L`evoluzione urbanistica di Roma dall`età arcaica al tardo impero

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L`evoluzione urbanistica di Roma dall`età arcaica al tardo impero
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L’EVOLUZIONE URBANISTICA DI ROMA
DALL’ETÀ ARCAICA AL TARDO IMPERO
ATTRAVERSO IL DIRITTO E LE SUE FONTI.
ALCUNI ESEMPI
In occasione del Convegno “Rome an 2000” tenutosi presso questa Università nel settembre dell’anno 2000, i cui atti hanno visto la luce nel giugno 2003, avevo illustrato
la rappresentazione di Roma antica nel grande plastico che si trova a Roma presso il
Museo della Civiltà Romana.
In quella circostanza era stata mia cura descrivere la genesi, le caratteristiche, i
limiti e le prospettive future dell’opera, mostrando anche documenti d’archivio e particolari dell’esecuzione fino ad allora inediti. Avevo in tal modo realizzato un approccio a questa rappresentazione di Roma che, pur se completo, rappresentava però una
chiave di lettura volta unicamente alla conoscenza dell’opera.
Il plastico del Museo della Civiltà Romana rappresenta Roma nel momento della
sua massima espansione, sotto l’imperatore Costantino. Riflettendo su quest’aspetto,
mi sono resa conto che sarebbe stato interessante interrogarsi sulla genesi e l’evoluzione dello spazio urbano al di fuori della maniera consueta, ricercandone le cause
anche sotto il profilo dello sviluppo delle istituzioni e del diritto, fruendo di un particolare tipo di fonti : quelle giuridiche.
Esaminando alcune di esse ho compreso come lo sviluppo dell’urbanistica e
dell’ordinamento giuridico di Roma si siano vicendevolmente influenzati alla luce
degli avvenimenti storici, politici e sociali e come tali fonti, raramente sfruttate in
ambito archeologico, si rivelino invece particolarmente utili a supporto o integrazione di dati di natura storico-topografica.
Scopo della presente comunicazione è quindi offrire, possibilmente in una visione
diacronica, alcuni esempi in merito all’utilizzo dello spazio urbano, relativamente a
specifiche funzioni che verranno esaminate di volta in volta alla luce delle fonti del
diritto pubblico e di quello privato 1.
1.
Non è certo questa la sede per trattare esaustivamente del Diritto romano e delle sue fonti : sarà sufficiente
qui ricordare alcuni dati. Esso ebbe una durata convenzionale di oltre 1300 anni, dalle origini di Roma alla
morte dell’imperatore Giustiniano nel 565 d.C. Quello di Roma è dunque l’ordinamento giuridico durato
più a lungo nella storia, non essendoci stata alcuna soluzione di continuità tra l’ordinamento romuleo e
Roma illustrata, P. Fleury, O. Desbordes (dir.), Caen, PUC, 2008, p. 261-290
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Fig. 1 – Roma, Museo della Civiltà Romana. Plastico di Roma in età imperiale. L’evoluzione
urbanistica di Roma può essere letta anche in funzione e come risultato delle sue istituzioni e
in generale del suo diritto, che regolava anche i più minuti rapporti tra le persone.
La principale fonte di cognizione di cui mi sono avvalsa è il Corpus Iuris Civilis,
denominazione con cui si indica dal XVI secolo un’estesa raccolta di giurisprudenza
classica, iura, e costituzioni imperiali, leges, fatta redigere dall’imperatore Giustiniano,
completata dopo il 534 con leges emanate dallo stesso imperatore. Tornato alla luce in
quello tardo antico. Convenzionalmente, il Diritto romano viene ripartito in diversi periodi, scanditi prendendo in considerazione o il diritto pubblico o il diritto privato o lo sviluppo della giurisprudenza. Nel
primo caso si distinguono i seguenti periodi : arcaico-monarchico (dalla fondazione dell’Urbe sino alla
fine della monarchia), repubblicano (dall’inizio della repubblica sino ad Augusto : è essenziale l’anno 367
a.C., data di promulgazione delle leges Liciniae Sextiae, che segnano l’avvio della “costituzione perfetta”),
principato (dal 36-23 a.C. sino al 284, anno della fine della seconda anarchia militare) e dominato (dal 284
d.C. al 565, anno della morte di Giustiniano). Secondo lo sviluppo del diritto privato, invece, si distingue
un periodo arcaico (dalle origini sino alla fine del IV sec. a.C.), uno pre-classico (dal III sec. a.C. sino alla
fine della repubblica), uno classico (corrispondente al principato) ed infine uno post-classico (che convenzionalmente si fa terminare con il 565 d.C.). Seguendo lo sviluppo della giurisprudenza romana, si distinguono invece i periodi arcaico (dalle origini sino alla seconda guerra punica del 218-202 a.C.), ellenistico
(dalla fine della seconda guerra punica alla fine della repubblica), classico (coincidente con il principato) e
post-classico (coincidente con il dominato e caratterizzato dalla tendenza dei giuristi ad identificarsi sempre più con i funzionari delle cancellerie imperiali, favorendo la scomparsa di figure di spicco, che restano
operanti quasi solo nelle università : per tutto ciò questo periodo è detto anche burocratico. Esso termina
convenzionalmente nel 565 d.C.).
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Occidente dopo il X secolo, il Corpus è composto da quattro parti : Institutiones, Digesta
o Pandectae, Codex e Novellae. Pur se questa monumentale opera risente nella forma
e, a volte, nella sostanza, dello stato del diritto vigente in età giustinianea, è fonte inesauribile di studio anche per il tema oggetto della presente comunicazione.
Ugualmente importante si è rivelata la lettura di fonti quali le Institutiones di Gaio
e il Codex Theodosianus di Teodosio II, la prima databile all’età adrianea, mentre la
seconda fatta compilare da Teodosio II nel 438 d.C.
Quando si parla di fonti di cognizione del diritto, tuttavia, non è bene fermarsi a
quelle di natura strettamente tecnica. Anche una fonte storica, ad esempio, può rivelarsi una fonte di cognizione : è il caso di Livio che, descrivendo il processo di Orazio
sotto il regno di Tullo Ostilio, cita la lex horrendi carminis, su cui avremo modo di
tornare 2.
Parimenti, altre fonti di cognizione possono rivelarsi quelle abitualmente usate
in archeologia, quali, ad esempio, l’epigrafia e la numismatica 3.
Trovando possibile questo interagire tra fonti tradizionalmente usate ed altre
neglette, ho pensato alla possibilità, dunque, di allargare il campo di indagine verso
queste ultime, impiegandole in tal modo nella ricerca sull’origine e lo sviluppo degli
edifici e, più in generale, degli spazi urbani che maggiormente caratterizzarono l’urbanistica di Roma antica 4.
2.
3.
4.
Liv. 1, 26, 6. Cfr. a questo proposito la nota nota 16.
Valga ad esempio l’epigrafe di età augustea, CIL X 787, riguardante la costruzione di un muro lungo il lato
Ovest del quadriportico del tempio di Apollo a Pompei. L’operazione venne effettuata allo scopo di isolare
l’area sacra rispetto all’attigua casa di Trittolemo.
Quelle fonti di cui si è ora detto, costituiscono le “fonti di cognizione”, cioè quelle da cui si viene a conoscenza della norma. Accanto ad esse si distinguono le “fonti di produzione”, cioè tutti quegli atti o fatti da
cui nasce la norma. In questo senso, in età arcaica sono fonti del diritto le consuetudini degli antenati, i
mores, e il complesso delle norme di carattere religioso-sacrale, il fas. Tra il 451 ed il 450 a.C. l’apposita
magistratura dei decemviri legibus scribundis redasse il primo testo scritto giuridico romano : la Lex XII
Tabularum. Nella successiva età repubblicana la fonte di diritto per eccellenza sarà la lex rogata, cioè la
legge proposta dal magistrato e fatta votare nelle assemblee popolari regolarmente riunite. Nel 287 a.C. i
plebis scita, in principio vincolanti per sola plebs vennero resi tali per tutto il populus Romanus ad opera
della lex Hortensia. Inoltre sino dall’età più arcaica la funzione di creazione del diritto attraverso l’interpretazione delle norme già esistenti è riconosciuta anche ai pareri, responsa, dei giuristi. In principio questi
si identificavano con il collegio dei pontifices, mentre in seguito tale attività venne “laicizzata”. E’ importante comprendere come le fonti sinora richiamate costituissero il nucleo più antico del Diritto romano,
lo ius civile o ius Quiritium. Esso, però, tra il III-II sec. a.C. non era più sufficiente a fare fronte alle mutate
esigenze socio-politiche, così intervenne il pretore che, nei suoi edicta, individuò quelle posizioni giuridiche che pur non essendo contemplate nello ius civile erano meritevoli di tutela, creando così un sistema
giuridico non alternativo ma complementare a quest’ultimo : lo ius honorarium. Nella successiva età
imperiale venne riconosciuta portata normativa alle deliberazioni, consulta, del Senato, che saranno particolarmente importanti per lo sviluppo del diritto privato. La vera novità del principato, tuttavia, fu la
creazione di fonti emananti dallo stesso imperatore : le constitutiones principum, cui in questo periodo è
ancora riconosciuto soltanto “valore di legge”. Esse potevano avere valenza generale, edicta e mandata, o
essere rivolte a casi particolari e, in teoria, applicabili a quelli soltanto, decreta, epistulae e rescripta. Nella
fase del dominato sopravvissero gli edicta ed i rescripta, mentre scomparvero decreta e mandata. Venne
introdotta la adnotatio (forma solenne di rescriptum) e la pragmatica sanctio, inerente di solito l’attività
amministrativa, emanata con procedura snella e spesso come misura d’urgenza su richiesta delle autorità
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Fig. 2 – Roma, Museo della Civiltà Romana. Calco dell’epigrafe nota come ius luminum obstruendorum. Nel testo si ricorda l’innalzamento di un muro atto a impedire la visione dell’interno
dell’area sacra del tempio di Apollo a Pompei da un lumen della vicina abitazione. Età augustea.
Del resto, l’intima connessione tra il Diritto romano e lo stesso tessuto urbano
della città è connaturata al fenomeno più caratteristico dell’esperienza giuridica
romana, la giurisprudenza, su cui sarà opportuno soffermarsi brevemente prima di
affrontare altre questioni. Sin dall’età arcaica essa appare collegata a luoghi pubblici
ed all’esercizio del potere, essendo monopolio del collegio dei pontifices, cui spettava
in questo caso “mediare” tra il singolo cittadino ed un ordinamento giuridico le cui
norme erano ancora tramandate oralmente proprio all’interno di quella stessa cerchia. Nel 304 a.C., tuttavia, Cneo Flavio, segretario di Appio Claudio Cieco, rese noti
i fondamenti essenziali del diritto, legis actiones e fasti, e questa “laicizzazione” del
diritto venne accelerata quando nel 280 il primo pontifex maximus plebeo, Tiberio
Coruncanio, inaugurò il pubblico insegnamento della scienza giuridica. Da questo
momento e sino a tutto il principato il cuore dell’attività giurisprudenziale, cioè la
discussione e l’insegnamento, fu fortemente ed intimamente connaturato nel tessuto
urbano di Roma, poiché i giuristi svolgevano la loro opera di consulenza ed insegnamento soprattutto nelle proprie abitazioni. In seguito, come avverrà per altri fenomeni, lo sviluppo del diritto e la storia politica si influenzeranno reciprocamente e
locali. In questo periodo le fonti del diritto si riducono a due : i pareri dei giuristi, detti ora iura, e le costituzioni imperiali, che persero il “valore di legge” per divenire la legge per eccellenza, tanto da essere dette
semplicemente leges.
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già in età severiana i giuristi non furono più tanto privati cittadini versati nello studio
del diritto, ma spesso alti funzionari imperiali, almeno per alcuni periodi : Papiniano,
Paolo ed Ulpiano, ad esempio, che agendo all’interno di un quadro urbanistico creato e modificato proprio per accogliere gli uffici delle cariche da essi ricoperte, ben
possono simboleggiare quanto andiamo dicendo. Nel tardo impero, infine, si assistette
ad un’altra trasformazione : non il ritorno della grande giurisprudenza all’interno
delle domus cittadine, ma il suo arroccarsi in grandi centri di cultura quali le università di Berito e Costantinopoli.
Sarà ora, tuttavia, opportuno illustrare più concretamente, attraverso alcuni
esempi, in che modo lo sviluppo del diritto si rifletta su quello dell’urbanistica e
come questa possa essere letta anche alla luce di quello.
Tra le classi di edifici che meglio possono esprimere il concetto della connessione
tra l’evoluzione dello spazio urbano e lo sviluppo del diritto fin dall’epoca arcaica, è
senz’altro opportuno trattare dei luoghi deputati all’amministrazione della giustizia.
Prendendo in esame il processo criminale è bene chiarire che per l’età più arcaica
risulta difficile riuscire a separare il diritto pubblico da quello privato. Roma è ancora
un modesto abitato, la cui società si muove secondo poche e semplici norme. Gesti
rituali e determinate formule, certa verba, costituivano i fondamenti su cui si basava
il diritto in età arcaica, fondato sui mores maiorum, i costumi degli antenati.
In questo momento, l’esercizio della giustizia appare chiaramente una delle funzioni essenziali della nuova comunità e tale attività trova spazio nei nascenti luoghi
istituzionali e di riunione del popolo. E’ proprio questo il periodo in cui dopo una
fase proto-urbana, collocabile tra il 900 ed il 750 a.C., nasce sull’altura del Cermalus,
sul Palatino, un nuovo abitato che si configura da subito come un centro urbano di
potere 5. Siamo nella data tradizionale della nascita di Roma e all’incirca nell’arco di
tempo di cento anni nuove capanne sostituiscono quelle esistenti. Fra queste si distingue la c.d. “capanna regia”, che sembra assorbire una precedente capanna c.d. “del
capo”, con accanto un’altra capanna, a due vani, probabile sacrario dei culti regi di
Marte ed Ops. In seguito alla cerimonia di rifondazione di Numa il primitivo santuario di Marte viene spostato a valle presso le porte Romanula e Mugonia. Con analoga
trasposizione verrà collocato più a valle il Mundus.
Depositario e amministratore della giustizia era dunque il rex che, in virtù del suo
potere di comando, imperium, verificava eventuali violazioni infliggendo le relative
pene. La sua potestà di comando, l’imperium, non appare ancora distinta tra quella
esercitabile presso l’esercito e quella esercitabile nella gestione degli affari civili 6.
5.
6.
Circa la nascita della monarchia, la fondazione della città, la dissoluzione delle primitive comunità di villaggio e le connesse modificazioni sociali in questo periodo, cfr. L. Capogrossi Colognesi, Lezioni di Storia
del Diritto romano. Monarchia e repubblica, Napoli, Jovene Editore, 2004, p. 1-19.
Pur coscienti di semplificare di molto una questione su cui è ancora intenta l’attenzione dei romanisti,
potremmo definire l’imperium come la forma più alta di potere riconosciuta in Diritto romano. Sarebbe
arduo dare di esso una definizione positiva, sia data l’ampiezza della sua sfera di attività sia considerato
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Fig. 3 – Roma, Museo della Civiltà Romana (deposito Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”). Plastico ricostruttivo in scala 1:15 della cosiddetta Capanna Regia e dei santuari
di Marte ed Ops. Seconda metà del VIII sec. a.C.
Sempre della stessa epoca è il tratto di muro che correva ai piedi del Palatino, edificato nella seconda metà dell’VIII sec. a.C. che, identificato anche come limite del
pomerio, probabilmente segnava il confine oltre il quale poter agire mediante l’uso
delle armi. Le stesse pene capitali comminate dal rex nell’esercizio della giurisdizione
criminale, dovevano essere eseguite fuori dal pomerium.
A partire dalla metà del VII secolo, si creò un’ampia area pavimentata ai piedi del
colle capitolino, ampia circa 700 mq, ottenuta asportando una grande quantità di terreno e creando una sorta di depressione profonda più di 2 metri. Nella prima età regia,
dunque, si individua e viene prescelta come luogo di riunione del popolo, ancora
diviso in curiae, un’area pianeggiante oltre le mura, ai piedi del Campidoglio, essendo
l’area opposta, e cioè quella verso l’Aventino e la Valle Murcia, interdetta per motivi
sacrali. In questa zona, chiamata Comitium, il cui antico nome italico deriva dalla
funzione svolta, non troppo estesa e poco salubre, ma in posizione chiave, si svolgerà
gran parte della vita politica e giudiziaria di Roma 7.
7. come esso sia un istituto che si estese per tutta la durata della storia romana, intrecciandosi e relazionandosi
pertanto, in modo di volta in volta diverso, con altri poteri pubblici o figure istituzionali portatrici di questi.
In effetti l’imperium suole essere piuttosto definito in via negativa, identificandone cioè i limiti : in epoca
repubblicana il maggiore è senz’altro la provocatio ad populum e la connessa distinzione tra imperium domi,
gestione degli affari civili, e imperium militiae, comando militare vero e proprio sottratto a provocatio.
7. La creazione, durante le prime fasi della monarchia latina, del sistema delle tribù e delle curie e la previsione di un apposito spazio urbano preposto alle loro riunioni, è stata anche recentemente sottolineata
come momento fondamentale della storia arcaica di Roma. Tutto ciò, infatti, concorreva a determinare
l’attenuazione dei legami tra gruppi parentali di epoca pre-civica, rinforzando viceversa la nuova civitas
e le sue istituzioni. Su ciò e sul connesso problema della cronologia relativa delle tribù e delle curie, v.
L. Capogrossi Colognesi, Lezioni di storia del Diritto romano. Monarchia e repubblica, Napoli, Jovene Editore, 2004, p. 12-19 ; 23-29.
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Fig. 4 – Area dell’antico Comitium. Questa zona sin dalla metà del VII sec. a.C. fu deputata alle
riunioni del popolo costituito in comitia curiata. In questo stesso spazio si svolgevano anche i
processi civili e quelli criminali almeno sino all’inizio della repubblica (foto autrice).
Il Comitium, di forma quadrangolare, orientato secondo i punti cardinali, si
ritiene fosse assimilato alla Roma quadrata e come tale dotato anch’esso di un Mundus, identificato con l’Umbilicus Urbis, quasi una proiezione dell’abitato del Palatino
nelle sue varie componenti di potere. Tra i monumenti che ivi avevano sede, era presente anzitutto un luogo di amministrazione della giustizia, in seguito detto tribunal,
e la curia Hostilia 8.
Il primitivo tribunal doveva essere una struttura mobile situata a Ovest del Comitium 9 presso la sede dei triumviri capitales ed il Carcer. Da quest’area il magistrato, dal
367 a.C. il pretore, eserciterà la giurisdizione nelle materie criminali e civili di sua
competenza.
8. Per quanto riguarda il Mundus, il monumento viene oggi identificato con la costruzione posta nell’angolo
Sud-Ovest dell’arco di Settimio Severo, tradizionalmente nota come Umbilicus Urbis, ed aderente ad un
altro monumento arcaico tradizionalmente identificato con il Volcanal, ma in cui deve piuttosto riconoscersi l’ara Saturni più volte indicata dalle fonti in quella zona del Foro. Interessa qui sottolineare come il
Mundus fosse un monumento strettamente connesso alle origini della costituzione romana. In primo
luogo, infatti esso era costruito in modo da rappresentare il fulcro della zona delimitata dal solco di fondazione, rappresentando pertanto un elemento fisico essenziale del diritto augurale. Contemporaneamente questo monumento illustrava il fondamentale aspetto del sinecismo romano, poiché al suo interno,
Plutarco, Romulus XI, sarebbero state gettate primizie e zolle di terra provenienti dai luoghi di origine di
quelli che si apprestavano a diventare nuovi cives Romani. Su tutto ciò v. F. Coarelli, Il Foro Romano. I :
periodo arcaico, Roma, Quasar, 1992, p. 207-225, nonché “Mundus”, in Lexicon Topographicum Vrbis Romae,
E.M. Steinby (dir.), vol. III, Roma, Quasar, 1996, p. 288 ss.
9. Liv. 1, 36, 5.
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La curia Hostilia, cui sembra appartenere un gruppo di tegole facenti parte del
primo livello del pavimento, secondo gli scavi del Boni, venne fondata, a detta di
Varrone 10, da Tullo Ostilio. Ospitava le riunioni del Senato ed era situata a Nord del
Comitium, costituendo quest’ultimo quasi un vestibulum all’edificio 11. Il Comitium
arcaico era perciò delimitato a Nord dal Forum Iulium, ad Ovest dall’arco di Settimio
Severo, ad est dalla curia Iulia. Ancora ben individuabile è il lato Sud, caratterizzato
da una linea pozzetti che distinguevano l’area al momento della sua inaugurazione
come templum.
Sempre in quest’arco temporale, nella repressione arcaica degli atti illeciti, pur
nell’estrema incertezza delle ricostruzioni, fondamentale appare l’istituto della familia che, in età arcaica manteneva ancora molte attribuzioni in seguito proprie della
sfera dei poteri pubblici. Infatti il suo patriarca, il paterfamilias, deteneva il potere
assoluto, manus, sugli uomini, sia liberi che schiavi, sugli animali e sulle cose del proprio gruppo, esercitando la giustizia nello spazio fisico dell’atrio, centro di aggregazione e rappresentanza della domus primitiva, ove erano conservati i simboli civili e
religiosi dell’autorità del pater. Queste competenze non vennero del tutto meno neppure quando furono creati gli organi della nuova civitas 12.
Nella seconda età regia si assiste ad un ampliamento ed ad una stabilizzazione del
pomerio che comprenderà tutti i colli, ad eccezione dell’Aventino. Sempre allo stesso
periodo la tradizione fa risalire l’istituzione dell’ordinamento centuriato. A Servio
Tullio infatti è attribuita la riforma degli antichi comizi e l’introduzione della divisione
del popolo in classi in base al censo. Con questa importante riforma costituzionale
muta il ruolo stesso del cittadino, che diviene sempre più parte attiva nella conduzione
della cosa pubblica. Polibio dice, riferendosi al popolo “esso infatti è il solo arbitro
nell’assegnazione degli onori e delle funzioni, […] il solo ad avere il diritto di infliggere la pena di morte […]”.
Risulta chiaro come, pur mantenendo la primitiva area del Comitium le funzioni
giudiziarie soprattutto civili, si ebbe la necessità di riunire l’assemblea popolare degli
uomini in armi, composta da 193 centurie, in un’area più ampia che venne individuata
“nel campo che giace tra il Tevere e le mura di Roma”, come dice Livio 13 : il campus
10. Varro, ling. 5, 155, 2.
11. Liv. 45, 24, 12.
12. E’ infatti attribuita a Romolo, Dionigi di Alicarnasso 2, 25, 6, la norma secondo cui “la moglie fosse punita
dai parenti in caso di rapporto sessuale illecito o qualora avesse bevuto vino”. Usualmente la pena veniva
inflitta facendo morire di inedia la colpevole. Del resto non mancano nelle fonti esempi di punizioni
rivolte dal pater anche ai figli maschi. Valga per tutti il caso del supplizio di Spurio Cassio nel 485 a.C. che,
durante il suo consolato aveva tentato di far promulgare una legge agraria particolarmente favorevole al
popolo e per questo, una volta tornato privato cittadino, il pater, accusandolo di aspirare al regno, “ordinò
che fosse fustigato a morte e consacrò a Cerere il suo peculio”. Ancora durante la congiura di Catilina si
registra un caso eclatante di giustizia domestica, nondimeno accettato come giusto, per la repressione di
un comportamento che sarebbe stato forse di competenza degli organi pubblici. Si tratta di Aulo Flavio,
Valerio Massimo 5, 8, 5 e Sallustio, Catil. 39, 5, che mise a morte il figlio mentre si apprestava a raggiungere
l’accampamento di Catilina.
13. Liv. 21, 30, 11.
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Fig. 5 – Roma, Museo della Civiltà Romana. Archivio Storico G. Gatteschi. Disegno eseguito
nel 1902. In questi anni si iniziava a scavare l’area del Comitium e la rappresentazione, che si
riferisce alla cancellazione dei debiti avvenuta sotto Traiano, ha soprattutto una valenza estetica.
Martius. Quest’area è collegata peraltro a testimonianze molto antiche, quali la mortescomparsa di Romolo avvenuta durante un’assemblea del popolo che, significativamente, viene individuata sia presso la palus Caprae, appunto nel Campo Marzio, che
presso l’ara Saturni del Comitium del Foro. Ciò indica chiaramente una continuità di
funzioni ed uno spostamento di alcune di esse al di là del muro-pomerio entro le
quali non potevano più essere esercitate. Altrettanto significativamente le funzioni
che Romolo stava svolgendo al momento della sua scomparsa sono dalle fonti latine
riferite sia all’esercito che alla iurisdictio.
L’area adibita ai comitia, chiamata Ovile in epoca risalente e Saepta in quella augustea, venne anch’essa inaugurata come templum e risulterà avere lo stesso orientamento
del Comitium del Foro.
Proprio la sede dei comitia centuriata è legata ad una grande innovazione del
diritto criminale romano, per comprendere appieno la quale sarà però opportuno
fare alcune precisazioni. Come già accennato, nel quadro della distinzione tra la sfera
del pubblico e del privato, i mores vennero integrati da leges publicae, cioè da provvedimenti normativi collegati alla volontà popolare espressa nei comitia. Tra le più antiche si ricorda la Lex XII Tabularum, risalente agli anni 451-450, di cui si discute tuttavia
l’effettiva votazione da parte del populus Romanus. Doveva quasi sicuramente trattarsi
infatti di una legge pronunciata dai magistrati, i decemviri legibus scribundis, davanti
al popolo riunito in assemblea. Queste leggi, incise su tavole di bronzo erano affisse
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Fig. 6 – Roma, Museo della Civiltà Romana. Ricostruzione calligrafica della Lex XII Tabularum
secondo l’interpretazione dello storico del diritto P. Bonfante.
ai rostra arcaici, nel Comitium 14. Esse andarono distrutte nel corso dell’invasione gallica del 387 a.C., ma furono conservate per lungo tempo oralmente e molti dei loro
precetti sono giunti fino a noi grazie alle fonti scritte 15.
Come esito di tutto ciò, nel quadro dello scontro tra patrizi e plebei, dal punto di
vista del diritto criminale tra il V ed il IV sec. a.C., venne creato l’istituto della provocatio ad populum, di grande importanza anche ai fini dello sviluppo dello spazio
urbano. In precedenza, l’amministrazione della giustizia criminale era esercitata dal
solo magistrato munito di imperium anche in caso di crimini puniti con la pena capitale, né era prevista la partecipazione del popolo riunito in assemblea. Ciò significava
14. Diodoro Siculo 12, 26, 1 ; Dig. 1, 2, 2, 4. L’uso di affiggere in quest’area tavole contenenti leggi e disposizioni
pubbliche è altresì attestato in altre fonti con riferimento al podio del tempio di Saturno, come ad esempio Varro, ling. 5, 42, 3.
15. La codificazione delle XII Tavole non deve intendersi come l’esito di un processo teso in primo luogo alla
razionalizzazione del diritto vigente, ma come un episodio della lotta tra patrizi e plebei, a seguito del
quale questi ultimi ottennero che fosse fissato in forma scritta quel diritto sino ad allora tramandato oralmente ed interpretato solo all’interno della cerchia dei pontifices, emanazione dell’aristocrazia. Su ciò v.
L. Capogrossi Colognesi, Lezioni di storia del Diritto romano. Monarchia e repubblica, Napoli, Jovene Editore, 2004, p. 95-98.
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che il magistrato cum imperio, così come già il rex, avrebbe potuto giudicare un civis
Romanus e condannarlo a morte senza che la stessa comunità civica, in ultima analisi
destinataria dell’atto criminale della persona sottoposta a giudizio, potesse intervenire in alcun modo nel processo decisionale. L’istituto della provocatio venne introdotto invece proprio per limitare la possibilità di condannare a morte un cittadino,
avendo il presunto colpevole la facoltà di perorare la propria causa nei comitia centuriata.
Abbiamo già parlato del luogo designato per tali riunioni. L’atto materiale della
provocatio, che originò dunque quella procedura criminale che in Diritto romano è
nota come “processo comiziale”, doveva invece svolgersi entro il pomerium e comunque prima della zona in cui iniziava la validità dell’imperium militiae, che avrebbe
consentito al magistrato di condannare a morte il civis senza ricorso alla provocatio 16.
Nel processo comiziale, la discussione della causa, l’audizione delle parti, l’escussione dei testimoni, le questioni relative alle prove, si svolgevano nel corso di riunioni
del populus Romanus dette contiones e che precedevano la formale riunione del comizio. Esse avevano luogo nello spazio di tre nundinae, cioè nel corso dei giorni di mercato in cui, dopo aver lavorato otto giorni nei campi, i Romani […] nono autem die,
intermisso rure, ad mercatum legesque accipiendas Romam venirent 17.
In tale fase la partecipazione popolare era garantita dalla coincidenza con i giorni
di attività commerciale : il commercio dunque, come polo di aggregazione urbana,
con le sue tabernae nel Foro e nelle adiacenze, forniva l’occasione per queste assemblee che si svolgevano nella parte Sud del Foro, presso i rostra, ma che potevano anche
avere luogo in altre zone, come ad esempio gli abituali luoghi di riunione del Campo
Marzio, del resto prossimi alla sede dei comitia centuriata.
Lo svolgimento delle contiones doveva dunque in qualche modo integrarsi con
l’attività giudiziaria tipica di uno specifico settore del Comitium. E’ infatti documentata, tra la fine del VI e l’inizio del V secolo l’esistenza di una tribuna, i rostra, cui si è
già accennato, proprio in coincidenza con la data tradizionale dell’istituzione della
repubblica. Viene addirittura ricordata nell’età di Tarquinio Prisco con riferimento al
foedus Cassianum e, come già detto, in epoca decemvirale a proposito della Lex XII
Tabularum. Varrone ne dà l’esatta collocazione a Sud-Est del Comitium 18.
16. Incerta è la data in cui venne creato l’istituto della provocatio, né può escludersi come esso possa aver
subito alterne vicende. La tradizione, a tratti contraddittoria, ricorda ad esempio una lex Valeria de provocatione del 509 a.C., una lex de provocatione ad populum del 449 ed una lex Valeria de provocatione del
300. A questo proposito giova qui ricordare come la provocatio invocata da Orazio nel racconto liviano del
noto episodio occorso durante il regno di Servio Tullio, venga usualmente considerata dalla dottrina un
anacronismo dello storico antico, mentre viene viceversa ritenuto affidabile il testo della lex horrendi carminis, anche se si discute sulla corretta qualificazione del fatto criminale da parte di Livio : se cioè esso
costituisse veramente alto tradimento, perduellio, o omicidio di un familiare, parricidium. Su ciò v. E. Cantarella, I supplizi capitali, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2005, p. 143-147.
17. Macrobio, Sat. 1, 16, 34. Si veda su questo argomento G. Crifò, Lezioni di Storia del Diritto romano, VIII ed.,
Bologna, Monduzzi, 2000, p. 88-91.
18. Varro, ling. 6, 2, 5.
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Anna Maria Liberati
La primitiva tribuna da cui parlavano gli oratori era orientata in modo tale da
consentire loro di rivolgersi verso la Curia a Nord. Intorno alla fine del IV secolo, il
podio di questo primitivo suggesto venne innalzato, forse per l’inserimento dei rostra
tolti alle navi di Anzio durante la guerra latina. Successivamente, intorno al 263 a.C.,
tutta l’area del Comitium e di conseguenza tutti i relativi monumenti subirono uno
spostamento, assumendo una forma circolare. E’ in quest’epoca che mutò anche la
posizione verso cui l’oratore si rivolgeva : non più a Nord, ma a Sud-Est verso il Foro.
In epoca sillana, in occasione dell’ampliamento della Curia, venne eseguita una nuova
pavimentazione che in parte cancellò antichi monumenti tra cui il tribunal del pretore, distrutto nell’80 o nel 52 a.C. 19.
Chiaramente, a partire dai rostra Augusti, la funzione giudiziaria, che era stata
una di quelle proprie di questi monumenti, andò sempre di più a diminuire, come
pure del resto cambiò la vocazione stessa del Comitium, che diventò sempre più luogo
di rappresentanza e non di vita politica attiva.
La vera e propria decisione della causa avveniva dunque nella sede dei comitia
centuriata, la cui indizione il magistrato, esercitando il suo ius agendi cum populo,
aveva preventivamente fissato facendo in modo che fosse preceduta dalle tre nundinae di cui si è sinora detto. Nel Campo Marzio, dunque extra pomerium, il populus
Romanus esprimeva il giudizio definitivo.
A partire dal II sec. a.C. si affermò un altro tipo di processo criminale che prevedeva la creazione di diverse corti per i singoli crimina e che prendeva il nome dalla
tipologia della corte, le quaestiones perpetuae. Tralasciando aspetti che qui non possono essere affrontati, è interessante notare l’istituzione di un numero limitato di cittadini, una sorta di giuria, avente il compito di esprimere il verdetto : la composizione
sociale di queste corti, specie di quelle collegate alla repressione del reato di concussione, sarà uno dei terreni di scontro delle factiones della tarda repubblica 20.
19.
20.
E’ in questa fase del processo criminale che i rostra ed in generale il Comitium si identificano perfettamente
come uno dei luoghi in cui si svolge il processo : il successivo processo delle quaestiones perpetuae non necessariamente dovette fruire di quegli spazi urbani, mentre la successiva cognitio extra ordinem si svolse del tutto
all’interno di nuovi edifici costruiti per i funzionari imperiali. Quanto allo sviluppo successivo dell’area, giova
ricordare come Cesare mise mano ad un’ampia opera di ristrutturazione in tutta la zona, demolendo l’antica
tribuna, la curia Hostilia e la Graecostasis, ricostruita lungo il lato Ovest. Proprio lungo questo lato si apprezza
tuttora quanto rimane del complesso dei rostra che generalmente passano sotto il nome di rostra Augusti. Fra
questi si nota una struttura ad emiciclo che presenta una rampa curva di sei gradini di travertino. Da alcuni
attribuita alla Graecostasis, si tratta invece quasi sicuramente dei rostra di Cesare, datati ai primi mesi del 44 a.C.
Tra il 42 ed il 12, proseguendo la ristrutturazione intrapresa da Cesare, Augusto mise mano alla nuova sistemazione dell’area, costruendo nuovi rostra e cambiando tutto l’assetto della piazza, come si può notare dalla
disposizione dei monumenti successivi. La tribuna augustea, alta m 3,70 e lunga 23 presenta sulla fronte e sui
lati una fodera di marmo composta da lastre verticali di africano alternate ad altre di portasanta. I rostra
registrano anche una fase flavia ed una severiana connessa con le radicali alterazioni subite dall’area a causa
della costruzione dell’arco. In età tardo-antica i rostra vennero fatti avanzare verso il Foro. Ben riconoscibili
nella parte frontale, passano generalmente sotto il nome di rostra Vandalica, anche se sono da attribuire a Diocleziano o Aureliano. Occorre infine menzionare i rostra Diocletiani, da collocare a Est dell’antico Comitium.
A partire almeno dalla metà del V sec. a.C., i Romani non consideravano tutti gli atti illeciti come rilevanti
sul piano del diritto criminale, poiché distinguevano tra quelli incidenti sulla sfera del diritto privato e quelli
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Fig. 7 – Area del Comitium dall’età arcaica alla fine della repubblica. Da L.T.U.R., I, p. 469.
20.
incidenti sulla sfera del diritto pubblico. Delicta vennero detti gli atti illeciti di diritto privato che creavano tra
le parti la nascita di un diritto di obbligazione che, dalla media repubblica veniva estinto attraverso il pagamento di una sanzione in denaro detta poena. Tutti i delicta romani costituiscono oggi reati veri e propri, puniti
dai codici penali o comunque sempre nelle forme del diritto pubblico : furto, danneggiamento, oltraggio, percosse, lesioni e, in certa misura, la rapina. Accanto ai delicta dello ius civile, lo ius honorarium previde altre
forme di illeciti che vennero detti “quasi delitti” : il getto di cose dagli edifici, l’incauto posizionamento di cose
sopra un luogo di pubblico passaggio o il furto in tabernae, cauponae, stazioni di posta ed altri luoghi. I fatti illeciti rilevanti sul piano del diritto criminale, invece, venivano detti crimina. In linea generale si trattava di comportamenti ritenuti così gravi da mettere in pericolo l’incolumità di tutta la comunità. Infatti i primi crimina di
cui si ha notizia sono l’alto tradimento, perduellio, e l’assassinio di un pater, il parricidium. L’elenco dei crimina
si ampliò nel corso del tempo, insieme allo sviluppo della relativa procedura processuale. Infatti, a differenza
dei delicta, i crimina erano puniti nelle forme del processo criminale, cioè di un processo di diritto pubblico.
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Non trattandosi più di contiones, collegate in qualche modo ad altri aspetti della
vita urbana, né di comitia centuriata, risulta chiaro come questo tipo di corte stabile
giudicante dovesse riunirsi in altri luoghi. Uno dei monumenti individuati ricollegabili alle quaestiones perpetuae è il tribunal Aurelii, peraltro noto solo dalle fonti,
ove venivano discusse le cause di concussione, quaestiones de repetundis. Il monumento, eretto dal pretore C. Aurelius Cotta nell’81 a.C., probabilmente era unito ai
gradus Aurelii, costruiti nel 74 circa, una sorta di gradinata dalla quale era possibile
assistere alle sedute giudiziarie. Ambedue andarono distrutti nel corso dell’incendio
del 52 a.C. 21.
Con l’impero si assiste, come del resto in altri campi, ad un radicale cambiamento
del processo criminale attraverso la creazione di una nuova procedura gestita direttamente dai nuovi funzionari imperiali, detta cognitio extra ordinem. Il processo extra
ordinem trae la sua denominazione dalla circostanza che si svolgeva al di fuori delle
regole dell’ordo iudiciorum publicorum. Esso, pur configurandosi come uno sviluppo
tipico del nuovo regimen, da un punto di vista procedurale permise che il funzionario
imperiale, libero di indagare e di inquadrare il crimine al di fuori dei rigidi schemi
delle quaestiones, potesse adeguare la pena alla gravità del fatto realmente commesso.
Si venne perciò creando anche una certa discrezionalità da parte del giudice, nel senso
che costui poteva tener conto ai fini della decisione di elementi soggettivi, circostanze
attenuanti e di ogni altro elemento utile 22.
Per un certo periodo di tempo i tre sistemi, il comiziale, le quaestiones perpetuae
e la cognitio extra ordinem coesistettero, sovrapponendosi, fino ad un progressivo inaridimento delle istituzioni repubblicane. Questo cambiamento si può seguire anche
in ambito topografico ed anzi si presta ad alcune considerazioni. I comitia, che un
tempo costituivano il nucleo pulsante della città in quanto legiferavano e svolgevano
attività giurisdizionale, perdono di importanza e l’assemblea popolare per eccellenza
diventa di fatto quella che si aggrega nelle grandi adunanze dove si svolgono gli spettacoli pubblici.
Lo spazio urbano dove si celebravano i processi extra ordinem erano gli uffici dei
vari funzionari imperiali, che giudicavano in prima istanza o in grado d’appello su
delega del principe : i praefecti Urbi, praetorio, vigilum ed annonae.
21. Per la menzione del tribunal Aurelii v. ad es. Cicerone, Sest. 15, 34, mentre per i gradus Aurelii, v. sempre
Cicerone, Cluent. 34, 93.
22. Nel processo delle quaestiones perpetuae era pressoché impossibile valutare elementi del comportamento
criminale se questi non fossero già stati previsti dalla legge, generando così un automatismo eccessivo
nell’irrogazione della sanzione. Nella cognitio extra ordinem, invece, il funzionario proprio perché giudicava al di fuori delle norme processuali delle quaestiones poteva valutare circostanze incidenti sulla pena
quali la mancata attuazione del disegno criminoso o il concorso di persone. Attraverso la procedura criminale extra ordinem si giunse anche a dare diverso rilievo a elementi di fattispecie criminali già previste
ovvero a moltiplicare le ipotesi di reato anche indipendentemente dalle figure di reato previste dalle quaestiones perpetuae. In taluni casi si assistette anche alla repressione come crimina di comportamenti in
precedenza configurabili come delicta.
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L’evoluzione urbanistica di Roma…
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Ogni prefetto organizzò un proprio tribunale secondo le rispettive esigenze e
competenze.
Non molto sappiamo della praefectura vigilum e di quella annonae. La prima era
ospitata probabilmente all’interno della caserma, statio, della I coorte, nell’area dell’
odierna Piazza dei SS. Apostoli, la seconda aveva sede nel Foro Boario e se ne possono
vedere ancora i resti all’interno della Chiesa di S. Maria in Cosmedin. Nulla si sa della
praefectura praetorio, la cui sede presumibilmente si trovava all’interno dei castra
omonimi. Meglio conosciuta è invece la sede del praefectus Urbi. Inizialmente situata
in una basilica, probabilmente la Paulli, per la successiva età domizianea è stata localizzata all’ingresso della Subura presso l’Argiletum all’interno del templum Pacis. Nel
tardo impero questa prefettura aveva sede presso il templum Telluris, nelle Carinae e
da esso prendeva il nome : secretarium Tellurense. Era composta da aule per processi,
tribunalia, ed uffici amministrativi, scrinia. Le sue strutture, viste nel 1500, si trovavano nell’area compresa tra la basilica di Massenzio e il Colosseo. Vi si accedeva sul
lato Est ed era collegata alla basilica stessa, sede delle attività del praefectus in determinate circostanze solenni.
Proprio in età imperiale e nell’ambito della procedura extra ordinem, si assiste
anche all’assunzione di funzioni giudicanti da parte della Curia. In effetti il Senato, in
epoca repubblicana non aveva avuto funzioni giurisdizionali o normative ed il suo
intervento aveva rivestito piuttosto un carattere politico. Viceversa esso si presenta
ora come organo giudicante, in grado di pronunciare sentenze su ordine del principe
e specie nei procedimenti per i crimina politici de maiestate. Del resto non mancarono casi in cui il principe, che giudicava assistito da un proprio consilium, assegnò al
Senato anche procedimenti di sua competenza.
Abbiamo già parlato della curia Hostilia, come la sede che in epoca arcaica ospitava le sedute del Senato. Venne ampliata da Silla e successivamente nel 52 a.C. dal
figlio di costui, Fausto. Cesare, in connessione con il suo Foro volle edificare una
nuova curia, la Iulia, inaugurata da Augusto nel 29 a.C. Essa sostituì la precedente,
Hostilia, ed è quella che attualmente si vede nella ricostruzione dioclezianea. Altre
sedi ove poteva riunirsi il Senato erano la curia Pompei, in Campo Marzio, divenuta
famosa per l’uccisione di Cesare, e la biblioteca del tempio di Apollo sul Palatino,
soprattutto con Augusto. Occorre far notare come, per l’esercizio delle funzioni giudiziarie dell’imperatore, pur esistendo luoghi a ciò istituzionalmente deputati, ad
esempio la c.d. basilica Iovis della Domus Flavia sul Palatino, in realtà potessero essere
usati quegli spazi urbani che il principe stesso avesse ritenuto opportuni. Del resto
l’impiego di spazi monumentali al di fuori delle funzioni loro proprie, è testimoniato
anche dal fatto che proprio il Diribitorium dei Saepta sia stato usato da Caligola quale
teatro in occasione di forti calure estive 23.
Come si è visto, l’esame del processo criminale ci ha dato modo di penetrare
all’origine di molti edifici e delle loro funzioni, seguendone l’evoluzione attraverso i
23. Cassio Dione 59, 7.
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Fig. 8 – Roma, Museo della Civiltà Romana. Archivio Storico G. Gatteschi. Ricostruzione della
fronte del complesso dei Saepta Iulia con il Diribitorium nel Campo Marzio.
L’edificio è erroneamente posto all’inizio della via Lata.
dati di una disciplina che a torto viene scarsamente considerata nel corso dell’indagine storico-archeologica. In questo senso, anche il processo privato può rivelarsi
utile, ma vediamo come.
Semplificando di molto, il processo privato si può dividere in tre grandi periodi :
il processo per legis actiones, quello per formulas, e la cognitio extra ordinem, le cui
caratteristiche, per ciò che qui interessa, non si discostano da quanto detto con riferimento al diritto processuale criminale. L’arcaico processo per legis actiones si imperniava, come espresso dal suo stesso nome, sulle actiones, ossia sulle formule, retaggio
del periodo dell’origine, che le parti dovevano recitare davanti al magistrato per delineare il contenuto della controversia 24. Il dato caratterizzante di questo tipo di processo, era proprio l’estrema rigorosità formale, che imponeva la pronuncia di certa
verba. A partire dal 367 a.C. il magistrato incaricato di dirimere la maggior parte delle
24. Questo arcaico tipo di processo trae la denominazione dalla centralità, nella sua economia, delle legis
actiones, cioè di precise e rituali formule da recitare davanti al magistrato per richiedere la tutela dei propri diritti. Come per altri aspetti del diritto arcaico, anche in questo caso la forma si identificava con la
sostanza dell’atto. Tali actiones, formalizzate dalla Lex XII Tabularum ma certo più risalenti, erano di due
tipi : dichiarative, tese ad ottenere la pronuncia del giudice su di una certa questione, ed esecutive, tese
invece ad ottenere l’esecuzione di una precedente pronuncia del giudice. Erano dichiarative la legis actio
sacramento in rem aut in personam, quella per iudicis arbitrive postulationem e quella per condictionem.
Erano invece esecutive la legis actio per manus iniectionem e quella per pignoris capionem.
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controversie civili fu il pretore. Proprio in quel periodo la società andava rapidamente evolvendosi e a fronte della mutata realtà economico-sociale, le legis actiones
non risultavano più sufficienti a tutelare tutti i nuovi rapporti giuridici sorti di conseguenza.
Proprio per questo, il pretore decise di usare il suo imperium per garantire comunque una tutela in sede processuale a quei rapporti che, pur non contemplati dall’antico ius Quiritium, egli avesse ritenuto meritevoli di tutela 25. Ciò avveniva attraverso
l’emanazione, all’atto dell’entrata in carica, di un editto che conteneva le formulae
idonee a tutelare questi nuovi rapporti. Proprio nell’età in cui il processo per legis
actiones iniziava a sostituirsi a quello per formulas, in età sillana, a causa dei lavori di
ristrutturazione effettuati nell’area del Foro, scomparvero i tribunalia posti ai cornua
del Comitium. L’attività del processo privato si spostò nella parte Sud del Comitium
stesso, non lontano dal tribunal Aurelii, di cui abbiamo già detto parlando del processo
criminale. Sappiamo che la nuova sede del tribunal del pretore doveva caratterizzarsi
per la presenza di strutture in legno, poiché nel corso di una nuova pavimentazione
dell’area, nel 12 a.C., il pretore L. Naevius Surdinus ne curò il rifacimento e la monumentalizzazione. Di questo magistrato resta, incassata nelle lastre di pavimentazione
del tribunale l’iscrizione che lo ricorda, verosimilmente in relazione ai lavori di restauro di quell’area del Foro. Sappiamo che Surdinus dovette essere pretore peregrino,
cioè quel pretore istituito nel 242 a.C., cui era affidata la iurisdictio peregrina e l’individuazione del tipo di diritto da applicare.
Sia il processo per legis actiones che quello per formulas si svolgevano anche all’
interno delle basiliche ed erano composti da due fasi, in iure e apud iudicem. Nella
prima le parti recitavano davanti al magistrato la legis actio o la formula, onde consentirgli di verificare la corretta impostazione della lite dal punto di vista sia formale
che sostanziale. Nella seconda fase le parti venivano assegnate ad un giudice privato
o ad un collegio di giudici privati che, applicando le indicazioni del magistrato, ascoltava il caso concreto ed emanava la sentenza. Anche in questo caso le fonti giuridiche
contribuiscono a specificare meglio ciò che concretamente doveva accadere all’interno
degli edifici pubblici. Per l’età arcaica, quando non si ha notizia di basiliche e l’intero
processo privato doveva svolgersi nel Comitium, si consideri ad esempio la previsione
della Lex XII Tabularum secondo cui le parti avrebbero dovuto esporre la causa entro
mezzogiorno : il giudice avrebbe dato ragione alla parte presente se l’altra non si fosse
25. Le antiche legis actiones e lo stesso ius civile non consentivano di tutelare tutte le nuove situazioni giuridiche sorte con la crescita dell’Urbe. In questo senso, sin dal IV-III sec. a.C. il magistrato introdusse nei processi tra cittadini stranieri o tra stranieri e Romani, cioè nei casi in cui non poteva comunque applicarsi il
diritto romano, delle formulae che, recitate in sede giudiziaria, sostituirono le arcaiche legis actiones, consentendo una difesa più articolata delle proprie ragioni nonché maggiormente aderente alle nuove realtà.
L’estensione di questo processo, detto per formulas, anche alle cause tra soli cittadini Romani fu graduale.
Tappe fondamentali furono una lex Aebutia del II sec. a.C., che consentì l’applicazione delle formulae
anche quando si trattasse di difendere rapporti sorti sulla base dello ius civile, e la lex Iulia iudiciorum privatorum del 17 a.C. di Augusto, che abolì definitivamente il processo per legis actiones con la sola eccezione
delle cause di competenza del tribunale dei centumviri litibus iudicandis.
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presentata in giudizio entro quell’ora, post meridiem praesenti litem addicito. Riguardo
la durata di questa fase, la norma prescriveva anche : “Se sono entrambi presenti, il
tramonto del sole sia l’ultimo momento”. E’ anche alla luce di questo dato giuridico
che va valutata la circostanza come all’epoca delle XII Tavole una delle funzioni del
Comitium fosse quella di grande orologio solare, appare perciò naturale ritenere che
tale valenza fosse anche funzionale alla scansione temporale delle attività richiamate 26.
Oltre che nel tribunal del pretore, una parte del processo privato, essenzialmente
quella apud iudicem, si svolgeva all’interno delle basiliche. La prima basilica venne
edificata dopo l’incendio del 210 a.C. sul lato Nord-Est del Foro ed è tradizionalmente
conosciuta con il nome di Aemilia. Fu costruita da M. Aemilius Lepidus ed è conosciuta anche come Fulvia dal nome del collega di Emilio Lepido, M. Fulvius Nobilior
morto nel 179, prima che l’edificio fosse compiuto. Sappiamo dalle fonti che si trovava
dietro le nuove botteghe degli argentarii, post argentarias novas, e, sempre a seguito
delle testimonianze delle fonti pare accertato che già intorno al 195-191 esistesse una
basilica nei pressi del sacello di Venere Cloacina. Nel 55 a.C. la basilica cambiò nome,
diventando Basilica Paulli in seguito alla ricostruzione effettuata da L. Aemilius Paullus. Con il suo alzato a tre piani, Plinio la enumera tra gli edifici più belli del mondo.
Quasi coeva, del 184 a.C., era la basilica Porcia, situata presso la curia Hostilia, dirimpetto al Carcer, distrutta nell’incendio del 52 a.C. successivo alla morte di Clodio.
Un’altra basilica in cui probabilmente si svolgeva attività giudiziaria fu la basilica
Opimia, costruita dall’omonimo console intorno al 120 a.C. Essa si trovava nell’area
Ovest dell’antico Comitium ed andò distrutta nel corso della ristrutturazione augustea della zona. Sicuramente collegata ai processi fu la basilica Iulia, sorta sul luogo
dell’antica Sempronia, costruita da Ti. Sempronius Gracchus nel 169. Fu inaugurata
nel 46 a.C. e divenne sede del tribunal centumvirale 27.
Quanto alla cognitio extra ordinem, anche in questo caso essa risale all’età augustea e veniva celebrata nella sede delle grandi prefetture. Tra le cause più note, è quella
riguardante il processo dei fullones, discussa davanti al tribunale del praefectus vigilum
tra il 226 ed il 244 d.C. Si trattava di una causa promossa dal fisco e dall’erario contro
un collegium di fullones e tesa ad ottenere il pagamento del canone per il godimento
di un acquedotto e del luogo circostante. Furono pronunciate ben tre sentenze, essendo
l’autore ricorso al nuovo praefectus per ben due volte.
26. Lex XII Tab. 1, 7-9.
27. I centumviri litibus iudicandis erano i giudici che, nella fase apud iudicem erano competenti per le cause
ereditarie, sullo status delle persone e su alcune cause di proprietà. La loro corte sorse durante la vigenza
delle legis actiones, ma rimase attiva anche durante il principato. In generale si ritiene che i centumviri si
distinguessero in qualche modo dai giudici privati, pur non essendo enumerati tra le magistrature. Erano
invece magistrati i decemviri litibus iudicandis che, in età imperiale dirigevano le quattro sezioni, hastae,
del tribunale centumvirale. Gli stessi decemviri in passato avevano presieduto corti loro proprie in materia
di status libertatis. Quintiliano, inst. 12, 5, 5 ss., informa che le quattro hastae potevano riunirsi in seduta
comune. Sappiamo poi che l’attività all’interno dell’edificio era continua e frenetica, al punto che, quando
le sezioni erano divise, da una poteva udirsi l’avvocato che stava patrocinando nell’altra, come nel caso di
Galerius Trochalus nel 68 d.C.
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Fig. 9 – Roma, Foro repubblicano, basilica Aemilia. L’attività giudiziaria che si svolgeva nelle
basiliche era relativa soprattutto alla fase apud iudicem del processo privato (foto autrice).
Fig. 10 – Roma, Foro repubblicano. I quest’area, adiacente alla basilica Aemilia, insiste il sacello
di Venere Cloacina, presso il quale, secondo la tradizione sarebbe avvenuta l’uccisione della
fanciulla Virginia ad opera del padre al fine di sottrarla al decemviro Appio Claudio. L’episodio
è ancora oggetto di interpretazioni e costituisce uno degli eventi più controversi del secondo
decemvirato legislativo (foto autrice).
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Fig. 11 – Roma, Museo della Civiltà Romana. Archivio Storico G. Gatteschi. Disegno ricostruttivo
raffigurante l’area Nord-Est del Foro in età tardo-imperiale. Dalla ricostruzione si può apprezzare
la sostanziale trasformazione dell’area dell’antico Comitium già iniziata alla fine della repubblica.
Fig. 12 – Roma, Museo della Civiltà Romana. Archivio Storico G. Gatteschi. Il disegno
riproduce la basilica Iulia nell’anno 300 d.C. I processi privati continuarono a tenersi nelle
basiliche anche in età imperiale.
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Fig. 13 – Roma, Museo della Civiltà Romana. Calco dell’epigrafe nota come lex fullonum de
pensione non soluenda. Si tratta di una causa condotta davanti al tribunale del praefectus vigilum.
Prima metà del III sec. d.C. Dall’Esquilino.
Come per il processo criminale, le tre fasi di quello privato coesistettero per un
certo lasso di tempo. La procedura imperniata sulle legis actiones durò fino al 17 a.C.,
anno in cui essa venne sciolta, con eccezione della corte centumvirale, dalla lex Iulia
iudiciaria. La procedura per formulas, invece, cadde progressivamente in desuetudine,
sino ad essere formalmente cancellata da Giustiniano nel quadro dell’abolizione della
distinzione tra ius civile e ius honorarium. Infatti giova qui ricordare che il complesso
delle formulae elaborate dal pretore è alla base di quel sistema giuridico coesistente e
non alternativo all’antico diritto civile noto come “diritto onorario”, che le stesse fonti
ci informano essere nato con lo scopo di “aiutare, correggere e supplire” l’antico ius
civile 28.
28. Così Papiniano in Dig. 1, 1, 7, 1.
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Come si è detto, le formulae del processo privato romano erano elaborate non in
astratto, ma con un immediato aggancio alla realtà ed alla concretezza dei rapporti : i
vari istituti cioè non venivano riconosciuti giuridicamente solo perché erano stati
teorizzati, ma perché il magistrato aveva regolamentato delle situazioni già esistenti
in concreto che egli riteneva essere meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento.
Molte di queste situazioni sono ricollegabili a quelli che noi moderni chiamiamo
“diritti reali”, cioè a quei diritti che esprimono una forma di signoria, diversa a seconda
del tipo di diritto, su una cosa. Attualmente il principale diritto reale è la proprietà,
ma essa nasce come noi la conosciamo soltanto in epoca moderna ed infatti i Romani
avevano diversi tipi di “proprietà”, di cui quello più antico fu il dominium ex iure Quiritium 29.
Esso derivava storicamente dall’arcaica manus del paterfamilias, che era indistinta
sia per le persone che per le cose. In età successiva, tuttavia, non tutte le cose, potevano essere oggetto del dominium, ma soltanto quelle che dall’antico ordinamento
erano ritenute pretiosiores : tra queste i fundi Italici. In questi casi il diritto del proprietario si estendeva “usque ad sidera et usque ad inferos”, pur essendo ammessa in
seguito la presenza di più proprietari nelle forme della communio o del condominium.
La risalente antichità del dominium ex iure Quiritium è data anche dalla circostanza
che alcuni dei negozi giuridici finalizzati al trasferimento della proprietà della cosa
risentivano anch’essi di quel rigido rituale che si è visto essere caratteristico delle epoche più antiche. Ci si riferisce in particolare alla mancipatio, impiegata ancora in
epoca storica secondo il rigido formalismo che la caratterizzava in età arcaica, quando
quello stesso formalismo costituiva in realtà anche la sostanza dell’atto.
In età arcaica la signoria sulle terre, prevalentemente adibite a pascolo, si esprimeva in una sorta di proprietà comune della collettività. Accrescendosi la continua
espansione di Roma, si venne configurando l’ager publicus, che progressivamente e
con diverse modalità venne concesso ai privati con vari rapporti giuridici, che non
necessariamente si identificavano però nel dominium ex iure Quiritium.
L’origine di questo è stata piuttosto messa in relazione alla circostanza che dopo
la fondazione della città il rex provvide a distribuire la terra a tribù, curie e capi famiglia. Vennero assegnati i bina iugera, due iugeri, corrispondenti ad un quadrato di m
240 per lato, pari alla porzione di terra arabile in un giorno. La distribuzione di questi
lotti, destinati all’abitazione e all’hortus, segnano forse la nascita della proprietà urbana.
29. Il moderno diritto reale di proprietà è un risultato della Rivoluzione Francese. Presso i Romani, pertanto,
esisteva un diverso tipo di proprietà, anzi ne esistevano diversi tipi : il giurista Gaio nel II sec. d.C. parla al
proposito di un duplex dominium. La figura più antica era il dominium ex iure Quiritium, arcaico istituto
di ius civile, che era però applicabile solo ad una limitata serie di res enucleatasi in età risalente : schiavi,
animali da lavoro e fundi Italici, ad esempio. Nell’ambito dello ius honorarium il pretore predispose apposite formulae al fine di consentire che rapporti meritevoli di tutela ma non configurabili come dominium
fossero opportunamente protetti : si creò così un secondo tipo di proprietà detta in bonis habere. Esistevano inoltre diverse tipologie di possessio di ager publicus e di “proprietà” provinciali, per le quali vennero
apprestate di volta in volta forme di tutela modellate sul dominium o sull’in bonis habere.
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L’heredium, distribuito mediante limitatio, costituisce, come indicato dallo stesso
termine un bene gestito dal paterfamilias, in funzione della sua trasmissione ai legittimi discendenti. E’ dunque forse proprio in questo periodo che venne a configurarsi
quella proprietà di ius civile che verrà poi chiamata dagli stessi Romani dominium ex
iure Quiritium e che, quanto agli immobili, poteva applicarsi soltanto a quelli in solo
Italico. Naturalmente la proprietà immobiliare poteva essere sia urbana che rustica e
sulla proprietà urbana l’evolversi stesso della città impose di creare altri diritti reali
che consentissero una migliore fruizione dello spazio urbano da parte dei cittadini :
ci si riferisce qui soprattutto alle servitutes, alla superficies, ed alla habitatio, di cui ci
occuperemo tra breve.
Quanto agli aspetti più strettamente inerenti alla proprietà urbana, molti sono
rinvenibili nelle actiones processuali e nella stessa Lex XII Tabularum. La tavola VII,
ad esempio, le cui norme furono discusse in seguito da Varrone, Plinio, Festo, Cicerone ed altri, tratta dell’ambitus, cioè dello spazio di cinque piedi che doveva essere
lasciato fra gli edifici. Per tale motivo non poteva essere costruito un muro sul confine, dovendo essere distante almeno due piedi e mezzo dal confine stesso. Successivamente fu possibile costruire il proprio muro sul confine, in aderenza a quello del
vicino, secondo il regime della communio. La norma aveva in principio lo scopo evidente di garantire una pur minima viabilità urbana, analogamente a quanto previsto
in ambito rurale, anche se, essendo alquanto risalente si adattava maggiormente ad
una edilizia caratterizzata da domus che, ricevendo aria e luce dall’interno, presentavano all’esterno un fronte chiuso e compatto. Tale norma divenne insufficiente a partire dal III / II secolo a.C. e l’esigenza venne affrontata con i nuovi diritti reali di
servitù e successivamente con regolamenti urbani 30.
Come si è visto, il principio della proprietà come dominio assoluto usque ad
sidera, usque ad inferos, trovava in realtà molteplici limitazioni, anche in tema di
altezze degli edifici e di materiali con cui, in certe circostanze di pubblica sicurezza,
questi dovevano essere costruiti. Risalenti a varie epoche sono infatti una serie di
disposizioni tese a preservare lo stato degli edifici. Sempre più frequenti erano infatti
i crolli e gli incendi, dovuti in gran parte al tipo di materiale impiegato. Il giurista
Paolo ricorda il divieto di commerciare in immobili al fine di ricavare materiale edificabile dalla loro demolizione. A partire da Augusto, una serie di interventi riguardarono i limiti di altezza. Questo imperatore fissò l’altezza massima degli edifici in 70
piedi, abbassati poi a 60 da Tiberio. Esempio di costruzione ai limiti della legalità se
non oltre è l’insula Felicles, nella Regio IX, citata nei Cataloghi Regionari, probabilmente per la sua notevole altezza. Quanto finora considerato costituisce una premessa
per tutta una serie di regolamenti edilizi e urbanistici tardo imperiali. In quest’epoca,
infatti, vennero emanati vincoli e limitazioni allo scopo di preservare e incrementare
30. Per l’ambitus si vedano Festo, De verborum significatu 5, 6 ; 15, 20 Lindsay, e Varrone, ling. 5, 22, 1. I vari
regolamenti urbani sono riportati soprattutto in Ulpiano, specie in riferimento ai nuovi strumenti giuridici a tutela della proprietà.
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il decoro urbano delle grandi città imperiali e soprattutto della nuova capitale, Costantinopoli. La raccolta più completa di tale normativa è rappresentata dalla costituzione di Zenone della fine del V secolo d.C. In essa, sono tra l’altro stabiliti in 12 piedi
gli spazi minimi tra gli edifici e il divieto di costruire anche a distanza di 100 piedi se
facendo ciò venisse impedita la vista del mare fino ad allora goduta. Molte di queste
norme, il divieto di utilizzare materiale incendiabile nelle sopraelevazioni, l’obbligo
di completare gli edifici già iniziati, l’altezza degli stessi, saranno ancora riprese e
puntualizzate nella successiva legislazione di Giustiniano 31.
Tra le altre limitazioni poste alla proprietà urbana sin dall’età arcaica si deve
menzionare anche il divieto di effettuare inumazioni e incinerazioni all’interno della
cinta urbana e queste ultime anche fuori della città, a meno di sessanta piedi da un
edificio 32.
Nel corso del tempo vennero creati numerosi mezzi processuali per la difesa della
proprietà immobiliare, sia rustica che urbana. In quest’ottica, lo stesso diritto arcaico
imponeva certi comportamenti tesi a stabilire rapporti di collaborazione nel quadro
di una corretta conservazione del bene, nell’interesse dell’intero comprensorio. Tra i
mezzi processuali più comuni si ricordano ad esempio l’actio aquae pluviae arcendae,
da ricollegare alle numerose testimonianze di bonifica mediante canalizzazione di un
territorio che, come quello nei dintorni di Roma era facilmente oggetto di impaludamento, l’interdictum de arboribus caedendis e quello de glande legenda. Sono inoltre di
particolare interesse per la loro applicazione in ambito urbano la cautio damni infecti
e la operis novi nuntiatio, di cui la prima sicuramente databile all’età arcaica. Il damnum infectum di cui si è detto, costituiva il danno che si temeva potesse avverarsi : il
crollo di una casa fatiscente o di un albero pericolante, ad esempio. Questa azione
processuale, intentabile sia per gli eventi naturali che per le opere dell’uomo, prevedeva che il pretore adottasse tutta una serie di misure idonee a tutelare colui che aveva
promosso l’azione, anche attraverso una promessa scritta della controparte a copertura del possibile danno. L’azione del pretore poteva anche giungere al punto di rendere la parte attrice partecipe, in misura sempre maggiore, della proprietà altrui.
L’operis novi nuntiatio, invece, si applicava nell’ipotesi in cui nel fondo del vicino fossero in corso lavori di costruzione o demolizione potenzialmente lesivi dei propri
beni. L’azione conduceva alla sospensione dei lavori, ovvero, se non si ottemperava,
alla demolizione di quanto già costruito.
Come si accennava in precedenza, nel quadro della nuova organizzazione dello
spazio rurale, la creazione di nuovi diritti reali quali le servitù rustiche garantivano
31. In merito alla sorveglianza del prefetto dei vigili sugli incendi ed i materiali infiammabili e sulla connessa
giurisdizione, si veda Dig. 1, 15, 3, 1-3. Per il divieto di commerciare in materiale ricavato dalle demolizioni
di immobili, Paolo in Dig. 18, 1, 52. Per quanto riguarda le disposizioni in materia di altezza di edifici, oltre
alle fonti giuridiche si ricordino Svetonio, Aug., 89 e lo Pseudo Aurelio Vittore, epit. 13, 13. Relativamente
alle norme comprese nella costituzione di Zenone, imperatore d’Oriente del 468, si veda Cod. Theod. 8,
10, 12, Cod. Theod. 15, 1, 4 ; Nov. 63 ; Nov. 165 ; Cod. 3, 34, 14, 1.
32. Lex XII Tab. 10, 1.
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che fondi altrimenti “disagiati” fossero messi in condizione di operare al meglio la
loro funzione socio-economica. Così, il proprietario di un fondo, detto “dominante”,
poteva pretendere da un vicino proprietario che costui tollerasse che si facesse una
data azione nel suo fondo, detto “servente”, ovvero che si astenesse dal compiere una
certa azione. In caso di alienazione, il rapporto continuava ad esistere in capo ai diversi
proprietari.
Le servitù potevano anche riguardare gli edifici urbani : “servitutes […] aedificiis
inhaerent” 33. Nel secondo libro delle sue Institutiones il giurista Gaio riporta interessanti esempi di iura praediorum urbanorum : sunt veluti ius altius tollendi aedes suas et
officiendi luminibus vicini aedium aut non extollendi, ne luminibus vicini officiatur.
Item fluminum et stillicidiorum idem ius est ut vicinus flumen vel stillicidium in aream
vel in aedes suas recipiat ; item cloacae immittendae et luminum immittendorum 34. Lo
stesso Gaio continua dicendo che le servitù urbane possono essere trasmesse anche
senza l’uso degli arcaici negozi 35, a differenza di quelle rustiche che, sorte in età più
risalente, potevano essere trasmesse ancora solo con gli antichi strumenti a ciò preposti, come la mancipatio : appare evidente come tale regime di trasmissione delle
servitù sia una spia dell’evoluzione del contesto urbano nel tempo. Non è un caso che
le prime sicure attestazioni delle servitù urbane appaiano tra il III ed il II sec. a.C. :
già le servitù rustiche avevano posto in essere le premesse per individuare nuovi interessi ed esigenze fra proprietari diversi. Parallelamente, nell’Urbe inizia una fase di
intensa attività edilizia, facilitata dall’introduzione dell’opera cementizia che, sempre
più perfezionata, permetteva il sorgere di colonnati, piani alti, archi e volte in tutte le
loro possibili applicazioni. Questo nuovo movimento edilizio cambiò il volto alla
città che oltre a dotarsi di numerose opere pubbliche, si rinnovò pure sotto il profilo
dell’edilizia privata.
Anche nelle Institutiones di Giustiniano si parla delle servitù urbane, specificando come esse siano quelle che riguardano i praedia urbana, cioè quelli situati in
città e che si identificano con gli edifici. L’imperatore classifica come urbanae anche
quelle servitù che insistevano in una villa, mostrando così, a parere della più accreditata dottrina, di considerare non solo lo spazio fisico della città o della campagna, ma
anche la funzione economico-sociale della servitù ai fini della sua assimilazione nella
categoria di quelle rustiche o di quelle urbane. La fonte, dopo aver posto la regola
generale ut vicinus onera vicini sustineat, elenca poi alcuni esempi : ut in parietem eius
liceat vicino tignum immittere ; ut stillicidium vel flumen recipiat quis in aedes suas vel
in aream, vel non recipiat et ne altius tollat quis aedes suas, ne luminibus vicini officiatur 36.
33.
34.
35.
36.
Inst. Iust. 2, 3, 1.
Gaio, inst. 2, 14.
Gaio, inst. 2, 29.
Inst. Iust. 2, 3, 1.
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Il tema delle servitù è affrontato anche nell’VIII libro del Digesto, ove vengono
riportati alcuni dei pareri dei maggiori giuristi intorno ai casi concreti del vivere quotidiano. Così, secondo Ulpiano : “chi volesse togliere la luce ai vicini (costruendo
davanti alla loro casa) e fare ciò danneggiandoli, sappia che deve mantenere l’aspetto
e lo stato degli antichi edifici. Se fra te ed il tuo vicino non ci sarà accordo in merito
all’altezza cui innalzare i fabbricati che hai stabilito di fare, se è il caso, potrai ricorrere
al magistrato” 37.
Sempre Ulpiano, in un passo del Digesto richiamandosi alla legislazione più arcaica
pone l’attenzione sulla tutela dell’edificio in relazione all’ombra causata dagli alberi
del vicino sul confine. Proculo, invece, in un frammento tratto da suo secondo libro
delle epistulae riporta ad esempio il caso del potenziale danneggiamento di una parete
affrescata a causa del surriscaldamento provocato dai tubi di un adiacente edificio
termale. Il parere del giurista è nel senso di negare la nocività in sé del posizionamento
dei tubi rispetto all’affresco, qualora l’attività dello stabilimento termale rientri nei
normali parametri. La soluzione adottata in questo caso è analoga a quella propria
delle immissioni di fumo, vapori, acqua o altri agenti potenzialmente nocivi prodotti
da un fondo vicino, che infatti erano tollerate solo se dipendenti da un uso normale
dell’immobile che le produceva.
Paolo, in un frammento tratto dal suo quindicesimo libro ad Sabinum fa un’ampia
rassegna di servitù, riferite agli edifici urbani, tra queste è il caso del tignum immissum, ossia il divieto della separazione della trave-materiale da costruzione congiunta
all’edificio altrui, e lo stillicidium, la caduta continua di acqua dai balconi e dai tetti,
con una vasta casistica di servitù elencate dal giurista.
Di grande interesse per la nostra materia è anche il diritto reale di superficie,
superficies, definito già dai Romani come il diritto di proprietà su di una costruzione
svincolato dal diritto di proprietà del suolo su cui la stessa poggiava : si trattava in
sostanza di un diritto di proprietà che estendeva per piani orizzontali. Al titolare del
diritto di superficie veniva contestualmente riconosciuto un diritto di servitù sul terreno o costruzione sottostante la propria. L’esigenza di creare questo istituto si pose
dalla fine della repubblica, in risposta a esigenze pratiche sorte in relazione allo sviluppo urbanistico della città. Venne così superato l’antico principio superficies solo
cedit, secondo cui l’unica forma di proprietà era quella per piani verticali usque ad
sidera usque ad inferos. La stretta relazione tra la genesi del diritto di superficie e le
esigenze pratiche di una città in crescita è data anche dal suo diversificato sviluppo
secondo due filoni : l’uno privato e l’altro pubblico. In ambito pubblico, già dal II sec.
a.C., le costruzioni eseguite sulla base di quel diritto assumevano la denominazione
di aedes vectigales o superficiariae, i cui proprietari corrispondevano allo stato un
canone detto vectigal : ne sono un esempio le tabernae. Sul piano privato, invece, dalla
fine della repubblica si registrano casi di diritti di superficie configurati dalle parti
come locationes o venditiones, a seconda se venisse previsto un canone a scadenze,
detto solarium, o in un’unica soluzione. Non mancarono i casi di figure miste.
37. Dig. 8, 2, 11.
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Di particolare interesse appare anche la disciplina della locatio vera e propria degli
edifici. Il locatore di un immobile era detto inquilinus, egli riceveva la cosa esente da
vizi dichiarati, assumeva l’obbligo di mantenerla nelle condizioni in cui gli era stata
consegnata e pagava per essa un canone. Il termine locatio non identificava però soltanto il nostro moderno “affitto” di un appartamento, ma poteva avere più significati.
Così nella locatio operarum il locatore riceveva dal conduttore l’incarico di effettuare
una data prestazione : ad esempio edificare una casa per conto di quest’ultimo, realizzando così una sorta di moderno contratto di appalto 38.
Di particolare interesse è anche il diritto reale di habitatio, che deriva direttamente
dall’antico usufrutto, cioè da quel diritto reale che, a partire dal III sec. a.C., permetteva al titolare di usare le cose altrui e di percepirne i frutti ma senza modificare la
destinazione economico-sociale del bene stesso. Nel I sec. a.C. da esso i giuristi derivarono il nuovo diritto di usus, che si distingueva dall’usufrutto perché al titolare non
era concesso di fruire dei frutti della cosa. Così, ad esempio, l’usuarius di un immobile avrebbe potuto risiedervi con tutta la familia, ospiti e clientes, ma non gli era consentito locare l’immobile : se l’avesse fatto avrebbe percepito il relativo canone, che in
questo caso sarebbe stato il fructus dell’immobile stesso. Giustiniano, nel VI sec. d.C.
configurerà l’usus di un’abitazione come diritto reale autonomo, creando l’habitatio.
Il nuovo diritto reale, tuttavia, non si distingue in nulla da un usufrutto, dal momento
che l’habitator può anche locare l’immobile e dunque goderne i frutti come un usufruttuario.
Lo sviluppo della città, com’è noto, aveva provocato la creazione di un contesto
urbano piuttosto complicato e caotico e non doveva essere raro che molti pericoli all’
incolumità dei cittadini venissero proprio dagli edifici. Infatti nel quinto titolo del IV
libro delle Institutiones di Giustiniano, si trattano le obbligazioni da “quasi-delitto” 39.
Senza entrare troppo a fondo in questa materia, ci limiteremo a dire che con tale
argomento tralasciamo i diritti reali per occuparci di un altro tipo di diritto, quello di
obbligazione. L’obbligazione può essere definita come un dovere giuridico imposto
su di una persona a vantaggio di un’altra. Quest’obbligo può, a seconda dei casi configurarsi come un’azione o un’omissione. Naturalmente un rapporto di obbligazione
deve avere le sue fonti : fatti concreti, cioè, che costituiscano l’origine di quel rapporto.
In età giustinianea, i Romani avevano identificato cause lecite, i contratti ed i “quasicontratti”, e cause illecite, i delitti ed i “quasi-delitti”.
38. In Diritto romano la locazione, locatio conductio, identificava non soltanto la locazione di immobili, ma
anche diverse altre ipotesi, tutte unificate però dai reciproci obblighi che il contratto creava : una parte, il
locator, doveva mettere a disposizione dell’altra, il conductor, una cosa mobile o immobile per un dato
periodo di tempo e con uno scopo preciso. Il conductor si obbligava anche a prendere in consegna la cosa
e restituirla alla data pattuita. La locazione di immobili, che qui più interessa, era la locatio rei, mentre la
locatio operis e la locatio operarum prevedevano lo svolgimento di lavori da parte del conductor a beneficio
del locator, con la differenza che nel primo caso le res su cui svolgere il lavoro erano messe a disposizione
dallo stesso locator.
39. Sulla distinzione tra crimina e delicta in Diritto romano v. nota 20.
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Proprio ai “quasi-delitti” appartengono due categorie di azioni processuali strettamente connesse con lo sviluppo urbanistico della città : l’actio de effuso vel deiecto e
l’actio de posito aut suspenso. La prima puniva il titolare dell’appartamento, fosse egli
il proprietario o il conduttore, posto ai piani alti di una casa, cenaculo, da cui fossero
stati gettati oggetti che avessero prodotto danni a cose o a persone, anche se ciò fosse
stato fatto da uno schiavo o da un filius familiae, che non avevano una responsabilità
giuridica civile loro propria. La pena pecuniaria era diversa in relazione al danno
prodotto. Per i danni a cose era fissata al doppio del loro valore, per l’uccisione di un
uomo libero Giustiniano la stabilì in 50 aurei, mentre per altre lesioni doveva essere
calcolata in base all’aequum. A tale proposito, l’imperatore dice che “il giudice deve
anche tenere conto delle spese mediche e delle altre spese sostenute per la cura, inoltre (deve tenere conto) del lavoro di cui (il ferito) rimase o rimarrà privo, dal momento
che divenne inabile” 40. Questa azione poteva essere intentata dal danneggiato, ma se
il delitto avesse avuto come conseguenza la morte, avrebbe potuto essere intentata da
chiunque.
L’actio de posito aut suspenso, invece, puniva il fatto d’aver poggiato su balconi o
altri elementi architettonici sporgenti oggetti che avrebbero potuto cadere sulla pubblica via e provocare danno. Come per il caso precedente, l’azione era rivolta contro
il titolare dell’appartamento e poteva essere intentata da chiunque. La poena pecuniaria era fissa e consisteva in 10 aurei 41.
Giustiniano enumera infine tra i “quasi-delitti” anche i furti nei negozi e nel corso
del tempo gli editti del pretore individuarono altre azioni processuali attraverso cui
ottenere la poena per altri e diversi comportamenti illeciti. Tra quelli maggiormente
ricollegabili agli spazi urbani o a quelli ad essi immediatamente adiacenti, appare
opportuno ricordare l’actio sepulchri violati, che sanzionava appunto la violazione
del sepolcro.
Termina qui questa rapida rassegna alla luce delle fonti del Diritto romano. Non
si pretende di essere stati esaustivi, né di aver preso in rassegna tutte le fonti utili al
nostro discorso attraverso le varie epoche della storia di Roma. Si è voluto però dimostrare che è possibile una chiave di lettura in più rispetto a quelle normalmente usate.
Certamente non è un approccio né semplice né immediato e dovrà essere sicuramente
affrontato per singoli temi, settori o classi di edifici, ampliato e integrato in molte sue
parti.
Anna Maria Liberati
Université de Rome « La Sapienza »
Directrice du Musée de la civilisation romaine
40. Inst. Iust. 4, 5, 1. Cfr. Dig. 9, 3, 5, 6.
41. Circa le condizioni di vita e il caos imperante nell’antica Roma, che sono evidentemente sottesi a queste
norme, v. ad es. Giovenale, sat. 3, e Marziale, 7, 61 ; 9, 68 e 12, 57.
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