Un`arma più efficace per il tumore dell`ovaio

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Un`arma più efficace per il tumore dell`ovaio
TERAPIE
Chemio peritoneale
Un’arma
più efficace
per il tumore
dell’ovaio
Una chemioterapia infusa direttamente
nell’addome può rivelarsi molto efficace
in alcuni casi di tumore ovarico, ma studi
recenti dimostrano che, per diverse
ragioni, non è ancora entrata a far parte
della pratica clinica di molti ospedali
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In questo articolo:
tumore all’ovaio
chemioterapia
nuove cure
S
a cura di DANIELA OVADIA
i chiama chemioterapia intraperitoneale: è una terapia che non viene
introdotta nell’organismo attraverso la circolazione sanguigna, ma viene immessa direttamente nell’addome e rappresenta una possibile risposta alla ricerca di nuove opzioni di trattamento per
il tumore ovarico.
Questa malattia conta circa 5.000 nuove diagnosi ogni
anno in Italia e purtroppo resta ancora complessa da curare nonostante i progressi in
campo chirurgico e terapeutico. Uno dei fattori che la rende così subdola è la mancanza
di sintomi nelle fasi iniziali o
la presenza di sintomi molto
generici spesso sottovalutati:
ecco perché molte delle diagnosi vengono effettuate
quando la malattia ha già dato
metastasi a livello addominale. L’intervento chirurgico seguito dalla chemioterapia per
via endovenosa resta l’opzione
più utilizzata, ma non sempre
si rivela efficace, soprattutto se
con il bisturi non è stato possibile asportare tutte le cellule
tumorali visibili.
GLI STUDI PARLANO
CHIARO
Sono passati ormai 10 anni
da quando la Food and Drug
Administration (FDA), l’ente
a stelle e strisce che si occupa
della regolamentazione dei farmaci, ha emesso un comunicato speciale per sottolineare
l’efficacia della combinazione
della chemioterapia intraperitoneale e di quella più classica
intravenosa nel trattamento
del tumore ovarico. Questo
tipo di annunci da parte della
FDA è piuttosto raro e sottolinea in modo inequivocabile la
fiducia che gli esperti ripongono in questa terapia, considerata rivoluzionaria al tempo
della pubblicazione del
comunicato,
basato sui risultati di diversi studi
clinici e in
particolare di quello chiamato GOG-172. Per le donne che
oltre alla chemioterapia classica si erano sottoposte anche
a quella intraperitoneale si allungava in effetti il tempo di
sopravvivenza di oltre un anno rispetto a quanto osservato
per quelle che invece avevano
utilizzato solo la chemioterapia per via endovenosa. Studi più recenti hanno
inoltre dimostrato
che, grazie alla
combinazione dei due tipi
di trattamento, il rischio di
mortalità si riduce del 23 per
cento. Anche nel corso del
più recente congresso della American Society of Clinical Oncology (ASCO),
nel mese di
giugno scorso, sono stati presentati
dati sull’efficacia del trattamento intraperitoneale, capace di controllare meglio della sola chemioterapia endovenosa la malattia
e di allungare la vita alle pazienti, con una sopravvivenza
significativamente più lunga.
Non tutto però è così positivo:
il trattamento è infatti gravato
da effetti collaterali che
lo rendono inadatto
ad alcune pazienti.
Se tollerata
allunga
la vita
delle pazienti
SISTEMA SANITARIO NAZIONALE
LA TERAPIA
INTRAPERITONEALE IN ITALIA
A
nche se, sulla base degli studi, la terapia intraperitoneale per il carcinoma ovarico avanzato non è
ancora molto diffusa, in Italia non mancano i centri nei
quali il trattamento è disponibile. Elencarli tutti su carta
è impossibile, ma per una ricerca mirata può essere
utile consultare il Libro bianco dell’oncologia italiana,
pubblicato dalla Associazione italiana di oncologia medica (AIOM) nel quale è presente un elenco aggiornato dei
centri di eccellenza nella cura del cancro presenti sul
territorio nazionale (librobianco.aiom.it).
Nel sito non è disponibile l’informazione specifica
relativa al trattamento intraperitoneale, ma sono elencate comunque numerose strutture alle quali è possibile
rivolgersi direttamente per avere informazioni dettagliate e che dispongono in genere dei trattamenti più
all’avanguardia.
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TERAPIE
Chemio peritoneale
ANCORA
QUALCHE DUBBIO
Il termine intraperitoneale si riferisce al fatto che
la terapia arriva in contatto
con il peritoneo, una sottile
membrana che riveste tutto
l’addome e dove si localizzano le metastasi del tumore
ovarico, ancor prima di
raggiungere le sedi più
lontane dall’organo
di origine.
C o m e
funziona in
pratica la chemioterapia intraperitoneale? Il processo di somministrazione non è molto diverso da quello
usato per la dialisi intraperitoneale, una tecnica utilizzata nei pazienti con insufficienza renale. Si tratta
di inserire un tubicino
attraverso una speciale “porta” creata proprio nella parete addominale. Tramite questo catetere la
TERMINOLOGIE
UN LAVAGGIO ANTICANCRO
L’
espressione chemioterapia intraperitoneale si
utilizza anche per indicare una tecnica che a volte
viene definita semplicemente “lavaggio intraperitoneale”. Si tratta di una procedura utile per trattare i tumori
del peritoneo – la sottile membrana che riveste la parete
addominale e gli organi in esso contenuti – anche quando non si tratta di malattia primaria (mesotelioma), ma
di metastasi di altri tumori (soprattutto colon e ovaio).
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chemioterapia può arrivare
direttamente al tumore nella regione addominale senza dover passare dal sangue,
può rimanerci più a lungo e
in concentrazioni molto elevate, impossibili da somministrare con la tecnica endovenosa classica.
Guardando i risultati
degli studi,
non sembrano
esserci
grandi ostacoli alla diffusione di questo trattamento,
eppure la tecnica è ancora poco utilizzata: meno del 50 per
cento delle pazienti idonee al
trattamento la riceve. E la percentuale è probabilmente più
bassa in molti ospedali, dal
momento che i dati riportati
sono stati ottenuti valutando
centri di eccellenza oncologica
statunitensi.
I motivi della scarsa diffusione? Soprattutto gli effetti
collaterali, sicuramente più
pesanti di quelli già difficili
da sopportare della chemioterapia per via endovenosa, e
che costringono spesso le pazienti a interrompere il trattamento prima del completamento dei sei cicli previsti, riducendo così l’efficacia della
cura. Per somministrare i far-
maci in questo modo è inoltre necessario che il catetere
resti in sede a lungo e ciò può
essere veicolo di infezioni.
Inoltre, per poter effettuare la terapia intraperitoneale è necessario che il tumore
originale sia stato rimosso in
modo ottimale con la chirurgia (ovvero
che ne restino solo frammenti inferiori a 1 cm),
che la paziente abbia
una buona funzionalità renale, buone condizioni di salute generale e che l’intervento
iniziale abbia lasciato poche
cicatrici e poche “aderenze”
intraperitoneali, altrimenti la
chemioterapia non raggiunge
tutte le zone che devono essere trattate. Questi fattori, insieme alla scarsa esperienza di
molti centri, non permettono
al momento alla chemioterapia intraperitoneale di diventare il trattamento di prima scelta nel tumore ovarico
avanzato benché molte linee
guida, tra cui quelle dell’Associazione italiana di oncologia
medica (AIOM) la raccomandino per tutte le pazienti che,
dopo l’intervento chirurgico,
presentano ancora un residuo
di malattia.
Non ci devono
essere
aderenze
nel peritoneo
In questo intervento viene introdotta nell’addome una
soluzione contenente il farmaco chemioterapico che così
raggiunge direttamente e in concentrazioni particolarmente elevate le cellule tumorali e che viene tolto solo
dopo circa 90 minuti. Il liquido viene anche riscaldato a
42 °C – si parla infatti di ipertermia o terapia ipertermica
– poiché il calore danneggia il tumore e rende più efficaci
alcuni farmaci. Resta però un intervento estremamente
complesso, che dura molte ore e prevede una degenza
lunga e probabili complicazioni. Per questo è importante
discuterne tutti i dettagli con il medico.