manuale primo soccorso

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manuale primo soccorso
Manuale di primo
soccorso
a cura di Simone Savastano
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Manuale di Primo
Soccorso
1° Edizione 2007
Simone Savastano
Divisione di Cardiologia Policlinico San Matteo Pavia
Direttore Sanitario P.A.Avis Valenza
Istruttore 118 Piemonte
Istruttore B.L.S. e A.C.L.S. per American Heart Association
Istruttore A.M.L.S. per NAEMT
Istruttore I.T.L.S.
INDICE
Pag.
1. INTRODUZIONE AL SOCCORSO
1
2. IL SISTEMA 118
4
3. LE PRINCIPALI URGENZE MEDICHE
6
3.1 LA DIFFICOLTA’ RESIRATORIA
7
3.2 IL DOLORE CARDIACO
9
3.3 IL PROBLEMA NEUROLOGICO
12
3.4 LE INTOSSICAZIONI
15
3.5 IPOGLICEMIA
18
3.6 COLPO DI CALORE
19
3.7 IPOTERMIA
20
3.8 PUNTURA DI INSETTI E SHOCK ANAFILATTICO
21
4. PERDITA DI COSCIENZA E IL B.L.S.
23
4.1 VALUTARE LE FUNZIONI VITALI
24
4.2 LA RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE NELL’ADULTO
27
4.3 LA DISOSTRUZIONE DELLE VIE AEREE NELL’ADULTO
31
4.4 LA RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE NEL BAMBINO
32
4.5 LA DISOSTRUZIONE DELLE VIE AEREE NEL BAMBINO
33
5. I TRAUMI
34
5.1 I TRAUMI DEGLI ARTI (FRATTURE E LUSSAZIONI)
40
5.2 I TRAUMI DELLA CUTE: LE FERITE
42
5.3 I TRAUMI DELLA CUTE: LE USTIONI
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5.4 LE EMORRAGIE
46
Ovunque ci sia un uomo c’è qualcuno che
ha bisogno di aiuto
Seneca
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1. INTRODUZIONE AL SOCCORSO
Lo scopo di questo piccolo manuale è quello di aiutare tutti coloro
che non sono dediti al soccorso ad affrontare le emergenze che si
possono verificare nella vita di ogni giorno. In altre parole, nel suo
piccolo vuole diffondere la cultura dell’emergenza. Si ritiene
comunemente che sia altamente improbabile imbattersi in una
persona che abbia urgente bisogno di aiuto, e invece non è così. Le
cifre parlano chiaro: nel mondo muore di morte cardiaca improvvisa
una persona ogni 9 minuti; in Italia muore in un incidente
automobilistico una persona ogni ora.
La cultura dell’emergenza si pone l’obiettivo di preparare ogni
cittadino ad affrontare le emergenze più diverse.
Il nemico principale di ogni soccorritore è il panico, la paura di non
sapere cosa fare. Spesso tale stato d’animo nasce proprio dal fatto
che non si è preparati ad affrontare una situazione come quella in cui
accidentalmente siamo incappati. Chi partecipa a un corso di primo
soccorso più o meno approfondito riesce a gestire sicuramente
meglio ogni emergenza in quanto impara il modo di pensare e di
agire richiesti dalle situazioni critiche. Ecco perché vi è la necessità
che un numero sempre maggiore di cittadini frequenti tali corsi.
Inoltre le manovre salvavita sono poche e di così facile esecuzione
che tutti dovrebbero essere in grado di eseguirle. Sono sufficienti
poche ore di corso per essere in grado di eseguire una rianimazione
cardiopolmonare corretta, per saper arrestare un’emorragia arteriosa
o per disostruire le vie aeree.
A questo punto diamo una definizione di Soccorso. Soccorrere
significa agire con lo scopo di risolvere un problema a una o più
persone che si trovano in difficoltà. Il soccorso non è un gesto ma
una catena di eventi che partono dal momento in cui si verifica
l’emergenza fino alla dimissione dall’ospedale, quindi il soccorso
incomincia nel momento in cui il primo “ testimone” interviene.
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Il cittadino che decide di prestare soccorso deve:
– Saper interagire con il sistema di emergenza
territoriale 118
– Saper riconoscere un infortunato traumatizzato da un
infortunato vittima di malore
– Evitare quelle manovre che possono nuocere alla
salute dell’infortunato
– Attuare quei provvedimenti che possono salvare la
vita dell’infortunato.
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2. IL SISTEMA 118
Il sistema 118 nasce verso la
metà degli anni '90 con lo
scopo di migliorare e
velocizzare
il
soccorso
unificando
i
protocolli
operativi. Il fulcro del sistema
118 è la centrale operativa.
Essa è presente in ogni
capoluogo di provincia, vi
lavorano un medico e tre
infermieri e ha il compito di:
1. Ricevere le chiamate dagli utenti
2. Tradurre la descrizione del cittadino in un codice
3. Contattare la postazione più vicina che ha il mezzo adatto
disponibile
4. Coordinare l’intervento di altri operatori del soccorso.
In centrale operativa viene fatto il Triage ossia viene attribuito un
codice di criticità a ogni caso per cui venga richiesto un mezzo di
soccorso.
I codici sono:
Bianco: non è una situazione di urgenza, il servizio è differibile nel
tempo, quindi va in coda alle altre chiamate.
Verde : è un’urgenza secondaria, nel senso che non è necessario
l’intervento del medico prima dell’arrivo in ospedale (nessuna
funzione vitale compromessa).
Giallo: urgenza primaria, è necessario l’intervento del medico prima
dell’arrivo in ospedale ( una o più funzioni vitali compromesse).
Rosso: è una condizione di emergenza in cui l’intervento medico
dovrebbe essere immediato (una o più funzioni vitali assenti).
È chiaro che per far fronte a queste differenti tipologie di intervento
devono essere disponibili almeno due tipi di mezzi di soccorso.
Il sistema 118 oggi ha disposizione tre tipologie di mezzi:
Mezzo di soccorso di base: formato solo da Volontari del Soccorso.
Generalmente tale mezzo viene impiegato per codici bianchi e verdi,
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eccezionalmente, anche per codici gialli e rossi in attesa del mezzo di
soccorso avanzato.
Mezzo di soccorso avanzato: formato da un medico, un infermiere,
due Volontari del Soccorso. Viene impiegato per codici gialli o rossi.
Elisoccorso: equipaggio formato da un pilota, un tecnico di volo, un
medico rianimatore e un infermiere. Viene utilizzato per raggiungere
luoghi impervi oppure per coprire l’eventuale assenza del mezzo di
soccorso avanzato.
Per fare in modo che il mezzo giusto arrivi sull’intervento corretto
occorre che chi chiama la centrale operativa spieghi con esattezza la
situazione: solo in questo modo la centrale operativa potrà associare
a ogni richiesta di intervento un codice appropriato. Il rischio infatti è
quello di sovrastimare la gravità della situazione, inviando così il
mezzo di soccorso avanzato ma sguarnendo il territorio (si pensi che
in provincia di Alessandria ci sono 7 mezzi di soccorso avanzato);
oppure, al contrario, sottostimare la gravità della situazione
mandando il mezzo di soccorso di base non adatto per gestire una
situazione di gravità superiore. Si comprende come colui che chiama
la centrale, ossia il primo anello della catena del soccorso, debba
rispettare alcune regole:
1. Presentarsi e fornire il numero di telefono da cui chiama
2. Descrivere il meglio possibile la situazione rimanendo calmo
3. Indicare chiaramente il luogo dell’intervento
4. Indicare il numero degli infortunati
Schema che illustra la catena
degli eventi dal malore
all’arrivo dei soccorsi. Parte la
chiamata di soccorso arriva in
Centrale Operativa, qui viene
fatto triage, viene deciso il
mezzo idoneo più vicino, viene
allertata la postazione di
partenza ed infine sia ha
l’arrivo del mezzo di soccorso.
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3. LE PRINCIPALI URGENZE MEDICHE
Le principali urgenze mediche sono:
• Difficoltà respiratoria
• Dolore cardiaco
• Problema neurologico
• Intossicazioni
• Ipoglicemia
• Colpo di calore
• Ipotermia
• Shock anafilattico
Verranno di seguito descritte per sommi capi soffermandoci
soprattutto su ciò che bisogna mettere in atto per aiutare l’infortunato
e per non aggravare la situazione.
3.1 LA DIFFICOLTÀ RESPIRATORIA.
È una condizione caratterizzata dalla
mancanza di fiato (dispnea), da una
frequenza respiratoria solitamente
aumentata ed eventualmente dalla
cianosi, ossia il colorito bluastro che
assume la cute a seguito della scarsa
ossigenazione del sangue.
Per comprendere le cause della
dispnea occorre analizzare
velocemente la meccanica della
respirazione. Quando nasce lo stimolo
respiratorio, a livello del cervello si
genera un impulso elettrico che
viaggia lungo i nervi e arriva fino ai
muscoli respiratori e al diaframma. Le
coste si allargano, il diaframma si
abbassa: così il torace aumenta il suo
volume e diminuisce la pressione al
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suo interno. L’aria viene attratta dalla depressione presente
all’interno del torace ed entra nelle vie aeree che la portano agli
alveoli polmonari: piccoli sacchetti, come dei palloncini, circondati
da una fitta rete di capillari sanguigni. L’ossigeno contenuto nell’aria
inspirata oltrepassa la parete degli alveoli e finisce nel sangue
contenuto nei capillari. L’anidride carbonica invece segue il tragitto
opposto. Alla fine dell’inspirazione il diaframma risale e il torace
ritorna al volume di partenza facendo in modo che aumenti la
pressione al suo interno, provocando così la fuoriuscita dell’aria dalle
vie aeree (espirazione). Qualunque
anomalia in ognuno di questi passaggi fa
sì che l’infortunato accusi difficoltà
respiratoria.
La complicanza più severa della difficoltà
respiratoria è l’arresto respiratorio per
esaurimento della forza dei muscoli
respiratori. Ciò complica i casi di
difficoltà respiratoria grave. Occorre
quindi avere l’abilità di cogliere quei
segni che ci possono fare pensare ad un
difficoltà respiratoria grave ad esempio:
espressione estremamente sofferente
dell’infortunato; posizione seduta o
semiseduta (in questa posizione la meccanica respiratoria è più
efficiente) o con le mani appoggiate al bordo del letto o al
davanzale (questa posizione serve a scaricare in parte il lavoro dei
muscoli respiratori accessori ossia i muscoli del collo); tensione dei
muscoli del collo, rientramenti dei muscoli intercostali, cianosi,
frequenza respiratoria molto elevata, incapacità di parlare , in
particolare è importante notare il numero di parole che l’infortunato
riesce a dire prima di dover prendere fiato. È molto importante
notare, e di conseguenza riferire alla Centrale Operativa, anche la
presenza di eventuali rumori respiratori.
È noto infatti che la difficoltà respiratoria secondaria a crisi di asma
bronchiale si associati a fischi o sibili soprattutto nella fase
espiratoria mentre la difficoltà respiratoria dovuta ad edema
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polmonare (accumulo di acqua all’interno degli alveoli
principalmente per disfunzione cardiaca) si associ a rumori
gorgoglianti simili a quelli prodotti ad un pentola di acqua in
ebollizione.
Al testimone non interessa fare alcuna diagnosi, dal momento che
qualunque sia la causa della dispnea le procedure da mettere in atto
sono le medesime:
•
•
•
•
•
•
•
Cercare di trarre informazioni utili alla diagnosi (malattie
note, farmaci assunti, eventuali rumori respiratori, età
dell’infortunato).
In caso l’infortunato sia un asmatico noto ed utilizzi
broncodilatatori per via inalatoria sotto prescrizione medica
è possibile aiutarlo ad autosomministrarsi questi farmaci.
Non è assolutamente consentito somministrare farmaci in
altre condizioni.
Valutare le funzioni vitali (frequenza cardiaca, frequenza
respiratoria) e se necessario eseguire BLS
Chiamare il 118
Sostenere psicologicamente l’infortunato in attesa dei
soccorsi
Mantenere l’infortunato nella posizione in cui riesce a
respirare meglio.
Non somministrare alcuna bevanda
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3.2 IL DOLORE CARDIACO
Il dolore toracico è una delle cause più frequenti di accesso al Pronto
Soccorso dal momento che molte patologie possono presentarsi in
questo modo. Siccome tra tutte le patologie che si possono
manifestare con dolore toracico il dolore cardiaco è sicuramente la
più grave, la prima regola è quella di pensare che ogni dolore
toracico sia cardiaco fino a prova contraria.
Il cuore è un muscolo per alcuni versi simile a tutti gli altri muscoli
del nostro corpo. È formato da quattro cavità: due a destra (atrio e
ventricolo destro) e due a sinistra (atrio e ventricolo sinistro).
1. All’atrio destro arriva
tutto il sangue povero di
ossigeno proveniente da
tutti
i
distretti
dell’organismo.
2. Dall’atrio destro il sangue
passa al ventricolo destro
che lo pompa nei polmoni
dove verrà ossigenato.
3. Dai
polmoni
torma
ossigenato all’atrio di
sinistra.
4. Dall’atrio di sinistra passa
al ventricolo di sinistra
che grazie alla sua
contrazione gli permette
di raggiungere ogni punto dell’organismo.
Come tutti i muscoli del nostro corpo, il cuore ha bisogno di
ossigeno per potersi contrarre e quindi necessita della presenza di
vasi sanguigni che lo riforniscano continuamente di sangue
ossigenato. Tali vasi si chiamano coronarie . Esse sono arterie e
come tutte le arterie con il passare degli anni possono ammalarsi di
aterosclerosi. In altre parole si formano placche all’interno delle
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arterie, costituite prevalentemente da
colesterolo, che riducono il flusso
sanguigno (così come il calcare riduce il
flusso di acqua all’interno di un tubo).
Quando una o più placche hanno causato
una riduzione del flusso coronarico tale
per cui esso è sufficiente solo a riposo, si
genera il quadro dell’angina pectoris . In
altre parole, quando aumentano le
richieste di ossigeno da parte del cuore
(sforzi fisici, periodo che segue i
pasti,
esposizione
al
freddo,
emozioni) queste non possono essere
soddisfatte e quindi insorge il dolore
cardiaco. Le placche all’interno delle
coronarie crescendo negli anni
possono rompersi causando la
formazione di un trombo che nel
volgere
di
istanti
chiude
improvvisamente e definitivamente
tutta la coronaria, interrompendo
definitivamente il flusso sanguigno. Questo è ciò che accade
nell’infarto del miocardio. Le cellule cardiache dapprima soffrono
per la carenza di ossigeno, poi cominciano a morire e ne muoiono
tante di più quanto più tempo passa dall’ostruzione alla riapertura
della coronaria interessata.
Alla luce di quanto esposto
l’angina si presenta nella
maggioranza dei casi come un
dolore da sforzo (anche se
esistono casi di angina a
riposo) solitamente di breve
durata (meno di 15 minuti) e
che regredisce con il riposo.
L’infarto
invece
può
manifestarsi sia a riposo che
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durante uno sforzo. Il dolore è analogo ma tende a non regredire
da solo. Il dolore cardiaco si manifesta come un senso di peso al
centro del torace. Può essere accompagnato da dolore o formicolio
al braccio sinistro (ma anche al destro), al collo e alla mandibola.
Alcune volte il dolore non interessa il torace ma la bocca dello
stomaco (epigastrio) tanto da simulare una gastrite oppure un’ulcera.
In alcuni casi infine l’angina e l’infarto non danno alcuna
sintomatologia.
La complicanza più temibile dell’infarto miocardico è l’arresto
cardiaco. Occorre quindi non perdere di vista l’infortunato
monitorando costantemente le funzioni vitali ed eventualmente
mettendo in pratica la rianimazione cardiopolmonare di cui si
discuterà nel capitolo 4.
Ecco cosa fare di fronte a un caso di dolore toracico:
•
•
•
•
•
•
•
Non perdere tempo
Trarre informazioni utili alla diagnosi: da quanto tempo è
insorto il dolore, le caratteristiche del dolore , la presenza di
fattori di rischio, la presenza di precedenti malattie
cardiovascolari.
In caso l’infortunato sia un cardiopatico noto ed utilizzi
coronarodilatatori sublinguali o spray sotto prescrizione
medica è possibile aiutarlo ad autosomministrarsi questi
farmaci. Non è assolutamente consentito somministrare
farmaci in altre condizioni.
Valutare le funzioni vitali: frequenza cardiaca, ritmicità o
aritmicità del polso e se necessario eseguire BLS
Chiamare il 118
Tranquillizzare l’infortunato
Non somministrare alcuna bevanda
Non tutti gli infortunati vittime di infarto muoiono: tale sorte
interessa il 15%. Gli altri recuperano abbastanza bene nel tempo. Il
grado del loro recupero è tanto migliore quanto più repentine sono
state le procedure di riapertura della coronaria ostruita.
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3.3 IL PROBLEMA NEUROLOGICO
Il sistema nervo centrale è formato
dall’encefalo (cervello) e dal midollo
spinale. Il cervello svolge differenti
funzioni, tra cui queste sono le
principali:
• Stato di coscienza
• Memoria
• Movimento
• Equilibrio
• Linguaggio
• Regolazione di molti parametri
vitali (da parte del bulbo
encefalico)
• Riflessi
Le principali emergenze neurologic he
sono la crisi epilettica e l’ictus.
Le crisi epilettiche possono interessare ogni età. Mentre in
condizioni normali i neuroni comunicano tra loro scambiandosi
segnali elettrici ordinati durante una crisi epilettica tutto ciò non
avviene. Vi è una attività elettrica completamente disorganizzata
all’interno di alcune zone dell’encefalo che si traduce, nei casi più
gravi, nella perdita di coscienza seguita da un progressivo
irrigidimento dei muscoli (fase tonica) cui segue la comparsa di
scosse ampie (fase clonica). L’infortunato potrebbe cessare di
respirare e in questo caso potrebbe comparire cianosi al volto e alle
estremità. Alla fine della fase clonica l’infortunato riacquista
lentamente coscienza permanendo per qualche minuto in quello che
viene chiamato periodo post critico.
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In questi casi le cose da fare sono:
•
•
•
•
•
•
Chiamare il 118
Proteggere l’infortunato eliminando oggetti pericolosi nelle
vicinanze
Non cercare di bloccarlo
Al termine della fase clonica valutare le funzioni vitali e se
necessario eseguire BLS
Cercare di tranquillizzare l’infortunato assecondandolo
Non somministrare alcuna bevanda
Per ictus cerebrale si intende la chiusura di un’arteria che porta
sangue ossigenato a una parte del cervello (in modo analogo a ciò
che succede nel cuore durante un infarto) oppure la rottura di un
vaso sanguigno per cui si instaura improvvisamente
un’emorragia cerebrale.
L’ictus cerebrale può manifestarsi in modi differenti:
• Improvvisa perdita di
coscienza
• Incapacità di parlare
• Incapacità di mantenere
l’equilibrio
• Incapacità di muovere
gli arti di destra o di
sinistra
• Incapacità di trattenere le urine e le feci.
• Disorientamento spazio- temporale
In caso la lesione ischemia o emorragica interessi il tronco
encefalico, ossia la parte di sistema nervoso centrale deputato al
controllo delle funzioni vitali è possibile che la presentazione clinica
dell’ictus sia la perdita di coscienza, l’arresto respiratoria o
addirittura l’arresto cardiaco.
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In questi casi occorre:
•
•
•
•
•
Trarre informazioni utili alla diagnosi
Valutare periodicamente le funzioni vitali e se necessario
eseguire BLS
Chiamare il 118
Rimanere vicino all’infortunato e sostenerlo psicologicamente
Non somministrare alcuna bevanda
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3.4 INTOSSICAZIONI
Per intossicazione si intende l’effetto avverso dovuto all’assunzione
accidentale o volontaria di qualunque sostanza in grado di
esplicare un danno al nostro organismo o per la sua composizione
o per la dose eccessiva.
Prenderemo in considerazione solo le principali intossicazioni, ossia:
• Monossido di carbonio
• Alcol
• Oppiacei
• Cocaina e altre sostanza stimolanti
• Antidepressivi
• Intossicazioni alimentari
• Ingestione accidentale di acidi o di alcalini
Il monossido di carbonio è un gas inodore e incolore e per questo
molto pericoloso. Viene trasportato dal sangue molto più facilmente
rispetto all’ossigeno al quale si sostituisce nei globuli rossi, ma non
ne possiede assolutamente le funzioni. I tessuti dell’organismo
risentono della carenza di ossigeno. Il primo organo a soffrirne è il
cervello. I primi sintomi infatti sono il mal di testa e la confusione
mentale. Tale situazione peggiora sempre più con l’aumentare del
tempo di esposizione fino a diventare sopore e infine coma e quindi
la morte. In questi casi è importante portare l’infortunato fuori
dall’ambiente contaminato e fare in modo che
gli venga
somministrato ossigeno il più presto possibile.
L’alcol è una sostanza in grado di agire a livello del sistema nervoso
centrale dando nelle prime fasi una sensazione di euforia e
disinibizione, ma al crescere della dose si ha un vero e proprio effetto
sedativo fino al coma alcolico, con possibile soppressione del centro
del respiro per dosaggi molto elevati.
Alla famiglia degli oppiacei appartengono sostanze come l’eroina,
la morfina, il metadone. Esse possono essere causa di emergenze
mediche sia quando assunte in quantità eccessiva (overdose) oppure
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quando sia trascorso troppo tempo dall’ultima somministrazione
(crisi di astinenza). Tali sostanze a basse dosi hanno un effetto
analgesico e inducono un senso di benessere. A dosi maggiori
sopprimono il centro del respiro e possono causare la morte per
arresto respiratorio. La crisi di astinenza è invece caratterizzata da
dolori generalizzati solitamente all’addome, agitazione psicomotoria,
pupille dilatate e orripilazione (la pelle d’oca). Tale situazione
raramente mette a repentaglio la vita dell’infortunato.
La cocaina e le altre sostanze stimolanti (ecstasy, anfetamine)
agiscono a livello del sistema nervoso centrale dando eccitazione,
senso di potere, disinibizione, euforia. Fanno aumentare la pressione
arteriosa e la frequenza cardiaca. Possono dare ipertermia, coma e
morte.
Gli antidepressivi sono farmaci prescritti per il trattamento della
depressione. Agiscono sul sistema nervoso centrale e nel caso
vengano assunti in grande dosaggio possono dare coma e morte per
arresto respiratorio.
Le intossicazioni alimentari si manifestano con un quadro dominato
da sintomi gastrointestinali, ossia nausea, vomito, dolori addominali
e diarrea. Sono causate solitamente dall’ingestione di tossine
batteriche che hanno contaminato i cibi (creme, maionese, panna,
verdure sottolio nel caso del botulismo). In altri casi i cibi possono
essere contaminati direttamente da batteri (come nel caso della
salmonellosi che si contrae generalmente con l’assunzione di uova o
derivati).
In tutti i casi di intossicazione valgono le seguenti regole:
•
•
•
•
•
•
Trarre informazioni circa la sostanza implicata
nell’intossicazione e sulla via di assunzione
Cercare di capire quanto tempo sia trascorso dal momento
dell’assunzione e la relativa dose
Valutare le funzioni vitali (frequenza cardiaca, ritmicità del
polso, frequenza respiratoria) e se necessario eseguire BLS
Chiamare il 118
Controllare periodicamente l’infortunato
Non somministrare alcuna bevanda
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Per quanto riguarda l’ingestione accide ntale di acidi o alcalini va
detto che interessa soprattutto i bambini. Si manifesta con lesioni a
livello della bocca, delle vie digestive e dello stomaco. In questi casi
occorre:
•
•
•
•
•
•
•
NON fare vomitare l’infortunato (ciò lo esporrebbe a un
successivo contatto con la sostanza in questione).
NON fare bere acqua (questa potrebbe attivare gli acidi e
peggiorare così le lesioni)
NON tentare di neutralizzare un acido facendo assumere una
base o viceversa (ciò libera una grande quantità di calore,
aggiungendo così anche delle ustioni alle lesioni dovute alla
sostanza ingerita)
Cercare di capire quale sostanza sia stata ingerita
Chiamare il 118
Fare in modo che all’ospedale arrivi anche la confezione o
l’etichetta nel caso di una sostanza sconosciuta
Tranquillizzare l’infortunato valutando periodicamente le
funzioni vitali.
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3.5 IPOGLICEMIA
Il glucosio è il principale carburante
delle cellule nervose, quin di il
principale carburante del cervello.
Vi possono essere particolari situazioni
in cui la concentrazione di glucosio nel
sangue (glicemia) scende al di sotto dei
60 mg/dl. In particolare questa
condizione interessa i pazienti diabetici i quali possono presentare
oscillazioni molto ampie della glicemia. Siccome il cervello è il
primo organo che risente della carenza di glucosio i primi sintomi
saranno: alterazioni dello stato di cos cienza inizialmente irritabilità,
ansia, collera; successivamente sonnolenza e progressiva perdita di
coscienza, tremori, tachicardia e pallore
In questi casi occorre:
•
•
•
•
•
Trarre informazioni utili alla diagnosi ( infortunato
diabetico, ultima somministrazione di insulina, ultimo
pasto, pregresse crisi simili).
Se si sospetta una crisi ipoglicemica con infortunato
cosciente somministrare acqua zuccherata ed attendere
qualche minuto.
Se l’ infortunato è incosciente valutare le funzioni vitali
ed eventualmente eseguire BLS.
Valutare costantemente le funzioni vitali
In caso non si debba risolvere chiamare il 118 e riferire le
informazioni ricavate.
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3.6 COLPO DI CALORE
Le cellule del nostro organismo hanno
bisogno che la temperatura rimanga costante
attorno ai 37°C in modo che le reazioni
chimiche al loro interno avvengano al meglio.
Il nostro organismo, per questa ragione, è in
grado di mantenere la temperatura corporea
costante sia producendo calore, nel caso la
temperatura si abbassi, sia disperdendo calore
nel caso la temperatura aumenti. Per la
produzione di calore il nostro corpo ricorre
alla contrazione muscolare dapprima dei
muscoli erettori del pelo creando quello stato
comunemente noto come pelle d’oca o orripilazione e se non
sufficiente facendo contrarre gli altri muscoli del corpo ottenendo
così i brividi. Per disperdere calore, invece, si ricorre alla produzione
di sudore che viene fatto evaporare sottraendo così calore alla pelle .
Nel caso ci si trovi in un ambiente molto caldo e particolarmente
umido il nostro organismo potrebbe non riuscire a dissipare calore a
sufficienza con il conseguente aumento della temperatura corporea.
L’organo più sensibile agli aumenti repentini della temperatura è il
sistema nervoso centrale ed in particolare l’encefalo. I primi sintomi
saranno quindi cefalea, nausea, alterazioni dello stato di
coscienza fino al coma. Siccome è stata esaurita la capacità di
produrre sudore la cute si presenterà secca per incapacità di
produrre sudore.
Ecco casa fare in questi casi:
•
•
•
•
•
Portare l’infortunato in un ambiente fresco
Cercare di abbassare la temperatura con ghiaccio
(fronte, ascelle, inguine, torace)
Valutare le funzioni vitali e se necessario eseguire BLS
Chiamare il 118
Sostenere psicologicamente l’infortunato valutando
periodicamente le funzioni vitali.
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3.7 IPOTERMIA
Nel caso in cui la temperatura corporea scenda sotto i 35°C si parla
di ipotermia. È da notare che l’ipotermia non interessa soltanto gli
esploratori dei ghiacciai o gli abitanti dei paesi nordici ma possa
interessare anche una vittima di malore o di trauma in primavera alle
nostre latitudini. Vediamo di spiegare meglio il concetto.
Si è detto prima che la nostra temperatura corporea deve rimanere
attorno ai 37°C; se si considera che in una giornata o in una serata di
primavera la temperatura ambientale si aggira attorno ai 17° vi sono
ben 20° di differenza tra il corpo e l’ambiente esterno. Normalmente
il nostro corpo, come si diceva in precedenza, è in grado di produrre
calore per cui tale differenza di temperatura non espone nessuno di
noi ad alcun tipo di rischio. In alcune condizioni, come ad esempio
nello stato di shock, l’organismo perde la capacità di
termoregola zione per cui una differenza di temperatura di 20° può
rappresentare un pericolo in quanto il corpo tenderebbe a
raggiungere, secondo i principi della fisica classica, una temperatura
di equilibrio. Ancora una volta l’organo che risente dell’ipotermia è
il sistema nervoso centrale ed in particolare l’encefalo. Inizialmente
il sintomo principale sarà la sensazione di freddo e la presenza di
brividi sempre più intensi; quando la temperatura corporea
raggiunge i 33°C si possono presentare alterazioni dello stato di
coscienza fino al coma e, per temperature ancora inferiori può
sopraggiungere l’arresto cardiaco.
In questi casi occorre:
•
•
•
•
•
•
Portare l’infortunato in un ambiente riscaldato e
riscaldarlo lentamente
Coprire l’infortunato con coperte
Se disponibili applicare borse dell’acqua calda a livello
delle ascelle, inguini e torace
Valutare le funzioni vitali e se necessario eseguire il BLS
Chiamare il 118
Sostenere psicologicamente l’infortunato valutando
periodicamente le funzioni vitali
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3.8 PUNTURA DI INSETTI E SHOCK ANAFILATTICO
Nella bella stagione è frequente venire a
contatto con insetti di vario genere tra
cui api, vespe e calabroni. In caso di
puntura nella maggioranza dei casi si ha
una semplice, anche se fastidiosa,
reazione
infiammatoria
locale
caratterizzata da rossore, gonfiore
dolore e prurito. In alcuni casi, però la
situazione si complica con una reazione allergica esagerata nota con
il nome di shock anafilattico. Il meccanismo è il seguente. In
occasione della prima puntura il nostro sistema immunitario entra in
contatto con tossine che vengono iniettate dagli insetti. Queste
sostanze dovrebbero essere alquanto indifferenti al nostro sistema
immunitario, ma in casi isola ti, esso li riconosce come sostanze
pericolose e produce contro di esse degli anticorpi. In occasione del
secondo contatto gli anticorpi sono già pronti e si innesca una
reazione infiammatoria generalizzata con conseguente liberazione di
istamina una proteina vasodilatatrice in grado aumentare la
permeabilità dei vasi sanguigni. La vasodilatazione produce un crollo
della pressione arteriosa e l’aumento della permeabilità produce la
fuoriuscita di liquido dai vasi sanguigni che si accumula nei tessuti
molli; tale fenomeno porta ad un
rigonfiamento di vari tessuti e
principalmente delle pareti delle
vie aeree causandone la progressiva
occlusione. Come appare chiaro si
tratta di una situazione clinica di
estrema gravità con una mortalità
molto alta. L’unico rimedio
salvavita è la somministrazione di
adrenalina sottocute. I soggetti che sanno di essere a rischio in
quanto risultati positivi ai test allergologici verso le tossine di
imenotteri dovrebbero portare con sé un dispositivo a forma di penna
con una dose di adrenalina (figura sopra).
- 21
-
Ecco cosa fare:
•
•
•
•
•
Non perdere tempo e chiamare il 118
Aiutare l’infortunato nella somministrazione
dell’adrenalina se disponibile
Valutare le funzioni vitali e se necessario eseguire il BLS
Sdraiare a terra l’infortunato e sollevargli gli arti
inferiori
Valutare periodicamente le funzioni vitali.
- 22
-
4. PERDITA DI COSCIENZA E IL B.L.S.
(Basic Life Support)
Come abbiamo visto nel capitolo 3 molte urgenze mediche possono
trasformarsi in emergenze mediche ( per la differenza tra urgenza ed
emergenza medica si rimanda al capitolo 2.
La difficoltà respiratoria grave può complicarsi con l’arresto
respiratorio e conseguentemente con l’arresto cardiaco; l’infarto
miocardico può complicarsi con aritmie maligne che possono causare
l’arresto cardiaco; l’ictus cerebrale può interessare regioni del
sistema nervoso centrale deputate alla regolazione delle funzioni
vitali e quindi presentarsi con perdita di coscienza o arresto cardiorespiratorio.
Un soggetto si definisce incosciente quando non apre gli occhi, non
esegue comandi, non parla .
Quando ci si trovi di fronte a un infortunato incosciente il compito
primario di ogni soccorritore, laico o professionista che sia, non è
quello di fare una diagnosi o di pensare a cosa possa essere successo,
ma deve essere quello di valutare e di sostituire le funzioni vitali
qualora fossero assenti in altri termini deve mettere in pratica il BLS
(Basic Life Support).
Il B.L.S. è un insieme di tecniche che permettono di valutare le
funzioni vitali e di sopperire alla loro assenza.
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-
Le funzioni vitali sono:
1. Stato di coscienza
Capacità del soggetto di relazionarsi e di reagire agli stimoli che
gli provengono dal mondo esterno
2. Attività respiratoria
Normale alternanza di inspirazioni ed espirazioni a una
frequenza normale compresa tra i 12 e i 15 atti al minuto
3. Attività circolatoria
Presenza di battito cardiaco a una frequenza normale di 70 – 100
battiti al minuto che permette a tutti i tessuti del corpo di essere
raggiunti dal sangue ossigenato. Tale attività può essere avvertita
a livello dei polsi carotidei e radiali.
Sono state ordinate in questo modo in quanto questo è l’ordine in cui
vanno valutate. Mentre è possibile che un soggetto incosciente respiri
e abbia circolo sanguigno, non è possibile che un soggetto in arresto
cardiaco respiri e sia cosciente.
4.1. VALUTARE LE FUNZIONI VITALI.
Per la valutazione dello stato di coscienza è necessario chiamare e
scuotere l’infortunato. Grazie a tale manovra noi possiamo non solo
verificare lo stato di coscienza ma anche valutare grossolanamente la
profondità del coma secondo la scala AVPU ( A= awake; V= vocal;
P= pain; U= unresponsive).
Dopo avere valutato lo stato di coscienza e aver desunto che
l’infortunato è incosciente, chiamo la centrale operativa e comunico
che mi trovo di fronte a un infortunato incosciente. Questa
informazione da sola è sufficiente perché venga allertato un mezzo di
soccorso per un codice rosso. Dopo aver valutato velocemente la
pervietà delle prime vie aeree, si passa a valutare l’attività
respiratoria. Occorre fare una premessa. Lo stato di incoscienza si
contraddistingue per la perdita del tono di tutti i muscoli, tant’è che
l’infortunato cade a terra. Tra i tanti muscoli che perdono il loro tono
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-
vi è anche quello che sorregge
la lingua. Da ciò consegue che
la lingua in un soggetto
incosciente tenda a cadere
all’indietro ostruendo le vie
aeree. La prima cosa che andrà
fatta sarà quindi iperestendere
il capo (se l’infortunato non è
un traumatizzato) per fare in modo che la lingua non ostruisca le
vie aeree. Dopo avere eseguito questa semplice manovra (da sola in
grado di salvare la vita a molti infortunati incoscienti) si esegue la
manovra del GAS (Guardo Ascolto Sento). Abbasso la mia testa
rimanendo da un lato dell’infortunato in modo da avvicinare il mio
orecchio alla bocca e al naso
dell’infortunato. In questo
modo mi è possibile guardare
i movimenti del torace,
ascoltare la presenza di alcuni
rumori respiratori e sentire
sulla
mia
guancia
l’espirazione dell’infortunato.
Tale valutazione va eseguita
per 10 secondi.
A questo punto, dopo avere terminato la fase della valutazione, posso
trovarmi di fronte a una delle seguenti situazioni:
1. INFORTUNATO INCOSCIENTE MA CON RESPIRO
PRESENTE: si posiziona l’infortunato in posizione laterale
di sicurezza in caso ci si debba allontanare, altrimenti si
mantiene
l’iperestensione
del
capo
controllando
periodicamente le funzioni vitali.
2. INFORTUNATO INCOSCIENTE CON RESIPRO
ASSENTE: si pratica la rianimazione cardiopolmonare.
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-
Le ultime lineeguida promulgate dall’American Heart Association
del dicembre 2005 per la rianimazione cardiopolmonare non
prevedono la palpazione del polso carotideo da parte di soccorritori
laici, ossia non professionisti. Questa decisione nasce dal riscontro
che la palpazione corretta del polso carotideo non è di facile
esecuzione e che molto spesso da adito ad errori. L’errore più
frequente è avere la percezione di un polso anche nei pazienti con
polso assente. Secondo il vecchio schema procedurale un errore di
questo tipo priverebbe l’infortunato delle compressioni toraciche.
A questo punto potrebbe nascere la contestazione inerente al fatto
che così facendo si eseguirebbero compressioni toraciche anche su
infortunati in arresto respiratorio ma con polso presente. Innanzi tutto
questi sono la minoranza ed inoltre l’arresto respiratorio evolve in
arresto cardio-respiratorio in pochi minuti quindi si tratterebbe di
iniziare le compressioni toraciche con un po’ di anticipo.
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4.2 LA RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE (RCP)
NELL’ADULTO.
Esistono differenti tipi di arresto cardiaco. I due tipi principali sono
la fibrillazione ventricolare e l’asistolia. La differenza tra le due
forme consiste nel fatto che nella fibrillazione ventricolare l’attività
elettrica che comanda il cuore è ancora presente ma è completamente
disorganizzata, per cui il cuore non compie contrazioni efficaci (in
pratica è ancora vitale ma non funzionale). Nell’asistolia , invece, si è
persa ogni attività elettrica, oltre ovviamente quella meccanica. Si
desume che tra le due forme di arresto cardiaco l’unica in cui si può
intervenire è la fibrillazione ventricolare.
L’intervento universalmente riconosciuto come efficace è la
defibrillazione elettrica (defibrillare letteralmente significa togliere la
fibrillazione). Il cuore in fibrillazione ventricolare non si contrae per
cui non è in grado di far circolare il sangue e di conseguenza per
primo risente della carenza di ossigeno. A ciò si deve aggiungere che
durante fibrillazione ventricolare le cellule cardiache consumano una
grande quantità di ossigeno. Risulta evidente come un cuore in
fibrillazione ventricolare lasciato a sé non possa che evolvere verso
l’asistolia una volta consumato il poco ossigeno disponib ile. In
genere ciò accade dopo 9 – 10 minuti dall’inizio della fibrillazione
ventricolare. Si deve pertanto intervenire con la defibrillazione il più
precocemente possibile da un lato per non trovare il cuore in asistolia
e dall’altro perchè con il passare dei minuti, decresce la probabilità di
successo della defibrillazione (circa del 10% ogni minuto). La
rianimazione cardiopolmonare si pone come obiettivo quello di
sostituire le contrazioni cardiache con compressioni toraciche esterne
con lo scopo di creare un flusso di sangue ossigenato grazie alla
ventilazione artificiale. La presenza di un rifornimento di ossigeno
alle cellule cardiache fa si che esse possano mantenere la
fibrillazione ventricolare per il tempo necessario all’arrivo del
defibrillatore. Da studi recenti si è inoltre dimostrato come
l’esecuzione di una corretta rianimazione cardiopolmonare comporti
anche una migliore risposta alla defibrillazione elettrica. Si può
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-
quindi comprendere, a questo punto, come la rianimazione
cardiopolmonare sia davvero un gesto salvavita.
La rianimazione cardiopolmonare è composta di due parti:
1. le compressioni toraciche
2. le insufflazioni.
Le compressioni toraciche.
Per prima cosa si deve posizionare
l’infortunato su un piano rigido. A questo
punto si scopre il torace dell’infortunato ci
si posiziona ad un lato dell’infortunato con
le gambe leggermente divaricate e si
posizionano le due mani sovrapposte nel
punto in cui lo sterno incrocia la linea
immaginaria passante per i due capezzoli.
A questo punto si tendono le braccia, ci si
porta in avanti con il tronco in modo che le
spalle siano perpendicolari al torace dell’infortunato, e si comprime
il torace dell’infortunato utilizzando il
peso del nostro tronco e non la forza
delle braccia. Le compressioni devono
avere una profondità di circa 5 cm (1/3
dello
spessore
del
torace
dell’infortunato). Occorre prestare
estrema
attenzione
affinché
le
compressioni siano tutte uguali tra
loro; affinché la fase di compressione
sia uguale alla fase di rilasciamento ed
affinché al termine del rilasciamento il torace sia ritornato
completamente al punto di partenza per garantire il giusto
riempimento del cuore prima della compressione successiva.
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-
Le compressioni toraciche
devono essere alternate alle
ventilazioni artificiali con il
rapporto di 30 compressioni
e 2 insufflazioni.
È fondamentale che le
compressioni
vengano
eseguite nel punto corretto
per evitare di indurre il vomito all’infortunato (se si comprime
troppo in basso sullo stomaco) e provocare fratture costali (se si
comprime lateralmente) che potrebbero in un secondo tempo anche
causare danni ai polmoni o al fegato.
Le insufflazioni.
Le insufflazioni hanno lo scopo di far
entrare aria all’interno dei polmoni.
Esistono diversi modi di praticare le
insufflazioni: direttamente bocca a
bocca oppure utilizzando presidi come
il pallone di AMBU.
Per evitare il contatto diretto tra la con la
bocca
dell’infortunato
abbiamo
a
disposizione presidi come la maschera
facciale e la pocket mask (rappresentate
nelle figure) purtroppo non sempre
disponibili nel momento del bisogno. A
seguito di una inchiesta su un vasto
campione di americani in grado di eseguire una corretta RCP si è
evinto come la maggiorparte di loro non eseguirebbe la RCP in caso
di necessità a favore di estranei per paura di rischi infettiv i connessi
alla respirazione bocca a bocca. A ciò le correnti lineeguida hanno
risposto affermando che piuttosto di non eseguire la RCP è
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-
concesso eseguire le sole compressioni toraciche a patto che siano
ininterrotte.
Nel caso si decida di eseguire le insufflazioni esse devono avvenire
in modo progressivo e non violento, devono simulare una
inspirazione fisiologica. Se l’aria viene insufflata con troppa forza è
possibile che invece di andare nelle vie aeree vada nello stomaco
inducendone la dilatazione e conseguentemente il vomito. Devono
essere eseguite due insufflazioni ogni 30 compressioni toraciche,
tuttavia il tempo impiegato per eseguire due insufflazioni non deve
superare i 10 secondi.
Si può interrompere la RCP solo quando arriva il mezzo di
soccorso avanzato che prende in carico la gestione
dell’infortunato, oppure quando arriva un medico che constata il
decesso dell’infortunato, oppure quando le nostre forze non ci
permettono di continuare.
- 30
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4.3 DISOSTRUZIONE DELLE VIE AEREE
NELL’ADULTO.
L’ostruzione delle vie aeree è una delle cause principali di arresto
respiratorio. Dal momento che l’arresto cardiaco sopravviene dopo
circa 6-7 minuti di arresto respiratorio, è
necessario che ogni cittadino sia in grado di
mettere in atto questa semplice manovra.
L’infortunato con le vie aeree ostruite può essere:
• cosciente
• incosciente
Nel primo caso l’infortunato mostrerà il segno universale del
soffocamento (figura acanto), non riuscirà a parlare e a tossire. In
questo caso lo si abbraccia da dietro ponendo
un nostro pugno all’altezza del suo ombelico
esercitando delle vigorose compressioni
addominali verso l’alto con lo scopo di far
aumentare la pressione all’interno dell’addome
e quindi anche del torace per espellere il corpo
estraneo. Nell’infortunato obeso o nella donna
gravida si devono sostituire le compressioni
addominali con compressioni toraciche . Le
compressioni toraciche si possono prendere in
considerazione anche per gli altri infortunati nel caso le compressioni
addominali non siano efficaci.
Nel caso in cui l’infortunato sia già incosciente oppure perda
coscienza mentre si sta praticando la versione appena descritta della
manovra occorre adagiarlo a terra eseguire e mantenere
l’iperestensione del capo ed eseguire RCP guardando in bocca
prima delle insufflazioni limitandosi a rimuovere manualmente
solo i corpi estranei visibili.
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-
4.4 LA RIANIMAZIONE CARDIOPOLMONARE NEL
BAMBINO.
Lo scopo della rianimazione cardiopolmonare nell’infortunato in età
pediatrica è lo stesso che ci si pone per l’adulto.
Rispetto alla tecnica discussa in precedenza per l’adulto vi sono
alcune differenze che derivano da differenze anatomiche e
fisiologiche esistenti tra neonato (fino ad un anno) , bambino (fino a 8
anni) ed adulto. Cambia anche l’ordine degli anelli della catena della
sopravvivenza in quanto la chiamata dei soccorsi non avviene dopo
avere costatato lo stato di incoscienza ma dopo due minuti di RCP.
Questo nasce dal fatto che nel
caso degli adulti la causa di
arresto
cardiaco
è
generalmente
di
origine
cardiaca per cui prima si chiamano i soccorsi pr ima arriverà il
defibrillatore e prima sarà possibile risolvere la situazione con esito
favorevole. Nel caso dei bambini la causa di arresto cardiaco è nella
maggiorparte dei casi di origine respiratoria per cui è bene prima
ossigenare il piccolo infortunato e poi chiamare i soccorsi. Il
problema non si pone se presenti più persone; in questo caso le due
azioni potrebbero avvenire contemporaneamente.
Nel neonato: Innanzitutto si iperestende il capo poco e
delicatamente per non danneggiare le vie
aeree. Il massaggio cardiaco si esegue con
due dita (come nelle immagini accanto)
poste in corrispondenza del punto in cui lo
sterno interseca la
linea immaginaria
che passa per i
due
capezzoli;
il
rapporto
compressioni:ventilazioni è 30:2 e la
frequenza delle com pressioni di 100/min.
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Nel bambino:
La rianimazione avviene come nell’adulto
con la differenza che si comprime il torace
con una mano sola. Anche in questo caso il
rapporto compressioni: ventilazioni di 30:2 e
la frequenza di 100/min.
4.5 DISOSTRUZIONE
BAMBINO.
DELLE
VIE
AEREE
NEL
È assai frequente che corpi estranei occludano le vie aeree dei piccoli
infortunati. Ed è altrettanto assai frequente vedere mamme che
tengono bambini per i piedi con testa rivolta verso il basso e che
danno loro colpi sulla schiena con lo scopo di liberare le vie aeree.
Questa tecnica anche se può funzionare non è quella raccomandata in
quanto il bambino cosi facendo corre il rischio di cadere
provocandosi un grave trauma cranico.
In caso di ostruzione delle vie aeree di bambini più grandi la tecnica
è come quella che si pratica per l’adulto ma certamente la forza da
impiegare è minore.
Nel caso invece di neonati si devono
alternare cinque colpi dorsali a cinque
compressioni toraciche come nella
RCP fino alla estrusione del corpo
estraneo o alla perdita di coscienza. In
caso di perdita di coscienza occorre
eseguire RCP con la tecnica corretta in
base all’età come descritto prima guardando in bocca prima delle
insufflazioni limitandosi a rimuovere manualmente solo i corpi
estranei visibili
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5. I TRAUMI
Si definisce trauma un danno a carico di una parte del corpo
dovuto all’azione diretta o indiretta di una forza esterna.
Esso può essere aperto nel caso in cui l’interno del corpo comunichi
con l’esterno (una ferita, un’ustione), oppure chiuso (contusione,
lesione a organi interni, trauma cranico). Una nozione importante da
tenere presente è che non tutti gli infortunati traumatizzati presentano
immediatamente dopo l’evento i sintomi del trauma che hanno
subìto. Alcuni presentano sintomi anche gravi dopo giorni. Da ciò
deriva la necessità di invitare tutte le vittime di traumi, anche se
apparentemente sane, a sottoporsi a un controllo medico.
Le vittime principali dei traumi sono:
•
•
•
•
•
•
•
automobilisti
motociclisti
ciclisti
pedoni
precipitati
vittime di arma da fuoco
vittime di arma bianca
È importante definire e riferire alla Centrale Operativa la dinamica
del trauma tra le precedenti; in altre parole una vittima di arma da
fuoco avrà lesioni tendenzialmente differenti dalla vittima di
incidente automobilistico o dall’infortunato ustionato.
Prima di procedere occorre discutere brevemente le caratteristiche
fondamentali delle varie dinamiche.
Gli incidenti automobilistici non sono tutti uguali, a seconda del tipo
di impatto si possono ipotizzare differenti lesioni. La dinamica
generalmente associata a lesioni più gravi è il cappottamento o lo
scontro frontale con eiezione dell’infortunato dall’autoveicolo.
Importante è anche osservare l’entità dei danni a carico degli
- 34
-
autoveicoli; l’energia che si è sviluppata nello scontro e che ha
prodotto i dannii agli autoveicoli è la stessa che ha investito il corpo
dell’infortunato. Questi particolari vanno notati e riferiti alla Centrale
Operativa.
Per quanto riguarda i ciclisti ed i motociclisti essi sono sicuramente i
più esposti, spesso si verificano traumi multipli ed anche traumi alla
colonna. Le lesioni a carico dei
pedoni dipendono sia dall’altezza
dell’infortunato
che
dall’altezza
dell’autoveicolo. Generalmente nel
caso degli adulti il paraurti
dell’autoveicolo arriva a livello degli
arti inferiori o al bacino (figura
accanto); ma nel caso dei bambini la
sede del trauma può essere a livello dell’addome, del torace, o, nel
caso dei più piccoli, a livello del cranio. Oltre alla sede dell’impatto i
pedoni vittime di investimento possono avere lesioni al cranio per
urto contro il montante o il parabrezza dell’autoveicolo ed inoltre
possono presentare traumi in altre sedi dovuti all’atterramento.
Anche in questo caso è utile notare l’entità del danno che l’impatto
contro il pedone ha prodotto all’autoveicolo in quanto l’energia che
ha investito il pedone è la stessa. I precipitati compaiono nelle pagine
di cronaca molto spesso sia per i tentati suicidi sia per incidenti sul
lavoro. Anche in questo caso è fondamentale trarre informazioni utili
a ipotizzare la gravità delle lesioni; è infatti fondamentale chiarire
l’altezza da cui è avvenuta la caduta. Si considera un infortunato
precipitato grave quando sia caduto da un altezza almeno pari a tre
volte la sua altezza. Le vittime da arma da fuoco hanno generalmente
una ferita (di cui si dirà in seguito) a livello del foro in ingresso del
proiettile ed eventualmente una a livello del foro d’uscita. Vi saranno
anche segni o sintomi che dipendono dalle lesioni agli organi interni
causate dal proiettile durante il suo tragitto (spesso imprevedibile)
all’interno del corpo. Infine consideriamo le vittime da arma bianca,
ossia le vittime di accoltellamento. Spesso le ferite sono
abbondantemente sanguinati ed il coltello può essere ancora in sede;
in tale caso non va assolutamente rimosso in quanto può fungere da
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-
tampone ed inoltre in quanto produrrebbe altre lesioni nell’uscire dal
corpo.
I traumi possono anche essere classificati anatomicamente, e quindi
avremo:
• traumi cranici
• traumi spinali
• traumi facciali
• traumi agli arti
• traumi toracici
• soggetto
politraumatizzato.
• traumi addominali
Il trauma cranico si può presentare secondo queste differenti
tipologie:
• COMMOZIONE CEREBRALE
Danno transitorio dovuto allo scuotimento del cervello all’interno del
cranio
• CONTUSIONE CEREBRALE
Danno dovuto all’urto del cervello contro il piano osseo del cranio
(può anche essere dovuto al contraccolpo, quindi con una contusione
cerebrale nella parte opposta rispetto al trauma)
• EMORRAGIA CEREBRALE
Il trauma provoca la rottura di vasi sanguigni all’interno del cranio.
Il sangue si accumula all’ interno del cranio creando un aumento di
pressione che si traduce in una sofferenza delle cellule cerebrali.
Il trauma cranico si presenta con i seguenti segni e sintomi:
• Tumefazione a livello del punto cranico interessato
• Eventuale emorragia oppure gocciolamento di sangue da
orecchie e naso (NON vanno bloccati)
• Eventuale alterazione dello stato di coscienza
• Sovente irrequietezza (diffidare se dice di stare benissimo!!!)
• Possibili alterazioni della memoria
• Possibile dilatazione di una pupilla (danno cerebrale dal lato
della pupilla dilatata)
• Possibile vomito a getto
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Ecco cosa fare:
• Valutare la dinamica e la meccanica dell’evento
• Valutare le lesioni
• Chiamare il 118
• Trattare le eventuali ferite
• Applicare ghiaccio sulla sede del trauma
• Immobilizzare il capo manualmente
• Valutare le funzioni vitali
• Osservare periodicamente le pupille
Il trauma facciale spesso si associa al trauma cranico. In questo tipo
di trauma oltre alla priorità di immobilizzare il capo per evitare di far
compiere movimenti al tratto cervicale della colonna vertebrale che
potrebbe risultare danneggiata dal trauma subito, occorre garantire
la pervietà delle vie aeree spesso traumatizzate e ingombre di
sangue e secrezioni. Nel caso vi siano corpi estranei negli occhi essi
non vanno rimossi: gli occhi vanno invece protetti con una
medicazione che copra anche l’occhio sano.
Il trauma toracico può verificarsi in
numerose situazioni. Esso è pericoloso per
i danni che può comportare agli organi
racchiusi nel torace, come cuore e
polmoni. Tale trauma può causare fratture
costali semplici o multiple che possono
dare una volet toracica (frattura di due o
più coste in due punti). Si crea un lembo
che si muove in maniera paradossa
durante gli atti respiratori. Altra
complicanza del trauma toracico è la
ferita soffiante. Si tratta di una ferita
generalmente da punta o da arma da fuoco
che ha penetrato il polmone mettendolo in
comunicazione con l’esterno in modo che entri aria nella cavità
pleurica durante ogni atto inspiratorio. L’aria che si introduce nel
cavo pleurico (che solitamente è una cavità virtuale) e comprime
sempre di più il polmone limitandone la funzionalità. Il trattamento
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di tale ferita è molto semplice e consiste in una medicazione chiusa
sui tre lati in modo che faccia da valvola, ossia che permetta all’aria
di uscire durante gli atti espiratori e che ne impedisca l’ingresso
durante gli atti inspiratori.
Il trauma addominale è pericoloso per le lesione che esso può
causare a carico degli organi interni. La cavità addominale è in grado
di accogliere una grande quantità di sangue, quindi spesso i traumi
addominali non sono subito evidenti ma danno segno di sé nelle ore
o nei giorni successivi all’evento. Anche nel caso dei traumi
addominali non vanno assolutamente rimossi corpi estranei ma
protetti con una medicazione.
Il trauma spinale riguarda la colonna vertebrale e il midollo spinale
che in essa decorre. Il midollo spinale è una struttura che fa parte del
sistema nervoso centrale formata da vie nervose che mettono in
comunicazione il cervello con la periferia. In esso decorro vie
motorie che comandano i muscoli periferici e vie sensitive che
portano informazioni dalla periferia al cervello. Un trauma che
interrompa tale comunicazione comporterà l’impossibilità di eseguire
movimenti volontari e l’annullamento della sensibilità nei territori al
di sotto della lesione. Non tutti i traumi della colonna si
accompagnano a lesioni midollari, ma è anche vero che un trauma
alla colonna potrebbe complicarsi con una lesione midollare se non
trattato correttamente. Alla luce di ciò è necessario considerare tutti
i traumatizzati come potenziali portatori di una lesione vertebrale
ed è quindi opportuno muoverli il meno possibile per evitare che un
lesione di una sola vertebra si ripercuota anche sul midollo spinale.
I traumi agli arti possono causare fratture e lussazioni di cui si farà
un breve cenno in seguito.
Il politraumatizzato è un infortunato in pericolo di vita per
l’entità del trauma subito. La causa generalmente responsabile del
pericolo di vita è lo shock ipovolemico (ossia dovuto all’importante e
repentina perdita di sangue). Il sangue è il nostro più importante
trasportatore di ossigeno: di conseguenza perdere sangue significa
perdere ossigeno. Il sangue è anche il liquido che circola nei nostri
vasi sanguigni per cui perdere sangue significa perdere pressione .
- 38
-
I tessuti periferici risentono della carenza di ossigeno. Si mettono in
atto dei meccanismi di compenso come:
• La tachicardia (aumento della frequenza cardiaca, con lo
scopo di far circolare più velocemente il poco sangue che
rimane)
• La tachipnea (aumento della frequenza respiratoria con lo
scopo di ossigenare il più possibile il sangue rimasto)
• Il sangue viene deviato verso gli organi più nobili (cuore,
cervello e reni) quindi la cute rimare priva di sangue e
appare per questo pallida e fredda.
Nel politraumatizzato è quindi indispensabile il monitoraggio
continuo delle funzioni vitali.
Riassumendo è fondamentale valutare correttamente la dinamica
dell’evento e la meccanica del trauma per fornire alla Centrale
Operativa quegli elementi utili per ipotizzare la gravità della
situazione. È altrettanto fondamentale cercare di mantenere gli
infortunati traumatizzati nella posizione in cui si trovano fino
all’arrivo dei soccorsi qualificati avendo particolare cura
nell’immobilizzazione del capo. Il casco dei motociclisti va
sempre rimosso ma deve essere rimosso esclusivamente da
personale addestrato per cui ad eccezione dell’infortunato in
arresto cardio-respiratorio che necessiti di RCP il casco non deve
mai essere rimosso. Nell’attesa dei soccorsi occorre parlare
all’infortunato, tranquillizzarlo ed invitarlo a non muoversi.
Utile è anche farsi riferire i sintomi, soprattutto nel caso di
infortunati gravi per poterli riferire ai soccorritori nel caso
l’infortunato nel frattempo perda conoscenza. Infine è
assolutamente vietato somministrare ogni bevanda anche nello
stato di shock la sete può essere un sintomo.
- 39
-
5.1 TRAUMI DEGLI ARTI
LUSSAZIONI)
Le fratture sono lesioni a carico delle ossa. In
genere interessano gli arti ma possono
coinvolgere qualunque osso dell’organismo.
A seconda che l’asse anatomico tra i due
monconi sia rispettato o meno, le fratture
vengono
definite
composte
oppure
scomposte. A seconda che uno o ambedue i
monconi creino o non creino un danno ai
tessuti circostanti tale da esporre l’osso, esse
vengono distinte in esposte o non esposte.
(FRATTURE
E
Il nostro comportamento di fronte a una frattura non esposta è il
seguente:
•
•
•
•
Chiamare il 118 e descrivere la meccanica del trauma e la
meccanica dell’evento
Immobilizzare l’arto ne lla posizione in cui si trova o nella
posizione in cui è meno dolente
Cercare di raffreddare l’arto con ghiaccio
Sostenere l’infortunato psicologicamente
Nel caso ci sia anche l’esposizione di un moncone osseo occorre
lavare abbondantemente la ferita con acqua sterile e disinfettare in
modo da prevenire l’infezione dell’osso (osteomielite).
Le fratture possono essere complicate da:
• Abbondante sanguinamento
– Sangue contenuto nell’osso
– Sangue proveniente dai tessuti vicini danneggiati dai
monconi
– Sangue che fuoriesce da vasi sanguigni danneggiati
dai monconi
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-
•
•
•
•
Embolia adiposa
– Per entrata in circolo di tessuto adiposo contenuto
nelle ossa (riferire immediatamente alla centrale
operativa un’improvvisa difficoltà respiratoria
dell’infortunato)
Shock se politraumatizzato
Danno ai nervi vicini danneggiati dai monconi
Danno ischemico a valle per compressione sui vasi vicini
Le
lussazioni
sono
situazioni
caratterizzate dalla fuoriuscita di un capo
articolare dalla sua posizione naturale.
Esse possono essere associate a fratture e
quindi vanno trattate allo stesso modo.
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5.2 TRAUMI DELLA CUTE: LE FERITE
Le ferite sono lesioni caratterizzate dalla perdita di continuità della
cute. Esse vengono suddivise in base alle loro caratteristiche in ferite
•
•
•
•
da taglio
• limiti ben determinati
• profondità variabile
• provocate da vetri, lamiere o arma bianca
da punta
• limiti non regolari
• profondità importante
• spesso l’oggetto appuntito è ancora in sede (NON
rimuoverlo ma proteggerlo nella medicazione)
lacero contuse
• bordi mal determinati
• causate da un trauma, per cui possono associarsi a
fratture
a lembo quando il trauma produce un lembo di tessuto che
rimane unito al corpo per un’estremità
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Ecco come vanno trattate le ferite:
• Se la ferita è sporca sciacquare con soluzione fisiologica o
con acqua pulita
• Asciugare con una garza possibilmente sterile
• Bagnare una garza sterile con acqua ossigenata e
disinfettare allontanandosi a gradi dalla ferita
• Coprire con una garza sterile e fissarla
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5.3 TRAUMI DELLA CUTE: LE USTIONI
La cute forma il rivestimento esterno
del nostro corpo. Anche se non lo si
immagina, la cute è l’organo più grande
del nostro corpo in quanto raggiunge i
5 Kg di peso.
La cute svolge funzioni importantissime
per la nostra sopravvivenza:
- partecipa alla dissipazione di calore producendo sudore e facendolo
evaporare,
- partecipa alla produzione di calore mediante la contrazione dei
muscoli erettori dei peli (orripilazione) la cosiddetta pelle d’oca.
- ci difende dall’ ingresso di agenti patogeni
- ci protegge dai comuni traumatismi grazie alla sua elasticità.
Le ustioni sono classificate come lesioni
• da calore
• da freddo
• da elettricità
• da sostanze chimiche
Possono anche essere classificate in base al grado dell’ustione, ossia
in base alla profondità che la lesione raggiunge, e quindi avremo
ustioni di
• 1° GRADO
interessano solo l’epidermide e quindi
clinicamente si presentano con semplice rossore
• 2° GRADO interessano anche il derma, si manifestano
clinicamente con rossore e con la formazione di bolle per
scollamento della giunzione dermo- epidermica
• 3°GRADO vengono interessati anche i piani sottocutanei e i
muscoli, si manifestano come aree di necrosi nere, NON
sono particolarmente dolenti
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La gravità delle ustioni dipende anche dalla
superficie corporea interessata e per calcolarla
si usa la regola del 9:
• testa completa 9 %
• parte anteriore del tronco 18 %
• parte posteriore del tronco 18%
• una gamba intera 18%
• un braccio intero 9%
• i genitali 1%
Le ustioni possono essere aggravate dalle seguenti complicanze:
• Perdita di moltissimi liquidi (shock ipovolemico) ed
elettroliti (favorisce le aritmie cardiache anche fatali)
• Incapacità di termoregolazione (rischio di ipotermia)
• Possibilità di infezioni prima locali poi generalizzate (sepsi o
setticemia)
Norme di trattamento delle ustioni:
1. Allontanare la causa fisica dell’ustione
2. Raffreddare (o diluire) abbondantemente con acqua
3. Rimuovere gli indumenti qualora possibile
4. Proteggere la regione con una medicazione sterile
5. Mantenere refrigerata la parte con ghiaccio evitando di
applicare ghiaccio a diretto contatto della cute se la causa
non è stata il freddo
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5.4 LE EMORRAGIE
Il nostro corpo dispone di circa 5 litri di sangue che circola nei vasi
sanguigni. I vasi sanguigni si distinguono in vene ed arterie. Le
arterie sono i vasi che partono dal cuore e che si dirigono verso tutti
gli organi del corpo; le vene invece sono quei vasi che raccolgono il
sangue dalla periferia e lo portano al cuore. Nelle arterie quindi vi
scorre sangue ossigenato e ricco quindi di sostanza nobili per i vari
organi nelle vene scorre sangue ricco di anidride carbonica, sostanza
di scarto delle cellule.
Si definisce emorragia una fuoriuscita patologica del sangue per
interruzione dei vasi sanguigni.
Esse possono essere:
• Esterne se il sanguinamento avviene all’esterno del corpo.
• Interne se il sangue fuorisce da vasi sanguigni ma si
raccoglie all’interno del corpo.
• Endocavitarie quando il sangue fuoriesce e si raccoglie in
un organo cavo (stomaco, intestino, vescica ecc.)
Ognuna delle varianti appena descritte può essere
• Arterios a
o sangue rosso vivo
o che fuoriesce in modo pulsatile
o difficile da arrestare
o rapidamente evolutiva
• Venos a
o sangue rosso scuro
o che fuoriesce in modo continuo
o più facile da arrestare
o evoluzione più lenta nel tempo
Le uniche emorragie per cui possiamo intervenire sono ovviamente
quelle esterne. Per fermare un’emorragia venosa solitamente basta la
semplice compressione diretta sulla ferita.
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In caso di emorragie arteriose per
prima cosa provare sempre con
una compressione diretta sulla
ferita se non si sospettano fratture.
Se non è sufficiente, provare ad
alzare l’arto interessato. Se non è
ancora sufficiente, comprimere
sullo
specifico
punto
di
compressione
(a
livello
dell’inguine per l’arto inferiore e
a livello del braccio per l’arto
superiore). Se nessuna di queste procedure ha sortito un effetto
positivo, allora applicare il laccio emostatico annotando l’ora in cui
viene stretto. Il laccio non deve più essere allentato fino all’arrivo in
ospedale.
Il laccio emostatico deve essere a
banda larga (non utilizzare stringhe,
spago, corda ma utilizzare cravatte,
fazzoletti o simili); deve essere
applicato dove sia presente un osso
solo (come nella figura accanto) in
quanto laddove presenti due ossa le
arterie decorrono nel mezzo per cui il
laccio emostatico potrebbe non
riuscire a chiuderle . Va tenuto sempre presente che il laccio strige
tutte le strutture anatomiche dell’arto in questione (arterie, vene,
nervi, tessuto muscolare) per cui alcune volte può essere
consigliabile applicare il laccio e stringerlo il tanto che basta a
rendere efficace la compressione diretta.
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Esistono sanguinamento particolari come:
•
•
•
•
•
•
•
EPISTASSI (sanguinamento dal naso)
OTORRAGIA (sanguinamento dall’orecchio)
EMOTTISI ( sanguinamento dalle vie aeree generalmente
con la tosse)
EMATEMESI ( sanguinamento dalle vie digestive)
MELENA (sangue rosso scuro con le feci)
METRORRAGIA (sanguinamento dalle vie genitali
femminili)
EMATURIA (presenza di sangue nell’urina)
Non parleremo diffusamente di tutte queste forme di sanguinamento
in quanto ciò esulerebbe dai propositi di questo breve manuale ma si
accennerà semplicemente al trattamento dell’epistassi; dell’otoraggia
e della metroraggia.
Il sanguinamento dal naso (epistassi) è assai frequente, essa può
riconoscere una origine traumatica ma il più delle volte è
semplicemente legata alla fragilità capillare. In questo caso occorre
fermare il sanguinamento chiudendo le narici con le dita tenendo il
capo inclinato verso l’avanti per evitare che il sangue refluisca nelle
vie aeree; se disponibile può aiutare l’applicazione di ghiaccio alla
radice del naso.
L’otoraggia è, invece essenzialmente di natura traumatica. Il sangue
dal padiglione auricolare può provenire dalla cute del padiglione
auricolare, dal timpano o dal cranio, come si accennava a proposito
del trauma cranico complicato dalla frattura della base cranica. In
questo caso è bene proteggere la parte con una garza pulita ma non
bisogna fermare il sanguinamento.
In caso di metroraggia occorre valutare l’eventuale stato di
gravidanza della paziente e riferirlo alla Centrale Operativa evitando
in ogni situazione di introdurre tamponi di garze in vagina.
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