Pagani, auto da sogno

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Pagani, auto da sogno
Ritratti d’impresa | Pagani Automobili
Nella fucina di San Cesario si costruiscono vetture da milioni di euro
Pagani
AUTO DA SOGNO
HUAYRA
«il Dio
delle
brezze
argentine»
64 OUTLOOK - NOVEMBRE/DICEMBRE 2016
La produzione della piccola maison
modenese non supera i 50 pezzi
l’anno. Quasi tutti venduti con largo
anticipo. Perché i sogni
di Horacio Pagani, che ha fondato
l’azienda 16 anni fa,
si sono concretizzati in capolavori
dove si uniscono arte e scienza
di Ilaria Vesentini
assimo 50 vetture l’anno, non di più. Esclusività e quantità sono due parole che non possono
far rima sul mercato e in Pagani automobili
stridono. Perché è la rarità dei bolidi in circolazione sulle
strade del pianeta costruiti in 16 anni nell’atelier di San
Cesario sul Panaro a spiegare quotazioni che arrivano a
sei milioni di euro a macchina. Capolavori dove arte e
scienza trovano la loro massima espressione armonica,
la meccanica diventa bellezza, il carbonio un abito sartoriale e il denaro un mezzo per arrivare non a una vettura, ma a un’emozione. Che non diventa follia perché i
250 proprietari di Zonda e Huayra (i due modelli di supercar Pagani ispirati ai venti delle Ande, Zonda è un
vento caldo della pampa, Huayra è il dio delle brezze
M
ZONDA
«il vento
caldo
della
pampa»
PAGANI AUTOMOBILI
Modena Design, la prima azienda di Horacio Pagani,
antesignana dell’attuale Pagani Automobili,
nasce nel 1992 a San Cesario sul Panaro.
Nel 1993 prende avvio l’idea di costruire una supercar,
la Zonda, che viene presentata al Salone di Ginevra nel 1999
Da allora sono diversi i modelli usciti dall’atelier
(in primis Zonda e Huayra), tutti disegnati e costruiti a mano,
curati in ogni dettaglio, dal nome all’ingegnerizzazione
di ognuno dei circa 8.000 pezzi che li compongono.
Dalla fabbrica non escono più di 50 vetture all’anno:
sono opere d’arte per collezionisti,
per cui si può aspettare anche 3 anni,
ma che in qualche anno arrivano a quintuplicare il valore.
Negli ultimi 5 anni i dipendenti sono passati da 35 a 115,
il fatturato da 10 è arrivato a 45 milioni di euro,
con 16 milioni di Ebitda e la previsione di arrivare
a 100 milioni entro 3 anni;
ogni anno il 20% del valore della produzione
viene investito in R&S
Ritratti d’impresa
L’auto da sogno che Horacio Pagani
fa divenire realtà ha tutto: telaio in carbonio,
componenti in alluminio, interni in pelle,
ogni parte è personalizzata su richiesta
del cliente e ogni dettaglio (motore,
scarichi, ruote, sospensioni, freni)
è platealmente esposto, perché le automobili
Pagani sono opere d’arte per collezionisti
argentine) hanno in mano beni di investimento
che in questi anni sono arrivati a quintuplicare il
loro valore. Come è successo per la Zonda 5 (cinque
è il numero di esemplari dell’edizione speciale voluta da un dealer di Hong Kong), venduta con un
listino ufficiale di 1,3 milioni di euro e che oggi ne
vale sei.
«L’auto che ha tutto» è un miraggio che Horacio
Pagani vede da quando è bambino: telaio in carbonio, componenti in alluminio, interni in pelle, ogni
parte personalizzata su richiesta del cliente e ogni
dettaglio (motore, scarichi, ruote, sospensioni, freni), platealmente esposto, perché le automobili Pa-
Il profilo | Horacio Pagani, talento e perseveranza
l suo maestro di vita è Leonardo da Vinci.
Suo padre, che fa il fornaio nella città natale in Argentina da quando aveva 12 anni e
continua a sfornare pane anche oggi che ne
ha 88 anni, gli ha trasmesso il rigore per il
lavoro e la perseveranza. La madre il talento
artistico e creativo, ma anche ordine e perfezionismo. Mentre dall’amico, cinque volte
campione del mondo di Formula 1, Juan Manuel Fangio, ha appreso la lezione di umiltà,
intelligenza e disciplina che fanno grande un
uomo a prescindere dal successo. Horacio
Pagani è un imprenditore difficile da inquadrare in singole definizioni. Un grande dell’automobilismo emiliano, Gian Paolo Dallara, l’ha battezzato «l’ultimo esponente dell’automobilismo romantico». Lui stesso si
definisce un designer che mette la bellezza e
l’arte al servizio della collettività, addestrato
con i fondamenti tecnici dell’ingegnere e con
l’attenzione ai conti di un ragioniere.
Non ha lauree da esibire, ma un percorso di
I
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vita e di esperienza costruito tenacemente
attorno al sogno di bambino, quando ai parenti che gli chiedevano che voleva fare da
grande rispondeva: «Andrò in Italia e costruirò l’auto più bella del mondo». E nega pure
di avere talento: «È con impegno e costanza
che si fanno grandi cose», replica Pagani.
Basta avere un sogno e la forza di inseguirlo.
Nato nel 1955 nella città di Casilda, nella
pampa argentina, figlio di immigrati italiani,
Horacio Pagani cresce con due fratelli e gli
amici del cuore in una terra devastata dalla
guerriglia, mescolando i primi esperimenti di
intagliatore di balsa (i suoi modellini di auto
sono oggi esposti nelle teche di San Cesario
sul Panaro) con le letture delle riviste «Mecanica Popular» e «Automundo», che hanno
plasmato la sua professione di designer
sulla scia di Pininfarina e Bertone. «Quando
uscì il catalogo dell’enciclopedia “Autorama”,
la storia dell’automobile scritta da Pininfarina, e mio padre mi negò l’abbonamento
perché era troppo costoso, io mi misi d’accordo con il rappresentante e pagai a rate i
fascicoli settimanali che poi nascondevo sotto al letto, facendo lavoretti di ogni sorta»,
ricorda Pagani.
A 14 anni costruisce un motorino con l’amico
Gustavo Marani mettendo assieme i pezzi
recuperati in discarica; a 18 una Dune-Buggy,
una vecchia Renault trasformata con un kit di
carrozzeria in vetroresina; a 20 un’auto da
competizione che gareggia in Formula 2 (un
anno di lavoro la notte). A 21 anni si è già
costruito una sua officina rudimentale di 80
metri quadrati in cui fabbrica di tutto: veicoli
furgonati, coperture di pick-up, attrezzature
agricole, letti e dispositivi ortopedici e anche
un prototipo di roulotte da turismo, primo
prodotto della ditta Horacio Pagani Design.
Già allora l’eclettico Pagani intuisce che il valore aggiunto è lavorare a misura del cliente.
Brevi gli studi all’università, prima Industrial
design alla facoltà di Belle arti di La Plata,
poi Ingegneria meccanica all’università di
Rosario. Sono gli anni delle Ford Falcon verdi
e dei desaparecidos «e in fondo se sono ancora qui, vivo, lo devo alla mia passione per
lo studio e per il disegno che mi hanno tenuto alla larga della politica», spiega, rievocando il primo anno a La Plata quando per seguire il corso di design attraversava il bosco
tra gli spari e i cadaveri che galleggiavano
sul fiume. E di studiare non smette mai, neppure oggi che ha passato i sessanta, così come non rinuncia mai alla siesta dopo pranzo
per leggere preferibilmente qualche libro di
o su Leonardo da Vinci, che tiene davanti a
sé anche durante l’intervista.
L’inizio della sua carriera ufficiale Pagani lo
tributa a Fangio, che a pelle dà fiducia a un
ragazzo autodidatta pieno di speranze e volontà, e nel 1982 scrive per lui cinque lettere
di raccomandazione ad Alfa Romeo, Lamborghini, De Tomaso, Enzo Ferrari e al costruttore di auto di Formula 1 Enzo Osella. Una sola
risposta, senza troppe aperture, dall’ingegner Giulio Alfieri, allora in Lamborghini.
Serpeggia la crisi, le case automobilistiche
se possono licenziano, non assumono. Ma
l’allora 27enne Horacio non si arrende, «anche se mi trovavo sempre al posto sbagliato
nel momento sbagliato», dichiara. Arriva in
Italia nel 1982 ospite della famiglia di origine
del nonno ad Appiano Gentile, nel Comasco.
Il tempo di tornare in Argentina, nella città
natale, per sposare Cristina Perez (una donna che affiora costantemente nei racconti di
Pagani facendogli brillare gli occhi) e portarla
con sé in Italia. «La patria è dove costruisci
la tua famiglia e dove lavori. Modena è la mia
città», sentenzia. A Modena sono nati i suoi
due figli, Cristopher e Leonardo; a Modena
inizia a lavorare, partendo nell’83 come operaio di terzo livello (il gradino più basso) nel
reparto carrozzeria di Lamborghini. Da lì l’ascesa della carriera ma anche dell’insofferenza di un sognatore indomito confinato in
ranghi aziendali: nella seconda metà degli
anni Ottanta la casa del toro inaugura il reparto materiali compositi e Horacio costruisce i primi prototipi di Countach Evoluzione e
Anniversary. Di fronte al rifiuto di Lamborghini di acquistare una autoclave per «cuoce-
re» internamente i compositi, Pagani va al
Credito romagnolo, si compra da sé l’autoclave e inizia a lavorare con la fibra di carbonio per tutta la motor valley e oltre, dalle
moto Aprilia agli scarponi da competizione di
Alberto Tomba.
Nasce così Modena Design, la prima azienda
«istituzionale» di Horacio Pagani a San Cesario sul Panaro, antesignana dell’attuale
Pagani Automobili. Dal 1993 inizia a prendere
forma il sogno bambino di costruire la supercar estrema più bella e performante di
sempre, la Zonda, un progetto che Lamborghini si offre di comprare. Ma Horacio ha ormai gli strumenti, anche interiori, per seguire la propria strada in autonomia, per quanto
significhi pagare il doppio i fornitori per convincerli a lavorare per lui (sono anni durissimi in cui Bugatti chiude). La svolta arriva nel
1998, con l’ingresso nel capitale di un socio
industriale di minoranza collezionista di vetture e l’ok da Maserati (sempre grazie all’intermediazione di Fangio) a fornire i motori
della nuova gran turismo. Nel 1999 la Zonda
C12 viene presentata al Salone di Ginevra.
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Ritratti d’impresa | Pagani Automobili
«Le nostre macchine sono così curate e preziose perché non durano una gara, come in Formula 1, ma una vita intera»,
ricorda Horacio Pagani.«Non mi interessano i soldi, io ho sempre inseguito solo un mio sogno per dare un senso alla vita».
«L’effetto contaminazione si ripercuote a cascata anche su tutti i nostri fornitori, perché Zonda e Huayra
sono creature del territorio, della motor valley e della decina di aziende che collaborano con noi
tra Emilia, Veneto e Piemonte. E chi lavora con Pagani si abitua agli altissimi standard di qualità,
cresce e arriva a ottenere commesse dai grandi clienti internazionali dell’automotive»
La novità | Una bottega rinascimentale
di capolavori tecnologici
Sopra, la lavorazione delle auto Pagani.
A sinistra, Il nuovo stabilimento, la fabbrica-museo
che sembra un vero e proprio atelier
odici milioni di euro di investimento. Tanto ha speso Pagani per realizzare una casa all’altezza delle sue creature tecnologiche.
Una fabbrica-museo chiamata «atelier» da chi
la vive quotidianamente, e d’altra parte è questo il termine che ben si presta a definire
spazi che hanno abbattuto i confini tra officina
e area espositiva, tra macchina e arte e dove
si lavorano pistoni e lamiere come in una sartoria haut-couture. Lo stabilimento è stato
pensato e disegnato dai figli di Horacio, Christopher e Leonardo, di 29 e 28 anni (agli ingegneri dello staff Pagani hanno lasciato solo il
compito di fare i calcoli della struttura), ed è
stato costruito dopo il sisma del 2012 al posto
di un vecchio capannone.
Tutta l’architettura si gioca nel rimando tra l’opificio in mattoni rossi tipico delle città emiliane e l’intelaiatura delle hypercar modenesi.
Una torre Eiffel autoportante di ferro, dove i
bulloni automobilistici hanno preso il posto
dei rivetti, rivestita di vetro fa da guscio a una
manifattura luminosissima dove i tecnici lavorano sotto gli occhi curiosi dei visitatori e
gani sono opere d’arte per collezionisti disposti ad aspettare tre anni per avere in mano l’oggetto del loro
desiderio. Tanto passa dall’ordine alla consegna per chi
vuole una hypercar Pagani. Per correre su strada, non
su pista con una granturismo stradale con un’accelerazione superiore alle monoposto da competizione. E la
cerimonia di consegna, quando l’auto lascia la fucina di
San Cesario, che vede tutto il team raccolto attorno per
l’addio e si toglie il drappo dal bolide per svelarlo al
futuro proprietario, ben rappresenta il significato di
costruire e di possedere una Pagani.
Oggi nella nuovissima fabbrica-museo modenese sono
in costruzione 20 esemplari (da due milioni di euro l’uno) e cinque prototipi di Huayra Bc, dalle iniziali di un
amico e primo cliente di Pagani, come lui un altro selfmade man, partito con niente in tasca dalla Sicilia all’America e diventato uno degli imprenditori edili più
noti di New York. Tutti i modelli che Horacio costruisce
sono disegnati e costruiti a mano con sapienza artigianale, curati in ogni minimo dettaglio, dal nome di battesimo all’ingegnerizzazione di ognuno degli 8.000 pezzi che li compongono. Dopo la Bc saranno messe in lavorazione le Huayra Roadster, 100 esemplari, già tutti
venduti ancora prima di essere realizzati. «E dopo
D
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pure i lavelli sono incastonati in fibra di carbonio marchiata Pagani. Il reparto produttivo è
un’ampia piazza di paese, nell’angolo la torre
di mattoni rintocca le ore e alla parete opposta un giardino pensile cresce rigoglioso al
punto da sembrare artificiale. Gli attrezzi da
meccanico sono ordinatamente disposti in bella vista come su un tavolo chirurgico, non esistono catene di montaggio, non esistono robot. Le Huayra nelle varie fasi di lavorazione
sono trattate alla pari di oggetti d’arte da cesellare a mano e il lavoro scorre senza frenesia al ritmo delle mani dell’artigiano. Alle spalle dell’officina c’è la stanza con le autoclavi,
impianti all’avanguardia mondiale, dove il carbonio viene lavorato alla stregua di un tessuto di alta moda per diventare scocca di gioielli di alta tecnologia.
Settemila turisti sono arrivati lo scorso anno
nella vecchia sede a poche centinaia di metri
di distanza dall’attuale, una «bottega rinascimentale» del Terzo Millennio, già operativa
ma che aspetta l’inizio del 2017 per l’inaugurazione ufficiale. Nella sede storica della ex
Modena Design (un migliaio di metri quadrati
disegnati dallo stesso Horacio Pagani negli
anni Novanta) resterà solo il team di R&S e
prototipazione.
L’atelier Pagani è già inserito nel circuito regionale industrial-museale della motor valley
e la casa di san Cesario conta di arrivare a staccare 20.000 biglietti (35 euro il prezzo pieno di
ingresso) nel giro di pochi anni. Qui gli appassionati di rombo e profumo di gomma e olio
bruciati sono catapultati in una realtà ispirata
a Leonardo da Vinci che mescola tecnologia,
arte e storia in ogni angolo dell’edificio: all’ingresso campeggia un pianoforte, una delle passioni del fondatore, e nell’area espositiva che
dà il benvenuto agli ospiti sono in mostra non
solo tutti i modelli di supercar usciti dal 1999
a oggi, ma le teche con le prime macchinine in
balsa costruite da Horacio bambino e il patrimonio fotografico e documentale che ripercorre mezzo secolo di storia dell’imprenditore-sognatore e il cammino di dedizione, passione e ostinazione da cui nascono i capolavori tecnologici Zonda e Huayra.
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Ritratti d’impresa
ancora entrerà in produzione un’edizione speciale di una ventina di pezzi di una vettura
ancora più estrema e raffinata che non ho
neppure ancora disegnato, ma che i clienti
hanno già immaginato e hanno prenotato sulla base di un loro desiderio, versando pure
un acconto», sottolinea l’imprenditore italoargentino. Stupito per quanto sta accadendo attorno a lui, dopo vent’anni di lotte solitarie e testardo impegno con la sensazione
di trovarsi sempre al posto sbagliato nel momento sbagliato.
Oggi Pagani pare essere al posto giusto e al
momento giusto. Nel giro degli ultimi cinque anni i dipendenti sono passati da 35 a
115, il fatturato della casa automobilistica
modenese è schizzato da 10 a 45 milioni di
euro, con 16 milioni di Ebitda (un valore abnorme nel settore meccanico) e la previsione di arrivare a dicembre a 60 milioni di euro. Ogni anno la piccola maison modenese investe il 20 per cento del valore della produzione in R&S, quota che non ha pari nei competitor, neppure di Formula 1. «Le nostre macchine sono molto più curate e preziose, perché non durano una gara bensì una vita», obietta l’imprenditore. Il suo traguardo è arrivare a 100 milioni di fatturato in tre anni.
«Ma non mi interessano i soldi», rimarca Pagani. «Io ho sempre inseguito solo un mio sogno per dare un senso alla vita». Ha fatto però talmente tanta fatica a guadagnarsi da vivere con quel sogno da raggiungere che oggi
Pagani parla di un «rapporto di profondo amore-odio con il denaro» e preferisce lasciare gestire la parte contabile-amministrativa ai due figli, entrambi già in azienda. Ben
conscio «che creatività e design senza contabilità e margini in bilancio non possono volare» e quindi non hanno valore. Neppure gli
ingegneri volano, però. Guai, infatti, a definire Pagani un ingegnere. «Io sono un designer. Volo e poi plano per realizzare quello
che ho sognato. Gli ingegneri non sono ingegnosi, servono solo per le omologazioni», ribatte Pagani.
Mestiere difficile anche quello dell’omologazione: sono serviti 57 crash test (quindi auto
distrutte) per ottenere il via libera alla
Huayra sul mercato americano, che oggi
vale il 52 per cento del fatturato, dove ha
ha l’obiettivo di
facilitare
l’incontro fra
Propone un servizio efficiente e qualificato diretto a soddisfare le esigenze
delle
aziende che ricercano personale e a favorire concrete opportunità di
inserimento lavorativo a chi cerca lavoro.
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ottenuto però l’omologazione di «grande costruttore», non di produttore di nicchia. Perché il motto della casa, diretta derivazione
del carattere del fondatore, è puntare sempre al massimo, facendo però un passo alla
volta.
E Horacio Pagani ha sempre puntato alla
perfezione in ogni minimo dettaglio. I motori sono Mercedes, che ha una squadra di oltre 70 persone in Daimler dedicata a sviluppare i cuori pulsanti delle Pagani. Bosch testa le sue soluzioni tecnologiche all’avanguardia sulle vetture di San Cesario. E con Pirelli l’imprenditore italo-argentino ha un rapporto «straordinario» che va oltre la forma contrattuale da cui continuano a scaturire sinergie strategiche per entrambi grazie ai test di
nuovi pneumatici. «L’effetto contaminazione
beneficia a cascata anche tutti i nostri fornitori, perché Zonda e Huayra sono creature
del territorio, della motor valley e della decina di aziende che collaborano con noi tra
Emilia, Veneto e Piemonte. E con noi, esigentissimi per standard di qualità mutuati
dall’aeronautica (ogni auto viene venduta
con tre libri personalizzati che ne raccontano la storia, come nel settore avio, ndr) i fornitori crescono e arrivano a ottenere commesse dai grandi clienti internazionali dell’automotive».
La rarità di un oggetto folle del desiderio
diventato bene rifugio di investimento oggi
non richiama più solo manager o imprenditori di mezza età (arabi, giapponesi, russi,
americani) che traducono il loro successo in
un capolavoro capace di far accapponare la
pelle, ma anche la web generation della Silicon valley esplosa con le app milionarie. E
Pagani ha gemmato da un paio d’anni anche una divisione «Arte» in cui si disegnano
e sviluppano tutte le linee di carbonio e materiali avanzati non destinati alle vetture.
«Il prossimo passo è dare vita anche qui a
Modena, come ho fatto in Argentina», conclude l’imprenditore, «a una “scuola di arte
e scienza”. È il regalo che ho fatto alla mia
città natale per riscoprire l’insegnamento
di Leonardo da Vinci e offrire ai giovani una
chance di costruirsi un futuro diverso, combinando visioni e tecnica. Un’iniziativa che
sta avendo un grande successo».
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