Tursi, dove ogni pietra ha da raccontare una Storia
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Tursi, dove ogni pietra ha da raccontare una Storia
Tursi, dove ogni pietra ha da raccontare una Storia Tursi è una città davvero incantevole. Colpisce il suo straordinario centro storico che certamente vede nella rabatana il suo punto più caratteristico, ma l’antico castello ed i palazzi rinascimentali ne fanno un centro dal grande fascino. La storia moderna dell’uomo sembra aver segnato ogni pietra di Tursi. La cultura araba, il Medioevo, la straordinaria presenza monumentale della cultura cristiana lasciano senza fiato quanti avvertono la grandezza dei tempi. Il territorio, caratterizzato dalla presenza dei Calanchi, è un’ulteriore segno di una terra che non lascia indifferenti. http://www.youtube.com/watch?v=Rw8JxqHQxgg Il documentario dedicato a Tursi dal regista tursitano Giuseppe Di Tommaso http://www.youtube.com/watch?v=KA2cvtfiUTU L’intervista ad Albino Pierro di Mario Trufelli http://www.youtube.com/watch?v=yweK1yhTApM L’intervista a Mario Trufelli http://www.youtube.com/watch?v=kmB0e0kWq7Q La poetica di Paolo Popia Numeri utili Comune- Centralino 0835-532360 Sito internet www.comune.tursi.mt.it Comando Polizia Municipale 0835-533314 Ufficio Tributi 0835-531215 Carabinieri 0835-532505 Comando Forestale 0835-533138 Guardia Medica 0835-534201 Poste 0835-533001 Casa Museo Biblioteca Albino Pierro 0835-500000 / 333-6401629 Biblioteca Comunale 0835-5312 Impianti sportivi: Stadio Comunale “Mimmo Garofalo” Loc.Acqualsalsa tel.328/8938027 Campo Sportivo “A. Cuccarese” Via Santi Quaranta tel. 328/8938027 Campo di calcetto “Tonino Parziale” Via Roma – c/o Recinto Istituto Comprensivo “A.Pierro” tel.328/8938027 Campo di Basket comunale Via Trieste Tel. 389/09955 17 Scuole dell’Infanzia: “Il Girasole”, Via Santi Quaranta, tel. 0835-531.224 “I:Arcobaleno”, Viale Sant’Anna, tel. 0835-53 1.225 “CarmelaAyr”,Via Luciano Manara, tel.0835-531.212 . Scuola dell’Infanzia Paritaria Vescovi le. Via Grecia, 18, tel. 0835.533.1 06 Istituto Comprensivo Statale “A. Pierro” Comprende Scuola dell’Infanzia (Materna). Scuola Primaria “Albino Pierro” (Elementari), Scuola Secondaria di I° grado “Sant’AndreaAvellino” (Medie). Plessi Scolastici: Scuole primarie: Via Roma, 195 Segreteria. tel. 0835-531.228; 0835-533.006 Dirigente Scolastico, te/. 0835-532.707 Scuole secondarie di II° grado: Via Roma, 202 – Tel. 0835-533.239 Istituto Tecnico Statale Commerciale e per Geometri e Tecnici del Turismo “Manlio Capitolo” Sede: Via Santi Quaranta Tel. 0835-532.636 – Tel. 0835-533.337 Presidenza: tel. 0835533.378 Sito web: http://www.itcgtursi.it Succursale: Corso Vittorio Emanuele. 9 Tel.0835-533.935 Formazione professionale: AGEFORMA (Agenzia Provinciale Professionale) per l’Orientamento e Formazione Corso Vittorio Emanuele II Tel. 0835-533.029; 0835-533.091 Tel. 0835-532.63 I; 0835-532.618 Associazioni sportive e culturali: Centro Sociale Polivalente Anziani di Santi Quaranta – tel. 347/7119396 Società Operaia Mutuo Soccorso tel.329/3046005 Circolo ACLI di Tursi – tel. 333/4040411 Laboratorio Tribal Arte – tel. 340/234435 Associazione “Il Ventilatore” – tel. 335/7220435 Protezione Civile La Torre – tel. 339/4750409 Pro – Loco Tursi – tel. 333/6401629 Centro Studi “Albino Pierro” – tel. 333/6401629 Associazione AIDO – 339/4209373 Sezione AVIS TURSI – tel. 320/311 5665 Associazione Anziani ANTEAS – tel. 329/6114482 Croce Rossa Italiana – tel.320/9797 I 96 Protezione Civile “Gruppo Lucano” tel. 348/5280139 U.S.ACLI- tel. 3200399819 UNITALSI – tel. 333/9246097 Associazione Culturale e Sportiva (ACST) tel. 389/09955 17 Polisportiva Aurora “Nicola Russo” T ursi tel.328/8938027 Atletica Amatori T ursi – tel. 348/2226865 19. Club Taekwondo – 348/5119525 Associazione Free Spirit – tel. 377/1196410 Associazione Coro Polifonico “Regina Anglonensis” – tel. 335/1695713 Ass. Coldiretti – tel. 339/2490654 Associazione “Non solo 58″ mail: [email protected] Pro loco: Presidente Francesco Ottomano Via Santi Quaranta – 75028 Tursi (Mt) Tel. 0835/500000 – 333/6401629 Email: [email protected] Associazione Terre Lucane – tel. 320-9797196 La storia di Tursi Scavi archeologici eseguiti in Basilicata, nei pressi di Anglona e nei pressi di Policoro, hanno riportato alla luce innumerevoli opere attualmente custodite nel Museo archeologico nazionale della Siritide, accertando l’esistenza di insediamenti risalenti al3000 a.C. Gli abitanti di queste zone erano denominati Enotri, in particolare però gli abitanti della zona compresa tra i fiumi Sinni ed Agri, venivano chiamati Coni. A partire dall’VIII secolo a.C., sulla costa ionica, per mano dei Greci provenienti dalla Ionia, furono fondate le città di Siris, Heraclea, Metaponto e Pandosia. Siris si ritiene fondata all’inizio del VII secolo a.C. dai popoli dell’Epiro, distrutta da Sibari e Crotone nel VI secolo a.C., dalle sue rovine sorse Heraclea tra il443 a.C. e il430 a.C. Nel IX secolo la città viene menzionata col nome di Polychorium e nel1126 inun atto di donazione al monastero di Carbone, compare l’attuale nome Policoro. Continua… Pandosia, che confinava con Heraclea, è considerata la più antica città pagana della Siritide. Fondata degli Enotri prima del1000 a.C., fu molto ricca e importante grazie alla fertilità del terreno e alla posizione strategica. I due grossi fiumi lucani, l’Agri e il Sinni, a quel tempo navigabili e l’antica via Herculea che da Heraclea risaliva per più di60 kmla valle dell’Agri fino alla città romana di Grumentum, agevolavano le comunicazioni e quindi una rapida espansione della città. Nel326 a.C., in una battaglia contro il popolo dei lucani, venne ucciso Alessandro il Molosso, re dell’Epiro e zio di Alessandro Magno. Nel281 a.C. fu campo di battaglia tra i Romani e Pirro re dell’Epiro, che corso in aiuto dei tarentini si accampò tra Heraclea e Pandosia. Quest’ultimo, durante la battaglia, usò un gran numero di elefanti, vincendo la battaglia di Heraclea, ma con un numero di perdite altissimo. Nel214 a.C. fu teatro di un’ennesima battaglia nel corso della seconda guerra punica tra i Romani e Annibale, re dei Cartaginesi, per conquistare il dominio sul mediterraneo. Pandosia venne distrutta tra l’81 a.C. e il72 a.C. ad opera di Lucio Cornelio Silla generale romano. Dalle rovine di Pandosia sorse, poco prima dell’era cristiana, Anglona cittadina assai fiorente. Nel 410 i Visigoti di Alarico I saccheggiarono e semidistrussero Anglona. Per controllare il territorio circostante costruirono un castello su una collina a metà strada tra i fiumi Agri e Sinni. Gli abitanti sopravvissuti della città di Anglona si rifugiarono attorno al castello dando origine alla Rabatana, primo borgo popolato di Tursi. Nel IX secolo, attorno al 826, ci fu un’incursione dei Saraceni, provenienti dall’Africa. Nel 850 gli stessi riuscirono a conquistare gran parte della pianura metapontina, compresola Rabatana. Abitaronoil nascente borgo, lo ingrandirono e furono proprio loro a dargli il nome, a ricordo del loro borgo arabo Rabhàdi. L’impronta saracena è molto presente nelle Rabatana. costruzioni, negli usi e costumi della Rudere disabitato del centro storico. Nel 890 i Bizantini riconquistarono i territori che una volta appartenevano all’Impero Romano d’Occidente, scacciando definitivamente l’impronta Araba dalle terre lucane. Sotto i Bizantini ci fu uno sviluppo notevole, sia demografico che edilizio e il borgo cominciò ad estendersi verso la valle sottostante, l’intero centro venne chiamato Tursikon, dal suo fondatore Turcico. Verso la fine del X secolo l’imperatore Basilio I costituisce prima il thema di Langobardia e il thema di Calabriae successivamente, nel 968 venne creato anche il thema di Lucania che aveva come capoluogo Tursikon negli stessi anni divenne anche sede della diocesi con cattedra vescovile presso la chiesa di san Michele Arcangelo dove nel 1060 si svolse il sinodo dei vescovi. Dopo l’anno Mille una grossa migrazione dei Normanni, nelle vesti di pellegrini diretti verso luoghi sacri della cristianità, o nelle vesti di mercenari pronti a combattere per un pezzo di terra, giunse ben presto nel sud Italia. Fu facile inserirsi nelle lotte interne tra Longobardi e Bizantini, ottenendo ben presto terre e benefici. I Normanni contribuirono notevolmente alla crescita della città, proprio come fecero successivamente prima gli Svevi e poi gli Angioini. Dopo la definitiva distruzione di Anglona, venne risparmiato solo il santuario, nel 1400 i restanti cittadini si rifugiarono nella fiorente Tursi. Nel XVI secolo Tursi contava ormai oltre 10.000 abitanti e 40 dottori in legge e nel 1543 vennero unite la diocesi di Anglona e quella di Tursi costituendo la diocesi di Anglona-Tursi, che dal 1546 ebbe cattedra a Tursi. Nel 1552 Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero assegnò allo statista Andrea Doria il ducato di Tursi. Alla suo morte, nel 1560 il ducato passo al nipote, il principe di Melfi Gianandrea Doria. Successivamente, nel 1594, Carlo Doria divenne duca di Tursi e per gratitudine verso i cittadini rinominò la sua abitazione da Palazzo Doria a Palazzo Tursi, attualmente sede del comune di Genova. In quegli anni Carlo Doria fece costruire, a sue spese, nel rione Rabatana una enorme scalinata in pietra, tuttora utilizzata, che ha la particolarità di possedere lo stesso numero di gradini della scalinata presente nel Palazzo Tursi. Nel 1656 la peste invase le strade di Tursi e quelle dei paesi limitrofi, la popolazione si ridusse drasticamente anche a causa dell’emigrazione. Nel 1769 i Doria persero i terreni che furono acquistati dalle nobili famiglie dei Donnaperna, Picolla, Panevino, Camerino e Brancalasso. Albino Pierro (1916 – 1995) Quella di Tursi, il mio paese in provincia di Matera, era una delle tante parlate destinate a scomparire. Ho dovuto cercare il modo di fissare sulla carta i suoni della mia gente. Mia madre, morì poco dopo la mia nascita. La mia nutrice non aveva quasi latte. E mi davano alle donne del paese, madri fresche, per una poppata. Ancora oggi, quando torno a Tursi, incontro vecchiette che mi ricordano il debito: “Don Albine, io ti ho dato il latte”. I Pierro erano famiglia di signori, a Tursi. Abitavano nel palazzo (“u pahazze”). Finché era nei confini casalinghi, il giovane Albino era obbligato a parlare italiano: quello raffinato e coltivato d’una famiglia di giuristi e professori. Fuori delle mura, c’era il dialetto. “E io ne ero incantato” dice il poeta. “Mi piaceva ascoltarlo dai contadini: nei loro racconti, la descrizione d’un temporale, un evento naturale diventava un fatto terribile e misterioso, una fiaba”. Così, al figlio dei signori, il popolo dette il latte e la poesia, il senso del magico. Era il cielo, non la fisica né la logica, a Tursi e nell’infanzia di Albino Pierro, a regolare il corso delle cose. “Venni dato per morto”, narra il poeta. “Mi avevano già vestito e messo nella bara. La nutrice disse d’aver udito, a un tratto, il grido di mia madre morta. Io ne fui riscosso e tornai a vivere. Me lo riferiscono le mie zie. Ero troppo piccolo per ricordare”. Suo padre si risposò, altre due volte: furono le zie Assunta e Giuditta ad allevarlo. “Avevo debole salute e gli occhi sempre arrossati. La mia nutrice tentò un rimedio popolare: impacchi d’ortica. Le cose peggiorarono. A quattro, cinque anni quasi cieco, fui costretto a restare sempre al buio. Imparai a suonare il mandolino. Cantavo bene. Più tardi, con i miei due fratelli, tenni concerti in paese. La gente veniva, – per la voce di Don Albine- “. Un oculista, a Roma, scongiurò il peggio: “il ragazzo potrà leggere tanto da diventare professore universitario, non cieco”. E per Albino si aprirono la biblioteca di casa e quella, ancor più fornita, dei Capitolo, vicini e parenti stretti. “Durante l’estate, dopo pranzo, alla controra”, rammenta, “si doveva dormire per forza. Io mi rannicchiavo vicino al balcone e, alla luce che passava dallo spiraglio, leggevo i russi. Anche Shakespeare, anche i francesi, ma i russi mi hanno formato. Calcolavo quante pagine ogni quarto d’ora. Oggi non tocco più un romanzo. Non si può, dopo i giganti, dopo Dostoevskij”. Il palazzo dei Pierro è nel quartiere della Rabatana, fondato dai saraceni. E’ il più vecchio del paese, che pare precariamente posato su una collina di creta e sempre sul punto di scivolare in basso, lungo i calanchi. Il giovane Pierro amava palazzo, Rabatana, paese e collina. Soffrì quando dovette trasferirsi, per continuare gli studi, prima a Taranto, poi a Salerno e a Sulmona. Scappò più volte dai collegi. “A me piaceva leggere, non studiare. Non ero un buon allievo”. Ma ebbe buoni insegnanti, che lo capirono e aiutarono. “A Salerno, Felice Villani, professore d’inglese, m’insegnò a capire la poesia. A Sulmona, Mario Zangara mi spronò a coltivarla. Ha poi scritto due libri su di me”. Ma dopo il primo anno di liceo, Albino Pierro segue a Udine suo cugino Guido Capitolo e smette di andare a scuola. “Finalmente potevo non far altro che leggere: Benedetto Croce, i filosofi, letteratura straniera. I libri mi arrivavano a pacchi”. In estate si trasferì in Carnia, presso Tarvisio e conobbe Waldi, il montanaro. “Aveva fatto il giro del mondo, conosceva dieci lingue, ma vestiva di stracci e viveva di piccole commissioni, scriveva elogi funebri a pagamento. Mi insegnò il tedesco, a capire il respiro della natura. Mi innamorai violentemente d’una ragazza che, in seguito, si fece suora. Passavo giornate nella soffitta di Waldi a leggere le Confessioni di Sant’Agostino o la Bibbia in tedesco. Quando andai via, Waldi volle portarmi la valigia alla stazione. Aprì per me un passaggio nella neve, fino al treno. Lo vidi sparire tra fiocchi di neve”. A Novara, presso lontani parenti, ancora niente scuola, ma un nuovo interesse (lo studio del pianoforte) e un nuovo amore: una ragazza toscana che voleva far la cantante. “Per lei, per poterla sposare, ero disposto anche a trovarmi un lavoro a Roma o a Lanuvio, dove, nel frattempo, mi ero trasferito, ospite di mio fratello”. Fortuna volle che la pulzella amasse il canto più che Albino. Il quale ripiegò sullo studio, sino alla laurea. Ormai viveva a Roma, “sempre in cerca d’un posto fisso per mettere su famiglia”. Attraversò la guerra, “senza capire niente, né allora né oggi, di storia e di politica. Anche se recensii opere filosofiche per la Rassegna nazionale, scrissi fiabe per il giornalino Balilla e una poesia per la morte del figlio di Mussolini, Bruno: il dolore aveva colpito il potente. In via Rasella ero appena passato, quando udii un boato: scampai alla strage e al rastrellamento dei tedeschi, sia allora sia in un’altra occasione, in via Nazionale”. Pierro ricorda un’altra fuga: lui, la moglie e la figlia, in bicicletta, in una Roma invasa da gente impaurita. Ma il resto della guerra non gli pesò: frequentava centri culturali, conobbe scienziati e letterati. E scriveva tanto. Ma in italiano. “Non avevo mai pensato di usare il dialetto. Mi accadde, senza averlo davvero deciso, il 23 settembre del 1959. Ogni anno tornavo a Tursi e quella volta fui costretto a rientrare anticipatamente a Roma. E ne patii. Naque così, di getto, la prima poesia in tursitano: Prima di parte, prima di partire.Sei mesi dopo, era pronta la prima raccolta in dialetto: A terra d’u ricorde”. Trent’ anni dopo, oggi, Pierro resta senza spiegazioni su quell’evento. Dice: “i critici cercano di capire com’è nata questa mia nuova lingua. Io non lo so. C’era in me il disiderio di fare poesia e quello che mi urgeva dentro nacque in dialetto. Ma la mia volontà, in questo, non ebbe nessuna parte. Perché un giapponese scrive versi in giapponese ?”. Sulla lingua scritta per la prima volta da Pierro, il dipartimento di lingue di letterature romane e della Scuola Nazionale ha pubblicato un’opera constata sei, sette anni di lavoro: Le Concordanze. Qualcosa come un dizionario costruito con l’elenco e il raffronto di tutte le parole pubblicate nei libri di Pierro. Solo il Porta e il Belli hanno avuto un simile omaggio. A Stoccolma organizzarono una serata in suo onore, in occasione dell’uscita del suo primo libro tradotto in svedese, nell’ 82. Tre anni dopo, l’università della capitale scandinava lo invitò a recitare le sue poesie, per due ore, in tursitano. Una lezione, che registrata, ancora oggi è a disposizione degli studuiosi. “Mi hanno detto che uno di loro ama recitare una mia poesia, ma non in svedese, in tursitano”, confida Pierro e poi se ne pente. “Non metta troppe cose, non scriva troppo di me”, chide il poeta. “Non mi faccia apparire vanitoso e diverso da quello che sono, un uomo che vive da solitario, ma non solo: ho i miei libri”. La sua piccola casa ne è piena. Don Albino continua la sua convivenza con la malferma salute, al primo piano d’una palazzina di piazza Ottavilla. Il suo unico cruccio: “Sono quasi due anni che non riesco a Tursi. Il palazzo era rimasto danneggiato dal terremoto ed è stato restaurato, non so ancora come. Al paese non mi rimane alcun parente, ne sono morti tanti”. Ma proprio le poesie di Don Albino ricordano che in quei paesi del Sud i morti non sono mai completamente morti, finché accettano di continuare ad esistere in forme più modeste (un insetto, il vento, un qualcosa attorno ai vivi) e nel ricordo. E Tursi stessa, che avrebbe rischiato la scomparsa senza che nessuno ne sapesse niente “a Pietroburgo”, ora ha qualcosa per esistere, essere segnalata. Prendete la carta turistica della De Agostini. Poche località citate. Tursi c’è, per questa ragione: “patria del più grande poeta dialettale contemporaneo: Albino Pierro”. Pino Aprile