COLPEVOLE DI SOPRAVVIVERE - suicidio, lutto, amore -

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COLPEVOLE DI SOPRAVVIVERE - suicidio, lutto, amore -
COLPEVOLE DI SOPRAVVIVERE
- suicidio, lutto, amore -
- Respira piano- Respira piano- mi dicevo.
Entravo e uscivo, ad intervalli regolari, dal grande salone del pronto soccorso. Una
sorta di limbo, confuso e approssimativo anche nelle lenzuola: una zona di
decontaminazione ad un passo dal ricovero o dalla libera uscita. E ogni volta, un
attimo prima di accedere, una pausa del fiato, un tentativo goffo di sottomettere i
polmoni al mio volere, come un esercizio yoga da videocassetta.
Cercavo di stare in sintonia con il posto e di respirare come m’immaginavo lei
facesse. Sdraiata, seminuda e incosciente, su un lettino bianco latte, con orrendi
bordi di metallo graffiato e un lenzuolo che sembrava carta crespa, respirava
piano. A volte addirittura smetteva, restava 5 o 50 minuti senza un minimo
movimento e tutti i pensieri rimanevano lì, dentro di lei, a girare confusamente tra
stomaco, esofago, cuore. Il tentativo di suicidio era fallito per un nonnulla: io
credo perché avevo intuito, a 20 km di distanza, che la crisi nervosa di quei giorni
non avesse rimedio ma me lo dico da solo, nei momenti un po’ melanconici e di
stanchezza. In realtà è stata solo fortuna, coincidenza, destino, volere divino.
Ed ora eravamo lì, io e lei, in un dialogo incessante, muto, in mezzo a ossa rotte,
emorragie, pressioni basse. Intanto che discutevamo e litigavamo in silenzio, mi
sembrava che dalle tasche, dove tenevo manciate delle pastiglie che non aveva
fatto in tempo ad ingurgitare, si liquefasse un puré bianco come il lettino, fatto di
antidepressivi, ansiolitici, sonniferi; me lo sentivo scendere nelle mutande,
bagnarmi le cosce, afflosciarsi definitivamente nelle scarpe. Speravo fossero le sue
pastiglie ingurgitate a decine che, per miracolo emigrate dentro di me, sparivano
dal suo corpo.
Solo qualche ora dopo mi accorsi che era sudore.
- E la tua responsabilità qual è? – mi chiese l’amico caro e sensibile che
sempre appare in questi casi.
Mi sembrava di sognare: io sono quello che ha subito il tentativo di suicidio del suo
amore, io sono in lutto, io sono vittima, spero di avergli risposto. Forse non è
andata così però ricordo bene la sensazione che la parola ‘responsabilità’ non fosse
quella giusta; intendeva dire ‘colpa’, ma è, appunto, una persona sensibile.
Tutti gli sforzi dei mesi seguenti si concentrarono nel suo recupero e le mie colpe e
responsabilità rimasero serenamente, ottimamente all’ombra. Superata (non
dimenticata) con insperata efficacia la fase critica, arrivò il tempo della gioia, dei
ricordi ironici, della spensieratezza. Ora sembra tutto lontano e al tempo stesso
latente: un po’ come restare in costante vigilanza, questa volta da alleati, per
impedire al nemico di avvicinarsi. Ci sono le strategie difensive, abbiamo armi e
munizioni, risorse sufficienti per resistere ad eventuali assedi. Ma l’amico, se è
sincero, non demorde.
Colpa, misfatto, imprudenza, responsabilità, sconsideratezza, imperizia: parole
diverse usate per esprimere un unico pensiero. Sono responsabile di chi cerca di
uccidersi.
Non importa il fatto in sé, non è in discussione la causa: mi sento responsabile, nel
più profondo di me stesso, di chi cerca di allontanare la vita. È impossibile restare
indifferenti alla notizia di un suicidio, realizzato o fallito: non può che reagire il
sangue, il pensiero e l’umore. Se chi amo dice no alla vita, io c'entro.
E' in parte anche causa mia.
La sensazione dell’essere in colpa è gradatamente, incessantemente cresciuta in me
sino a diventare un pensiero lucido e razionale: -sono stato una concausa.Di attenuanti, difese e giustificazioni ne ho trovate a sufficienza, e onestamente ad
alcune credo sul serio, ma il risultato non cambia: sono quindi in lutto – perché
l’attesa di una probabile morte del proprio amore è una declinazione del lutto – e
con il senso di colpa che tranquillamente si trasforma in essere colpevole.
Senso di colpa e colpevolezza: un passaggio veloce, quasi automatico.
Chiesi sostegno (un altro passaggio di monumentale difficoltà) al gruppo di auto
aiuto per persone in lutto che avevamo da tempo attivato come Associazione
Maria Bianchi1 e quella fu l’occasione per condividere con i partecipanti non solo il
riverbero interiore di quel vissuto ma le variegate modulazioni dei sensi di colpa di
tutti. Ogni persona in lutto2 del gruppo ebbe l’occasione per raccontare,
sussurrando o vomitando, quel terribile macigno: ‘se solo quel giorno avessi
pensato a lui e non l’avessi fatto salire su quella maledetta moto’; ‘dovevo portarlo
subito all’ospedale, abbiamo aspettato alcune settimane, sembrava un malessere
da nulla’; ‘non le ho dato abbastanza, non l’ho amata come potevo fare’; ‘glielo
avevo promesso, era un viaggio che rimandavo da anni, aspettavo sempre
l’occasione migliore. Avevo fatto una promessa. Non l’ho mantenuta.’
Nel corso dei mesi successivi e dei contatti con numerose altre persone in situazioni
di lutto, incontrate direttamente, tramite telefono e con comunicazioni epistolari 3,
il vissuto di colpa è stato ampiamente confermato da un’altissima percentuale di
soggetti; le peculiarità con le quali si manifesta la colpa sono differenti:
1
Associazione Maria Bianchi – assistenza psicologica a malati terminale e persone in lutto: viale Libertà 32,
Suzzara (MN) 46029. Telefono e fax: 0376-532304
Web: www.mariabianchi.it; e-mail: [email protected]
2
Decesso del marito, della moglie, di un figlio, del padre, della propria famiglia, di entrambi i genitori per:
malattia cronica, incidente stradale, infarto, tumore, aids.
3
I servizi gratuiti di sostegno e aiuto alle persone in lutto che come Associazione abbiamo attivato sono: 3
gruppi di auto aiuto, colloqui individuali, SOS telefonico, comunicazione epistolare tramite mail e lettere postali
 il rimorso per non aver potuto dire tutto ciò che si serba nel cuore e nella
mente a dimostrazione dell’amore, della stima, della riconoscenza verso chi è
deceduto;
 l’amarezza per l’impossibilità di portare a termine progetti di vario tipo: un
viaggio, un acquisto, un’esperienza da condividere… e tutto ciò che
comporta il ‘fare’;
 l’angoscia dovuta al senso di incapacità/superficialità/incompetenza
correlato ad un evento specifico che è percepito come decisivo nel
determinare il decesso (permettere di andare in motocicletta di notte, non
aver dato importanza a malesseri, non essere stato tempestivo nel chiamare
soccorsi o nel cercare altre cure…);
 l’ira panica e feroce per: aver gestito male il tempo vissuto insieme,
esagerato con critiche e discussioni, sopravvalutato le apparenze e
sottostimato le ricchezze interiori del proprio caro.
CHE FARE?
La capacità di gestire il senso di colpa è uno dei passaggi elaborativi del lutto più
complessi da realizzare; è necessario infatti attivare una serie articolata di
modalità interiori di risposta che coinvolgono la dimensione psicologica dell’Io, gli
aspetti etici, i tratti comportamentali.
Innanzitutto:
- non reprimere le emozioni, qualunque esse siano: rimorso, amarezza,
angoscia, ira devono trovare diritto di cittadinanza nella nostra vita
defraudata dalla perdita di una parte di sé. Questo comporta cercare luoghi,
spazi, persone in grado di accogliere i pianti, le bestemmie, l’insostenibile
pesantezza dei giorni, l’inconsolabilità. Le emozioni più autentiche non
vanno allontanate da noi ma devono poter fluire e così facendo fuoriuscire;
ciò che ci opprime si modifica se trova occasioni per darsi agli altri: così
facendo infatti diminuisce d’intensità e di durata e allo stesso tempo
rappresenta la modalità con la quale continuare a desiderare e amare chi è
stato preda dell’ingiustizia della morte. Ecco allora che il senso di colpa, e
tutto ciò ad esso correlato, ha bisogno di momenti per ‘vivere’ nel confronto
con altri, nel racconto e nell’analisi, nella libera e pura espressione di sé.
Perché tutto questi si attui è necessario superare una duplice problematica:
1) conoscere persone singole, gruppi, servizi disponibili e in grado di
accogliere la nostra vita dolorante;
2) essere
intimamente
disponibili
a
cercare
aiuto
per
uscire
dall’emarginazione sociale e dall’isolamento esistenziale frequentissimi
dopo una perdita .
- Vivere totalmente il tempo che ci vuole. Le domande che ci facciamo sono
senza risposta: ‘’se avessi fatto…avrei potuto…’; sono questioni che hanno
la forza di logorarci internamente perché non ci saranno mai le soluzioni
consolanti e definitive che cerchiamo. Accogliere il tempo che scorre allora
significa vivere una vita paziente, che ospita e permette la non-risposta:
lungi dallo smettere di interrogarsi o di piangere, fare spazio in noi al
perdurare del tempo ci permette di diventare gradatamente persone pazienti
e indulgenti con se stessi.
- Analizzare i dettagli. Affrontare la situazione specifica dalla quale ha origine
il nostro senso di colpa. E’ vero, come sottolineato prima, che non
troveremo risposte definitive che ci scagionano e magicamente allontanano
da noi la colpevolezza ma è altrettanto certo che poter scomporre e
analizzare razionalmente i fatti aiuta. Cercare cioè di farsi delle domande:
‘se avessi cambiato ospedale avrei salvato la vita di mio figlio? Mi avrebbero
dato cure diverse? Avrebbero avuto percentuali maggiori di successo? E
queste cure davvero non c’erano dove ho fatto ricovero?’ E’ sorprendente
quanto, in molte situazioni, cominciare a farsi delle domande porti, tramite
un continuo approfondimento delle questioni, a conclusioni simili:
‘se è vero che potevo fare altro e di meglio è perché sempre e comunque ci
sono delle alternative’;
‘ciò che ho dato è tutto quello che sono riuscito a mettere in campo in quel
momento’;
‘il mio amore è stato certamente limitato ma anche sincero, modesto ma
anche adeguato’.
Rispetto alle precedenti modalità, ne esiste una ancora più determinante perché
riguarda la possibilità più evoluta di elaborare un lutto e quindi anche il senso di
colpa correlato: non il cercare di sostituire chi è morto legandosi ad altri, tentando
di distrarsi4 e neppure il far rivivere dentro di sé il defunto come una parte della
propria persona5 ma raccogliere l’eredità dei propri cari scomparsi, assumendoci la
responsabilità di vivere anche per loro.
Forse è questa la risposta che dovevo dare all’amico di prima quando chiese qual
era la mia responsabilità: non aver vissuto a sufficienza per chi ha tentato il
suicidio.
Il decesso del mio amore non avvenne e solo (!) per alcune ore vissi la possibilità
della sua morte, intanto che il mix chimico che si era creato al suo interno ancora
non permetteva di capire quali conseguenze avrebbe potuto portare.
Appena si svegliò, tutto fu chiaro: fortuna, coincidenza, destino, volere divino
avevano trovato un accordo positivo.
4
Le scelte distraenti sono quelle che più frequentemente vengono proposte dagli amici/parenti e che si
attivano in chi ha questa modalità di risposta al lutto: far passare il tempo senza pensare al lutto, uscire, cercare
nuove persone, ampliare gli hobby…..Il passaggio verso modalità distraenti più pericolose (perché le precedenti non
hanno funzionato) e inautentiche per l’individuo è più frequenti di quello che si crede: assumere tranquillanti,
sonniferi o anti depressivi, bere alcool, assumere atteggiamenti sessuali differenti da prima, mangiare
eccessivamente o pochissimo, prendere droghe.
5
Sono le due modalità più diffuse (distrazione e sostituzione) negli approcci intuitivi e spontanei alle
persone in lutto, nelle metodologie strutturate di intervento e nella letteratura scientifica: presentano naturalmente
molti aspetti efficaci se sono corrispondenti alla struttura dell’Io di chi sta vivendo la perdita.
Ma per un diverso, egualmente affascinante e certo più piacevole accordo, ci fu
data poi la possibilità di provare ugualmente l’esperienza di vivere ‘per’: pochi
mesi dopo iniziò la nostra prima gravidanza. Ora il figlio ha 15 mesi e, come tutti i
genitori innamorati, ci pare una meraviglia.
Si addormenta con il sorriso, si sveglia ridendo: - sai quanto ti amiamo? – gli
diciamo convinti che possa almeno intuire.
-Da morire-
Nicola Ferrari,
formatore e
responsabile servizi di sostegno
alle
persone
in
lutto
dell’Associazione Maria Bianchi
Volontari per l’assistenza relazionale alle persone in lutto
Telefono: 348 - 3623379
Viale Libertà, 32 Suzzara (MN) 46029
Codice fiscale: 014502002007
Sito Internet: www.mariabianchi.it
E-mail: [email protected]
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