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Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR
settimanale diretto da luigi amicone
Lui corvo
noi polli
Vatileaks,
tutte le storielle
che ci hanno
dato da bere
numero 41 | 17 ottobre 2012 |  2,00
EDITORIALI
LA PROSSIMA TRANSIZIONE (CONTABILE)
Magari non scorrerà il sangue,
ma il futuro del paese sa di macerie
N
per capire che l’agenda politica
dell’establishment è un governo Bersani con presidenza della Repubblica (Monti
o Prodi) di “garanzia” europea. Il resto, ovvero tutto quanto non è commestibile
per le grazie di una élite che ha molti conti in Svizzera e molte bollicine in Borsa, viene
tranquillamente consegnato alla cura sacerdotale delle procure e avviato all’inceneritore della politica che non si porta più. Rispetto ad altre nazioni in esplosiva agonia (Grecia e Spagna), l’Italia ha l’indubbio vantaggio di essere un paese pacifico e caciarone, forcaiolo al bar sport ma che detesta il sangue. Un paese che oggi sembra essersi rassegnato
alla schiavitù partorita da un potere che ha saputo distrarre l’attenzione dall’ignominia della propria inettitudine e indirizzare l’opinione pubblica contro la politica. Nella rappresentazione caricaturale della politica come cosa da Er Batman. Lo svantaggio
italiano è che gli esiti più gravi di questo avvelenamento delle sorgenti sono i giovani
sbandati e le realtà di associazionismo popolare fuori gioco. A dirla volando basso, il risultato del vuoto riempito dal tintinnar di manette e dal fascino di un onesto capo contabile è che più del 50 per cento degli italiani oggi non sa per chi votare e nemmeno se
andrà a votare. Insomma, un futuro per l’Italia proprio non si vede. Per questo, sotto le
maniere roboanti delle primarie a sinistra e
dell’orfanotrofio a destra, altro non si respi- Nei piani dell’establishment c’è un
ra che odori di fumo e di macerie. Purtroppo,
governo Bersani con un capo dello
come Grecia e Spagna già anticipano, l’Europa sta correndo verso il suo peggior incubo: Stato di “garanzia” europea (Monti
una transizione caotica verso inimmaginabi- o Prodi). Il resto viene consegnato
li (oggi) forme di autoritarismo tecnocratico.
alle procure e all’antipolitica
on bisogna essere lettori particolarmente smaliziati
MOLTI DISASTRI, MOLTISSIME CLIENTELE
Se l’egemonia di Chávez resiste perfino
alla sua incapacità, la colpa è del petrolio
N
on sono bastati l’alto tasso di criminalità che ha spento 150 mila vite dal 1999 a oggi, i black-out elettrici a ripetizione, i problemi di approvvigionamento idrico, il
50,9 per cento della popolazione costretta nell’economia sommersa o disoccupata,
la chiusura di metà delle imprese private, l’economia manifatturiera e l’agricoltura allo
sbando dopo la raffica di nazionalizzazioni che hanno consegnato nelle mani di incompetenti amici del regime più di mille aziende. Non è bastato nemmeno il cancro, che a tre
riprese ha attaccato la salute del presidente: Hugo Chávez ha vinto per la quarta volta le
elezioni del Venezuela, e se il fisico glielo consentirà governerà fino al 2018. Il segreto del
successo del colonnello dei parà riciclatosi in politica dopo aver fallito un golpe nel 1992
ha un solo nome: petrolio. Quando Chávez salì al potere nel 1998 si vendeva a 14 dollari
al barile, oggi a più di 100. I suoi governi non sono stati in grado di utilizzare la manna
petrolifera per lo sviluppo del paese, ma hanno saputo creare un’immensa base clientelare con assunzioni pletoriche e distribuzioni di risorse a pioggia: i dipendenti della Pdvsa,
l’azienda nazionale del petrolio, sono aumentati da 32 mila a 105 mila mentre la produzione scendeva da 3,5 milioni di barili al giorno a 2,4 (ma compensati dall’aumento del
prezzo). I dipendenti pubblici sono passati da 1 milione a 2,5 milioni. I fedelissimi hanno
avuto diritto a un posto nelle Milizie bolivariane (115 mila elementi) o a un’impresa esproI suoi governi non sono stati
priata ai capitalisti (1.136 aziende). L’assistenin grado di utilizzare l’oro nero
zialismo spacciato per socialismo bolivariano
per lo sviluppo del paese, ma
e i successi del regime dureranno finhanno saputo creare consenso
ché dureranno il petrolio e i suoi
distribuendo risorse a pioggia
prezzi attuali, non un minuto di più.
FOGLIETTO
Inguaiati e spiazzati.
Una crisi acuta richiede
risposte complesse.
Troppo per i nostri
seminatori di proteste
C
il
presidente Giorgio Napolitano
l’Italia sta attraversando una
crisi particolarmente acuta. A una
congiuntura assai dura (anche a causa
di alcune scelte del governo Monti
indispensabili nell’indirizzo ma sbagliate tecnicamente) si collega un grado
eccezionale di influenze straniere sulla
nostra sovranità. La società risponde
alla situazione con elementi di frustrazione e rabbia che indeboliscono radicalmente una politica già fragile: ciò
è dovuto anche alla crisi verticale di
uno Stato la cui Costituzione in parti
essenziali ha terminato la sua funzione
con la fine della storia che l’aveva
prodotta, cioè la Guerra fredda. Congiuntura, influenze straniere, sfiducia
della società e crisi dello Stato: non è
facile trovare una via di uscita. Si deve
tenere insieme una risposta concreta
ai problemi del momento, il che vede
una naturale divisione anche di valori
tra destra e sinistra, alla ricostruzione
di uno Stato che oggi non è possibile
senza convergenze tra le stesse destra
e sinistra. È una fase in cui le risposte
non possono che essere “complesse”.
Ciò spiazza inevitabilmente un grande
semplificatore come Silvio Berlusconi
ma, insieme, anche tutti i seminatori
di protesta da Beppe Grillo ai liberisti
rabbiosi a qualsiasi tipo di radicali e in
qualche misura allo stesso Matteo Renzi se non articolerà
l’analisi. Parafrasando
Lindon B. Johnson, che
sfotteva Gerald Ford, abbiamo bisogno di politici
che sappiano camminare
e masticare chewinggum allo stesso
tempo.
Lodovico Festa
ome bene ha ricordato
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SOMMARIO
COPERTINA
Complicità oscure. Insabbiamenti. Violenze sui sospettati. Così
il processo al maggiordomo infedele del Santo Padre ha smontato
tutte le panzane che ci hanno dato da bere sul caso Vatileaks
Roma, Piazza San Pietro, giornalisti e telecamere
in attesa della sentenza che il 6 ottobre scorso
ha condannato l’ex maggiordomo del Papa
Paolo Gabriele a 18 mesi di carcere per furto di
documenti (e altro) nell’appartamento pontificio
Foglietto
Lodovico Festa...................................3
6
Non sono d’accordo
Oscar Giannino.............................. 13
numero 41 | 17 ottobre 2012 |  2,00
settimanale diretto da luigi amicone
Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/Vr
Lui corvo
noi polli
Boris Godunov
Renato Farina................................. 27
Vatileaks,
tutte le storielle
che ci hanno
dato da bere
carta dei diritti
6
Megacomplotti segreti.
Tentativi di insabbiamento.
Perfino la presunta tortura
del sospettato numero uno.
Un Vatileaks pieno di balle
GLI STRUMENTI
Dalla Cassa integrazione alla mobilità
la Cassa integrazione guadagni (Cig)
è una prestazione economica erogata
dall’inps con la funzione di integrare o
sostituire la retribuzione dei lavoratori
che vengono a trovarsi in precarie condizioni economiche per sospensione o
riduzione dell’attività lavorativa. È ordinaria quando la sospensione o riduzione
dell’attività aziendale dipende da eventi
temporanei e transitori non imputabili
né al datore di lavoro né ai lavoratori. È
straordinaria quando l’azienda subisce
Straordinaria
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5 ottobre. Alle uffici sono quelli di via Taramelli e a par9.30 nei pressi dalla fermata lare è Fulvio Matone, direttore generale
della metropolitana di Gioia il dell’Agenzia regionale per l’istruzione,
traffico è intenso. Dalla metro escono in la formazione e il lavoro (Arifl). Questa
modo composto una trentina di persone è solo una delle situazioni in cui Matocon bandiere e striscioni ancora arrotola- ne e il suo team – un’affiatata squadra di
ti. Sono alcuni dei lavoratori dello stabili- una cinquantina di persona – si trovano
mento della Nokia-Siemens di Cassina de’ ogni giorno.
Arifl è stata istituita con la legge
Pecchi: oggi è prevista una manifestazione sotto i palazzi della Regione Lombar- regionale di riforma del mercato del lavodia che dovrebbe concludersi dopo l’in- ro in Lombardia (22/2006) e il suo ruocontro con l’assessore all’Occupazione lo è quello di garantire l’attuazione dele alle politiche del lavoro del Pirellone, le politiche regionali di welfare, in parGianni Rossoni. Al centro della protesta ticolare negli ambiti dell’istruzione, deli 580 licenziamenti prospettati in Italia la formazione e del lavoro. Le prerogatidal gruppo di telefonia. Intanto comin- ve istituzionali sono quelle connesse alla
ciano ad arrivare le prime camionette di gestione delle vertenze delle crisi aziencarabinieri e polizia. Ci sono anche agen- dali: in questo ambito l’Agenzia ha potenti della prefettura in borghese e alcuni ziato il suo ruolo di recettore delle segnafunzionari della Regione. Alcuni manife- lazioni e delle istanze provenienti dal terstanti iscritti a Cigl e Fiom si radunano e ritorio in modo tale da intervenire per
iniziano a dialogare con loro; tutto tran- tempo nell’affrontare le crisi e monitoquillo, un colloquio vivace ma senza ten- rare l’efficacia delle politiche. In Lomsioni. Dopo poco i dirigenti della Regione bardia le grandi imprese hanno risposto
si allontanano, non prima di aver garan- allo spostamento del livello complessitito che «l’incontro con l’assessore Ros- vo di domanda dei mercati con razionasoni si fa, vi chiedo che la
manifestazione sia conte«A volte gli ammortizzatori sociali, che sono
nuta in toni accettabili,
un grandissimo valore per la collettività,
evitando tensioni per le
possono diventare ostacoli a rimettersi in
strade. Vi aspetto alle 11
gioco per un futuro professionale diverso»
sotto i nostri uffici». Gli
INTERNI
processi di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione, crisi aziendale o sia
assoggettata a procedure come fallimento o liquidazione. la cassa integrazione
in deroga è un intervento di integrazione
salariale a sostegno di imprese o lavoratori non destinatari della normativa sulla
cassa integrazione guadagni. infine la
mobilità è un intervento a sostegno di
particolari categorie di lavoratori licenziati da aziende in difficoltà che garantisce al lavoratore un’indennità sostitutiva
della retribuzione e ne favorisce il reinserimento nel mondo del lavoro.
2.443.199
22,36%
10.924.312
5.615.251
21,46%
26.168.559
Deroga
3.801.785
12,69%
Totale
11.860.235
17,69%
29.949.613
Lombardia
67.042.484
Italia
Fonte: www.Arifl.it
Rapporto tra nascita e mortalità delle imprese in Italia
Agricoltura
Iscrizioni
ilano, venerdì
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|
Mamma Oca
Annalena Valenti..................... 55
Cig, ore erogate in Italia e in Lombardia (agosto 2012)
Ordinaria
Con trenta vertenze a settimana, l’agenzia
lombarda per la formazione e il lavoro gioca una
partita cruciale nell’italia della crisi e dei casi ilva.
Perché il conflitto non può essere la cifra dei
rapporti con le aziende. Parla il direttore Matone
14
Lui co rvo, noi polli
quando il territorio soffre
L’impresa
di mettersi
d’accordo
2011
25.186
Totale
Industria
Gen-Giu
2012
2011
69.336
17.057
-25.617 -15.054
-32.111
-50.803
Cessazioni*
Gen-Giu
2012
40.929
-30.695 -23.084
Servizi
145.466
86.112
2011
-64.013
-100.031
-130.754
-215.898
Fonte: previsioni Ufficio Studi Confcommercio
lizzazioni significative o con la chiusura
di intere unità produttive. Le situazioni
ancora incerte generano una consistente
domanda di ammortizzatori sociali, così
il panorama si compone di poco confortanti mix tra sessioni di cassa integrazione e licenziamenti collettivi.
«In questo momento – spiega Fulvio Matone a Tempi – le imprese che reagiscono ai cambiamenti solo in base a
una riduzione dei costi e non conseguono incrementi di produttività consistenti sono soggette alla pressione concorrenziale più rapidamente di prima. Gli effetti di scoraggiamento leggibili nelle tendenze del mercato del lavoro si accompa-
re le crisi aziendali. In Lombardia non c’è
più crisi che altrove, semplicemente per
la legge dei grandi numeri le imprese in
difficoltà e i lavoratori a rischio sono davvero tanti. Matone cita i dati Istat relativi al secondo trimestre di quest’anno: «La
Lombardia ha una popolazione di quasi 10 milioni di persone, di quelle in età
lavorativa gli occupati sono il 64,9 per
cento, mentre la disoccupazione è arrivata a quota 7,4 per cento». La crisi c’è e si
sente. Il compito di Arifl è quello di ritagliare spazi e soluzioni perché la locomotiva d’Italia non deragli.
Uno dei compiti dell’Agenzia è infatti
quello di istituire momenti di lavoro con
le varie direzioni di Regione Lombardia,
così che direttori e amministratori siano al corrente della situazione di crisi sul
|
Gen-Giu
2012
-70.432 -44.642
* il numero delle cessazioni
comprende quelle d'ufficio
gnano all’aumento del numero di persone che non lavorando percepiscono sussidi sociali». Arifl rende costante il raccordo tra le parti sociali e continua l’attenzione e la messa a fuoco delle dinamiche
territoriali. Inoltre, mantiene il presidio
dei tavoli ministeriali, sia per le vertenze sugli ammortizzatori di competenza
del ministero del Lavoro, sia verso il ministero dello Sviluppo economico per tutte quelle situazioni aziendali che hanno
impatto nazionale.
I numeri aiutano a capire meglio lo
scopo e le prerogative dell’Agenzia. Dal
primo gennaio 2012 ad oggi Arifl ha gestito 14 mila istanze di cassa in deroga (di
cui circa 10 mila già prese in carico) e ha
seguito una media di 30 vertenze alla settimana tra sindacati e imprese per gesti-
La protesta dei lavoratori della
Nokia-Siemens di Cassina de’ Pecchi
foto: aP/laPresse
M
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Le nuove lettere di
Berlicche..................................................... 39
Vatileaks. Corvi, sciacalli e allocchi
Tutte le storielle che ci hanno dato da bere i media sui
documenti rubati al Papa. E le verità del processo contro
il maggiordomo infedele. Una lezione alla giustizia italiana
Ubaldo Casotto...........................................................................................................................................................................................................................6
14
INTERNI
territorio e possano progettare interventi
mirati per potenziare il mercato del lavoro, ad esempio migliorando l’incontro tra
domanda e offerta e accrescendo il livello
di istruzione e di competenze degli individui. Gli accordi fra imprese e sindacati
raggiunti con il contributo di Arifl hanno infatti evidenziato che quando l’azienda si fa carico, con competenze professionali esterne, di una vera attività di reimpiego sul territorio, le probabilità di riposizionamento del personale aumentano.
In questo Matone vede la possibilità di
ribaltare uno schema troppo spesso riproposto dalle semplificazioni giornalistiche, secondo cui impresa e sindacati sono
destinati a rimanere attori di un conflitto perenne e insanabile. «È vero che ogni
realtà può conoscere delle degenera|
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Crisi. Per uscire dal tunnel
Parlano Matone (Arifl) e Sangalli (Confcommercio).........14
Politica in esilio. Monti bis un corno
Lo strano tifo per il tecnico e i piani del prof.......................................... 20
Giustizia. Oltre il carcere
Giovanna Di Rosa (Csm) chiede misure alternative............ 24
28
ESTERI
Sotto e a sinistra, un momento della Diada, la festa ufficiale della
Catalogna. In basso e a destra, una manifestazione a Bilbao contro
la sentenza di carcerazione a un presunto membro dell’Eta
VERSO LA SECESIÓN?
ESTERI
LA POSIZIONE DELLA CHIESA
LA CONFERENZA EPISCOPALE
«Le proposte di Artur Mas non
tengono conto della nostra storia»
Doccia fredda della Chiesa cattolica
sull’indipendentismo catalano. Il 4 ottobre la Commissione permanente della
Conferenza episcopale spagnola ha
emesso una dichiarazione nella quale si
legge: «Non si potrebbe capire nessuno
dei popoli o delle regioni che fanno parte
dello Stato spagnolo così come sono
oggi, se non avessero fatto parte di una
lunga storia di unità culturale e politica
di questa antica nazione che è la Spagna.
Proposte volte alla disintegrazione unilaterale di questa unità ci provocano grande inquietudine». Artur Mas è avvisato.
Recessione, deficit, spread alle stelle. Madrid
sprofonda e gli indipendentisti si fanno sempre
più forti. Così le elezioni nei Paesi Baschi e in
Catalogna rischiano di disintegrare il regno di
Juan Carlos. E l’Unione Europea sta a guardare
28
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da Madrid Lartaun De Azumendi
B
arcellona, 11 settembre 2012. Si celebra la Diada, la festa ufficiale della
Catalogna, nella quale si commemora la presa di Barcellona nell’anno 1714
– durante la Guerra di successione spagnola – da parte delle truppe borboniche comandate dal duca di Berwick, e con
essa l’abolizione delle leggi e delle istituzioni proprie della Corona di Aragona, a
cui apparteneva questo territorio. Tutti
gli anni la Catalogna ricorda questo giorno con una esaltazione patriottica piena
di rivendicazioni nazionaliste. Ma quello
che è accaduto quest’anno è andato molto,
molto più lontano.
Si prevedeva che avrebbe partecipato
più gente del solito, ma la realtà ha superato ogni aspettativa. Si è trattato di un’adunata storica, che ha occupato più di tre chilometri delle arterie centrali della capitale catalana. Alla testa della manifestazione
c’era uno striscione che non lasciava spazio a dubbi: «Catalogna, nuovo Stato d’Europa». Al di là della guerra delle cifre sul
numero dei partecipanti – fra i 600 mila e
Foto: AP/LaPresse
Se si rompe
la Spagna
il milione e mezzo di persone – la verità è
che, per la prima volta dalla fine del franchismo, un grandissimo numero di catalani ha chiesto apertamente scendendo
in strada l’indipendenza dalla Spagna. Il
giorno seguente, il presidente della Generalitat catalana, Artur Mas, ha fatto sua la
causa della manifestazione e si è presentato davanti ai media per dire, con un discorso nuovo, che la Catalogna «ha bisogno di
uno Stato proprio».
Quali motivi hanno fatto sì che centinaia di migliaia di catalani si siano riversati nelle strade per chiedere l’indipendenza in uno dei momenti più difficili
che la Spagna sta attraversando negli ultimi anni? Questa è la domanda che si sono
fatti molti spagnoli all’indomani dell’avvenimento. Perché non va dimenticata la
congiuntura in cui si trova la Spagna: sul
punto di chiedere un salvataggio finanziario, in cammino verso i 6 milioni di disoccupati, con uno spread sui titoli di Stato
tedeschi che non scende sotto i 400 punti base, bersaglio designato di tutti i mercati. E a tutto questo si aggiunge l’entrata in vigore di un duro pacchetto di rifor-
me e di tagli: aumento delle imposte dirette e indirette, introduzione di nuove tasse, una dura riforma del mercato del lavoro, diminuzione dei salari della funzione
pubblica, eliminazione degli sgravi fiscali, eccetera. Perché emerge proprio ora con
tanta intensità il problema catalano? Non
sarebbe più importante adesso offrire una
immagine di unità per evitare un’ulteriore
punizione da parte dei mercati?
Sull’orlo della bancarotta
Il punto focale della crisi va situato
nell’economia. La Catalogna è attualmente la Comunità più indebitata di Spagna,
con un debito che supera i 42 miliardi di
euro. Per far fronte alle scadenze di pagamento, la Generalitat ha chiesto 5.023
milioni al Fondo di liquidità delle autonomie istituito dal governo spagnolo per aiutare le Comunità autonome. Questo è avvenuto dopo che l’esecutivo di Artur Mas ha
messo in atto una politica di forti tagli
concentrati nella sanità e nell’educazione,
con misure molto discusse come riduzioni
degli stipendi dei funzionari.
Il fatto che una delle Comunità più ric-
|
che di Spagna sia sull’orlo della bancarotta ha varie spiegazioni, fra cui la cattiva
gestione del precedente governo, guidato
dal Partito socialista di Catalogna, che ha
fatto esplodere il debito nei suoi otto anni
di governo. Però molti catalani, anche
riconoscendo questo spreco, danno la colpa dello squilibro dei conti al sistema di
finanziamento delle autonomie in vigore
in Spagna. Grosso modo, lo Stato spagnolo
incassa una determinata quantità di denaro in ogni Comunità in funzione dei redditi, e poi la ripartisce fra tutte le regioni
in virtù delle loro necessità specifiche. Si
crea così una forma di “solidarietà interterritoriale” che fa sì che alcune Comunità apportino allo Stato più di quello che
ricevono in investimenti. Con questo sistema, secondo il governo catalano, la Catalogna risulta sempre svantaggiata. Il “deficit fiscale” che soffre questa regione presuppone un contributo alle entrate dello
Stato molto superiore a quanto esso spende in Catalogna. Per la precisione, dicono, i catalani stanno contribuendo al 19,5
per cento delle entrate dell’amministrazione centrale della Previdenza sociale,
|
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Spagna. Un paese diviso
Così la crisi rafforza gli indipendentisti....................................................................... 28
Islam. In campo per la pace
Il leader dei sufi muridi contro gli estremisti........................................... 32
Femen. L’esibizionismo e gli ideali
Se queste son le nuove frontiere del femminismo....................36
40
ROSSOPORPORA
ROSSOPORPORA
La vera
questione
morale
Quando l’istruzione del popolo e il pensiero sociale
sono appesi al nulla, lo Stato non è laico. Se mai
sarà ideologico. Dalla Francia delle nozze gay
all’Italia delle coppie di fatto, i cardinali contro
le “avanguardie” dei diritti che producono danni
di Giuseppe Rusconi
R
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| 17 ottobre 2012 |
Per il cardinale Jean-Pierre Ricard
l’introduzione del matrimonio gay
annunciata dal presidente Hollande
«avrà pesantissime ripercussioni
sociali» in Francia. Anche il cardinale
Angelo Bagnasco critica le “aperture”
che servono solo a liquidare la famiglia
vani e anche di adulti, della storia della
Francia e della cultura francese marcata
dal cattolicesimo. Ciò non permette a chi
non sa di intavolare un colloquio serio ad
esempio con i cattolici, che non conosce
e perciò non comprende. Vede, mi dice
un grande libraio di Bordeaux che spesso
arrivano da lui studenti di storia dell’arte
a livello universitario che gli chiedono se
Foto: AP/LaPresse
icordate Nicolas sarkozy e la sua
“laicità positiva”? Ora, dopo che
l’ex presidente è riuscito nell’impresa di passare il testimone a François
Hollande, la laicité suona un po’ diversamente. Ne abbiamo parlato con il cardinale Jean-Pierre Ricard (a Roma per
la visita ad limina del primo gruppo di
vescovi transalpini), cogliendo l’occasione della sua ampia e dettagliata relazione in materia giovedì 27 settembre presso
il Centre Saint-Louis de France, davanti a
un folto pubblico cui ha dato il benvenuto l’ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, Bruno Joubert. Eminenza, come
si qualifica la nuova laicité dell’era Hollande? «In genere evito di connotare con
un aggettivo di valore la laicità», risponde
il sessantottenne arcivescovo di Bordeaux.
«Per me la vera laicità è fondamentalmente rispettosa delle religioni, permettendo
loro di esprimersi nello spazio pubblico
e assicurando dunque il libero esercizio
dei culti». Nella sua relazione, tra le correnti laiche in voga, ha citato come molto pericolosa quella che, pur non essendo
di per sé ostile alla Chiesa, vuole applicare una secolarizzazione avanzata… «Quello che mi preoccupa molto è l’ignoranza
profonda, presso un certo numero di gio-
non ci sia un testo che possa far loro capire certe locuzioni dei loro professori: “Ci
parlano di quadri sull’Annunciazione,
sulla Natività, sul ritrovamento di Gesù
nel Tempio. Ma che significa? Ci può aiutare?”. È per questo che abbiamo la grande responsabilità di non disertare lo spazio pubblico, le relazioni con politici e
amministratori e nel contempo di infor-
|
mare costantemente sia l’opinione pubblica che i nostri interlocutori sulla vita
quotidiana concreta di parrocchie e diocesi. Pensi che ho trovato alti responsabili politici che la ignoravano bellamente».
Eminenza, in tale situazione, come valuta l’intenzione del ministro dell’Educazione nazionale Vincent Peillon di introdurre dall’anno scolastico 2013-2014
un’ora di “morale laica” («Non ho detto
istruzione civica, ma proprio morale laica», ha precisato il ministro in un’intervista al Journal du Dimanche)? «Per un verso si può osservare che ci ritroviamo in
una fase sociale in cui si impara sempre
meno che cosa significhi vivere in una
collettività: si insegna poco in famiglia,
ancora meno a scuola. Le conseguenze
di tale vuoto traspaiono ad esempio nelle
difficoltà di comportamento di non pochi
giovani tra loro e nei rapporti con l’ambiente in cui vivono. Perciò, che si possa imparare una morale che aiuti i giovani a comportarsi nella società, è di per sé
qualcosa di positivo. Tuttavia…». Tuttavia?
«Tuttavia molto presto irrompono nella
questione tante domande fondamentali:
da dove trae origine, da quale concezione
dell’uomo dipende la morale che si vuole insegnare? Come si nutre? Quali sono i
suoi contenuti? Che cosa la giustifica? In
base a quale criterio qualcosa è defini|
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Nuovi diritti. Una società smarrita
Dalla Francia delle nozze gay all’Italia delle coppie di
fatto, i cardinali smascherano le sedicenti avanguardie
che producono uno Stato non laico ma ideologico
Giuseppe Rusconi..............................................................................................................................................................................................40
52
L’itaLia
chE Lavora
L’Italia che lavora
La casa
del recupero
Lucilla poteva accontentarsi del negozietto
di famiglia specializzato in tutori, ma Stefano
l’ha sfidata. Così è nato un centro di ortopedia
che attrae atleti famosi e semplici amatori,
per vincere gli infortuni e le gare più difficili
S
ulla parete arancione spiccano, una
vicina all’altra, foto di atleti, di pezzi grossi della storia del calcio, della ginnastica italiana, del rugby, della pallavolo, dello sci. Ogni ritratto è autografato, e reca impresso dediche affettuose, di
ringraziamento e riconoscimento per il
lavoro svolto da Ortholabsport, così come
le maglie dei giocatori sparse qua e là per
il centro di ortopedia sportiva. Perché qui
in corso San Gottardo 3 a Milano, ogni
atleta infortunato che arriva viene seguito
in modo speciale e unico, come unico sarà
il tutore confezionato per lui da Stefano
Duchini e Lucilla Pezzoni, i titolari. In soli
sei anni di attività, il passaparola tra gli
atleti che si sono riappropriati dei propri
movimenti è stato intensissimo, ed è così
che, a poco a poco, la parete arancione ha
iniziato a popolarsi di fotografie.
«L’ultima appesa è quella di Kevin Prince Boateng, centrocampista del Milan,
venuto da noi per un tutore alla mano.
Chiaramente realizzato in rosso e nero e
con il numero 10 impresso sopra», racconta Lucilla spiegando come i tutori applicati agli atleti vengano spesso personalizzati in laboratorio, da un grafico specializzato nel soddisfare i desiderata degli sportivi. La prima richiesta di questo genere era stata fatta dall’ormai ex giocatore
dell’Inter Ramiro Cordoba, per una prote-
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i plantari della campionessa olimpica Di
Francisca. in alto, i rugbisti della Nazionale.
a lato, Stefano Duchini e Lucilla Pezzoni
zione facciale in colori nerazzurri. Un’altra richiesta fu quella di Giampaolo Pazzini con la scritta “pazzo”, quando giocava
per la Sampdoria, o ancora il parastinchi
di Zlatan Ibrahimovic, allora giocatore
dell’Inter, ma con una “sospetta” richiesta
di un drago rosso su sfondo nero. Lucilla
Pezzoni è davvero fiera di aver detto di sì
alla proposta di Stefano Duchini di aprire
un centro di ortopedia insieme. «Io lavoravo nel negozio dei miei genitori, poco lon-
tano da qui, che prima dei miei genitori
era dei miei nonni, quindi si può dire che
sia cresciuta a pane e tutori», spiega ridendo. «Siamo soci e la nostra unione funziona anche perché ci occupiamo di aspetti
diversi, io mi occupo della gestione degli
ospedali, della contabilità, del rapporto
con i clienti, e il mio partner invece è alle
prese con lo studio delle problematiche
dei clienti e la loro relativa soluzione».
Uno studio che avviene in una parte appo-
LA SETTIMANA
sita del centro Ortholabsport e si avvale di
un tapis roulant speciale, in grado di fare
la cosiddetta “gait analisys”, cioè lo studio del movimento e della deambulazione del paziente. Il passo successivo è l’“angle test”, necessario per rilevare eventuali dismetrie tra le gambe. In questo modo
è possibile progettare un plantare perfetto, pronto solitamente in una settimana. A quel punto lo sportivo torna per la
prova, dopo la quale è sempre possibile
apportare nuovi cambiamenti. «E gli sportivi amatoriali sono esigenti tanto quanto
quelli professionisti».
Se Lucilla è un fiume di parole mentre
illustra le dinamiche aziendali di Ortholabsport e mostra la nuova sede appena
inaugurata, Stefano ha il piglio meticoloso dell’artigiano talmente fiero del suo
lavoro da risultare umile, mentre spiega,
con gli occhi pieni di emozione, che fa
quello che fa perché è la cosa che gli riesce
meglio fare. «In Italia l’idea di costruire
plantari personalizzati non c’era, soprattutto se legata al mondo degli sportivi,
così ho pensato di procedere in questa
zia, e l’abbiamo progettato noi. Solo che
ci erano state riferite delle misure inesatte per lo spessore. E in partita, in una delle tante mischie in cui si è buttato quel
gigante buono di Castrogiovanni, il tutore si è rotto. Dobbiamo stare attentissimi ai parametri da rispettare perché in
certi casi si potrebbe addirittura scivolare nel doping tecnologico», spiega serio
Stefano. Che però si illumina se parlando
di doping tecnologico si accenna a Oscar
Pistorious. «Lui è un eroe, un eroe vero.
Non a caso il mio sogno e progetto più
grande sarebbe quello di potermi dedicadirezione. Già prima con il centro che ave- re agli atleti paralimipici».
vo, e poi dopo con l’inizio delle attività di
Ultima atleta olimpica seguita, inveOrtholabsport. Il fatto che gli atleti parli- ce, è stata Elisa Di Francisca, schermitrice
no negli spogliatoi e si indichino a vicen- d’oro di Londra 2012, alla quale Ortholabda che strategia curativa stanno seguen- sport ha costruito un plantare. «Se costrudo ci ha aiutato tantissimo per farci cono- iamo un caschetto, il nostro lavoro è sotscere, in un modo inaspettato e inatteso».
to gli occhi di tutti. Ma se si tratta di qualcosa di nascosto, come un plantare, lo sa
Il passaparola negli spogliatoi
solo l’atleta, e noi che lo guardiamo in tv.
Se dal laboratorio di Stefano escono circa Ogni volta che seguo le gare di uno spor3 mila plantari l’anno, per quanto riguar- tivo che abbiamo rimesso in sesto sono
da altri tipi di tutori è più difficile con- contento che anche per il nostro impeteggiare. «Dipende letteralmente da quan- gno sia arrivato alla vittoria, mi emozioto e come si infortunano gli atleti. Per no come se fossi il suo allenatore o un suo
esempio, era un brutto infortunio quel- familiare». E tenendo conto del fatto che
lo di Martin Castrogiovanni, che durante Ortholabsport si prende cura della Fisi
Italia-Inghilterra, uno dei match del Sei (federazione italiana sport invernali), delNazioni di quest’anno, si era fratturato la Fir (federazione italiana rugby), dell’Inuna costola. Serviva un tutore per ripor- ter, Milan, dell’Atalanta, della Sampdotarlo in campo in tempo per Italia-Sco- ria, del Chelsea, del Shakhtar Donetsk,
del Fulham, e della Nazionale volley donne, Stefano
i titolari ricordano la protezione facciale in
Duchini e Lucilla Pezzoni
nerazzurro di cordoba. E poi il parastinchi di hanno davvero una grande
ibra, ancora all’inter, ma con una “sospetta” e bella famiglia.
richiesta di drago rosso su sfondo nero
Elisabetta Longo
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In campo. Al servizio dello sport
La storia di Ortholabsport, il centro di ortopedia ormai
punto di riferimento per gli atleti di ogni livello.
Perché per vincere bisogna avere gli strumenti giusti
Elisabetta Longo..................................................................................................................................................................................................52
Post Apocalypto
Aldo Trento........................................ 60
Sport über alles
Fred Perri................................................. 62
Cartolina dal Paradiso
Pippo Corigliano........................ 63
Diario
Marina Corradi............................66
RUBRICHE
Green Estate.........................................54
Per Piacere.............................................. 57
Mobilità 2000.................................. 59
Lettere al direttore................. 62
Taz&Bao..................................................... 64
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
settimanale di cronaca, giudizio,
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Anno 18 – N. 41 dall’11 al 17 ottobre 2012
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Complicità oscure. Insabbiamenti. Violenze sui sospettati. Così
il processo al maggiordomo infedele del Santo Padre ha smontato
tutte le panzane che ci hanno dato da bere sul caso Vatileaks
Lui co r
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COPERTINA
Roma, Piazza San Pietro, giornalisti e telecamere
in attesa della sentenza che il 6 ottobre scorso
ha condannato l’ex maggiordomo del Papa
Paolo Gabriele a 18 mesi di carcere per furto di
documenti (e altro) nell’appartamento pontificio
o rvo, noi polli
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di Ubaldo Casotto
I
Paolo Gabriele, il
maggiordomo del Papa accusato di
furto aggravato di documenti (oltre
a un assegno da 100 mila euro, una pepita presunta d’oro e una preziosa cinquecentina dell’Eneide) è stato condannato a
tre anni di reclusione, ridotti a un anno
e sei mesi in virtù delle attenuanti («l’assenza di precedenti penali, le risultanze dello stato di servizio in epoca antecedente ai fatti contestati, il convincimento soggettivo – sia pure erroneo – indicato dall’imputato quale movente della sua
condotta, nonché la dichiarazione circa
la sopravvenuta consapevolezza di aver
tradito la fiducia del Santo Padre») rico-
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l caso è chiuso.
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nosciutegli dalla Corte che l’ha giudicato
e lette dal suo presidente Giuseppe Dalla Torre sabato scorso 6 ottobre, dopo un
dibattimento di quattro udienze nel quale sono stati ascoltati otto testimoni.
Difficile che il difensore dell’imputato, l’avvocato Cristiana Arru, decida di
ricorrere in appello (ha tre giorni di tempo e il termine scade subito dopo la consegna di questo articolo) avendo definito
la condanna del suo assistito «una buona
sentenza, una sentenza equilibrata».
Ma il caso non è chiuso. «Si è chiuso un importante capitolo», dice a Tempi
Greg Burke, il giornalista statunitense che
dallo scorso 10 giugno è “consulente per
la comunicazione” della Segretaria di Stato della Santa Sede (un ruolo che non esisteva in passato e che è uno dei frutti della
crisi mediatica per la fuga di documenti
riservati di Benedetto XVI, più nota come
“Vatileaks”), «ma è vero che altri aspetti della vicenda restano aperti. Anche se
va detto che la drammatizzazione mediatica di questa sentenza e
Il primo capitolo del romanzo Vatileaks è stato dei misteri che lascerebbe irrisolti è un fatto molscritto con una velocità che la giustizia italiana to italiano. Come caso a
non osa neanche sognare. Il libro di Nuzzi
livello globale, pur avendo avuto la sua importanè uscito il 19 maggio, il 6 ottobre la sentenza
COPERTINA PRIMALINEA
Foto: AP/LaPresse
L’eventualità che il Papa conceda la
grazia a Paolo Gabriele (foto sopra,
al centro) è «concreta e verosimile»,
ha detto ai giornalisti dopo la
sentenza il direttore della Sala
stampa vaticana padre Federico
Lombardi (a lato). Ma con ogni
probabilità il Pontefice attenderà
la conclusione del processo contro
Sciarpelletti, il tecnico informatico
accusato di favoreggiamento
(a sinistra, l’aula in cui Gabriele
è stato proclamato colpevole)
za, dopo la sentenza di sabato scorso l’attenzione dei media internazionali è molto scemata. Quello del vaticanista, in fondo, è un ruolo soprattutto italiano».
Il caso non è chiuso perché, appello a
parte, resta da celebrare il processo contro Claudio Sciarpelletti, il tecnico informatico che lavorava in Segreteria di Stato rinviato a giudizio insieme a Paolo Grabriele per il reato di favoreggiamento. Il
procedimento è stato stralciato e inizierà,
probabilmente tra la fine ottobre e l’inizio di novembre, terminato il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, che è cominciato il giorno dopo la condanna del maggiordomo del Papa, e avviato l’Anno della fede. Meglio evitare sovrapposizioni
mediatiche. C’è molta aspettativa rispet-
to a questo nuovo processo, per l’audizione di testimoni diversi da quelli ascoltati per Gabriele, soprattutto per la deposizione di monsignor Carlo Maria Polvani, prelato di stanza in Segreteria di Stato
e responsabile dell’informazione nell’esecutivo vaticano. Ma, almeno a sentire chi
in Vaticano conosce meglio le carte del
processo, è un’attesa sovradimensionata, il processo a Sciarpelletti avrà portata
ed eco mediatiche decisamente inferiori
rispetto a quello contro Gabriele.
Il caso non è chiuso soprattutto perché nella requisitoria del 13 agosto e nel
conseguente rinvio a giudizio, sia il promotore di giustizia Nicola Piccardi nella sua richiesta, sia il giudice istruttore
Piero Antonio Bonnet nella sua sentenza
hanno ricordato i rapporti della Polizia
giudiziaria vaticana in cui si denunciavano anche altri reati: «Delitti contro lo Stato (art. 104 e ss. C.p.); delitti contro i poteri dello Stato (art. 117 e ss. C.p.); vilipendio
delle istituzioni dello Stato (art. 126 C.p.);
calunnia (art. 212 C.p.); diffamazione (art.
333 C.p.); concorso di più persone in reato (art. 63 C.p.); inviolabilità dei segreti
(art. 159 C.p.)», oltre al «furto aggravato
(artt. 402, 403 e 404 C.p.); favoreggiamento (art. 225 C.p.)».
Questo vuol dire due cose. La prima:
il garantismo con cui la giustizia vaticana ha trattato Gabriele e Sciarpelletti. Di
fronte a un’istruttoria che «si presentava complessa e laboriosissima e, quindi,
suscettibile di durare per un periodo molto lungo», i magistrati, considerando il
fatto che nei confronti dei due indagati si
erano prese misure restrittive della libertà (anche Sciarpelletti fu arrestato e rilasciato in libertà provvisoria su cauzione),
hanno deciso di procedere con celerità
per il reato di cui avevano più evidenza, il
furto aggravato. La seconda implicazione
è che non è escluso che l’istruttoria proceda per i due ed eventualmente anche
per altre persone sulle altre imputazioni («restando, ovviamente, aperta l’istruttoria per i restanti fatti costituenti reato nei confronti dei predetti imputati,
e/o di altri»). Formalmente quindi l’attività istrutGreg Burke, consulente per la comunicazione
toria non è affatto concludel Vaticano: «È vero che restano aperti aspetti sa, bisogna vedere se c’è
del caso. Ma la drammatizzazione mediatica dei vera intenzione e volontà
“misteri” della vicenda è un fatto solo italiano» di perseguirla. Per ora la
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denuncia per le altre fattispecie di reato
ipotizzate è contro ignoti.
Resta il fatto che “il primo capitolo”
del romanzo Vatileaks, per usare le parole di Greg Burke, è stato scritto con una
velocità che la giustizia italiana non osa
neanche sognare. Il 19 maggio 2012 usciva il libro di Gianluigi Nuzzi Santità. Le
carte segrete di Benedetto XVI, il 20 maggio veniva presentato in Italia, il 23 maggio era pronto il primo rapporto del direttore dei Servizi di Sicurezza e Protezione
Civile del Vaticano che sollevava sospetti nei confronti di Paolo Gabriele, il 24
maggio un nuovo rapporto rendeva conto
dei risultati della perquisizione dell’alloggio di Gabriele e dell’enorme quantità di
documenti trovati, lo stesso giorno il maggiordomo veniva arrestato e con lui anche
Sciarpelletti dopo la perquisizione del suo
ufficio in Segreteria di Stato.
Una personalità suggestionabile
Gabriele è rimasto in cella 59 giorni, poi
gli sono stati concessi i domiciliari. Sulla
durata della custodia cautelare è stata tentata una polemica (singolare visti i tempi
di carcerazione preventiva cui ci ha abituato la giustizia italiana). Il massimo previsto dal codice vaticano è di 50 giorni, raddoppiabili per particolari esigenze istruttorie. Il prolungamento è spiegabile anche
in base al fatto che durante la detenzione
Gabriele è stato sottoposto a due perizie
psicologiche che hanno sospeso i termini
della custodia (i giorni usati per le perizie,
insomma, non si contano).
Il perito d’ufficio, professor Roberto
Tatarelli dell’Università La Sapienza di
Roma ha concluso che «il signor Gabriele si caratterizza per un’intelligenza semplice in una personalità fragile con derive paranoidi a copertura di una profonda insicurezza personale e di un bisogno
irrisolto di godere della considerazione e
dell’affetto degli altri. Accanto ad elementi di sospettosità interpersonale sono presenti condotte ossessive del pensiero e
dell’azione (meticolosità, perseverazione),
sentimento di colpa e senso di grandiosità, connessi ad un desiderio di agire a
favore di un personale ideale di giustizia.
La necessità di ricevere affetto può esporre il soggetto a manipolazioni da parte
degli altri ritenuti suoi amici ed alleati».
Tatarelli concludeva quindi la sua perizia con un parere favorevole all’imputabilità del maggiordomo, persona capace
di intendere e volere anche se «suggestionabile», in quanto caratterizzata da «un
profondo bisogno di ricevere attenzione
e affetto da parte degli altri» che lo porta ad «andare incontro ai bisogni ed alle
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necessità di chi si mostra con lui accogliente, amichevole, e disponibile a dimostrargli stima e confidenza. In questo caso
il Gabriele può essere soggetto a manipolazioni da parte di coloro che mostrano
gli atteggiamenti ora indicati». I risultati di questa perizia sono stati avvalorati
dalle stesse parole di Gabriele che «vedendo male e corruzione dappertutto nella
Chiesa, sono arrivato negli ultimi tempi,
quelli… della degenerazione, ad un punto
di non ritorno, essendomi venuti meno i
freni inibitori. Ero sicuro che uno shock,
anche mediatico, avrebbe potuto essere
salutare per riportare la Chiesa nel suo
giusto binario. Inoltre nei miei interessi
c’è sempre stato quello per l’intelligence,
in qualche modo pensavo che nella Chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito
Santo, di cui mi sentivo in certa maniera
un infiltrato».
L’infiltrato dello Spirito Santo non aveva invece, per la seconda perizia, quella
del professor Tonino Cantelmi della Pontificia Università Gregoriana, «la coscienza e la libertà dei propri atti», e non era
quindi imputabile. Ritenuta meno credibile della prima perizia, questa, che
puntava sull’infermità di mente, è stata
abbandonata anche dalla difesa. Le molteplici testimonianze sulla coscienziosità con cui Gabriele svolgeva il suo lavoro,
«cercando di farlo nel modo migliore possibile», contrastavano con la «forte inadeguatezza ad assolvere alle mansioni lavorative ricoperte» sostenuta da Cantelmi.
Il complottone smentito
Come una persona «suggestionabile e,
come tale, in grado di commettere anche
azioni eterodirette che possono danneggiare se stesso e/o altri», è arrivata a ricoprire una mansione così delicata nell’appartamento pontificio? Un esterno pensa a dure selezioni o a particolari raccomandazioni, in Vaticano fanno notare
che il curriculum professionale di Gabriele è una storia molto semplice e regolare:
ha iniziato come sostituto estivo di personale addetto alle pulizie, si è guadagnato
sempre molta stima per l’ordine e la precisione, nel suo fascicolo personale risultano autorevoli valutazioni di «lodevole servizio», «discreto e responsabile servizio» e nessuna nota negativa. Assunto stabilmente dopo i periodi di supplenza, era tra i candidati
naturali per la sostituzioSecondo una perizia psichiatrica «la necessità
ne di Angelo Gugel, storidi ricevere affetto» di Paolo Gabriele «può
co maggiordomo pontifiesporre il soggetto a manipolazioni da parte
cio di Giovanni Paolo I e
Giovanni Paolo II, quandegli altri ritenuti suoi amici ed alleati»
COPERTINA PRIMALINEA
LA MONTATURA DEI MALTRATTAMENTI
Ma quali torture al detenuto
Avercene di carceri così in Italia
I magistrati hanno riconosciuto che «il crimine
dell’imputato è maturato in un contesto di
disagio e di critica consapevole nei riguardi di
vicende, organismi e personalità della Chiesa»
Foto: AP/LaPresse
A sorpresa, durante il processo, Paolo Gabriele si è lamentato per i maltrattamenti subìti durante la carcerazione preventiva.
Senza averlo mai denunciato prima, ha accusato i suoi carcerieri
di averlo rinchiuso in una cella troppo stretta, da non poter allargare le braccia, nella quale la luce veniva tenuta accesa 24 ore
su 24, e anche che gli era stato negato persino un cuscino. Da qui
all’accusa di “tortura”, apparsa su alcuni giornali italiani e nelle
dichiarazioni di qualche politico o esponente di associazioni che si
occupano di carcere, il passo è stato più che breve.
Ai più la denuncia è parsa solo uno stratagemma difensivo, un
colpo emotivo a favore dell’imputato, tanto che i giornalisti
presenti all’udienza hanno chiesto conto all’avvocato difensore
Cristiana Arru delle sue dichiarazioni positive sulle condizioni di
Gabriele durante il periodo di custodia cautelare. L’avvocato se
l’è cavata con un imbarazzato e imbarazzante: mi riferivo alle
condizioni di quel giorno.
Comunque, il presidente della Corte ha immediatamente deciso di
far aprire un fascicolo sulla vicenda, così che non se ne discutesse
durante il dibattimento. Da parte sua la Gendarmeria vaticana ha
precisato le condizioni di detenzione dell’imputato, sottolineando
che la «cella di custodia segue gli standard di detenzione previsti
anche per altri paesi, per situazioni analoghe». Inoltre, in Vaticano fanno osservare che durante i 59 giorni di custodia cautelare
il Promotore di giustizia ha emanato 39 provvedimenti in favore
del detenuto: permessi, visite mediche, colloqui con i parenti,
incontri con un sacerdote, sostegno psicologico… Quanto alla luce
accesa nelle ventiquattro ore, a difesa della quale è stata fornita
a Gabriele una mascherina notturna che gli consentisse il più
completo oscuramento, è evidente la precauzione per prevenire
eventuali atti autolesionistici dell’imputato. Anzi, ha aggiunto la
Gendarmeria, «lo stesso detenuto, nei giorni a venire, ha chiesto
che la medesima luce rimanesse accesa durante la notte perché
la riteneva di compagnia».
Tortura? C’è una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo
del 6 novembre 2009 che condanna l’Italia perché a Rebibbia in
una cella di 16 metri quadrati stavano in sei. Fate voi i conti. [uc]
do questi andò in pensione. Sul suo nome
non fu fatta alcuna obiezione.
Dopo la sua condanna il tam tam giornalistico si chiede quando arriverà l’annunciata – da parte del direttore della Sala
stampa vaticana, padre Federico Lombardi
– grazia di Benedetto XVI. Ma i tempi non
saranno brevi: non prima, almeno, della
fine del processo contro Sciarpelletti
La sentenza che ha condannato Gabriele a diciotto mesi di reclusione esclude che
il maggiordomo abbia avuto complici. A
chi fa notare che prima il giornalista Nuzzi, che ha parlato di una ventina di “corvi”, e poi lo stesso Gabriele, che ha detto
di non essere il solo ad aver passato documenti alla stampa, parrebbero smentire
questa conclusione, in Vaticano rispondono con tranquillo realismo: «Che Gabriele
non sia l’unico e il primo che passa docu-
menti ai giornalisti non è una novità, è
sempre successo. La differenza è nel luogo da cui i documenti sono stati sottratti:
altro è un dipendente di una congregazione che passa l’anteprima di un testo, altro
trafugare carte riservate del Papa nel suo
appartamento. Il fatto che più persone facciano uscire dal Vaticano documenti riservati non vuol necessariamente dire che lo
facciano in modo coordinato tra loro».
Quanto all’ipotesi, prospettata quando il caso scoppiò, di procedere per il reato di ricettazione contro i giornalisti che
hanno pubblicato i documenti rubati,
sembra difficile che si concretizzi. Sinora
c’era un ostacolo giudiziario: per accusare una persona di ricettazione devi prima
dimostrare che ciò di cui è entrato in possesso è materiale rubato, e fino alla condanna di Gabriele questo non era possibi-
le. Adesso in teoria si potrebbe procedere,
ma non è realistico pensare che Oltretevere vogliano imbarcarsi in una vicenda che
coinvolgerebbe la magistratura italiana e
che verosimilmente assumerebbe i toni
di uno scontro tra la Chiesa cattolica e la
libertà di stampa in Italia.
Resta un ambiente da “purificare”
Al di là dell’ansia sui “complici” che a detta di molti in perenne ricerca del complotto questa sentenza avrebbe coperto, resta
un problema: anche i magistrati vaticani
hanno riconosciuto che «l’attività criminosa dell’imputato è maturata in un contesto di disagio e di critica consapevole nei
riguardi di vicende, organismi e personalità della Chiesa e dello Stato della Città
del Vaticano», quelle che Gabriele ha definito «circostanze ambientali, in particolare dalla situazione di uno Stato nel quale
c’erano delle condizioni che determinavano scandalo per la fede, che alimentavano
una serie di misteri non risolti e che destavano diffusi malumori».
Benedetto XVI, oltre all’ormai famoso
«Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio,
dovrebbero appartenere completamente
a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!» della Via Crucis del 2005, l’ultima di Giovanni Paolo II di cui l’allora cardinale Ratzinger scrisse i testi, ha
più volte usato nei suoi discorsi la parola “purificazione”. Questo è, per autorevoli voci interne al Vaticano, il vero caso
che rimane aperto, che si è manifestato in
modo eclatante già con la vicenda dell’annullamento della scomunica ai vescovi
lefebvriani, quando, dopo le accuse e le
polemiche che dilaniarono la Chiesa, il
Papa parlò di prelati che si sbranano tra
loro come cani. Benedetto XVI, come ha
dimostrato nel caso della pedofilia, non
è persona cui piaccia tacere di fronte agli
scandali. In questa vicenda ha confermato
la fiducia ai suoi più stretti collaboratori,
ma oltre le mura leonine, e tra i suoi stessi collaboratori, c’è chi pensa che il Papa
stia riflettendo profondamente su quanto successo, se cioè le tensioni che questo
scandalo ha portato alla luce siano solo
espressione di una normale umanità con
i suoi limiti e difetti o se si sia andati oltre
ciò che ci si può aspettare da un’istituzione sia pur ecclesiale o vaticana.
Il caso non è chiuso. n
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L’OBIETTORE
CE NE FOSSERO DI PRIMARIE
Auguri a Renzi perché se vince lui
perdono i mandarini alla Scalfari
di Oscar Giannino
I
Foto: AP/LaPresse
l Pd ha scelto le regole con le
quali tenere le primarie. Di questo va reso merito al partito e
NON SONO
al suo segretario, che ha rinunciato
D’ACCORDO
alla norma statutaria che gli conferiva di diritto il ruolo di candidato
premier. Delle “vecchie” forze politiche, una sola, travolta dagli scandali
e dal bilancio disastroso di collaborazione per 18 anni con Berlusconi, ha
cambiato leader e linea. Ed è appunto la Lega, che ha pensionato Bossi e
scelto Maroni. Ma il Pd è l’unica forza politica che nella scelta del candidato premier da proporre a un’alleanza sceglie di coinvolgere iscritti ed elettori. È un merito, qualunque cosa pensiate del Pd, della
sua storia, e dei patti oligarchici con i quali sono state
scelte le sue leadership. Una sola volta per la segreteria
post-Pci si coinvolse in qualche modo la base, ma il segretario non fu Veltroni, preferito dal cosiddetto “popolo
dei fax”, bensì D’Alema. Da patti oligarchici vennero poi Veltroni e Fassino, come il segretario attuale Bersani.
Ma Prodi riuscì a far passare l’idea delle primarie per il candidato premier,
e su questa idea giusta il Pd non è arretrato. Il Pdl resta indietro anni luce.
Lo dico anche dopo aver letto il manifesto neotradizionalista firmato da alcuni dei suo esponenti, manifesto che
non contiene una riga di autocritica
sul fatto che in 18 anni di Berlusconi
politiche come quelle che nel manifesto vengono sostenute (famiglia, sussidiarietà e via continuando) non si sono viste neanche
col più potente dei telescopi.
Reso al Pd il giusto tributo, veniamo al merito della
scelta. Se il partito ha deciso nella sua pletorica assemblea le primarie, il merito è solo di Matteo Renzi, della
sua coraggiosa e tagliente iniziativa. L’unico vero grande tentativo di discontinuità partorito dal veccio sistema
dei partiti. Tutti gli altri, da Grillo per primo a Fermareildeclino per ultimo, sono fieramente estranei al recinto
del vecchio circo Barnum. Non so se Renzi abbia fatto bene ad accettare le modalità stabilite, cioè il registro degli
La sua coraggiosa iniziativa è l’unico tentativo di
rinnovamento partorito dal sistema dei partiti. Un
suo trionfo produrrebbe la rottura della continuità
ideologica difesa da Repubblica e dai papaveri Pd
elettori sostenitori dell’alleanza “progressista e democratica”, alleanza che Bersani ha avuto mandato di definire
trattando in prima persona, estendendone i princìpi che
gli elettori partecipanti alle primarie dovranno dichiarare di sottoscrivere a prescindere, per poter votare. A me
pare una classica pretesa da partito-Chiesa: pretendere
che i princìpi e l’alleanza debbano essere eguali se vince
Vendola o se vince Renzi è una fesseria pura. È il vecchio
copione: “Compagno, se hai perso meglio umiliarti e restare col partito di cui sei minoranza tollerata che uscire
e tradire i compagni indebolendoli in faccia al nemico”.
Credo che con questo sistema Renzi abbia chance di vincere al primo turno solo se porta a iscriversi più dei 3,2
milioni che – si disse – portò Prodi. Non è facilissmo. Al
secondo turno, non potendosi più iscrivere alcun elettore, Vendola con la sua candidatura ha fatto a Bersani il favore di diventare candidato mediano, cioè vincente.
Anche se non bisognerebbe nemmeno tifare
Intendiamoci, io mi aguro che Renzi ce la faccia. Certo,
chi come me è interessato a un’offerta politica estranea
ai vecchi partiti, non potrà andare a votare per lui. Anzi
dovrà astenersi anche dal tifare. Perché è evidente qual è
l’accusa più vibrante rivolta al sindaco di Firenze da tutte
le correnti Pd. Tutte tutte, non solo la maggioranza convinta che dopo Berlusconi si debba finalmente farla finita
con la finzione quindecennale di stimare Blair, al posto
della vecchia linea Stato-spesa-tasse. Renzi sta sulle scatole ai cattocomunisti come Bindi e Franceschini, i più lividi nelle stroncature personali. Sta sugli zebedei persino
ai liberal come Morando ed Enrico Letta, cosa che appare senza senso, almeno a me che li stimo personalmente.
Qual è l’accusa? Nella forma di anatema sommo-sacerdotale, l’avete letta su Repubblica il 30 settembre, scagliata verso il cielo da Eugenio Scalfari. Renzi non è solo un
ragazzino vuoto, ambizioso imitatore di parole d’ordine altrui. È soprattutto una quinta colonna di Silvio, un
Quisling, un pupazzo nelle mani di un ex televisionaro
Mediaset. Un virus che porta a decesso un vecchio corpo
glorioso, non un antidoto ai veleni che ha ingerito.
È la miglior prova del perché se vincesse Renzi si produrrebbero cose positive: sarebbe la rottura della continuità ideologica che Scalfari difende insieme ai mandarini rossi. E lo dico pur non capendo che cosa davvero
proponga su debito pubblico, spesa e tasse, visto che la
sua prima idea annunciata in tv, quella dei cento euro
pubblici in tasca a chiunque ne abbia meno di duemila
al mese, è una fregnaccia berlusconian-bengodiana bella e buona. E se invece Renzi perde, magari bene ma perde? Peccato, vorrà dire che l’elefantone rosso se lo digerirà piano piano. Un’altra grande occasione perduta, e a
maggior ragione uno sprone a cambiare le cose da fuori,
rispetto ai vecchi dinosauri partitici. O almeno a provarci, che sia facile non me l’avete di sicuro mai sentito dire.
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INTERNI
quando il territorio soffre
L’impresa
di mettersi
d’accordo
Con trenta vertenze a settimana, l’Agenzia
lombarda per la formazione e il lavoro gioca una
partita cruciale nell’Italia della crisi e dei casi Ilva.
Perché il conflitto non può essere la cifra dei
rapporti con le aziende. Parla il direttore Matone
M
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La protesta dei lavoratori della
Nokia-Siemens di Cassina de’ Pecchi
lizzazioni significative o con la chiusura
di intere unità produttive. Le situazioni
ancora incerte generano una consistente
domanda di ammortizzatori sociali, così
il panorama si compone di poco confortanti mix tra sessioni di cassa integrazione e licenziamenti collettivi.
«In questo momento – spiega Fulvio Matone a Tempi – le imprese che reagiscono ai cambiamenti solo in base a
una riduzione dei costi e non conseguono incrementi di produttività consistenti sono soggette alla pressione concorrenziale più rapidamente di prima. Gli effetti di scoraggiamento leggibili nelle tendenze del mercato del lavoro si accompa-
Foto: AP/LaPresse
uffici sono quelli di via Taramelli e a parilano, venerdì 5 ottobre. Alle
9.30 nei pressi dalla fermata lare è Fulvio Matone, direttore generale
della metropolitana di Gioia il dell’Agenzia regionale per l’istruzione,
traffico è intenso. Dalla metro escono in la formazione e il lavoro (Arifl). Questa
modo composto una trentina di persone è solo una delle situazioni in cui Matocon bandiere e striscioni ancora arrotola- ne e il suo team – un’affiatata squadra di
ti. Sono alcuni dei lavoratori dello stabili- una cinquantina di persona – si trovano
mento della Nokia-Siemens di Cassina de’ ogni giorno.
Arifl è stata istituita con la legge
Pecchi: oggi è prevista una manifestazione sotto i palazzi della Regione Lombar- regionale di riforma del mercato del lavodia che dovrebbe concludersi dopo l’in- ro in Lombardia (22/2006) e il suo ruocontro con l’assessore all’Occupazione lo è quello di garantire l’attuazione dele alle politiche del lavoro del Pirellone, le politiche regionali di welfare, in parGianni Rossoni. Al centro della protesta ticolare negli ambiti dell’istruzione, deli 580 licenziamenti prospettati in Italia la formazione e del lavoro. Le prerogatidal gruppo di telefonia. Intanto comin- ve istituzionali sono quelle connesse alla
ciano ad arrivare le prime camionette di gestione delle vertenze delle crisi aziencarabinieri e polizia. Ci sono anche agen- dali: in questo ambito l’Agenzia ha potenti della prefettura in borghese e alcuni ziato il suo ruolo di recettore delle segnafunzionari della Regione. Alcuni manife- lazioni e delle istanze provenienti dal terstanti iscritti a Cigl e Fiom si radunano e ritorio in modo tale da intervenire per
iniziano a dialogare con loro; tutto tran- tempo nell’affrontare le crisi e monitoquillo, un colloquio vivace ma senza ten- rare l’efficacia delle politiche. In Lomsioni. Dopo poco i dirigenti della Regione bardia le grandi imprese hanno risposto
si allontanano, non prima di aver garan- allo spostamento del livello complessitito che «l’incontro con l’assessore Ros- vo di domanda dei mercati con razionasoni si fa, vi chiedo che la
manifestazione sia conte«A volte gli ammortizzatori sociali, che sono
nuta in toni accettabili,
un grandissimo valore per la collettività,
evitando tensioni per le
possono
diventare ostacoli a rimettersi in
strade. Vi aspetto alle 11
gioco per un futuro professionale diverso»
sotto i nostri uffici». Gli
GLI STRUMENTI
Dalla Cassa integrazione alla mobilità
La Cassa integrazione guadagni (Cig)
è una prestazione economica erogata
dall’Inps con la funzione di integrare o
sostituire la retribuzione dei lavoratori
che vengono a trovarsi in precarie condizioni economiche per sospensione o
riduzione dell’attività lavorativa. È ordinaria quando la sospensione o riduzione
dell’attività aziendale dipende da eventi
temporanei e transitori non imputabili
né al datore di lavoro né ai lavoratori. È
straordinaria quando l’azienda subisce
processi di ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione, crisi aziendale o sia
assoggettata a procedure come fallimento o liquidazione. La cassa integrazione
in deroga è un intervento di integrazione
salariale a sostegno di imprese o lavoratori non destinatari della normativa sulla
cassa integrazione guadagni. Infine la
mobilità è un intervento a sostegno di
particolari categorie di lavoratori licenziati da aziende in difficoltà che garantisce al lavoratore un’indennità sostitutiva
della retribuzione e ne favorisce il reinserimento nel mondo del lavoro.
Cig, ore erogate in Italia e in Lombardia (agosto 2012)
Ordinaria
2.443.199
22,36%
10.924.312
Straordinaria
5.615.251
21,46%
26.168.559
Deroga
3.801.785
12,69%
29.949.613
Totale
11.860.235
17,69%
Lombardia
67.042.484
Italia
Fonte: www.Arifl.it
Rapporto tra nascita e mortalità delle imprese in Italia
Agricoltura
Iscrizioni
2011
25.186
Totale
Industria
Gen-Giu
2012
2011
69.336
17.057
-25.617 -15.054
-32.111
-50.803
Cessazioni*
Gen-Giu
2012
40.929
-30.695 -23.084
Servizi
145.466
86.112
2011
-70.432 -44.642
-64.013
-100.031
-130.754
* il numero delle cessazioni
comprende quelle d'ufficio
-215.898
Foto: AP/LaPresse
Fonte: previsioni Ufficio Studi Confcommercio
gnano all’aumento del numero di persone che non lavorando percepiscono sussidi sociali». Arifl rende costante il raccordo tra le parti sociali e continua l’attenzione e la messa a fuoco delle dinamiche
territoriali. Inoltre, mantiene il presidio
dei tavoli ministeriali, sia per le vertenze sugli ammortizzatori di competenza
del ministero del Lavoro, sia verso il ministero dello Sviluppo economico per tutte quelle situazioni aziendali che hanno
impatto nazionale.
I numeri aiutano a capire meglio lo
scopo e le prerogative dell’Agenzia. Dal
primo gennaio 2012 ad oggi Arifl ha gestito 14 mila istanze di cassa in deroga (di
cui circa 10 mila già prese in carico) e ha
seguito una media di 30 vertenze alla settimana tra sindacati e imprese per gesti-
re le crisi aziendali. In Lombardia non c’è
più crisi che altrove, semplicemente per
la legge dei grandi numeri le imprese in
difficoltà e i lavoratori a rischio sono davvero tanti. Matone cita i dati Istat relativi al secondo trimestre di quest’anno: «La
Lombardia ha una popolazione di quasi 10 milioni di persone, di quelle in età
lavorativa gli occupati sono il 64,9 per
cento, mentre la disoccupazione è arrivata a quota 7,4 per cento». La crisi c’è e si
sente. Il compito di Arifl è quello di ritagliare spazi e soluzioni perché la locomotiva d’Italia non deragli.
Uno dei compiti dell’Agenzia è infatti
quello di istituire momenti di lavoro con
le varie direzioni di Regione Lombardia,
così che direttori e amministratori siano al corrente della situazione di crisi sul
Gen-Giu
2012
territorio e possano progettare interventi
mirati per potenziare il mercato del lavoro, ad esempio migliorando l’incontro tra
domanda e offerta e accrescendo il livello
di istruzione e di competenze degli individui. Gli accordi fra imprese e sindacati
raggiunti con il contributo di Arifl hanno infatti evidenziato che quando l’azienda si fa carico, con competenze professionali esterne, di una vera attività di reimpiego sul territorio, le probabilità di riposizionamento del personale aumentano.
In questo Matone vede la possibilità di
ribaltare uno schema troppo spesso riproposto dalle semplificazioni giornalistiche, secondo cui impresa e sindacati sono
destinati a rimanere attori di un conflitto perenne e insanabile. «È vero che ogni
realtà può conoscere delle degenera|
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quando il territorio soffre interni
zioni, ma la maggior parte delle persone che incontro sente una corresponsabilità e secondo noi la via d’uscita da questa situazione difficili è proprio questa:
che ognuno sia più responsabile. Da una
parte lavoriamo perché un’azienda possa continuare a produrre, ma anche perché cominci ad accompagnare realmente le persone messe in mobilità; dall’altra facciamo in modo che i lavoratori siano più responsabili della propria situazione e non la vivano come una battaglia contro i propri datori. I nostri risultati dimostrano che quando ognuno svolge bene il proprio ruolo le cose funzionano benissimo e la realtà cambia, di questo va reso merito anche alle imprese che
non smettono di costruire. Questo lavoro
mi ha fatto rivalutare molto anche i sindacati: la maggior parte delle volte conosco persone che hanno realmente a cuore
che i propri rappresentati possano tornare a lavorare. Il nostro compito è sostenere e indirizzare queste energie».
Benedetti ammortizzatori sociali
E l’armonia ha un valore non solo simbolico, se si considera che per esempio
la cassa integrazione straordinaria e in
deroga viene concessa solo quando si trova un accordo tra le varie parti sociali. Per
gestire queste vertenze servono ore e ore
di lavoro e spesso quando si è a un passo
dal traguardo non si guarda l’orologio.
È il caso della vertenza con una grande
azienda conclusa recentemente: cominciata dopo pranzo è terminata alle 7 del
mattino seguente. «L’accordo è segno di
responsabilità dei datori di lavoro nei
confronti dei dipendenti e dei lavoratori
rispetto alla propria azienda e a loro stessi. È una sorta di autoregolamentazione:
si decidono delle cose insieme e si rispettano, per il bene e gli interessi di tutti. La
cassa integrazione è un’iniezione di risorse economiche enormi che vanno a bene-
ficio dei lavoratori sospesi e allo stesso fl avrebbe gestito la situazione assai comtempo compensano la fatica delle azien- plicata dell’Ilva di Taranto, che sembra
de». È la più grande erogazione di denaro bloccata in un ricatto tra le parti in giopubblico fatta dal Dopoguerra a oggi. Che co: da una parte l’acciaieria chiede di
in questa situazione può diventare un’ar- continuare a lavorare per non licenziare
ma a doppio taglio: «Purtroppo ci è capi- tutti i dipendenti e di conseguenza affatato anche di incontrare persone che di mare un’intera città; dall’altra la magimestiere cercano di fare i cassaintegrati. stratura che non cede al diktat “zero
È inammissibile. Le faccio un
inquinamento
altrimenesempio: l’Alfa Romeo di Areti si chiude”. «Le produziose non riesce più a produrre,
ni aziendali con forte impatnon c’è verso di ripristinare
to ambientale sono situazioni
Il calo del Pil nel
l’attività, ma gli operai contidelicatissime. Noi ne abbiamo
2012 secondo
nuano a dire che la produziogestita una simile, ma molto
l’Ufficio studi
Confcommercio
ne deve tornare lì. Gli è scadumeno problematica, in una
ta da poco la mobilità, è finito
circostanza dove è emerso un
l’assegno di disoccupazione, eppure con- grande senso di responsabilità: la Tamoil
tinuano a pretendere di lavorare all’Al- di Cremona, che ha chiuso l’attività di
fa di Arese. Spiace dirlo, ma a volte gli raffinazione. Nel caso Ilva – da quel che
ammortizzatori sociali, che sono un gran- conosco – credo che la responsabilità stodissimo valore sociale, possono diventare rica iniziale sia dell’azienda. Detto quedegli ostacoli a rimettersi in gioco per cre- sto, sono convinto che la soluzione giuarsi un futuro professionale diverso, acco- diziaria in qualche modo complichi la
modandosi al fatto che un po’ di sodi alla situazione, perché il magistrato non ha
fine del mese arrivano sempre, ma ormai gli strumenti per accompagnare o trovala festa è finita».
re degli accordi tra le parti. BisognerebSe l’ammortizzatore sociale, che be fermarsi un attimo prima, lavorando
nasce come strumento per tampona- di comune accordo con il maggior numere una crisi, diventa uno degli ostacoli ro di istituzioni». Proprio quello che fa
per superarla, allora bisogna
Arifl: «La cosa bella è che lavochiedersi quanto è utile conriamo con tutti, dalla prefettinuare a foraggiare le sue
tura alla questura, il comucasse. «Io credo che sia utine, la provincia, le comuniIl calo dei consumi
le mantenerlo, ma allo stestà montane. Il colore politico
delle famiglie (2012)
so tempo bisogna comincianon è mai stato un ostacolo,
destinato a calare
dello 0,3% nel 2013
re a limitarlo. Va riconosciututti sono chiamati a una corto se un’impresa è in grado di
responsabilità e l’esperienza
ricominciare a produrre oppure no. Se la dice che ci stanno. Si rivolgono a noi per
risposta è negativa bisogna aiutare i lavo- risolvere delle situazioni spinose. Siamo
ratori a crearsi un nuovo profilo, occor- come un ospedale: uno ci va perché ha
re accompagnarli nel reinserimento nel dei problemi e quasi sempre ne esce con
mondo del lavoro con politiche attive; è una soluzione. Sia un gesso o una proteinutile perpetuare proteste sterili, lavora- si. Ecco, noi troviamo il gesso o la protesi
re è un diritto, non farlo è decadente per utile per azienda e lavoratori, anzi la trol’umano e per la stessa società».
vano loro, noi li aiutiamo soltanto».
Viene spontaneo chiedersi come AriGermano Di Michele
il presidente di confcommercio
Un’equazione
per i tecnici
Meno consumi uguale meno imprese e meno
occupazione. Sangalli lancia l’allarme e avverte:
aumentare ancora l’Iva sarebbe una catastrofe
-2,2%
-2,8%
I
Italia il tasso di disoccupazione
potrebbe essere più alto di quello
ufficiale. Lo scrive la Bce nel rapporto su Il mercato del lavoro dell’Eurozona
e la crisi che considera anche gli “scoraggiati”, cioè quelle persone disponibili a
lavorare ma che hanno smesso di cercare
occupazione perché convinti di non trovarla. I disoccupati ad agosto erano 2.744
mila (dati ancora provvisori). Se il numero è diminuito dello 0,3 per cento rispetto
a luglio (-9 mila unità), bisogna considerare che su base annua si registra invece
una crescita pari al 30,4 per cento (640
n
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interni quando il territorio soffre
Presidente, quali sono le vostre previsioni per il 2013?
Le nostre previsioni segnalano, anche
per il 2013, un’ulteriore contrazione sia
del prodotto che dei consumi interni. È
una situazione da allarme rosso che vede
in particolare le imprese del commercio,
del turismo e dei servizi vivere ormai da
anni e sulla propria pelle tutte le difficoltà legate, soprattutto, al crollo della
domanda interna: negli ultimi 10 anni i
consumi sono cresciuti, mediamente, di
appena lo 0,5 per cento annuo e, dall’inizio della crisi, sono diminuiti a livello pro
capite di oltre 3 punti percentuali. Una
difficoltà che, anche a causa dell’aumento dei costi di gestione e delle tasse, continua a determinare una morìa di imprese commerciali. Solo l’anno scorso hanno
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chiuso oltre 60 mila piccoli esercizi e già
nei primi sei mesi di quest’anno 36 mila
negozi hanno abbassato definitivamente
la saracinesca.
Come si può arrestare secondo voi il
crollo dei consumi?
recessione e per tornare a costruire crescita e occupazione.
Eppure il governo continua a battere
cassa. Se non dal prospettato aumento
dell’Iva da dove ritiene che possano arrivare quei soldi?
Credo che questi dati impongano di
La via è obbligata: un tempestivo
archiviare l’ipotesi di un ulteavanzamento della spending
riore incremento dell’Iva prereview, per generare risparvisto dal 1° luglio 2013. Permi che consentano appunché gli effetti di questa misuto di disinnescare la mina
Il calo degli investira sull’economia reale rischiadei prospettati aumenti Iva,
menti (2012) che
no di essere davvero drammae destinare l’incremento di
dovrebbero crescere
tici, in particolare nei nostri
gettito derivante dal contradell’1,2% nel 2013
settori, dove le imprese vivosto all’elusione e all’evasione
no di mercato interno e di consumi del- fiscale alla riduzione del carico fiscale su
le famiglie. Abbiamo calcolato che que- famiglie e imprese. Ma chiediamo anche
sta misura, insieme agli aumenti delle ali- che venga riconosciuto il contributo alla
quote già attuati lo scorso anno, compor- maggiore produttività e alla maggiore
teranno tra il 2011 e il 2014 una riduzione crescita che può venire dal commercio
dei consumi di circa 38 miliardi di euro. e da tutto il sistema dei servizi di mercaPer questo, oggi, è più che mai
to che rappresenta oltre il 50
necessario accantonare definiper cento del Pil e dell’occutivamente i prospettati nuopazione del nostro paese. Da
vi aumenti Iva e porre al cenqui, la nostra richiesta di una
La crescita delle
tro del dibattito e dell’aziopolitica per i servizi – cioè un
esportazioni (2012).
ne di governo i temi del rilansistema di regole, di strumenPrevisto un aumento
cio dei consumi e della cresciti e di risorse – che suppordell’1,6% nel 2013
ta per mettere le imprese del
ti i processi di rafforzamento
terziario, e tutte le imprese, in condizio- della produttività in particolare attraverne di essere più competitive e produttive. so l’innovazione del sistema dei servizi,
Voglio ricordare che la domanda interna perché l’innovazione – tecnologica, ma
– per consumi e investimenti – rappresen- anche organizzativa – è un formidabile
ta circa l’80 per cento del Pil e quindi è da propellente di produttività aggiuntiva.
qui che si deve ripartire per contrastare la
Daniele Guarneri
-6,5%
0,5%
Foto: AP/LaPresse
mila unità). Il tasso di disoccupazione
è pari al 10,7 per cento, stabile rispetto a
luglio e in aumento di 2,3 punti percentuali nei dodici mesi. Ma
se a questi si somma l’esercito degli “scoraggiati” che
secondo l’Istat nel secondo trimestre del 2012 erano 1.664.000, i dati della
disoccupazione reale risultano ancora più allarmanti. Nel rapporto della Bce
si legge che «l’Italia è un
chiaro esempio di come le
cifre ufficiali sulla disoccupazione possano sottostimare la sottoutilizzazione della forza lavoro».
I dati nel dettaglio sono
sconfortanti: confrontando il secondo trimestre del
2012 con lo stesso periodo del 2007 (prima della
crisi), gli occupati tra i 15
anni e 34 anni sono passati da 7,3 milioni a 5,9. Solo
nell’ultimo anno il calo
è stato di 230 mila unità. Avere meno di 35 anni e trovare lavoro in Italia sembra essere la vera mission
impossible al tempo della crisi. Se a questi
dati accostiamo anche quelli di Confcommercio si capisce quanto il quadro recessivo che stiamo vivendo sia pesante, e la
sua fine ancora lontana. «Chiuderemo il
2012 con una caduta del prodotto interno del 2,4 per cento circa e una diminuzione della spesa delle famiglie intorno
al 3,3 per cento», prevede non senza preoccupazione Carlo Sangalli, presidente di
Confcommercio dal 2006. Si tratta, spiega a Tempi, di «un calo di una profondità mai registrata nella storia economica
repubblicana del nostro paese».
Da OlTRE CINQUaNT’aNNI
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INTERNI LINEA DI GALLEGGIAMENTO
Monti, Monti
Monti un bis
Fra i terzopolisti alla ricerca di un elettorato e
le faide interne al Pd, il tanto invocato secondo
mandato per il governo di emergenza somiglia più
a un trucco che a un progetto politico. Quanto al
prof, lui un’idea di quello che farà da grande ce l’ha
N
egli ultimi mesi due sono i principali
problemi che rovinano il sonno agli
italiani. Da una parte le enormi difficoltà economiche e finanziarie ne hanno messo a dura prova le tasche. Dall’altra il vistoso sbandamento di un sistema
politico incapace di rispondere alla crisi
ne ha scosso la coscienza civile. Su entrambi i frangenti la risposta è stata in un certo senso la medesima. Nel primo caso, file
infinite alle casse dei discount e code chilometriche ai distributori che abbassano
il prezzo del carburante di una manciata di centesimi. Nel secondo, processione
di adepti osannanti il nume tutelare dei
tecnici cooptati al governo. Ma mentre far
quadrare i conti del proprio bilancio familiare è problema del cittadino comune,
massimizzare il proprio tornaconto politico è l’affanno che mette in ansia i partiti.
Che sono ricorsi a Mario Monti e alla sua
equipe quasi-ottuagenaria per la manifesta incapacità di offrire al paese un’alternativa politica. Non ce l’aveva il Pdl, ancora oggi faticosamente impegnato a raccogliere le macerie di una lenta e metodica
autodistruzione. E ne era sprovvisto il Pd,
mestamente attestato su percentuali irrisorie, nonostante intorno gli si aprissero
praterie che nemmeno ai pionieri del Kansas. Per tacer dei magmatici centristi, il cui
peso diventa irrilevante in una situazione
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in cui non solo non si vede un cavallo vincente, ma prendono schiaffi tutti i possibili alleati. Nonostante la storiella della “cosa
migliore che si potesse fare per il paese”,
il governo tecnico trova la propria ragion
d’essere nell’assoluta incapacità delle forze politiche di garantirsi rendite di medio
periodo nel precipitare della situazione
parlamentare dello scorso novembre.
Se Napolitano non si ripete
Cos’è cambiato in questi mesi? Assolutamente nulla. Ergo, gli adepti del “Monti
bis” hanno scarso o nullo interesse che il
professore continui a sedere sullo scranno
più alto di Palazzo Chigi. Chi auspica oggi
che il premier succeda a se
stesso, adotta semplicemente L’unico richiamo alla terzietà che conservi
il più antico schema del risiko
un minimo di appeal è la promessa di un bis
politico di tutti i tempi: massimizzare il proprio peso in ter- del professore. Ottimo slogan da talk show
mini di potere. Gli strateghi di cui sarà facile sbarazzarsi a urne chiuse
del secondo mandato consecutivo ai tecnici ben sanno che c’è una varia- maggioranza sui futuri assetti parlamenbile di non poco conto da tenere in consi- tari. Se è vero che Pierferdinado Casini
derazione: la legge elettorale. Giorno dopo «non è interessato» a un’ipotesi di govergiorno, una riforma del Porcellum diventa no con Pier Luigi Bersani e Nichi Vendoun’aspirazione sempre più utopica. Anche la (come il leader dell’Udc va sbandieranqualora la disprezzata creatura di Calde- do in ogni dove), in caso di ingovernabiroli cambiasse, la strada sarebbe quella di lità l’unica soluzione che preveda un tecun sistema proporzionale, che ridurreb- nico al governo costringerebbe Pd e Pdl a
be ulteriormente l’impatto del premio di trovare un accordo sulle larghe intese. Un
Foto: AP/LaPresse
Fini e Casini sono
a parole i primi
promotori di un
ipotetico Monti
bis. Il cromosoma
tecnico, però,
decisamente
non fa parte
del loro Dna
rebus complicatissimo, che interesserebbe
anche il Quirinale, e nel quale i centristi e
le loro ambizioni neo-montiane giocherebbero un ruolo assai marginale.
Se invece vivesse il Porcellum, i prodi centristi dovrebbero puntare a essere
determinanti al Senato. Ottenendo di certo qualche strapuntino di lusso, ma senza
poter mirare a strappare al centrosinistra
la poltronissima in funzione della quale
è stato organizzato l’ambaradan delle primarie (si tace del centrodestra in quanto,
ad oggi, non pervenuto). Proprio il Quirinale, tra l’altro, è la destinazione cui ambisce il professore. E anche quella più proba-
bile. Il suo celebre «se serve mi metto a servizio del paese», la dichiarazione che ha
aperto il bailamme sul Monti bis, lasciava
sottintendere infatti la disponibilità a farsi garante della delicata transizione verso
un governo politico nella prossima legislatura, più che a lasciarsi invischiare nelle
sabbie mobili dei partiti. Un gioco di squadra messo in piedi con Giorgio Napolitano. Il giorno dopo la famosa frase del premier, infatti, il presidente della Repubblica
si è affrettato a scrivere una lettera a Pubblico per smentire uno scoop che ne prefigurava un rinnovo di mandato. Un passo
con pochi precedenti, che è suonato a molti come contrappunto alle travisate parole
del primo ministro.
Rimane il fatto che i più rumorosi esponenti di questo Game of Thrones
all’amatriciana sono i fanatici di Monti. Quelli che hanno sbandierato ai quattro venti di voler comporre le future liste
elettorali «mettendole a servizio» del presidente del Consiglio. Il Terzo polo, o quel
che ne rimane, ha gettato così sul campo l’unica possibilità di sopravvivenza di
cui dispone: invocare la continuità con il
professore, quale dotta e sofisticata alternativa al corpaccione un po’ bifolco dei
due principali partiti ai quali Udc e Fli si
dichiarano alternativi. Una sorta di versione salottiera dell’antipolitica centrista.
Possibilità che intorno a questa ipotesi
i terzopolisti ottengano una maggioranza
parlamentare? Zero. Lo sanno anche gli
uomini di Casini e di Gianfranco Fini. Tra
i (pochi) profeti di un improbabile straripamento elettorale delle “liste Monti” si
segnala il filosofo ex sindaco di Venezia
Massimo Cacciari: «Una lista civica nazionale con Monti capolista potrebbe squinternare tutto il quadro politico, potrebbe
raccogliere più voti del Pd o del Pdl», ha
vaticinato qualche giorno fa.
Il centrista che bocciava i tecnici
Senza contare che il cromosoma tecnico non fa parte del patrimonio genetico dell’odierno centrista. Serve una prova? «Più che il liquidatore fallimentare
di un regime moribondo, mi pare che il
suo governo sia una sorta di commissariamento straordinario. Credo che sarà facile
far capire agli italiani che non può essere
un governo antipartitocratico quello che
ottiene la fiducia dell’85 per cento (e forse più) dei presenti in Parlamento e, quindi, dei rappresentanti delle forze politiche. Il suo è un governo che, anziché tendere all’archiviazione di un sistema, cerca di garantirne la continuità». Non sono
le becere parole di un leghista qualunque
che sbraita contro gli scranni dell’esecutivo attuale. È la dichiarazione di voto di Fini
registrata dagli stenografi della Camera il
7 maggio del 1993, quando l’allora deputato del Msi bocciò sonoramente il governo
di Carlo Azeglio Ciampi, l’unico precedente di governo tecnico in qualche modo assimilabile all’esperienza di Monti.
«Nel gioco del trono non ci sono alternative: o vinci o muori». La frase cult della
sopracitata serie tv che spopola sulle due
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INTERNI LINEA DI GALLEGGIAMENTO
PARLAMENTO DA FINE IMPERO
E a Palazzo sono spariti i peones
Tutti a caccia di lavoro per il 2013
Un’ala del Pd preme perché il partito porti avanti
l’Agenda Monti. Ma se non con Monti, con chi?
Nelle foto sopra, i principali candidati alla guida
della sinistra, Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi
La variabile Montezemolo
C’è la variabile Luca Cordero di Montezemolo, è vero. Ma è una variabile già logora, per via del morettiano dilemma del
presidente della Ferrari: lo si noterà di più
se viene alla festa e se ne sta in disparte o
se non viene per niente? Un’indecisione
che lo ha portato alla scadenza del tempo
utile per presentarsi agli elettori sospinto
dall’onda del nuovismo, costringendolo a
flirtare con l’attuale premier come unico
modo per non disperdere il patrimonio di
Italia Futura e per distinguerlo dagli attuali partiti. Che il gioco di Montezemolo non
sia lo stesso dei centristi è testimoniato dai
(per ora unidirezionali) continui attestati
di disistima che il leader dell’Italia dei carini (copyright Maurizio Crozza) ha destina22
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to simpaticamente al Terzo polo. Ulteriore
segnale del fatto che il Monti bis è più una
manovra tattica che non un progetto organico di un insieme di forze.
A proposito di tattica, l’argomento utilizzato da Casini & co. è anche un modo
per strizzare l’occhio a chi, nel Pd, da
mesi invoca la necessità di dare continuità all’azione dell’attuale governo. Principali sparring partner del leader Udc nel
dar fiato alle stanche trombe del professore sono i quindici esponenti democratici
che a luglio firmarono la cosiddetta Agenda Monti, un documento nel quale si chiede al segretario Bersani di impegnarsi a
proseguire sulla strada tracciata dal professore. Non è un mistero che l’ambizione
di Casini sia attrarre il maggior numero di
democratici montiani nella propria orbita, magari grazie alla mediazione di qualcuno dei ministri che siedono al governo
(Andrea Riccardi e Corrado Passera i prin-
cipali indiziati). E se l’operazione potrebbe riuscire nel caso dell’irrequieta componente che fa capo all’ex ministro dell’Istruzione Beppe Fioroni, forse anche in quella
del figliol prodigo Marco Follini, per tutti
gli altri c’è poco da fare. Il gioco dei democratici montiani, infatti, è tutto interno al
partito, e ben poco influiranno le aspettative centriste. O meglio, Pietro Ichino,
Andrea Morando e Giorgio Tonini vorrebbero sì un avvicinamento all’Udc, scaricando magari Sel. Ma per contare di più all’interno di una compagine nella quale sono
finiti a fare mesta opposizione al primo
bersaniano passato di lì per caso. E ogni
riferimento a Stefano Fassina è puramente
casuale. Agenda Monti sì, dunque, magari insieme ai centristi. Ma giammai con
Monti. I montiani del Pd vogliono un leader che contribuisca a cambiare gli equilibri interni al partito, uno che al momento della distribuzione delle cariche non
dimenticherebbe mai di riservaNon è un mistero che l’ambizione di Casini re a loro la giusta considerazione. Un Matteo Renzi, insomma.
sia attrarre il maggior numero di montiani
Pietro Salvatori
democratici nella propria orbita, magari
segui “Le belle statuine”, il blog
grazie alla mediazione di qualche ministro di Pietro Salvatori su tempi.it
Foto: AP/LaPresse
sponde dell’oceano ben si adatta alle prospettive di Fini e compagni. Per non soccombere all’ondata che minaccia di seppellirli, l’unico richiamo alla terzietà che
abbia un minimo di appeal è la promessa
di un bis del professore. Ottimo argomento da campagna elettorale di cui sarà facile
sbarazzarsi a urne chiuse, quando si potrà
tornare ad arraffare l’arraffabile.
«A quanto pare sarà dura essere rieletti». «Ma quale
rielezione, sto già cercando lavoro». Nei corridoi di Montecitorio
il clima è già da day after. Tra i peones del Parlamento all’ansia
di quel che sarà è subentrata la rassegnazione. Soprattutto nel
centrodestra. Qualunque sarà la legge elettorale, qualunque sarà
la scelta delle liste alle prossime politiche (una, due, dieci?), il corpaccione del Pdl sarà enormemente ridimensionato. Oggi sono
326, tra Camera e Senato, i deputati azzurri a Palazzo. Alcuni
calcoli che girano da settimane stimano che la pattuglia verrà
ridotta di circa un terzo. Solo l’ufficio di presidenza e l’inner circle
di Berlusconi e Alfano contano più di cento dirigenti; aggiungi
una manciata di volti nuovi coi quali rinfrescare le liste, e capisci
che il margine di ricandidatura di molti onorevoli che hanno viaggiato nell’ombra in questi mesi è veramente esiguo. «È un clima
da fine impero», spiega uno di loro. «Più passano le settimane,
più le aule del Parlamento si svuotano. Altro che partecipare ai
lavori: ognuno pensa a trovarsi un paracadute». La situazione
emerge drammaticamente nelle commissioni. Nell’aula di una di
queste, quattro persone stravaccate sulle poltrone stanno chiaccherando. Salve, che state facendo? «La prego di uscire, siamo in
plenaria». Quattro persone su un totale che supera le quarantacinque unità. «Da queste parti ci sarà il pienone se e quando si
voterà la legge elettorale», continua l’anonimo deputato. «Poi per
un paio di settimane tutti ronzeranno come api intorno al miele
davanti alle porte degli uffici in cui si decideranno le candidature.
Ma si sa che le speranze sono poche». Già oggi, per incrociare
tutti insieme una dozzina di occhi nei silenziosi corridoi del Palazzo, rimane un’unica possibilità. La buvette. [ps]
INTERNI LA SOLITA «PREPOTENTE URGENZA»
Prigionieri
dell’ignoranza
«Il giustizialismo unisce destra e sinistra nell’idea
sbagliata che l’unica pena è dietro le sbarre». Le
galere esplodono e Giovanna Di Rosa (Csm) chiede
amnistia e misure alternative. Quelle che il ministro
Severino si è impegnata a incentivare. Solo a parole
A
una fallace
esigenza di sicurezza, che si coniuga con un concetto distorto del
giusto e con la spettacolarizzazione della pena, le isituzioni italiane spesso usano il carcere per esigenze che hanno poco
a che fare con la pubblica utilità. Per Giovanna Di Rosa, già magistrato di Sorveglianza a Milano e oggi membro togato
del Csm, l’eguaglianza fra pena e detenzione è frutto di un ragionamento errato.
Il carcere dovrebbe essere usato come ultimo rimedio. Investire sulle misure alternative garantirebbe sostenibilità ed efficacia al sistema penale. A sollecitare riforme in questo senso non ci sono soltanto l’emergenza del sovraffollamento e la
presenza di metà della popolazione carceraria in custodia cautelare (quindi ancora in attesa di processo), ma anche le statistiche sulle recidive: a ritornare al crimine sono il 70 per cento dei carcerati a
fronte del 20 per cento di chi ha ottenuto
pene alternative. Ma al di là delle adesioni
formali, poco o nulla è stato fatto perché
il principio secondo cui il carcere è una
extrema ratio sia realmente applicato.
limentando nei cittadini
Cosa ostacola l’applicazione di questo
principio?
Nessun investimento, norme contraddittorie e nessuna riforma coraggiosa
della giustizia. Inoltre a spingere in una
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direzione opposta al principio del carcere come ultimo rimedio c’è una cultura
che risponde a un’esigenza trasmessa nel
sentire collettivo dalle rappresentazioni della stampa, ma priva di fondamento. È il cosiddetto giustizialismo, che ha
fatto avvicinare posizioni culturalmente opposte, a destra e a sinistra, che sulla questione carceri convergono in un medesimo discorso sulla giustizia omogeneo,
superficiale, dove si ignorano
i dati e le peculiarità del sistema penale.
Secondo una statistica pubblicata qualche settimana
fa, gran parte degli italiani
sarebbe favorevole al carcere per gli evasori. Non
crede che il largo consenso all’introduzione di nuove misure detentive possa
prospettare un ostacolo anche alla necessità delle depenalizzazioni?
Sono discorsi che rendono evidenti molte contraddizioni. Da una parte
c’è l’esigenza, condivisa ma solo in senso formale, di depenalizzare certi reati;
dall’altra la spettacolarizzazione della
pena, attuata soprattutto in questi ultimi
anni, spinge verso altri obiettivi. In generale, non si considera che oltre alla privazione della libertà, ci sono provvedimen-
ti altrettanto incisivi, che in
molti casi si rivelano meno
dispendiosi e più efficaci. Per
esempio, l’interdizione alle
pubbliche funzioni o la sanzione pecuniaria. Non si comprende, non si vuole comprendere l’idea che la pena non è
soltanto mandare chi ha violato le leggi “dietro le sbarre”.
Attualmente “dietro le sbarre” ci sono
più di sessantamila persone. Vivono in
condizioni al limite. A disposizione hanno uno spazio medio inferiore a quello
destinato ai maiali negli allevamenti
intensivi. Dopo varie condanne da parte
degli organi europei, anche il governo
ha dovuto ammettere il problema. La
scorsa settimana è stato il presidente
delle Repubblica, accogliendo una delegazione dei 136 giuristi firmatari di una
petizione in favore dell’amnistia (sottoscritta anche da Tempi), ad auspicare
Qui sotto, l’interno del carcere milanese di San Vittore fotografato
da Giorgio Mesghetz per la mostra Libertà va cercando, ch’è sì cara.
Vigilando redimere (Meeting 2008). In basso, Giovanna Di Rosa (Csm)
colosità sociale perché scatta automaticamente e ha portato a chiudere in carcere
tantissimi che non lo meritavano.
Il 40 per cento della popolazione carceraria è ancora in attesa di giudizio. I
magistrati fanno un uso eccessivo della
custodia cautelare?
La situazione richiede un mutamento culturale e un’assunzione rinnovata
di responsabilità anche della magistratura, che della custodia cautelare fa senz’altro ampio uso. Però bisogna ricordare che
i comportamenti dei singoli magistrati si
collocano in un contesto più ampio che
risponde a un sitema normativo dove la
sicurezza è sentita come prioritaria. L’attenzione politica è orientata al mantenimento di più ipotesi nelle quali la custodia cautelare deve essere assicurata. È prima di tutto questo sistema di norme non
chiaro che tende ad aumentare il ricorso
alla custodia cautelare.
I magistrati non possono ricorrere anche in questo caso a misure alternative?
Il giudice può concederle, strutturare
le misure e aumentare il numero laddove
ha un servizio di esecuzione penale esterna. Ciò significa: assistenti sociali, educatori, figure istutizionali che garantiscono
il giudice. Il tallone d’Achille delle misure alternative sono il domicilio e il lavoro
per chi non ce l’ha. Se una persona deve
lavorare per vivere, non può farlo senza
retribuzione o qualcuno che provveda al
mantenimento. Risulta difficile applicare
misure alternative se vi è una carenza di
strutture organizzative sul territorio.
un accordo delle forze parlamentari a
riguardo.
Dal presidente della Repubblica è arrivata una dichiarazione di supporto all’amnistia importantissima. Per quanto si tratti di un intervento tampone, per ragioni
umanitarie, sarebbe indispensabile. Non
c’è nulla di sorprendente. Periodicamente
si è sempre arrivati a questo tipo di provvedimenti. Si tratta, senz’altro, di una misura estemporanea che pone il problema
dell’adozione di misure coordinate che
non diano luogo a una situazione episodica in un quadro dove non c’è un strategia
complessiva sul sistema penale.
A parte l’amnistia, quali interventi sono
necessari per sanare stabilmente la situazione delle carceri italiane?
La discussione deve partire dal sistema
penale e non dal carcere. È l’organizzazione della pena che deve essere cambiata. Il
principio è quello di individuare la giusta
pena e non il “giusto carcere”. Il numero di
detenuti dimostra invece che attualmente il carcere non è considerato come residuale al sistema della pena, ma coincide
con la pena. In realtà, sono pochi i detenuti colpevoli di reati di reale allarme sociale
e la maggior parte non è pericolosa. In termini pratici, bisognerebbe intervenire da
subito, effettuando una scrematura della
popolazione carceraria, partendo dai molti arrestati per reati bagatellari, in carcere
a scontare tre, quattro, cinque mesi.
La svuota-carceri è stata un fallimento?
È una legge a termine, adottata in attesa dell’attuazione del piano straordinario
penitenziario e della riforma complessiva
del sistema delle misure alternative. Ha gli
stessi problemi di tutti gli interventi timidi e non coerenti di questi anni. Bisogna
affrontare una riforma organica. Oltre a
incentivare le misure alternative, è necessario procedere con le depenalizzazioni,
e infine ripensare alla legge sulla recidiva,
che non consente accertamenti sulla peri-
Il ministro della Giustizia Paola Severino ha dichiarato di volere promuovere
l’uso delle misure alternative al carcere.
In che modo è possibile farlo?
Innanzitutto è necessario che le dichiarazioni si accompagnino agli investimenti. Ma attualmente gli operatori che seguono l’esecuzione penale esterna sono quelli
con l’organico più lacerato e più ridotto e i
tagli si muovono nel contrasto delle misure che si afferma voler promuovere, colpendo quindi soprattutto le misure alternative. In questo quadro non so proprio
come potrà essere applicata e a chi la messa alla prova in discussione.
Quale cultura può stare alla base di una
politica della giustizia efficace?
Una cultura impostata sui valori di
solidarietà e apertura, che crede al cambiamento dell’uomo. Inoltre sarebbe più
d’aiuto ricorrere ai pareri degli operatori
e all’aiuto delle istituzioni locali, al posto
di attuare iniziative estemporanee che poi
si traducono in norme che si stratificano
in un sistema impazzito.
Francesco Amicone
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IL NOSTRO UOMO
A PALAZZO
UNA SOLUZIONE ALLA RUSSA CHE PIACERÀ A GRAMELLINI
Quando si inneggia alla galera
è ora di instaurare la junta judicial
di Renato Farina
Cedo volentieri la parola, essendo il qui presente firmatario piuttosto agitato, al mio avatar Boris Godunov, vecchio rivoltoso e zar russo. Vai avanti tu, Boris…
C
ari italiani, vi propongo una soluzione russa molto equilibrata. Quando presi la ca-
BORIS
GODUNOV
drega di zar, prima di essere fatto fuori (càpita ai rivoluzionari), unificai i vari
poteri nella mia persona. Uno solo batte moneta, uno solo fa le leggi, uno solo
dà ordini al boia per allestire la forca: io. In Italia vedo che c’è una categoria di eminenti cittadini aspiranti a unificare in sé queste incombenze. Trattasi dei signori magistrati, almeno la loro ala più brillante e volitiva. Smontano giunte, nominano amministratori di banche e commissari di acciaierie; inoltre determinano con mosse
educatrici il Parlamento perché si conformi alle loro idee pedagogiche per il popolo;
infine erigono forche ad libitum, ci appendono con oculata selezione anche quanti ancora non sono stati condannati, tanto per inco- “Dai giudici un messaggio alla
raggiarli a collaborare. Allora, dico: italiani, consegnate i tre poteri Casta”, titola la Stampa. Ma il
– legislativo, esecutivo, giudiziario – a uno solo, e se proprio non ne
messaggio qui non è quello che si fa
trovate uno solo, almeno a una bella squadretta con la toga, che per
l’occasione sarà dotata di scettro e corona di lauro. Una bella jun- con i telefonini. Ha l’esecutività
ta né militar né civil, nessuno spreco di colonnelli greci o banchie- delle manette e l’autorità della cella
ri svizzero-inglesi: una junta judicial o come diavolo si chiama. Non
democrazia, ma demokratjia, una roba alla russa.
Mi hanno condotto a questo pronunciamento, non solo la generale considerazione del fragile assetto del mondo, ma un giorno preciso e vari articoli precisi, usciti
su un giornale preciso: la Stampa di Torino, che non è solo Fiat, ma molto di più. È
la linea di Zagrebelsky nel diritto e nella filosofia, quella secondo cui fuori dai tribunali, se non si è coperti dal manto dell’azionismo, non si è degni del consesso civile.
Ed è il puritanesimo col culo degli altri oggi espresso dall’uomo dotato di una specie di tosatore delle anime altrui, Massimo Gramellini, il quale batte sempre molto
volentieri il pugno sul petto degli altri. Ecco, sulla Stampa, proprio il 4 ottobre, ce- Così il 4 ottobre la Stampa
lebrazione del Poverello di Assisi, patrono d’Italia, si festeggia la detronizzazione di ha celebrato «la cannonata»
Francesco e l’ascesa irresistibile del Nuovo Principe. Il Nuovo Principe o Zar della de- della condanna a dieci anni
comminata dal tribunale di
mokratjia è la Togheria, la Giustizieria, Mater et Magistra. Il titolo di prima pagina Milano a Piero Daccò, il doppio
dopo arresti e condanne che lambiscono la politica è questo: “Dai giudici un messag- della pena richiesta dai pm
gio alla Casta”. Il messaggio in questo caso non è come quello che si fa con i telefonini, o come quello del capo dello Stato per l’amnistia a cui il Pd risponde cippirimerlo. Qui il messaggio ha l’esecutività delle manette e l’autorità della galera.
Altro articolo, sempre sulla Stampa, firmato da Paolo Colonnello, dove si spiega
la condanna a dieci anni per Piero Daccò, il doppio di quanto chiesto dai pm. «Di certo la decisione del giudice viene letta in Procura come un segnale assai rigoroso di
come i tribunali non intendano più transigere sugli sperperi di denaro pubblico che
ormai si ripercuotono a livello sociale». Interessante. C’è anche un messaggio colto
dalla Procura (visto che è noto che pm e giudici proprio non si parlano): avanti, più
cattivi stavolta, il popolo soffre, e noi magistrati siamo il loro vero protettore.
Ma sì, italiani, nominateli Zar: poi qualcuno scriverà Cimiteri sotto la luna.
Twitter: @RenatoFarina
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ESTERI
VERSO LA SECESIÓN?
Recessione, deficit, spread alle stelle. Madrid
sprofonda e gli indipendentisti si fanno sempre
più forti. Così le elezioni nei Paesi Baschi e in
Catalogna rischiano di disintegrare il regno di
Juan Carlos. E l’Unione Europea sta a guardare
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B
arcellona, 11 settembre 2012. Si celebra la Diada, la festa ufficiale della
Catalogna, nella quale si commemora la presa di Barcellona nell’anno 1714
– durante la Guerra di successione spagnola – da parte delle truppe borboniche comandate dal duca di Berwick, e con
essa l’abolizione delle leggi e delle istituzioni proprie della Corona di Aragona, a
cui apparteneva questo territorio. Tutti
gli anni la Catalogna ricorda questo giorno con una esaltazione patriottica piena
di rivendicazioni nazionaliste. Ma quello
che è accaduto quest’anno è andato molto,
molto più lontano.
Si prevedeva che avrebbe partecipato
più gente del solito, ma la realtà ha superato ogni aspettativa. Si è trattato di un’adunata storica, che ha occupato più di tre chilometri delle arterie centrali della capitale catalana. Alla testa della manifestazione
c’era uno striscione che non lasciava spazio a dubbi: «Catalogna, nuovo Stato d’Europa». Al di là della guerra delle cifre sul
numero dei partecipanti – fra i 600 mila e
Foto: AP/LaPresse
Se si rompe
la Spagna
da Madrid Lartaun De Azumendi
Sotto e a sinistra, un momento della Diada, la festa ufficiale della
Catalogna. In basso e a destra, una manifestazione a Bilbao contro
la sentenza di carcerazione a un presunto membro dell’Eta
LA POSIZIONE DELLA CHIESA
Foto: AP/LaPresse
LA CONFERENZA EPISCOPALE
«Le proposte di Artur Mas non
tengono conto della nostra storia»
Doccia fredda della Chiesa cattolica
sull’indipendentismo catalano. Il 4 ottobre la Commissione permanente della
Conferenza episcopale spagnola ha
emesso una dichiarazione nella quale si
legge: «Non si potrebbe capire nessuno
dei popoli o delle regioni che fanno parte
dello Stato spagnolo così come sono
oggi, se non avessero fatto parte di una
lunga storia di unità culturale e politica
di questa antica nazione che è la Spagna.
Proposte volte alla disintegrazione unilaterale di questa unità ci provocano grande inquietudine». Artur Mas è avvisato.
il milione e mezzo di persone – la verità è
che, per la prima volta dalla fine del franchismo, un grandissimo numero di catalani ha chiesto apertamente scendendo
in strada l’indipendenza dalla Spagna. Il
giorno seguente, il presidente della Generalitat catalana, Artur Mas, ha fatto sua la
causa della manifestazione e si è presentato davanti ai media per dire, con un discorso nuovo, che la Catalogna «ha bisogno di
uno Stato proprio».
Quali motivi hanno fatto sì che centinaia di migliaia di catalani si siano riversati nelle strade per chiedere l’indipendenza in uno dei momenti più difficili
che la Spagna sta attraversando negli ultimi anni? Questa è la domanda che si sono
fatti molti spagnoli all’indomani dell’avvenimento. Perché non va dimenticata la
congiuntura in cui si trova la Spagna: sul
punto di chiedere un salvataggio finanziario, in cammino verso i 6 milioni di disoccupati, con uno spread sui titoli di Stato
tedeschi che non scende sotto i 400 punti base, bersaglio designato di tutti i mercati. E a tutto questo si aggiunge l’entrata in vigore di un duro pacchetto di rifor-
me e di tagli: aumento delle imposte dirette e indirette, introduzione di nuove tasse, una dura riforma del mercato del lavoro, diminuzione dei salari della funzione
pubblica, eliminazione degli sgravi fiscali, eccetera. Perché emerge proprio ora con
tanta intensità il problema catalano? Non
sarebbe più importante adesso offrire una
immagine di unità per evitare un’ulteriore
punizione da parte dei mercati?
Sull’orlo della bancarotta
Il punto focale della crisi va situato
nell’economia. La Catalogna è attualmente la Comunità più indebitata di Spagna,
con un debito che supera i 42 miliardi di
euro. Per far fronte alle scadenze di pagamento, la Generalitat ha chiesto 5.023
milioni al Fondo di liquidità delle autonomie istituito dal governo spagnolo per aiutare le Comunità autonome. Questo è avvenuto dopo che l’esecutivo di Artur Mas ha
messo in atto una politica di forti tagli
concentrati nella sanità e nell’educazione,
con misure molto discusse come riduzioni
degli stipendi dei funzionari.
Il fatto che una delle Comunità più ric-
che di Spagna sia sull’orlo della bancarotta ha varie spiegazioni, fra cui la cattiva
gestione del precedente governo, guidato
dal Partito socialista di Catalogna, che ha
fatto esplodere il debito nei suoi otto anni
di governo. Però molti catalani, anche
riconoscendo questo spreco, danno la colpa dello squilibro dei conti al sistema di
finanziamento delle autonomie in vigore
in Spagna. Grosso modo, lo Stato spagnolo
incassa una determinata quantità di denaro in ogni Comunità in funzione dei redditi, e poi la ripartisce fra tutte le regioni
in virtù delle loro necessità specifiche. Si
crea così una forma di “solidarietà interterritoriale” che fa sì che alcune Comunità apportino allo Stato più di quello che
ricevono in investimenti. Con questo sistema, secondo il governo catalano, la Catalogna risulta sempre svantaggiata. Il “deficit fiscale” che soffre questa regione presuppone un contributo alle entrate dello
Stato molto superiore a quanto esso spende in Catalogna. Per la precisione, dicono, i catalani stanno contribuendo al 19,5
per cento delle entrate dell’amministrazione centrale della Previdenza sociale,
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ESTERI VERSO LA SECESIÓN?
L’11 settembre scorso migliaia
di indipendentisti hanno sfilato
per le strade di Barcellona
Lo scontro con Rajoy
Sull’onda di questo malessere per il deficit fiscale, l’attuale partito di governo in
Catalogna, Convergència i Unió, si presentò alle passate elezioni con una proposta di
patto fiscale con cui questo territorio vuole raccogliere e gestire tutti i tributi in proprio, mediante un’Agenzia tributaria propria, per poi compensare lo Stato spagnolo
per i servizi che questo presta.
Una settimana dopo la Diada dell’11 co, docente di Storia dell’Università Comsettembre, Artur Mas è andato alla Mon- plutense di Madrid, affrontava in un’incloa col suo patto fiscale sotto il braccio. tervista radiofonica alla Cadena Ser una
Lì si è incontrato con un Mariano Rajoy, questione fondamentale: il ruolo che svoldialogante ma duro: il capo del governo ge l’Unione Europea in questa faccenda.
non crede nel patto fiscale e non ha mar- Che cosa sta succedendo? Perché in un
gini per renderlo effettivo. Non ci sono momento in cui il ruolo degli stati-naziorisorse per affrontare un cambiamento ne è sempre più ridotto e si tende a strutnel sistema di finanziamento delle auto- ture più ampie come è il caso dell’Unionomie coi costi che questo implicherebbe, ne Europea, i nazionalismi sono in auge?
quando quasi non ci sono soldi per pagare La crisi economica ha fatto sì che buona
i servizi di base. Poco dopo quell’incontro, parte della popolazione spagnola cessi di
Artur Mas ha annunciato elezioni anti- vedere nell’Europa un progetto desideracipate per il 25 novembre, due anni pri- bile e la identifichi come un insieme di
ma del previsto. Il suo partito si presente- burocrati che le ha strappato la sovranirà con un programma che include l’obiet- tà e, con essa, la democrazia, e che vuole
tivo di convertire la Catalogna in un nuo- decidere il futuro delle loro vite.
vo stato europeo.
Tutta questa successione di avvenimen- Cosa c’è in gioco
ti solleva molti interrogativi. In primo luo- È innegabile che la questione catalana e
go in Spagna, poiché la Costituzione spa- il dibattito sulla forma di Stato sono sorti
gnola non ammette questa possibilità. In nel momento peggiore. È scoppiata fra le
secondo luogo nella Unione Europea, dal mani a Rajoy nel momento in cui sta negomomento che il Trattato europeo non con- ziando coi partner europei un salvataggio
templa la secessione unilaterale di un ter- da cui dipende il futuro del paese. Come se
ritorio da uno Stato membro. La Catalo- non bastasse, il principale partito di oppogna continuerebbe a far parte dell’Unio- sizione, il Psoe, si è aggiunto a questa polene? E da ultimo anche in Catalogna. Secon- mica avanzando una proposta per introdo quanto ha dichiarato a El País Juan José durre in Spagna un modello federale, proRubio, docente di Finanza pubblica, «la prio quando mancano poche settimane
Catalogna non avrebbe la capacità di gene- alle elezioni – il prossimo 21 ottobre – in
rare risorse sufficienti per farsi carico degli due comunità autonome con forte presenstipendi pubblici per almeno uno o due za nazionalista, la Galizia e i Paesi Baschi.
Precisamente, nel paese basco (storicaanni, e non potrebbe evitare l’insolvenza
se non facendo ricorso a un salvataggio mente l’anello debole dell’unità spagnofinanziario, ma dovrebbe rivolgersi fuori la) Bildu, un partito apertamente indipendentista e con membri collegati alla bandalla Spagna e sarebbe difficile».
Tuttavia centrare il
dibattito catalano sul mero Bildu, un partito indipendentista e con
fatto economico o sulle
possibilità di sopravviven- membri collegati alla banda terrorista
za del nuovo stato, sarebbe dell’Eta, ha la possibilità di vincere le elezioni
riduttivo. José Álvarez Jun- o comunque di ottenere risultati straordinari
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da terrorista dell’Eta, ha la possibilità di
vincere le elezioni, o per lo meno di ottenere dei risultati straordinari. Fino a questo momento, il Partito nazionalista basco
(Pnv), – più moderato, tradizionalmente maggioritario e probabilmente quello che sarà più votato – si è mostrato cauto al momento di parlare di indipendenza, forse a motivo di una strategia elettorale per tornare al governo. Non c’è invece
alcun dubbio che il Partito socialista basco
al governo della regione ha le ore contate,
dal momento che i partiti nazionalisti cresceranno notevolmente.
Allo stesso tempo, non bisogna dimenticare che i terroristi dell’Eta hanno proclamato una tregua e sono molto indeboliti, ma la minaccia della violenza non è
finita, almeno definitivamente. È pertanto una grossa novità che il cosiddetto “problema basco” preoccupi ora molto meno
che la possibile frattura che potrebbe causare la perdita di una regione storicamente meno problematica per la Spagna, come
è stata la Catalogna.
Nessuno può prevedere cosa succederà
nei prossimi mesi, ma è chiaro che questa
crisi economica produrrà una trasformazione sociale in Spagna molto profonda.
Così come gli spagnoli non possono banalizzare quello che succede in Catalogna e
ridurlo a una questione monetaria, l’Unione Europea non dovrebbe trascurare tutti questi avvenimenti che si stanno producendo in Spagna. È in gioco molto più che
la disintegrazione di uno Stato. Il crollo di
questo paese metterebbe in dubbio in tutto il mondo ciò che l’Europa ha rappresentato fino a oggi: un modo di intendere la
società che affonda le sue radici nell’eredità greco-romana e nell’umanesimo cristiano e che ha configurato il divenire della
nostra storia comune. n
Foto: AP/LaPresse
mentre ricevono solo il 14 per cento di
tutte le risorse. La cosa sicura è che molti
catalani hanno creduto a questo discorso
vittimista e in epoca di crisi si sono uniti
all’appello indipendentista.
ESTERI IL JIHAD SI È FERMATO A TOUBA
Il leader dei sufi muridi spiega la sua religione più
attenta alle persone che ai precetti o alle guerre
sante. E attacca salafiti e Fratelli Musulmani:
«Sono gruppi nati per prendere il potere. Ora che
ce l’hanno lo useranno come i loro predecessori»
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«L
Foto: AP/LaPresse
Il mio islam
combatte
per la pace
di conoscenza e di cuore. Ma se non
interviene lo Spirito, la conoscenza non è piena e nel cuore prevalgono
le passioni e gli interessi personali. Allora
il dialogo fra chi ha una religione diventa
impossibile, si manifestano le differenze e
ci sono gli scontri». Chi parla così è Serigne
Mame Mor Mbacké, un religioso musulmano senegalese. Eppure le sue parole suonano poco islamiche a chi si è fatto un’idea
dell’islam sulla base delle fatwe di un
Qaradawi rilanciate da Al Jazeera, dei pronunciamenti dell’università cairota di Al
Azhar o dell’intransigentismo dei salafiti
dei vari paesi nordafricani.
Il fatto è che Serigne Mbacké è un
marabutto sufi, alto responsabile dei
muridi. I marabutti sono asceti musulmani dell’Africa occidentale; i sufi sono
i mistici islamici, soppiantati nella maggior parte dell’Umma (i paesi a dominante islamica) nel corso dei secoli dai giuristi, dal potere politico e militare e dai jihaa religione è questione
Foto: AP/LaPresse
Sotto, il marabutto
sufi Serigne Mame
Mor Mbacké, alto
responsabile dei
muridi, a capo
dell’Università
Ahmadou Bamba
di Touba, Senegal.
Nel paese i sufi
conoscono una
fioritura che dura
da più di 40 anni
(a lato, una scuola
coranica a Dakar).
È in gran parte
merito loro se
in molte nazioni
dell’Africa subsahariana l’islam
politico non ha
preso il sopravvento
(sopra, i violenti
moti antioccidentali
organizzati nelle
settimane scorse
nel mondo arabo)
disti. E i muridi, infine, sono la più importante confraternita sufi di tutta l’Africa
occidentale, fondata nel 1883 dal venerato
sceicco Ahmadou Bamba (1850-1927): circa tre milioni di senegalesi ne fanno parte. Se in Senegal e in altri paesi dell’Africa
subsahariana i jihadisti e più in generale
la versione politico-ideologica dell’islam
non sono ancora penetrati in forze – diversamente da quanto è accaduto in Somalia
e nel nord del Sudan e della Nigeria – il
merito è soprattutto loro. Perché l’islam
di cui le confraternite sono portatrici è
radicato nella terra della cultura africana, predica la santificazione attraverso il
lavoro anziché attraverso la guerra santa,
è fondato sulla densità del rapporto maestro-discepolo anziché sui legalismi o sulla dedizione a parole d’ordine, dà la precedenza alla venerazione di santi che hanno calpestato la polvere di questa terra
anziché alla sacralizzazione di una parola astratta discesa dal cielo. Per questo i
gruppi islamisti come i Fratelli Musulmani non considerano i sufi dei veri islamici e i salafiti li combattono attivamente,
distruggendo i loro mausolei e attaccando
i loro esponenti in Somalia, Egitto, Libia e
Tunisia. Ma mentre nel Nordafrica i sufi
sono sulla difensiva e nel Corno d’Africa resistono facendosi imitatori, in qualche misura, dei loro avversari, in Senegal
conoscono un’epoca di fioritura che dura
da più di quarant’anni.
Con tutti i loro petrodollari, con le borse di studio pagate agli studenti senegalesi
per farli trasferire nelle università arabe e i
finanziamenti agli imam locali, le monarchie del Golfo non sono riuscite nemmeno a scalfire gli assetti dell’islam indigeno. Le spiegazioni sono molteplici, ma una
sembra pesare più di tutte. Le confraternite senegalesi e in particolare quella muride (ma ce ne sono anche altre tre: tidjani,
qadiri e layenne) non sono solo ambiti di
meditazione mistica e di rapporto personale con Dio: sono anche luoghi di integra-
zione sociale e solidarietà umana, di identità collettiva e di sicurezza esistenziale, di
mutualità e di opportunità e scambi economici. Sia nella dimensione verticale del
rapporto maestro-discepolo, sia in quella
orizzontale delle dahira e delle daara, le
comunità rispettivamente rurali e cittadine di muridi sottomessi allo stesso marabutto. Il muridismo coinvolge la persona
interamente, non lascia fuori nulla e per
questo il senso di appartenenza che le conferisce è particolarmente forte.
Attorno al rapporto marabutto-muride (il discepolo riconosce il carisma del
maestro e gli versa una quota dei proventi del suo lavoro, il maestro gli fornisce assistenza spirituale ma anche aiuto
negli aspetti pratici della vita) si crea un
tessuto comunitario che né l’individualismo occidentale, né l’islamismo che trasforma la religione in ideologia socio-politica possono strappare. Dichiarava recentemente Abdou Ahad Mbacké, presidente di una delle commissioni che organizzano il grande Magal, la celebrazione che
commemora la partenza di Ahmadou
Bamba per l’esilio a cui lo condannarono le autorità coloniali francesi nel 1895,
a proposito degli avvenimenti nel nord
del Mali, dove Al Qaeda e altre formazioni jihadiste hanno preso il potere: «Se mai
lo Stato oppure organizzazioni che arrivano da fuori rendessero fragili le nostre
confraternite e il loro ruolo di regolatori
sociali, quegli stessi islamisti che occupano il Mali settentrionale svilupperebbero
le loro idee qui, e getterebbero il nostro
paese nel caos. In tutti i paesi nei quali il
fenomeno islamista prospera, ciò avviene
perché le popolazioni non hanno punti
di riferimento, non hanno guide religiose
originarie del posto che li orientino verso
un islam pacifico».
Serigne Mame Mor Mbacké, presidente dell’Università Ahmadou Bamba di
Touba (la città santa dei muridi) e responsabile internazionale delle comunità
muridi sparse nel mondo, è stato recentemente in Italia a ritirare il Premio Leonardo Melandri per il dialogo fra le religioni
abramitiche. L’intervista che ha concesso
a Tempi getta luce sullo spirito di questa
confraternita sufi.
Sceicco, il muridismo ha quasi 130 anni,
eppure sembra essersi adattato molto
bene alla modernità. I muridi restano
persone molto religiose anche quando
emigrano dalla campagna alla città o
addirittura all’estero, come succede
a tanti senegalesi. Qual è il segreto di
questa persistenza?
La risposta a questa domanda non
è semplice, ed è teologica. Quando il
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ESTERI IL JIHAD SI È FERMATO A TOUBA
venerato Ahmadou Bamba ha creato il
muridismo, esistevano già altre religioni. Il suo messaggio è stato che la religione deve essere impregnata di tolleranza,
non deve essere occasione di scontro. Si
tratta di un modo di vivere, di comportarsi, quindi può essere attuato da chiunque e ovunque, in tutti i tempi e in tutti
gli ambienti.
Anche sul continente africano il muridismo e le altre confraternite sufi hanno
resistito bene fino ad oggi all’ondata
islamista proveniente dal mondo arabo.
Cosa vi ha permesso di durare?
L’estremismo è una cosa che sfigura
la religione. Salafiti e Fratelli Musulmani
hanno esagerato. Tutto quello che fai perché ci credi, puoi mostrarlo a tutti senza
imposizioni e senza conflitti. Invece loro
non agiscono con misura, per questo le
loro azioni non sono ben viste.
In paesi africani diversi come la Somalia, la Libia e l’Egitto gruppi salafiti
hanno attaccato i mausolei sufi, distrutto tombe di santi, impedito concerti di
musica sufi. Si è trattato di musulmani
che hanno assalito i simboli religiosi di
altri musulmani. Cosa pensa di questo?
La religione ha una parola soltanto
di verità. Se vediamo alcuni che attaccano altri credenti che si dedicano sinceramente alla religione, questo significa che la cultura e le
idee personali si sono mescolate alla fede. Se la fede è pura,
non possono sorgere contese.
È soltanto perché intervengono interessi personali che si
creano dei problemi. Chi fa
queste cose dimostra di non
credere veramente alla religione che dice di professare,
perché non si può credere e
fare il contrario di quello che
la religione prescrive. Non è la
retta lettura dell’islam, è l’interpretazione che loro vogliono imporre.
Il mondo arabo è stato attraversato da
sviluppi molto importanti, prima con
quella che è stata definita la Primavera
araba e poi con l’ascesa al potere di partiti legati ai Fratelli Musulmani in Egitto
e in Tunisia. Si tratta di cambiamenti in
meglio o in peggio?
Sono cambiamenti che riguardano
strettamente la politica, non la religione. Quelli che lei ha citato sono movimenti nati per accedere al potere. E adesso che sono al potere non faranno niente
di diverso da quello che i loro predecessori facevano per la popolazione.
In tutto il mondo musulmano ci sono
state proteste contro il film blasfemo
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IL RICONOSCIMENTO
A Serigne Mbacké il Premio Melandri 2012
per i fautori del dialogo fra i culti abramitici
Un anno fa era toccato all’allora ministro degli Esteri Franco Frattini ricevere
il neonato premio Leonardo Melandri per il dialogo fra le religioni abramitiche
promosso dalla Fondazione Museo interreligioso di Bertinoro, località delle colline
forlivesi famosa per il buon vino e per le testimonianze architettoniche medievali;
quest’anno è stata la volta di Serigne Mame Mor Mbacké, responsabile internazionale della confraternita muride e presidente dell’Università Ahmadou Bamba di
Touba. L’alto esponente della più importante comunità musulmana del Senegal ha
ricevuto il premio dalle mani del presidente Roberto Melandri nella suggestiva cornice della Sala affrescata della Rocca vescovile, una delle più antiche residenze episcopali italiane, trasformata in Centro residenziale universitario dell’Università degli
Studi di Bologna e in Museo delle tre religioni monoteiste per iniziativa del vescovo
emerito di Imola monsignor Giuseppe Fabiani (nativo di Bertinoro) e del forlivese
senatore Leonardo Melandri (deceduto nel 2005). Il museo è una realtà unica in
Italia: riunisce oggetti sacri delle tre fedi abramitiche insieme a espressioni artistiche classiche e contemporanee che spaziano da Rembrandt a Francesco Messina a
Giacomo Manzù a Floriano Bodini. Oltre alla premiazione la giornata, che si è svolta
grazie al contributo della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e alla collaborazione della cooperativa Cim Onlus di Forlì, ha proposto una performance musicale
e recitativa condotta dal regista e direttore artistico del Teatro Elsinor di Milano
Franco Palmieri. Un concerto dal titolo Mettere a fuoco Dio ha visto alternarsi canto
corale cristiano e della tradizione sufi, il primo interpretato dal coro “Mulino Mistico”
diretto dal maestro Paolo Bacca e il secondo dal coro muride “Kurel”. L’esecuzione
dei brani è stata intervallata dalla lettura di brani poetici, scelti dal poeta e scrittore
Davide Rondoni e recitati dall’attrice e presentatrice Barbara Sirotti. [rc]
Il marabutto Mbacké in visita
al Museo interreligioso di
Bertinoro (Fc) nel giugno scorso
perché limita la libertà di coscienza. Lei
che ne pensa?
girato in America che irrideva Maometto, spesso violente. C’è troppa libertà di
espressione in Occidente? Che pensa di
questi avvenimenti?
Non è la prima volta che si registrano
violenze come quelle accadute poco tempo fa. Questo avviene perché troppi falsi credenti usano la religione per i loro
scopi. I veri credenti non ricorrerebbero
mai alla violenza. Prendiamo le distanze
dai manifestanti violenti ma anche dalle
provocazioni. Ciascuno deve rispettare la
religione dell’altro. Non siamo d’accordo
con chi fa film come quello, ma nemmeno con chi reagisce con la violenza.
L’Occidente è sotto accusa perché la
libertà di espressione sfocia nella blasfemia, mentre l’islam è sotto accusa
Chi aderisce a una religione coscientemente e poi ne esce, dimostra di non
essere una persona onesta. Nessuno può
essere forzato a credere a una religione o
a un’altra, ma bisogna rispettare la scelta compiuta. La condanna non dipende
dal fatto che uno lascia una religione, ma
dalla sua mancanza di onestà. Se una persona afferma di non credere in nulla, nessuno ha il diritto di punirlo, perché in lui
non c’è mai stata fede.
I muridi hanno creato un sistema di
scuole in Senegal e ora hanno iniziato
anche un’università. Che tipo di educazione viene offerta agli studenti?
Insegniamo la religione ma anche la
scienza e la tecnologia. Ci sono studenti
che vengono per ricevere una formazione religiosa, e altri che sono interessati
piuttosto alle materie scientifiche e tecniche. Accettiamo gli uni e gli altri. Il Comitato scientifico dell’università è composto
da persone dei cinque continenti perché
vogliamo avere un profilo internazionale.
Rodolfo Casadei
esteri nude alla meta
Mostra
la cosa
giusta
Le sedicenti nuove leve del femminismo
apparecchiano la rivoluzione in topless. Storia
di un esibizionismo travestito da avanguardia
che deve tutto a una solida certezza: ci sono
due (sodi) argomenti che si cliccano sempre
N
2009
la nona edizione del Grande Fratello si arricchiva di Cristina Del
Basso. Professione: barista. Segni particolari: sesta misura di reggiseno. Al
davanzale prosperoso della concorrente s’affacciò un intero paese, al punto
che Beppe Severgnini (ognuno ha i profeti culturali che si merita) rifletteva sulle colonne del maggior quotidiano italiano: «Certo: abbiamo perso stile — Cristina nella doccia del Grande Fratello al
posto di Silvana Mangano nelle risaie,
sotto lo sguardo competente di un cavallo — ma abbiamo guadagnato dimensioni. Il resto è uguale». La notizia prontamente diffusa dal Beppe nazionale era
che tornavano di moda, nientemeno, le
tette. Una parola vergognosa e impudente, ché oggi si preferisce girarci intorno
in punta di penna tra decolleté, seno e
generiche forme generose. Invece quelle
della signorina Del Basso (nata con una
quarta e presto decisa a equipaggiarsi
con due taglie in più) erano proprio tette nel vero senso della parola. Enormi,
esagerate, rotonde e sfacciate tette. Se
nelle sue tasche fosse andato un centesimo a ogni visione del video in cui si faceva la doccia strizzandosi il pezzo sopra
del costume dentro la casa di Cinecittà, la signorina oggi sarebbe milionaria.
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el rigido inverno del gennaio
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Metà paese con la bocca aperta, l’altra
metà inchiodata a una delusione cocente: anni a tirare su mariti e figli maschi e
poi basta un niente a ritrovarseli inebetiti davanti alla televisione.
«Topless è libertà, libertà dal controllo
patriarcale della società».
Anna Gutsol, leader storica di Femen,
il Venerdì di Repubblica
Si chiamano Femen e a loro, non
meno che a Cristina Del Basso, i siti di
mezzo mondo sono in debitori di valanghe di click. Vuoi
vedere come si combatte per
i diritti delle donne al giorno
d’oggi? Clicca qui. La fotogallery si compone di decine di
bellezze bionde e longilinee
(anche se loro assicurano di
aver reclutato anche un’obesa, una 64enne e di non disdegnare l’ingresso degli uomini), coroncina di fiori in testa,
capelli sciolti sulle spalle e
seno all’aria. Wikipedia gli
attribuisce l’obiettivo di «incrementare
le capacità intellettuali e morali delle giovani donne in Ucraina» e modificare l’immagine del loro paese all’estero da meta
di turismo sessuale a paese democratico.
In realtà negli anni hanno esposto le loro
grazie per i temi più disparati, dall’aumento del prezzo del gas alla rivolta contro Mubarak. Di recente hanno aperto un
quartier generale a Parigi dove terranno
un corso di rivolta in topless.
«All’inizio, le performance le facevamo vestite: non se ne accorgeva nessuno».
Inna Shevchenko, la Stampa
Nel marzo 2010 protestavano contro il premier Nikolai Azarov, colpevole di non aver nominato ministri donna.
Femen ha risposto con un invito a mogli
e fidanzate dei membri del governo a boicottarli sessualmente. Tanto per mettere in chiaro qual è la lista delle priori-
Foto: AP/LaPresse
«Quando uscivo con i primi orribili corteggiatori, mia madre mi pregava: non mettere gli occhiali, se no pensano che leggi e sei
istruita e non ti vogliono più».
Natalia Aspesi, il Venerdì di Repubblica
Le parole delle leader di femen
Il movimento ha aperto un centro a Parigi
Femen a parte, è vero, alla donna
ucraina in genere piace vestirsi sexy,
ma ciò non significa che sia disponibile
o di facili costumi.
I nostri “sex attacks” sono impegnativi.
Per noi, il topless è un’uniforme.
Inna fornisce alle militanti consigli come:
«Togliersi la maglietta nel minor tempo
possibile e girarsi subito a favore dei
fotografi»
Potremmo persino accettare di fare
la copertina di Playboy
Foto: AP/LaPresse
Attraverso la nudità controlliamo
i nostri corpi
tà e chi la compila. Non è raro che nelle famose fotogallery delle loro azioni i
poliziotti chiamati a ricoprirle e fermarle siano più imbarazzati che decisi. L’abilità delle ragazze (quella che insegneranno nel centro di addestramento a Parigi)
è proprio quella di sfruttare il momento di disorientamento del maschio prevaricatore e uomo d’ordine per arrivare
diritte al punto: farsi fotografare per il
bene delle causa. Nel tempo hanno scoperto che c’è bisogno di loro e delle loro
tette anche fuori dai confini patrii. «Oggi
ci sembra più urgente lasciare per un
po’ da parte il nostro paese e dedicarci al
vostro», confidavano nell’ottobre scorso
al Fatto Quotidiano durante la missione
italiana apparecchiata contro «il peggiore fra tutti, anche peggiore di Bill Clinton. Il vostro premier Silvio Berlusconi».
Viaggiando dall’Italia alla Francia (non
credevano che lì ci fosse bisogno di loro,
poi il caso Dominque Strauss-Kahn gli ha
aperto gli occhi), le ragazze hanno sco-
perto un’indole rottamatrice degna della miglior tendenza politica contemporanea. Combattere il maschio mostrandogli
nudità di cui non può disporre a suo piacimento, va bene. Ma perché non approfittarne per sistemare i resti di un femminismo vetusto? «Il vecchio femminismo,
fatto di conferenze e cortei, non funziona più. Noi siamo il futuro», ha detto una
delle leader del movimento in un corposo (e ovviamente illustrato) articolo su
Repubblica pochi giorni fa.
«Se “io sono mia”, non ho solo la libertà
di abortire, ma anche quella di sfilarmi la
maglietta e farmi fotografare a petto nudo
per le strade».
Michela Marzano, la Repubblica
«Vedere delle donne che usano allegramente, anche se rischiosamente, il proprio corpo
per sbeffeggiare il potere ha un che di liberatorio, specie dall’osservatorio italiano»
Chiara Saraceno, la Repubblica
Al netto di qualche circostanziata
perplessità, la nuova frontiera della lotta sembra non dispiacere alle donne pensanti. Perché è vero che «né le Femen né
le Pussy Riot sono artiste sofisticate come
quelle dell’avanguardia femminista»
(Chiara Saraceno), ma pare ci sia qualcosa di attraente e inspiegabilmente nuovo nello «svestirsi non per essere guardate ma per farsi ascoltare» (ancora Anais
Ginori, ancora su Repubblica). Un paio
d’anni fa, quando Bruno Vespa si complimentò per il bel decolleté della scrittrice Silvia Avallone durante la consegna
del premio Campiello, Michela Murgia si
indignò in platea di fianco a Gad Lerner:
«Quando c’è di mezzo una donna, si va
sempre a parare sul corpo. Non importa
la sua intelligenza, non importa se viene
festeggiata, premiata, perché ha scritto
un libro importante. Tutto si svilisce, si
riduce alla carne».
La femminista di provincia chiama
a raccolta i neuroni nel tentativo di raccapezzarsi in questa giungla. Dunque la
carne va esposta solo per la causa giusta. Ma chi stabilisce quanto sia degno il
motivo per cui si medita di esporre le proprie grazie? Perché poi basta un attimo a
essere equiparate a consigliera regionale
qualsiasi che sfila in costume da bagno.
Forse la discriminante sono le dimensioni e l’ampiezza del decolleté: deve essere
inversamente proporzionale alla nobiltà
della causa. Forse. O forse si tratta soltanto di avere due solidi argomenti. I soliti
due argomenti cliccabilissimi.
Laura Borselli
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NEL DETTAGLIO
SE ORA ANCHE I GIORNALI LIBERAL ACCUSANO LA CANNABIS
Mi mancheranno certe diaboliche
panzane sulle droghe “leggere”
M
io caro Malacoda, tieni d’occhio i nuovi perbenisti di sinistra, rischiano di diventarci proibizionisti anche sulle droghe leggere dopo anni di campagne sulle
canne che «sono come il fumo e l’alcool, vanno depenalizzate». Testate insospettabili come Le Monde e The Guardian danno voce ai risultati di ricerche scientifiche che in altri tempi non avrebbero mai raggiunto l’onore della messa in pagina. Il
Guardian già aveva sorpreso i suoi estimatori italiani anni fa, quando dedicò un servizio ai danni dell’hashish. Lo tacitammo con l’argomento dei reduci del ’68: «Quello
di adesso, che è più concentrato di quello dei nostri anni…». (Alla sindrome “non ci sono più le cose buone di una volta” non si scappa). Ma adesso lo studio dell’americana
National Academy of Sciences riguarda i figli ormai (splendidi?) quarantenni dei rivoluzionari d’antan. I ricercatori hanno seguito per due decenni 1.037 persone nate tra
il 1972 e il 1973 per verificare gli esiti sulle performance cognitive a medio e lungo
termine della cannabis. Disturbi della memoria, dell’attenzione, della concentrazione, mancanza di motivazione erano già noti; lo studio ha voluto verificare la vulnerabilità del cervello di un adolescente. Sono
Non solo oggi i nostri compagni di strada ci
emersi due dati. Il primo: una diminuziodicono che gli spinelli fanno male al cervello, ne del quoziente intellettivo fino a 8 punti
per i fumatori abituali («almeno 4 volte alma anche che fumare spesso marijuana fa
la settimana»). Il secondo: «L’arresto o la dimale al sesso: raddoppia le probabilità
minuzione del consumo della droga non
ha potuto restaurare completamente le cadi sviluppare un tumore del testicolo
pacità intellettive», il danno è risultato irreversibile. Ma non basta, altri studi dicono che il rischio di sviluppare una depressione è cinque volte più elevato in caso di abuso di cannabis nell’adolescente, quello del
manifestarsi di una sindrome ansiosa è doppio, e anche gravi patologie psichiche come la schizofrenia sembrano comparire più frequentemente in chi utilizza questa
droga (vedi che mi rovino anch’io, in altri tempi avrei detto “sostanza”).
Già questo basta per rovinare decenni di cultura e di coltura antiproibizionista di
intere generazioni sulla sostenibile leggerezza della marijuana, convegni ed esperti
per spiegare che il suo rifiuto era dovuto solo a un pregiudizio morale e antiscientifico… Ma non solo oggi i nostri compagni di strada ci dicono che fa male al cervello
(che, si può sempre obiettare, il cervello ce lo si rovina in tanti modi), ci dicono anche
che fumare spesso e volentieri marijuana fa male al sesso. Non all’atto (anche a quello, poi), all’organo. Il consumatore abituale di canne, infatti, raddoppia le probabilità
di sviluppare un tumore del testicolo. Questo, ridotto all’osso, il risultato di uno studio della University of Southern California di Los Angeles su un tumore la cui diffusione è in costante crescita e per cui a oggi non è noto nessun fattore di rischio se non il
criptorchidismo, vale a dire la mancata discesa nello scroto di uno dei testicoli, e una
rara malattia genetica: la sindrome di Klinefelter.
Ma, fortunatamente, non solo noi ci dimentichiamo di fare i coperchi. Sempre secondo questo studio pare che, mentre la marijuana raddoppia il rischio del succitato
tumore, consumare cocaina lo dimezzi. Hai capito Maradona… la sua era solo prevenzione. Certo è che poi si torna in ballo con i danni al cervello.
Caro nipote non ne usciamo, troppa scienza ci fa male.
Tuo affezionatissimo zio Berlicche
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LE NUOVE
LETTERE DI
BERLICCHE
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39
ROSSOPORPORA
La vera
questione
morale
Quando l’istruzione del popolo e il pensiero sociale
sono appesi al nulla, lo Stato non è laico. Se mai
sarà ideologico. Dalla Francia delle nozze gay
all’Italia delle coppie di fatto, i cardinali contro
le “avanguardie” dei diritti che producono danni
di Giuseppe Rusconi
R
Nicolas Sarkozy e la sua
“laicità positiva”? Ora, dopo che
l’ex presidente è riuscito nell’impresa di passare il testimone a François
Hollande, la laicité suona un po’ diversamente. Ne abbiamo parlato con il cardinale Jean-Pierre Ricard (a Roma per
la visita ad limina del primo gruppo di
vescovi transalpini), cogliendo l’occasione della sua ampia e dettagliata relazione in materia giovedì 27 settembre presso
il Centre Saint-Louis de France, davanti a
un folto pubblico cui ha dato il benvenuto l’ambasciatore di Francia presso la Santa Sede, Bruno Joubert. Eminenza, come
si qualifica la nuova laicité dell’era Hollande? «In genere evito di connotare con
un aggettivo di valore la laicità», risponde
il sessantottenne arcivescovo di Bordeaux.
«Per me la vera laicità è fondamentalmente rispettosa delle religioni, permettendo
loro di esprimersi nello spazio pubblico
e assicurando dunque il libero esercizio
dei culti». Nella sua relazione, tra le correnti laiche in voga, ha citato come molto pericolosa quella che, pur non essendo
di per sé ostile alla Chiesa, vuole applicare una secolarizzazione avanzata… «Quello che mi preoccupa molto è l’ignoranza
profonda, presso un certo numero di gio-
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icordate
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vani e anche di adulti, della storia della
Francia e della cultura francese marcata
dal cattolicesimo. Ciò non permette a chi
non sa di intavolare un colloquio serio ad
esempio con i cattolici, che non conosce
e perciò non comprende. Vede, mi dice
un grande libraio di Bordeaux che spesso
arrivano da lui studenti di storia dell’arte
a livello universitario che gli chiedono se
Foto: AP/LaPresse
Per il cardinale Jean-Pierre Ricard
l’introduzione del matrimonio gay
annunciata dal presidente Hollande
«avrà pesantissime ripercussioni
sociali» in Francia. Anche il cardinale
Angelo Bagnasco critica le “aperture”
che servono solo a liquidare la famiglia
non ci sia un testo che possa far loro capire certe locuzioni dei loro professori: “Ci
parlano di quadri sull’Annunciazione,
sulla Natività, sul ritrovamento di Gesù
nel Tempio. Ma che significa? Ci può aiutare?”. È per questo che abbiamo la grande responsabilità di non disertare lo spazio pubblico, le relazioni con politici e
amministratori e nel contempo di infor-
mare costantemente sia l’opinione pubblica che i nostri interlocutori sulla vita
quotidiana concreta di parrocchie e diocesi. Pensi che ho trovato alti responsabili politici che la ignoravano bellamente».
Eminenza, in tale situazione, come valuta l’intenzione del ministro dell’Educazione nazionale Vincent Peillon di introdurre dall’anno scolastico 2013-2014
un’ora di “morale laica” («Non ho detto
istruzione civica, ma proprio morale laica», ha precisato il ministro in un’intervista al Journal du Dimanche)? «Per un verso si può osservare che ci ritroviamo in
una fase sociale in cui si impara sempre
meno che cosa significhi vivere in una
collettività: si insegna poco in famiglia,
ancora meno a scuola. Le conseguenze
di tale vuoto traspaiono ad esempio nelle
difficoltà di comportamento di non pochi
giovani tra loro e nei rapporti con l’ambiente in cui vivono. Perciò, che si possa imparare una morale che aiuti i giovani a comportarsi nella società, è di per sé
qualcosa di positivo. Tuttavia…». Tuttavia?
«Tuttavia molto presto irrompono nella
questione tante domande fondamentali:
da dove trae origine, da quale concezione
dell’uomo dipende la morale che si vuole insegnare? Come si nutre? Quali sono i
suoi contenuti? Che cosa la giustifica? In
base a quale criterio qualcosa è defini|
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LA VERA QUESTIONE MORALE ROSSOPORPORA
Foto: AP/LaPresse
A lato, il patriarca maronita Béchara Raï
incontra Benedetto XVI durante il suo viaggio
apostolico in Libano (14-16 settembre 2012).
Sotto, un manifesto di benvenuto davanti alla
moschea di Mohammed al Amin, Beirut
to “bene” e qualcosa d’altro “male”? Per
me ogni morale rinvia in qualche modo
a una trascendenza». Un altro tema caldo
è l’idea lanciata da alcuni politici francesi di un referendum contro l’introduzione dei cosiddetti “matrimoni gay”, che
il governo vuole discutere in Parlamento già quest’autunno… «Il lancio di un
referendum concerne la sfera dei politici, non della Chiesa. La Chiesa non può,
non ha mai messo la verità ai voti. Che
cosa si farebbe se il risultato del referendum fosse favorevole ai cosiddetti “matrimoni gay”? Allora… che i politici chiedano il referendum, è nel loro pieno diritto, ma la Chiesa deve situarsi su un altro
piano: quello dei princìpi, quello della
richiesta di un vero, ampio, approfondito
dibattito nazionale». Ma il governo non
ci sta. «Lo so che tale richiesta rischia di
non essere onorata. Eppure sulla bioetica un dibattito con tali caratteristiche c’è
stato: anche in questo caso se ne domanda uno, a piena ragione, su una questione, come quella del cosiddetto “matrimonio omosessuale”, che ha tanti risvolti culturali, giuridici: c’è anche la questione dell’adozione… Insomma è qualcosa che coinvolge profondamente un’intera società!». Eminenza, l’introduzione del
cosiddetto “matrimonio gay” rappresenterebbe secondo lei uno choc di civiltà,
come ha detto il cardinale Barbarin, con
cui si è detto d’accordo anche il neo-presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia arcivescovo Vincenzo Paglia? «Preferi-
qui una contrapposizione tra concezioni
laica e cattolica della famiglia, «si tratta
invece della dialettica tra diverse visioni
“laiche” dei diritti». E «in realtà ci si vuol
assicurare gli stessi diritti della famiglia
fondata sul matrimonio, senza l’aggravio dei suoi doveri». Altro aspetto rilevante: «Si dice che certe discipline giuridiche
non impongono niente a nessuno, ma
solo permettono di avvalersi di una norma da parte di chi lo desidera». Invece è la situazioI musulmani hanno accolto davvero il Papa
ne complessiva a non essere
in Libano, racconta il patriarca Raï: «Hanno
più la stessa, perché si viedecorato le vie delle loro zone con striscioni
ne a «modificare il significae poster, anche là dove non sarebbe passato» to proprio dell’istituzione
matrimoniale, il pensare
rei metterla così: siamo davanti a un forte sociale ne viene pesantemente segnato e,
cambiamento strutturale, che avrà pesan- di conseguenza, l’educazione dei propri
tissime ripercussioni sociali».
figli». Perciò «il riconoscimento di deterDopo la relazione di Ricard, alla qua- minate situazioni o pratiche, (…) pur se
le hanno assistito anche i cardinali Jean- non obbliga alcuno, è fortemente condiLouis Tauran, Giovanbattista Re e Paul zionante per tutti». È evidente che, «quanPoupard, quest’ultimo è intervenuto per do si vuole ridefinire la famiglia esclusiconcordare con il confratello, evidenzian- vamente come una rete d’amore, disancodo il dilagare dell’ignoranza religiosa e rata dal dato oggettivo della natura umaribadendo la necessità assoluta della rie- na – un uomo e una donna – e dalla univangelizzazione dell’Occidente.
versale esperienza di essa, la società deve
chiedersi seriamente a che cosa porterebbe tale riduzione (…) anche sul versante
L’AMORE NON BASTA. A proposito di
famiglia non possiamo non ritornare su affettivo ed educativo». Il rischio, che «già
alcuni passi della prolusione del 25 set- si profila in altri paesi», è quello del «coltembre del cardinale Angelo Bagnasco al lasso». Si chiede infine il cardinal BagnaConsiglio permanente della Cei: «La gen- sco: «Perché non si vuole vedere? Non si
te non perdonerà la poca considerazione vuole riconoscere le conseguenze nefaste
verso la famiglia così come la conoscia- di queste apparenti “avanguardie”?». Permo», ha detto il presidente dei vescovi ita- ché si vuole mortificare la famiglia, che,
liani. Aggiungendo che, in tempi come i «ancor più nell’attuale congiuntura, si
nostri di «crisi seria e profonda», dilaga- rivela come fondamento affidabile della
no invece i discorsi sulle «unioni civili, coesione sociale, (…) non certo “grumo”
sostanzialmente un’imposizione simboli- di relazioni come taluno vorrebbe definirca». È netta qui «l’impressione che non si la per liquidarla?».
Nella prolusione il cardinale Bagnatratti di dare risposta a problemi reali (…),
ma che si voglia affermare ad ogni costo sco ha evidenziato anche il momento
un principio ideologico, creando nuovi drammatico per l’Italia, i cui cittadini
istituti giuridici che vanno automatica- sono chiamati a stringere in misura inaumente a indebolire la famiglia». Non c’è dita la cinghia, mentre «continuamen|
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ROSSOPORPORA LA VERA QUESTIONE MORALE
osservato tra l’altro il cardinale Leonardo Sandri. Per il confratello Jean-Louis
Tauran «Benedetto XVI ha rinverdito il
ricordo dei tempi in cui cristiani e musulmani vivevano insieme in molti luoghi»,
perché «crede nella possibilità di tornare a quella convivenza». Del resto «lo stesso muftì sunnita, proprio a conclusione
dell’incontro, ha chiesto esplicitamente
al Pontefice di lanciare un appello a tutti i cristiani affinché non lascino il Libano». Il porporato francese, che ben conosce il paese dei cedri per esservi stato da
professore e da diplomatico, si è detto poi
impressionato dalla gioventù incontrata:
«Mostra un grande entusiasmo e soprattutto la volontà di restare. I giovani hanno chiesto aiuto a tutti, anche al Papa.
Li ho sentiti ripetere: “Noi siamo nati
qui, questa è la nostra terra, qui ci sono
le nostre case, vogliamo restare”». Il cardinale svizzero Kurt Koch ha invece evidenziato il «buon esempio» di convivenza interreligiosa in Libano, «che potrebbe
certamente essere seguito da tutti i paesi,
non solo del Medio Oriente». E ha aggiunto: «Il patriarca Raï mi ha detto che si sta
pensando di organizzare incontri con
tutti gli ortodossi per rileggere insieme e
per approfondire l’esortazione apostolica
post-sinodale Ecclesia in Medio Oriente».
Per il cardinale Tarcisio Bertone,
segretario di Stato vaticano,
«la presenza dei cristiani in Siria è
fondamentale per l’unità del paese»
te si scopre che ovunque si annidano
cespiti di spesa assurdi e incontrollati»,
trionfando «immoralità e malaffare sia al
centro come in periferia».
IL PAPA IN LIBANO. In un momento
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PRIMAVERA, PAURA E SPERANZA. Di
Santo Padre non sarebbe passato. Questo
l’hanno fatto sia a Beirut che in altre parti del paese». Ha già avuto qualche seguito interreligioso la visita del Papa? «Sì,
lunedì 24 settembre si è tenuto a Bkerké, a porte chiuse, un vertice islamo-cristiano. Tutti hanno valutato la visita del
Papa come “storica” e giunta “al momento opportuno”. Posso anche dire che,
aprendo la riunione, ho definito il film su
Maometto offensivo non solo per i musulmani, ma per tutti i cristiani, e ho chiesto che l’Onu intervenga con disposizioni che impediscano la denigrazione delle
religioni. Richieste che sono state accolte da tutti e sono contenute nel comunicato finale».
Sulla visita si sono soffermati in una
serie di interviste concesse all’Osservatore Romano tre cardinali curiali che,
insieme con il segretario di Stato, hanno accompagnato il Santo Padre. «Il Papa
in Medio Oriente ha incontrato una Chiesa non da museo, ma viva e creativa. Sarà
stata per lui una grande sorpresa vedere questa vitalità della Chiesa orientale
cattolica. Una realtà che conosceva, ma
che ora ha potuto toccare con mano», ha
Siria e “primavera araba” si è tra l’altro
occupato, in un’intervista pubblicata il
23 settembre a La Vanguardia, il maggior
quotidiano di Barcellona, il cardinale Tarcisio Bertone. Per il segretario di Stato
vaticano nella Siria del futuro «la presenza dei cristiani come artefici di riconciliazione resterà sempre fondamentale. Ora è
importante salvaguardare l’unità del paese». Sulla “primavera araba” il giudizio
del porporato è sfumato: «All’entusiasmo
iniziale di molti è seguita una valutazione più prudente. In realtà ogni paese ha
la sua “primavera”, ma è vero che la condizione dei cristiani in alcuni Stati non è
migliorata e in essi traspare la paura per
il futuro». Tuttavia, per un altro verso, i
cambiamenti nel mondo arabo possono
essere considerati «più come un’opportunità o una sfida che come un rischio per i
cristiani», considerato il desiderio di maggiore giustizia e libertà alla base di molte
rivolte popolari. Nel saluto al Santo Padre
all’inizio della grande Messa di domenica
15 settembre a Beirut, anche il patriarca
Raï a tale proposito aveva ricordato che il
Medio Oriente sta vivendo «trasformazioni radicali che minacciano la sua sicurezza e la sua stabilità, ma certo sono anche
portatrici di speranza». n
Foto: AP/LaPresse
di grande agitazione del mondo islamico per un film molto offensivo e alcune
nuove irresponsabili vignette su Maometto, ha costituito un avvenimento di rilievo in controtendenza il viaggio apostolico
di Benedetto XVI in Libano, pur se ridotto sorprendentemente a un trafiletto giornaliero sui maggiori quotidiani nazionali
italiani, con l’eccezione di Avvenire (certo
il Papa attira meno lettori della deliziosa
e molto sventata Kate Middleton). Ne parliamo con il “padrone di casa” libanese,
il patriarca maronita Béchara Raï, che
per prima cosa ricorda i momenti particolarmente “impressionanti” della visita: «L’incontro con i giovani, l’accoglienza del Santo Padre nel Palazzo presidenziale (con il presidente, generale Michel
Suleiman, che ha fatto tanto per il successo dell’avvenimento), la Messa conclusiva a Beirut, con l’inatteso gran numero di persone di tutte le comunità e confessioni che hanno riempito il piazzale e
le vie della città, senza contare i numerosi gruppi che attendevano lungo la strada». E i musulmani hanno partecipato
veramente, al di là del caloroso benvenuto ufficiale? «Sì, non solo a livello di
capi. Hanno ad esempio decorato le vie e
le strade delle loro zone con gigantografie di Benedetto XVI e grandi striscioni e
manifesti di accoglienza, anche là dove il
CULTURA
IL COMPITO CHE CI ATTENDE
Una fede tutta da rac c
Altro che princìpi, leggi e dogmi. Da sempre
il cristianesimo ci conquista attraverso le storie
dei santi e delle persone che hanno incontrato
Gesù. Come quelle sceneggiate dal mio amico
Bernabei. O le lettere di Simone a Tempi
L
a vita cristiana risponde alle esigenze
della natura umana. Solo Gesù è in
grado di riempire il nostro cuore e
dare le risposte più profonde di cui andiamo alla ricerca. Questo è il grande tema
sul quale i cristiani oggi sono chiamati a
dar ragione della loro speranza. L’impresa
non è facile perché la cultura dominante
predica esattamente il contrario: liberiamoci dalla morale cristiana, si può vivere
bene, anzi meglio, senza Dio. È una battaglia impari che ricorda quella combattuta dai primi cristiani contro la tradizione dell’Impero Romano che pretendeva il
culto idolatrico.
Oggi la situazione è più complessa
perché il messaggio cristiano viene dato
per conosciuto e superato: non è totalmente contrastato ma relegato come marginale e, in fin dei conti, inutile. Conviene quindi una riflessione, soprattutto per
quanto riguarda i laici credenti a cui tocca, ancor più che ai pastori, farsi carico
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della rivoluzione spirituale e culturale di
cui c’è bisogno.
In passato la Chiesa è stata comunicatrice a tutto campo. La storia di Gesù,
coronamento della storia della salvezza, è una storia affascinante, capace giustamente di coinvolgere giovani e vecchi, dotti e ignoranti. La sua storia ha fatto prepotentemente ingresso nella Storia
e i quattro Vangeli sono la testimonianza dell’intensa tradizione circa la vita di
Gesù. I Vangeli stessi sono un capolavoro
di comunicazione: comprensibili da tutti, narrano la storia di Gesù attraverso i
fatti della sua vita e le sue parabole, intessute di vita vissuta: la dracma perduta, il
tesoro nel campo, il fico sterile, la pecora
perduta, la donna malata, l’indemoniato
guarito, la peccatrice perdonata, la perla
preziosa… Una comunicazione perfetta.
Tutti sappiamo come, nei secoli, la
Chiesa sia stata promotrice di arte e cultura: proponeva uno stile di vita a tutto
tondo. Dal canto gregoriano nelle navate al riferimento costante dei campanili, svettanti nelle campagne e dominanti nelle città. La pittura era il catechismo
degli illetterati (e anche dei letterati),
l’agricoltura, le scienze e il vivere sociale avevano ripreso l’avvio dai conventi, le
università erano nate a opera dei frati. Il
motto dell’Università di Oxford è tuttora
Dominus illuminatio mea…
Poi c’è stata la ribellione della modernità. Una ribellione con effetti anche
salutari, la Chiesa non è più l’arbitro
politico fra i popoli ma è stata ricondotta
alla sua funzione unicamente spirituale:
il mio regno non è di questo mondo, aveva chiarito
Oggi il messaggio cristiano viene dato
Gesù. Ma da questa ribellioper conosciuto, superato, inutile. Tocca ai
ne la Chiesa non si è ancora
laici credenti farsi carico della rivoluzione
ripresa. La sua voce potrebbe squillare ben a ragione
spirituale e culturale di cui c’è bisogno
Foto: Marka
di Pippo Corigliano
c contare
Foto: Marka
Sopra, Nicola Pisano, dettaglio
del pulpito del duomo di Siena
(1265-1268) in marmo di Carrara
come unica rivelatrice di bene e di felicità e invece la cultura dominante, forte delle sue radici illuministe, positiviste
e puritane, tende ad azzittirla. E questo è
il compito che ci attende: dare voce alla
nostra fede. Ora è l’anno della fede ed è il
momento buono per viverla meglio, e per
comunicarla.
La Chiesa non è una società come le
altre: la soluzione del suo problema di
comunicazione sta nella vita santa dei
suoi membri, nell’accoglienza da parte
loro del dono dello Spirito Santo. Chiarito questo punto occorre comprendere a fondo che non ci si può limitare
ad annunciare una dottrina basata su
concetti astratti, princìpi, leggi, numeri. Questo può andar bene per comunicare con intellettuali, ma per arrivare a tutti non basta dire cose vere, occorre raccontare delle storie. L’emozione che una
storia provoca fa sorgere interesse per la
verità. Le ragioni, che noi cristiani abbiamo, devono risaltare attraverso le emozioni. I grandi scrittori russi dell’Ottocento hanno fatto questo. Un romanzo come
Il Signore degli anelli trasmette valori
attraverso il racconto fantasy. Il romanzo di Alessandro D’Avenia Bianca come il
latte, rossa come il sangue è in vetta alla
santi (il santo è più amabile di altri personaggi: attraverso la sua storia la gente percepisce che la vita cristiana è conveniente
ai desideri del cuore, è desiderabile) ma
ha offerto al pubblico storie belle come
Guerra e Pace, Pinocchio, Cenerentola e
tante altre, mentre il Don Matteo ha superato il Grande Fratello. Le storie televisive plasmano il gusto e la vita della gente,
dobbiamo rendercene conto e impegnarci. Se qualcuno offre al pubblico la storia
scandalosa di un prete pedofilo, la risposta non può essere solo che i preti pedofili
sono meno dell’1 per mille dei sacerdoti.
Occorre raccontare una storia di un prete
fedele e amabile: una storia vera e quindi
convincente. Non si può solo rispondere
con princìpi o concetti astratti.
La rivista su cui sto scrivendo, Tempi,
svolge, al suo livello, un servizio del geneCome Davide contro Golia
re. Basta, a titolo d’esempio, vedere come
In Italia la società di produzione Lux Vide, la storia commovente di Antonio Simofondata da Ettore Bernabei, ha prodotto ne stia creando un movimento di opinioper la tivù 100 ore di film sulla Bibbia e ne pubblica per il miglior funzionamento
ha venduto con ottimi successi i suoi pro- del sistema giudiziario italiano.
In sintesi, occorre fede, cuore, condotti in tutto il mondo (unica produttrice
italiana a raggiungere questo risultato). vinzione per trasmettere a tutti i livelNon si è limitata alla Bibbia e alle vite dei li emozioni che abbiano come fondamento la verità. Si tratta di
un compito immane, siaSe qualcuno offre al pubblico la storia
mo dei Davide di fronte a
scandalosa di un prete pedofilo, si risponde
Golia, ma, come per Daviraccontando una storia di un prete fedele e
de, la grazia del Signore è
amabile: una storia vera e quindi convincente la nostra forza.
classifica da quasi tre anni, è stato tradotto in 16 lingue e riceve, attraverso internet, attestati di ritorno alla fede da parte
di tanti lettori.
I grandi sistemi di potere della nostra
epoca hanno trasmesso il loro stile di
vita non solo attraverso la letteratura
ma attraverso il cinema e la televisione.
Da bambino i film western, d’amore e di
guerra americani sono stati il mio modello culturale, a cui vanno aggiunti i dischi
e la musica, dal jazz in poi. I miei genitori, a modo loro, si riferivano al modello inglese che è continuato attraverso i
film, i prodotti della Bbc, i Beatles e compagnia. La Cina oggi sta reinventando la
sua storia e la sua mitologia sempre attraverso i film. L’India ha Bollywood, il Brasile la musica e il calcio spettacolo.
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CULTURA DENTRO LO SPARTITO
La sacra
musica di
Benedetto
Nelle note dei maestri prediletti dal Pontefice
«risuona la Grazia della creazione, come era
all’origine e come sarà alla fine dei tempi».
Una bellezza antica eppure più moderna delle
canzonette pop che impoveriscono la liturgia
lando alla platea presente a Milano
al parco di Bresso: «Mio fratello è un
grande musicista, ha fatto delle composizioni già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava. Il papà suonava la
cetra e cantava; sono momenti indimenticabili». Ecco la chiave per comprendere
quella che non è semplicemente una passione ma un’autentica conoscenza: per
parlare dell’intimo rapporto tra Benedetto XVI e la musica non si può prescindere
dalla famiglia Ratzinger.
Il papà, Joseph, uomo rigoroso e dai
forti valori morali, era appassionato di
musica sacra e aveva cantato nel coro
parrocchiale della sua città; aveva imparato a suonare la cetra da solo. La mamma, Maria Peintner, nutriva una particolare passione per il canto. Molti erano i
momenti nei quali la famiglia si riuniva
attorno alla musica. Nel periodo natalizio
essa accompagnava la meditazione religiosa e l’attesa per la nascita del Redentore. Si leggeva il Vangelo di Luca, quello della Natività, e a seguire il papà intonava melodie natalizie: Astro del ciel, Oh
du fröhliche. Durante il Natale del 1935
Georg (primogenito), che ormai frequentava il liceo, scrisse un inno per pianoforte (suonato da Joseph), violino (suonato
da Georg stesso) e armonium (suonato da
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Maria, la sorella). Una composizione che
suscitò la commozione dei genitori.
L’armonium è stato il primo strumento che il padre aveva acquistato per
i propri figli, il punto iniziale degli studi musicali dei “piccoli” Ratzinger. Joseph era portato per la musica, mostrando
un interesse molto vivo che gli ha permesso di imparare in fretta a leggere gli spartiti. Il rapporto molto stretto tra Joseph e
Georg Ratzinger (che è stato anche direttore del Coro della cattedrale di Ratisbona) ha contribuito a consolidare la passione per la musica del futuro Papa.
Ma qual è veramente “la musica del
Papa”? Innanzitutto quella di Mozart:
«Quando cominciava il Kyrie era come se
si aprisse il cielo». Quello che suscita in Ratzinger è una letizia che nasce
dalla chiara percezione di
quanto quella musica riesca a penetrare in profondità ogni aspetto del reale. Anche in questo caso,
l’educazione avuta in famiglia ha lasciato il segno:
nel 1941 (Joseph era appena quattordicenne), ricorrendo i 150 anni dalla morte del genio di Salisburgo,
ogni domenica, all’ora di
Sopra, Benedetto XVI festeggia
il compleanno di Georg con un
concerto nella Cappella Sistina.
L’orchestra suona la Messa in
do minore di Mozart.
La famiglia Ratzinger nel 1951.
In piedi, Joseph (a destra);
Georg e la sorella Maria.
Seduti, i genitori, Maria
Peintner e Joseph.
Foto: AP/LaPresse
L
ui stesso l’ha detto pochi mesi fa par-
Foto: AP/LaPresse
pranzo, iniziava una trasmissione radiofonica interamente dedicata a Mozart che
a casa Ratzinger si era soliti ascoltare. È lo
stesso Ratzinger a testimoniarci l’influenza mozartiana nella sua vita: «La nostra
famiglia è sempre rimasta nella zona tra
l’Inn e il Salzach. La gran parte della mia
giovinezza l’ho trascorsa a Traunstein,
città molto vicina a Salisburgo. Mozart è
penetrato a fondo nelle nostre anime, e
la sua musica mi tocca ancora profondamente, perché è luminosa e al tempo stesso profonda. La sua musica non è affatto solo di intrattenimento, contiene tutto
il dramma dell’esistenza umana». L’amore per Mozart ha accomunato Ratzinger a due amici e illustri colleghi: HenriMarie de Lubac e Hans Urs von Balthasar.
Con quest’ultimo, in particolare, Benedetto XVI concorda sul fatto che nella musica mozartiana «risuoni la Grazia della creazione, così come doveva essere all’origine e come dovrà essere alla fine dei tempi;
risuona la semplice trasparenza di qualcosa che non deve essere cercato né edificato, ma è semplicemente donato».
Se la musica di Mozart è “dono”,
quella di Bach (il più grande maestro di
musica di tutti i tempi, secondo Ratzinger) «esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio». Lo ricorda lo stesso Pontefice raccontando di un recital
diretto da Leonard Bernstein: «Al termine
dell’ultimo brano sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che
ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e
mi spingeva a ringraziare Dio».
Ultimo, ma non meno amato, è sicuramente Beethoven del quale Ratzinger predilige le Sinfonie, in particolare la Nona.
Quello che più lo provoca è la drammaticità della vita che risuona nella sua musica. Chi lo ascolta, non può non cogliere un commovente invito ad addentrarsi
nell’esistenza per scoprirne il senso più
profondo. L’orecchio attento e competente del Papa non manca, però, di cogliere un limite: «In Beethoven odo e sento la lotta del genio per dare il massimo,
ed effettivamente la sua musica possiede
una grandezza che mi colpisce nel profondo. Ma per questa lotta la sua musica appare talvolta un po’ sovraffaticata».
La “battaglia” di Ratzinger
L’amore per la musica e l’attenzione alla
liturgia sono alla base di una delle “battaglie” che Benedetto XVI ha portato avanti, prima da cardinale e ora da Papa: quella sulla riforma della musica liturgica. Sul
tema, molto controverso, il Pontefice ha
un’idea molto chiara: la musica pop sta
influenzando negativamente quella liturgica. Ratzinger paragona la situazione
attuale a quella venutasi a creare durante
il pontificato di Pio X che, di
fronte a una deriva operistiInsieme a von Balthasar concorda che
ca e “teatrale” della liturgia,
nella musica di Mozart «risuona la semplice
fondò nel 1911 la Scuola
trasparenza di qualcosa che non deve essere Superiore di Musica Sacra,
elevata venti anni dopo a
edificato perché è semplicemente donato»
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Pontificio Istituto da Pio XI. Non è una
perso occasione per rinlotta ideologica a favore del canto latino
graziarsi reciprocamente
ma, come afferma a Tempi il giornalista e
per la grande considerazione riservata al repertoscrittore Francesco Agnoli: «È ormai sotto
rio sacro. Lo dice a chiare
gli occhi di tutti, a maggior ragione quellettere Muti nell’introduli del Papa, come il gregoriano sia sparito
zione al libro di Benedetdalle nostre chiese, d’improvviso, togliento XVI Lodate Dio con arte,
doci così duemila anni di tradizione. Basti
guardare semplicemente ai canti eucarisottolineando come il Ponstici: in italiano non c’è pressoché nulla
tefice, pur gravato da mille
che valga la pena mentre in latino abbiaimpegni, «alimenti il suo
mo il Pange lingua, l’Adoro te devote, il
spirito» sedendo al pianoforte e suonando i suoi
Panis angelicus in cui è espressa chiaraautori preferiti e ringrazia
mente l’ineffabilità, il mistero e la granil Papa per la denuncia del
dezza dell’Eucaristia. Benedetto XVI è crebasso livello musicale presciuto ascoltando e cantando questi canti,
sente nelle chiese. Beneche la Sacrosanctum Concilium (una deldetto XVI segue con attenle quattro costituzioni conciliari emanate
zione e gratitudine il lavodal Concilio Vaticano II) indicava di manro di Muti, particolarmentenere; per questo vuole che la musica grete attivo nell’educazione e
goriana torni nelle nostre chiese. Inoltre si
valorizzazione di giovani
noti che l’attuale Pontefice guarda al monmusicisti e nell’esecuzione
do ortodosso, orientale, il quale ha condi capolavori del repertoservato la sua musica tradizionale che ha
Il maestro Riccardo Muti ha ringraziato il Papa per la
rio sacro poco conosciuti.
denuncia del basso livello musicale presente nelle chiese
permesso di conservare il senso del sacro
Ma basta l’educazione
anche sotto il comunismo».
Dello stesso parere anche monsignor Pomo della discordia, la nomina a diretto- ricevuta in famiglia a spiegare questa
Domenico Bartolucci, personaggio molto re di monsignor Massimo Palombella che grande sensibilità, questa acuta compestimato da Joseph Ratzinger tanto da con- da più parti non è ritenuto all’altezza di tenza, questa passione? Non c’è forse un
siderarlo un pilastro nel “labirinto” del- un incarico storicamente così prestigioso. fattore più potente che spiega tutto ciò e
la musica classica e sacra. Soprannomina- Le idee musicali e di repertorio di Palom- ci fa sentire Joseph Ratzinger vicino a noi
to “il maestro” tra le mura vaticane, Bar- bella, del resto, non sempre sono risultate anche quando parla di musica, la suona,
tolucci è musicista, compositore e diretto- in linea con quelle dal Pontefice. Lo stesso l’ascolta? Parigi, 25 dicembre 1886. La catre di coro tra i massimi esperti di Giovan- Monsignore in un editoriale a sua firma tedrale di Notre-Dame è affollata da fedeli
ni Pierluigi da Palestrina. Nominato da pubblicato dalla rivista che dirige, Armo- in attesa dei Vespri. Un uomo è lì in disparPio XII nel 1956 direttore “ad vitam” del- nia di voci, ha esposto dubbi sul concet- te, con aria misteriosa. Non è immerso nella Cappella Sistina, ambito musicale per to di musica liturgica presente prima del la preghiera né attende che inizi il rito; è
eccellenza della Chiesa latina, fu esauto- Concilio Vaticano II e sull’opportunità, solo alla ricerca di argomenti contro i crirato (in maniera incomprensibile) dai pro- nelle attuali liturgie, dell’utilizzo di Mes- stiani. D’improvviso parte il Magnificat
pri incarichi nel 1997. Nel novembre 2012 se come quelle di Mozart o di Palestrina.
cantato dai bambini del Coro e dagli alunBenedetto XVI lo ha nominato cardinani del Seminario Minore di Saint-Nicolasle quasi a sottolinearne il profondo lega- La conversione di Claudel
du Chardonnet. In un istante il suo cuome e l’unità d’intenti. Bartolucci, la cui In questa complicata situazione si inse- re viene toccato, un momento di confusiomusica e la “direzione” è stata apprezza- risce anche la recente nomina di monsi- ne e incredulità, poi solo l’imponenza delta da ben cinque papi, definisce Benedet- gnor Vincenzo De Gregorio a nuovo pre- la presenza di Dio. Quell’uomo in disparto XVI il più esperto di musica tra quelli side del Pontificio Istituto di Musica Sacra te nella cattedrale parigina è Paul Claudel,
che ha conosciuto: «Suona il pianoforte, è (il conservatorio del Vaticano, per inten- scrittore caro a Benedetto XVI che ne ricorun profondo conoscitore di Mozart, ama derci). La nomina di De Gregorio, che da spesso la conversione.
la liturgia della Chiesa e di conseguenza andrà a sostituire monsignor Valentino
«La bellezza è la grande necessità
tiene in somma considerazione la musi- Miserachs Grau, è stata apprezzata dal- dell’uomo», ricordava il Papa consacranca», ha dichiarato nel 2006 in un’intervi- lo stesso Palombella e da monsignor Fri- do la Sagrada Familia a Barcellona. Il racsta all’Espresso. Nella stessa intervista Bar- sina, tutti legati da una profonda amici- conto di Claudel è esemplificativo di quetolucci non solo riafferma la medesima zia e da un’unità stilistica più “pop”, mol- sta necessità. Ecco spiegato perché Papa
preoccupazione del successore di Pietro to criticata dal maestro Riccardo Muti. Ratzinger sia sempre strenuo frequentatoriguardo alla musica liturgica ma rincara Proprio il rapporto tra Muti e Benedet- re e promotore della bellezza, ricordando
la dose, descrivendo la musica “di moda” to XVI è diventato degno di attenzione a noi che: «Il mondo sarà salvato dalla Belnelle chiese di oggi come canzonette beat negli ultimi anni. I due non hanno mai lezza» (Dostoevskij, L’idiota, parte III, capistrimpellate dalle chitarre.
tolo V). Una bellezza che non è mera senNegli ultimi anni la
Il Papa segue con attenzione e gratitudine sazione estetizzante ma richiamo alla traposizione di Benedetto XVI
scendenza, capace di redimere dalla «vita
il lavoro di Muti, particolarmente attivo banale» un’umanità sofferente.
sulla musica liturgica non
nell’educazione di giovani musicisti e
ha trovato grande riscon
Mario Leone
tro nel Coro della Sistina.
segui il blog “Degni di nota” su tempi.it
nell’esecuzione di repertori poco conosciuti
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Foto: AP/LaPresse
CULTURA DENTRO LO SPARTITO
l’italia
che lavora
La casa
del recupero
Lucilla poteva accontentarsi del negozietto
di famiglia specializzato in tutori, ma Stefano
l’ha sfidata. Così è nato un centro di ortopedia
che attrae atleti famosi e semplici amatori,
per vincere gli infortuni e le gare più difficili
S
una
vicina all’altra, foto di atleti, di pezzi grossi della storia del calcio, della ginnastica italiana, del rugby, della pallavolo, dello sci. Ogni ritratto è autografato, e reca impresso dediche affettuose, di
ringraziamento e riconoscimento per il
lavoro svolto da Ortholabsport, così come
le maglie dei giocatori sparse qua e là per
il centro di ortopedia sportiva. Perché qui
in corso San Gottardo 3 a Milano, ogni
atleta infortunato che arriva viene seguito
in modo speciale e unico, come unico sarà
il tutore confezionato per lui da Stefano
Duchini e Lucilla Pezzoni, i titolari. In soli
sei anni di attività, il passaparola tra gli
atleti che si sono riappropriati dei propri
movimenti è stato intensissimo, ed è così
che, a poco a poco, la parete arancione ha
iniziato a popolarsi di fotografie.
«L’ultima appesa è quella di Kevin Prince Boateng, centrocampista del Milan,
venuto da noi per un tutore alla mano.
Chiaramente realizzato in rosso e nero e
con il numero 10 impresso sopra», racconta Lucilla spiegando come i tutori applicati agli atleti vengano spesso personalizzati in laboratorio, da un grafico specializzato nel soddisfare i desiderata degli sportivi. La prima richiesta di questo genere era stata fatta dall’ormai ex giocatore
dell’Inter Ramiro Cordoba, per una prote-
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ulla parete arancione spiccano,
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I plantari della campionessa olimpica Di
Francisca. In alto, i rugbisti della Nazionale.
A lato, Stefano Duchini e Lucilla Pezzoni
zione facciale in colori nerazzurri. Un’altra richiesta fu quella di Giampaolo Pazzini con la scritta “pazzo”, quando giocava
per la Sampdoria, o ancora il parastinchi
di Zlatan Ibrahimovic, allora giocatore
dell’Inter, ma con una “sospetta” richiesta
di un drago rosso su sfondo nero. Lucilla
Pezzoni è davvero fiera di aver detto di sì
alla proposta di Stefano Duchini di aprire
un centro di ortopedia insieme. «Io lavoravo nel negozio dei miei genitori, poco lon-
tano da qui, che prima dei miei genitori
era dei miei nonni, quindi si può dire che
sia cresciuta a pane e tutori», spiega ridendo. «Siamo soci e la nostra unione funziona anche perché ci occupiamo di aspetti
diversi, io mi occupo della gestione degli
ospedali, della contabilità, del rapporto
con i clienti, e il mio partner invece è alle
prese con lo studio delle problematiche
dei clienti e la loro relativa soluzione».
Uno studio che avviene in una parte appo-
sita del centro Ortholabsport e si avvale di
un tapis roulant speciale, in grado di fare
la cosiddetta “gait analisys”, cioè lo studio del movimento e della deambulazione del paziente. Il passo successivo è l’“angle test”, necessario per rilevare eventuali dismetrie tra le gambe. In questo modo
è possibile progettare un plantare perfetto, pronto solitamente in una settimana. A quel punto lo sportivo torna per la
prova, dopo la quale è sempre possibile
apportare nuovi cambiamenti. «E gli sportivi amatoriali sono esigenti tanto quanto
quelli professionisti».
Se Lucilla è un fiume di parole mentre
illustra le dinamiche aziendali di Ortholabsport e mostra la nuova sede appena
inaugurata, Stefano ha il piglio meticoloso dell’artigiano talmente fiero del suo
lavoro da risultare umile, mentre spiega,
con gli occhi pieni di emozione, che fa
quello che fa perché è la cosa che gli riesce
meglio fare. «In Italia l’idea di costruire
plantari personalizzati non c’era, soprattutto se legata al mondo degli sportivi,
così ho pensato di procedere in questa
zia, e l’abbiamo progettato noi. Solo che
ci erano state riferite delle misure inesatte per lo spessore. E in partita, in una delle tante mischie in cui si è buttato quel
gigante buono di Castrogiovanni, il tutore si è rotto. Dobbiamo stare attentissimi ai parametri da rispettare perché in
certi casi si potrebbe addirittura scivolare nel doping tecnologico», spiega serio
Stefano. Che però si illumina se parlando
di doping tecnologico si accenna a Oscar
Pistorious. «Lui è un eroe, un eroe vero.
Non a caso il mio sogno e progetto più
grande sarebbe quello di potermi dedicadirezione. Già prima con il centro che ave- re agli atleti paralimipici».
vo, e poi dopo con l’inizio delle attività di
Ultima atleta olimpica seguita, inveOrtholabsport. Il fatto che gli atleti parli- ce, è stata Elisa Di Francisca, schermitrice
no negli spogliatoi e si indichino a vicen- d’oro di Londra 2012, alla quale Ortholabda che strategia curativa stanno seguen- sport ha costruito un plantare. «Se costrudo ci ha aiutato tantissimo per farci cono- iamo un caschetto, il nostro lavoro è sotscere, in un modo inaspettato e inatteso».
to gli occhi di tutti. Ma se si tratta di qualcosa di nascosto, come un plantare, lo sa
Il passaparola negli spogliatoi
solo l’atleta, e noi che lo guardiamo in tv.
Se dal laboratorio di Stefano escono circa Ogni volta che seguo le gare di uno spor3 mila plantari l’anno, per quanto riguar- tivo che abbiamo rimesso in sesto sono
da altri tipi di tutori è più difficile con- contento che anche per il nostro impeteggiare. «Dipende letteralmente da quan- gno sia arrivato alla vittoria, mi emozioto e come si infortunano gli atleti. Per no come se fossi il suo allenatore o un suo
esempio, era un brutto infortunio quel- familiare». E tenendo conto del fatto che
lo di Martin Castrogiovanni, che durante Ortholabsport si prende cura della Fisi
Italia-Inghilterra, uno dei match del Sei (federazione italiana sport invernali), delNazioni di quest’anno, si era fratturato la Fir (federazione italiana rugby), dell’Inuna costola. Serviva un tutore per ripor- ter, Milan, dell’Atalanta, della Sampdotarlo in campo in tempo per Italia-Sco- ria, del Chelsea, del Shakhtar Donetsk,
del Fulham, e della Nazionale volley donne, Stefano
I titolari ricordano la protezione facciale in
Duchini e Lucilla Pezzoni
nerazzurro di Cordoba. E poi il parastinchi di hanno davvero una grande
Ibra, ancora all’Inter, ma con una “sospetta” e bella famiglia.
richiesta di drago rosso su sfondo nero
Elisabetta Longo
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GREEN ESTATE
CINEMA
freschezza garantita e prezzi onesti
Pesce sopraffino per tutti
Iron sky,
di Timo Vuorensuola
Un delirio che
strappa un sorriso
di Tommaso Farina
P
esce fresco a buon prezzo, o quantomeno non da gioielleria: è il sogno dell’umanità. Così, è bello segnalare un
locale che prova a trasformare in realtà questo sogno. Si
IN BOCCA
trova a Castelnuovo di Porto (Roma), un borgo situato a una
ALL’ESPERTO
trentina di chilometri dalla Capitale, a nord: è facile immaginare come gli affitti e la gestione di un locale di un piccolo paese siano senz’altro
meno onerosi della conduzione di un ristorante in una grande città, e come tutto questo si riverberi sui prezzi finali, per la gioia dei clienti. Il Grottino del Pescatore, questo il nome della veracissima trattoria di pesce, riesce a far uscire i clienti sazi con un conto inferiore ai 50 euro. Non male eh? Niente fronzoli, ma una
discreta sostanza.
Così entrate nella rustica saletta e accomodatevi. La scelta di vini è piuttosto
scarna, ma qualche buona bottiglia c’è. Iniziando a mangiare, è consigliabile ordinare il “Pescatore Plus”, ossia il multi-antipasto in tre portate. Anzitutto, salmone
e polpo marinato. Poi, gambero crudo e ostriche, di ottima qualità. Indi, assaggini
di piccole ghiottonerie, come seppioline in umido coi ceci, gamberi col farro, buonissime alici fritte con le cipolle rosse e soprattutto l’ottima parmigiana di melanzane e tonno, davvero stuzzicante. Primi piatti rustici e imponenti, a cominciare
dagli azzeccati, gargantueschi tonnarelli con le cozze e il pecorino, senza dimenticare i più canonici spaghetti alle vongole o la “zuppetta del Grottino”. Per proseguire, di secondo, la frittura di paranza e qualche altro piatto molto tradizionale.
I dolci si notano poco.
A parte c’è anche un menù di specialità non marinare, come pasta alla carbonara, mezze maniche cacio e pepe, bucatini all’amatriciana, grigliate di bovino
angus. Simpatico il servizio. La spesa, come detto, è del tutto onesta e senza sorprese. Un avvertimento: all’ora di pranzo, l’uscita dei bambini da scuola paralizza in pratica l’intero paese con ingorghi e mancanza di parcheggi, situazione che
comunque dopo le 12.30 normalmente si risolve.
Per informazioni
Il Grottino del Pescatore
Piazza Cavour 9
Castelnuovo di Porto (Roma)
Tel. 06 88975524
Chiuso domenica sera e lunedì
HUMUS IN FABULA
progetto scuola a2a
Termovalorizzatori
aperti agli studenti
Con l’inizio dell’anno scolastico
riparte anche il Progetto Scuola a2a, l’iniziativa della grande
multiutility italiana che lo scorso anno ha aperto le porte dei
suoi impianti industriali a 16
mila studenti. Porte che a2a intende aprire anche quest’anno
sviluppando la collaborazione
con il mondo delle scuole attra-
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verso percorsi didattici volti a
promuovere la crescita di una
cultura rispettosa dell’ambiente
e la conoscenza delle tante realtà produttive di a2a.
Sono 27 i siti visitabili: 6 termovalorizzatori, 8 impianti trattamento/smaltimento rifiuti, 2
centrali di cogenerazione, 3 centrali termoelettriche, 3 centrali
idroelettriche, 4 impianti del ciclo idrico, un impianto reti gas,
ai quali si aggiunge il centro didattico-museale Casa dell’Energia di Milano: è questo il sito più
visitato con oltre 3.800 studenti, mentre tra gli impianti industriali i più richiesti sono risul-
Rifugiatisi sulla Luna dopo
la Seconda Guerra mondiale, i nazisti sono pronti
a conquistare la Terra.
Film delirante ma che suscita una certa ilarità. Il sog-
getto è da manicomio: il
Quarto Reich ha trovato dimora sulla Luna, dove i nazisti hanno costruito una bella base spaziale a forma di
svastica. Preso prigioniero il
primo astronauta nero della storia, lo albinizzano, gli
fanno il lavaggio del cervello e poi finiscono sulla Terra dove in pratica diventano
i responsabili della campa-
HOME VIDEO
Tutti i nostri desideri,
di Philippe Lioret
Quel che conta
Un magistrato aiuta una giovane donna indebitata.
Dal regista di Welcome, un’altra
storia intensa con al centro non
solo i guai di oggi (i soldi che
non ci sono) ma anche tutta incentrata sulla persona e i suoi
bisogni veri. Così nella vicenda
dei due giudici che si fanno un
mazzo tanto per una donna che
all’inizio potrebbe essere solo
un problema non c’è solo un sacrosanto desiderio di giustizia,
ma uno sguardo amorevole e
gratuito all’altro perché sia felice e non sia lasciato solo.
tati il termovalorizzatore Silla
2 di Milano e il termoutilizzatore di Brescia. Dallo scorso anno
è stato incluso nel programma
anche il termovalorizzatore di
Acerra (prenotazioni sul sito
www.a2a.eu - Progetto Scuola).
a milano in campagna
I Mercati in Cascina
a kilometro zero
La “rotazione” è partita lo
scorso 23 settembre ma sono ancora molte le domeniche a disposizione dei milanesi
per comprare riso, latte, mie-
le, ortaggi, uova e molto altro
direttamente dal consumatore. Fino al 16 dicembre infatti alcune cascine del Consorzio
Dam- Distretto Agricolo Milanese, aprono i cancelli al pubblico per la vendita diretta a
kilometro zero e permettere alle famiglie di trascorrere una
giornata tra vecchie corti, verde, rustici e orti, offrendo degustazioni, laboratori e aperitivi “rurali” a pochi passi dal
centro cittadino. I prossimi
“Mercati in Cascina a Km0”, si
terranno il 14 ottobre a Cascina Basmetto e il 4 novembre a
Cascina Cavriana.
STILI DI VITA
tutto insegna
gna elettorale del primo presidente donna degli Usa. Poi
le cose si complicano. Piccolo divertissement diretto da
un islandese e coprodotto
da tedeschi e australiani che
ci mettono i primi gli attori, tra i quali si segnala l’ottimo Udo Kier nei panni di
un crudele Führer e i secondi gli effetti che sono poveri ma efficaci. L’operazione
è di dubbio gusto ideologico
(i nazi sono piuttosto simpatici) e si va più a pigliare per i
fondelli le manie di grandezza
degli Usa che a ridicolizzare i
veri cattivi.
visti da Simone Fortunato
SPORTELLO INPS
Il regista Timo
Vuorensuola
di Annalena Valenti
T
Per
un tipetto sveglio
e imprevedibile
come il Giò, 11 anni, queMAMMA
OCA
sto è sicuro. Giocando,
ha insaccato il dito medio della mano sinistra. Bloccato con
fasciatura adeguata, bende e scotch
di carta, dopo lamentazioni abbastanza ragionevoli dato il soggetto maschile, il nostro ha cominciato a elencare
tutte le cose che non poteva più fare o
comunque far bene senza l’uso di tal
dito. Non posso togliere il tappo alla
penna e neanche quello del Nesquik.
Non posso giocare a calcio. Scusa? Un
pallone potrebbe colpirmi la mano e
peggiorare la situazione (a dire il vero
al pallone non ha rinunciato, anche se
la benda è stata rinforzata con doppio
strato di scotch), non posso fare le corna. Sai mamma, io non ci penso mai,
ma quante cose facciamo anche solo
con un dito. Ah e non riesco ad allacciarmi le scarpe. Perché ci accorgiamo
di tutte le cose che possiamo fare con
il dito medio della mano sinistra solo
quando non possiamo più farle? È proprio vero Giò, è proprio un’osservazione giusta. Adesso vado a giocare a calcio. Pensi che scriverai un articolo? E
si allontana col suo dito scotchato doppio, una consapevolezza della realtà in
più, e probabilmente l’idea di scrivere un capitolo del libro sulle avventure del suo alter ego. Ah mamma, il gestaccio però lo posso fare!
mammaoca.wordpress.com
In collaborazione con
DOMANDA & RISPOSTA
Tutto quello che
bisogna sapere
Il passaggio dalla gestione
ordinaria a quella separata
Dopo un periodo di lavoro come
dipendente a tempo indeterminato, mia figlia è orientata ad aprire una partita Iva per continuare la propria attività in qualità di
“collaboratore’”. So che dovrebbe
iscriversi alla cosiddetta gestione
separata. Che cosa succederà dei
Cosa si impara da
un dito scotchato
invia il tuo quesito a
[email protected]
contributi fino ad ora versati alla
gestione ordinaria?
Carlo M.
I contributi versati resteranno
nell’estratto contributivo. Si creerà automaticamente un nuovo
archivio che conterrà quelli versati nella gestione separata. Attualmente i contributi non si congiungono automaticamente ma
basterà, al momento della richiesta di pensione, fare la domanda di totalizzazione per unificarli.
Questo con le regole attuali, non
possiamo sapere quali saranno le
regole quando sua figlia chiederà
la pensione.
utto insegna?
Sono una dipendente pubblica, ho
57 anni e quasi 36 di contribuzione. Quando potrò andare in pensione? Devo attendere il requisito
dei 65 anni di età?
Grazia
In quanto dipendente pubblica, dovrà raggiungere i 41 anni di contribuzione più 6 mesi e
poi ci sarà ancora da aggiungere una manciata di mesi, relativi
all’aspettativa di vita, che ad oggi non sono noti.
Ho 59 anni compiuti il
24/1/2012. Il 31/8/2012 avrò 21
anni contributivi come lavoro di-
pendente e 15 anni e 41 settimane come commerciante. quando
potrò andare in pensione?
Nicola.
Dai dati che ci fornisce (che vanno ovviamente verificati) lei raggiungerà il requisito per la pensione anticipata nel maggio del
2018 con 42 anni e 6 mesi di
contributi. Mentre raggiungerà il requisito per la pensione di
vecchiaia nel 2019 a sessantasei anni, tre mesi cui si deve aggiungere la speranza di vita.
Naturalmente si tratta di dati orientativi basati sulle regole attuali.
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PER PIACERE
la quarta edizione della rassegna di contemporanea
Gli artisti scelti dagli artisti.
Così casa Testori torna felice
AMICI MIEI
su tv2000
La Svolta racconta
la vita nuova di chi
incontra Cristo
L’incontro con Cristo cambia la
vita, stravolge quotidianità ingessate negli anni, rivoluziona il modo di vivere il tempo e
il mondo. A raccontarlo saranno i protagonisti de La Svolta, la nuova serie che va in onda
su Tv2000 ogni domenica, alle
15.40. Quattordici puntate, realizzate dalla Run to me film per
la regia di Fabrizio Ferraro, per
descrivere lo straordinario evento della conversione. Nata da
un’idea del direttore di Tv2000,
Dino Boffo, e curata dal giornalista Lorenzo Fazzini, direttore delle Edizioni Missionarie Italiane, La svolta esplora l’intimo
di chi si è avvicinato al cristianesimo in età adulta o lo ha riscoperto dopo un periodo di abbandono; ripercorre le tappe
attraverso cui è avvenuto l’incontro con Cristo fino a descrivere il nuovo corso di una vita
trasformata dalla fede. Tra i personaggi intervistati ricordiamo
il cantautore emiliano Giovanni
Lindo Ferretti (nella foto in alto),
il regista torinese Guido Chiesa, la teologa russa Tatiana Goritcheva, lo scienziato irlandese
Alister McGrath, il giurista catanese Pietro Barcellona, l’attrice
romana Claudia Koll e lo scultore giapponese Etsuro Sotoo.
libri
Le Vacanze Milane
di Luca Doninelli
È in libreria Vacanze Milane. La
città della cura, la cura della città, terzo volume de Le Nuove
meraviglie di Milano firmato da
Luca Doninelli (Guerini e associati, 205 pagine, 14,50 euro). Sognare una Milano con i Navigli a
cielo aperto e riempirla di grat-
di Livia Orlandi
F
ormula che vince non si cambia, ma si rinnova perché se c’è un
luogo dove non abita la paura di sperimentare quello è casa
Testori. L’associazione che gestisce la casa del grande scrittore a Novate Milanese torna infatti quest’anno con uno degli appuntamenti che da quattro anni più l’hanno fatta conoscere e apprezzare agli addetti ai lavori ma anche al grande pubblico. Giorni
Felici a casa Testori è infatti un riuscito “unicum” che valorizza i
giovani artisti, ne mostra i legami con i “maestri” e, risultato non
accessorio, dona nuova vita a un luogo pieno di fascino e storia quale è appunto la casa della famiglia Testori a Novate Milanese.
Ogni volta, da quattro anni a questa parte, oltre 3.500 persone
hanno preso il treno che da Cadorna porta a Novate Milanese (lo
stesso che prendeva Testori per andare nel suo studio in città) per
aprire le porte di quelle venti stanze animate dalle opere di venti
artisti contemporanei. La novità di quest’anno è che a scegliere i
20 creativi sono stati altrettanti colleghi. Fianco a fianco ci sono artisti che non hanno bisogno di presentazioni e giovani: giovani invitati dai loro maestri o grandi nomi voluti da artisti giovani che si
sono messi nella loro scia, com’è il caso di Mario Schifano, chiamato da Andrea Mastrovito, a cui è dedicato il salone della villa. Schifano sarà presente con le foto dipinte, tra le quali spiccano anche
gli scatti a Giovanni Testori, del 1993. Giorni Felici renderà omaggio al grande architetto Angelo Mangiarotti, appena scomparso, e
“invitato” da Alessandro Mendini.
Quest’anno il cast è particolarmente internazionale: presenteranno le loro opere artisti provenienti da Giappone, Finlandia,
Germania, Slovenia, Olanda e Serbia. Hanno indicato uno degli artisti presenti, tra gli altri : Enzo Cucchi, Stefano Arienti, Marco Cingolani, Gabriele Basilico, Giovanni Frangi e Massimo Kaufmann.
Espongono, tra gli altri: Wouter Klein Velderman, Luca Pignatelli,
Giovanni Hänninen, Kei Mitsuuchi, Marco Cirnigliaro.
Giorni felici a casa Testori
20 artisti per 20 artisti
lun/ven: 18-22 - sab/dom e festivi: 11-20
Fino al 4 novembre
Info: tel. 02.552298371
[email protected]
tacieli senza nesso con la storia
della città, vagheggiare una città a misura d’uomo identificata
con la lentezza o la rarefazione
del traffico sono aspetti, uguali
e contrari, di un unico nodo irrisolto, che l’autore ha identificato
con il problema della cura. Della
cura della città e della cura della singola persona, perché è nella cura della persona il termometro della cura della collettività, il
problema culturale su cui si deciderà, negli anni a venire, l’identità milanese. Sono le “vacanze
milane” in cui si imparerà, come
il protagonista, cosa sia una metropoli dei nostri giorni vissuta
da soli, ma con la scoperta di un
dono, non troppo nascosto. Prefazione di Giacomo Poretti, postfazione di Riccardo Bonacina.
l’aRTE
all’asta le opere di una cinquantina di artisti legati al territorio
lecchese (nativi o di adozione)
che hanno lasciato un segno alla città. L’obiettivo è quello di realizzare un’area dedicata a bambini affetti da autismo infantile
a La Nostra Famiglia di Bosisio
Parini e finanziare borse lavoro rivolte ai giovani presso l’ufficio cultura del Comune di Lecco.
51 artisti partecipano all’iniziativa, donando altrettante opere che verranno presentate in
due mostre. La prima si è tenuta
dal 22 settembre al 7 ottobre alla Nostra Famiglia di Bosisio Parini e la seconda si terrà a Lecco dal 13 ottobre al 4 novembre.
L’evento si concluderà il 9 novembre con un’asta benefica al
Teatro della Società di Lecco. Il
ricavato dell’asta contribuirà alla realizzazione dello spazio INAUT dell’ospedale amico di Bosisio Parini.
eventi/2
eventi/1
Il nuovo convegno
di Medicina e Persona
Giornale di Lecco, Giornale di Erba, Associazione La Nostra Famiglia e assessorato alla Cultura del Comune di Lecco sono
i protagonisti di un nuovo progetto che lega cultura e solidarietà. L’iniziativa a scopo benefico “Creativi per Lecco” mette
Si terrà dal 25 al 27 ottobre
prossimi a Tabiano Terme il convegno organizzato dall’associazione Medicina e Persona dedicato al tema “Un conoscere
condiviso. Il lavoro sanitario e
psico-sociale in équipe”. Per informazioni sul programma e sulle modalità di partecipazione si
può consultare il sito: medicinaepersona.org.
Creativi lecchesi
al servizio del sociale
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MOBILITÀ 2000
DI NESTORE MOROSINI
LA VETTURA CULT DELLA VOLKSWAGEN
Settimo sigillo
della famiglia Golf
L
a Volkswagen Golf è giunta alla settima generazione ed è in vendita,
in questi giorni, a prezzi che vanno da 17.800 a 28.200 euro. Innanzitutto va detto che i suoi lineamenti sono
valorizzati da un assemblaggio davvero impeccabile. Una prerogativa che risalta anche nell’abitacolo, tanto da fare registrare un upgrading della finitura
rispetto a quella proposta dalla Golf precedente, peraltro già buona.
Con quest’ultima il distacco è messo
in risalto anche dallo stile dell’arredamento, gradevole ed ergonomicamente
curato grazie alla plancia orientata verso il guidatore, ai comandi sistemati in
modo da essere raggiunti comodamente
e a chicche hi-tech, come il sistema d’infotainment Touch. Dal posto di guida,
quindi, emerge come unico neo la scarsa visibilità posteriore.
La nuova Golf è proposta in Italia in
una famiglia articolata su cinque motorizzazioni che originano nove varianti,
dato che alcune di esse possono essere
abbinate anche al cambio a doppia frizione Dsg che, a seconda della potenza
espressa, può essere a sei piuttosto che
a sette marce.
Lo schieramento delle Golf a benzina
al momento è composto dalle unità Tsi
(turbo a iniezione diretta) di 1,2 litri da
105 cavalli e di 1,4 litri nelle varianti da
122 e 140 cavalli. Quest’ultima, nella primavera del prossimo anno, si declinerà
anche nella variante Act, ovvero con il sistema che disattiva due dei quattro cilindri in determinate situazioni di marcia
per limitare consumi ed emissioni.
La famiglia delle Golf turbodiesel è
formata, invece, da due proposte: la 1.6
Tdi da 105 cavalli e la 2.0 Tdi da 150 cavalli. Poi, naturalmente, la famiglia si
allargherà con altre versioni: la già annunciata Gti, la R ancora più potente e
l’ecologica variante alimentata a metano. E poi, ancora, arriveranno anche altre proposte di carrozzeria.
Le immagini della nuova Golf: dall’alto
verso il basso, il posteriore, il frontale,
la plancia e il navigatore satellitare
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UN ALTRO MONDO
è POSSIBILE
una paternità discreta e profonda
Don Massimo mi
ha accolto come
un figlio ferito
di Aldo Trento
«C
arissimi fratelli, questa matti-
na è stata pubblicata dalla Santa
Sede la notizia che il Santo Padre
Benedetto XVI ha voluto nominarmi vescovo
di Reggio Emilia-Guastalla, aggregandomi così
al Collegio dei successori degli Apostoli». Con
queste parole monsignor Massimo Camisasca
ci ha annunciato che il Santo Padre lo ha nominato Vescovo di Reggio Emilia. La prima reazione che ho avuto a questa inattesa notizia è
stata quella di una sorpresa gioiosa che mi ha
riempito di allegria perché in questo momento
la Chiesa e il mondo hanno bisogno di pastori intelligenti, innamorati di Cristo, nei cui visi siano evidenti i tratti della Presenza del Mistero. La prima volta che ho avuto la grazia di
incontrare monsignor Camisasca è stata nella primavera del 1989 per un pranzo con lui a
Milano. Stavo allora vivendo uno dei momenti
più difficili della mia vita e monsignor Giussani, che conosceva fino in fondo la mia situazione, mi “consegnò” a don Massimo. Non ricordo
bene tutti i dettagli di quello che successe in
quel pranzo, perché stavo così male che neppure riuscivo a parlare. Di certo fu uno dei momenti più importanti della mia vita, destinato
nel tempo a trasformarsi in uno strumento di
misericordia per il mondo. Giussani aveva chiesto a don Massimo di accettarmi nella Fraternità dei sacerdoti missionari di San Carlo Borromeo. E monsignor Camisasca, malgrado non
mi conoscesse, di fronte alla domanda del fondatore del movimento di Comunione e Liberazione non esitò un solo istante, seguendo la
prassi indicata in questi casi dal diritto canonico. Infatti io appartenevo ad un’altra congregazione e c’era un iter preciso da percorrere
per arrivare ad un’altra scelta definitiva. È stata una decisione difficile da parte mia, ma mi
consegnai completamente sia a don Giussani
che a monsignor Camisasca. Proprio per questo motivo quando mi hanno proposto di andare in Paraguay non ho avuto dubbi nel riconoscere la volontà del Signore che si rendeva
evidente nella proposta di monsignor Giussani.
I primi due anni sono stati abbastanza difficili,
tra l’altro dovevo ancora decidere se ritornare
nella mia congregazione precedente o chiede-
60
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POST
APOCALYPTO
Don Massimo
Camisasca
(nella foto) è
stato nominato
dal Papa vescovo
di Reggio
Emilia-Guastalla
re l’incardinazione nella Fraternità dei missionari di san Carlo Borromeo. Nella confusione che stavo vivendo, sostenuto dall’amicizia
e dalla compagnia di Giussani chiesi definitivamente a monsignor Camisasca che mi accogliesse nella Fraternità. Mi accettò come fa
un padre con suo figlio. Nei primi dieci anni di
missione in Paraguay non avevo la coscienza
chiara della grazia che il Signore mi aveva dato. Vivevo una specie di autonomia dalla quale per fortuna mi scuoteva in continuazione
don Giussani. Tuttavia monsignor Camisasca
nel rispetto totale della mia libertà ha saputo
testimoniarmi che le prime caratteristiche di
una relazione vera sono il rispetto della libertà
e la discrezione.
Per molti anni è stato difficile per me (anche a
causa della depressione che mi tormentava) riconoscere in lui il dono di cui Dio mi aveva fatto oggetto. Dopo dieci anni mi sorpresi a vivere la realtà con un sguardo differente e questa
diversità si manifestò anche verso don Massimo e la Fraternità di San Carlo Borromeo. Fino
a che un giorno, dopo avere visto quello che la
Divina Provvidenza stava realizzando in questo
posto, Camisasca chiese al giornalista Rober-
to Fontolan di raccontare in un libro la strada
miracolosa della mia persona e di tutta la comunità di San Rafael. Così fu editato Cronache
dal nuovo mondo. Il libro venne poi presentato
al Meeting di Rimini dallo stesso Camisasca.
Da quel momento ho iniziato ad assaporare la
sua paternità, sempre molto profonda e molto discreta. Con lui ho sperimentato la grazia
di quello che significano le parole: paternità e
compagnia. Certo i momenti difficili sono continuati per molti anni e nemmeno ora mi lasciano tranquillo ma la certezza del suo affetto verso la mia persona mi ha sempre donato
tanta pace. La sua presenza, sempre molto discreta, si manifestava soprattutto nelle sue
preghiere per me e anche in alcuni momenti di
convivenza come quelli vissuti insieme a Porchiano e Leggiuno. Ricordo molto bene che sono stati giorni di grande e copiosa grazia che
mi hanno permesso di scoprire la profonda affezione che don Massimo aveva per la mia
persona. Mi torna alla mente con particolare
affetto il soggiorno a Porchiano dove la Fraternità ha una sua casetta che viene utilizzata per pregare, studiare e riposare. Sono stati momenti davvero preziosi perché ho potuto
Così mi scriveva don Camisasca: «Ricordo bene
i tuoi primi anni. Anni drammatici, in cui si era
quasi pensato, d’accordo con te, a un tuo
rientro in Italia. Fu Dio a capovolgere tutto.
A darti l’energia per trovare proprio nella ferita
scavata dentro di te il luogo dove accogliere
un numero enorme di persone»
era attento e grato per le opere che qui sono
nate. La lettera che segue, in occasione della
presentazione del libro I dieci comandamenti, è un esempio evidente della sua paternità e
della sua affezione alla mia persona e dell’ammirazione che aveva per tutto ciò che il Mistero ha fatto in questa parte del mondo.
[email protected]
C
Massimo, grazie per
avere dato tutto di te alla mia persona. Il dono della tua paternità, sono
sicuro, continuerà ad accompagnarci, perché
ci hai educati a sperimentare che “si è Padri
per sempre”.
padre Aldo
C
toccare con mano la sua grande umiltà e il suo
amore per il silenzio. Ha sempre voluto darmi
la sua stanza per dormire, scegliendone per sé
una più modesta. Nei lunghi dialoghi con lui ho
avuto l’opportunità di conoscere e sperimentare la profondità del suo amore per Cristo
e la sua passione per l’uomo. Si commuoveva guardando la bellezza del panorama circostante dentro il quale vedeva il riflesso della bellezza divina. Un momento eccezionale è
stato il soggiorno che ci ha offerto due anni fa
a Leggiuno, il suo paese di origine. Con gli Zerbini e don Julián della Morena abbiamo vissuto e condiviso con il “nuovo vescovo” tre giorni
di grande intensità. I momenti di dialogo venivano alternati con altri nei quali ci ha guidato
a visitare il Lago Maggiore portandoci a spasso con una barchetta. Ricordo la sua edificante spiegazione durante un pranzo, in una delle
isole del Lago, sulla vita e sull’opera di Alessandro Manzoni. In quell’occasione ci portò
anche a vedere la tomba di Antonio Rosmini e
del poeta Rebora. Le sue spiegazioni era tanto semplici quanto profonde. Don Massimo è
venuto più volte a trovarci in Paraguay, manifestandoci sempre un affetto grande. Inoltre
aro monsignor
aro padre Aldo, ricordo molto bene,
anche se sono passati tanti e tanti anni,
quella mattina di primavera del 1989
in cui ci siamo incontrati per la prima volta. Io, in realtà, ti avevo già intravisto durante
qualche incontro del movimento, ma non avevo mai fissato lo sguardo su di te come quella
mattina. Sapevo infatti che venivi da me mandato da don Giussani. La nostra Fraternità era
ancora all’inizio, non aveva neppure ottenuto il riconoscimento canonico di Società di vita apostolica. Eravamo assieme da tre anni e
mezzo, come semplice associazione di fedeli. Eppure don Giussani aveva voluto affidarti a
noi. In particolare, a me. Non ricordo molto di
quel nostro primo incontro. Ricordo soltanto la
tua timidezza, e il tuo affidamento totale a don
Giussani. Forse mi hai raccontato qualcosa
della tua vita, quelle notizie che ora hanno toccato migliaia e migliaia di persone attraverso
i tuoi interventi così scioccanti, sempre diretti, senza paura di esporti in primo piano, quasi a voler gridare una grazia ricevuta in cui può
essere racchiuso e sanato ogni male. Don Giussani suggerì allora il Paraguay. Ero già stato in Paraguay nell’86, dopo la Giornata mondiale dei giovani in Argentina. Avevo passato
qualche giorno della Settimana Santa con un
piccolo gruppo di giovani che aveva radunato attorno a sé don Lino Mazzocco, allora missionario in quel paese. Fu il mio primo incontro con il mondo guaraní, quel mondo che tu
hai fatto conoscere attraverso i tuoi libri sulle
Reducciones, che non sono soltanto il racconto
di un passato, ma anche la traccia per capire
ciò che oggi stai realizzando. I gesuiti del ‘600
e ‘700 erano portati da una passione assoluta per Cristo a incontrare quegli uomini lontani
dalla loro esperienza culturale, a cui erano riusciti però a insegnare a scrivere, a leggere, a
cantare, a vivere una vita ordinata e bella. Allo
stesso modo hai desiderato portare la bellezza
e la guarigione che viene da Cristo in una terra segnata da tanti doni di Dio come le foreste
e le cascate, ma anche deturpata dagli uomini.
Così sei partito per il Paraguay, dove hai trovato l’amicizia con un sacerdote, don Alberto.
La vita con lui è stata, io penso, l’inizio di tutto.
Successivamente sarebbe venuto in Paraguay
Paolino, poi altri fratelli che si sono aggiunti e
si aggiungeranno. Attraverso di loro, hai potuto entrare dentro l’esperienza della Fraternità
San Carlo. Essa non è un’utopia, un’idea bella,
una sovrastruttura. È invece un gruppo di amici messi insieme da Cristo, seguendo il dono
di don Giussani, a lavorare per la gloria di Cristo nel mondo. Il rapporto con loro è la fonte
della tua carità. Ricordo bene i tuoi primi anni. Anni drammatici, in cui si era quasi pensato, d’accordo con te, a un tuo rientro in Italia.
Fu Dio a capovolgere tutto. A darti l’energia
per trovare proprio nella ferita scavata dentro
di te il luogo dove accogliere un numero enorme di persone. Sono così nati quei volti che noi
conosciamo attraverso i tuoi racconti: volti di
persone abbandonate, talvolta violentate, sole, senza speranza, bambini e vecchi, uomini e
donne, che accompagni a vivere o a morire, ridonando loro la coscienza della propria dignità di uomini, la bellezza dell’aver vissuto, anche nelle condizioni più terribili, e soprattutto
la certezza che Dio è Padre, che accoglie e perdona e rianima i figli che ricorrono a Lui.
Prego ogni giorno per te, perché il Signore ti
custodisca, e custodisca le persone a te affidate, perché ti doni di sperimentare sempre
la sua dolce presenza, ti sia conforto e sprone per affrontare tutte le difficoltà. Conosco quali raggi di luce vengono a te dall’adorazione eucaristica. Nel silenzio trova sempre
l’esultanza di chi sa che l’umiltà è la vera strada della propria grandezza. Un abbraccio
don Massimo
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LETTERE
AL DIRETTORE
Storia d’Italia secondo
l’unico politico cattolico
piaciuto a Repubblica
B
uoni amministratori, pratiche virtuose, nulla conta più. Il politico è il male. La politica è la bestia da
abbattere, da sacrificare all’orda affamata al soldo
del nulla. Così un uomo come l’assessore alle Infrastrutture della Regione Lombardia Raffaele Cattaneo, che in questi anni è riuscito a fare quanto negli ultimi quattro decenni non si era neppure riusciti a pensare, consegnando al
nostro territorio eccellenze infrastrutturali che ci invidiano anche fuori dai confini nazionali, appena si è permesso
di criticare, anche provocatoriamente, il taglio ai costi della politica, è finito nel tritacarne dell’indignazione.
È bastato alzare la testa, permettersi l’atto democratico della dialettica,
perché la macchina del fango scattasse impietosa. La “democrazia rubata” è mettere in un unico contenitore i politici competenti e capaci che
producono risultati e bene comune
con i casi di malcostume e malapolitica. Citare la Repubblica di Weimar
potrà apparire sproporzionato, eppure quando non è più la ragione a governare i processi democratici, ma la
demagogia, a tutti (destra e sinistra)
dovrebbero tremare i polsi. In alcuni
momenti bisogna avere il coraggio di
andare contro l’onda, sfidare la massa. Quando si decide di assecondare la
sete di ghigliottina, la resa è già stata
accettata. Purtroppo dietro incombe
il nulla o qualcuno che ha deciso che il
popolo sta meglio senza democrazia.
Fabio Cavallari
Compagno, mi pare che la pensiamo
proprio uguale e che potevi scrivere
tu il nostro editoriale settimanale.
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Condivido l’“uscita” dell’assessore Raffaele Cattaneo per i seguenti motivi.
1) Gli amministratori della Lombardia (10 milioni di abitanti) che costano
una manciata di euro l’anno per abitante e con un rapporto di un consigliere ogni circa 120 mila abitanti devono avere un compenso identico agli
amministratori di regioni che non arrivano neanche a mezzo milione di abitanti? No, il grande errore fatto con la
modifica del Titolo V della Costituzione è stato piuttosto quello di non prevedere sanzioni per le Regioni con bilancio in rosso. 2) Il provvedimento
governativo che vuole allineare le retribuzioni di tutti i Consigli regionali alle Regioni con compensi più bassi
come al solito non premia la competenza e l’onestà di tanti amministratori, ma impone un egualitarismo demagogico e statalista che appiattisce
tutto. Bisogna punire le Regioni meno virtuose e al limite fissare un tetto di retribuzione da rapportare a una
percentuale del compenso del presidente del Consiglio o dei parlamentari. Chi sbaglia paga e deve farsi carico
del deficit. 3) Vedo in giro tanta ipocrisia. Tutti chiedono la diminuzione, giustamente, dei costi della politica. Io
mi chiedo: la Cassa integrazione in deroga per aiutare le aziende private in
crisi o l’intervento dello Stato o della Bce per salvare le banche in difficoltà è stato fatto con capitale privato o
con i nostri soldi aumentando la pressione fiscale? Qualcuno ha mai chiesto
alle aziende o alle banche di diminuire
i compensi ai propri manager perché
responsabili dei bilanci in rosso? Cosma Gravina via internet
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Segnalate a Berlicche che non il cuoco Gualtiero, bensì il latinista, accademico e politico Concetto Marchesi
è l’autore della citazione: «È sbagliato giudicare un uomo dalle persone
che frequenta. Giuda, ad esempio, aveva degli amici irreprensibili». Probabilmente Berlicche ha scritto il pezzo con
i morsi della fame! Stefano Cecchin via internet
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Resto sempre allibito quando mi “scontro” con i cattolici adulti. Qui mi riferisco a una persona ai vertici di una
grande associazione cattolica a Brescia. Come voi spesso fate notare, il
magistero della Chiesa continua a richiamare i politici cattolici ai “princìpi
non negoziabili” e alla “legge naturale”
come base per il bene comune. Ebbene,
fatte presenti queste cose al suddetto signore, ho chiesto conto delle scelte
contrarie che fanno riguardo proprio ai
richiami del magistero. Risposta: «I valori non negoziabili non sono buona politica! La legge morale naturale per chi
non è cattolico è solo un punto di vista,
neppure tanto forte». Mauro Mazzoldi via internet
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Ciriaco De Mita ha esternato in un libro-intervista le sue riflessioni sulla storia d’Italia dal 1945 ad oggi. Credo che
in quelle pagine sia riuscito in una impresa forse unica. Non ha mai nominato (e faccio solo qualche esempio):
di Fred Perri
SCIOPERO PER UNO STIPENDIO “BRASILIANO”
Questo paese ti fa scappare la voglia?
Fai anche tu come i russi dello Zenit
L
a migliore definizione dell’Italia è “un paese che ti
fa scappare la voglia”. Ci pensavo domenica pomeriggio quando sono finito in uno stadio dove non bazzicavo, ho riflettuto, da almeno tre anni.
Mi sono avvicinato al solito botteghino, accanto a cui
c’era il solito ingresso, ma mi hanno detto che avevano spostato tutto e mi sono ritrovato a fare altri due-
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cento metri per poter entrare. Quando mollo questo
lavoro, non mi beccate più.
Però, fin qua, stiamo parlando di calcio, materia
opinabile. Il guaio è che questo paese fa scappare la
voglia in tutto. Fa scappare gli investitori stranieri che
temono di trovarsi imbrigliati nell’incubo della peggiore burocrazia del mondo o zavorrati dalla cultura
Foto: AP/LaPresse
SPORT
ÜBER
ALLES
[email protected]
Foto: AP/LaPresse
Enrico Mattei, Giuseppe Lazzati, Ezio
Vanoni, Gianni Baget-Bozzo, Lelio Basso, Giulio Pastore, Attilio Piccioni, Giorgio Almirante, Pasquale Saraceno, Riccardo Lombardi, Achille Ardigò, Giorgio
La Pira; e nessuno del gruppo avellinese
che, con lui, divenne elemento propulsivo de La Base, che svolse un ruolo determinante in momento essenziale della
storia della Dc: Salverino De Vito, Giuseppe Gargani, Gerardo Bianco e Nicola Mancino. Ha nominato una sola volta
(per lo più con motivazioni ovvie e qualche volta banali) Mario Scelba, Joseph
Ratzinger, Beniamino Andreatta, Massimo D’Alema, Giovanni Galloni, Gabriele De Rosa, Ugo La Malfa, Pietro Nenni, Giovanni Marcora, Paolo Bonomi,
Mario Segni, Bruno Visentini. Ha ricordato due volte Giovanni Gronchi. Paolo
Emilio Taviani, Fiorentino Sullo, Eugenio Scalfari. Quest’ultimo non per l’eccezionale, aperto supporto (graditissimo da De Mita) che gli diede prima e
dopo la sua elezione a segretario della Dc quale leader ritenuto capace di
“modernizzare” (in chiave azionista) il
partito, il confronto politico e le istituzioni. Ma ha ricordato il fondatore e allora direttore di Repubblica per la parte dell’intervista (pubblicata postuma)
in cui Aldo Moro spiegava le ragioni dell’atteggiamento che aveva assunto durante il caso De Lorenzo nel 1964;
e per l’intervista in cui Berlinguer trattò diffusamente della “questione morale” che investiva la politica e le istituzioni. Tra i degni, per De Mita, di menzione
nelle riflessioni sulla storia d’Italia, è in
testa Moro con 23 richiami, seguito da
De Gasperi (18), don Sturzo (16), Berlinguer (14), Andreotti (13), e poi altri
a una sola cifra. Per esempio: Fanfani
LA CONVERSIONE DI CUI PARLA PAPA RATZINGER
Il cristiano non è completo
se non è un incendiario
di Pippo Corigliano
CARTOLINA
DAL
PARADISO
C
in cui Leonardo Mondadori rispondeva alle domande di Vittorio Messori descrivendo la propria conversione. “Conversione” è anche la parola chiave che
il Papa ha utilizzato nell’omelia di domenica scorsa per inaugurare
il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione. La “conversione”
personale, per il Santo Padre, è lo scopo dell’Anno della fede che deve trasformare il cuore dei fedeli.
Sono stato testimone dell’itinerario che Leonardo Mondadori, allora presidente della casa editrice, ha percorso nell’arco di una decina d’anni. All’inizio era un gentile signore desideroso di portare fermenti culturali nuovi, poi ha cominciato a prendere sul serio la fede
e, infine, è diventato un uomo raggiante, apostolico a tutto campo.
Sua è stata l’iniziativa di lanciare a livello internazionale il “primo libro di un Papa”, Varcare la soglia della speranza, suo è stato il desiderio di pubblicare libri che spiegassero la natura e i fini del matrimonio, suo l’impegno per portare a una fede operativa ognuno dei suoi
amici. Ecco cosa può diventare un uomo che ha compiuto in sé, con
l’aiuto della grazia, una conversione: una brace ardente capace di
appiccare il fuoco dovunque. «Fuoco sono venuto a portare sulla terra…» dice Gesù (Lc 12,49) e il cristiano non è un cristiano completo se
non è un incendiario. Io vorrei uscire da quest’Anno della fede “convertito”: vorrei diventare un appiccatore di fuoco (d’amore di Dio) a
tutto e a tutti. Questo intende Papa Benedetto.
onversione è il titolo del libro
8, Prodi 6, Zaccagnini e Cossiga 5, Donat-Cattin e Berlusconi 4, Dossetti 2.
Togliatti viene nominato 7 volte, tra le
quali una che merita di essere ricordata
perché esemplare dell’ideologia politica
demitiana: gli attribuisce infatti (insieme a Gramsci e a Berlinguer) il tentativo non riuscito «di mantenere aperta la
prospettiva del socialismo, garantendo
e non eliminando la libertà e con essa la
democrazia», contro la logica intrinseca
al materialismo storico-dialettico, «che
finisce di rovesciare la sua prospettiva
di libertà totale nello Stato-moloch che
la spegne». Mi sembra che il Ciriaco De
Mita de La storia d’Italia non è finita
confermi l’osservazione di Gómez Dávila: «Il progressista crede che tutto diventi obsoleto, tranne le sue idee».
Nicola Guiso
sindacale più vecchia della storia. E poi, cari miei, ti
scappa la voglia di votare. Ve lo dico chiaro, il primo
che mi viene a fare il solito discorsetto, tra cinque mesi, questa volta lo fanculeggio aspramente.
Abbocco da trent’anni ma mo’ basta con la tiritera del meno peggio. Adesso faccio come i russi dello
Zenit che si sono ammutinati perché i brasiliani che
hanno preso guadagnano più di loro. «Vogliamo lo stesso stipendio», hanno urlato. Bene, per farmi tornare la
voglia, mi dovete invitare per le vacanze ai Caraibi (io
non mi candido, quindi nessuno poi mi scasserà le balle) oppure regalarmi un Suv. Avrei pure un’altra richiesta, ma ogni tanto mia moglie legge questa rubrica.
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taz&bao
Via Cristo
arriva la schiavitù
«Tolto Cristo (intuì confusamente
Nietzsche) ciò che si eredita
dal cristianesimo è l’essere
di una razza inferiore, un negro,
un uomo che deve tutto alla
Dichiarazione del Diritti dell’Uomo».
Davide Rondoni prefazione a Arthur Rimbaud,
Una stagione all’Inferno, Rizzoli 2012
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| Jean-Leon Gerome, Mercato degli schiavi a Roma, 1884 circa, olio su tela, 92x74 cm, State Hermitage Museum, San Pietroburgo
GLI ULTIMI
SARANNO I PRIMI
L’ATTESA IN OSPEDALE
Il nodo dei destini di Niguarda
di Marina Corradi
M
ilano, ottobre. Ogni volta che ci passo davanti l’ospedale di Niguarda, alla pe-
riferia nord della città, mi sembra un altare; un imponente candido altare alla sofferenza, i marmi squadrati nella durezza dell’architettura littoria. Recentemente però ho scoperto che il vecchio ospedale ha un’ala tutta nuova:
luminosa, ampia, simile a un atrio di aeroporto, con bar e negozi, e vetrine accattivanti. Sopra agli sportelli i pannelli elettronici segnalano il numero del paziente
convocato; sì, pare proprio un aeroporto, con le indicazioni dei gates che chiamano i viaggiatori al loro volo. Io, ho in mano un bigliettino con su scritto: B55. Manca molto. Guardo nella folla le facce. C’è una giovane coppia con un bambino piccolissimo. Padre e madre sorridono fra loro; solo un controllo, e quei tre certo se
ne andranno subito di qui, verso una vita tutta da cominciare. Mi impensierisce
di più, davanti a me, una bella signora elegante, abbronzata. Indossa sobri ma rigorosamente veri gioielli, in mano ha una rivista che non apre nemmeno. Estrae
il cellulare e nervosamente digita un numero;
Questo aeroporto che ci smista ad
nessuno le risponde. Lei stropiccia in mano il
numero dell’attesa fino a appallottolarlo. Un
uno ad uno mi dà pena; sembriamo
che esame? La bella signora non vede
così soli. Tocca a me, ora; apro la mia esame,
nemmeno quelli che ha attorno.
busta con impazienza, leggo; poi,
E questi due, madre e figlio, con una valigia
soddisfatta, mi avvio svelta all’uscita e l’accento calabrese? Sembrano impressionati dal grande ospedale, dalla chiara efficienza,
dal veloce andirivieni della folla frettolosa. Guardano e riguardano, come temendo di scordarlo, il loro numerino. Il malato dev’essere il ragazzo, direi, da come la
donna lo guarda con ansia, e premurosa lo fa sedere. E si spengono e si accendono
i numeri sugli sportelli, e ognuno va verso il suo destino. C’è chi riceve una busta e
la apre in fretta, legge, e di buon passo se ne torna fuori, fra i sani. C’è chi viene indirizzato dentro al grande ospedale; e, inesperto, in quel labirinto esita, domanda
a un infermiere e quello allunga un dito: giù, per di là, in fondo, e indica un corridoio molto lungo e un po’ buio. In fondo, un ascensore chiude silenzioso le sue porte automatiche dietro allo sconosciuto. Che piano? Quale reparto?
Questo aeroporto che ci smista ad uno ad uno mi dà una strana pena; sembriamo, nell’incrocio dei destini, così soli. Tocca a me, ora; apro con impazienza la mia
busta, leggo; poi, soddisfatta come uno scolaro che ha passato un esame, mi avvio
svelta all’uscita.
Prima di allontanarmi però mi volto verso il grande altare bianco; mi sembra
che mi guardi indifferente. Come dicesse: vai pure, tanto, un giorno, qui dovrete ritornare tutti. Gente che va, gente che arriva a Niguarda, il verde che scatta, il tram
numero 4 che scampanella spazientito. Un vecchio cammina male, quasi cade. Io
dovrei essere contenta, e sono amara. (Trovo maledettamente difficile, lo ammetto,
riconoscere nelle mie giornate la concretezza di Dio. Per esempio, mi chiedo, oggi,
in questo nodo di destini in un grande ospedale, tu, esattamente, dov’eri?).
Sulla strada ormai buia mi viene in mente Agostino: «In interiore homine habitat Veritas». Nel gomitolo di destini di Niguarda lui in ognuno di noi, nel vertice
più profondo, strenua radice. Forse bisogna star zitti, e ascoltare. Per vedere davvero, forse occorre pregare.
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DIARIO
IN COLLABORAZIONE CON
CONDIVIDERE I BISOGNI, PER
CONDIVIDERE IL SENSO DELLA VITA
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