizione da parte dei mercati? Sull’orlo della bancarotta Il punto focale della crisi va situato nell’economia. La Catalogna è attualmente la Comunità più indebitata di Spagna, con un debito che supera i 42 miliardi di euro. Per far fronte alle scadenze di pagamento, la Generalitat ha chiesto 5.023 milioni al Fondo di liquidità delle autonomie istituito dal governo spagnolo per aiutare le Comunità autonome. Questo è avvenuto dopo che l’esecutivo di Artur Mas ha messo in atto una politica di forti tagli concentrati nella sanità e nell’educazione, con misure molto discusse come riduzioni degli stipendi dei funzionari. Il fatto che una delle Comunità più ric- che di Spagna sia sull’orlo della bancarotta ha varie spiegazioni, fra cui la cattiva gestione del precedente governo, guidato dal Partito socialista di Catalogna, che ha fatto esplodere il debito nei suoi otto anni di governo. Però molti catalani, anche riconoscendo questo spreco, danno la colpa dello squilibro dei conti al sistema di finanziamento delle autonomie in vigore in Spagna. Grosso modo, lo Stato spagnolo incassa una determinata quantità di denaro in ogni Comunità in funzione dei redditi, e poi la ripartisce fra tutte le regioni in virtù delle loro necessità specifiche. Si crea così una forma di “solidarietà interterritoriale” che fa sì che alcune Comunità apportino allo Stato più di quello che ricevono in investimenti. Con questo sistema, secondo il governo catalano, la Catalogna risulta sempre svantaggiata. Il “deficit fiscale” che soffre questa regione presuppone un contributo alle entrate dello Stato molto superiore a quanto esso spende in Catalogna. Per la precisione, dicono, i catalani stanno contribuendo al 19,5 per cento delle entrate dell’amministrazione centrale della Previdenza sociale, | | 17 ottobre 2012 | 29 ESTERI VERSO LA SECESIÓN? L’11 settembre scorso migliaia di indipendentisti hanno sfilato per le strade di Barcellona Lo scontro con Rajoy Sull’onda di questo malessere per il deficit fiscale, l’attuale partito di governo in Catalogna, Convergència i Unió, si presentò alle passate elezioni con una proposta di patto fiscale con cui questo territorio vuole raccogliere e gestire tutti i tributi in proprio, mediante un’Agenzia tributaria propria, per poi compensare lo Stato spagnolo per i servizi che questo presta. Una settimana dopo la Diada dell’11 co, docente di Storia dell’Università Comsettembre, Artur Mas è andato alla Mon- plutense di Madrid, affrontava in un’incloa col suo patto fiscale sotto il braccio. tervista radiofonica alla Cadena Ser una Lì si è incontrato con un Mariano Rajoy, questione fondamentale: il ruolo che svoldialogante ma duro: il capo del governo ge l’Unione Europea in questa faccenda. non crede nel patto fiscale e non ha mar- Che cosa sta succedendo? Perché in un gini per renderlo effettivo. Non ci sono momento in cui il ruolo degli stati-naziorisorse per affrontare un cambiamento ne è sempre più ridotto e si tende a strutnel sistema di finanziamento delle auto- ture più ampie come è il caso dell’Unionomie coi costi che questo implicherebbe, ne Europea, i nazionalismi sono in auge? quando quasi non ci sono soldi per pagare La crisi economica ha fatto sì che buona i servizi di base. Poco dopo quell’incontro, parte della popolazione spagnola cessi di Artur Mas ha annunciato elezioni anti- vedere nell’Europa un progetto desideracipate per il 25 novembre, due anni pri- bile e la identifichi come un insieme di ma del previsto. Il suo partito si presente- burocrati che le ha strappato la sovranirà con un programma che include l’obiet- tà e, con essa, la democrazia, e che vuole tivo di convertire la Catalogna in un nuo- decidere il futuro delle loro vite. vo stato europeo. Tutta questa successione di avvenimen- Cosa c’è in gioco ti solleva molti interrogativi. In primo luo- È innegabile che la questione catalana e go in Spagna, poiché la Costituzione spa- il dibattito sulla forma di Stato sono sorti gnola non ammette questa possibilità. In nel momento peggiore. È scoppiata fra le secondo luogo nella Unione Europea, dal mani a Rajoy nel momento in cui sta negomomento che il Trattato europeo non con- ziando coi partner europei un salvataggio templa la secessione unilaterale di un ter- da cui dipende il futuro del paese. Come se ritorio da uno Stato membro. La Catalo- non bastasse, il principale partito di oppogna continuerebbe a far parte dell’Unio- sizione, il Psoe, si è aggiunto a questa polene? E da ultimo anche in Catalogna. Secon- mica avanzando una proposta per introdo quanto ha dichiarato a El País Juan José durre in Spagna un modello federale, proRubio, docente di Finanza pubblica, «la prio quando mancano poche settimane Catalogna non avrebbe la capacità di gene- alle elezioni – il prossimo 21 ottobre – in rare risorse sufficienti per farsi carico degli due comunità autonome con forte presenstipendi pubblici per almeno uno o due za nazionalista, la Galizia e i Paesi Baschi. Precisamente, nel paese basco (storicaanni, e non potrebbe evitare l’insolvenza se non facendo ricorso a un salvataggio mente l’anello debole dell’unità spagnofinanziario, ma dovrebbe rivolgersi fuori la) Bildu, un partito apertamente indipendentista e con membri collegati alla bandalla Spagna e sarebbe difficile». Tuttavia centrare il dibattito catalano sul mero Bildu, un partito indipendentista e con fatto economico o sulle possibilità di sopravviven- membri collegati alla banda terrorista za del nuovo stato, sarebbe dell’Eta, ha la possibilità di vincere le elezioni riduttivo. José Álvarez Jun- o comunque di ottenere risultati straordinari 30 | 17 ottobre 2012 | | da terrorista dell’Eta, ha la possibilità di vincere le elezioni, o per lo meno di ottenere dei risultati straordinari. Fino a questo momento, il Partito nazionalista basco (Pnv), – più moderato, tradizionalmente maggioritario e probabilmente quello che sarà più votato – si è mostrato cauto al momento di parlare di indipendenza, forse a motivo di una strategia elettorale per tornare al governo. Non c’è invece alcun dubbio che il Partito socialista basco al governo della regione ha le ore contate, dal momento che i partiti nazionalisti cresceranno notevolmente. Allo stesso tempo, non bisogna dimenticare che i terroristi dell’Eta hanno proclamato una tregua e sono molto indeboliti, ma la minaccia della violenza non è finita, almeno definitivamente. È pertanto una grossa novità che il cosiddetto “problema basco” preoccupi ora molto meno che la possibile frattura che potrebbe causare la perdita di una regione storicamente meno problematica per la Spagna, come è stata la Catalogna. Nessuno può prevedere cosa succederà nei prossimi mesi, ma è chiaro che questa crisi economica produrrà una trasformazione sociale in Spagna molto profonda. Così come gli spagnoli non possono banalizzare quello che succede in Catalogna e ridurlo a una questione monetaria, l’Unione Europea non dovrebbe trascurare tutti questi avvenimenti che si stanno producendo in Spagna. È in gioco molto più che la disintegrazione di uno Stato. Il crollo di questo paese metterebbe in dubbio in tutto il mondo ciò che l’Europa ha rappresentato fino a oggi: un modo di intendere la società che affonda le sue radici nell’eredità greco-romana e nell’umanesimo cristiano e che ha configurato il divenire della nostra storia comune. n Foto: AP/LaPresse mentre ricevono solo il 14 per cento di tutte le risorse. La cosa sicura è che molti catalani hanno creduto a questo discorso vittimista e in epoca di crisi si sono uniti all’appello indipendentista. ESTERI IL JIHAD SI È FERMATO A TOUBA Il leader dei sufi muridi spiega la sua religione più attenta alle persone che ai precetti o alle guerre sante. E attacca salafiti e Fratelli Musulmani: «Sono gruppi nati per prendere il potere. Ora che ce l’hanno lo useranno come i loro predecessori» 32 | 17 ottobre 2012 | | «L Foto: AP/LaPresse Il mio islam combatte per la pace di conoscenza e di cuore. Ma se non interviene lo Spirito, la conoscenza non è piena e nel cuore prevalgono le passioni e gli interessi personali. Allora il dialogo fra chi ha una religione diventa impossibile, si manifestano le differenze e ci sono gli scontri». Chi parla così è Serigne Mame Mor Mbacké, un religioso musulmano senegalese. Eppure le sue parole suonano poco islamiche a chi si è fatto un’idea dell’islam sulla base delle fatwe di un Qaradawi rilanciate da Al Jazeera, dei pronunciamenti dell’università cairota di Al Azhar o dell’intransigentismo dei salafiti dei vari paesi nordafricani. Il fatto è che Serigne Mbacké è un marabutto sufi, alto responsabile dei muridi. I marabutti sono asceti musulmani dell’Africa occidentale; i sufi sono i mistici islamici, soppiantati nella maggior parte dell’Umma (i paesi a dominante islamica) nel corso dei secoli dai giuristi, dal potere politico e militare e dai jihaa religione è questione Foto: AP/LaPresse Sotto, il marabutto sufi Serigne Mame Mor Mbacké, alto responsabile dei muridi, a capo dell’Università Ahmadou Bamba di Touba, Senegal. Nel paese i sufi conoscono una fioritura che dura da più di 40 anni (a lato, una scuola coranica a Dakar). È in gran parte merito loro se in molte nazioni dell’Africa subsahariana l’islam politico non ha preso il sopravvento (sopra, i violenti moti antioccidentali organizzati nelle settimane scorse nel mondo arabo) disti. E i muridi, infine, sono la più importante confraternita sufi di tutta l’Africa occidentale, fondata nel 1883 dal venerato sceicco Ahmadou Bamba (1850-1927): circa tre milioni di senegalesi ne fanno parte. Se in Senegal e in altri paesi dell’Africa subsahariana i jihadisti e più in generale la versione politico-ideologica dell’islam non sono ancora penetrati in forze – diversamente da quanto è accaduto in Somalia e nel nord del Sudan e della Nigeria – il merito è soprattutto loro. Perché l’islam di cui le confraternite sono portatrici è radicato nella terra della cultura africana, predica la santificazione attraverso il lavoro anziché attraverso la guerra santa, è fondato sulla densità del rapporto maestro-discepolo anziché sui legalismi o sulla dedizione a parole d’ordine, dà la precedenza alla venerazione di santi che hanno calpestato la polvere di questa terra anziché alla sacralizzazione di una parola astratta discesa dal cielo. Per questo i gruppi islamisti come i Fratelli Musulmani non considerano i sufi dei veri islamici e i salafiti li combattono attivamente, distruggendo i loro mausolei e attaccando i loro esponenti in Somalia, Egitto, Libia e Tunisia. Ma mentre nel Nordafrica i sufi sono sulla difensiva e nel Corno d’Africa resistono facendosi imitatori, in qualche misura, dei loro avversari, in Senegal conoscono un’epoca di fioritura che dura da più di quarant’anni. Con tutti i loro petrodollari, con le borse di studio pagate agli studenti senegalesi per farli trasferire nelle università arabe e i finanziamenti agli imam locali, le monarchie del Golfo non sono riuscite nemmeno a scalfire gli assetti dell’islam indigeno. Le spiegazioni sono molteplici, ma una sembra pesare più di tutte. Le confraternite senegalesi e in particolare quella muride (ma ce ne sono anche altre tre: tidjani, qadiri e layenne) non sono solo ambiti di meditazione mistica e di rapporto personale con Dio: sono anche luoghi di integra- zione sociale e solidarietà umana, di identità collettiva e di sicurezza esistenziale, di mutualità e di opportunità e scambi economici. Sia nella dimensione verticale del rapporto maestro-discepolo, sia in quella orizzontale delle dahira e delle daara, le comunità rispettivamente rurali e cittadine di muridi sottomessi allo stesso marabutto. Il muridismo coinvolge la persona interamente, non lascia fuori nulla e per questo il senso di appartenenza che le conferisce è particolarmente forte. Attorno al rapporto marabutto-muride (il discepolo riconosce il carisma del maestro e gli versa una quota dei proventi del suo lavoro, il maestro gli fornisce assistenza spirituale ma anche aiuto negli aspetti pratici della vita) si crea un tessuto comunitario che né l’individualismo occidentale, né l’islamismo che trasforma la religione in ideologia socio-politica possono strappare. Dichiarava recentemente Abdou Ahad Mbacké, presidente di una delle commissioni che organizzano il grande Magal, la celebrazione che commemora la partenza di Ahmadou Bamba per l’esilio a cui lo condannarono le autorità coloniali francesi nel 1895, a proposito degli avvenimenti nel nord del Mali, dove Al Qaeda e altre formazioni jihadiste hanno preso il potere: «Se mai lo Stato oppure organizzazioni che arrivano da fuori rendessero fragili le nostre confraternite e il loro ruolo di regolatori sociali, quegli stessi islamisti che occupano il Mali settentrionale svilupperebbero le loro idee qui, e getterebbero il nostro paese nel caos. In tutti i paesi nei quali il fenomeno islamista prospera, ciò avviene perché le popolazioni non hanno punti di riferimento, non hanno guide religiose originarie del posto che li orientino verso un islam pacifico». Serigne Mame Mor Mbacké, presidente dell’Università Ahmadou Bamba di Touba (la città santa dei muridi) e responsabile internazionale delle comunità muridi sparse nel mondo, è stato recentemente in Italia a ritirare il Premio Leonardo Melandri per il dialogo fra le religioni abramitiche. L’intervista che ha concesso a Tempi getta luce sullo spirito di questa confraternita sufi. Sceicco, il muridismo ha quasi 130 anni, eppure sembra essersi adattato molto bene alla modernità. I muridi restano persone molto religiose anche quando emigrano dalla campagna alla città o addirittura all’estero, come succede a tanti senegalesi. Qual è il segreto di questa persistenza? La risposta a questa domanda non è semplice, ed è teologica. Quando il | | 17 ottobre 2012 | 33 ESTERI IL JIHAD SI È FERMATO A TOUBA venerato Ahmadou Bamba ha creato il muridismo, esistevano già altre religioni. Il suo messaggio è stato che la religione deve essere impregnata di tolleranza, non deve essere occasione di scontro. Si tratta di un modo di vivere, di comportarsi, quindi può essere attuato da chiunque e ovunque, in tutti i tempi e in tutti gli ambienti. Anche sul continente africano il muridismo e le altre confraternite sufi hanno resistito bene fino ad oggi all’ondata islamista proveniente dal mondo arabo. Cosa vi ha permesso di durare? L’estremismo è una cosa che sfigura la religione. Salafiti e Fratelli Musulmani hanno esagerato. Tutto quello che fai perché ci credi, puoi mostrarlo a tutti senza imposizioni e senza conflitti. Invece loro non agiscono con misura, per questo le loro azioni non sono ben viste. In paesi africani diversi come la Somalia, la Libia e l’Egitto gruppi salafiti hanno attaccato i mausolei sufi, distrutto tombe di santi, impedito concerti di musica sufi. Si è trattato di musulmani che hanno assalito i simboli religiosi di altri musulmani. Cosa pensa di questo? La religione ha una parola soltanto di verità. Se vediamo alcuni che attaccano altri credenti che si dedicano sinceramente alla religione, questo significa che la cultura e le idee personali si sono mescolate alla fede. Se la fede è pura, non possono sorgere contese. È soltanto perché intervengono interessi personali che si creano dei problemi. Chi fa queste cose dimostra di non credere veramente alla religione che dice di professare, perché non si può credere e fare il contrario di quello che la religione prescrive. Non è la retta lettura dell’islam, è l’interpretazione che loro vogliono imporre. Il mondo arabo è stato attraversato da sviluppi molto importanti, prima con quella che è stata definita la Primavera araba e poi con l’ascesa al potere di partiti legati ai Fratelli Musulmani in Egitto e in Tunisia. Si tratta di cambiamenti in meglio o in peggio? Sono cambiamenti che riguardano strettamente la politica, non la religione. Quelli che lei ha citato sono movimenti nati per accedere al potere. E adesso che sono al potere non faranno niente di diverso da quello che i loro predecessori facevano per la popolazione. In tutto il mondo musulmano ci sono state proteste contro il film blasfemo 34 | 17 ottobre 2012 | | IL RICONOSCIMENTO A Serigne Mbacké il Premio Melandri 2012 per i fautori del dialogo fra i culti abramitici Un anno fa era toccato all’allora ministro degli Esteri Franco Frattini ricevere il neonato premio Leonardo Melandri per il dialogo fra le religioni abramitiche promosso dalla Fondazione Museo interreligioso di Bertinoro, località delle colline forlivesi famosa per il buon vino e per le testimonianze architettoniche medievali; quest’anno è stata la volta di Serigne Mame Mor Mbacké, responsabile internazionale della confraternita muride e presidente dell’Università Ahmadou Bamba di Touba. L’alto esponente della più importante comunità musulmana del Senegal ha ricevuto il premio dalle mani del presidente Roberto Melandri nella suggestiva cornice della Sala affrescata della Rocca vescovile, una delle più antiche residenze episcopali italiane, trasformata in Centro residenziale universitario dell’Università degli Studi di Bologna e in Museo delle tre religioni monoteiste per iniziativa del vescovo emerito di Imola monsignor Giuseppe Fabiani (nativo di Bertinoro) e del forlivese senatore Leonardo Melandri (deceduto nel 2005). Il museo è una realtà unica in Italia: riunisce oggetti sacri delle tre fedi abramitiche insieme a espressioni artistiche classiche e contemporanee che spaziano da Rembrandt a Francesco Messina a Giacomo Manzù a Floriano Bodini. Oltre alla premiazione la giornata, che si è svolta grazie al contributo della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e alla collaborazione della cooperativa Cim Onlus di Forlì, ha proposto una performance musicale e recitativa condotta dal regista e direttore artistico del Teatro Elsinor di Milano Franco Palmieri. Un concerto dal titolo Mettere a fuoco Dio ha visto alternarsi canto corale cristiano e della tradizione sufi, il primo interpretato dal coro “Mulino Mistico” diretto dal maestro Paolo Bacca e il secondo dal coro muride “Kurel”. L’esecuzione dei brani è stata intervallata dalla lettura di brani poetici, scelti dal poeta e scrittore Davide Rondoni e recitati dall’attrice e presentatrice Barbara Sirotti. [rc] Il marabutto Mbacké in visita al Museo interreligioso di Bertinoro (Fc) nel giugno scorso perché limita la libertà di coscienza. Lei che ne pensa? girato in America che irrideva Maometto, spesso violente. C’è troppa libertà di espressione in Occidente? Che pensa di questi avvenimenti? Non è la prima volta che si registrano violenze come quelle accadute poco tempo fa. Questo avviene perché troppi falsi credenti usano la religione per i loro scopi. I veri credenti non ricorrerebbero mai alla violenza. Prendiamo le distanze dai manifestanti violenti ma anche dalle provocazioni. Ciascuno deve rispettare la religione dell’altro. Non siamo d’accordo con chi fa film come quello, ma nemmeno con chi reagisce con la violenza. L’Occidente è sotto accusa perché la libertà di espressione sfocia nella blasfemia, mentre l’islam è sotto accusa Chi aderisce a una religione coscientemente e poi ne esce, dimostra di non essere una persona onesta. Nessuno può essere forzato a credere a una religione o a un’altra, ma bisogna rispettare la scelta compiuta. La condanna non dipende dal fatto che uno lascia una religione, ma dalla sua mancanza di onestà. Se una persona afferma di non credere in nulla, nessuno ha il diritto di punirlo, perché in lui non c’è mai stata fede. I muridi hanno creato un sistema di scuole in Senegal e ora hanno iniziato anche un’università. Che tipo di educazione viene offerta agli studenti? Insegniamo la religione ma anche la scienza e la tecnologia. Ci sono studenti che vengono per ricevere una formazione religiosa, e altri che sono interessati piuttosto alle materie scientifiche e tecniche. Accettiamo gli uni e gli altri. Il Comitato scientifico dell’università è composto da persone dei cinque continenti perché vogliamo avere un profilo internazionale. Rodolfo Casadei esteri nude alla meta Mostra la cosa giusta Le sedicenti nuove leve del femminismo apparecchiano la rivoluzione in topless. Storia di un esibizionismo travestito da avanguardia che deve tutto a una solida certezza: ci sono due (sodi) argomenti che si cliccano sempre N 2009 la nona edizione del Grande Fratello si arricchiva di Cristina Del Basso. Professione: barista. Segni particolari: sesta misura di reggiseno. Al davanzale prosperoso della concorrente s’affacciò un intero paese, al punto che Beppe Severgnini (ognuno ha i profeti culturali che si merita) rifletteva sulle colonne del maggior quotidiano italiano: «Certo: abbiamo perso stile — Cristina nella doccia del Grande Fratello al posto di Silvana Mangano nelle risaie, sotto lo sguardo competente di un cavallo — ma abbiamo guadagnato dimensioni. Il resto è uguale». La notizia prontamente diffusa dal Beppe nazionale era che tornavano di moda, nientemeno, le tette. Una parola vergognosa e impudente, ché oggi si preferisce girarci intorno in punta di penna tra decolleté, seno e generiche forme generose. Invece quelle della signorina Del Basso (nata con una quarta e presto decisa a equipaggiarsi con due taglie in più) erano proprio tette nel vero senso della parola. Enormi, esagerate, rotonde e sfacciate tette. Se nelle sue tasche fosse andato un centesimo a ogni visione del video in cui si faceva la doccia strizzandosi il pezzo sopra del costume dentro la casa di Cinecittà, la signorina oggi sarebbe milionaria. 36 el rigido inverno del gennaio | 17 ottobre 2012 | | Metà paese con la bocca aperta, l’altra metà inchiodata a una delusione cocente: anni a tirare su mariti e figli maschi e poi basta un niente a ritrovarseli inebetiti davanti alla televisione. «Topless è libertà, libertà dal controllo patriarcale della società». Anna Gutsol, leader storica di Femen, il Venerdì di Repubblica Si chiamano Femen e a loro, non meno che a Cristina Del Basso, i siti di mezzo mondo sono in debitori di valanghe di click. Vuoi vedere come si combatte per i diritti delle donne al giorno d’oggi? Clicca qui. La fotogallery si compone di decine di bellezze bionde e longilinee (anche se loro assicurano di aver reclutato anche un’obesa, una 64enne e di non disdegnare l’ingresso degli uomini), coroncina di fiori in testa, capelli sciolti sulle spalle e seno all’aria. Wikipedia gli attribuisce l’obiettivo di «incrementare le capacità intellettuali e morali delle giovani donne in Ucraina» e modificare l’immagine del loro paese all’estero da meta di turismo sessuale a paese democratico. In realtà negli anni hanno esposto le loro grazie per i temi più disparati, dall’aumento del prezzo del gas alla rivolta contro Mubarak. Di recente hanno aperto un quartier generale a Parigi dove terranno un corso di rivolta in topless. «All’inizio, le performance le facevamo vestite: non se ne accorgeva nessuno». Inna Shevchenko, la Stampa Nel marzo 2010 protestavano contro il premier Nikolai Azarov, colpevole di non aver nominato ministri donna. Femen ha risposto con un invito a mogli e fidanzate dei membri del governo a boicottarli sessualmente. Tanto per mettere in chiaro qual è la lista delle priori- Foto: AP/LaPresse «Quando uscivo con i primi orribili corteggiatori, mia madre mi pregava: non mettere gli occhiali, se no pensano che leggi e sei istruita e non ti vogliono più». Natalia Aspesi, il Venerdì di Repubblica Le parole delle leader di femen Il movimento ha aperto un centro a Parigi Femen a parte, è vero, alla donna ucraina in genere piace vestirsi sexy, ma ciò non significa che sia disponibile o di facili costumi. I nostri “sex attacks” sono impegnativi. Per noi, il topless è un’uniforme. Inna fornisce alle militanti consigli come: «Togliersi la maglietta nel minor tempo possibile e girarsi subito a favore dei fotografi» Potremmo persino accettare di fare la copertina di Playboy Foto: AP/LaPresse Attraverso la nudità controlliamo i nostri corpi tà e chi la compila. Non è raro che nelle famose fotogallery delle loro azioni i poliziotti chiamati a ricoprirle e fermarle siano più imbarazzati che decisi. L’abilità delle ragazze (quella che insegneranno nel centro di addestramento a Parigi) è proprio quella di sfruttare il momento di disorientamento del maschio prevaricatore e uomo d’ordine per arrivare diritte al punto: farsi fotografare per il bene delle causa. Nel tempo hanno scoperto che c’è bisogno di loro e delle loro tette anche fuori dai confini patrii. «Oggi ci sembra più urgente lasciare per un po’ da parte il nostro paese e dedicarci al vostro», confidavano nell’ottobre scorso al Fatto Quotidiano durante la missione italiana apparecchiata contro «il peggiore fra tutti, anche peggiore di Bill Clinton. Il vostro premier Silvio Berlusconi». Viaggiando dall’Italia alla Francia (non credevano che lì ci fosse bisogno di loro, poi il caso Dominque Strauss-Kahn gli ha aperto gli occhi), le ragazze hanno sco- perto un’indole rottamatrice degna della miglior tendenza politica contemporanea. Combattere il maschio mostrandogli nudità di cui non può disporre a suo piacimento, va bene. Ma perché non approfittarne per sistemare i resti di un femminismo vetusto? «Il vecchio femminismo, fatto di conferenze e cortei, non funziona più. Noi siamo il futuro», ha detto una delle leader del movimento in un corposo (e ovviamente illustrato) articolo su Repubblica pochi giorni fa. «Se “io sono mia”, non ho solo la libertà di abortire, ma anche quella di sfilarmi la maglietta e farmi fotografare a petto nudo per le strade». Michela Marzano, la Repubblica «Vedere delle donne che usano allegramente, anche se rischiosamente, il proprio corpo per sbeffeggiare il potere ha un che di liberatorio, specie dall’osservatorio italiano» Chiara Saraceno, la Repubblica Al netto di qualche circostanziata perplessità, la nuova frontiera della lotta sembra non dispiacere alle donne pensanti. Perché è vero che «né le Femen né le Pussy Riot sono artiste sofisticate come quelle dell’avanguardia femminista» (Chiara Saraceno), ma pare ci sia qualcosa di attraente e inspiegabilmente nuovo nello «svestirsi non per essere guardate ma per farsi ascoltare» (ancora Anais Ginori, ancora su Repubblica). Un paio d’anni fa, quando Bruno Vespa si complimentò per il bel decolleté della scrittrice Silvia Avallone durante la consegna del premio Campiello, Michela Murgia si indignò in platea di fianco a Gad Lerner: «Quando c’è di mezzo una donna, si va sempre a parare sul corpo. Non importa la sua intelligenza, non importa se viene festeggiata, premiata, perché ha scritto un libro importante. Tutto si svilisce, si riduce alla carne». La femminista di provincia chiama a raccolta i neuroni nel tentativo di raccapezzarsi in questa giungla. Dunque la carne va esposta solo per la causa giusta. Ma chi stabilisce quanto sia degno il motivo per cui si medita di esporre le proprie grazie? Perché poi basta un attimo a essere equiparate a consigliera regionale qualsiasi che sfila in costume da bagno. Forse la discriminante sono le dimensioni e l’ampiezza del decolleté: deve essere inversamente proporzionale alla nobiltà della causa. Forse. O forse si tratta soltanto di avere due solidi argomenti. I soliti due argomenti cliccabilissimi. Laura Borselli | | 17 ottobre 2012 | 37 NEL DETTAGLIO SE ORA ANCHE I GIORNALI LIBERAL ACCUSANO LA CANNABIS Mi mancheranno certe diaboliche panzane sulle droghe “leggere” M io caro Malacoda, tieni d’occhio i nuovi perbenisti di sinistra, rischiano di diventarci proibizionisti anche sulle droghe leggere dopo anni di campagne sulle canne che «sono come il fumo e l’alcool, vanno depenalizzate». Testate insospettabili come Le Monde e The Guardian danno voce ai risultati di ricerche scientifiche che in altri tempi non avrebbero mai raggiunto l’onore della messa in pagina. Il Guardian già aveva sorpreso i suoi estimatori italiani anni fa, quando dedicò un servizio ai danni dell’hashish. Lo tacitammo con l’argomento dei reduci del ’68: «Quello di adesso, che è più concentrato di quello dei nostri anni…». (Alla sindrome “non ci sono più le cose buone di una volta” non si scappa). Ma adesso lo studio dell’americana National Academy of Sciences riguarda i figli ormai (splendidi?) quarantenni dei rivoluzionari d’antan. I ricercatori hanno seguito per due decenni 1.037 persone nate tra il 1972 e il 1973 per verificare gli esiti sulle performance cognitive a medio e lungo termine della cannabis. Disturbi della memoria, dell’attenzione, della concentrazione, mancanza di motivazione erano già noti; lo studio ha voluto verificare la vulnerabilità del cervello di un adolescente. Sono Non solo oggi i nostri compagni di strada ci emersi due dati. Il primo: una diminuziodicono che gli spinelli fanno male al cervello, ne del quoziente intellettivo fino a 8 punti per i fumatori abituali («almeno 4 volte alma anche che fumare spesso marijuana fa la settimana»). Il secondo: «L’arresto o la dimale al sesso: raddoppia le probabilità minuzione del consumo della droga non ha potuto restaurare completamente le cadi sviluppare un tumore del testicolo pacità intellettive», il danno è risultato irreversibile. Ma non basta, altri studi dicono che il rischio di sviluppare una depressione è cinque volte più elevato in caso di abuso di cannabis nell’adolescente, quello del manifestarsi di una sindrome ansiosa è doppio, e anche gravi patologie psichiche come la schizofrenia sembrano comparire più frequentemente in chi utilizza questa droga (vedi che mi rovino anch’io, in altri tempi avrei detto “sostanza”). Già questo basta per rovinare decenni di cultura e di coltura antiproibizionista di intere generazioni sulla sostenibile leggerezza della marijuana, convegni ed esperti per spiegare che il suo rifiuto era dovuto solo a un pregiudizio morale e antiscientifico… Ma non solo oggi i nostri compagni di strada ci dicono che fa male al cervello (che, si può sempre obiettare, il cervello ce lo si rovina in tanti modi), ci dicono anche che fumare spesso e volentieri marijuana fa male al sesso. Non all’atto (anche a quello, poi), all’organo. Il consumatore abituale di canne, infatti, raddoppia le probabilità di sviluppare un tumore del testicolo. Questo, ridotto all’osso, il risultato di uno studio della University of Southern California di Los Angeles su un tumore la cui diffusione è in costante crescita e per cui a oggi non è noto nessun fattore di rischio se non il criptorchidismo, vale a dire la mancata discesa nello scroto di uno dei testicoli, e una rara malattia genetica: la sindrome di Klinefelter. Ma, fortunatamente, non solo noi ci dimentichiamo di fare i coperchi. Sempre secondo questo studio pare che, mentre la marijuana raddoppia il rischio del succitato tumore, consumare cocaina lo dimezzi. Hai capito Maradona… la sua era solo prevenzione. Certo è che poi si torna in ballo con i danni al cervello. Caro nipote non ne usciamo, troppa scienza ci fa male. Tuo affezionatissimo zio Berlicche | LE NUOVE LETTERE DI BERLICCHE | 17 ottobre 2012 | 39 ROSSOPORPORA La vera questione morale Quando l’istruzione del popolo e il pensiero sociale sono appesi al nulla, lo Stato non è laico. Se mai sarà ideologico. Dalla Francia delle nozze gay all’Italia delle coppie di fatto, i cardinali contro le “avanguardie” dei diritti che producono danni di Giuseppe Rusconi R Nicolas Sarkozy e la sua “laicità positiva”? Ora, dopo che l’ex presidente è riuscito nell’impresa di passare il testimone a François Hollande, la laicité suona un po’ diversamente. Ne abbiamo parlato con il cardinale Jean-Pierre Ricard (a Roma per la visita ad limina del primo gruppo di vescovi transalpini), cogliendo l’occasione della sua ampia e dettagliata relazione in materia giovedì 27 settembre presso il Centre Saint-Louis de France, davanti a un folto pubblico cui ha dato il benvenuto l’ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, Bruno Joubert. Eminenza, come si qualifica la nuova laicité dell’era Hollande? «In genere evito di connotare con un aggettivo di valore la laicità», risponde il sessantottenne arcivescovo di Bordeaux. «Per me la vera laicità è fondamentalmente rispettosa delle religioni, permettendo loro di esprimersi nello spazio pubblico e assicurando dunque il libero esercizio dei culti». Nella sua relazione, tra le correnti laiche in voga, ha citato come molto pericolosa quella che, pur non essendo di per sé ostile alla Chiesa, vuole applicare una secolarizzazione avanzata… «Quello che mi preoccupa molto è l’ignoranza profonda, presso un certo numero di gio- 40 icordate | 17 ottobre 2012 | | vani e anche di adulti, della storia della Francia e della cultura francese marcata dal cattolicesimo. Ciò non permette a chi non sa di intavolare un colloquio serio ad esempio con i cattolici, che non conosce e perciò non comprende. Vede, mi dice un grande libraio di Bordeaux che spesso arrivano da lui studenti di storia dell’arte a livello universitario che gli chiedono se Foto: AP/LaPresse Per il cardinale Jean-Pierre Ricard l’introduzione del matrimonio gay annunciata dal presidente Hollande «avrà pesantissime ripercussioni sociali» in Francia. Anche il cardinale Angelo Bagnasco critica le “aperture” che servono solo a liquidare la famiglia non ci sia un testo che possa far loro capire certe locuzioni dei loro professori: “Ci parlano di quadri sull’Annunciazione, sulla Natività, sul ritrovamento di Gesù nel Tempio. Ma che significa? Ci può aiutare?”. È per questo che abbiamo la grande responsabilità di non disertare lo spazio pubblico, le relazioni con politici e amministratori e nel contempo di infor- mare costantemente sia l’opinione pubblica che i nostri interlocutori sulla vita quotidiana concreta di parrocchie e diocesi. Pensi che ho trovato alti responsabili politici che la ignoravano bellamente». Eminenza, in tale situazione, come valuta l’intenzione del ministro dell’Educazione nazionale Vincent Peillon di introdurre dall’anno scolastico 2013-2014 un’ora di “morale laica” («Non ho detto istruzione civica, ma proprio morale laica», ha precisato il ministro in un’intervista al Journal du Dimanche)? «Per un verso si può osservare che ci ritroviamo in una fase sociale in cui si impara sempre meno che cosa significhi vivere in una collettività: si insegna poco in famiglia, ancora meno a scuola. Le conseguenze di tale vuoto traspaiono ad esempio nelle difficoltà di comportamento di non pochi giovani tra loro e nei rapporti con l’ambiente in cui vivono. Perciò, che si possa imparare una morale che aiuti i giovani a comportarsi nella società, è di per sé qualcosa di positivo. Tuttavia…». Tuttavia? «Tuttavia molto presto irrompono nella questione tante domande fondamentali: da dove trae origine, da quale concezione dell’uomo dipende la morale che si vuole insegnare? Come si nutre? Quali sono i suoi contenuti? Che cosa la giustifica? In base a quale criterio qualcosa è defini| | 17 ottobre 2012 | 41 LA VERA QUESTIONE MORALE ROSSOPORPORA Foto: AP/LaPresse A lato, il patriarca maronita Béchara Raï incontra Benedetto XVI durante il suo viaggio apostolico in Libano (14-16 settembre 2012). Sotto, un manifesto di benvenuto davanti alla moschea di Mohammed al Amin, Beirut to “bene” e qualcosa d’altro “male”? Per me ogni morale rinvia in qualche modo a una trascendenza». Un altro tema caldo è l’idea lanciata da alcuni politici francesi di un referendum contro l’introduzione dei cosiddetti “matrimoni gay”, che il governo vuole discutere in Parlamento già quest’autunno… «Il lancio di un referendum concerne la sfera dei politici, non della Chiesa. La Chiesa non può, non ha mai messo la verità ai voti. Che cosa si farebbe se il risultato del referendum fosse favorevole ai cosiddetti “matrimoni gay”? Allora… che i politici chiedano il referendum, è nel loro pieno diritto, ma la Chiesa deve situarsi su un altro piano: quello dei princìpi, quello della richiesta di un vero, ampio, approfondito dibattito nazionale». Ma il governo non ci sta. «Lo so che tale richiesta rischia di non essere onorata. Eppure sulla bioetica un dibattito con tali caratteristiche c’è stato: anche in questo caso se ne domanda uno, a piena ragione, su una questione, come quella del cosiddetto “matrimonio omosessuale”, che ha tanti risvolti culturali, giuridici: c’è anche la questione dell’adozione… Insomma è qualcosa che coinvolge profondamente un’intera società!». Eminenza, l’introduzione del cosiddetto “matrimonio gay” rappresenterebbe secondo lei uno choc di civiltà, come ha detto il cardinale Barbarin, con cui si è detto d’accordo anche il neo-presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia arcivescovo Vincenzo Paglia? «Preferi- qui una contrapposizione tra concezioni laica e cattolica della famiglia, «si tratta invece della dialettica tra diverse visioni “laiche” dei diritti». E «in realtà ci si vuol assicurare gli stessi diritti della famiglia fondata sul matrimonio, senza l’aggravio dei suoi doveri». Altro aspetto rilevante: «Si dice che certe discipline giuridiche non impongono niente a nessuno, ma solo permettono di avvalersi di una norma da parte di chi lo desidera». Invece è la situazioI musulmani hanno accolto davvero il Papa ne complessiva a non essere in Libano, racconta il patriarca Raï: «Hanno più la stessa, perché si viedecorato le vie delle loro zone con striscioni ne a «modificare il significae poster, anche là dove non sarebbe passato» to proprio dell’istituzione matrimoniale, il pensare rei metterla così: siamo davanti a un forte sociale ne viene pesantemente segnato e, cambiamento strutturale, che avrà pesan- di conseguenza, l’educazione dei propri tissime ripercussioni sociali». figli». Perciò «il riconoscimento di deterDopo la relazione di Ricard, alla qua- minate situazioni o pratiche, (…) pur se le hanno assistito anche i cardinali Jean- non obbliga alcuno, è fortemente condiLouis Tauran, Giovanbattista Re e Paul zionante per tutti». È evidente che, «quanPoupard, quest’ultimo è intervenuto per do si vuole ridefinire la famiglia esclusiconcordare con il confratello, evidenzian- vamente come una rete d’amore, disancodo il dilagare dell’ignoranza religiosa e rata dal dato oggettivo della natura umaribadendo la necessità assoluta della rie- na – un uomo e una donna – e dalla univangelizzazione dell’Occidente. versale esperienza di essa, la società deve chiedersi seriamente a che cosa porterebbe tale riduzione (…) anche sul versante L’AMORE NON BASTA. A proposito di famiglia non possiamo non ritornare su affettivo ed educativo». Il rischio, che «già alcuni passi della prolusione del 25 set- si profila in altri paesi», è quello del «coltembre del cardinale Angelo Bagnasco al lasso». Si chiede infine il cardinal BagnaConsiglio permanente della Cei: «La gen- sco: «Perché non si vuole vedere? Non si te non perdonerà la poca considerazione vuole riconoscere le conseguenze nefaste verso la famiglia così come la conoscia- di queste apparenti “avanguardie”?». Permo», ha detto il presidente dei vescovi ita- ché si vuole mortificare la famiglia, che, liani. Aggiungendo che, in tempi come i «ancor più nell’attuale congiuntura, si nostri di «crisi seria e profonda», dilaga- rivela come fondamento affidabile della no invece i discorsi sulle «unioni civili, coesione sociale, (…) non certo “grumo” sostanzialmente un’imposizione simboli- di relazioni come taluno vorrebbe definirca». È netta qui «l’impressione che non si la per liquidarla?». Nella prolusione il cardinale Bagnatratti di dare risposta a problemi reali (…), ma che si voglia affermare ad ogni costo sco ha evidenziato anche il momento un principio ideologico, creando nuovi drammatico per l’Italia, i cui cittadini istituti giuridici che vanno automatica- sono chiamati a stringere in misura inaumente a indebolire la famiglia». Non c’è dita la cinghia, mentre «continuamen| | 17 ottobre 2012 | 43 ROSSOPORPORA LA VERA QUESTIONE MORALE osservato tra l’altro il cardinale Leonardo Sandri. Per il confratello Jean-Louis Tauran «Benedetto XVI ha rinverdito il ricordo dei tempi in cui cristiani e musulmani vivevano insieme in molti luoghi», perché «crede nella possibilità di tornare a quella convivenza». Del resto «lo stesso muftì sunnita, proprio a conclusione dell’incontro, ha chiesto esplicitamente al Pontefice di lanciare un appello a tutti i cristiani affinché non lascino il Libano». Il porporato francese, che ben conosce il paese dei cedri per esservi stato da professore e da diplomatico, si è detto poi impressionato dalla gioventù incontrata: «Mostra un grande entusiasmo e soprattutto la volontà di restare. I giovani hanno chiesto aiuto a tutti, anche al Papa. Li ho sentiti ripetere: “Noi siamo nati qui, questa è la nostra terra, qui ci sono le nostre case, vogliamo restare”». Il cardinale svizzero Kurt Koch ha invece evidenziato il «buon esempio» di convivenza interreligiosa in Libano, «che potrebbe certamente essere seguito da tutti i paesi, non solo del Medio Oriente». E ha aggiunto: «Il patriarca Raï mi ha detto che si sta pensando di organizzare incontri con tutti gli ortodossi per rileggere insieme e per approfondire l’esortazione apostolica post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente». Per il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato vaticano, «la presenza dei cristiani in Siria è fondamentale per l’unità del paese» te si scopre che ovunque si annidano cespiti di spesa assurdi e incontrollati», trionfando «immoralità e malaffare sia al centro come in periferia». IL PAPA IN LIBANO. In un momento 44 | 17 ottobre 2012 | | PRIMAVERA, PAURA E SPERANZA. Di Santo Padre non sarebbe passato. Questo l’hanno fatto sia a Beirut che in altre parti del paese». Ha già avuto qualche seguito interreligioso la visita del Papa? «Sì, lunedì 24 settembre si è tenuto a Bkerké, a porte chiuse, un vertice islamo-cristiano. Tutti hanno valutato la visita del Papa come “storica” e giunta “al momento opportuno”. Posso anche dire che, aprendo la riunione, ho definito il film su Maometto offensivo non solo per i musulmani, ma per tutti i cristiani, e ho chiesto che l’Onu intervenga con disposizioni che impediscano la denigrazione delle religioni. Richieste che sono state accolte da tutti e sono contenute nel comunicato finale». Sulla visita si sono soffermati in una serie di interviste concesse all’Osservatore Romano tre cardinali curiali che, insieme con il segretario di Stato, hanno accompagnato il Santo Padre. «Il Papa in Medio Oriente ha incontrato una Chiesa non da museo, ma viva e creativa. Sarà stata per lui una grande sorpresa vedere questa vitalità della Chiesa orientale cattolica. Una realtà che conosceva, ma che ora ha potuto toccare con mano», ha Siria e “primavera araba” si è tra l’altro occupato, in un’intervista pubblicata il 23 settembre a La Vanguardia, il maggior quotidiano di Barcellona, il cardinale Tarcisio Bertone. Per il segretario di Stato vaticano nella Siria del futuro «la presenza dei cristiani come artefici di riconciliazione resterà sempre fondamentale. Ora è importante salvaguardare l’unità del paese». Sulla “primavera araba” il giudizio del porporato è sfumato: «All’entusiasmo iniziale di molti è seguita una valutazione più prudente. In realtà ogni paese ha la sua “primavera”, ma è vero che la condizione dei cristiani in alcuni Stati non è migliorata e in essi traspare la paura per il futuro». Tuttavia, per un altro verso, i cambiamenti nel mondo arabo possono essere considerati «più come un’opportunità o una sfida che come un rischio per i cristiani», considerato il desiderio di maggiore giustizia e libertà alla base di molte rivolte popolari. Nel saluto al Santo Padre all’inizio della grande Messa di domenica 15 settembre a Beirut, anche il patriarca Raï a tale proposito aveva ricordato che il Medio Oriente sta vivendo «trasformazioni radicali che minacciano la sua sicurezza e la sua stabilità, ma certo sono anche portatrici di speranza». n Foto: AP/LaPresse di grande agitazione del mondo islamico per un film molto offensivo e alcune nuove irresponsabili vignette su Maometto, ha costituito un avvenimento di rilievo in controtendenza il viaggio apostolico di Benedetto XVI in Libano, pur se ridotto sorprendentemente a un trafiletto giornaliero sui maggiori quotidiani nazionali italiani, con l’eccezione di Avvenire (certo il Papa attira meno lettori della deliziosa e molto sventata Kate Middleton). Ne parliamo con il “padrone di casa” libanese, il patriarca maronita Béchara Raï, che per prima cosa ricorda i momenti particolarmente “impressionanti” della visita: «L’incontro con i giovani, l’accoglienza del Santo Padre nel Palazzo presidenziale (con il presidente, generale Michel Suleiman, che ha fatto tanto per il successo dell’avvenimento), la Messa conclusiva a Beirut, con l’inatteso gran numero di persone di tutte le comunità e confessioni che hanno riempito il piazzale e le vie della città, senza contare i numerosi gruppi che attendevano lungo la strada». E i musulmani hanno partecipato veramente, al di là del caloroso benvenuto ufficiale? «Sì, non solo a livello di capi. Hanno ad esempio decorato le vie e le strade delle loro zone con gigantografie di Benedetto XVI e grandi striscioni e manifesti di accoglienza, anche là dove il CULTURA IL COMPITO CHE CI ATTENDE Una fede tutta da rac c Altro che princìpi, leggi e dogmi. Da sempre il cristianesimo ci conquista attraverso le storie dei santi e delle persone che hanno incontrato Gesù. Come quelle sceneggiate dal mio amico Bernabei. O le lettere di Simone a Tempi L a vita cristiana risponde alle esigenze della natura umana. Solo Gesù è in grado di riempire il nostro cuore e dare le risposte più profonde di cui andiamo alla ricerca. Questo è il grande tema sul quale i cristiani oggi sono chiamati a dar ragione della loro speranza. L’impresa non è facile perché la cultura dominante predica esattamente il contrario: liberiamoci dalla morale cristiana, si può vivere bene, anzi meglio, senza Dio. È una battaglia impari che ricorda quella combattuta dai primi cristiani contro la tradizione dell’Impero Romano che pretendeva il culto idolatrico. Oggi la situazione è più complessa perché il messaggio cristiano viene dato per conosciuto e superato: non è totalmente contrastato ma relegato come marginale e, in fin dei conti, inutile. Conviene quindi una riflessione, soprattutto per quanto riguarda i laici credenti a cui tocca, ancor più che ai pastori, farsi carico 46 | 17 ottobre 2012 | | della rivoluzione spirituale e culturale di cui c’è bisogno. In passato la Chiesa è stata comunicatrice a tutto campo. La storia di Gesù, coronamento della storia della salvezza, è una storia affascinante, capace giustamente di coinvolgere giovani e vecchi, dotti e ignoranti. La sua storia ha fatto prepotentemente ingresso nella Storia e i quattro Vangeli sono la testimonianza dell’intensa tradizione circa la vita di Gesù. I Vangeli stessi sono un capolavoro di comunicazione: comprensibili da tutti, narrano la storia di Gesù attraverso i fatti della sua vita e le sue parabole, intessute di vita vissuta: la dracma perduta, il tesoro nel campo, il fico sterile, la pecora perduta, la donna malata, l’indemoniato guarito, la peccatrice perdonata, la perla preziosa… Una comunicazione perfetta. Tutti sappiamo come, nei secoli, la Chiesa sia stata promotrice di arte e cultura: proponeva uno stile di vita a tutto tondo. Dal canto gregoriano nelle navate al riferimento costante dei campanili, svettanti nelle campagne e dominanti nelle città. La pittura era il catechismo degli illetterati (e anche dei letterati), l’agricoltura, le scienze e il vivere sociale avevano ripreso l’avvio dai conventi, le università erano nate a opera dei frati. Il motto dell’Università di Oxford è tuttora Dominus illuminatio mea… Poi c’è stata la ribellione della modernità. Una ribellione con effetti anche salutari, la Chiesa non è più l’arbitro politico fra i popoli ma è stata ricondotta alla sua funzione unicamente spirituale: il mio regno non è di questo mondo, aveva chiarito Oggi il messaggio cristiano viene dato Gesù. Ma da questa ribellioper conosciuto, superato, inutile. Tocca ai ne la Chiesa non si è ancora laici credenti farsi carico della rivoluzione ripresa. La sua voce potrebbe squillare ben a ragione spirituale e culturale di cui c’è bisogno Foto: Marka di Pippo Corigliano c contare Foto: Marka Sopra, Nicola Pisano, dettaglio del pulpito del duomo di Siena (1265-1268) in marmo di Carrara come unica rivelatrice di bene e di felicità e invece la cultura dominante, forte delle sue radici illuministe, positiviste e puritane, tende ad azzittirla. E questo è il compito che ci attende: dare voce alla nostra fede. Ora è l’anno della fede ed è il momento buono per viverla meglio, e per comunicarla. La Chiesa non è una società come le altre: la soluzione del suo problema di comunicazione sta nella vita santa dei suoi membri, nell’accoglienza da parte loro del dono dello Spirito Santo. Chiarito questo punto occorre comprendere a fondo che non ci si può limitare ad annunciare una dottrina basata su concetti astratti, princìpi, leggi, numeri. Questo può andar bene per comunicare con intellettuali, ma per arrivare a tutti non basta dire cose vere, occorre raccontare delle storie. L’emozione che una storia provoca fa sorgere interesse per la verità. Le ragioni, che noi cristiani abbiamo, devono risaltare attraverso le emozioni. I grandi scrittori russi dell’Ottocento hanno fatto questo. Un romanzo come Il Signore degli anelli trasmette valori attraverso il racconto fantasy. Il romanzo di Alessandro D’Avenia Bianca come il latte, rossa come il sangue è in vetta alla santi (il santo è più amabile di altri personaggi: attraverso la sua storia la gente percepisce che la vita cristiana è conveniente ai desideri del cuore, è desiderabile) ma ha offerto al pubblico storie belle come Guerra e Pace, Pinocchio, Cenerentola e tante altre, mentre il Don Matteo ha superato il Grande Fratello. Le storie televisive plasmano il gusto e la vita della gente, dobbiamo rendercene conto e impegnarci. Se qualcuno offre al pubblico la storia scandalosa di un prete pedofilo, la risposta non può essere solo che i preti pedofili sono meno dell’1 per mille dei sacerdoti. Occorre raccontare una storia di un prete fedele e amabile: una storia vera e quindi convincente. Non si può solo rispondere con princìpi o concetti astratti. La rivista su cui sto scrivendo, Tempi, svolge, al suo livello, un servizio del geneCome Davide contro Golia re. Basta, a titolo d’esempio, vedere come In Italia la società di produzione Lux Vide, la storia commovente di Antonio Simofondata da Ettore Bernabei, ha prodotto ne stia creando un movimento di opinioper la tivù 100 ore di film sulla Bibbia e ne pubblica per il miglior funzionamento ha venduto con ottimi successi i suoi pro- del sistema giudiziario italiano. In sintesi, occorre fede, cuore, condotti in tutto il mondo (unica produttrice italiana a raggiungere questo risultato). vinzione per trasmettere a tutti i livelNon si è limitata alla Bibbia e alle vite dei li emozioni che abbiano come fondamento la verità. Si tratta di un compito immane, siaSe qualcuno offre al pubblico la storia mo dei Davide di fronte a scandalosa di un prete pedofilo, si risponde Golia, ma, come per Daviraccontando una storia di un prete fedele e de, la grazia del Signore è amabile: una storia vera e quindi convincente la nostra forza. classifica da quasi tre anni, è stato tradotto in 16 lingue e riceve, attraverso internet, attestati di ritorno alla fede da parte di tanti lettori. I grandi sistemi di potere della nostra epoca hanno trasmesso il loro stile di vita non solo attraverso la letteratura ma attraverso il cinema e la televisione. Da bambino i film western, d’amore e di guerra americani sono stati il mio modello culturale, a cui vanno aggiunti i dischi e la musica, dal jazz in poi. I miei genitori, a modo loro, si riferivano al modello inglese che è continuato attraverso i film, i prodotti della Bbc, i Beatles e compagnia. La Cina oggi sta reinventando la sua storia e la sua mitologia sempre attraverso i film. L’India ha Bollywood, il Brasile la musica e il calcio spettacolo. | | 17 ottobre 2012 | 47 CULTURA DENTRO LO SPARTITO La sacra musica di Benedetto Nelle note dei maestri prediletti dal Pontefice «risuona la Grazia della creazione, come era all’origine e come sarà alla fine dei tempi». Una bellezza antica eppure più moderna delle canzonette pop che impoveriscono la liturgia lando alla platea presente a Milano al parco di Bresso: «Mio fratello è un grande musicista, ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava. Il papà suonava la cetra e cantava; sono momenti indimenticabili». Ecco la chiave per comprendere quella che non è semplicemente una passione ma un’autentica conoscenza: per parlare dell’intimo rapporto tra Benedetto XVI e la musica non si può prescindere dalla famiglia Ratzinger. Il papà, Joseph, uomo rigoroso e dai forti valori morali, era appassionato di musica sacra e aveva cantato nel coro parrocchiale della sua città; aveva imparato a suonare la cetra da solo. La mamma, Maria Peintner, nutriva una particolare passione per il canto. Molti erano i momenti nei quali la famiglia si riuniva attorno alla musica. Nel periodo natalizio essa accompagnava la meditazione religiosa e l’attesa per la nascita del Redentore. Si leggeva il Vangelo di Luca, quello della Natività, e a seguire il papà intonava melodie natalizie: Astro del ciel, Oh du fröhliche. Durante il Natale del 1935 Georg (primogenito), che ormai frequentava il liceo, scrisse un inno per pianoforte (suonato da Joseph), violino (suonato da Georg stesso) e armonium (suonato da 48 | 17 ottobre 2012 | | Maria, la sorella). Una composizione che suscitò la commozione dei genitori. L’armonium è stato il primo strumento che il padre aveva acquistato per i propri figli, il punto iniziale degli studi musicali dei “piccoli” Ratzinger. Joseph era portato per la musica, mostrando un interesse molto vivo che gli ha permesso di imparare in fretta a leggere gli spartiti. Il rapporto molto stretto tra Joseph e Georg Ratzinger (che è stato anche direttore del Coro della cattedrale di Ratisbona) ha contribuito a consolidare la passione per la musica del futuro Papa. Ma qual è veramente “la musica del Papa”? Innanzitutto quella di Mozart: «Quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo». Quello che suscita in Ratzinger è una letizia che nasce dalla chiara percezione di quanto quella musica riesca a penetrare in profondità ogni aspetto del reale. Anche in questo caso, l’educazione avuta in famiglia ha lasciato il segno: nel 1941 (Joseph era appena quattordicenne), ricorrendo i 150 anni dalla morte del genio di Salisburgo, ogni domenica, all’ora di Sopra, Benedetto XVI festeggia il compleanno di Georg con un concerto nella Cappella Sistina. L’orchestra suona la Messa in do minore di Mozart. La famiglia Ratzinger nel 1951. In piedi, Joseph (a destra); Georg e la sorella Maria. Seduti, i genitori, Maria Peintner e Joseph. Foto: AP/LaPresse L ui stesso l’ha detto pochi mesi fa par- Foto: AP/LaPresse pranzo, iniziava una trasmissione radiofonica interamente dedicata a Mozart che a casa Ratzinger si era soliti ascoltare. È lo stesso Ratzinger a testimoniarci l’influenza mozartiana nella sua vita: «La nostra famiglia è sempre rimasta nella zona tra l’Inn e il Salzach. La gran parte della mia giovinezza l’ho trascorsa a Traunstein, città molto vicina a Salisburgo. Mozart è penetrato a fondo nelle nostre anime, e la sua musica mi tocca ancora profondamente, perché è luminosa e al tempo stesso profonda. La sua musica non è affatto solo di intrattenimento, contiene tutto il dramma dell’esistenza umana». L’amore per Mozart ha accomunato Ratzinger a due amici e illustri colleghi: HenriMarie de Lubac e Hans Urs von Balthasar. Con quest’ultimo, in particolare, Benedetto XVI concorda sul fatto che nella musica mozartiana «risuoni la Grazia della creazione, così come doveva essere all’origine e come dovrà essere alla fine dei tempi; risuona la semplice trasparenza di qualcosa che non deve essere cercato né edificato, ma è semplicemente donato». Se la musica di Mozart è “dono”, quella di Bach (il più grande maestro di musica di tutti i tempi, secondo Ratzinger) «esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio». Lo ricorda lo stesso Pontefice raccontando di un recital diretto da Leonard Bernstein: «Al termine dell’ultimo brano sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e mi spingeva a ringraziare Dio». Ultimo, ma non meno amato, è sicuramente Beethoven del quale Ratzinger predilige le Sinfonie, in particolare la Nona. Quello che più lo provoca è la drammaticità della vita che risuona nella sua musica. Chi lo ascolta, non può non cogliere un commovente invito ad addentrarsi nell’esistenza per scoprirne il senso più profondo. L’orecchio attento e competente del Papa non manca, però, di cogliere un limite: «In Beethoven odo e sento la lotta del genio per dare il massimo, ed effettivamente la sua musica possiede una grandezza che mi colpisce nel profondo. Ma per questa lotta la sua musica appare talvolta un po’ sovraffaticata». La “battaglia” di Ratzinger L’amore per la musica e l’attenzione alla liturgia sono alla base di una delle “battaglie” che Benedetto XVI ha portato avanti, prima da cardinale e ora da Papa: quella sulla riforma della musica liturgica. Sul tema, molto controverso, il Pontefice ha un’idea molto chiara: la musica pop sta influenzando negativamente quella liturgica. Ratzinger paragona la situazione attuale a quella venutasi a creare durante il pontificato di Pio X che, di fronte a una deriva operistiInsieme a von Balthasar concorda che ca e “teatrale” della liturgia, nella musica di Mozart «risuona la semplice fondò nel 1911 la Scuola trasparenza di qualcosa che non deve essere Superiore di Musica Sacra, elevata venti anni dopo a edificato perché è semplicemente donato» | | 17 ottobre 2012 | 49 Pontificio Istituto da Pio XI. Non è una perso occasione per rinlotta ideologica a favore del canto latino graziarsi reciprocamente ma, come afferma a Tempi il giornalista e per la grande considerazione riservata al repertoscrittore Francesco Agnoli: «È ormai sotto rio sacro. Lo dice a chiare gli occhi di tutti, a maggior ragione quellettere Muti nell’introduli del Papa, come il gregoriano sia sparito zione al libro di Benedetdalle nostre chiese, d’improvviso, togliento XVI Lodate Dio con arte, doci così duemila anni di tradizione. Basti guardare semplicemente ai canti eucarisottolineando come il Ponstici: in italiano non c’è pressoché nulla tefice, pur gravato da mille che valga la pena mentre in latino abbiaimpegni, «alimenti il suo mo il Pange lingua, l’Adoro te devote, il spirito» sedendo al pianoforte e suonando i suoi Panis angelicus in cui è espressa chiaraautori preferiti e ringrazia mente l’ineffabilità, il mistero e la granil Papa per la denuncia del dezza dell’Eucaristia. Benedetto XVI è crebasso livello musicale presciuto ascoltando e cantando questi canti, sente nelle chiese. Beneche la Sacrosanctum Concilium (una deldetto XVI segue con attenle quattro costituzioni conciliari emanate zione e gratitudine il lavodal Concilio Vaticano II) indicava di manro di Muti, particolarmentenere; per questo vuole che la musica grete attivo nell’educazione e goriana torni nelle nostre chiese. Inoltre si valorizzazione di giovani noti che l’attuale Pontefice guarda al monmusicisti e nell’esecuzione do ortodosso, orientale, il quale ha condi capolavori del repertoservato la sua musica tradizionale che ha Il maestro Riccardo Muti ha ringraziato il Papa per la rio sacro poco conosciuti. denuncia del basso livello musicale presente nelle chiese permesso di conservare il senso del sacro Ma basta l’educazione anche sotto il comunismo». Dello stesso parere anche monsignor Pomo della discordia, la nomina a diretto- ricevuta in famiglia a spiegare questa Domenico Bartolucci, personaggio molto re di monsignor Massimo Palombella che grande sensibilità, questa acuta compestimato da Joseph Ratzinger tanto da con- da più parti non è ritenuto all’altezza di tenza, questa passione? Non c’è forse un siderarlo un pilastro nel “labirinto” del- un incarico storicamente così prestigioso. fattore più potente che spiega tutto ciò e la musica classica e sacra. Soprannomina- Le idee musicali e di repertorio di Palom- ci fa sentire Joseph Ratzinger vicino a noi to “il maestro” tra le mura vaticane, Bar- bella, del resto, non sempre sono risultate anche quando parla di musica, la suona, tolucci è musicista, compositore e diretto- in linea con quelle dal Pontefice. Lo stesso l’ascolta? Parigi, 25 dicembre 1886. La catre di coro tra i massimi esperti di Giovan- Monsignore in un editoriale a sua firma tedrale di Notre-Dame è affollata da fedeli ni Pierluigi da Palestrina. Nominato da pubblicato dalla rivista che dirige, Armo- in attesa dei Vespri. Un uomo è lì in disparPio XII nel 1956 direttore “ad vitam” del- nia di voci, ha esposto dubbi sul concet- te, con aria misteriosa. Non è immerso nella Cappella Sistina, ambito musicale per to di musica liturgica presente prima del la preghiera né attende che inizi il rito; è eccellenza della Chiesa latina, fu esauto- Concilio Vaticano II e sull’opportunità, solo alla ricerca di argomenti contro i crirato (in maniera incomprensibile) dai pro- nelle attuali liturgie, dell’utilizzo di Mes- stiani. D’improvviso parte il Magnificat pri incarichi nel 1997. Nel novembre 2012 se come quelle di Mozart o di Palestrina. cantato dai bambini del Coro e dagli alunBenedetto XVI lo ha nominato cardinani del Seminario Minore di Saint-Nicolasle quasi a sottolinearne il profondo lega- La conversione di Claudel du Chardonnet. In un istante il suo cuome e l’unità d’intenti. Bartolucci, la cui In questa complicata situazione si inse- re viene toccato, un momento di confusiomusica e la “direzione” è stata apprezza- risce anche la recente nomina di monsi- ne e incredulità, poi solo l’imponenza delta da ben cinque papi, definisce Benedet- gnor Vincenzo De Gregorio a nuovo pre- la presenza di Dio. Quell’uomo in disparto XVI il più esperto di musica tra quelli side del Pontificio Istituto di Musica Sacra te nella cattedrale parigina è Paul Claudel, che ha conosciuto: «Suona il pianoforte, è (il conservatorio del Vaticano, per inten- scrittore caro a Benedetto XVI che ne ricorun profondo conoscitore di Mozart, ama derci). La nomina di De Gregorio, che da spesso la conversione. la liturgia della Chiesa e di conseguenza andrà a sostituire monsignor Valentino «La bellezza è la grande necessità tiene in somma considerazione la musi- Miserachs Grau, è stata apprezzata dal- dell’uomo», ricordava il Papa consacranca», ha dichiarato nel 2006 in un’intervi- lo stesso Palombella e da monsignor Fri- do la Sagrada Familia a Barcellona. Il racsta all’Espresso. Nella stessa intervista Bar- sina, tutti legati da una profonda amici- conto di Claudel è esemplificativo di quetolucci non solo riafferma la medesima zia e da un’unità stilistica più “pop”, mol- sta necessità. Ecco spiegato perché Papa preoccupazione del successore di Pietro to criticata dal maestro Riccardo Muti. Ratzinger sia sempre strenuo frequentatoriguardo alla musica liturgica ma rincara Proprio il rapporto tra Muti e Benedet- re e promotore della bellezza, ricordando la dose, descrivendo la musica “di moda” to XVI è diventato degno di attenzione a noi che: «Il mondo sarà salvato dalla Belnelle chiese di oggi come canzonette beat negli ultimi anni. I due non hanno mai lezza» (Dostoevskij, L’idiota, parte III, capistrimpellate dalle chitarre. tolo V). Una bellezza che non è mera senNegli ultimi anni la Il Papa segue con attenzione e gratitudine sazione estetizzante ma richiamo alla traposizione di Benedetto XVI scendenza, capace di redimere dalla «vita il lavoro di Muti, particolarmente attivo banale» un’umanità sofferente. sulla musica liturgica non nell’educazione di giovani musicisti e ha trovato grande riscon Mario Leone tro nel Coro della Sistina. segui il blog “Degni di nota” su tempi.it nell’esecuzione di repertori poco conosciuti 50 | 17 ottobre 2012 | | Foto: AP/LaPresse CULTURA DENTRO LO SPARTITO l’italia che lavora La casa del recupero Lucilla poteva accontentarsi del negozietto di famiglia specializzato in tutori, ma Stefano l’ha sfidata. Così è nato un centro di ortopedia che attrae atleti famosi e semplici amatori, per vincere gli infortuni e le gare più difficili S una vicina all’altra, foto di atleti, di pezzi grossi della storia del calcio, della ginnastica italiana, del rugby, della pallavolo, dello sci. Ogni ritratto è autografato, e reca impresso dediche affettuose, di ringraziamento e riconoscimento per il lavoro svolto da Ortholabsport, così come le maglie dei giocatori sparse qua e là per il centro di ortopedia sportiva. Perché qui in corso San Gottardo 3 a Milano, ogni atleta infortunato che arriva viene seguito in modo speciale e unico, come unico sarà il tutore confezionato per lui da Stefano Duchini e Lucilla Pezzoni, i titolari. In soli sei anni di attività, il passaparola tra gli atleti che si sono riappropriati dei propri movimenti è stato intensissimo, ed è così che, a poco a poco, la parete arancione ha iniziato a popolarsi di fotografie. «L’ultima appesa è quella di Kevin Prince Boateng, centrocampista del Milan, venuto da noi per un tutore alla mano. Chiaramente realizzato in rosso e nero e con il numero 10 impresso sopra», racconta Lucilla spiegando come i tutori applicati agli atleti vengano spesso personalizzati in laboratorio, da un grafico specializzato nel soddisfare i desiderata degli sportivi. La prima richiesta di questo genere era stata fatta dall’ormai ex giocatore dell’Inter Ramiro Cordoba, per una prote- 52 ulla parete arancione spiccano, | 17 ottobre 2012 | | I plantari della campionessa olimpica Di Francisca. In alto, i rugbisti della Nazionale. A lato, Stefano Duchini e Lucilla Pezzoni zione facciale in colori nerazzurri. Un’altra richiesta fu quella di Giampaolo Pazzini con la scritta “pazzo”, quando giocava per la Sampdoria, o ancora il parastinchi di Zlatan Ibrahimovic, allora giocatore dell’Inter, ma con una “sospetta” richiesta di un drago rosso su sfondo nero. Lucilla Pezzoni è davvero fiera di aver detto di sì alla proposta di Stefano Duchini di aprire un centro di ortopedia insieme. «Io lavoravo nel negozio dei miei genitori, poco lon- tano da qui, che prima dei miei genitori era dei miei nonni, quindi si può dire che sia cresciuta a pane e tutori», spiega ridendo. «Siamo soci e la nostra unione funziona anche perché ci occupiamo di aspetti diversi, io mi occupo della gestione degli ospedali, della contabilità, del rapporto con i clienti, e il mio partner invece è alle prese con lo studio delle problematiche dei clienti e la loro relativa soluzione». Uno studio che avviene in una parte appo- sita del centro Ortholabsport e si avvale di un tapis roulant speciale, in grado di fare la cosiddetta “gait analisys”, cioè lo studio del movimento e della deambulazione del paziente. Il passo successivo è l’“angle test”, necessario per rilevare eventuali dismetrie tra le gambe. In questo modo è possibile progettare un plantare perfetto, pronto solitamente in una settimana. A quel punto lo sportivo torna per la prova, dopo la quale è sempre possibile apportare nuovi cambiamenti. «E gli sportivi amatoriali sono esigenti tanto quanto quelli professionisti». Se Lucilla è un fiume di parole mentre illustra le dinamiche aziendali di Ortholabsport e mostra la nuova sede appena inaugurata, Stefano ha il piglio meticoloso dell’artigiano talmente fiero del suo lavoro da risultare umile, mentre spiega, con gli occhi pieni di emozione, che fa quello che fa perché è la cosa che gli riesce meglio fare. «In Italia l’idea di costruire plantari personalizzati non c’era, soprattutto se legata al mondo degli sportivi, così ho pensato di procedere in questa zia, e l’abbiamo progettato noi. Solo che ci erano state riferite delle misure inesatte per lo spessore. E in partita, in una delle tante mischie in cui si è buttato quel gigante buono di Castrogiovanni, il tutore si è rotto. Dobbiamo stare attentissimi ai parametri da rispettare perché in certi casi si potrebbe addirittura scivolare nel doping tecnologico», spiega serio Stefano. Che però si illumina se parlando di doping tecnologico si accenna a Oscar Pistorious. «Lui è un eroe, un eroe vero. Non a caso il mio sogno e progetto più grande sarebbe quello di potermi dedicadirezione. Già prima con il centro che ave- re agli atleti paralimipici». vo, e poi dopo con l’inizio delle attività di Ultima atleta olimpica seguita, inveOrtholabsport. Il fatto che gli atleti parli- ce, è stata Elisa Di Francisca, schermitrice no negli spogliatoi e si indichino a vicen- d’oro di Londra 2012, alla quale Ortholabda che strategia curativa stanno seguen- sport ha costruito un plantare. «Se costrudo ci ha aiutato tantissimo per farci cono- iamo un caschetto, il nostro lavoro è sotscere, in un modo inaspettato e inatteso». to gli occhi di tutti. Ma se si tratta di qualcosa di nascosto, come un plantare, lo sa Il passaparola negli spogliatoi solo l’atleta, e noi che lo guardiamo in tv. Se dal laboratorio di Stefano escono circa Ogni volta che seguo le gare di uno spor3 mila plantari l’anno, per quanto riguar- tivo che abbiamo rimesso in sesto sono da altri tipi di tutori è più difficile con- contento che anche per il nostro impeteggiare. «Dipende letteralmente da quan- gno sia arrivato alla vittoria, mi emozioto e come si infortunano gli atleti. Per no come se fossi il suo allenatore o un suo esempio, era un brutto infortunio quel- familiare». E tenendo conto del fatto che lo di Martin Castrogiovanni, che durante Ortholabsport si prende cura della Fisi Italia-Inghilterra, uno dei match del Sei (federazione italiana sport invernali), delNazioni di quest’anno, si era fratturato la Fir (federazione italiana rugby), dell’Inuna costola. Serviva un tutore per ripor- ter, Milan, dell’Atalanta, della Sampdotarlo in campo in tempo per Italia-Sco- ria, del Chelsea, del Shakhtar Donetsk, del Fulham, e della Nazionale volley donne, Stefano I titolari ricordano la protezione facciale in Duchini e Lucilla Pezzoni nerazzurro di Cordoba. E poi il parastinchi di hanno davvero una grande Ibra, ancora all’Inter, ma con una “sospetta” e bella famiglia. richiesta di drago rosso su sfondo nero Elisabetta Longo | | 17 ottobre 2012 | 53 GREEN ESTATE CINEMA freschezza garantita e prezzi onesti Pesce sopraffino per tutti Iron sky, di Timo Vuorensuola Un delirio che strappa un sorriso di Tommaso Farina P esce fresco a buon prezzo, o quantomeno non da gioielleria: è il sogno dell’umanità. Così, è bello segnalare un locale che prova a trasformare in realtà questo sogno. Si IN BOCCA trova a Castelnuovo di Porto (Roma), un borgo situato a una ALL’ESPERTO trentina di chilometri dalla Capitale, a nord: è facile immaginare come gli affitti e la gestione di un locale di un piccolo paese siano senz’altro meno onerosi della conduzione di un ristorante in una grande città, e come tutto questo si riverberi sui prezzi finali, per la gioia dei clienti. Il Grottino del Pescatore, questo il nome della veracissima trattoria di pesce, riesce a far uscire i clienti sazi con un conto inferiore ai 50 euro. Non male eh? Niente fronzoli, ma una discreta sostanza. Così entrate nella rustica saletta e accomodatevi. La scelta di vini è piuttosto scarna, ma qualche buona bottiglia c’è. Iniziando a mangiare, è consigliabile ordinare il “Pescatore Plus”, ossia il multi-antipasto in tre portate. Anzitutto, salmone e polpo marinato. Poi, gambero crudo e ostriche, di ottima qualità. Indi, assaggini di piccole ghiottonerie, come seppioline in umido coi ceci, gamberi col farro, buonissime alici fritte con le cipolle rosse e soprattutto l’ottima parmigiana di melanzane e tonno, davvero stuzzicante. Primi piatti rustici e imponenti, a cominciare dagli azzeccati, gargantueschi tonnarelli con le cozze e il pecorino, senza dimenticare i più canonici spaghetti alle vongole o la “zuppetta del Grottino”. Per proseguire, di secondo, la frittura di paranza e qualche altro piatto molto tradizionale. I dolci si notano poco. A parte c’è anche un menù di specialità non marinare, come pasta alla carbonara, mezze maniche cacio e pepe, bucatini all’amatriciana, grigliate di bovino angus. Simpatico il servizio. La spesa, come detto, è del tutto onesta e senza sorprese. Un avvertimento: all’ora di pranzo, l’uscita dei bambini da scuola paralizza in pratica l’intero paese con ingorghi e mancanza di parcheggi, situazione che comunque dopo le 12.30 normalmente si risolve. Per informazioni Il Grottino del Pescatore Piazza Cavour 9 Castelnuovo di Porto (Roma) Tel. 06 88975524 Chiuso domenica sera e lunedì HUMUS IN FABULA progetto scuola a2a Termovalorizzatori aperti agli studenti Con l’inizio dell’anno scolastico riparte anche il Progetto Scuola a2a, l’iniziativa della grande multiutility italiana che lo scorso anno ha aperto le porte dei suoi impianti industriali a 16 mila studenti. Porte che a2a intende aprire anche quest’anno sviluppando la collaborazione con il mondo delle scuole attra- 54 | 17 ottobre 2012 | | verso percorsi didattici volti a promuovere la crescita di una cultura rispettosa dell’ambiente e la conoscenza delle tante realtà produttive di a2a. Sono 27 i siti visitabili: 6 termovalorizzatori, 8 impianti trattamento/smaltimento rifiuti, 2 centrali di cogenerazione, 3 centrali termoelettriche, 3 centrali idroelettriche, 4 impianti del ciclo idrico, un impianto reti gas, ai quali si aggiunge il centro didattico-museale Casa dell’Energia di Milano: è questo il sito più visitato con oltre 3.800 studenti, mentre tra gli impianti industriali i più richiesti sono risul- Rifugiatisi sulla Luna dopo la Seconda Guerra mondiale, i nazisti sono pronti a conquistare la Terra. Film delirante ma che suscita una certa ilarità. Il sog- getto è da manicomio: il Quarto Reich ha trovato dimora sulla Luna, dove i nazisti hanno costruito una bella base spaziale a forma di svastica. Preso prigioniero il primo astronauta nero della storia, lo albinizzano, gli fanno il lavaggio del cervello e poi finiscono sulla Terra dove in pratica diventano i responsabili della campa- HOME VIDEO Tutti i nostri desideri, di Philippe Lioret Quel che conta Un magistrato aiuta una giovane donna indebitata. Dal regista di Welcome, un’altra storia intensa con al centro non solo i guai di oggi (i soldi che non ci sono) ma anche tutta incentrata sulla persona e i suoi bisogni veri. Così nella vicenda dei due giudici che si fanno un mazzo tanto per una donna che all’inizio potrebbe essere solo un problema non c’è solo un sacrosanto desiderio di giustizia, ma uno sguardo amorevole e gratuito all’altro perché sia felice e non sia lasciato solo. tati il termovalorizzatore Silla 2 di Milano e il termoutilizzatore di Brescia. Dallo scorso anno è stato incluso nel programma anche il termovalorizzatore di Acerra (prenotazioni sul sito www.a2a.eu - Progetto Scuola). a milano in campagna I Mercati in Cascina a kilometro zero La “rotazione” è partita lo scorso 23 settembre ma sono ancora molte le domeniche a disposizione dei milanesi per comprare riso, latte, mie- le, ortaggi, uova e molto altro direttamente dal consumatore. Fino al 16 dicembre infatti alcune cascine del Consorzio Dam- Distretto Agricolo Milanese, aprono i cancelli al pubblico per la vendita diretta a kilometro zero e permettere alle famiglie di trascorrere una giornata tra vecchie corti, verde, rustici e orti, offrendo degustazioni, laboratori e aperitivi “rurali” a pochi passi dal centro cittadino. I prossimi “Mercati in Cascina a Km0”, si terranno il 14 ottobre a Cascina Basmetto e il 4 novembre a Cascina Cavriana. STILI DI VITA tutto insegna gna elettorale del primo presidente donna degli Usa. Poi le cose si complicano. Piccolo divertissement diretto da un islandese e coprodotto da tedeschi e australiani che ci mettono i primi gli attori, tra i quali si segnala l’ottimo Udo Kier nei panni di un crudele Führer e i secondi gli effetti che sono poveri ma efficaci. L’operazione è di dubbio gusto ideologico (i nazi sono piuttosto simpatici) e si va più a pigliare per i fondelli le manie di grandezza degli Usa che a ridicolizzare i veri cattivi. visti da Simone Fortunato SPORTELLO INPS Il regista Timo Vuorensuola di Annalena Valenti T Per un tipetto sveglio e imprevedibile come il Giò, 11 anni, queMAMMA OCA sto è sicuro. Giocando, ha insaccato il dito medio della mano sinistra. Bloccato con fasciatura adeguata, bende e scotch di carta, dopo lamentazioni abbastanza ragionevoli dato il soggetto maschile, il nostro ha cominciato a elencare tutte le cose che non poteva più fare o comunque far bene senza l’uso di tal dito. Non posso togliere il tappo alla penna e neanche quello del Nesquik. Non posso giocare a calcio. Scusa? Un pallone potrebbe colpirmi la mano e peggiorare la situazione (a dire il vero al pallone non ha rinunciato, anche se la benda è stata rinforzata con doppio strato di scotch), non posso fare le corna. Sai mamma, io non ci penso mai, ma quante cose facciamo anche solo con un dito. Ah e non riesco ad allacciarmi le scarpe. Perché ci accorgiamo di tutte le cose che possiamo fare con il dito medio della mano sinistra solo quando non possiamo più farle? È proprio vero Giò, è proprio un’osservazione giusta. Adesso vado a giocare a calcio. Pensi che scriverai un articolo? E si allontana col suo dito scotchato doppio, una consapevolezza della realtà in più, e probabilmente l’idea di scrivere un capitolo del libro sulle avventure del suo alter ego. Ah mamma, il gestaccio però lo posso fare! mammaoca.wordpress.com In collaborazione con DOMANDA & RISPOSTA Tutto quello che bisogna sapere Il passaggio dalla gestione ordinaria a quella separata Dopo un periodo di lavoro come dipendente a tempo indeterminato, mia figlia è orientata ad aprire una partita Iva per continuare la propria attività in qualità di “collaboratore’”. So che dovrebbe iscriversi alla cosiddetta gestione separata. Che cosa succederà dei Cosa si impara da un dito scotchato invia il tuo quesito a [email protected] contributi fino ad ora versati alla gestione ordinaria? Carlo M. I contributi versati resteranno nell’estratto contributivo. Si creerà automaticamente un nuovo archivio che conterrà quelli versati nella gestione separata. Attualmente i contributi non si congiungono automaticamente ma basterà, al momento della richiesta di pensione, fare la domanda di totalizzazione per unificarli. Questo con le regole attuali, non possiamo sapere quali saranno le regole quando sua figlia chiederà la pensione. utto insegna? Sono una dipendente pubblica, ho 57 anni e quasi 36 di contribuzione. Quando potrò andare in pensione? Devo attendere il requisito dei 65 anni di età? Grazia In quanto dipendente pubblica, dovrà raggiungere i 41 anni di contribuzione più 6 mesi e poi ci sarà ancora da aggiungere una manciata di mesi, relativi all’aspettativa di vita, che ad oggi non sono noti. Ho 59 anni compiuti il 24/1/2012. Il 31/8/2012 avrò 21 anni contributivi come lavoro di- pendente e 15 anni e 41 settimane come commerciante. quando potrò andare in pensione? Nicola. Dai dati che ci fornisce (che vanno ovviamente verificati) lei raggiungerà il requisito per la pensione anticipata nel maggio del 2018 con 42 anni e 6 mesi di contributi. Mentre raggiungerà il requisito per la pensione di vecchiaia nel 2019 a sessantasei anni, tre mesi cui si deve aggiungere la speranza di vita. Naturalmente si tratta di dati orientativi basati sulle regole attuali. | | 17 ottobre 2012 | 55 PER PIACERE la quarta edizione della rassegna di contemporanea Gli artisti scelti dagli artisti. Così casa Testori torna felice AMICI MIEI su tv2000 La Svolta racconta la vita nuova di chi incontra Cristo L’incontro con Cristo cambia la vita, stravolge quotidianità ingessate negli anni, rivoluziona il modo di vivere il tempo e il mondo. A raccontarlo saranno i protagonisti de La Svolta, la nuova serie che va in onda su Tv2000 ogni domenica, alle 15.40. Quattordici puntate, realizzate dalla Run to me film per la regia di Fabrizio Ferraro, per descrivere lo straordinario evento della conversione. Nata da un’idea del direttore di Tv2000, Dino Boffo, e curata dal giornalista Lorenzo Fazzini, direttore delle Edizioni Missionarie Italiane, La svolta esplora l’intimo di chi si è avvicinato al cristianesimo in età adulta o lo ha riscoperto dopo un periodo di abbandono; ripercorre le tappe attraverso cui è avvenuto l’incontro con Cristo fino a descrivere il nuovo corso di una vita trasformata dalla fede. Tra i personaggi intervistati ricordiamo il cantautore emiliano Giovanni Lindo Ferretti (nella foto in alto), il regista torinese Guido Chiesa, la teologa russa Tatiana Goritcheva, lo scienziato irlandese Alister McGrath, il giurista catanese Pietro Barcellona, l’attrice romana Claudia Koll e lo scultore giapponese Etsuro Sotoo. libri Le Vacanze Milane di Luca Doninelli È in libreria Vacanze Milane. La città della cura, la cura della città, terzo volume de Le Nuove meraviglie di Milano firmato da Luca Doninelli (Guerini e associati, 205 pagine, 14,50 euro). Sognare una Milano con i Navigli a cielo aperto e riempirla di grat- di Livia Orlandi F ormula che vince non si cambia, ma si rinnova perché se c’è un luogo dove non abita la paura di sperimentare quello è casa Testori. L’associazione che gestisce la casa del grande scrittore a Novate Milanese torna infatti quest’anno con uno degli appuntamenti che da quattro anni più l’hanno fatta conoscere e apprezzare agli addetti ai lavori ma anche al grande pubblico. Giorni Felici a casa Testori è infatti un riuscito “unicum” che valorizza i giovani artisti, ne mostra i legami con i “maestri” e, risultato non accessorio, dona nuova vita a un luogo pieno di fascino e storia quale è appunto la casa della famiglia Testori a Novate Milanese. Ogni volta, da quattro anni a questa parte, oltre 3.500 persone hanno preso il treno che da Cadorna porta a Novate Milanese (lo stesso che prendeva Testori per andare nel suo studio in città) per aprire le porte di quelle venti stanze animate dalle opere di venti artisti contemporanei. La novità di quest’anno è che a scegliere i 20 creativi sono stati altrettanti colleghi. Fianco a fianco ci sono artisti che non hanno bisogno di presentazioni e giovani: giovani invitati dai loro maestri o grandi nomi voluti da artisti giovani che si sono messi nella loro scia, com’è il caso di Mario Schifano, chiamato da Andrea Mastrovito, a cui è dedicato il salone della villa. Schifano sarà presente con le foto dipinte, tra le quali spiccano anche gli scatti a Giovanni Testori, del 1993. Giorni Felici renderà omaggio al grande architetto Angelo Mangiarotti, appena scomparso, e “invitato” da Alessandro Mendini. Quest’anno il cast è particolarmente internazionale: presenteranno le loro opere artisti provenienti da Giappone, Finlandia, Germania, Slovenia, Olanda e Serbia. Hanno indicato uno degli artisti presenti, tra gli altri : Enzo Cucchi, Stefano Arienti, Marco Cingolani, Gabriele Basilico, Giovanni Frangi e Massimo Kaufmann. Espongono, tra gli altri: Wouter Klein Velderman, Luca Pignatelli, Giovanni Hänninen, Kei Mitsuuchi, Marco Cirnigliaro. Giorni felici a casa Testori 20 artisti per 20 artisti lun/ven: 18-22 - sab/dom e festivi: 11-20 Fino al 4 novembre Info: tel. 02.552298371 [email protected] tacieli senza nesso con la storia della città, vagheggiare una città a misura d’uomo identificata con la lentezza o la rarefazione del traffico sono aspetti, uguali e contrari, di un unico nodo irrisolto, che l’autore ha identificato con il problema della cura. Della cura della città e della cura della singola persona, perché è nella cura della persona il termometro della cura della collettività, il problema culturale su cui si deciderà, negli anni a venire, l’identità milanese. Sono le “vacanze milane” in cui si imparerà, come il protagonista, cosa sia una metropoli dei nostri giorni vissuta da soli, ma con la scoperta di un dono, non troppo nascosto. Prefazione di Giacomo Poretti, postfazione di Riccardo Bonacina. l’aRTE all’asta le opere di una cinquantina di artisti legati al territorio lecchese (nativi o di adozione) che hanno lasciato un segno alla città. L’obiettivo è quello di realizzare un’area dedicata a bambini affetti da autismo infantile a La Nostra Famiglia di Bosisio Parini e finanziare borse lavoro rivolte ai giovani presso l’ufficio cultura del Comune di Lecco. 51 artisti partecipano all’iniziativa, donando altrettante opere che verranno presentate in due mostre. La prima si è tenuta dal 22 settembre al 7 ottobre alla Nostra Famiglia di Bosisio Parini e la seconda si terrà a Lecco dal 13 ottobre al 4 novembre. L’evento si concluderà il 9 novembre con un’asta benefica al Teatro della Società di Lecco. Il ricavato dell’asta contribuirà alla realizzazione dello spazio INAUT dell’ospedale amico di Bosisio Parini. eventi/2 eventi/1 Il nuovo convegno di Medicina e Persona Giornale di Lecco, Giornale di Erba, Associazione La Nostra Famiglia e assessorato alla Cultura del Comune di Lecco sono i protagonisti di un nuovo progetto che lega cultura e solidarietà. L’iniziativa a scopo benefico “Creativi per Lecco” mette Si terrà dal 25 al 27 ottobre prossimi a Tabiano Terme il convegno organizzato dall’associazione Medicina e Persona dedicato al tema “Un conoscere condiviso. Il lavoro sanitario e psico-sociale in équipe”. Per informazioni sul programma e sulle modalità di partecipazione si può consultare il sito: medicinaepersona.org. Creativi lecchesi al servizio del sociale | | 17 ottobre 2012 | 57 MOBILITÀ 2000 DI NESTORE MOROSINI LA VETTURA CULT DELLA VOLKSWAGEN Settimo sigillo della famiglia Golf L a Volkswagen Golf è giunta alla settima generazione ed è in vendita, in questi giorni, a prezzi che vanno da 17.800 a 28.200 euro. Innanzitutto va detto che i suoi lineamenti sono valorizzati da un assemblaggio davvero impeccabile. Una prerogativa che risalta anche nell’abitacolo, tanto da fare registrare un upgrading della finitura rispetto a quella proposta dalla Golf precedente, peraltro già buona. Con quest’ultima il distacco è messo in risalto anche dallo stile dell’arredamento, gradevole ed ergonomicamente curato grazie alla plancia orientata verso il guidatore, ai comandi sistemati in modo da essere raggiunti comodamente e a chicche hi-tech, come il sistema d’infotainment Touch. Dal posto di guida, quindi, emerge come unico neo la scarsa visibilità posteriore. La nuova Golf è proposta in Italia in una famiglia articolata su cinque motorizzazioni che originano nove varianti, dato che alcune di esse possono essere abbinate anche al cambio a doppia frizione Dsg che, a seconda della potenza espressa, può essere a sei piuttosto che a sette marce. Lo schieramento delle Golf a benzina al momento è composto dalle unità Tsi (turbo a iniezione diretta) di 1,2 litri da 105 cavalli e di 1,4 litri nelle varianti da 122 e 140 cavalli. Quest’ultima, nella primavera del prossimo anno, si declinerà anche nella variante Act, ovvero con il sistema che disattiva due dei quattro cilindri in determinate situazioni di marcia per limitare consumi ed emissioni. La famiglia delle Golf turbodiesel è formata, invece, da due proposte: la 1.6 Tdi da 105 cavalli e la 2.0 Tdi da 150 cavalli. Poi, naturalmente, la famiglia si allargherà con altre versioni: la già annunciata Gti, la R ancora più potente e l’ecologica variante alimentata a metano. E poi, ancora, arriveranno anche altre proposte di carrozzeria. Le immagini della nuova Golf: dall’alto verso il basso, il posteriore, il frontale, la plancia e il navigatore satellitare | | 17 ottobre 2012 | 59 UN ALTRO MONDO è POSSIBILE una paternità discreta e profonda Don Massimo mi ha accolto come un figlio ferito di Aldo Trento «C arissimi fratelli, questa matti- na è stata pubblicata dalla Santa Sede la notizia che il Santo Padre Benedetto XVI ha voluto nominarmi vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, aggregandomi così al Collegio dei successori degli Apostoli». Con queste parole monsignor Massimo Camisasca ci ha annunciato che il Santo Padre lo ha nominato Vescovo di Reggio Emilia. La prima reazione che ho avuto a questa inattesa notizia è stata quella di una sorpresa gioiosa che mi ha riempito di allegria perché in questo momento la Chiesa e il mondo hanno bisogno di pastori intelligenti, innamorati di Cristo, nei cui visi siano evidenti i tratti della Presenza del Mistero. La prima volta che ho avuto la grazia di incontrare monsignor Camisasca è stata nella primavera del 1989 per un pranzo con lui a Milano. Stavo allora vivendo uno dei momenti più difficili della mia vita e monsignor Giussani, che conosceva fino in fondo la mia situazione, mi “consegnò” a don Massimo. Non ricordo bene tutti i dettagli di quello che successe in quel pranzo, perché stavo così male che neppure riuscivo a parlare. Di certo fu uno dei momenti più importanti della mia vita, destinato nel tempo a trasformarsi in uno strumento di misericordia per il mondo. Giussani aveva chiesto a don Massimo di accettarmi nella Fraternità dei sacerdoti missionari di San Carlo Borromeo. E monsignor Camisasca, malgrado non mi conoscesse, di fronte alla domanda del fondatore del movimento di Comunione e Liberazione non esitò un solo istante, seguendo la prassi indicata in questi casi dal diritto canonico. Infatti io appartenevo ad un’altra congregazione e c’era un iter preciso da percorrere per arrivare ad un’altra scelta definitiva. È stata una decisione difficile da parte mia, ma mi consegnai completamente sia a don Giussani che a monsignor Camisasca. Proprio per questo motivo quando mi hanno proposto di andare in Paraguay non ho avuto dubbi nel riconoscere la volontà del Signore che si rendeva evidente nella proposta di monsignor Giussani. I primi due anni sono stati abbastanza difficili, tra l’altro dovevo ancora decidere se ritornare nella mia congregazione precedente o chiede- 60 | 17 ottobre 2012 | | POST APOCALYPTO Don Massimo Camisasca (nella foto) è stato nominato dal Papa vescovo di Reggio Emilia-Guastalla re l’incardinazione nella Fraternità dei missionari di san Carlo Borromeo. Nella confusione che stavo vivendo, sostenuto dall’amicizia e dalla compagnia di Giussani chiesi definitivamente a monsignor Camisasca che mi accogliesse nella Fraternità. Mi accettò come fa un padre con suo figlio. Nei primi dieci anni di missione in Paraguay non avevo la coscienza chiara della grazia che il Signore mi aveva dato. Vivevo una specie di autonomia dalla quale per fortuna mi scuoteva in continuazione don Giussani. Tuttavia monsignor Camisasca nel rispetto totale della mia libertà ha saputo testimoniarmi che le prime caratteristiche di una relazione vera sono il rispetto della libertà e la discrezione. Per molti anni è stato difficile per me (anche a causa della depressione che mi tormentava) riconoscere in lui il dono di cui Dio mi aveva fatto oggetto. Dopo dieci anni mi sorpresi a vivere la realtà con un sguardo differente e questa diversità si manifestò anche verso don Massimo e la Fraternità di San Carlo Borromeo. Fino a che un giorno, dopo avere visto quello che la Divina Provvidenza stava realizzando in questo posto, Camisasca chiese al giornalista Rober- to Fontolan di raccontare in un libro la strada miracolosa della mia persona e di tutta la comunità di San Rafael. Così fu editato Cronache dal nuovo mondo. Il libro venne poi presentato al Meeting di Rimini dallo stesso Camisasca. Da quel momento ho iniziato ad assaporare la sua paternità, sempre molto profonda e molto discreta. Con lui ho sperimentato la grazia di quello che significano le parole: paternità e compagnia. Certo i momenti difficili sono continuati per molti anni e nemmeno ora mi lasciano tranquillo ma la certezza del suo affetto verso la mia persona mi ha sempre donato tanta pace. La sua presenza, sempre molto discreta, si manifestava soprattutto nelle sue preghiere per me e anche in alcuni momenti di convivenza come quelli vissuti insieme a Porchiano e Leggiuno. Ricordo molto bene che sono stati giorni di grande e copiosa grazia che mi hanno permesso di scoprire la profonda affezione che don Massimo aveva per la mia persona. Mi torna alla mente con particolare affetto il soggiorno a Porchiano dove la Fraternità ha una sua casetta che viene utilizzata per pregare, studiare e riposare. Sono stati momenti davvero preziosi perché ho potuto Così mi scriveva don Camisasca: «Ricordo bene i tuoi primi anni. Anni drammatici, in cui si era quasi pensato, d’accordo con te, a un tuo rientro in Italia. Fu Dio a capovolgere tutto. A darti l’energia per trovare proprio nella ferita scavata dentro di te il luogo dove accogliere un numero enorme di persone» era attento e grato per le opere che qui sono nate. La lettera che segue, in occasione della presentazione del libro I dieci comandamenti, è un esempio evidente della sua paternità e della sua affezione alla mia persona e dell’ammirazione che aveva per tutto ciò che il Mistero ha fatto in questa parte del mondo. [email protected] C Massimo, grazie per avere dato tutto di te alla mia persona. Il dono della tua paternità, sono sicuro, continuerà ad accompagnarci, perché ci hai educati a sperimentare che “si è Padri per sempre”. padre Aldo C toccare con mano la sua grande umiltà e il suo amore per il silenzio. Ha sempre voluto darmi la sua stanza per dormire, scegliendone per sé una più modesta. Nei lunghi dialoghi con lui ho avuto l’opportunità di conoscere e sperimentare la profondità del suo amore per Cristo e la sua passione per l’uomo. Si commuoveva guardando la bellezza del panorama circostante dentro il quale vedeva il riflesso della bellezza divina. Un momento eccezionale è stato il soggiorno che ci ha offerto due anni fa a Leggiuno, il suo paese di origine. Con gli Zerbini e don Julián della Morena abbiamo vissuto e condiviso con il “nuovo vescovo” tre giorni di grande intensità. I momenti di dialogo venivano alternati con altri nei quali ci ha guidato a visitare il Lago Maggiore portandoci a spasso con una barchetta. Ricordo la sua edificante spiegazione durante un pranzo, in una delle isole del Lago, sulla vita e sull’opera di Alessandro Manzoni. In quell’occasione ci portò anche a vedere la tomba di Antonio Rosmini e del poeta Rebora. Le sue spiegazioni era tanto semplici quanto profonde. Don Massimo è venuto più volte a trovarci in Paraguay, manifestandoci sempre un affetto grande. Inoltre aro monsignor aro padre Aldo, ricordo molto bene, anche se sono passati tanti e tanti anni, quella mattina di primavera del 1989 in cui ci siamo incontrati per la prima volta. Io, in realtà, ti avevo già intravisto durante qualche incontro del movimento, ma non avevo mai fissato lo sguardo su di te come quella mattina. Sapevo infatti che venivi da me mandato da don Giussani. La nostra Fraternità era ancora all’inizio, non aveva neppure ottenuto il riconoscimento canonico di Società di vita apostolica. Eravamo assieme da tre anni e mezzo, come semplice associazione di fedeli. Eppure don Giussani aveva voluto affidarti a noi. In particolare, a me. Non ricordo molto di quel nostro primo incontro. Ricordo soltanto la tua timidezza, e il tuo affidamento totale a don Giussani. Forse mi hai raccontato qualcosa della tua vita, quelle notizie che ora hanno toccato migliaia e migliaia di persone attraverso i tuoi interventi così scioccanti, sempre diretti, senza paura di esporti in primo piano, quasi a voler gridare una grazia ricevuta in cui può essere racchiuso e sanato ogni male. Don Giussani suggerì allora il Paraguay. Ero già stato in Paraguay nell’86, dopo la Giornata mondiale dei giovani in Argentina. Avevo passato qualche giorno della Settimana Santa con un piccolo gruppo di giovani che aveva radunato attorno a sé don Lino Mazzocco, allora missionario in quel paese. Fu il mio primo incontro con il mondo guaraní, quel mondo che tu hai fatto conoscere attraverso i tuoi libri sulle Reducciones, che non sono soltanto il racconto di un passato, ma anche la traccia per capire ciò che oggi stai realizzando. I gesuiti del ‘600 e ‘700 erano portati da una passione assoluta per Cristo a incontrare quegli uomini lontani dalla loro esperienza culturale, a cui erano riusciti però a insegnare a scrivere, a leggere, a cantare, a vivere una vita ordinata e bella. Allo stesso modo hai desiderato portare la bellezza e la guarigione che viene da Cristo in una terra segnata da tanti doni di Dio come le foreste e le cascate, ma anche deturpata dagli uomini. Così sei partito per il Paraguay, dove hai trovato l’amicizia con un sacerdote, don Alberto. La vita con lui è stata, io penso, l’inizio di tutto. Successivamente sarebbe venuto in Paraguay Paolino, poi altri fratelli che si sono aggiunti e si aggiungeranno. Attraverso di loro, hai potuto entrare dentro l’esperienza della Fraternità San Carlo. Essa non è un’utopia, un’idea bella, una sovrastruttura. È invece un gruppo di amici messi insieme da Cristo, seguendo il dono di don Giussani, a lavorare per la gloria di Cristo nel mondo. Il rapporto con loro è la fonte della tua carità. Ricordo bene i tuoi primi anni. Anni drammatici, in cui si era quasi pensato, d’accordo con te, a un tuo rientro in Italia. Fu Dio a capovolgere tutto. A darti l’energia per trovare proprio nella ferita scavata dentro di te il luogo dove accogliere un numero enorme di persone. Sono così nati quei volti che noi conosciamo attraverso i tuoi racconti: volti di persone abbandonate, talvolta violentate, sole, senza speranza, bambini e vecchi, uomini e donne, che accompagni a vivere o a morire, ridonando loro la coscienza della propria dignità di uomini, la bellezza dell’aver vissuto, anche nelle condizioni più terribili, e soprattutto la certezza che Dio è Padre, che accoglie e perdona e rianima i figli che ricorrono a Lui. Prego ogni giorno per te, perché il Signore ti custodisca, e custodisca le persone a te affidate, perché ti doni di sperimentare sempre la sua dolce presenza, ti sia conforto e sprone per affrontare tutte le difficoltà. Conosco quali raggi di luce vengono a te dall’adorazione eucaristica. Nel silenzio trova sempre l’esultanza di chi sa che l’umiltà è la vera strada della propria grandezza. Un abbraccio don Massimo | | 17 ottobre 2012 | 61 LETTERE AL DIRETTORE Storia d’Italia secondo l’unico politico cattolico piaciuto a Repubblica B uoni amministratori, pratiche virtuose, nulla conta più. Il politico è il male. La politica è la bestia da abbattere, da sacrificare all’orda affamata al soldo del nulla. Così un uomo come l’assessore alle Infrastrutture della Regione Lombardia Raffaele Cattaneo, che in questi anni è riuscito a fare quanto negli ultimi quattro decenni non si era neppure riusciti a pensare, consegnando al nostro territorio eccellenze infrastrutturali che ci invidiano anche fuori dai confini nazionali, appena si è permesso di criticare, anche provocatoriamente, il taglio ai costi della politica, è finito nel tritacarne dell’indignazione. È bastato alzare la testa, permettersi l’atto democratico della dialettica, perché la macchina del fango scattasse impietosa. La “democrazia rubata” è mettere in un unico contenitore i politici competenti e capaci che producono risultati e bene comune con i casi di malcostume e malapolitica. Citare la Repubblica di Weimar potrà apparire sproporzionato, eppure quando non è più la ragione a governare i processi democratici, ma la demagogia, a tutti (destra e sinistra) dovrebbero tremare i polsi. In alcuni momenti bisogna avere il coraggio di andare contro l’onda, sfidare la massa. Quando si decide di assecondare la sete di ghigliottina, la resa è già stata accettata. Purtroppo dietro incombe il nulla o qualcuno che ha deciso che il popolo sta meglio senza democrazia. Fabio Cavallari Compagno, mi pare che la pensiamo proprio uguale e che potevi scrivere tu il nostro editoriale settimanale. 2 Condivido l’“uscita” dell’assessore Raffaele Cattaneo per i seguenti motivi. 1) Gli amministratori della Lombardia (10 milioni di abitanti) che costano una manciata di euro l’anno per abitante e con un rapporto di un consigliere ogni circa 120 mila abitanti devono avere un compenso identico agli amministratori di regioni che non arrivano neanche a mezzo milione di abitanti? No, il grande errore fatto con la modifica del Titolo V della Costituzione è stato piuttosto quello di non prevedere sanzioni per le Regioni con bilancio in rosso. 2) Il provvedimento governativo che vuole allineare le retribuzioni di tutti i Consigli regionali alle Regioni con compensi più bassi come al solito non premia la competenza e l’onestà di tanti amministratori, ma impone un egualitarismo demagogico e statalista che appiattisce tutto. Bisogna punire le Regioni meno virtuose e al limite fissare un tetto di retribuzione da rapportare a una percentuale del compenso del presidente del Consiglio o dei parlamentari. Chi sbaglia paga e deve farsi carico del deficit. 3) Vedo in giro tanta ipocrisia. Tutti chiedono la diminuzione, giustamente, dei costi della politica. Io mi chiedo: la Cassa integrazione in deroga per aiutare le aziende private in crisi o l’intervento dello Stato o della Bce per salvare le banche in difficoltà è stato fatto con capitale privato o con i nostri soldi aumentando la pressione fiscale? Qualcuno ha mai chiesto alle aziende o alle banche di diminuire i compensi ai propri manager perché responsabili dei bilanci in rosso? Cosma Gravina via internet 2 Segnalate a Berlicche che non il cuoco Gualtiero, bensì il latinista, accademico e politico Concetto Marchesi è l’autore della citazione: «È sbagliato giudicare un uomo dalle persone che frequenta. Giuda, ad esempio, aveva degli amici irreprensibili». Probabilmente Berlicche ha scritto il pezzo con i morsi della fame! Stefano Cecchin via internet 2 Resto sempre allibito quando mi “scontro” con i cattolici adulti. Qui mi riferisco a una persona ai vertici di una grande associazione cattolica a Brescia. Come voi spesso fate notare, il magistero della Chiesa continua a richiamare i politici cattolici ai “princìpi non negoziabili” e alla “legge naturale” come base per il bene comune. Ebbene, fatte presenti queste cose al suddetto signore, ho chiesto conto delle scelte contrarie che fanno riguardo proprio ai richiami del magistero. Risposta: «I valori non negoziabili non sono buona politica! La legge morale naturale per chi non è cattolico è solo un punto di vista, neppure tanto forte». Mauro Mazzoldi via internet 2 Ciriaco De Mita ha esternato in un libro-intervista le sue riflessioni sulla storia d’Italia dal 1945 ad oggi. Credo che in quelle pagine sia riuscito in una impresa forse unica. Non ha mai nominato (e faccio solo qualche esempio): di Fred Perri SCIOPERO PER UNO STIPENDIO “BRASILIANO” Questo paese ti fa scappare la voglia? Fai anche tu come i russi dello Zenit L a migliore definizione dell’Italia è “un paese che ti fa scappare la voglia”. Ci pensavo domenica pomeriggio quando sono finito in uno stadio dove non bazzicavo, ho riflettuto, da almeno tre anni. Mi sono avvicinato al solito botteghino, accanto a cui c’era il solito ingresso, ma mi hanno detto che avevano spostato tutto e mi sono ritrovato a fare altri due- 62 | 17 ottobre 2012 | | cento metri per poter entrare. Quando mollo questo lavoro, non mi beccate più. Però, fin qua, stiamo parlando di calcio, materia opinabile. Il guaio è che questo paese fa scappare la voglia in tutto. Fa scappare gli investitori stranieri che temono di trovarsi imbrigliati nell’incubo della peggiore burocrazia del mondo o zavorrati dalla cultura Foto: AP/LaPresse SPORT ÜBER ALLES [email protected] Foto: AP/LaPresse Enrico Mattei, Giuseppe Lazzati, Ezio Vanoni, Gianni Baget-Bozzo, Lelio Basso, Giulio Pastore, Attilio Piccioni, Giorgio Almirante, Pasquale Saraceno, Riccardo Lombardi, Achille Ardigò, Giorgio La Pira; e nessuno del gruppo avellinese che, con lui, divenne elemento propulsivo de La Base, che svolse un ruolo determinante in momento essenziale della storia della Dc: Salverino De Vito, Giuseppe Gargani, Gerardo Bianco e Nicola Mancino. Ha nominato una sola volta (per lo più con motivazioni ovvie e qualche volta banali) Mario Scelba, Joseph Ratzinger, Beniamino Andreatta, Massimo D’Alema, Giovanni Galloni, Gabriele De Rosa, Ugo La Malfa, Pietro Nenni, Giovanni Marcora, Paolo Bonomi, Mario Segni, Bruno Visentini. Ha ricordato due volte Giovanni Gronchi. Paolo Emilio Taviani, Fiorentino Sullo, Eugenio Scalfari. Quest’ultimo non per l’eccezionale, aperto supporto (graditissimo da De Mita) che gli diede prima e dopo la sua elezione a segretario della Dc quale leader ritenuto capace di “modernizzare” (in chiave azionista) il partito, il confronto politico e le istituzioni. Ma ha ricordato il fondatore e allora direttore di Repubblica per la parte dell’intervista (pubblicata postuma) in cui Aldo Moro spiegava le ragioni dell’atteggiamento che aveva assunto durante il caso De Lorenzo nel 1964; e per l’intervista in cui Berlinguer trattò diffusamente della “questione morale” che investiva la politica e le istituzioni. Tra i degni, per De Mita, di menzione nelle riflessioni sulla storia d’Italia, è in testa Moro con 23 richiami, seguito da De Gasperi (18), don Sturzo (16), Berlinguer (14), Andreotti (13), e poi altri a una sola cifra. Per esempio: Fanfani LA CONVERSIONE DI CUI PARLA PAPA RATZINGER Il cristiano non è completo se non è un incendiario di Pippo Corigliano CARTOLINA DAL PARADISO C in cui Leonardo Mondadori rispondeva alle domande di Vittorio Messori descrivendo la propria conversione. “Conversione” è anche la parola chiave che il Papa ha utilizzato nell’omelia di domenica scorsa per inaugurare il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione. La “conversione” personale, per il Santo Padre, è lo scopo dell’Anno della fede che deve trasformare il cuore dei fedeli. Sono stato testimone dell’itinerario che Leonardo Mondadori, allora presidente della casa editrice, ha percorso nell’arco di una decina d’anni. All’inizio era un gentile signore desideroso di portare fermenti culturali nuovi, poi ha cominciato a prendere sul serio la fede e, infine, è diventato un uomo raggiante, apostolico a tutto campo. Sua è stata l’iniziativa di lanciare a livello internazionale il “primo libro di un Papa”, Varcare la soglia della speranza, suo è stato il desiderio di pubblicare libri che spiegassero la natura e i fini del matrimonio, suo l’impegno per portare a una fede operativa ognuno dei suoi amici. Ecco cosa può diventare un uomo che ha compiuto in sé, con l’aiuto della grazia, una conversione: una brace ardente capace di appiccare il fuoco dovunque. «Fuoco sono venuto a portare sulla terra…» dice Gesù (Lc 12,49) e il cristiano non è un cristiano completo se non è un incendiario. Io vorrei uscire da quest’Anno della fede “convertito”: vorrei diventare un appiccatore di fuoco (d’amore di Dio) a tutto e a tutti. Questo intende Papa Benedetto. onversione è il titolo del libro 8, Prodi 6, Zaccagnini e Cossiga 5, Donat-Cattin e Berlusconi 4, Dossetti 2. Togliatti viene nominato 7 volte, tra le quali una che merita di essere ricordata perché esemplare dell’ideologia politica demitiana: gli attribuisce infatti (insieme a Gramsci e a Berlinguer) il tentativo non riuscito «di mantenere aperta la prospettiva del socialismo, garantendo e non eliminando la libertà e con essa la democrazia», contro la logica intrinseca al materialismo storico-dialettico, «che finisce di rovesciare la sua prospettiva di libertà totale nello Stato-moloch che la spegne». Mi sembra che il Ciriaco De Mita de La storia d’Italia non è finita confermi l’osservazione di Gómez Dávila: «Il progressista crede che tutto diventi obsoleto, tranne le sue idee». Nicola Guiso sindacale più vecchia della storia. E poi, cari miei, ti scappa la voglia di votare. Ve lo dico chiaro, il primo che mi viene a fare il solito discorsetto, tra cinque mesi, questa volta lo fanculeggio aspramente. Abbocco da trent’anni ma mo’ basta con la tiritera del meno peggio. Adesso faccio come i russi dello Zenit che si sono ammutinati perché i brasiliani che hanno preso guadagnano più di loro. «Vogliamo lo stesso stipendio», hanno urlato. Bene, per farmi tornare la voglia, mi dovete invitare per le vacanze ai Caraibi (io non mi candido, quindi nessuno poi mi scasserà le balle) oppure regalarmi un Suv. Avrei pure un’altra richiesta, ma ogni tanto mia moglie legge questa rubrica. | | 17 ottobre 2012 | 63 taz&bao Via Cristo arriva la schiavitù «Tolto Cristo (intuì confusamente Nietzsche) ciò che si eredita dal cristianesimo è l’essere di una razza inferiore, un negro, un uomo che deve tutto alla Dichiarazione del Diritti dell’Uomo». Davide Rondoni prefazione a Arthur Rimbaud, Una stagione all’Inferno, Rizzoli 2012 64 | 17 ottobre 2012 | | Jean-Leon Gerome, Mercato degli schiavi a Roma, 1884 circa, olio su tela, 92x74 cm, State Hermitage Museum, San Pietroburgo GLI ULTIMI SARANNO I PRIMI L’ATTESA IN OSPEDALE Il nodo dei destini di Niguarda di Marina Corradi M ilano, ottobre. Ogni volta che ci passo davanti l’ospedale di Niguarda, alla pe- riferia nord della città, mi sembra un altare; un imponente candido altare alla sofferenza, i marmi squadrati nella durezza dell’architettura littoria. Recentemente però ho scoperto che il vecchio ospedale ha un’ala tutta nuova: luminosa, ampia, simile a un atrio di aeroporto, con bar e negozi, e vetrine accattivanti. Sopra agli sportelli i pannelli elettronici segnalano il numero del paziente convocato; sì, pare proprio un aeroporto, con le indicazioni dei gates che chiamano i viaggiatori al loro volo. Io, ho in mano un bigliettino con su scritto: B55. Manca molto. Guardo nella folla le facce. C’è una giovane coppia con un bambino piccolissimo. Padre e madre sorridono fra loro; solo un controllo, e quei tre certo se ne andranno subito di qui, verso una vita tutta da cominciare. Mi impensierisce di più, davanti a me, una bella signora elegante, abbronzata. Indossa sobri ma rigorosamente veri gioielli, in mano ha una rivista che non apre nemmeno. Estrae il cellulare e nervosamente digita un numero; Questo aeroporto che ci smista ad nessuno le risponde. Lei stropiccia in mano il numero dell’attesa fino a appallottolarlo. Un uno ad uno mi dà pena; sembriamo che esame? La bella signora non vede così soli. Tocca a me, ora; apro la mia esame, nemmeno quelli che ha attorno. busta con impazienza, leggo; poi, E questi due, madre e figlio, con una valigia soddisfatta, mi avvio svelta all’uscita e l’accento calabrese? Sembrano impressionati dal grande ospedale, dalla chiara efficienza, dal veloce andirivieni della folla frettolosa. Guardano e riguardano, come temendo di scordarlo, il loro numerino. Il malato dev’essere il ragazzo, direi, da come la donna lo guarda con ansia, e premurosa lo fa sedere. E si spengono e si accendono i numeri sugli sportelli, e ognuno va verso il suo destino. C’è chi riceve una busta e la apre in fretta, legge, e di buon passo se ne torna fuori, fra i sani. C’è chi viene indirizzato dentro al grande ospedale; e, inesperto, in quel labirinto esita, domanda a un infermiere e quello allunga un dito: giù, per di là, in fondo, e indica un corridoio molto lungo e un po’ buio. In fondo, un ascensore chiude silenzioso le sue porte automatiche dietro allo sconosciuto. Che piano? Quale reparto? Questo aeroporto che ci smista ad uno ad uno mi dà una strana pena; sembriamo, nell’incrocio dei destini, così soli. Tocca a me, ora; apro con impazienza la mia busta, leggo; poi, soddisfatta come uno scolaro che ha passato un esame, mi avvio svelta all’uscita. Prima di allontanarmi però mi volto verso il grande altare bianco; mi sembra che mi guardi indifferente. Come dicesse: vai pure, tanto, un giorno, qui dovrete ritornare tutti. Gente che va, gente che arriva a Niguarda, il verde che scatta, il tram numero 4 che scampanella spazientito. Un vecchio cammina male, quasi cade. Io dovrei essere contenta, e sono amara. (Trovo maledettamente difficile, lo ammetto, riconoscere nelle mie giornate la concretezza di Dio. Per esempio, mi chiedo, oggi, in questo nodo di destini in un grande ospedale, tu, esattamente, dov’eri?). Sulla strada ormai buia mi viene in mente Agostino: «In interiore homine habitat Veritas». Nel gomitolo di destini di Niguarda lui in ognuno di noi, nel vertice più profondo, strenua radice. Forse bisogna star zitti, e ascoltare. Per vedere davvero, forse occorre pregare. 66 | 17 ottobre 2012 | | DIARIO IN COLLABORAZIONE CON CONDIVIDERE I BISOGNI, PER CONDIVIDERE IL SENSO DELLA VITA www.bancoalimentare.it