la scienza è democratica?
Transcript
la scienza è democratica?
SOCIETÀ la scienza è democratica? R mocrazia. Sia, infine, per la necessità di costruire una società democratica della conoscenza. Insomma ha una valenza culturale e sociale enorme. sui vaccini non si vota Burioni e altri serissimi ricercatori sostengono che la «scienza non è democratica» perché le verità scientifiche, per quanto contingenti, non si votano a maggioranza. Che esistono delle competenze specifiche e sono queste e solo queste ad avere diritto di parola. Mentre in democrazia vale il principio «una testa un voto»: tutti hanno diritto di parola. È questo che rende la scienza «non democratica». Le argomentazioni sembrano dotate di una forza intrinseca: l’autoevidenza. Tutti votiamo per questo o quel partito, ma non 27 ROCCA 15 FEBBRAIO 2017 Pietro Greco oberto Burioni è un medico, professore di microbiologia e virologia all’università San Raffaele di Milano, che sta facendo uno straordinario lavoro nel denunciare le post-verità (una volta si chiamavano bufale) intorno ai vaccini e ad altri argomenti di tipo medico. La sua pagina Facebook è molto seguita. Cosicché molti sono rimasti colpiti da una frase lapidaria postata lo scorso 31 dicembre: «La scienza non è democratica». L’affermazione di Roberto Burioni ha ricevuto numerosi consensi, anche e soprattutto in ambito scientifico, da parte di persone rigorose che mal sopportano le post-verità. Ma è davvero così? Davvero scienza e democrazia sono irreparabilmente diverse? La risposta a queste domande è molto importante sia per la scienza sia per la de- SOCIETÀ tutti possono parlare con competenza di fisica delle alte energie, di chimica organica o di vaccini. La relatività generale continuerebbe a essere «vera» anche se la maggioranza della popolazione mondiale in un ipotetico referendum la dichiarasse «falsa». La scienza è, dunque, davvero non democratica per definizione? Niente affatto. Le differenze insanabili appaiono solo se diamo definizioni riduttive, quasi caricaturali, e della scienza e della democrazia. Mentre si assottigliano e quasi scompaiono se indaghiamo entrambe con un minimo di profondità. la «Repubblica della Scienza» ROCCA 15 FEBBRAIO 2017 Prendiamo la scienza. Molti dimenticano che essa non è una dimensione dello spirito, ma un’attività sociale. A fare scienza è una comunità (un insieme di comunità) dedita – scriveva John Ziman, fisico e attento analista della sociologia della scienza – a raggiungere un consenso razionale di opinione sul più vasto campo di argomenti possibili. L’aggettivo razionale fa riferimento ai due paradigmi epistemologici, ovvero al modo con cui lo scienziato produce nuova conoscenza: le «certe dimostrazioni» e le «sensate esperienze». Ma non bastano le correlazioni tra solide teorie e fatti empirici. Per fare scienza occorre un consenso d’opinione. Un consenso che è appunto, democratico. La relatività generale non diventa la nuova teoria della gravità quando Einstein la formula, sul finire del 1915. E neppure quando Arthur Eddington, con una «sensata esperienza», dimostra nel 1919 che è la teoria che spiega meglio i fatti noti. La relatività generale diventa la nuova scienza della gravità quando la comunità dei fisici raggiunge un consenso razionale di opinione sulla sua validità in un processo che ha un alto contenuto di democrazia. 28 In questo caso la «comunità dei fisici» è abbastanza indefinita. Non esiste infatti un albo dei fisici a cui ci si può iscrivere. Guglielmo Marconi ha vinto il Nobel per la fisica pur non avendo una laurea in fisica. Esiste nella pratica una comunità di chi svolge la ricerca fisica in maniera professionale. Ma, in teoria, alla comunità dei fisici appartengono tutti coloro che sono in grado di intervenire in maniera razionale nelle discussioni intorno alle «certe dimostrazioni» e ne accettano come dirimente la verifica empirica. Ma, al di là dei ragionamenti astratti, ci sono i valori che regolano la vita della comunità scientifica (delle comunità scientifiche). Li ha riassunti tempo fa un grande sociologo americano, Robert Merton, in un acronimo: Cudos. Dove C sta per comunitarismo (tutto deve essere comunicato a tutti); U per universalismo (tutti possono partecipare alla scienza a prescindere dal sesso, dal luogo di origine, dalla religione o dalle idee politiche); D sta per disinteresse personale; O per originalità e S sta per scetticismo sistematico (nella scienza non vale l’ipse dixit, tutto deve essere vagliato criticamente). Almeno quattro su cinque di questi valori sono profondamente democratici. Il quinto, l’originalità, non è una necessità della democrazia, ma neppure è un valore antidemocratico. La costituzione della scienza è, dunque, democratica. Non a caso quando si fa riferimento alla nascita della scienza moderna, nel Seicento, si parla di «repubblica» e non di «regno» della scienza. La «Repubblica della Scienza» è un’istituzione sociale intrinsecamente democratica. La scienza così come la conosciamo non esisterebbe senza questo suo carattere democratico. in cerca di un consenso razionale Ma ora puntiamo lo sguardo sulla demo- patologie e bufale È vero, molti fatti sembrano dire il contrario. Talvolta è successo che un governo o un parlamento abbiano votato o la magistratura abbia agito in contrasto con l’evidenza scientifica: si pensi al caso Sta- mina o, facendo un passo indietro, al caso Di Bella. Più in generale, pensiamo all’utilizzo che molti fanno delle rete: lanciando, senza competenza alcuna, strali o ingiurie o addirittura minacce a scienziati che hanno denunciato il caso Stamina o si battono per consentire ancora una controllata sperimentazione animale. Ma in questi casi non parliamo di democrazia. Parliamo di patologie della democrazia. Succede anche in ambito scientifico. Molti scienziati contravvengono alle norme mertoniane. Intere comunità possono raggiungere un consenso razionale di opinione su questioni sbagliate. Pensiamo ai fisici tedeschi che hanno seguito due premi Nobel, Philipp Lenard e Johannes Stark, nella denuncia di una presunta «fisica giudaica» rappresentata da Albert Einstein in contrapposizione a una pura «fisica tedesca». Oppure pensiamo ancora agli scienziati italiani che nel 1938 hanno sottoscritto il Manifesto della Razza in aperto contrasto con ogni evidenza scientifica. Anche in questi casi non parliamo di scienza, ma di patologie della scienza. Torniamo dunque al caso iniziale. Al professor Burioni che giustamente denuncia le post-verità (le bufale) di chi si oppone ai vaccini con un tambureggiante e sistematico intervento su ogni mezzo di comunicazione di massa, ma soprattutto in rete. Non siamo di fronte a una democrazia anti-scientifica. Siamo di fronte a una patologia anti-scientifica della democrazia. Una patologia seria. Che, tuttavia, può essere vinta non affermando la non democraticità della scienza, ma al contrario ribadendo la sua profonda democraticità. Il suo metodo di costruzione di un consenso razionale di opinione. Che può essere raggiunto solo per convinzione e non per contrapposizione. Pietro Greco dello stesso Autore pp. 124 - i 15,00 (vedi Indice in RoccaLibri www.rocca.cittadella.org) per i lettori di Rocca i 10,00 anziché i 15,00 spedizione compresa richiedere a Rocca - Cittadella 06081 Assisi e-mail [email protected] 29 ROCCA 15 FEBBRAIO 2017 crazia. Se la osserviamo potremmo definirla come una comunità (una nazione, per esempio) dedita costituzionalmente a raggiungere un consenso razionale di opinione intorno alla sua stessa esistenza. Dove il costituzionalmente ha anche un significato letterale, di scritto nella Costituzione. Anche la democrazia si fonda su «certe dimostrazioni» (il diritto) e su «sensate esperienze» (i fatti che accadono). Nessuna democrazia stabilisce né regole a casaccio né regole che cambiano con l’umore di un singolo. Questo accade nelle dittature, che per l’appunto, sono la negazione della democrazia. Anche la democrazia si fonda su valori come la trasparenza, la lotta a ogni discriminazione, il rifiuto dell’ipse dixit. Anche in democrazia si dice di un politico che è uno statista se il suo unico interesse non è quello personale, ma generale. Anche la democrazia, infine, riconosce il valore della competenza. E non solo perché uno dei tre poteri dello stato, quello giudiziario, è affidato a persone che sanno di diritto. Ma anche e soprattutto perché negli altri poteri dello stato, quello legislativo e quello esecutivo, la competenza è un valore. Chi fa le leggi e chi gestisce il governo deve trovare la migliore correlazione tra teorie e fatti, raggiungendo un consenso razionale d’opinione. Ne possiamo concludere, dunque, non solo che la scienza è democratica, ma anche che la democrazia è tale se ha un approccio scientifico.