Magazine - S.Anna Hospital
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N.14 - agosto 2013 Magazine SAH Magazine SOMMARIO 3 POLITICA SANITARIA Pianificare gli interventi Valorizzare l’eccellenza 12 Sinergie necessarie 13 Novità negli anticoagulanti 6 CONVEGNI Corso Istituzionale SIDV IX Congresso Fleboforum 15QUALITÀ Regione e DNV Italia promuovono il S.Anna 8 Il futuro è la Scleromousse 9 Biologia & Clinica 17 STILI DI VITA Staccare la spina per curare se stessi 10 Cellulite: non basta l’estetista 18 LO PSICOLOGO AL TUO FIANCO AVVISO IMPORTANTE PER I LETTORI www.santannahospital.it N.14 - agosto 2013 Magazine L’equipe medica del S.Anna Hospital, nell’intento di rendere sempre più veloci e proficui i contatti con i pazienti, chiede loro e/o ai loro familiari di voler fornire il proprio indirizzo di posta elettronica. Chi intende aderire a tale richiesta, può comunicare il suddetto indirizzo scrivendo direttamente a: info@ santannahospital.it S. Anna Hospital Magazine Viale Pio X, 111- 88100 Catanzaro Tel. 0961 5070456 Progetto grafico Il segno di Barbara Rotundo [email protected] Direttore Responsabile Marcello Barillà [email protected] Stampato in 27.000 copie presso Rubbettino print - Soveria Mannelli (CZ) Direttore Editoriale Giuseppe Failla Direttore Generale S. Anna Hospital Registrazione Autorizzazione Tribunale di Catanzaro n. 3 del 6 aprile 2009 postatarget magazine NAZ/571/2009 Direttore Scientifico Prof. Benedetto Marino Referente Medico Alfonso Agnino Direttore Dipartimento Chirurgia Cardiovascolare S. Anna Hospital 2 Chi non desidera ricevere il S.Anna Hospital Magazine può comunicarlo all’indirizzo [email protected] SAH Magazine Politica Sanitaria Pianificare gli interventi Valorizzare l’eccellenza Nel corso della seduta aperta del consiglio comunale di Catanzaro sulla sanità, il DG del S.Anna ha ribadito la necessità di realizzare la Rete dell’Emergenza A lla seduta aperta del consiglio comunale di Catanzaro, dedicata ai temi della sanità, ha portato il proprio contributo anche il Sant’Anna Hospital. Lo ha fatto per bocca del suo direttore generale, l’ingegnere Giuseppe Failla, il quale ha concentrato il suo intervento su due aspetti essenziali: la dimensione regionale del Centro di Alta Specialità del Cuore, che ha sede nel capoluogo ma accoglie pazienti da tutte e cinque le provincie e la necessità che in Calabria venga definita al più presto la Rete dell’Emergenza. Dopo avere ricordato che Catanzaro ospita altre due strutture al servizio dell’intera regione (l’Università Magna Graecia e la Fondazione Campanella), Failla ha sottolineato come «il Sant’Anna Hospital rappresenta una struttura di Alta Specialità nel senso propriamente tecnico ma soprattutto giuridico che la denominazione richiama. Quindi, non una struttura autoreferenziale che si arroga la libertà di autodefinirsi un’eccellenza ma una struttura in possesso dei requisiti organizzativi e funzionali esplicitati puntualmente nell’unico atto formale tutt’oggi in vigore sull’Alta Specialità e cioè il D.M. del 29 gennaio 1992. Tali requisiti - ha aggiunto di DG - oltre a definire un’Alta Specialità, concorrono nella sostanza a garantire i volumi di prestazioni che la qualificano come tale. Non è quindi casuale che il Sant’Anna Hospital registri una media di circa 4.200 ricoveri all’anno, con 1.000 interventi di chirurgia cardiaca, 800 di chirurgia vascolare, 3.200 di cardiologia interventistica ed elettrofisiologia e cardiostimolazione, 800 dei quali funzionali all’attività chirurgica. Il nesso strettissimo 3 SAH Magazine tra il volume di prestazioni e la qualità delle prestazioni stesse è ormai un punto fermo della cultura e della legislazione sanitaria. Basti pensare, giusto per rimanere ai fatti calabresi, al numero di Centri nascita chiusi proprio perché, in virtù del numero basso di casi, non garantivano ai pazienti gli standard di sicurezza necessari. Anche la distribuzione su base territoriale del numero complessivo dei ricoverati non è casuale - ha proseguito Failla. Dall’ultima rilevazione condotta, infatti, risulta che circa il 29% di que non raccontano lo scenario di integrazione funzionale tra strutture pubbliche e strutture accreditate, disegnato e regolamentato dal legislatore, bensì raccontano qualcosa d’altro, di non ben definito, suscettibile delle più diverse interpretazioni, anche le più arbitrarie e a volte anche strumentalmente maliziose. È dunque auspicio del Sant’Anna - ha detto Failla - che nel dibattito e nell’agire politico ma anche nelle cronache dei media, ai fini di una corretta informazione dell’opinione pubblica, si guardi al sistema sanitario complessivamente inteso come a un patrimonio comune, nel quale vi sono certamente problemi da risolvere, ritardi da colmare, sprechi da cancellare ma anche realtà i cui tratti distintivi sono quelli della professionalità, dell’acquisizione continua di conoscenza ed esperienza, della formazione del personale, dell’innovazione nella tecnologia e nelle metodiche di diagnosi e di cura». Insomma riorganizzare e razionalizzare il sistema sanitario è necessario ma le azioni finalizzate a questo obiettivo non possono prescindere dalla valorizzazione del migliore patrimonio esistente di strutture pubbliche e accreditate, da cui il sistema stesso muove. «Sotto quest’aspetto - ha detto ancora il DG - il S. Anna Hospital ha ritenuto coerente, apprezzandola, la scelta della Regione (operata a suo tempo nell’ambito della distribuzione dei posti letto alla sanità accreditata) di assegnare al Centro delle unità in più, che hanno tra l’altro consentito di affiancare alla Terapia Intensiva Chirurgica quella Cardiologica. Restano tuttavia ancora aperti e purtroppo irrisolti i problemi legati all’area dell’emergenza/ urgenza. Un’area tutt’altro che trascurabile, nella quale ricadono ogni anno una media di circa 800 ricoveri sui complessivi 4.200 che vengono effettuati al S. Anna Hospital. La Regione ha più volte manifestato, nel corso degli anni, la volontà di allestire una Rete dell’Emergenza che fosse razionale, efficiente ed efficace. Ma a quella volontà sono seguiti atti e comportamenti discontinui, talvolta contradditori, se non addirittura viziati da scarsa chiarezza ed eccessiva nebulosità. Il primo tentativo di collegare funzionalmente le strutture Spoke con quelle Hub, attraverso l’individuazione di aree di competenza definite e grazie alla mediazione del servizio 118 - ha ricordato Failla - si è in- loro proviene dalla provincia di Cosenza, il 25% da quella di Reggio Calabria, il 24% da quella di Catanzaro, il 13% da quella di Crotone e il 9% da quella di Vibo Valentia. I numeri, dunque, dimostrano inconfutabilmente come il Sant’Anna Hospital operi al servizio dell’intera collettività regionale, svolgendo peraltro le sue funzioni in regime di accreditamento istituzionale; il che ne fa un presidio efficace per la tutela del diritto alla salute dei cittadini calabresi, unitamente e soprattutto al pari delle altre strutture pubbliche». Una puntualizzazione, quest’ultima, necessaria, secondo il DG, «anche per sgombrare il campo dall’equivoco di definizioni sbrigative e superficiali, che sovente presentano una sanità privata quasi che questa fosse in rapporto di contrapposizione con quella pubblica; definizioni che dun4 SAH Magazine terrotto in corso d’opera. Di quella ipotesi, peraltro concretamente avviata con l’acquisto di attrezzature telematiche di cui anche il S.Anna Hospital è stato dotato, da un certo punto in poi non si è saputo più nulla. Il tema dell’emergenza/urgenza è tornato così in una dimensione di sostanziale indefinitezza, nella quale hanno preso corpo documenti programmatici ufficiali, cui però non hanno fatto seguito né tavoli di lavoro e confronto operativi, né tantomeno provvedimenti attuativi di ciò che era stato programmato. Questo, almeno, per quanto riguarda atti e fatti di cui il S. Anna Hospital ha contezza. Il documento di marzo 2012 sul riordino della rete ospedaliera, deliberato in applicazione dei precedenti indirizzi dell’ottobre 2010, indica infatti il S. Anna Hospital come possibile Hub di riferimento ma ha precisato il DG - al di là di qualche contatto informale con il Dipartimento della Salute o con la struttura del Commissario, nessuno, ufficialmente, ha inteso convocare il Centro di Alta Specialità del Cuore, né renderlo destinatario di alcuna comunicazione ufficiale. Eppure la Regione starebbe continuando il lavoro di progettazione della rete o almeno questa è la notizia che circola tra gli addetti ai lavori. Il Sant’Anna Hospital è consapevole che il suo ruolo non è quello di indirizzare le scelte dell’organo politico esecutivo in una direzione piuttosto che in un’altra. Potrebbe però certamente offrire il proprio contributo, in virtù del ruolo che svolge e che gli è stato riconosciuto prima di tutto dai pazienti e poi dalla comunità medico scientifica. Resta insoluto, quindi, il problema di quei circa 800 ricoveri effettuati ogni anno in regime di emergenza/urgenza. Il Sant’Anna Hospital - ha detto ancora Failla - ha continuato finora ad accogliere i pazienti inviati dalle diverse strutture ospedaliere presenti sul territorio regionale. Lo ha fatto e continuerà a farlo ogni volta che sarà necessario, in virtù di un principio etico cui l’ospedale non è mai venuto meno e che vede l’essere umano al centro della propria attività in quanto elemento fondante della sua stessa ragion d’essere. È stato così fin da quando nacque, oltre mezzo secolo fa e così sarà per il futuro, anche a costo di quei sacrifici economici che la Regione e l’Asp per prime conoscono bene. Anche a costo dell’incertezza totale nella quale le prestazioni in emergenza/ urgenza vengono assicurate. Anche a costo dei confronti, spesso estenuanti, che ne seguono e che appartengono a un’anomalia che probabilmente non trova riscontro in altre Regioni. Ma se tutto questo è frutto di un principio etico, appare altrettanto etico chiedere di sapere che a titolo questo lavoro viene svolto e auspicare di conseguenza un quadro di riferimento normativo certo. Sono questi gli elementi su cui la Regione non ha finora inteso fare chiarezza, così come da anni resta ancora inevasa la richiesta del Sant’Anna Hospital di vedere riconosciuto in atti quel servizio di pronto soccorso cardochirurgico che la struttura espleta nei fatti, 24 ore al giorno e per 365 giorni all’anno. È il caso di ribadire da ultimo, però - ha concluso il DG - che nell’atteggiamento del Sant’Anna Hospital non vi è spirito polemico, né intento di forzare la mano ad alcuno. Resta in ogni caso singolare e difficilmente comprensibile una situazione ambigua, nella quale il Centro svolge di fatto un ruolo che all’occorrenza torna utile ma del quale ci si dimentica un attimo dopo che è stato svolto e per di più ai livelli di qualità che nessuno, almeno a parole, si dice disposto a non riconoscere». 5 SAH Magazine CONVEGNI Corso Istituzionale SIDV IX Congresso Fleboforum Il S.Anna Hospital per la seconda volta ha riunito il gotha dell’angiologia italiana. Elia Diaco: «In Calabria, finalmente, “facciamo scuola” » S ono stati due giorni di lavoro intensi e ricchi di contenuti, partecipati da congressisti giunti da ogni parte della Calabria ma anche da Lazio, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia. Il S. Anna Hospital di Catanzaro, per la seconda volta, ha messo insieme il gotha dell’angiologia italiana, dopo il convegno dello scorso anno su “Clinica e ultrasuoni in patologia vascolare”. Erano due gli eventi in programma a San Nicolò Ricadi. «Innanzi tutto - spiega il dottor Elia Diaco, organizzatore dell’appuntamento e respon- sabile dell’ambulatorio di Angiologia dell’ospedale - il Corso Istituzionale di aggiornamento sulla diagnostica a ultrasuoni promosso dalla SIDV, la Società Italiana di Diagnostica Vascolare; un’iniziativa che tocca ogni volta una regione diversa e che in questo caso ha visto la Calabria come punto di aggregazione dei colleghi delle regioni del centro sud. Abbiamo presentato tutte le novità in campo tecnologico per quanto riguarda la diagnostica vascolare e l’Eco Color Doppler in particolare. Un ambito in continua evoluzione: 6 al congresso, infatti, si è vista una novità pressoché assoluta e cioè l’Eco Color Doppler che ci consente di disporre di una visione in 4D piuttosto che quella bidimensionale. Un’innovazione che ci permetterà di navigare all’interno del vaso e valutare così le diverse tipologie di placca eventualmente presenti. Con questa tecnologia, non sostituiamo certo l’Angiotac ma i risultati finali cominciano a poter essere comparati. Il secondo evento - continua Diaco - è stato il IX Congresso Nazionale Fleboforum, che lo SAH Magazine scorso anno si è tenuto a Napoli e che nel 2013 è approdato in Calabria. L’assise ha visto insieme il meglio della flebologia italiana, eminenti personalità che hanno illustrato le novità terapeutiche in questo ambito della medicina. Di particolare importanza, quelle sulla pannaculopatia, comunemente conosciuta come cellulite, una malattia che ha un dato epidemiologico importante soprattutto al sud. L’importanza del Congresso risiede nel fatto che oltre alle figure mediche, sono stati coinvolti i fisioterapisti e più particolarmente gli infermieri, profili professionali interessati al tema dei bendaggi, un aspetto importante nel trattamento di queste patologia. Significativa, nella seconda giornata di lavori, la presenza degli studenti universitari che hanno avuto una straordinaria opportunità di arricchimento della propria formazione. Possiamo dire - conclude Diaco - che grazie a eventi come questi, la nostra regione esce definitivamente da una sorta di anonimato. Non perché nel tempo non abbia espresso personalità di alto valore medico nel campo dell’angiologia, anzi tutt’altro. Finora però non eravamo riusciti a fare, come si suol dire, “scuola”; non eravamo cioè riusciti a creare momenti di confronto e di approfondimento corale, che fossero al contempo formativi e informativi per i colleghi e dessero loro l’opportunità di un contatto diretto con il meglio dell’angiologia italiana, sia ospedaliera e sia universitaria. Il fatto poi che questo risultato si riesca a coglierlo grazie al S. Anna Hospital e alla sua vocazione ad andare al di là delle sole attività di diagnosi e cura, ci inorgoglisce molto come medici ma soprattutto come calabresi. Il S.Anna è stato e rimane indiscutibilmente un punto di riferimento e di eccellenza per quanto riguarda la chirurgia cardiovascolare ma lo sta diventando anche per 7 quanto riguarda l’angiologia. Questo è dimostrato dai numeri che registriamo ogni giorno in reparti e ambulatori ma anche certificato dalle maggiori società mediche che ci riconoscono il lavoro fatto e portato avanti negli anni ». La SIDV, Società Italiana di Diagnostica Vascolare, organizza ormai da qualche anno vari eventi istituzionali, definiti così proprio perché il sodalizio medico crede fortemente nell’attività formativa. «Una formazione - spiega il presidente, Pier Luigi Antignani - che sia mirata, controllata, di alto livello, destinata agli specialisti ma anche ai medici di medicina generale, ovviamente a secondo del target che caratterizza i diversi eventi. Cerchiamo sempre di dare una corretta informazione per poter svolgere al meglio l’attività diagnostica e di conseguenza dare un’indicazione terapeutica di alta qualità perché, in ogni caso, il paziente chiede questo e cioé uno specialista la cui for- SAH Magazine mazione sia di alto livello». La scelta della SIDV di tenere un evento istituzionale in Calabria, però, si riempie inevitabilmente di ulteriori significati, perché si tratta di una regione il cui sistema sanitario è spesso, a torto o a ragione, sotto i riflettori. «È la sanità italiana in generale che in questo momento sta soffrendo - osserva però Antignani - anche se regioni come la Cala- bria, così estese e con realtà così diverse tra loro secondo le varie province e le varie situazioni, sono sicuramente più difficile da gestire. Uno degli scopi di questo evento è stato proprio quello di coagulare qui le presenze di tutte le realtà specialistiche calabresi (ma non solo) e dai nomi di relatori e partecipanti, penso che abbiamo fatto un bel lavoro e che lo abbia fatto soprattutto il collega Elia Diaco. Le presenze di colleghi giunti davvero da ogni angolo della regione mi danno molta gioia, perché significa un buon punto di partenza per lavorare tutti insieme; significa qualcosa che poi si riflette sui pazienti e sul servizio che offriamo loro come specialisti delle patologie vascolari». una sclerosi della vena e ridurre la vena stessa, appunto senza alcun intervento chirurgico». La Scleromousse costituisce un’alternativa anche sul piano dell’efficacia? «Sicuramente sì. Del resto, anche l’intervento chirurgico può dare luogo a recidive. Sono proprio queste ultime la problematica maggiore della malattia varicosa; a distanza di uno, due o tre anni, le vene varicose possono rivenire fuori e quindi la persona deve sottoporsi a un nuovo trattamento. È ovvio che se disponiamo di uno non invasivo, che non necessita di anestesia, che può essere fatto in ambulatorio, che ha dei costi Il futuro è la SceloromOusse Gianluigi Rosi, angiologo a Perugia, è cono- sciuto in Italia come uno dei maggiori esperti di “Scleromousse”. «È una tecnica innovativa spiega - messa a punto nel 2000, alla quale solitamente dico che si potrebbe conferire il Nobel. Perché ci consente di fare una sclerosi delle vene anche fino a un diametro di 1,5 cm. In altre parole, invece di sottoporre la persona a un’operazione, possiamo, attraverso una iniezione, indurre 8 SAH Magazine più che ragionevoli, tutto questo va incontro alle esigenze del paziente a parità di risultati, anzi direi anche con risultati migliori. In più, la Scleromousse consente di fare trattamenti a individui con più di settant’anni, un’età in cui l’intervento chirurgico può porre più di un problema». Il livello di gravità della patologia è una variabile che condiziona la possibilità di utilizzare la Scleromousse? «No, può essere utilizzata in qualunque caso. Può dare qualche effetto collaterale di fastidio, dolore, bruciore, che si protrae per qualche giorno. Ma sicuramente un conto è fare un’iniezione direttamente in vena e un altro è sfilare la vena stessa come azione meccanica». Il gesto chirurgico quindi scomparirà dall’orizzonte della patologia? «Per quelle che sono le mie indicazioni, è già scomparso da sette anni. È comprensibile che chi ha fatto da sempre chirurgia abbia difficoltà ad andare verso questo nuovo tipo di procedura, perché occorre saper fare un’ecografia, il gesto che si compie non è chirurgico ma si inietta una BIOLOLOGIA & CLINICA All’impegno della comunità medica, sul tema delle vene varicose, fa da contraltare quello della ricerca. A Capo Vaticano, Ferdinando Mannello del dipartimento di Scienze Biomolecolari dell’università “Carlo Bo” di Urbino ha svolto una relazione sulle metallo proteasi di matrice e sul lo- sostanza in vena… Insomma, per un operatore di vecchia scuola è un po’ più difficile accettare il cambiamento, non è certo difficile per i chirurghi più giovani». Quali sono oggi le prospettive di sviluppo della Scleromousse? «Sicuramente come in tutte le metodiche ci saranno affinamenti. Basti pensare, ad esempio, a come in questi anni abbiamo incrementato progressivamente il diametro delle vene su cui riusciamo a intervenire. Siamo partiti da diametri di appena 4, 6 mm e oggi trattiamo vene che arrivano fino a un centimetro e mezzo» . Possiamo dire infine che la Scleromousse, a parte gli aspetti medici, semplifica la vita al paziente? «Certo. L’individuo che si sottopone a questo trattamento, fatta eccezione per gli sforzi fisici veri e propri, di fatto il pomeriggio successivo continua la normale attività. Quella fisica, ripeto, dovrà sospenderla per qualche giorno ma per il resto, la persona può continuare a fare il suo lavoro». ro ruolo nella malattia venosa cronica. « Le metallo proteasi di matrice - spiega il cattedratico - sono degli enzimi che degradano le proteine; quest’azione fisiologica viene effettuata in tutti i tessuti, quindi compresa la parte dei vasi sanguigni, sia arterie e sia vene. In presenza di determinati fattori come infiammazioni, degenerazione di un tessuto, alterazioni della funzionalità di questo tessuto, le metallo proteasi scatenano 9 la loro attività ben oltre i livelli normali. A questo punto, l’eccessiva capacità di degradare le proteine porta a un danno grave del tessuto. Un percorso, chiamiamolo così, può essere: scompenso della pressione arteriosa, danno sui vasi, attivazione delle metallo proteasi, degrado eccessivo delle proteine. Ciò determina una vena sempre meno rigida e meno strutturata in maniera classica ed ecco che si genera una vena SAH Magazine varicosa. Su questo percorso, si va ad appoggiare, peggiorando la situazione, un reperto infiammatorio, con alcune sostanze che si chiamano interleuchine e che sono dei mediatori, fanno cioè da tramite tra la fisiologia e l’infiammazione stessa. Quest’ultima porta ovviamente ad avere un peggioramento perché richiama globuli bianchi, crea una vasodilatazione, determina tutta una serie di fenomeni a cascata. Aver scoperto che le metallo proteasi da una parte e le interleuchine dall’altra lavorano insieme in sinergia per generare la patologia della varice, che aggravandosi può arrivare fino all’ulcera venosa, significa non solo avere individuato i meccanismi con cui nasce ed evolve la malattia ma soprattutto aver individuato dei target terapeutici cioè dei bersagli, che pos- sono essere raggiunti e bloccati attraverso dei farmaci». All’università di Urbino, uno di questi è stato studiato in particolare. «Si chiama Suledexide (Vessel) - spiega Mannello - ed è una complessa miscela di componenti, che sono normalmente presente nei nostri tessuti, si chiamano Glicosaminoglicani. Questa miscela, che è naturale, da una parte ferma l’attività proteolitica e quindi vengono inibite le metallo proteasi, dall’altra parte blocca il reperto infiammatorio, fa in modo cioè che le interleuchine, mediatori dell’infiammazione, non siano più attive. Bloccare questi due elementi significa aver trovato uno dei possibili target terapeutici (speriamo di aggiungerne altri), in modo da fermare la malattia nelle prime fasi e non creare una cura quando ormai la malattia è conclamata, degenerata, diventata grave, con costi sanitari altissimi, con sofferenze personali elevate, con una qualità della vita peggiorata. Oggi, la nostra attenzione è concentrata sulla precocità. Vogliamo cioè approfondire ricerche e conoscenze in stadi precoci. La collaborazione di noi biologi con i clinici che fanno analisi, clinica e strumentale, ha lo scopo di identificare dei target e dei farmaci efficaci quando ancora i danni provocati dalla patologia non sono così gravi, in modo tale da bloccarne l’evoluzione. Questa è una speranza che nutriamo, anche perché oggi abbiamo delle buone basi per poterlo puntare anche a questo risultato. Da questo punto di vista, considero molto utile e fecondo il confronto che abbiamo potuto avere qui in Calabria». che affligge molte donne e dunque la cosmesi e l’istituto di bellezza ma in realtà - e senza nulla togliere alla dignità dell’una e dell’altro - ci troviamo di fronte a una vera e propria patologia. «Parliamo - spiega Allegra - del sintomo di una malattia o di un abito costituzionale. La cellulite è appunto un abito del Mediterraneo, nel senso che le nostre donne, dal centro sud Italia e fino al nord Africa hanno questo abito costituzionale, caratterizzato generalmente da un CELLULITE : NON BASTA L’ESTETISTA Agli incontri di Capo Vaticano, un intervento molto atteso era quello del professor Claudio Allegra (primario emerito di Angiologia presso l’ospedale S. Giovanni Addolorata di Roma) sulla cellulite. Il termine fa venire in mente per prima cosa la dimensione estetica del problema 10 SAH Magazine attente alla cura del proprio corpo, è anche vero che c’è chi invece si lascia andare, inconsapevole di correre dei rischi. «Oltre a quello estetico spiega Allegra - c’è il rischio di non deambulare bene. C’è una sofferenza legata a implicazioni vascolari che risentono anche dei cambiamenti climatici improvvisi. Si imbibisce il grasso a livello di cosce e ginocchia, e questo spinge a camminare in modo innaturale per evitare che le gambe si urtino tra loro; da qui il vagismo, che nel tempo provoca artrosi dell’anca o del ginocchio e dunque si passa da un disturbo gestibile come la cellulite a una vera e propria malattia della deambulazione». Occorre dunque attenzione, senza allarmismi inutili ma anche senza valutazioni superficiali, soprattutto quando si tratta di affrontare il problema. La domanda allora, come si dice in questi casi, sorge spontanea: studio medico e centro estetico o istituto di bellezza sono tra loro complementari, in concorrenza o, peggio ancora, in conflitto? «Sono complementari - risponde il professore. Occorre che ci sia prima di tutto una cognizione medica vascolare della malattia e poi, ricevute le necessarie indicazioni mediche, anche l’estetista può giocare un ruolo. A queste condizioni, le due figure diventano un duo inscindibile che produce benefici per paziente. Ci vuole collaborazione cosciente e culturalmente indotta». busto stretto e da gambe che tendono invece a ingrossare. La cellulite è un fenomeno che si lega a una situazione ormonale peculiare; è una forma ereditaria, quindi familiare, che bisogna cercare di bloccare prima che le gambe da belle e tornite, magari un po’ ricche di acqua, diventino gambe con cellulite a grossi nodi. Questa patologia - continua il professore - si abbina a dei disturbi correlati, genetici o familiari anch’essi, come pressione bassa, stato di ansia, ritenzione idrica, facilità di formazioni cistiche ormonali, che colpiscono spesso il seno o le ovaie o la tiroide ma presenta anche una facilità alle dermatiti allergiche o a contatto. Dunque si tratta di sintomi che rientrano in un quadro generale. Purtroppo, però, la cellulite è stata per così dire decontestualizzata. Oggi se n’è fatto un problema a se stante, per motivi un po’ di scarsa cultura e un po’ di convenienza, perché se la patologia viene scissa dai caratteri generali costituzionali e familiari, diventa una malattia da curare prescindendo da tutto il resto. Insomma, un abbonamento quotidiano, a vita, presso il cosiddetto medico estetista anzi estetico. In realtà le indicazioni giuste, più che sul piano terapeutico su quello delle sane abitudini di vita, dall’attività sportiva all’alimentazione al massaggio, sono il sistema migliore per avere gambe “nostrane” e basta». Ma se è vero che di solito le donne sono 11 SAH Magazine SINERGIE NECESSARIE A maggio dell’anno scorso, in occasione del convegno “Clinica ed ultrasuoni in patologia vascolare”, organizzato dal S.Anna Hospital, il professor Stefano De Franciscis era stato esplicito nel dirsi convinto dell’opportunità di integrare le attività esclusivamente ospedaliere con quelle di formazione universitaria. Nel 2012, il direttore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Vascolare del policlinico Mater Domini di Catanzaro aveva quindi deciso di utilizzare i lavori di quel convegno nell’ambito della sua attività di docente. Quest’anno, a Capo Vaticano, De Franciscis si è addirittura portato dietro gli allievi, confermando così quella sua valutazione iniziale. «Valutazione che resta positiva - dice - perché positivi sono i suoi risultati. Il fatto che oggi qui ci siano tutti gli specializzandi della nostra università per partecipare ai corsi di formazione organizzati da società scientifiche ma soprattutto organizzati dall’esperienza ospedaliera, sia pubblica, sia accreditata, è la testimonianza che nella realtà queste sinergie non sono solo necessarie, come preventivavamo l’anno scorso ma sono utili. I risultati - continua De Franciscis - si vedono, cominciano a vedersi, al punto che stiamo cercando e probabilmente dall’anno prossimo ci riusciremo, di rendere sinergici non solo i saperi ma anche le strutture. Intendiamo cioè chiedere la disponibilità alle strutture ospedaliere, più a quelle accreditate che a quelle pubbliche, di partecipare ai percorsi formativi offrendo le sedi per la formazione. Un esempio per tutti è proprio il S.Anna, dove lavora un gruppo di eccellenza in chirurgia vascolare e con il quale già oggi i nostri specializzandi svolgono attività formative. Ebbene, è mia intenzione chiedere, oltre alla disponibilità delle competenze di singoli 12 docenti anche quella di spazi fisici dove fare formazione, in modo che ci sia un percorso formativo universitario sviluppato e strutturato all’interno dell’ospedale. Riuscire in questo, sarebbe proprio come fare un gran goal, perché la Calabria sarebbe la seconda regione dopo l’Emilia a dar vita a un’esperienza simile, visto che le altre regioni si tengono lontane da questo tipo di commistione». Quest’ultimo dato conferma la difficoltà di dialogo tra istituzioni sanitarie, che già lo scorso anno De Franciscis aveva messo in evidenza. «Permane una difficoltà culturale - conferma il professore - perché ancora oggi in molte parti d’Italia si ritiene che l’ospedalità accreditata solo perché privata sia un’ospedalità esclusivamente commerciale e quindi, un certo senso, non meritevole di formare né di essere riconosciuta come eccellenza ma questo non è assolutamente vero. In Calabria è stato più facile dimostrarlo perché ci sono poche realtà operative, quindi è age- SAH Magazine vole il confronto ed è semplice la verifica di quello che succede e di come si lavora. Ma in realtà è così in ogni altra parte d’Italia; il panorama della sanità è cambiato. Oggi gran parte di quella d’eccellenza è privata non è più pubblica; esistono certamente le grandi strutture pubbliche ma in una congiuntura in cui c’è la necessità di un controllo della spesa, le strutture pubbliche spesso faticano. Le strutture private, invece, riescono ad avere una migliore qualità della spesa, dando un servizio che complessivamente è migliore perché di buon livello tecnico ma contestualmente anche di buon valore economico e così diventano un’eccellenza. Stiamo cavalcando questa tigre - continua De Franciscis - per sdoganare (anche se il termine è antipatico) il concetto che “privato uguale commerciale” per farlo diventare “privato uguale eccellenza” e in questo un ruolo pieno lo gioca sicuramente la formazione». E di formazione, a capo Vaticano, gli specializzandi dell’università Magna Graecia ne hanno avuta ai massimi livelli. Una parte dell’evento, infatti, è stata de- dicata fondamentalmente alla diagnostica delle malattie vascolari fatta con gli ultrasuoni e quindi Doppler, Color Doppler ed ecografi. Gli specialisti venuti da ogni parte d’Italia per il convegno hanno accettato di buon grado di fare delle lezioni vere proprie, spiegando non solo i metodi più moderni nell’utilizzo delle apparecchiature ma anche i settaggi più raffinati, cioè le migliori regolazioni delle apparecchiature stesse per ottenere il rendimento più efficace e quindi i migliori risultati sul piano diagnostico. no meccanismi d’azione completamente diversi rispetto a quelli attualmente in uso e che consistono nell’assunzione orale a dosi prevedibili e fisse, in modo da non richiedere quel controllo periodico in laboratorio che, per esempio nel caso dell’assunzione di Cumadin, è indispensabile ogni due o tre settimane per lo meno. Questa routine rappresenta sicuramente un disagio per il malato. In anni recenti, sono state messe a punto modalità per rendere meno complicata la vita del paziente: penso ad esempio all’auto regolazione del farmaco, basata sull’esame di laboratorio fatto in farmacia o addirittura a casa, comprandosi l’apparecchio apposito. Ma nono- NOVITÀ NEGLI ANTICOAGULANTI Non è facile la vita di quei malati costretti ad as- sumere anticoagulanti, soprattutto per via dei frequenti e regolari controlli di laboratorio cui debbono sottoporsi. Aspetti ben conosciuti da Gualtiero Palareti, direttore dell’Unità Operativa di Angiologia e Malattie della coagulazione al policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna, che al convegno Sidv ha parlato proprio di farmaci anticoagulanti. «Ci sono delle novità - spiega Palareti. Si tratta di nuovi farmaci diretti, che han13 SAH Magazine stante queste facilitazioni, l’enorme numero di pazienti anticoagulati nel mondo richiede dei farmaci più semplici, più gestibili, in modo da evitare comunque i controlli ripetuti e frequenti. La risposta è negli anticoagulanti diretti di cui dicevo all’inizio. Tali farmaci - continua Palareti si rivolgono inizialmente a pazienti che fanno la terapia per una condizione di fibrillazione atriale ma abbiamo già numerosi studi che dimostrano la loro utilizzabilità in soggetti che sono andati incontro a trombosi venose profonde o embolia polmonare, patologie frequenti nella nostra popolazione, soprattutto anziana e che richiedono un trattamento anticoagulante. Questi nuovi farmaci possono essere usati pressoché direttamente al momento della diagnosi o anche a lungo termine. Hanno dimostrato di essere sicuri quanto quelli utilizzati fin qui e al tempo stesso di essere efficaci quanto il farmaco anticoagulante di riferimento. È chiaro che anch’essi espongono al rischio emorragico; ci possono essere situazioni in cui è indispensabile una valutazione di laboratorio per verificarne gli effetti ma non sarà il famoso INR (l’indagine per calcolare i corretti livelli terapeutici di farmaci come il Cumadin, ndr) che finora hanno dovuto fare tutti i pazienti. Saranno test diversi, fatti solo se necessario e non routinariamente. Quindi un passo in avanti che migliora la qualità della vita e tende anche a superare certe problematiche organizzative dei sistemi sanitari, legate appun- to alla necessità dei controlli periodici e all’adattamento della terapia. Questi nuovi farmaci non sono ancora disponibili in Italia ma lo saranno tra poco. Ribadisco che miglioreranno la qualità della vita ai pazienti anche se porranno nuovi problemi ai quali dovremo abituarci, sui quali riflettere per adattare le nostre conoscenze all’uso pratico. Gli studi clinici, infatti, sono una cosa ma poi occorre verificare se e quali problemi possono esserci nella nostra popolazione, che è spesso anziana e ha le sue specificità». Dunque, una vita più semplice per il soggetto sottoposto a terapia anticoagulante. Palareti però “frena” sull’ipotesi di una pressoché totale autonomia del paziente, come accade ad esempio per i diabetici. «È possibile che non vi sia più la necessità di controlli così frequenti come accade ora - spiega - ma non dovrebbe essere possibile autoregolarsi la terapia. A differenza delle terapie per il soggetto diabetico, infatti, queste sono fisse; è fondamentale indurre il paziente a essere aderente alle prescrizioni e a mantenere la terapia, perché dimenticarsi della medicina o ridurla può portare a un rischio. Questi farmaci sono molto rapidi nel fare effetto ma esso svanisce altrettanto velocemente se non si assumono con regolarità. A una diminuzione dei controlli, dunque, corrisponde un contatto più intenso col medico, che deve dare le istruzioni giuste per una terapia che va fatta e va fatta bene». 14 SAH Magazine QUALITÀ Regione e DNV Italia promuovono il S.Anna Il Centro di Alta Specialità del Cuore ha superato brillantemente le verifiche per il rinnovo della Certificazione di Qualità e sulla Check list in sala operatoria L o scorso mese di giugno ha fatto segnare due importanti risultati positivi per il Centro regionale di Alta Specialità del Cuore. Le verifiche del Dipartimento regionale per la Tutela della Salute sull’adozione della check-list in sala operatoria e quelle dell’Ente certificatore per il rinnovo della Certificazione di Qualità sono state infatti superate con successo. La check-list in sala operatoria è uno strumento a garanzia della sicurezza del paziente. Essa è costituita da un insieme di verifiche e adempimenti, che garantiscono l’abbattimento della percentuale di rischio operatorio. È opinione condivisa delle Organizzazioni internazionali della sanità che l’uso sistematico della check-list in sala operatoria contribuisca ogni anno a salvare la vita di milioni di persone nel mondo. L’obbligo di utilizzarla è scattato in Calabria dal 1 gennaio 2013 successivamente a due decreti del presidente della Giunta Regionale. Ma gli ispettori del Dipartimento hanno avuto modo di verificare che in realtà il S.Anna utilizza la check-list in sala operatoria già dal 2011, dopo avere formato il personale interessato al tema anche con la collaborazione del dottor Alessandro Ghirardini della Direzione Generale Programmazione Sanitaria del Ministero della Salute, responsabile del Progetto Sicurezza in sala operatoria per la diffusione della check-list nelle strutture sanitarie italiane. Da qui le conclu- sioni degli ispettori regionali, dalla cui verifica è emerso che il S.Anna dedica “una attenzione alta alle tematiche della qualità e gestione del rischio clinico”. Questo risultato è frutto della lungimiranza del direttore sanitario, Gaetano Muleo, che con largo anticipo ha avviato a suo tempo il processo di introduzione della check-list. «Le scadenze di legge - commenta oggi il DS - vanno sicuramente rispettate ma in sanità, quando si ritiene che i processi siano maturi, si va avanti nell’interesse del malato e a prescindere dalle scadenze. Nel 2010, noi pensavamo che l’uso della check-list fosse a tutto vantaggio dei pazienti; abbiamo verificato che c’era la disponibilità del personale a ricevere la formazione necessaria e quindi siamo partiti con il lavoro perché non c’era motivo di rinviare oltre. Esserci trovati pronti con due anni di anticipo sulla scadenza imposta in un secondo momento dalla normativa regionale è stato, per così dire, un effetto collaterale positivo ma a noi 15 SAH Magazine premeva innanzi tutto la sicurezza del paziente. La check-list, infatti, serve a verificare tutto ciò che in una sala operatoria può apparire scontato. Ma proprio perché siamo in una sala operatoria, niente deve essere dato per scontato: dall’identità del malato alla sterilizzazione dello strumentario, dai tempi di somministrazione degli antibiotici nel pre-operatorio a tutta una serie di altri elementi. Deve esserci insomma la certezza che tutto sia come deve essere e questa certezza non può che venire da protocolli di comportamento e di procedura puntualmente descritti, certi e fissati punto per punto; protocolli a cui il personale deve attenersi rigorosamente ad ogni intervento. Può apparire banale ma non lo è affatto; altrimenti il ministero della Salute non si sarebbe preoccupato di approntare un progetto nazionale per l’adozione della check-list. Il punto è che generalmente, in sala operatoria, il livello di attenzione è sempre e comunque alto; ma un conto è che quel livello sia legato al senso di responsabilità personale di ciascun operatore e alla sua esperienza; un conto è che quel livello sia garantito da un protocollo da seguire, la cui applicazione dovrà essere verificabile in qualunque momento per accertare che ognuno abbia svolto esattamente il compito che è chiamato a svolgere. La check-list - conclude Muleo - è dunque una sicurezza in più per il malato ma è anche uno strumento per elevare il grado di integrazione del lavoro di équipe. Ognuno sa perfettamente quello che fa e sa perfettamente quello che fanno gli altri. Per noi al S.Anna, questo è un dato di primaria importanza, perché è proprio il gioco di squadra che produce la prestazione di qualità per il paziente». Oltre alle verifiche sull’adozione della check-list, il Centro regionale di Alta Specialità del Cuore ha anche superato quelle per il “rinnovo” della Certificazione di Qualità ai sensi della norma ISO 9001:2008. Ciò significa che il S.Anna ha passato non il normale test annuale ma il riesame triennale, ben più impegnativo. I verificatori di DNV Italia, l’Ente certificatore con sede a Oslo, anche in questo caso non hanno registrato anomalie di 1° grado, quelle cioè relative al mancato rispetto della normativa cogente, né anomalie di 2° grado, quelle di gravità inferiore ma da rimuovere comunque, per evitare che possano diventare di 1° grado. Tra le positività segnalate nel report finale: l’impegno costante in termini di investimento ai fini dell’ammodernamento delle infrastrutture e degli ambienti, nonché l’accreditamento di eccellenza, ottenuto dall’Ambulatorio di Angiologia, secondo i criteri stabiliti dalla Siapav, la Società Italiana di angiologia e patologia vascolare. Molto apprezzata anche l’attività convegnistica del S.Anna, con particolare riferimento a quella su procedure cliniche e diagnostica in chirurgia vascolare cardiochirurgia. 16 SAH Magazine STILI DI VITA Staccare la spina per curare se stessi Un periodo di vacanza lontano dalla routine quotidiana si rivela un toccasana per la salute. Inoltre, riduce sensibilmente il rischio di infarto o ictus M tarsi significa che il cuore lavora di più per pompare il sangue che si fa più denso proprio in mancanza d’acqua. Per i fortunati che invece possono permettersi di chiudere casa per andare in vacanza, il consiglio di prendersi del tempo per sé non cambia, anche perché quello che conta davvero è lo “spirito” con cui si “stacca la spina”, a casa o fuori. E se il vacanziere è anche cardiopatico, allora farà bene a sottoporsi ai semplici e consueti controlli di routine prima di mettersi in viaggio. Ma, lo ripetiamo, quello che conta è lo “spirito”. I tempi difficili che la maggior parte delle persone è costretta ad affrontare non aiutano certo a sorridere. Il senso di solitudine, la demotivazione, le preoccupazioni e l’ansia per un futuro che molti vivono come una pesante incertezza, diventano emozioni negative, un vero e proprio “peso” poggiato sul cuore. Ed è quel carico che rischia di far aumentare l’infiammazione dei vasi, l’attività delle piastrine e la frequenza cardiaca, dando il via a una serie di reazioni endocrine che sfociano in una minore protezione delle arterie e una più alta probabilità di infarti e ictus. Il pericolo è consistente soprattutto in chi è più anziano o ha fattori di rischio cardiovascolari, come la pressione alta, il sovrappeso e il fumo. Non lasciamo che le preoccupazioni diventino il padrone assoluto della nostra vita. Essere responsabili verso se stessi e verso i propri affetti, a cominciare da quelli familiari, significa anche fermarsi quando il nostro organismo ce lo chiede. Bisognerebbe poter prendersi una pausa e staccare ogni volta che ce n’è il bisogno ma non sempre si può, questo è vero. Ma la stagione estiva è la migliore occasione per farlo. Non sprechiamo questo tempo. eno venti per cento: di tanto si riduce il rischio di venire colpiti da infarto o ictus, se si hanno l’accortezza e il buon senso di prendersi almeno una settimana di sano riposo durante l’estate. Mettere in soffitta impegni e stress, infatti, significa fare ai vasi e al cuore il migliore regalo possibile. I tempi, economicamente parlando, sono quelli che sono ma non è necessario potersi permettere una vacanza extra lusso. Basta semplicemente entrare in un ordine di idee diverso dal solito: niente tour de force tra un appuntamento e l’altro, niente telefonino che squilla in continuazione... Molto meglio una sana partitella a carte con gli amici, tanto per intenderci. Lasciamo pure lo stress ai mesi invernali, quando i ritmi della fatica quotidiana faranno sentire i loro effetti (sovente negativi) a cominciare dai capricci della pressione arteriosa. L’essenziale è non rinunciare a sentirsi attivi. Anche se si è costretti a rimanere tra le quattro mura domestiche, questo non significa non poter godere comunque di quella famosa settimana, lontani da tutto ciò che contribuisce a condizionare la naturale voglia di libertà per dedicarsi a se stessi. Chi di noi non ha un hobby? Chi non ama mettere ordine tra le proprie cose o magari cambiare la disposizione dei mobili? Chi non vorrebbe avere il tempo per scrivere un diario o suonare uno strumento musicale? Ecco: quella settimana lì è il momento giusto per farlo. E se anche non c’è un hobby da coltivare o uno strumento musicale da suonare, è comunque il momento buono per fare lunghe passeggiate, muoversi e bandire il panino all’hamburger del fast food sotto l’ufficio per dedicarsi alle insalate e alle verdure, che tanto aiutano l’organismo. E a proposito di amici dell’organismo, mai dimenticarsi di bere, bere parecchio. Fa caldo e disidra17 SAH Magazine Lo psicologo al tuo fianco La rubrica “Lo psicologo al tuo fianco” ospita la voce dei pazienti attraverso le loro testimonianze, che vengono commentate a cura del Servizio di Cardiopsicologia del S.Anna, di cui è responsabile il dottor Roberto Ruga. Il “cuore” dei buoni Dottor Ruga Grazie e complimenti per l’eccellente lavoro che Lei svolge con passione e professionalità. Aspettavo con ansia la sua visita mentre ero ricoverato al S. Anna per conoscerla di persona e stringerle la mano; perché prima del ricovero avevo visionato il suo sito ed ero rimasto veramente entusiasta del suo operato. L’incontro è stato salutare per me. Quello che mi ha colpito è stato come lei sia riuscito a infondere dentro di me una pace e una serenità indescrivibile mentre dialogavamo. Quando mi è stata fatta la diagnosi dal dottor Agnino, apprendere che era necessario un intervento cardiochirurgico per me è stato un duro colpo. All’inizio un po’ di depressione, poi mi sono messo nelle mani di Dio! Ho deciso di non andare da nessun’altra parte, come fanno molti calabresi che si rivolgono al nord. Ho creduto in Agnino e nell’équipe e mi sono affidato al S. Anna Hospital di Catanzaro.Ringraziando Dio e tutto lo staff del S. Anna, è andato tutto bene. Colgo l’occasione per ringraziare tutti e spero tanto che a nessuno venga mai in mente di penalizzare una realtà che abbiamo in Calabria, dove si fanno interventi di cardiochirurgia ad altissimi livelli; niente da invidiare alle migliori cardiochirurgie del nord Italia! Giuseppe Di Vico, Rossano (Cs) Alla domanda “funziona la psicoterapia?” si può rispondere in vari modi, uno dei quali condivido pienamente: funziona ad esempio quando “qualcosa” è già accaduto nel paziente prima ancora che questi incontri lo psicoterapeuta. Prima dell’incontro ci sono già le aspettative della persona, le sue fantasie sulla situazione della quale sarà protagonista. Queste fantasie predispongono la persona ad essere positivamente influenzata dall’incontro. Sono del parere che la psicoterapia funziona in maniera elettiva proprio quando, ancora prima che essa inizi, qualcosa abbia già silenziosamente lavorato nel paziente, creando un atteggiamento favorevole al cambiamento. Dalla testimonianza riportata apprendiamo ad esempio che si tratta di una persona religiosa, alle prese con stati d’animo di sconforto, capace di affidarsi a qualcuno e di essere riconoscente. Non è difficile dedurre che sia una persona empatica, generosa, che mette il sentimento ai posti di comando; una persona che insomma vede col cuore, e se volessimo continuare questa ipotetica lista, aggiungeremmo che mette tutti a proprio agio, si lascia guidare dagli affetti, cerca fiducia e intimità, vuole sentirsi parte di qualcosa, dà particolare valore alla famiglia e ricerca l’armonia nei rapporti. Chi fa le cose col cuore ha un suo tipico approccio al mondo: si prende carico di ogni cosa, esponendosi purtroppo ad ogni sorta di rischio e di delusione. Esiste una cosiddetta “intelligenza del cuore” che queste persone hanno particolarmente sviluppata, a loro piace dare più che ricevere e sono sempre pronte a spostare le montagne o a correre dall’amico nel cuore della notte se sta male. Se una tale persona parlasse di sé, probabilmente ci racconterebbe di un amico del cuore, un piatto preferito, un gatto o un cane che ama come un figlio, di quaderni delle elementari ancora nel cassetto e un vecchio maglione stinto che non butterà mai via. Perché è uno che sa appassionarsi anche contro la ragione. Si tratta di una intelligenza che ha come canale privilegiato il sentimento, il calore degli affetti. Ma, come sempre accade, c’è un risvol18 SAH Magazine to della medaglia: questa generosità emotiva a volte si tinge di una tendenza al sacrificio non richiesto, e può succedere che la persona ci resti male perché le sembra ovvio che gli altri debbano ricambiare, mentre questo non sempre succede, anzi… Di qui, il rischio di sprofondare nell’amarezza, nella solitudine, nella depressione. Difficile in tali casi offrire risposte logiche e razionali, che non farebbero presa. Purtroppo sono le patologie cardiache ad essere favorite trovando terreno fertile su cui attecchire, proprio perché la persona usa e abusa del suo “buon cuore”. Ma, come recita il detto, al cuor non si comanda, dunque è solo attraverso un genuino ed empatico ascolto, che si può iniziare un rapporto volto alla presa di coscienza delle proprie dinamiche interne prima, e al cambiamento poi. È ciò che sistematicamente ci proponiamo di fare. attraverso il Servizio di CardioPsicologia offerto a tutti i pazienti che subiscono un intervento di cardiochirurgia al S.Anna. Come le persone cambiano Se l’inferno esiste, io l’ho vissuto in questi ultimi anni perdendo prima un figlio e poco dopo mio marito. Poi, mi sono ammalata anch’io. La diagnosi non lasciava scampo, così sono entrata in sala operatoria con a casa una figlia adolescente attonita quanto me, affidata a parenti disorientati anche loro. I Medici hanno superato ogni difficoltà ridandomi un cuore funzionante, solo che ero io ad essere a pezzi. Ho un vago ricordo di quei momenti, ma un giorno, un attimo prima di risvegliarmi ho avuto una visione: mio padre e mia madre si prendevano cura del mio amato figlio defunto, e io potevo rivedere per qualche istante mio marito, dirgli quanto lo amassi e salutarlo degnamente, come non avevo avuto modo di fare prima della sua morte improvvisa. Sembrava tutto così reale, così vero, così rassicurante. Ma non era vero e io mi trovavo su un letto, nel reparto di cardiochirurgia del S.Anna Hospital di Catanzaro e di fronte a me vedevo lei, dottor Ruga, che mi sorrideva chiedendo la mia impressione sull’esercizio di rilassamento appena fatto. Mi resi conto che il cuore, per un istante, aveva creduto a quelle immagini da lei suggerite e aveva potuto completare un suo percorso, abbracciandone la presenza per un’ultima volta. Le chiesi come avesse fatto a sapere di mio marito e della mia situazione, ma non fece in tem- po a rispondere perché in quel momento entrò mia figlia, accompagnata da mia sorella. Solo dopo alcuni giorni, con una riacquisita lucidità mentale, potei ricostruire una versione più plausibile di quella emozionante esperienza, ma ciò che contava più di ogni altra cosa, era l’esser uscita da una condizione depressiva: adesso avevo voglia di prepararmi ad affrontare il futuro insieme alla mia bambina. Il peggio era passato. Nei colloqui successivi stilammo insieme un programma e tanti buoni propositi che in parte ho realizzato. Non so se l’inferno esiste, ma so che esistono gli angeli. Grazie. (Lettera firmata) Protagonista di questa toccante testimonianza è il dolore, un dolore che viene da lontano, da un passato intriso di sofferenza dovuta a due perdite. Sovente, eventi luttuosi indeboliscono le difese immunitarie delle persone, scatenando un circuito di malattie. In questi casi non è facile re- agire, per farlo, la paziente ha dovuto elaborare il lutto e lo ha fatto in parte ricongiungendosi immaginariamente con i suoi cari, portando a compimento un sospeso, seppur solo nella fantasia. Quando qualcosa di emotivamente vivido accade nella nostra testa, è come se fosse reale. L’esercizio proposto alla paziente, noto come “fantasia guidata”, attiva dei nuclei emotivi liberando la loro carica catartica finalizzata al raggiungimento di una migliore autonomia psicologica della persona. Questa esperienza ristrutturante ha sprigionato la motivazione al cambiamento e alla ripresa. Neanche io so se l’inferno esista, ma so che le persone cambiano. 19