INostriNonniInUnFlash - Istituto Comprensivo Tricase Via Apulia

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INostriNonniInUnFlash - Istituto Comprensivo Tricase Via Apulia
Istituto Comprensivo Statale
Via Apulia Tricase
I nostri nonni
in un flash
Laboratorio di autobiografia
a cura degli alunni della classe II B
Scuola secondaria di I grado
a.s. 2012/2013
Foto sbiadite e, a volte, stropicciate che fanno ritornare indietro
nel tempo e vedere come le generazioni cambiano in un flash;
fanno riemergere ricordi. E’ stato emozionante sentire parlare i
nostri nonni come immobilizzati dai loro stessi ricordi, raccontare
con una delicatezza particolare di modi di pensare , usanze,lavoro
duro,proibizioni,sogni. Entusiasmati ed incuriositi dai loro racconti
sono nate queste pagine di giovani vite faticose, ma felici.
(Giorgia Lecci)
Istituto Comprensivo Statale
Via Apulia - Tricase
I nostri nonni in un flash
Laboratorio di autobiografia
a cura degli alunni della classe II B
Scuola secondaria di I grado
a.s. 2012/2013
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PREFAZIONE
“I nostri nonni in un flash” : sprazzi di vita che affiorano da poche
righe, scritte forse con trepidazione, sicuramente con la nostalgia
di un passato che affiora quasi per incanto. E’ la nostalgia di nonna
Antonietta . di nonno Attilio , di nonni che affidano ai nipoti le
loro memorie, i loro ricordi , le loro vecchie foto ingiallite dal
tempo in un “gioco delle parti” motivante e coinvolgente. Un
gioco che è alla base di un percorso formativo significativo. Un
percorso che rientra per certi
versi nel
Progetto di Istituto
“Itinerari alla riscoperta delle nostre radici” e che si snoda in
un’attività laboratoriale volta a consolidare le competenze
linguistiche attraverso la tipologia testuale dell’autobiografia e a
sottolineare il confronto fra generazioni, fra presente e passato.
Una strategia didattica efficace e avvincente
non solo perché
punta all’acquisizione delle “competenze tecniche”, ma anche e
soprattutto perché mira a suscitare emozioni. E le emozioni nella
vita
servono come servono a scuola, se non
altro perché
consentono ai docenti di catturare l’attenzione dei discenti e di
coinvolgerli in “un viaggio nella memoria” alla ricerca delle loro
radici e della loro identità culturale.
Il dirigente scolastico
Prof.ssa Eufemia Musarò
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Nelle antiche società, la cultura veniva tramandata oralmente
dagli anziani ai giovani, l’unico modo per imparare era ascoltare i
racconti degli anziani che sono da sempre i custodi di ricordi e di
tradizioni. Ricordare è vivere. La vita non è quella che si è
vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per
raccontarla (G.Garcia Marquez, Vivere per raccontarla). La
narrazione di storie, perciò ,è centrale nella vita dell’uomo perché
tocca la sfera delle emozioni ed esse stesse diventano “storie”.Oggi
l’autobiografia è stata riscoperta anche come metodo di formazione
,poiché attraverso il racconto si documenta la propria esperienza al
passato e al presente e si lascia una testimonianza di sé agli altri,
suscitando la curiosità e il piacere di scoprire l’altro in modo nuovo.
E il metodo autobiografico è lo strumento utilizzato nel
“Laboratorio di autobiografia”, da cui è scaturito il presente
lavoro. I giovani autori sono andati alla ricerca negli album
fotografici delle foto,testimonianza forte che ci lega alla vita degli
altri,provocando l’evocazione di immagini in movimento , ferme
nella memoria dei loro nonni e zii. Hanno ascoltato e recuperato
delle “tracce di senso” esistenziali, relazionali ed affettive che
hanno fissato mediante la scrittura in prima persona. Sono ,
infatti, narrazioni co-costruite, racconti e ricordi di vita trasmessi
all’altro che li connette con il proprio vissuto; delineando in tal
modo uno “spazio” in cui le identità sono di fronte per costruire
insieme un frammento di memoria collettiva.
Tricase,13 aprile 2013
Giovanna Calora
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E’ pazzesca l’incapacità di accorgersi del mondo intorno. Ancora più
folle non sapersi guardare dentro(…)Sono le persone a riempire i paesi
e le città. Le famiglie. E sono i legami al di là del tempo, oltre le
differenze di età e di obiettivi.
(V. Coppola, Immagina la gioia)
Un sentito grazie ai genitori per la disponibilità nella ricerca
delle foto e, in particolare, ai nonni e agli zii che hanno reso
possibile la realizzazione di questo piccolo magazzino di ricordi.
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Nonno Attilio
" Mesciu Attiliu, quista settimana cuminciamu i lavori a 'ddra mie?"
Questa era sempre la domanda che facevano a me e ai miei
compagni di lavoro! Non ho avuto una vita facile: quando avevo
tre anni é morto mio fratello Vincenzo, aveva solo dieci anni, per
una ragazzata. Mentre i miei genitori erano in campagna lui andò
alla ricerca di nidi di uccelli e si arrampicò sullo stipite della porta
della Cappella di San Donato,all'improvviso si staccò un capitello
di tufo dalla porta facendolo cadere e schiacciandolo, morì pochi
giorni dopo. Dopo un anno morì anche mio padre, non si era mai
ripreso dal dolore della morte di mio fratello. Mia madre si ritrovò
in due anni senza marito, senza un figlio e altri quattro da
mantenere. Non é stato semplice. Ho frequentato la scuola fino alla
quarta elementare e poi non sono più andato, a casa c'era bisogno di
aiuto perciò mia madre mi mandò da suo fratello a Diso per
aiutarlo con le pecore. Verso i dieci anni sono ritornato a
Montesano e sono andato presso un muratore per imparare il
mestiere. Si chiamava "mesciu Totu", ero molto legato a lui, mi ha
insegnato tutto, é stato un secondo padre per me. A venti anni
avevo la mia squadra di muratori, ed ero molto bravo. Le persone
facevano la fila per farsi costruire una casa da me. Questa foto,
fatta nel 1959 ritrae tutta la squadra: eravamo in sette e ognuno
aveva un compito: chi metteva il cemento, chi caricava e scaricava i
blocchi di tufo, chi li squadrava. Si lavorava per 8- 9 ore al giorno.
Era un lavoro molto faticoso. Qui ci troviamo a Montesano e
avevamo appena finito di fare la volta a una casa. Mi piace
guardare questa foto, c'era un bel rapporto tra di noi, provo gioia e
nello stesso tempo tristezza, molti di loro non ci sono più. Sono gli
anni più belli: ho conosciuto la nonna Antonietta Cristina
chiamata ‘Ntonietta , che il 18 aprile del 1960 ho sposato.
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Ho quattro figli e sette nipoti. Se guardo indietro la mia vita sono
molto contento: ho affrontato tante difficoltà, ma ho saputo
superarle. Quando siamo a tavola tutti insieme mi piace guardarli
con aria compiaciuta e ringrazio il Signore per avermi dato la
possibilità di vederli tutti insieme felici e realizzati.
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Nonna Antonietta
Ottantasei anni di storia, ottantasei anni pieni di emozioni e
sconvolgimenti. Ottantasei anni passati in un lampo senza che me
ne accorgessi!Ne è passato di tempo e le foto, le parole fanno
rinascere in me la nostalgia. I ricordi riaffiorano nella loro
importanza e bellezza. La felicità di essere solo una bambina non
mancava, ma è anche vero che la gioia di vivere la vita è
incominciata a sgorgare a soli diciannove anni quando incontrai
Emanuele.Era il 1945 ed Emanuele faceva già il fotografo e io
naturalmente ero il suo soggetto preferito da fotografare. Ricevevo
sempre degli scatti, dopotutto a quei tempi ero molto bella. Una
foto che io preferisco è quella in cui indosso i suoi abiti. Ricordo
perfettamente la scena. Emanuele era appena arrivato sulla
terrazza della casa, nel centro storico dove io abitavo ancora con i
miei genitori. Voleva scattare una delle sue altre foto, questa volta
però dovevo indossare la sua tenuta da caccia perchè a lui piacevo
molto vestita in quel modo. Alla svelta mi tolsi gli abiti sporchi che
tenevo per le faccende domestiche e indossai dei bellissimi
pantaloni alla cavallerizza di un colore marrone scuro, una camicia
bianca, con la cravatta e un gilet sopra, che rendeva il tutto
leggermente più elegante. Calzavo invece degli scarponcini neri con
tacchetti e calzettoni bianchi molto pesanti. Gli scarponcini erano
un mio regalo per il nostro primo anniversario e a lui erano piaciuti
anche perchè andavano molto di moda in quel periodo, per gli
uomini naturalmente infatti, noi donne non ce lo potevamo
permettere
o
sarebbe
stato
scandalo!Perchè
scandalo???Semplicemente perchè 67 anni fa le cose erano molto
diverse. Innanzitutto, i vestiti che avevamo erano solamemte due,
uno per le feste o per le domeniche e l' altro per tutti i giorni.I l
vestito per le feste era di solito un vestito privo di colori
vivaci,infatti per la maggior parte gli indumenti erano neri e
grigi;per gli uomini pantaloni, camicie, giacche e
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naturalmente non mancava mai la cravatta che stava sempre bene.
Per tutti i giorni le ragazze e le donne invece usavano una semplice
gonna e camicia, ma poichè i lavori in casa erano tanti, per non
rovinare gli abiti, si usava molto indossare uno scamiciato dai
colori vivaci ed ecco come i vestiti rimanevano intatti e pronti per
essere usati per un' intera settimana. Alle donne inoltre non era
permesso girare per le piazze con addosso dei pantaloni. Non erano
considerate allo stesso modo degli uomini. Ad esempio non
potevamo uscire di casa alla sera soprattutto se si era fidanzati ed è
per questo che impugnare in quella foto un fucile vero mi faceva
sentire forte, quasi importante, ma non dovevo illudermi perchè
quella foto sarebbe
durata ancora per
pochi minuti, dopo
di che la realtà
riprendeva
a
dominare e io
ritornavo a pulire,
aiutare in casa,
dire il rosario o
giocare a carte.
Ma tutto questo a
me
piaceva!Mi
piaceva essere una
donna semplice e
questo spiega la
mia felicità in un
periodo ricco di
opposizioni e severità da parte dei genitori e anche da parte del
marito che era sempre molto costante. Anni bellissimi senza dubbio,
ma ogni giorno che passa sempre più lontani!!!
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Nonna Rosaria
Con tutta la tecnologia e la comodità di oggi i giovani non sanno
nemmeno cosa significano le parole fatica e lavoro. Mentre negli
anni di mio padre queste due parole erano all’ordine del
giorno.Negli anni 5060 anche se si
lavorava per molte
ore al giorno e tutto
l’anno
non
si
guadagnava molto
perché i soldi che si
portavano a casa
erano pochi . Questo
era il caso di mio
padre Rocco, lui
faceva un lavoro
molto duro: lo scava
monte, che consisteva
nell’ andare nelle
cave a prelevare dalle
pietre i tufi che
servivano a costruire
case, pozzi e cisterne.
Naturalmente a quel
tempo non c’erano le macchine di oggi e quindi tutti i lavori erano,
molto spesso, lavori manuali e molto faticosi. Un aspetto
svantaggioso di questo lavoro era la lontananza delle cave.
Purtroppo le macchine non se le poteva permettere nessuno e così si
doveva andare a lavoro a piedi. Era veramente faticoso camminare
sotto il gelo dell’inverno e l’aria afosa dell’estate e a volte chi non
si poteva permettere nemmeno le scarpe doveva lavorare scalzo.
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Non c‘erano molte pause per riposarsi a parte la"MARENNA" una
pausa di 5 minuti quando si poteva riposare e mangiare una
frisella. Le cave di quei tempi ormai non si trovano più perché sono
diventate piscine o piccoli porti. Questo è il caso di Marina Serra,
infatti prima non esisteva né la piscina né il porticciolo che negli
anni 50-60 erano solo delle cave. A volte, vedere Marina Serra
oggi piena di ragazzi che si divertono mi dà una strana sensazione,
il pensiero che quel luogo di divertimento tanti anni fa era il luogo
del faticoso lavoro di mio padre ,che a volte non mi permetteva di
vederlo per intere giornate .Le sue ore lavorative erano molto
lunghe e cambiavano in base alle stagioni :d’ inverno si "CALAVA"
più tardi e non si ritornava a casa prima del tramonto mentre d
estate si "CALAVA" prima per lavorare al fresco .Mio padre ha
dovuto faticare molto per mantenere la nostra famiglia, nonostante
il nostro piccolo aiuto economico che davamo facendo dei piccoli
lavoretti come andare a raccogliere il tabacco. Di solito se non c era
molta necessità di soldi le ragazze non lavoravano, ma rimanevano
a casa con la mamma per imparare i lavori domestici e cucire, per
preparare la dote per il matrimonio. E’ una vera fortuna che i padri
di oggi non sono severi come quelli di una volta e sono più presenti
nell’ infanzia dei loro figli.
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Nonna Michelina
Sono una mamma di 5 figli ,4 femmine e 1 maschio. Da quando ero
ragazzina, intorno ai 16 anni e fin quando non è nata la mia
quarta figlia ,ho avuto capelli lunghissimi ,li avevo così lunghi fin
sotto la schiena e per fare acconciature particolari usavo una lacca
molto forte e con un pettine lì cotonavo per dargli la forma che
più desideravo .Molte mie amiche usavano acconciare i capelli con
grandi chignon per seguire la moda del tempo.Da giovane insieme
alle mie amiche andavamo a casa di una mia cara amica e lei ci
insegnava a cucire degli abiti. Vedendo che a quell’epoca non
c’erano molti soldi io me li creavo da sola. E ricordo ancora che un
giorno mio marito Gino mi disse “Fatti bella,oggi ti porto a ballare
e a cenare” ; però ,c’era un problema : io non avevo i vestiti e
quindi presi la mia macchina da cucire, che ancora funzionava e mi
creai in fretta e furia un vestito speciale per la mia serata speciale.
Mio marito Gino , sin da ragazzo aveva un suo idolo ELVIS
PRESLEY .I pezzi che Elvis cantava erano rock and roll..
Divenne anche il mio idolo perché adoravo le sue canzoni e ogni
volta che io e i miei amici ascoltavamo la sua musica non
smettevamo di ballare . Io ho comprato tanti dischi di ELVIS
PRESLEY, ma quando sono tornato dalla Svizzera li ho lasciati
a mio fratello, con grande dispiacere.Ancora oggi quando mi capita
di ascoltare la musica di Elvis, mi emoziono e ritorno con il
pensiero alla musica degli anni 50.
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Nonna Teresa
Quaranta anni fa, quando io avevo venticinque anni, noi ragazze ,
se volevamo avere degli abiti, dovevamo lavorarli a mano , invece
passati gli anni e inventata la nuova tecnologia, costituita da
macchinari e oggetti vari, i ragazzi gli abiti se li trovano già
“pronti” in un negozio e non stanno tutto quel tempo a lavorare
per avere un abito. Io ho imparato a cucire all’età di tredici anni.
Quando ero piccola, dopo la chiusura della scuola, andavo dalla
maestra di ricamo, la maestra Lucia, vicino alla mia casa di Tutino
e ci restavo quasi tutto il giorno: dalle otto e trenta del mattino alle
dodici e trenta e il pomeriggio dalle sedici e trenta alle venti e
trenta. A me piaceva molto cucire e ricamare , ma soprattutto mi
piaceva lavorare all’ uncinetto. Una volta diventata grande,all’ età
di ventidue anni, ho ereditato un chiosco a Marina Serra. Quando
non c’ era gente ,per trascorrere il tempo ricamavo i centri o
lavoravo all’ uncinetto. Solitamente indossavo pantaloni e
maglietta, vestiti molto comodi, con le scarpe chiuse. Ho ricamato e
lavorato all’ uncinetto , molti centri. Molti di essi li ho venduti e
ho guadagnato un po’ di soldi. Quando, al chiosco c’era mio marito,
io e mio figlio Antonio,andavamo sempre a casa di Giuseppe, un
vecchio amico di famiglia, da noi denominato “Don Pippi”, perché
stava sempre in chiesa a pregare. Sua moglie, siccome era una sarta,
mi insegnò anche a cucire i vestiti. Mi ricordo un giorno , mentre
stavo cucendo una gonna, mio figlio Antonio me la tolse di mano e
io mi misi a rincorrerlo per tutta la casa. Per me , questi , sono dei
bellissimi ricordi, perché mi ricordano quando io giocavo con mio
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figlio da piccolo e dei bei momenti che ho trascorso, con mio marito
e con i miei tre figli. Per me sono ricordi d’oro, che resteranno
sempre nel mio cuore, e rimpiango quegli anni di giovinezza , anche
se so che la vita continua e non può fermarsi!
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Nonna Mina
La musica, da ragazza, era la colonna sonora della mia giornata.
Quello che serviva nei momenti tristi e in quelli felici. Quello che
riempiva il mio cuore di adolescente felice.Anche se in realtà, prima
di essere felice, passai un periodo molto scuro. Soprattutto perché
mio padre, alle medie, non voleva, per nessun motivo al mondo,
farmi frequentare. Infatti, non ho nemmeno la licenza media,
perché in seconda, egli mi ritirò, anche se io ero bravissima a scuola.
Persino il mio professore, litigò con mio padre per farmi restare a
scuola, ma non ci riuscì.Io, però, ero una ragazza molto forte e non
mi persi d’animo; dopo poco tempo infatti, trovai un lavoretto,
qualcosa da fare, più che altro per passare il tempo: cominciai a
fare la maestra di “Tombolo”, un’ arte di cucito molto bella, che mi
aiutò a riempire le mattinate vuote. Poi, quando avevo circa 16
anni, conobbi Giovanni. Lui era di ben undici anni più grande di
me. Era di Martina Franca. Aveva gli occhi e i capelli scuri ed era
molto carismatico, infatti, mi ha conquistata fin da subito. Mi
piaceva sempre farmi bella per lui. Pettinavo con molta cura i miei
capelli, biondi e molto lunghi. Prima infatti, pochi andavano dal
parrucchiere, infatti si lasciavano i capelli lunghi e si pettinavano
con un po’ di fantasia. Ricordo che le pettinature più belle e più
usate erano gli Chignon. In dialetto lo chiamavano “Ttoppu”, non
ricordo perché, e questo consisteva in uno Chignon alto e molto
grande. Usavo anche vestire molto bene. Il mio vestito delle
cerimonie era molto bello. Era un tailleur verde scuro con una
giacchina corta impreziosita da piccoli bottoni gioiello e una gonna
a tubo appena sotto al ginocchio. Come tutte le ragazze, avevo
ovviamente solo questo.Giovanni, il mio futuro marito, mi trasmise
la sua passione per la musica. Mi regalò un bellissimo gira-dischi,
che era quasi sempre acceso, perché avevo tantissimi 45Giri. Ah, che
bei tempi! Prima c’erano, appunto, i famosi 45Giri, che erano dei
dischi neri in vinile, che avevano ognuno due canzoni. Ed era bello,
perché si dovevano guadagnare i soldi prima di poterne comprare
uno. Non si potevano masterizzare, ovviamente! Oggi invece, è una
cosa banale: basta un clic per ascoltare tutte le canzoni possibili e
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immaginabili. Poi Giovanni mi regalò anche una bellissima radio.
Io la adoravo. Potevo ascoltare le notizie, dato che non c’erano i
televisori, e molto spesso trasmettevano anche dei programmi
musicali. Quello che mi piaceva di più, era il festival di Sanremo. Al
mio tempo, ricordo che c’erano tantissime canzoni belle. Mi piaceva
molto “Cuore Matto”, di Little Tony, che vinse il festival nel 1967.
Di solito, tutto il vicinato la sera, si riuniva a casa mia per
ascoltare la competizione. Infatti, pochi potevano permettersi una
ricchezza del genere come la radio! In generale, la musica, per le
ragazze, era l’unico strumento per passare il tempo. Infatti, non
erano mai lasciate uscire da sole, perché i genitori erano molto
gelosi. Si metteva una bella canzone d’amore, e si viaggiava con la
fantasia, pensando ad un qualunque futuro…
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Nonna Neni
Tanti anni de fatica, e m’aggiu ‘mparata propriu bbona! Negli anni
’50, molte donne,anche molto giovani,imparavano a cucire e
ricamare. Questo era il mio caso. Come tutte le ragazze del mio
tempo, anch’io ricamavo e cucivo. Mi piaceva farlo soprattutto
quando ero in compagnia,sotto casa,in Via Vittorio Emanuele,sulla
strada per poter raggiungere il paese di Tiggiano. Ho imparato a
cucire e ricamare facendo un corso di tre mesi per ragazze, e in
seguito ho appreso altre cose dagli insegnamenti di mia madre e di
una maestra privata, che insegnavano a me e alle mie sorelle. Ero
molto piccola quando iniziai,avevo l’età di sette anni e sono l’unica
tra le mie sorelle a saper cucire e ricamare meglio. Ricamare e cucire
era una passione di tutta la mia famiglia, anche dei parenti più
lontani, perché a quel tempo e anche ora è un insegnamento che
serve .E perciò già all’età di vent’anni sapevo cucire punto giorno,
punto ombra,ritaglio, e altri punti. In una particolare foto,che
ancora conservo,ci sono io mentre ricamo il corredo,di quando
ancora lavoravo nella fabbrica di tabacco. La maggior parte delle
ragazze del quartiere si riunivano per ricamare e cucire
insieme,d’inverno ci piaceva prendere il sole e d’estate cercavamo in
ogni modo di cercare un posticino al fresco. Ci piaceva
parlare,spettegolare e raccontare barzellette. Era piacevole stare
all’aria aperta. Col passare del tempo,ho potuto migliorare le mie
capacità di cucire e ricamare e ho insegnato anche un po’ di cose
alle mie figlie e alle mie nipoti. È un hobby molto utile che molte
volte sa divertire. Spero che le ragazzine di questi tempi, possano
seguire i miei esempi e che si divertano anche loro.
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Nonna Nina
Ai miei tempi (40’-50’), noi donne non usavano i pantaloni in
nessuna occasione, neanche per andare a lavorare nelle terre,
proprio per questo motivo, indossavamo i vestiti lunghi per poter
lavorare comode in ogni posizione senza dare scandalo. A
quell’epoca i vestiti di noi bambini venivano recuperati dai vestiti
degli adulti. Negli anni 40-50 per poter sembrare più eleganti , le
mamme applicavano diversi disegni , ad esempio, fiorellini, i
merletti alle gonne,sugli abiti delle ragazze, mentre per i ragazzi
cucivano polsini e colletti , per far sembrare che sotto la giacca
avessero la camicia. E questo veniva fatto proprio perché non
esistevano le macchine per fare le stampe, e anche per le scarpe,
perché all’epoca, avevamo solo un paio di scarpe, e non come oggi
che ne abbiamo un paio per ogni occasione, quindi andavamo a
lavorare scalzi nelle terre per non rovinare le scarpe della
Domenica. Per poter averne un paio, molte famiglie, come la mia,
non avevano la possibilità di andare al negozio a comprarle, ma
facevano venire a casa un calzolaio e farsele fare su misura. In
occasioni di ricevimento se una donna si truccava veniva
considerata una poco di buono. Per quanto riguarda il matrimonio,
la maggior parte delle spose, l’abito se lo confezionava da sola,
perché per necessità tutte le ragazze imparavano a cucire, e andare
da una sarta costava molto. Nel mio tempo libero mi piaceva
ricamare, ad esempio, ricamavo tende da camera con un telaio in
legno. Per imparare questo mestiere c’erano sia le maestre
ricamatrici, sia le maestre sarte, in genere per andare ad imparare si
pagava, ma poco anche se all’epoca era tanto. A quei tempi, noi
donne, vestivamo con gonne lunghe, perché si rispettava molto
l’ordine e il pudore, invece era proibito portare le mini-gonne nella
maggior parte delle famiglie. In genere,i vestiti erano fatti da noi
con stoffe recuperate da tende e coperte vecchie. In quel tempo non
si aveva la libertà di uscire a qualsiasi ora , anche se a volte, con
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una grande compagnia si poteva andare al cinema perché in casa
non c’era la televisione. La sera, quando ci si annoiava, si usava
riunire alcune amiche, vicine di casa e con i giradischi di una volta,
imparavamo a ballare diversi balli come la mazurca, il valzer e lo
spirù. Infine, la maggior parte dei ragazzi si fidanzavano versi i
16-17 anni.
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Nonna Serafina
Prima le persone più anziane erano molto attaccate alla chiesa,e quindi si
dedicavano molto al culto religioso, di solito nel periodo della madonna di
santa Rita che girava per ogni casa la gente si riuniva nella casa della
vicina e pregava e, a volte, il rosario veniva ripetuto per due volte e ogni
santo giorno la stessa cosa. Mi sembravano le giornate più lunghe ma per
mia fortuna la statua si teneva a casa solo per due o tre giorni e non di
più. Nella mia famiglia la più legata era la mamma e ci obbligava a
pregare almeno una volta al giorno anche se non in chiesa perché prima si
andava a lavorare e non si aveva il tempo per fare tutto questo. Le
processioni erano un momento importante dell’anno, tutti si vestivano in
maniera elegante e adeguata ,infatti, sono i momenti più importanti di
tutto l’anno a cui la maggior parte del paese partecipa . Tutte le persone
si trovavano in chiesa, le femmine vestite di bianco e un velo dello stesso
colore del vestito, mentre i maschi con il completo la persone più grandi e i
ragazzini con dei vestiti di festa. La processione era composta dalle
persone adulte che si posizionavano dietro la statua mentre i ragazzini
che in alcune occasioni avevano una bandiera e chiudevano la
processione. Davanti alla statua le autorità più importanti. Prima la
strade non erano illuminate come ai giorni nostri con tante luminarie, ma
c’erano due o tre luci oppure, qualche decorazione e non si usavano
neanche quelle che noi chiamiamo citronelle,ma in qualche casa venivano
accese le luci. Di solito queste processioni attraversavano tutte le strade
del paese. Il catechismo prima per i ragazzi era un ritrovo dopo la scuola
ed era molto frequentato soprattutto dai più grandi . C’era chi rispettava
l’ora della dottrina ed era educato, ma anche chi era un po’ più birichino.
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Nonna Teresa
La vita ai miei tempi non era facile, e mi ricordo di un’attività
molto importanti, d’importanza vitale per le famiglie: la
coltivazione del tabacco. Il tabacco era lavorato da tutte le
famiglie, escluse le più ricche. Era un processo molto lungo che
andava dalla primavera all’autunno e, quando pioveva, dovevamo
correre come delle matte per salvarlo dall’acqua,soprattutto se le
piantine erano verdi, in quel caso sarebbero diventate nere. Dopo
averne preso abbastanza bisognava metterlo in dei grandi
capannoni che tutte le famiglie utilizzavano. In questa foto si vede
la mia migliore amica Anna con uno sfondo dedicato ai “chiuppi” di
tabacco. Era l’estate del 1960 e la foto è stata scattata a Ginosa,in
provincia di Taranto. Molte persone andavano lì per via del terreno
ampio che offriva quella città. Il tabacco era piantato, sarchiato e
raccolto. Poi si facevano molti chiuppi ed era lavorato al telaio.
Dopo,a settembre,avveniva l’essiccazione. Alla fine dell’anno,
verso ottobre era consegnato all’AC.A.I.T. In inverno si lavorava
foglia per foglia e si facevano diventare come dei dischi.
Pressandole,infine,venivano fuori le sigarette. Mi ricordo un giorno
in cui un caposquadra portò me e altre 50 ragazze in Calabria,
ovviamente per lavorare il tabacco. Erano ragazze provenienti da
Tutino, Lucugnano, Tricase, Specchia e Ruffano e lavoravamo
anche il sabato e la domenica. Però, in alcune occasioni importanti,
ci facevano ritornare nel nostro paese d’origine, e noi, super felici,
ci vestivamo abbastanza eleganti. Una volta arrivate nei nostri
paesi, tutti pensavano che facevamo parte del teatro,dato il nostro
abbigliamento diverso da quello delle nostre amiche rimaste al
paese.
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Nonno Antonio
“Cu te mantivi i sordi intra a poscia, te l’eri buscare cu la fatica”.
Era così che diceva mio papà. Ai miei tempi era dura. La maggior
parte del paese non godeva di ricchezza,e io,per fortuna mi trovavo
in una situazione non male. Ho iniziato a lavorare molto giovane,
avevo circa sedici anni. Lavoravo per un’impresa edile,Baglivo,che
ora non esiste più. Lavoravo con il futuro suocero di mia
figlia,nella zona di Caprarica. Ai miei tempi era un po’ difficile
trovare lavoro e io sono stato fortunato,anche perché ho iniziato
molto giovane. Di solito costruivamo muri e tetti. La giornata
lavorativa era abbastanza pesante e appena arrivavo a casa ero
molto stanco. Lavoravamo tutta la giornata,dal mattino
presto,lasciavamo all’ora di pranzo per mangiare e poi ritornavamo
per terminare il lavoro e lasciare fino a quando il sole non andava
via. Adoperavamo i tufi per le misure che dovevano servire a
costruire il tetto a stella. Prima, le case erano tutte caratterizzate
da questi tetti che non erano dritti come adesso ma appunto,sul
soffitto hanno la forma di una stella. E si è cominciato solo verso
gli anni ’70 a costruire tetti come quelli di ora.Un altro elemento
importante nel campo edile era il tufo, che veniva ricavato dai
monti della Contrada Matina. Esso prima, aveva un colore simile
al carparo, mentre quelli di ora sono più bianchi. Per livellare i tufi
si usava la mannara,una specie di accetta, e per scavarli lo “zocco”.
Anche ora si usano questi oggetti, ma esistono anche macchine
moderne che risparmiano il lavoro a mano. Per lavorare nell’impresa
edile,ci si vestiva con vestiti vecchi e sopra si mettevano dei
grembiuli con dei cappelli a punta. È stato un lavoro davvero molto
duro che mi ha insegnato che mio padre aveva ragione, “Cu te
mantivi i sordi intra a poscia, te l’eri buscare cu la fatica”.
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Nonno Rocco
Alli tiempi mei nu esistiane i vagabondi….
Questa è la frase che io sempre ripeto a mio nipote perché quando
gli chiedi una cosa lui mi risponde dicendo: Nu me codda.Io come i
miei due fratelli abbiamo vissuto un’ infanzia molto difficile
perchè noi nostra madre non la vedevamo mai. Lei lavorava a Bari
e tornava a casa il sabato sera. Io e i miei fratelli sentivamo molto
la sua mancanza tanto che
la domenica non uscivamo
per passare una giornata
con lei .Il mio papà faceva il
contadino e vendeva verdure
sulle piazze della città.
Lui,inoltre piantava anche
tabacco e finchè noi maschi
non finivamo le scuole
prendeva una operaio per
aiutarlo .Io volevo tanto
continuare la scuola, ma
non l’ho potuto fare perchè
appunto ho dovuto aiutare
il mio papà. L’ estate
quando ero piccolo venivo
portato da un falegname per
imparare il mestiere,fino a 10 anni .Invece, le femmine andavano
da una maestra di uncinetto e quando finivano le scuole
rimanevano a casa a fare le faccende di casa in assenza di nostra
madre .
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Nonna Pasqualina
Nonostante la mia memoria corta,ricordo ancora quando da
giovane andavo a lavorare con mio marito Rocco, nei campi. Ero
una contadina, ovvero una bracciante agricola professionista. Il
mio lavoro era diviso in due periodi : in primavera ed in estate
stavo nei campi, mentre in autunno ed in inverno lavoravo in
manifattura, cioè in magazzino. Però non restavo tutto l’ inverno
in magazzino, infatti a gennaio io e mio marito preparavamo le
“ruddhe” (i semensai) per le piantine di tabacco. A inizio primavera,
poi tiravamo le piantine e le piantavamo a talari nei campi, per poi
raccoglierle nel mese di giugno, quando erano mature. Nel periodo
primavera-estate, la giornata iniziava al sorgere del sole o anche
prima; andavamo nei campi per raccogliere il tabacco. La raccolta
di tabacco nei campi veniva accompagnata da stornelli di canzoni
paesani che ognuno accordava a modo suo e così si pensava meno
alla stanchezza che aumentava col passare delle ore. Ci fermavamo
solo a mezzogiorno, quando la campana della chiesa suonava; si
mangiava qualcosa e poi ritornava subito nei campi fino al
tramontare del sole. Durante la raccolta bisognava stare attenti a
sistemarlo a mazzetti nelle panare, (cesti di canne intrecciate) che
una volta riempite si portavano subito nei capannoni, dove
avveniva la filatura. La filatura avveniva a mano : si prendeva
una “cuceddha” (ago lungo di ferro) dove s’ infilava il tabacco; una
volta riempita si passavano le foglie di tabacco in uno spago lungo
più o meno un metro. Successivamente con il progresso della
tecnologia questo lavoro veniva svolto da una macchina. Queste
corde di tabacco poi, venivano messe al sole sui telai di legno per
essiccare. Dopo l’ essiccatura le corde venivano tolte dai telai e
legate a gruppi di 20 formando i “chiuppi” che venivano appesi al
soffitto e lasciati lì fino alla vendita. La vendita avveniva ad
ottobre : si prendevano questi “chiuppi” e si sistemavano in
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apposite casse e si portavano in magazzino per essere vendute. Il
tabacco veniva pagato tanto al quintale e in base alla qualità.
Infine come ho accennato all’ inizio in inverno andavo in
manifattura per lavorare il tabacco essiccato che noi contadine
avevamo venduto. Qui sfilavo il tabacco dalle corde e poi lo
selezionavo in base alla grandezza e alla qualità e così c’ era il
tabacco di tipo “A” “B” e “C”. Per questo lavoro venivo pagata e in
più mi mettevano contributi validi per la pensione. Quei si che
erano bei tempi “ picca pane , picca patarnosci”. E’ vero
lavoravamo molto e non avevamo niente, però eravamo ricchi di
valori; al contrario oggi avete tanto benessere ma siete poveri
dentro!!!
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Nonno Peppino
Anche io come tante persone di quell’epoca sono stato un
emigrante in Svizzera perché qui il lavoro era poco e non c’erano
possibilità economiche .Ho lavorato in un albergo sul Lago di
Lugano, il” Beau Rivage “,qui facevo il lavapiatti e il giardiniere.
Qui ho lavorato per 10 anni mettendo da parte i soldi per poter
costruire una casa nel mio paese. Poi sono ritornato in Italia e ho
ripreso a fare il contadino. Ancora oggi nonostante i miei 86 anni
lavoro ancora la terra e poto gli alberi ,ma ora non lo faccio più per
un bisogno economico ma per passare il tempo. Fino ad oggi ho
vissuto una vita felice,dura ma felice insieme a mia moglie.
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Mia moglie ha sempre lavorato la terra , raccoglieva il tabacco
insieme ai suoi fratelli e sorelle. Suo padre faceva il fattore,io l’ho
conosciuta durante un estate che ero andato a Roma per lavorare
nei campi di tabacco. Ci siamo sposati il 19 gennaio del 1956.
Abbiamo avuto 3 figlie che ci hanno regalato 10 nipoti e 12
pronipoti ,e abbiamo già festeggiato 57 anni di matrimonio felice
insieme alle figlie e nipoti!!!...
PS.Se avessi la possibilità di rinascere vorrei rifare la stessa vita!.
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Zio Pippi
Tricase, dolce Tricase, un paese ricco di storia, cultura eee… Oggi
Elena è venuta e mi ha chiesto di mostrarle alcune foto ; voleva
sapere , faceva domande.Insieme abbiamo preso la scatola con le
foto e ho visto nei suoi occhi tanto interesse che mi veniva di
regalarglielo.Le ho mostrato una foto dove c’ erano Sara e Uccio
(Antonio) che stavano aspettando di andare in Chiesa per la
Comunione della signorina. A quei tempi la Comunione si faceva in
prima elementare e la Cresima, invece, in terza, infatti lei era
piccolissima , aveva solo sette anni e se non ricordo male era del
1950. L’ abbigliamento era molto semplice per gli uomini :
pantaloni lunghi o corti e una semplice camicia a tinta unita.
Mentre Sara e tutte le altre ragazze erano vestite come delle
sposine. Il vestito era stupendo, infatti, era stato cucito da mia
madre e da mia nonna e poi aveva in mano un piccolo Vangelo che
le era stato daonato durante la Confessione, che avveniva un
giorno prima della Comunione. Le domande che più mi hanno
impressionato, ma mi hanno fatto riflettere, sono state : “Sai dove
è stata scattata? E ti ricordi dove l’ ha festeggiata?” Non sapere
che prima le persone non si potevano permettere tutti i lussi di
adesso,per me è una cosa molto grave. Guardando questa foto e, con
l’ ultima domanda fatta da Elena , mi sono ricordato di quella
piccola, anzi piccolissima, casetta dove ci abitavamo in cinque in
quelle quattro mura, ma era meglio, da una parte, perché ti sentivi
molto più protetto e al sicuro anche se dall’ altra soffocavi. Poi le
ho fatto vedere una foto con Sara e con le sue compagne di classe
che frequentavano il primo anno di liceo magistrale e mi ricordo che
quell’ anno era il primo nel quale avevano istituito l’ Istituto
magistrale, ma in quegli anni il liceo si trovava nella torre più
grande del palazzo Gallone, cioè nella parte del TORRIONE con
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i loggioni che si affacciavano sulla piazza della Chiesa : PIAZZA
PISANELLI. Inoltre le famiglie più ricche avevano la possibilità
di mandare i figli a scuola all’età di 6 anni perché erano più
preparati e sapevano bene l’ italiano, mentre quelli meno ricchi
dovevano aspettare un anno . E poi la legge voleva che i maschi
fossero divisi dalle femmine..!! A pensarci bene ,forse avrei voluto
anch’ io , come te , trovarmi con almeno una ragazza nella mia
classe. Tutti ci saremmo sentiti più uniti…!!!
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Nonna Antonietta
Il ricordo del mio matrimonio è grande perchè ricco di episodi come
la mia vita d'altronde.Non è stato proprio un matrimonio come gli
altri.Infatti io e Emanuele prima di sposarci facemmo la fuitina
perchè ci amavamo e senza dirlo a nessuno ci rifugiammo in
campagna, a "Luci",dove non c' era nè da bere,né da mangiare e nè
da dormire.Noi riposavamo su un "cuscinetto" di paglia, faceva
freddo, era il 7 dicembre 1947 e le zie di Emanuele ci aiutavano
per quanto riguardava il pranzo,le uniche che ci sostenevano in
quel periodo difficile perchè allora tutti scappavano di casa poichè
si era molto vincolati dai genitori e nessuno si poteva
sfiorare!Bene.....restammo a "Luci" per due lunghi mesi,ma io non
riuscivo ad abituarmi a quel tenore di vita e soffrivo visto che a
casa essendo la più piccola ero la più coccolata da tutti.Ma ormai
il danno era fatto e non potevo più tornare a casa!Le voci giravano
in fretta nella città ed eravamo considerati da tutti la coppia più
strana del mondo, per questo con il timore di non essere più
accettati decidemmo di andare dai miei futuri suoceri che come
nessuno aveva mai fatto, ci perdonarono, alla sera cenammo e
finalmente la grande proposta di matrimonio!Certo non era la
stessa cosa di ora,prima infatti non ci si scambiavano gli anelli, ma
si rivelava soltanto agli altri la propria decisione in questo caso la
decisioni di sposarci!Desideravo tanto sposarmi in abito bianco, ma
per quello che avevo fatto mi sposai in un normale vestito grigio e
una camicietta rossa.Mi sentivo bellissima...avevo capelli lucenti e
boccolosi.Spesso li tenevo raccolti e tutti quando mi vedevano,
volevano sapere ciò che facevo per farli mantenere così!!Le donne
che mi conoscevano dicevano che ero speciale e bravissima molto più
delle normali parrucchiere.Perciò acconciavo le mie amiche per i
matrimoni o per le occasioni più importanti,ma era fortuna,solo
perche i miei genitori me lo permettevano. Tutto era pronto, ma poi
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al matrimonio dopo essere stati accompagnati in chiesa dal corteo
che comprendeva la famiglia e gli amici....COLPO DI
SCENA!!!!!Gli anelli erano scomparsi...a dire il vero non gli
avevamo mai comprati o meglio ci era proprio sfuggito di mente e al
momento della benedizione il sacerdote prese due anelli dalle
baracche del mercato e li benedì ed ecco come un matrimonio
qualunque divenne “la notizia” per tutto il paese!
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Nonna Mina
Ricordo che mio padre, Fortunato, usava dire spesso questo
proverbio in dialetto: “Fili piccinni: guai piccinni; fili ranni: guai
ranni”. Io non capivo cosa significasse veramente questo proverbio,
anche se quando sono diventata più matura, ne ho preso la
consapevolezza. Lui lo diceva quando io piangevo, per farmi capire
che le mie cose erano sciocchezze, e che quando sarei diventata
grande, ci sarebbero state delle difficoltà nettamente maggiori
anche per loro. Anche se in fondo, io non ho mai creato grossi guai
ai miei genitori! La mia infanzia, è stata bellissima. Ma non perché
avevo tanti soldi, una bella casa, o altre ricchezze di questo genere,
anzi, la mia famiglia non era per niente ricca! Mi è piaciuta perché
è stata un’ infanzia semplice, che ho vissuto da bambina, senza
troppi problemi, trascorsa nella gioia e nell’armonia di una famiglia
molto unita. Io abitavo a Santa Maria del Foggiaro, un quartiere
di Alessano allora molto frequentato perché si andava poco in
periferia, e si stava molto in centro. Ero una bambina piccolina di
corporatura, biondina con gli occhi verde chiaro. Ero sempre allegra
e mi piaceva molto giocare. Il mio gioco preferito, nel quale ero una
campionessa, era il gioco delle biglie. Sai, era un gioco molto
divertente, in cui bisognava colpire le biglie degli altri, per poi
impossessarsene. Io ne avevo un sacchetto pieno, di vari colori, che
mi aveva regalato mio padre per Natale, che però non usavo molto
spesso, perché avevo paura di perderle nella gara!Un’ altra cosa che
mi piaceva molto fare, era andare a scuola. Soprattutto alle
elementari. La mia maestra si chiamava Lina Castrovilli. Io ero
molto brava e prendevo sempre voti alti. Mi piaceva tantissimo la
geometria, mentre non capivo niente di geografia. La mia classe era
molto numerosa, circa 40 bambine. Ovviamente non c’erano maschi
nella classe delle femmine, perché c’ era una specie di legge che lo
impediva. Le mie compagne, erano molto brave, anche di carattere,
ed eravamo tutte molto amiche, al contrario di adesso, dove si litiga
spesso e i brutti sentimenti, come l’invidia o la gelosia, causano il
tramonto di molte amicizie.
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Nonna Emma
Quando vedo ragazzini che vanno a scuola, mi ritornano spesso
alla mente, i ricordi della mia infanzia .Ricordo ancora che ho
iniziato a frequentarla scuola elementare all’ età di 6/7
anni.L’anno scolastico allora durava otto mesi, dall’inizio di
ottobre fino alla fine di maggio, a differenza di adesso, il giovedì si
stava sempre a casa. Andavo a scuola a Caprarica. L’edificio
scolastico era situato dove adesso c’è l' attuale palestra, era una
piccola scuola in cui c’era solo una stanza riscaldata da una
stufetta a legna. La scuola durava sei anni io ne ho fatti soltanto
cinque: uno l’ho perso perché mi hanno bocciato. L’obbligo
scolastico terminava in classe quinta elementare, anche se molti
lasciavano gli studi in classe terza per aiutare i propri familiari nei
lavori .Solo chi aveva grandi possibilità economiche continuava gli
studi andando alle scuole medie e poi alle scuole superiori. Le classi
erano abbastanza numerose erano composte di40/50 alunni: erano
due, in una c’erano i bambini di prima, seconda e terza, nell’altra
quelli di quarta, quinta e sesta. Avevo un solo insegnante, era uno
per classe quindi in tutta la scuola c’erano due insegnanti! Erano
anche molto più severi di quelli del giorno d’oggi. Ogni Maestra
aveva una verga che non mollava mai, a ogni piccola disattenzione
bacchettava il palmo della mano e poi ci metteva dietro la lavagna
in punizione, si stava in piedi a guardare in aria per più di
mezz’ora: era una vera noia !I compiti che davano non erano tanti,
quindi a casa non dedicavo molto tempo allo studio anche perché
avevo altri compiti da svolgere come andare nei campi a lavorare il
tabacco e aiutare la mamma. Io e i miei amici aiutavamo molto a
casa e nel tempo libero ci riunivamo per giocare. A differenza dei
bambini di oggi che spesso giocano da soli a casa con tutte quelle
cose tecnologiche ,prima stavamo in grandi gruppi e giocavamo a
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biglie, salto con la corda e nascondino per tutto il paese fino a
tarda sera, dei giochi divertenti ma che adesso si stanno
dimenticati. A scuola parlavo in italiano, anche se mi veniva più
spontaneo parlare il dialetto. Infatti, a casa e con gli amici parlavo
sempre dialetto. Il mio materiale scolastico era composto di una
cartella e all’interno di essa c’erano solo due quaderni, a righi e a
quadretti con la copertina nera, un porta penna con più pennini nel
caso si spuntassero e l’ abbecedario. Ecco cosa si portava allora a
scuola, adesso lo zaino è pieno solo di cianfrusaglie. Questa la
condividevo con mia sorella perché avevamo pochi soldi, poi avevo
dei quaderni e una penna ad inchiostro. Quando l’inchiostro finiva,
lo facevo da solo utilizzando il fiore di sambuco, lo schiacciavo e lo
bollivo per ottenere l’inchiostro. Tante cose si costruivano da soli
quando ero piccolo, alcuni addirittura costruivano la cartella di
cartone, ma quando pioveva si scioglieva e si rischiava che tutto
cadesse per terra!Ormai quei bei tempi sono passati e non mi resta
altro che guardare avanti e sperare che il mio futuro, e quello dei
miei nipoti , sia bello come il mio passato!!!!
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Nonna Sara
Quando arrivai negli anni 40 a Tricase , questa era molto più
piccola di ora e c’ erano tantissimi campi coltivati . la cosa che mi
meravigliò di più fu la gente perché tutti si conoscevano ed erano
tutti molto amici . Conobbi subito molta gente che dopo poco tempo
ritrovai nella piazza Pisanelli,poiché Piazza Cappuccini ancora
non esisteva . La sera si riunivano i contadini più anziani per
chiacchierare . Ogni mattina li incontravo nei campi che
coltivavano . Qualche giorno quando passavo dalle campagne di
mattina non li trovavo perché erano tutti al mercato.Questo era
molto più piccolo di adesso con poche bancarelle:contadini che
vendevano verdure , legumi frutta. Si vendevano anche formaggi
prodotti dai contadini o dagli allevatori che allevavano conigli ,
galline , polli, caprette e qualche agnellino . Ricordo che quando ero
piccola mio padre mi comprò un piccolo agnellino che poi uccise per
Pasqua. Verso l’estate c’ era la festa di San Vito e quel giorno era
importantissimo , tutti erano euforici compresa me ; nessuno
lavorava perché tutti andavano in chiesa per la messa . La cosa
che mi piaceva di più era l ‘ aspetto semplice , con poche luminarie
e delle bancarelle di caramelle. Io in quel giorno mangiavo
tantissime caramelle fino a sentirmi male . Il giorno dopo si
mangiava sempre il brodo …. Non so il perché ma mia madre lo
faceva sempre .Gli alimenti più comuni erano pochi : verdure , la
pasta col sugo , il maiale , la frutta e i dolci come la ciambella .
Questa si mangiava sempre a Natale dopo la messa a cui tutti ci
andavano . Dopo pochi giorni si aspettava che la “ Befana “ci
portasse i regali perché in quegli anni non esisteva “ Babbo Natale
“ . Quello è stato il periodo più bello della mia vita!
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Nonna Serafina
Dai sei ai dodici anni sono stati i momenti più belli della mia vita
perché si aveva l’impegno di andare a scuola e a studiare per avere
quelle minuscole basi del sapere.La scuola è stato il momento più
bello della mia vita perchè ci si diverte con gli amici mentre oggi
viene considerata una noia. Prima non era come adesso perché oggi
finita la scuola si va a casa a mangiare ,mentre prima appena
finiva la scuola si andava subito
a lavorare per guadagnare
qualcosa e si rientrava a casa
molto tardi ma c’era anche chi
andava dalla sarta per imparare
a cucire oppure c’era chi andava
dal falegname o dal muratore
altri a lavorare il tabacco nei campi oppure si praticavano
tantissimi altri lavori purchè si portava un po’ di denaro a casa o
addirittura chi andava dal nonno per farsi insegnare come si svolge
un lavoro.I ragazzi di prima erano costretti a trovarsi un
lavoro,anche se pioveva bisognava andare al lavorare si poteva fare
una piccola eccezione solo se si era malati.Quindi le persone erano
tutte felici di andare a scuola perché c’erano gli amici e si stava in
compagnia. La mia classe era abbastanza numerosa, ma prima i
professori erano molto più severi infatti, se ci mettevamo a gridare
tiravano fuori enormi bacchette e davano dei dolorosi colpi sulle
mani dei ragazzi invece adesso gli insegnanti sono molto più dolci e
,a volte,assecondano i ragazzi anche se hanno sbagliato.Poi alla
mia epoca non c’erano tanti professori quanti ce ne sono adesso
erano pochissimi ,io forse me ne ricordo due ,tre ma adesso non so di
preciso . Ho notato che prima i ragazzi erano molto più educati e
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rispettavano le regole invece i ragazzi di oggi non studiano tanto.
E poi prima i ragazzi non si trovavano nelle case come si fa adesso,
ma prima ci si incontrava con gli amici solo a scuola.Però una cosa
che è cambiata molto èl’aiuto reciproco perché prima ai miei tempi i
ragazzi si aiutavano tantissimo.Il materiale era la cosa più scarsa
a quel tempo, noi ragazzi, nella nostra cartella del nonno oppure
fatta dalla mamma con alcune stoffe di scarto c’erano uno o due
quaderni a quadretti o a righi, un libro per più materie e per
merenda non ci portavamo un panino come si fa oggi, ma c’era solo
un frutto .Mi ricordo di una volta che mi sono portata un caco a
scuola come merenda e appena arrivata in classe vidi la mia
cartella con una macchia rossastra e i quaderni tutti sciolti e
sporchi. Poi mi ricordo anche che prima non si andava a studiare a
casa dell’amica o dell’amico perché prima il tempo era poco .
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Nonno Antonio
Nel 1960 , all’età di 19 anni, sono partito per la Svizzera, perché
in quegli anni tutti i giovani emigravano dall’Italia in cerca di
lavoro. Lì si trovava più facilmente perché c’erano molte fabbriche
di orologi, cioccolato e merletti. A San Gallen erano diffuse quelle
di ricami e merletti;trovai impiego in una fabbrica di tessuti e
rispetto a quando ero in Italia guadagnavo più soldi: se nel nostro
Paese mi davano 30 mila lire, in Svizzera erano 50 franchi che
corrispondevano quasi al doppio. Eravamo in tanti a partire , i
treni erano zeppi di emigranti che con le valigie, anche di cartone, si
dirigevano in Francia, in Svizzera e in Germania. Perché partire?
Perché lasciare Tricase? Fare l’apprendista muratore non mi
permetteva di lavorare tutti i giorni…colpa del sole! Si poteva
lavorare, infatti, quando non pioveva, quando il tempo era bello e
durante i mesi invernali succedeva che erano molti i giorni che
rimanevo a casa.E i soldi per mangiare non bastavano. L’unica via
d’uscita era emigrare , andare lontano da casa per trovare lavoro.
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Nonna Annetta
“Nei miei bei vecchi tempi” degli anni 60, si usava vestire
elegant,nell’arco di tutta la settimana ,solo la domenica. I colori
più frequenti di allora erano il bianco e il nero per entrambi i sessi .
Gli uomini vestivano con pantaloni e camicia, coperta a sua volta
da una giacca. Mentre il classico abbigliamento della donna era
composto da una gonna lunga fino al ginocchio una camicetta , il
tutto decorato con svariate fantasie : a scacchi a cerchi, a fiori.. E
ciò che concludeva il loro abbigliamento erano delle piccole borsette
piccole e rigide da tenere in mano, per metterci il minimo
indispensabile. Alla fine della messa le donne andavano con i
bambini ( maschi-femmine ) nelle case a divertirsi a scherzare e a
ridere, mentre gli uomini si precipitavano al bar a prendere tutti
insieme un bel caffè. Ai miei tempi la gente si conosceva tra loro e
per questo si era più tranquilli anche per i più piccoli, oltre tutto
“nei miei bellissimi tempi”
non passava nemmeno una
macchina , uno dei motivi
erano
le
strade
esageratamente piccole. Si
usava molto fare delle feste
anche improvvisate con ciò
che si aveva, le donne
cucinavano dopo, mentre gli
uomini
pensavano
ad
arrostire la carne, dopo di
chè, magari anche in piazza,
andavano a mangiare tutti
insieme. Intanto i bambini
si sfidavano con le biglie e
con il gioco “ la campana “ e
dei giochi cantati (Ma
quante belle figlie,La bella
lavanderina..) .
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Nonna Lucia
Che piacere la televisione…ai tempi d’ oggi ci sono molti programmi!!!
Dovete sapere,però , che tanto tempo fa, quando avevo quindici anni ,
non c’era la televisione, ma erano appena state inventate le radio, per
questo io , curioso ne ho comprata una, la migliore: la radio Marelli. Poco
tempo dopo un signore mi chiese di lavorare per lui, presso una ditta
leccese e , dopo altri due anni di lavoro mi trasferi in Svizzera e comprai
la mia prima televisione. L’ unico problema era che prendeva solo reti
tedesche perciò io pagai una tassa per vedere il primo canale italiano: la
Rai.Mentre io ero in Svizzera, mio fratello Vito sapete cosa faceva per
vedere la televisione? Si faceva ospitare dalle vicine di casa… quelli sì
che erano tempi…erano tutti gentili! Comunque,la televisione
funzionava solo di sera e trasmetteva un programma che si chiamava
“Un’ ora per voi “ in cui c’ era Il Carosello (insegnante degli italiani) e
altri sketch. Il mio preferito però era Corrado perché riusciva a mettere
insieme il meglio dell’Italia, nel suo show.Era veramente un mito per me!
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Nonna Speranza
“Nei miei bei tempi “la vita quotidiana era molto diversa dalla vita
che svolgiamo oggi. Mi viene in mente di parlare della vita
nell’esercito.Prima tutti gli uomini a 20 o 21 anni, non ricordo di
preciso, venivano chiamati a svolgere il servizio militare
obbligatorio. Mio fratello si trovava nell’ esercito, a Busto Arsizio .
Per quanto lui ci diceva, a seconda del numero di uomini presenti
nell’esercito , ognuno aveva il proprio ruolo, ma se erano tanti,
alcuni venivano messi in uno stesso ruolo così da bilanciare le cose.
Mio fratello era un paracadutista. Ognuno aveva una divisa, una
uguale all’altra, ciò che li distingueva erano i distintivi
guadagnati, che si mettevano al petto sulla divisa. Ci raccontava
anche che il rapporto con il comandante era molto freddo, ma
costante, non si poteva fare una conversazione in modo tranquillo,
ma si doveva stare sempre sull‘ attenti. Nell’ esercito inoltre si
imparava a convivere in un gruppo e, quindi, a rispettare varie
regole, perché senza regole non si può vivere.Era importante anche
perché ci si abituava a sfidare se stessi,ad affrontare le difficoltà
della vita. Si sa che comunque ci vuole molta determinazione per
essere in grado di vivere l’esercito,
perché come si sa è un’esperienza
molto dura. Si incomincia con una
sveglia alle 6:30 con musica o con lo
squillo di una tromba , non appena
alzati si ha il dovere di farsi sempre,la
barba l’alzabandiera alle 8:00, alle
8:20 si davano 30 minuti
per
indossare la tuta ginnica dopo di ché si
inizia con l’ attività Fisica, alle 9:00
che termina alle 10:30 e subito dopo
una pausa fino alla 11:30 , seguita da
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un’ adunata. Subito dopo si inizia con esercitazioni di teoria e armi
fino alle 12:30. Infine, inizia il pranzo e alle 14:00 un’altra
adunata. Poi palestra e alle 16:30 fine delle attività.
Penso fosse proprio faticoso!
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Nonna Teresa
“La vita ai miei tempi “ non era facile. Quando io ero giovane,il
corredo era molto importante in un matrimonio,infatti per i genitori
dello sposo era fondamentale che la futura nuora avesse un corredo
già pronto,altrimenti non sarebbe stata una degna moglie per il
proprio figlio. A quei tempi,ma anche con un’influenza minore, la
sposa doveva occuparsi del corredo mentre lo sposo della casa
insieme alla sua famiglia e a quella della sposa. Infatti,otto giorni
prima del matrimonio,in casa della sposa,venivano invitati i
genitori dello sposo che dovevano controllare se il corredo fosse
completo. Però non dovevano solo controllarlo ma dovevano anche
prenderlo per portarlo nella nuova casa che veniva allestita dallo
sposo insieme alla famiglia dei futuri sposi. Il giorno del
matrimonio lo sposo aspettava in chiesa l’arrivo della sposa insieme
al padre che ,a differenza nostra, dovevano arrivare in chiesa a
piedi,seguiti dal corteo. Quelli erano tempi difficili in cui non
c’erano macchine che trasportavano la sposa,al massimo se la
distanza casa-chiesa era molto lunga, si affittava una piccola
macchina o un carretto trainato da un cavallo. Invece, per la vita
di tutti i giorni quest’ ultime erano limitate ai più ricchi, il resto
della città camminava o in bicicletta o con le vespe, o nel caso di
mio marito, con una Lambretta verde. La cerimonia in chiesa non
era sfarzosa come adesso, infatti prima non c’erano molte
decorazioni e ci arrangiavamo con dei semplici fiori. Mi ricordo
ancora che nel mio bouquet, mia madre ci mise i fiori che
piantavamo nel giardino di casa. Subito dopo il
matrimonio,ufficializzato dal prete,non andavamo in un
ristorante, bensì in alcuni locali vuoti appartenenti agli amici degli
sposi o nel garage di casa, in cui avveniva un rinfresco cucinato
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dagli invitati. In genere si mangiava il polpettone seguito da alcuni
dolcetti, ma non c’era la torta , infatti essa comparì qualche anno
dopo il mio matrimonio,avvenuto il 18 Aprile del 1960,lo stesso
giorno della nascita della mia nipotina Ludovica. I dolcetti
venivano spesso distribuiti da un cameriere. Nell’intervallo tra
matrimonio e rinfresco,però, non si eseguiva alcun servizio
fotografico perché quasi nessuno se lo poteva permettere.
Nella foto che segue troviamo me, (al centro) mia sorella Lucia (alla
mia destra) e la mia migliore amica Anna che ricamavamo il corredo
nella primavera del 1953. Eravamo sedute su delle sedie della casa
dove sono nata,che ora appartiene al mio povero fratello defunto
Nino. Io in quell’ occasione stavo ricamando un corredo ed avevo
solo 19 anni ma già da molto prima bisognava iniziare a pensare al
futuro anche perché per terminare tutto quel lavoro occorrevano 2
mesi abbondanti.
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Nonna Liutgarda
Sono nata a casa con l’aiuto di una levatrice perché all’epoca non
esistevano gli ospedali. C’era solo un medico che era chiamato in caso di
pericolo. Mio padre si
chiamava Andrea mentre
mia madre si chiamava
Maria Addolorata. Io ero
la primogenita e dopo di
me sono arrivati Rocco,
Antonio,
Pina
ed
Emanuele. La nostra era
un’umile
famiglia,
infatti, mio padre era un
pensionato di guerra. Al
ritorno dalla guerra fu
assunto come bidello nelle
scuole elementari. Mia
madre, invece, oltre a
gestire la casa,aveva
aperto una bottega di
vino prima e di generi
alimentari ,poi. Poiché
entrambi i miei genitori
lavoravano,
io
ho
cresciuto i miei fratelli; cucinavo per tutti e dopo aver finito di mangiare
ripulivo tutta la casa. Il giorno del nostro compleanno era un giorno come
tutti gli altri. Consuetudine dell’epoca, era quella di invitare solo i
parenti più intimi e la madrina di battesimo per pranzare insieme. Alla
fine si chiamava un fotografo per fare una foto ricordo. Molto giovane ho
conosciuto il nonno che mi ha sposata e mi ha portata con lui a Roma
dove faceva il poliziotto,era parte della scorta di personaggi come
MORO, NENNI, CAPONNETTO. Aveva un fisico atletico; per questo
ha partecipato a numerosi sport e ha vinto diversi trofei. Tra gli sport
ricorda con particolare piacere: judo, un’arte marziale nella quale è stato
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cintura verde, ma sono sicura che se avesse continuato avrebbe raggiunto
facilmente la cintura nera;quando giocava a calcio, veniva spesso
ammonito perché commetteva falli;gli piaceva anche l’atletica leggera
dove è manche arrivato spesso primo. Oltre a fare il poliziotto a Roma
lavorava in una scuola guida dove insegnava a guidare. Ma a soli 40
anni a causa di un brutto incidente stradale siamo tornati a Tricase. Ora
siamo pensionati e mentre il nonno passa tutto il tempo a completare
cruciverba , io mi diverto a cucinare per voi senza stancarmi mai ,infatti
sono sempre in movimento.
.
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Zia Assunta
Sono un’ anziana e ne vado fiera . La mia vita e’ bellissima e sono
felice di passarla nella mia città natale,Tricase .Questa città ora è
abbastanza modernizzata, ma prima era molto povera , c’ erano
campagne e poche strade .Io insieme a mia madre con tutte le altre
donne andavamo nella fabbrica di tabacco e anche gli uomini , ma
loro andavano nelle campagne. In inverno andavamo a raccogliere
le olive per poi fare l’ olio . A volte, era divertente frugare tra i
sassolini e olive per cercare poi le più buone. L’ olio era molto
importate per ogni famiglia , ma come questa era anche importante
il tabacco il quale era un lavoro molto popolare e si coltivava in
ogni famiglia . Non era assolutamente un hobbie , ma un vero e
proprio lavoro , perché era al momento l’ unica fonte di denaro che
poteva avere una famiglia a quel tempo. La procedura era molto
complicata e anche un po’ faticosa e noiosa . Dovevano lavorare da
giugno fino ad agosto . dopo averlo raccolto si depositava tutto
dentro dei grandi cesti e dentro delle “ paiare” , si infilavono le
foglie dentro una specie di grande ago e sfilato nei fili di spago e
poi appeso ai telai detti” talari”e poi appesi al sole. Per me questa
era la procedura più divertente :i raccolti e le risate
il divertimento veniva spesso interrotto dalla tensione che dava la
guerra la quale si sentiva davvero a Tricase : suonava spesso un
allarme perché c’ era pericolo di bombardamento , allora le
persone si dovevano nascondere negli scantinati come anche
dovevano nascondere il cibo a causa della finanza che non dava il
permesso “dei panini “ .Durante la guerra però le feste non
mancavano mai , erano molto calorose e divertenti . on i miei zii io
ridevo sempre : a volte bevevano troppo vino e così iniziavano a
farmi divertire dicendo cose senza senso che a me bambina
sembravano divertenti . in totale eravamo circa venti persone che
con un solo litro di vino riuscivano ad ubriacarsi … poi non
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parliamo della festa di San Vito , la festa principale, la festa più
bella che mi portava sempre un sorriso e mi rallegrava la settimana
.Il ricordo più bello che ho della vita è stata l’ elezione del
Cardinale Panico e anche il suo progetto che si è ora realizzato : l’
ospedale Questa situazione era stata presa subito in considerazione
da tutti i muratori di Tricase. Il Cardinale aveva progettato l’
ospedale su terreno molto ampio . La gente a Tricase era molto
felice, compresa me per diversi motivi : molta gente poteva trovare
lavoro come dottore o infermiere ,la gente era felice perche poteva
avere dei controlli frequenti in ospedale , senza andare più lontano
verso la città di Spongano o Maglie .L’ ospedale dopo la morte del
Cardinale , era stato preso in considerazione dalle suore Marcelline
che lo educarono molto bene .Ricordo che fuori l’ ospedale misero
delle scuole per insegnare a essere infermiere per entrare a lavorare
nell ‘ ospedale.Io presi qualche lezione ma non mi presero perché
nell’ ultimo esame non ero andata molto bene !!
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Zio Pippi
Aaaaah… le feste , il tuo unico MOMENTO DI GLORIA E DI
DIVERTIMENTO. Poi è bellissimo poterti vantare della nuova
macchina, ti sentivi forte e ammirato da tutti e da tutte..!!Mentre
sfogliavo l’ album ho visto una foto dove c’ero io con i miei amici :
Domenico, Luigi Mesciu Ginu, Pippetta e Aldo, tutti i miei
compagni delle superiori e, ogni anno, ci organizzavamo per
festeggiare la Pasquetta insieme! Mi ricordo che, da quando ero
entrato al liceo non avevo più festeggiato nemmeno una Pasquetta
con la mia famiglia… come dice il proverbio :” NATALE CU LI
TOI, PASCA CU CI VOI..!!” Eravamo a Tricase porto ed era
molto diverso da come lo vediamo noi ora : ad esempio c’erano
molte meno barche e a quelle poche che c’erano si usavano solo i
remi, perché prima non esistevano i motori! Inoltre ,non c’erano
neanche i muraglioni!!! Poi ho visto una foto con Uccio sulla
vespa, che era un mezzo comune, mentre la Balilla , o la Topolino ,
o addirittura la 500, potevano permettersele solo pin pochi , perché
tutti questi mezzi costavano molto nel 1955. Nessuno ora usa le
vespe o le 500 di un tempo , tutti hanno le moto o della macchine
con lo stesso motore della Ferrari. Al massimo i contadini avevano
un proprio trattore per la coltivazione delle terre. Quelle poche
volte che esco a prendere una boccata d’ aria, vedo un sacco di
ragazzi che stanno tantissimo tempo in piazza, mentre prima, mi
ricordo, che Uccio di domenica pomeriggio andava a casa della
Tetta , la prendeva, e poi insieme andavano a Messa e….subito
dopo… a casa… E tutto questo perché…???Perché i genitori si
preoccupavano della salute dei propri figli…!! E’ sbalorditivo come
le cose, a differenza di un trentina d’ anni, siano completamente
cambiate…!!!
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Nonno Vincenzo
Ai miei tempi trovare lavoro era molto difficile e bisognava
rimboccarsi le maniche per crearselo da soli. Io ho iniziato a
lavorare facendo il “mediatore”, all’epoca era chiamato”ccatta
vulie”: passavo per le case delle persone e compravo le olive che
avevano racconto, le mettevo nel “picciulu” e nello “stuppeddu”,
ovvero i contenitori di ferro utilizzati come unità di misura che
valevano circa 40 kg e 20 kg., dopo le rivendevo al frantoio che
provvedeva a trasformarle in olio. Ma per sfamare 9 figli questo
non bastava, quindi vendevo fichi secchi, frutta verde e secca,
lupini. D’estate, invece, preparavo granite, ma non crediate che ciò
fosse semplice, perché bisognava andare in bicicletta nei paesi vicini
a comprare il ghiaccio e per non farlo sciogliere lo dovevo mettere in
un sacco. Poi alle feste di Santa Marina, San Rocco e San Donato
facevo le granite con un attrezzo chiamato “chianozzo” che serviva
per prendere e dosare il ghiaccio. Allora non esistevano molti
gusti,c’erano solo la menta ,l’amarena e l’orzata.Poi arriva il posto
fisso, all’età di 42 anni quando fui chiamato a fare il bidello al
liceo artistico di Lecce …e fu il mio lavoro per molti anni.
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Nonna Lucia
Eccomi, sono nonna Lucia e vi voglio raccontare cosa facevo l’
estate dopo aver finito di lavorare. Non è che ci fossero molti
svaghi però , quel che c’ era ,a noi andava bene. Spesso, di
pomeriggio si andava a mare con amiche e figli e si restava tutto il
giorno(fino a che non
tramontava)!Prima
di
andare ci preparavamo un
“sporte” con dentro il cibo
per tutti e, se non era
pieno non uscivamo di
casa! I miei figli,
furbacchioni senza che io
sapessi niente, mettevano
anche le carte da gioco
e… via! Di solito si
andava a mare a piedi o,
raramente in bicicletta(per
chi la sapeva portare, io
no…). Dopo una giornata
stancante, verso le sei e
trenta ,tornavamo tutti a
casa
per
preparare
qualcosa di buono ai
nostri mariti, che si spaccavano la schiena per lavorare. I bambini
appena tornati a casa, ormai stanchi facevano un tuffo nel letto
(invece che al mare).
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Gli autori
Diego Alfarano
Dario De Giorgi Federica De Giorgi
Roberta Indino
Pierpaolo Morciano Ilaria De Vincenzis
Vincenza Marra
Gabriele Morciano Alessandro Roberto
Chiara Nuccio
Elena Panico
Donato Ponzetta
Musio Mattia Emanuela Panico
Federica Rizzo Gian Mauro Roselli
Giorgia Lecci Valentina Serafino
Antonio Ventura
Elisa Zaminga
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Ludovica Stasi
Musio Maria Grazia
Copia fuori commercio realizzata esclusivamente per fini didattici,
senza alcuna finalità di lucro.
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