Briciole

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Briciole
“ Briciole ”
Pubblicazione Periodica del
Centro Servizi Volontariato Toscana
Briciole
Bimestrale
n. 3, maggio 2005
reg. Tribunale di Firenze
n. 5355 del 21/07/2004
Direttore Responsabile
Cristiana Guccinelli
Redazione
Francesca Giovagnoli
Briciole è il nome che abbiamo dato alla Collana dedicata agli Atti dei Corsi di
Formazione. Queste pubblicazioni nascono da percorsi formativi svolti per conto del
Cesvot dalle associazioni di volontariato della nostra regione, i cui atti sono stati da
loro stesse redatti e curati.
Un modo per lasciare memoria delle migliori esperienze e per contribuire alla divulgazione delle tematiche di maggiore interesse e attualità.
Operatore per
la didattica museale
A cura di Domenico Muscò
Atti delle Attività di Formazione
Autori testi
Laura Bozzi, Luisa Dallai, Silvia Franco, Domenico Muscò, Annamaria Romana Pellegrini,
Piergiacomo Petrioli, Francesca Profili, Leonardo Scelfo, Francesca Vannozzi.
Siena, 6, 13, 20, 27 novembre – 4, 11 dicembre 2004
in collaborazione con
Operatore per la didattica museale
A cura di Domenico Muscò
Atti delle Attività di Formazione
Siena, 6, 13, 20, 27 – 4, 11 novembre 2004
Associazione Culturale “La collina” - Siena
Ringraziamenti
Un grazie alla Delegazione del Cesvot di Siena per la collaborazione fornita nell’organizzazione
dell’attività formativa, nonché alla Coop. Opus per aver sostenuto il progetto col suo partenariato ed un particolare grazie all’Amministrazione Provinciale di Siena per aver riconosciuto il
suo patrocinio alla nostra iniziativa educativa; inoltre, un sentito grazie a tutti i docenti che
hanno realizzato il percorso formativo, i quali ancora una volta hanno accolto il nostro invito e
quindi sostenuto il progetto della pubblicazione in volume delle loro relazioni prodotte per
implementare l’attività didattica.
Immagine in copertina: foto di Maddalena Delli.
Edizione fuori commercio tirata in 1000 Copie
Impianto editoriale a cura di Domenico Muscò
Finito di stampare in Firenze nel mese di Luglio 2005
SOMMARIO
La didattica nel contesto museale
Domenico Muscò
7
I. L’universo dei musei
Piergiacomo Petrioli
13
II. Il contributo della museologia e museografia alla didattica museale
Piergiacomo Petrioli
15
III. Il racconto iconografico
Annamaria R. Pellegrini
19
VI. La didattica dell’archeologia
Luisa Dallai
25
V. La didattica dell’urbanistica: Pienza città ideale
Piergiacomo Petrioli
29
PRIMA PARTE
Per un approccio storico-critico alla didattica museale
VI. Stili architettonici e topografia dei luoghi sacri a Siena
Annamaria R. Pellegrini
33
VII. Spazi ed arredi sacri
Annamaria R. Pellegrini
37
VIII. Il museo scientifico e la didattica
Francesca Vannozzi
43
IX. La didattica museale nella e per la scuola
Annamaria R. Pellegrini
49
X. Per una didattica dell’arte contemporanea
Leonardo Scelfo
53
I. Il Parco archeologico di Poggio Imperiale
Luisa Dallai
61
II. Il Parco-Museo minerario di Abbadia San Salvatore
Luisa Dallai
65
III. Archeologia urbana: il Museo della Contrada della Civetta
Luisa Dallai
69
IV. L’attività didattica del Museo della Mezzadria senese
Leonardo Scelfo
73
V. Il mondo in una scatola: percorsi fotografici nella realtà contadina
Leonardo Scelfo
85
VI. Scene del teatro popolare tradizionale toscano
Francesca Profili
91
VII. La didattica nel Museo di Storia Naturale dell’Accademia dei Fisiocritici
Francesca Vannozzi
97
VIII. Il laboratorio didattico per l’arte contemporanea
Leonardo Scelfo
99
IX. L’esperienza didattica del Museo d’arte per bambini
Silvia Franco
103
Laura Bozzi
109
Domenico Muscò
117
SECONDA PARTE
Metodologie ed esperienze nella didattica museale
Appendice
Materiali di secondo livello sull’Attività Formativa
1. Relazione di Monitoraggio e Valutazione sull’attività formativa
2. Partecipanti al percorso formativo
3. Momenti del lavoro formativo
4. Note biobibliografiche degli autori
5. Indice dei nomi di persona
119
133
141
5
LA DIDATTICA NEL CONTESTO MUSEALE
di Domenico Muscò
1. Il progetto di formazione Operatore per la didattica museale è nato dall’esigenza
di rispondere a quanti nel volontariato desiderano promuovere iniziative dirette alla valorizzazione della cultura museale. Infatti, dal volontariato provengono molte richieste di attività
educative, nonché esprime l’esigenza di fare esperienza laboratoriale nei musei pubblici, cioè si
riscontra un bisogno di operatori per la didattica nelle molteplici realtà del non profit: dagli
spazi espositivi dei centri culturali alle gallerie delle associazioni di volontariato, dai musei di
contrada alle sacrestie delle parrocchie ricche di arredi sacri, etc., dove è sempre più necessaria
la figura dell’ “educatore” per gestire le attività rivolte alla fruizione artistica ed alla socializzazione culturale; dunque, il mondo del volontariato presenta un suo specifico bisogno di
operatori didattici, con competenze artistiche e metodologiche che possano consentire la
gestione, al loro interno, degli interventi educativi nel settore museale.
In particolare, il progetto è nato dal bisogno di fornire un momento di formazione per
l’acquisizione di metodi e strumenti sia per operare nel settore della didattica museale, sia per
promuovere una specifica conoscenza dei beni storico-artistici del nostro territorio e quindi di
una capacità di intervento con azioni di valorizzazione dei beni culturali. Cioè, promuovere un
approccio più consapevole alla didattica alla luce delle esperienze recenti, che sono maturate
proprio nell’ambito museale senese con percorsi didattici significativi, che hanno dimostrato la
loro efficacia in molte occasioni sia con bambini che adulti.
Perciò l’azione formativa è stata rivolta agli operatori delle organizzazioni di volontariato sensibili ai beni culturali, che desideravano acquisire le necessarie capacità per saper
condurre azioni formative tese a promuovere e valorizzare il patrimonio artistico senese; infatti, è ormai ampio l’interesse degli operatori delle associazioni di volontariato per l’arte.
L’organizzazione di tale corso, dunque, ha voluto creare un momento di formazione per i volontari che volevano acquisire e rafforzare le proprie competenze sulla didattica museale, che negli
ultimi anni ha assunto un ruolo forte nel processo della fruizione del bene artistico, nella comunicazione per la didattica museale.
2. L’intervento formativo ha cercato di rispondere all’esigenza di far acquisire agli
operatori del non profit una conoscenza organica della didattica nel contesto museale: sia
riguardo alle competenze storico-artistiche che metodologiche, cioè promuovere lo sviluppo
della cultura museale attraverso la conoscenza della museologia e critica d’arte, nonché la comprensione del ruolo dell’iconografia per la trasmissione culturale.
Il corso ha avuto l’obiettivo di avvicinare gli allievi al corretto uso del metodo didattico in ambito museale: gli strumenti e le tecniche che consentono di mettere in atto azioni di educazione museale per lo sviluppo di un costruttivo rapporto con l’opera d’arte. L’azione formativa ha inteso, anche, stimolare nei partecipanti la capacità di saper riconoscere e valutare la
specificità del contesto museale per adeguare l’azione didattica alle esigenze e caratteristiche
del gruppo a cui ci si rivolge. Lo scopo è stato, dunque, di suggerire modelli e regole operative
per realizzare una programmazione flessibile dell’intervento didattico attraverso sia la
conoscenza storica che le attività di laboratorio.
In particolare, l’obiettivo è stato quello di fornire le competenze teorico-pratiche
necessarie per una adeguata implementazione della figura dell’operatore didattico nel contesto
museale (archeologico, etnoantropologico, scientifico ed arte contemporanea); dunque, si è cer-
7
cato di promuovere la cultura della didattica museale nel mondo del volontariato allo scopo di
una migliore valorizzazione del comportamento relazionale col bene artistico.
L'intervento formativo ha, inoltre, promosso la formazione alla cittadinanza attiva,
cioè stimolare l’esercizio della cittadinanza culturale come parte significativa del percorso di
valorizzazione dei luoghi museali, sottolineando così che è possibile la formazione di una cittadinanza responsabile dei beni storico-artistici, ovvero contribuire a rafforzare il processo di
costruzione di una cultura artistica più consapevole del valore dell’arte quale fattore significativo di società solidale verso il patrimonio artistico.
3. Il corso ha cercato di svolgere un’azione di orientamento, cioè un quadro d’insieme
dei diversi specifici metodi e tecniche formative, coerenti con i bisogni degli operatori del
volontariato, in relazione alla specificità didattica nei vari ambiti: da quello archeologico a quello contemporaneo, per cui le lezioni hanno teso a far conoscere le principali metodologie didattiche nell’ambito dell’archeologia e dell’urbanistica, dei musei civici e delle pinacoteche,
nonché nell’ambito della tradizione, dell’arte contemporanea e della scienza.
In particolare, si è cercato di far acquisire le conoscenze relative alla fruizione dell’arte
sia mediante lo studio storico sia attraverso l’esperienza pratica, prendendo in considerazione
gli aspetti relativi all’attività di insegnamento, cioè di far raggiungere ai partecipanti un livello
di competenze adeguato sulle metodologie didattiche per condurre i gruppi nei vari luoghi dell’arte; permettere così ai volontari dei vari enti di ben conoscere e valorizzare il patrimonio
storico-artistico locale ed il suo territorio, cioè fare della memoria artistica un momento di
crescita civile e culturale.
Tale obiettivo è stato perseguito attraverso varie lezioni teoriche in aula e la presentazione di esperienze di didattica museale, nonché esercitazioni pratiche di gruppo contestualizzate, che hanno consentito agli allievi di riflettere dialetticamente sul ruolo dell’operatore della didattica e sulle sue funzioni; ovvero la didattica museale nasce e vive nella relazione
che si instaura, prima, tra operatore e museo, e poi tra questi e l’utenza del museo nel processo
di trasmissione culturale.
Le lezioni a carattere teorico hanno evidenziato le linee guida per consentire ai partecipanti di comprendere le principali modalità e tecniche di fruizione artistica da parte del pubblico, cioè capire le finalità e metodi da usare a seconda del contesto e dell’utenza; mentre la
parte pratica del corso ha cercato di presentare alcune esperienze concrete mettendo in luce le
metodologie di comunicazione museale usate e le tecniche didattiche, in modo da fornire alcuni strumenti di riferimento per operare in tali situazioni. Così, i partecipanti del percorso formativo hanno potuto far proprie le conoscenze per condurre i gruppi nelle varie realtà museali,
nonché apprendere le competenze per attivare progetti, nella propria associazione, rivolti alla
conoscenza dell’arte nel contesto museale, che consente agli operatori del volontariato di sentirsi parte di un processo culturale teso alla tutela e valorizzazione del patrimonio artistico.
4. Il volume raccoglie il materiale didattico elaborato dai docenti (che, per la sua pubblicazione, è stato revisionato), quale supporto per gli allievi nel corso delle rispettive lezioni,
all’interno dell’attività formativa sull’Operatore per la didattica museale, svoltasi a Siena in sei
giornate: 6, 13, 20, 27 novembre e 4, 11 dicembre 2004 (per complessive 40 ore), promosso dal
CESVOT (nell’ambito del suo piano formativo 2004) e gestito dall'Associazione culturale “la
collina” di Siena (in collaborazione con la Coop. OPUS di Siena) ed era rivolto a 20 operatori
delle organizzazioni di volontariato che desideravano avvicinarsi alla cultura museale.
Il progetto ha realizzato un percorso di educazione degli adulti del volontariato articolato in due tappe: la prima in aula, dove sono state svolte le lezioni, di approccio storico-criti8
co, relativamente a museologia, iconografia, arte sacra, archeologia, etc. per apprendere le
relative specifiche metodologie didattiche; la seconda invece è stata di tipo pratico proprio per
consentire di conoscere in concreto le esperienze didattiche in atto in alcuni musei di Siena e
provincia.
Tale percorso progettuale è iniziato con una lezione introduttiva di presentazione
generale dell’attività svolta da Domenico Muscò (“La didattica nel contesto museale”), seguita
dalla prima tappa con 10 lezioni d’aula (20 ore), cioè dieci unità tematiche specifiche realizzate da: Piergiacomo Petrioli (“L’universo dei musei: dalla Pinacoteca nazionale al Museo civico”, “Il contributo della museologica e museografia alla didattica museale”), Annamaria R.
Pellegrini (“Il racconto iconografico”, “Spazi ed arredi sacri: termini e funzioni”, “Stili architettonici e topografia dei luoghi sacri a Siena”, “La didattica museale nella e per la scuola: metodi, tecniche e strumenti”), Luisa Dallai (“La didattica dell’archeologia: metodi, tecniche e strumenti”), Leonardo Scelfo (“La didattica del museo demo-etno-antropologico per adulti e bambini: metodi, tecniche e strumenti”, “La didattica dell’arte contemporanea per adulti e bambini:
metodi, tecniche e strumenti”), Francesca Vannozzi (“La didattica del museo scientifico per
adulti e bambini: metodi, tecniche e strumenti”); mentre la seconda tappa del corso ha avuto
un’articolazione itinerante costituita da nove lezioni (18 ore) presso alcuni musei senesi, in particolare ci sono stati i seguenti interventi di: Piergiacomo Petrioli (“La didattica dell’urbanistica: Pienza città ideale”), Luisa Dallai (“La didattica dell’archeologia: Parco Museo minerario di
Abbadia San Salvatore”, “La didattica dell’archeologia: il Parco archeologico di Poggio
Imperiale di Poggibonsi”, “Archeologia della città nel museo di contrada - Siena”), Leonardo
Scelfo (“Il laboratorio didattico per l’arte contemporanea – Siena”, “La didattica demo-etnoantropologica: il Museo della Mezzadria di Buonconvento”), Francesca Vannozzi (“La didattica scientifica: il Museo di Storia naturale dei Fisiocritici – Siena”), Silvia Franco (“Il laboratorio didattico del Museo d’arte per bambini – Siena”), Francesca Profili (“La didattica della
tradizione: il Museo del teatro popolare tradizionale toscano di Monticchiello”).
Questo è stato l’insieme dei temi del corso, la cui articolazione nel programma non
aveva una natura tassonomica, avendo dovuto tener conto delle esigenze di organizzazione della
didattica: disponibilità dei docenti e tempistica d’apertura dei musei; pertanto, in questa sede,
l’architettura editoriale del volume ha recuperato e seguito un ordine “ideale” al fine di implementare una lettura degli interventi secondo una specifica logica di coesione interna agli argomenti trattati (che, in alcuni casi, ha richiesto una modifica-adeguamento del titolo delle
relazioni); a tal fine, il volume è stato organizzato in due sezioni: Prima parte “Per un approccio storico-critico alla didattica museale”, Seconda parte “Metodologie ed esperienze nella
didattica museale”, che vogliono riflettere i due filoni in cui si è sviluppata l’azione didattica
del progetto; ciò al fine di proporre uno strumento formativo dedicato proprio alla comprensione delle tecniche didattiche e della comunicazione culturale.
Il libro si conclude con l’Appendice, che propone una serie di materiali di “secondo
livello” relativi al percorso didattico, dove troviamo la relazione di Laura Bozzi su Monitoraggio e
valutazione del progetto formativo, in cui sono stati analizzati i dati emersi dai questionari somministrati ex-post agli allievi, da dove viene fuori che gli obiettivi progettuali di “implementare” la
didattica museale nel volontariato sono stati abbastanza bene realizzati, grazie ad un lavoro didattico responsabile improntato alla flessibilità metodologica ed attenta ai bisogni formativi del gruppo-allievi nello svolgimento dell’attività; inoltre, troviamo Partecipanti al percorso formativo dove
si analizzano i dati di iscrizione, frequenza e conseguimento dell’attestato finale, nonché seguono
alcuni “momenti del lavoro formativo” con una galleria fotografica riassuntiva dei principali luoghi
museali “incontrati” nel percorso didattico in esterno.
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5. Il progetto di formazione, come pure questo volume, sull’Operatore per la didattica
museale rappresenta uno dei pochi esempi di intervento formativo diretti al conseguimento di
un adeguato bagaglio di conoscenze sulla didattica museale: sia per promuovere l’arte attraverso l’organizzazione di momenti educativi tra gli operatori delle associazioni di volontariato, sia
per la valorizzazione e la salvaguardia del nostro patrimonio storico-artistico; cioè, il progetto
ha contribuito a fornire le coordinate teoriche e metodologiche per capire il processo didattico
e, quindi, saperlo attuare attraverso i possibili interventi formativi nel contesto museale.
Il libro — come il percorso formativo ha cercato di dare una risposta consona ai
bisogni degli operatori del volontariato impegnati sulla promozione e valorizzazione del patrimonio culturale attraverso la didattica museale — costituisce uno "strumento" di orientamento
e di formazione per coloro che desiderano “lavorare” nei luoghi museali. In tal senso, il testo
tende a fornire dei quadri conoscitivi sugli strumenti ed i metodi per programmare e realizzare
momenti di apprendimento dell’arte, dove il ruolo dell'operatore didattico è quello di gestire il
processo di comprensione dell’opera d’arte, anche al fine di innescare un percorso di sviluppo
della cultura di tutela del bene artistico; nonché, il libro si presenta come una "testimonianza"
del lavoro formativo realizzato quale risposta permanente alle esigenze delle associazioni di
volontariato di avere un luogo dove poter “acquisire le competenze” per gestire direttamente le
attività di didattica museale.
Auguro, dunque, che il lavoro presentato esemplifichi un “contributo” alla promozione
e tutela dell’arte e dei musei, nonché un esempio di prassi formativa che possa essere di stimolo per le nuove generazioni (come pure per gli adulti) a coltivare la propria sensibilità culturale
verso il bene artistico, poiché tutti noi abbiamo sempre bisogno di apprendere-comprendere i
processi di formazione e comunicazione dell’opera d’arte.
Infine, spero che questo quarto “quaderno” (da me curato) trovi “gradimento” nel
Cesvot, che ha accolto questa ulteriore proposta editoriale; ciò per noi è importante per quel
“valore aggiunto” che la pubblicazione degli atti del corso attribuisce al nostro lavoro formativo,
che altrimenti non potrebbe più essere fruito, in futuro, da altre persone.
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PROGETTO DI FORMAZIONE
PER OPERATORI DEL VOLONTARIATO
Operatore per la didattica museale
Prima Parte
PER UN APPROCCIO STORICO-CRITICO
ALLA DIDATTICA MUSEALE
I. L’UNIVERSO DEI MUSEI
Dal Museo civico alla Pinacoteca nazionale*
di Piergiacomo Petrioli
1. La nascita del collezionismo e delle raccolte d’arte può essere rintracciata già nell’antica Grecia con la celeberrima Pinacoteca ateniese e le opere d’arte ivi collocate, descritte
da Luciano di Samosata. Anche nella Roma classica erano comuni sia raccolte pubbliche, sia
collezioni d’arte private, come ne offre ironico esempio Petronio nel suo “Satirycon”.
Pur non avendo pubbliche raccolte il periodo medioevale, tuttavia tra le prime manifestazioni dell’idea di museo vi sono le esposizioni dei tesori e delle reliquie delle chiese.
Durante il medioevo, in occasione di solenni festività, le oreficerie contenenti sacre e famose
reliquie venivano collocate in posizioni ben visibili per essere mostrate ai fedeli pubblicamente.
Queste possono essere considerate le prime mostre periodiche, anche perché successivamente,
con l’invenzione della stampa, venivano incisi grandi fogli sui quali erano riprodotti e descritti
gli oggetti esposti: in pratica i primi cataloghi.
Successivamente, in periodo rinascimentale, si forma e si sviluppa il collezionismo privato e la raccolta di oggetti d’arte e mirabilia da parte di principi. Circa la “Wunderkammer”
rinascimentale, quale esempio, verrà considerata la tribuna degli Uffizi.
In epoca barocca, specialmente a Roma e nel centro Italia, quindi nasce la grande
quadreria nobiliare, di cui tutt’oggi uno dei vestigia più cospicui è rappresentato dalla Galleria
Doria Pamphili di Roma.
E’ alla fine del Settecento, con la Rivoluzione francese, che si forma l’idea del museo
quale pubblico luogo didattico di istruzione e non elitaria raccolta, il cui fine è dilettare il gusto
di una ristretta ed elitaria cerchia di aristocratici.
2. Nell’Ottocento nascono i Musei Civici con l’intento di illustrare la storia artistica
municipale; il Museo Civico, nella sua accezione italiana, è un’istituzione in genere di epoca
risorgimentale e post-unitaria, saldamente legata alla coscienza civica caratteristica dell’epoca,
e come tale raccoglie testimonianze archeologiche ed artistiche di ambito locale e donazioni
private che rispecchiano il gusto dei cittadini. Caratteristica peculiare del Museo Civico è, quindi, la natura eterogenea delle sue raccolte, dovuto alla presenza di un nucleo originario di testimonianze artistiche locali, cui si aggregano donazioni costituite da oggetti di varia natura; ai
Musei Civici vengono, infatti, destinati materiali estremamente diversificati. In parallelo alla
fioritura di studi sulla storia del territorio, condotti dagli eruditi locali, nel museo confluiscono
testimonianze archeologiche ed artistiche, derivate dalle modificazioni e dall’espansione dei
centri urbani, che danno vita, ad esempio, a ricche raccolte lapidarie.
Una delle principali motivazioni che spinge i privati a destinare le loro collezioni al
museo deriva dal fatto che questo viene considerato il luogo maggiormente rappresentativo
delle virtù civiche. L’interesse è, quindi, duplice: da un lato, si sente l’esigenza di raccogliere
materiale relativo alla produzione artistica contemporanea, aspetto strettamente legato alla
scuola e al mondo del lavoro (le scuole d’arte e di ornato), dall’altro è manifesta la volontà di
conservare le testimonianze dell’arte, della cultura e della storia nelle sue molteplici espressioni, di cui significativo esempio è costituito dal Museo Civico di Siena.
Dai musei civici, talvolta, si formano i Musei nazionali (come nel caso dell’abate Luigi
De Angelis e la Pinacoteca di Siena, sorta agli inizi del XIX secolo e divenuta Pinacoteca
nazionale nel 1933).
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Ancora più legati al territorio ed alle sue tradizioni religiose risultano i Musei
Diocesani d’Arte Sacra. Nati in seguito alle difficoltà, da parte degli enti ecclesiastici, di
garantire una presenza capillare di controllo sull’intero territorio in chiese e conventi, i
musei diocesani svolgono il compito di conservare un patrimonio altrimenti destinato all’incuria e al depauperamento a causa dei frequenti furti in pievi e chiese per la scarsa sorveglianza. Tra gli enti di più antica costituzione va menzionato il Museo di Bressanone, voluto
nel 1879 dall’associazione “Pro Museo Diocesano”; inaugurato nel 1901, il museo occupava l’ala
est del palazzo vescovile, ma soltanto nel 1974 venne concesso dal vescovo il permesso di usare
l’intero edificio.
Salvo alcune eccezioni, i musei diocesani sono nel loro complesso istituzioni che
hanno avuto un forte impulso agli inizi del Novecento. La lettera circolare del cardinale segretario di Stato Pietro Gasparri, del 1923, costituisce un documento programmatico per la storia
di questa peculiare tipologia museale, poiché sollecita una verifica sulla reale consistenza
numerica dei musei diocesani ed esorta ad istituirne dei nuovi. A differenza dei tesori delle
chiese e delle cattedrali, legati alla storia del singolo edificio, i musei diocesani raccolgono
testimonianze provenienti dal territorio sottoposto alla diocesi.
Tali musei costituiscono una delle vie oggigiorno maggiormente praticate per la valorizzazione di singole aree artistico-culturali, la preservazione di oggetti d’arte sacra e la nuova filosofia
del decentramento museale. In molti casi l’attività dei musei diocesani, oltre a quella essenzialmente
museale, viene affiancata dal lavoro di ricerca svolto nelle biblioteche e negli archivi dei musei stessi, attività che nasce dall’interesse di analizzare le testimonianze artistiche tenendo presenti le tendenze spirituali e confessionali del luogo e dell’epoca in cui vennero create.
Un aspetto strettamente collegato alle vicende dei musei diocesani è costituito dal rapporto diretto con le locali soprintendenze; in alcuni casi i musei diocesani sono stati creati proprio grazie all’intervento degli organi statali preposti alla tutela, come nel caso esaminato del
sistema museale senese, in generale, e del Museo d’Arte sacra della Val d’Arbia di
Buonconvento, in particolare.
* Testo rielaborato da:
• AA.VV., L’arte (critica e conservazione), Milano, 1996, voci “Allestimenti e musei”,
“Mostre e musei”.
• Luigi Grassi, Mario Pepe, Dizionario della critica d’arte, Torino, 1978, vol. II,
voci “museo”, “museologia”, “museografia”.
• Adalgisa Lugli, Museologia, Milano, 1996.
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II. IL CONTRIBUTO DELLA MUSEOLOGIA
E DELLA MUSEOGRAFIA ALLA DIDATTICA MUSEALE
di Piergiacomo Petrioli
1. Il termine “Museo” designa il “luogo sacro alle Muse”, usato dal geografo
Strabone nel III secolo d. C. per definire il luogo in cui si riuniscono dotti e filosofi nella
biblioteca di Alessandria; nel mondo antico celeberrimo era l’edificio con tale nome costruito da Tolomeo II Filelfo ad Alessandria d’Egitto nel III secolo a.C., una sorta di vera ed aulica istituzione culturale. Tale termine in ambito umanistico, col Museo di Paolo Giovio a Como
(1543), rinnova la sua valenza di luogo delle Muse; il museo, quindi, prima ancora che luogo di
conservazione e tesaurizzazione, è un ambiente nel quale si sviluppa un processo di conoscenza.
Museografia è propriamente la scienza che si occupa della costruzione, della attrezzatura, dell’ordinamento e di tutti gli impianti necessari all’istituzione e alla manutenzione del
museo, come tale tende a risolvere problemi sostanzialmente tecnici e di struttura.
Museologia, invece, designa l’insieme delle ricerche e degli studi che hanno per oggetto il museo in rapporto alla sua funzione sociale, quale strumento di diffusione della cultura, in
relazione alla sua specifica natura e ai compiti che si intende attribuirgli. Lo storico dell’arte
Carlo Ludovico Ragghianti afferma che la museologia non è da intendersi solo quale “disciplina
speciale o professionale dedicata ai problemi tecnici e funzionali dei musei”, ma “strumento di
ricerca, di attività e di educazione critica” (Semiologia, linguistica, in “Critica d’Arte”, 136,
1974, pp. 3 e ssgg.).
La museologia nasce nel momento in cui il museo incentra la sua attenzione sui suoi
rapporti col pubblico; ovvero la museologia inizia quando il museo diviene specchio della
società che lo esprime, di precise volontà politiche e culturali.
2. Nel dopoguerra nasce un organismo internazionale: l’ICOM (International Council
of Museums), filiazione dell’Unesco, il quale dal 1948 ha iniziato un lavoro di coordinamento
tra i musei di tutto il mondo. E´ in questo contesto che si afferma il termine “museology”, che
viene a sostituire l’antico “museographia”, codificato nel 1727 da Caspar Friedrich Neickel nel
volume “Museographia” (Leipzig); in questo volume l’autore affronta per la prima volta
problemi legati alla nuova idea di un museo con vocazione educativa e pubblica. Nel testo vengono analizzate le forme esistenti di museo e le denominazioni diverse in differenti paesi, con
attenzione ai contenuti: dalla Schatzkammer, Kunstkammer, Naturalien und Raritaetenkammer
in Germania, cabinet e gallerie in Francia, studiolo in Italia. Infine, Neickel presenta una delle
più organiche e chiare definizioni delle tipologie degli oggetti collezionati, distinti in due grandi classi di Naturalia e Artificialia.
Il museo prima del XVIII secolo è un luogo privato per pochi eruditi, come ad esempio la collezione enciclopedica del bolognese Ferdinando Cospi (1677), il cui “conservatore” è
un nano incaricato di mostrare la collezione al pubblico.
Dopo la Rivoluzione Francese il museo diviene un luogo educativo e di utilità pubblica.
Il museo ottocentesco è sostanzialmente diverso da quello odierno, non come luogo o
collezione, ché spesso è lo stesso spazio con i medesimi oggetti, ma per esigenze e tipo di
fruizione. Nelle riproduzioni di interni di musei del secolo decimonono si osservano sparuti
gruppi di persone, signori compassati che passeggiano, madri dell’alta borghesia con i loro
bambini, copisti barbuti, etc.
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Figura 1.
Caspar Friedrich Nickel, Museographia (Leipzig, 1727), frontespizio del trattato.
3. Quello che si può, invece, osservare oggi è uno spettacolo completamente differente:
torme di scolaresche vocianti, transeunti stormi di turisti giapponesi, qualche esemplare di studioso sperso e fagocitato dalle greggi dei visitatori, anziani curiosi e sudati, bambini annoiati;
tutto questo deriva dalla ulteriore grande diffusione, incrementata negli anni Novanta, che
l’istituzione Museo ha avuto nel suo porsi al centro dell’interesse di un pubblico di massa. Per
il grande pubblico il museo può essere l’unico depositario dell’immagine condensata di un
luogo e questa aspirazione o illusione di totalità, che l’odierno museo ha espresso e perseguito,
è di per sé oggi motivo di attrazione e di centralità dell’istituzione. Visitare il Louvre a Parigi,
il British Museum di Londra o il Metropolitan di New York offre l’impressione di aver percorso e posseduto un compendio di storia dell’arte di tutti i tempi.
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Così come certe mostre monografiche su artisti o movimenti, dal titolo accattivante
e molto ampio, raggiungono tanto più efficacemente un pubblico che aspira a riunire nozioni
disparate e ad avere l’illusione di assimilare velocemente complesse nozioni e conoscenze
variegate, nodi problematici, strati di eventi intrecciati fra di loro. Quello che si può rilevare
oggi è che, anche quando non si preoccupa minimamente di essere didattico, il museo riesce a
trasmettere di sé una immagine già pronta per l’uso, anche perché rappresenta una scelta, un
percorso abbreviato e facile.
Tutto questo appalesa come il museo sia entrato profondamente tra le maglie del
mondo moderno occidentale, che ha costruito una vera “civiltà del museo”, erigendo ovunque
monumenti al culto della cultura, del proprio passato e del proprio presente, per la scienza o
l’arte contemporanea. Accanto a questo è da registrare come alle tradizionali caratteristiche del
museo, dal secondo dopoguerra in poi, se ne sono aggiunte altre che hanno contribuito a rinnovare la fisionomia di questa istituzione.
Nel 1973 in Italia nasce il concetto di “bene culturale” con l’istituzione del Ministero
dei Beni Culturali, appunto. Il museo viene a porsi, dunque, quale strumento di conoscenza e
nasce la necessità di dotarsi di un apparato estremamente complesso nel sistema espositivo,
nella leggibilità dei suoi contenuti, nel funzionamento generale, nei problemi di sicurezza e conservazione dei materiali, nella costruzione di una didattica museale appropriata.
L’opera d’arte, il reperto naturalistico, il manufatto con la più varia destinazione
esistono al di là e al di sopra del loro essere singolo oggetto, ma anzi sono parte di un contesto
storico, artistico e culturale nel quale interagiscono in un sistema di oggetti (sia esso collezione
privata, museo, raccolta pubblica, esposizione temporanea, etc.), che in parte li modifica e dal
quale ricevono una impronta incancellabile. Si pone quale imprescindibile momento di studio e
preparazione alla fruizione museale, ovvero didattica, il riconoscimento di questa serie di
significati, che accompagnano ed arricchiscono l’oggetto in sé.
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III. IL RACCONTO ICONOGRAFICO
di Annamaria Romana Pellegrini
1. Ho ritenuto opportuno incominciare queste relazioni per il corso sugli Operatori per
la didattica museale con il tema dell’iconografia, perché rispetto agli altri che tratteremo
insieme, vale a dire “Stili architettonici e topografia dei luoghi sacri a Siena”, “Spazi ed arredi
sacri”, “La didattica museale nella e per la scuola”, è forse quello che maggiormente, essendo
un argomento pressoché infinito, si presta a quesiti complessi e neppure sempre risolvibili, sui
quali si ha occasione di ritornare nel corso degli interventi successivi.
Quanti hanno compiuto studi regolari di Storia dell’Arte in genere hanno sostenuto
almeno un esame di Iconografia ed Iconologia, tema trasversale ad epoche e generi, particolarmente necessario per comprendere la nostra tradizione artistica occidentale, che già dall’età
preistorica ha prediletto il racconto iconografico pur non ignorando l’astrazione. L’esame stesso si limita a dare le coordinate dell’argomento: la storia degli studi, perché l’interpretazione
dei temi trattati iconograficamente ha bisogno di una base costituita dalla cosiddetta “cultura
generale”, vale a dire di conoscenze soprattutto relative al mito ed alla religione (non più così
diffuse e scontate), ma anche storiche, talvolta filosofiche. Tanto che sono stati pubblicati dei
dizionari relativi ai temi artistici trattati, talvolta generali talaltra specialistici, per rispondere
immediatamente ai quesiti, senza tuttavia pretendere sempre risposte certe, essendo questi temi
spesso oggetto anche di robuste discussioni fra gli storici dell’arte.
Non ci addentreremo nella storia degli studi iconografici, ma è necessario almeno
accennare ai nomi di due grandi protagonisti dell’iconologia: Abi Warburg, che possiamo
ritenere il vero inventore di questo argomento di studio, a cui dedicò tutte le sue sostanze e l’intera vita, ed Erwin Panofsky, suo allievo, le cui interpretazioni iconografiche sono avvincenti ed
affascinanti come romanzi.
2. La percezione che i non addetti ai lavori hanno della produzione artistica è in genere
limitata al percorso storico ed agli stili che lo caratterizzano, nel peggiore dei casi alla vita ed
alle vicende degli artisti, soprattutto se si prestano a descrizioni romanzesche, il che spiega
anche in parte la fortuna popolare di personaggi come Van Gogh, Gauguin, Caravaggio e
Leonardo, figure delle quali si è impadronita anche la narrazione cinematografica e televisiva,
che inquadra poi in maniera spesso retorica e distorta la stessa opera e si disinteressa della
capacità innovatrice nella ricerca artistica. Possiamo dire che cinema e televisione riservano
all’arte la stessa banalizzazione che, in genere, riservano alla psicanalisi o al mito antico, anche
se non possiamo ignorare lodevoli eccezioni.
La Storia dell’Arte occidentale offre invece, all’interesse di studiosi ed amatori, una
ricca possibilità di percezione, basti pensare che per lunghi periodi l’artista è stato anonimo, e
per altri l’immagine artistica è stata asservita al ruolo di propaganda politica, o è stata veicolo
dottrinale, ed il problema stilistico è stato del tutto secondario, solo strumentale. Peraltro, nel
corso della storia, le informazioni date dalle immagini erano perfettamente percepite da coloro
a cui erano destinate, anche se analfabeti, molto più di quanto siano leggibili oggi da un fruitore
medio, in genere, almeno se cattolico italiano del tutto digiuno di letture bibliche (ricordiamo
in proposito la gustosa presa in giro del film di Alberto Sordi “Fumo di Londra”) e, se non nutrito di studi classici, molto poco informato in merito al mito greco-romano, o ai poemi omerici
(si dice che il recente film “Troy” offra il fianco a numerose critiche).
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3. Dovendo procedere per esempi, che diano un quadro il più possibile completo e
variegato del tema trattato, prenderò in esame contenuti e periodi storici differenziati. Una delle
opere più significative che mi sembra opportuno portare come emblematica del racconto iconografico è la Colonna Traiana, che fu creata agli inizi del secondo secolo d. C. ed è una delle più
famose dell’antichità romana: di quest’opera, del tutto innovativa, noi non conosciamo l’autore,
perché per la committenza l’importante era trasmettere un preciso messaggio politico: quello
della potenza militare romana. I romani, dai tempi della fondazione dell’urbe e molto a lungo,
non ebbero un grande apprezzamento per l’espressione artistica, ritenendo anzi tale attività non
degna di un “civis romanus”, per cui non c’era l’uso di firmare l’opera, né ricordarla ed
eternarne l’autore attraverso una letteratura artistica. I romani apprezzavano l’architettura e
l’ingegneria, nella quale eccelsero, perché finalizzate all’utile ed al decoro, quindi talvolta ci
sono pervenuti nomi di architetti, ma per quanto riguarda le arti figurative, anche dopo la conquista della Grecia e la conseguente influenza del vinto sul vincitore, le arti figurative furono
apprezzate principalmente per le loro finalità che, soprattutto per quanto concerne la scultura,
era soprattutto quella di celebrare la potenza militare e quella politica. Basti pensare agli archi
di trionfo, che in quell’epoca sorsero in tutta Europa, monumenti apparentemente senza alcuna
finalità pratica, in realtà voluti per lasciare “in loco” visibile testimonianza di una vittoria; non
a caso il loro uso sarà ripreso in età napoleonica.
La novità di concezione della Colonna Traiana è data proprio dalla possibilità che la
sua forma offre una lunga narrazione, si tratta infatti di una colonna coclide, cioè ornata da una
decorazione continua spiraliforme. Le ventitrè spire della striscia figurata, che si innalzano su
29 metri, crescono in altezza da 60 ad 80 cm. per permettere un ingrandimento delle scene narrate più in alto, affinché sia possibile vederle meglio dal basso. Con un realismo privo di idealizzazioni vi si narrano le due vittoriose campagne dell’imperatore contro i Daci, in circa centocinquanta episodi, attraverso la rappresentazione di ben 2500 figure. Lo sconosciuto artista,
che qualcuno avrebbe voluto identificare con l’architetto Apollodoro e che gli studiosi chiamano “maestro della Colonna Traiana”, descrive battaglie, marce, assedi, aspetti del quotidiano
nella dura vita militare (costruzione di ponti e mura, trasporto di merci, lavori agricoli). A
questa quotidianità, ricca di descrizioni di masserizie, armi, animali, paesaggi, si affiancano
motivi allegorici e simbolici, come personificazioni di elementi naturali ed apparizioni sovrannaturali. Una vivacità ottenuta attraverso le forme plastiche, probabilmente solo con un piccolo
ausilio del colore: un vero “libro di pietra”, infatti all’epoca i libri erano dei rotoli avvolti
attorno ad un cilindro ligneo.
4. Molto interessante è il dibattito che sorse nei primi secoli del cristianesimo tra quanti, provenienti dalla cultura ebraica, avrebbero voluto rifuggire dalla rappresentazione dell’immagine pur se sacra, e quanti provenienti da quella dei “gentili” – cioè dalle “gentes” latine –
comprendevano il ruolo che l’immagine avrebbe potuto svolgere nella diffusione della dottrina
cristiana. Si decise ben presto (abbiamo esempi di figurazioni religiose fin dal II° secolo) che,
poiché il Cristo si era incarnato prendendo forma, la rappresentazione del sacro fosse legittima.
Fu l’inizio di un fiorire di rappresentazioni figurative delle quali tutti noi conosciamo la portata, che superò in breve anche il fenomeno dell’iconoclastia, sorto nell’oriente cristiano probabilmente anche per influsso della nuova cultura islamica.
Come per la politica romana era il fine dimostrativo la spinta fondamentale alla rappresentazione, per il cristianesimo sarà la diffusione di conoscenze religiose il motivo di tante
committenze, che riguarderanno per duemila anni episodi dell’antico e del nuovo testamento,
vite di santi, concetti filosofico-religiosi che prendono vita nelle forme naturalistiche, di una
ricchezza stilistica ed iconografica che non cessa di stupire ed interessare tutto il mondo, per la
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compiutezza dei risultati raggiunti, e parla anche a quanti non conoscono e non praticano la religione cristiana. In particolare, nel Medio Evo i cicli di affreschi o le tavole a tempera su fondo
oro saranno una vera “biblia pauperum” vale a dire una narrazione rivolta agli incolti, che erano
perfettamente in grado, grazie anche alla parola dei sacerdoti che spiegavano avvalendosi delle
immagini, di conoscere il credo religioso professato.
Diventa, a tale proposito, veramente difficile scegliere tra le molte un’opera emblematica, sia perché siamo a Siena, sia per la fedeltà alla lettera evangelica rappresentata, mi sembra il caso di prendere in esame le storie appartenenti alla Maestà di Duccio di Buoninsegna.
L’opera, creata per il Duomo della nostra città, posta sull’altare maggiore, allora collocato in
modo che fosse possibile girarvi intorno, presentava nella parte anteriore la Vergine in trono
affiancata da angeli e santi, mentre nella posteriore Duccio narrò la passione e morte di Cristo,
la sua resurrezione, e in altre tavolette le vicende successive alla sua resurrezione fino alla
Pentecoste, nonché le storie di Maria fino alla “dormitio”, allora preferita secondo l’uso bizantino all’assunzione, che però secondo l’innovazione francese compare nella vetrata.
Mentre gli episodi mariani sono tratti dai vangeli apocrifi, ricchissima fonte per gli
artisti grazie alle loro componenti fiabesche ed aneddotiche, le scene relative alla vita del
Cristo, immediatamente posteriori alla Madonna in maestà, sono fedelissime alla lettera evangelica, a partire dall’ingresso di lui in Gerusalemme, l’ultima cena, l’orazione nell’orto, il
tradimento di Giuda, il giudizio, la flagellazione, la negazione di Pietro, la morte, e particolarmente interessante in merito è la resurrezione, rappresentata come viene descritta nei vangeli e
come veniva rappresentata nelle prime sacre rappresentazioni medievali, il “quem queritis”: le
tre donne si recano al sepolcro, ma lo vedono scoperchiato, e domandano al giovane seduto in
quel sito (l’angelo) dove sia colui che cercano; niente, quindi, rappresentazione della resurrezione nel suo compiersi.
In merito a questa narrazione è il caso di sottolineare che paesaggio urbano e dettagli
ambientali fanno riferimento alla realtà dell’epoca in cui vive l’artista, caratteristica che
vediamo quasi sempre nelle rappresentazioni bibliche ed evangeliche, preziose per la nostra
ricostruzione di costumi ed ambienti di epoche che altrimenti non potremmo conoscere, poiché
in genere agli artisti non si chiede di rappresentare la vita quotidiana.
5. Nel Rinascimento si diffonderà talmente la conoscenza di lingua e cultura
greco-romana, che prenderà piede per uso privato — per decorare palazzi ed appartamenti di
nobili e ricchi mercanti, ma anche della gerarchia religiosa — la narrazione di temi tratti dal
mito antico. A santi ed episodi biblici si affiancheranno, senza troppo scandalo, Venere, Diana,
satiri e ninfe, centauri magari in funzione simbolica; e tra i temi richiesti dai nobili committenti non mancheranno gli amori di Giove, i giganti e insomma tutto quel vasto repertorio ancor
oggi capace di affascinare con la sua complessa narrazione. Questi soggetti saranno apprezzatissimi fino all’Ottocento, fino all’età neoclassica nella quale saranno soggetto quasi unico
assieme alla celebrazione politico-militare, come già detto, anzi fino all’art nouveau, cioè al
Novecento. Anche se proprio nell’Ottocento avremo la creazione di una nuova via e di un nuovo
stile, che scopre la realtà quotidiana tout court e ce la rende senza filtri.
L’Ottocento, secolo ricco di contraddizioni e di ricerche, presenta a seguito delle tendenze romantiche un nuovo interesse per il Medio Evo, che si affianca al gusto neoclassico.
Nell’età romantica saranno i poemi, Shakespeare, Dante: temi prediletti dalla rappresentazione
artistica. Per esempio, gli artisti tedeschi che vollero chiamarsi Nazareni e si stabilirono a Roma
alla ricerca di una nuova spiritualità cristiana, riscopriranno l’affresco e, tra le testimonianze più
curiose della loro permanenza, ci hanno lasciato nel Casino Massimo i personaggi e le storie
della Gerusalemme Liberata.
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Ma tra i numerosi esempi che potrei portare dell’arte ottocentesca, tra i quali non
manca una forte componente religiosa ed un nuovo interesse per i vangeli apocrifi, per esempio
nell’opera del gruppo dei Preraffaelliti (Fig. 1 e 2), prediligo ancora una volta un esempio
locale, sicuramente molto meno conosciuto della Maestà di Duccio: è un esempio legato a
Dante, a storie e leggende locali, così intensamente che lo ritroverete nel corso della lezione al
museo di Monticchiello, dedicato al teatro popolare, ancora viva nella tradizione del Bruscello:
si tratta della storia romanzesca di Pia de’ Tolomei, creatura dantesca la cui figura è appena
accennata nel Purgatorio con i versi “ricordati di me, che son la Pia / Siena mi fé, disfecemi
Maremma / salsi colui che inanellata pria / disposando, m’avea con la sua gemma”.
Figura 1.
John Everett Millais, Cristo nella
casa dei genitori (Londra, Tate
Gallery, 1850).
Figura 2.
Dante Gabriele Rossetti, Ecce ancilla domini
(Londra, Tate Gallery, 1849-50).
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I ricami dei commentatori su questa figura storica — ma ammantata di leggenda, che
venne uccisa secondo la tradizione dal marito geloso mediante l’esilio nella allora malsana
Maremma — furono tempestivi, ma sarà l’Ottocento, col suo gusto romantico per le storie di
amore e morte, a celebrarla prima letterariamente nel poema in ottava rima di Bartolomeo
Sestini, successivamente a celebrarne le vicende attraverso i temi prediletti dall’arte accademica. Ma è senese la prima opera dedicata a questa vicenda (Fig. 3) e senese è la narrazione che
il Granduca volle nel suo palazzo, oggi palazzo della Provincia, per rendere omaggio alla città
ed alla propria bonifica delle Maremme.
Figura 3.
Giuseppe Pianigiani La Pia de’ Tolomei nel castello di Maremma in atto di domandare al marito Nello
il motivo della di lui tristezza, olio su tela, Siena 1835, Palazzo dell’Amministrazione Provinciale di Siena
(in deposito presso l’ufficio del Questore).
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Nelle lunette di una delle sale del Palazzo Reale di Siena Cesare Maffei dipinse
(Fig. 4 e 5), con bel piglio vivace, esplicito ed ingenuo, gli episodi della leggenda, perché a
Siena sarà sempre prediletta la narrazione pittorica, come dimostra anche la sala del
Risorgimento in Palazzo Comunale, voluta per celebrare alla sua morte Vittorio Emanuele,
costruttore dell’Italia unita.
Figure 4 e 5.
Cesare Maffei, Istorie della Pia de’Tolomei, affresco, Siena 1835 – 38, Palazzo Reale di Siena.
(“Nello, nell’atto di allontanarsi per sempre dall’amata consorte creduta infedele, si volge a
contemplarla l’ultima volta” e “Scoppiato un violento temporale, Nello e l’eremita odono gemiti provenire dal bosco. Accorsi, trovano l’infido Ghino assalito da un lupo feroce. In punto di
morte il respinto amante di Pia rivela a Nello l’inganno un tempo ordito”).
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IV. LA DIDATTICA DELL’ARCHEOLOGIA
Gestione e divulgazione dei dati archeologici
di Luisa Dallai
1. Premessa
L’intervento si prefigge di illustrare come le metodologie archeologiche, comunemente
applicate alla ricerca (sia allo scavo che al survey archeologico), possano diventare concreti
strumenti didattici all’interno del museo o del parco archeologico. Saranno forniti esempi concreti di tali applicazioni (ad esempio, l’esperienza dello scavo sperimentale sia su aree predisposte che attraverso l’uso della scatola stratigrafica, la riproduzione di processi di produzione
attraverso esperienze di archeologia sperimentale, la redazione di carte archeologiche didattiche), che si prefiggono di insegnare come sia possibile ricostruire la “cultura materiale” del
passato.
Oltre a ciò saranno illustrate le metodologie grafiche e le applicazioni multimediali
attraverso le quali l’archeologia ricostruisce ed esplicita, con rigore scientifico, i dati acquisiti
in fase di scavo e li rende fruibili per un pubblico vasto, assolvendo ad un duplice obiettivo:
quello didattico e quello divulgativo (esempi da multimedialità: Castel di Pietra, Carmine; pannelli San Silvestro).
2. La stratigrafia
Il concetto di stratigrafia, mutuato dalle scienze geologiche, assume che il suolo é
formato di strati e che ogni strato è individuabile a seconda del proprio colore, della propria
composizione e della sua consistenza. L’azione umana interviene modificando pesantemente
la naturale organizzazione degli strati: agli strati naturali se ne affiancano altri artificiali, frutto
di azioni di costruzione e distruzione; tali azioni possono, dunque, essere negative o positive
(indicate con un + od un – sulla scheda di registrazione). Le azioni positive determinano la formazione di strati, mentre le negative sono relative ad azioni di demolizione o di scavo, quindi
non lasciano altro che la sagoma dell’asportazione avvenuta o, talvolta, i limiti di uno scavo nel
terreno. Le azioni vengono definite dalla Scheda Ministeriale come US, cioè Unità
Stratigrafiche, e costituiscono la base minima di riconoscimento ed articolazione da documentare sullo scavo.
La somma di tutte le US costituisce il matrix di scavo, ossia lo schema generale attraverso il quale l’archeologo fornisce la propria interpretazione degli eventi leggibili sul terreno;
accanto a tale riconoscimento l’archeologo fornirà adeguata documentazione del proprio lavoro
attraverso piante, prospetti, fotografie e descrizioni delle singole US e di gruppi di esse, cioè di
attività e fasi, fornendo quindi una ulteriore articolazione della propria interpretazione storica.
2.1. La stratigrafia e la didattica
Una delle esperienze didattiche che ha avuto maggiore fortuna e più ampia diffusione,
sia all’interno di musei che nei programmi scolastici e nei parchi archeologici, è senz’altro quella dello scavo didattico, attraverso il quale gli studenti (o gli appassionati) possono apprendere
“dal vivo” come l’archeologo opera sul campo e quali sono gli elementi di conoscenza acquisibili nel corso dell’indagine stratigrafica. Questo tipo di esperienza è importante perché esplicita, rendendola tangibile, la metodologia scientifica che si accompagna allo scavo, ma che difficilmente viene percepita dal visitatore occasionale di un parco o di un sito archeologico.
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Il rigore del metodo è, inoltre, importante per dare validità all’acquisizione stessa ed è attraverso l’esperienza dello scavo che gli studenti percepiscono la differenza fra la ricostruzione della
cultura materiale e della storia di un sito fondata sulla sequenza degli atti conservati nel suolo
ed una semplice “caccia al tesoro”.
2.2. La scatola stratigrafica e lo scavo didattico
Lo scavo didattico (termine con il quale si indicano anche tutti i cantieri archeologici
che ospitano studenti e sono quindi considerati formativi, a differenza degli altri cantieri che,
per le loro caratteristiche, non consentono di ospitare personale in formazione) può essere condotto in piccolissima scala (è questo il caso della cosiddetta “scatola stratigrafica) o su aree
estese. La scatola stratigrafica è uno strumento ideale nel caso in cui l’esperienza didattica sia
svolta in classe o comunque in contesti chiusi (quindi, anche nel laboratorio di un museo). In
questo caso la stratigrafia viene condensata all’interno di una scatola, appunto, cioè un grosso
contenitore realizzato in legno oppure in materiale plastico, riempito di terre di diverso colore
all’interno delle quali sono inseriti piccoli reperti frammentari. L’operatore procede in un primo
tempo all’illustrazione dei principi della stratigrafia archeologica, ed in un secondo momento
segue i ragazzi nello smontaggio della stratigrafia stessa, che viene scavata secondo i principi
illustrati e dalla quale si traggono i reperti che verranno classificati secondo criteri predeterminati. Questo genere di esperienza didattica facilita enormemente l’apprendimento del concetto
astratto di “strato” e “sequenza stratigrafica”, ed è per questo comunemente impiegata all’interno dell’offerta didattica legata all’archeologia.
Qualora vi sia la possibilità di disporre di aree esterne (è il caso tipico dei parchi archeologici), la scatola stratigrafica può essere sostituita dalle aree attrezzate dove, su superfici ben
più ampie, si simula un settore di scavo vero e proprio. L’area di scavo “tipo” riproduce un contesto stratigrafico anche complesso, fatto di sedimentazioni orizzontali combinate con elementi verticali (muri e piccole strutture); i reperti, in questo caso introdotti in quantità maggiore,
dovranno essere lavati, schedati ed eventualmente ricomposti. I singoli strati saranno, inoltre,
documentati attraverso la redazione di schede che simulano quelle ministeriali in uso presso i
normali cantieri archeologici.
3. L’archeologia sperimentale
L’archeologia sperimentale presuppone la disponibilità di spazi adeguati dove poter
riprodurre le strutture produttive tradizionali e poter effettuare sperimentazioni anche complesse per ottenere un determinato prodotto finale. L’archeologia sperimentale è fondamentalmente legata al concetto di archeologia della produzione, si prefigge cioè di sperimentare attraverso quali passaggi tecnologici si giunse a produrre un determinato oggetto. L’esperienza è
comunemente applicabile a contesti quali parchi e musei archeologici; nella nostra provincia
sono note le esperienze di archeologia sperimentale legata alla produzione del metallo realizzate
presso l’Antiquarium di Poggio Civitate a Murlo, con la collaborazione dell’Università di Siena.
4. La redazione di carte archeologiche
La finalità didattica della redazione di una carta archeologica, cioè di uno strumento comunemente utilizzato a fini scientifici e di tutela del territorio, è quella di
allenare i ragazzi a riconoscere i segni dell’azione dell’uono sul paesaggio che li circonda, imparando a distinguerne l’età e la natura. L’acquisizione di consapevolezza nella lettura del paesaggio viene generalmente diretta alla creazione di carte nelle quali si illustrano i tratti peculiari e le modificazioni del paesaggio nel corso dei secoli. Il paesaggio contemporaneo diventa così la somma di tanti paesaggi modificati dal tempo, di cui permangono
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ormai poche tracce da distinguere andando a ritroso nel tempo, con gli strumenti dell’indagine
archeologica.
Figura 1.
Parco archeominerario: esperienza di archeologia sperimentale.
Prima dei sopralluoghi nel territorio i ragazzi vengono dotati degli strumenti di
conoscenza appropriati, cioè delle metodologie di lavoro dell’archeologo, sia in relazione allo
scavo che riguardo al lavoro di indagine di superficie. Vengono, inoltre, proposte alla loro attenzione carte geografiche, a scale diverse, per apprenderne il metodo di consultazione; attraverso
la loro osservazione puntuale i ragazzi inizieranno anche ad interpretare la storia del paesaggio.
Questo comunemente avviene mediante lo studio dei toponimi e degli elementi topografici più
significativi (vecchie strade, antichi poderi, mulini, monasteri, abbazie, etc.), che testimoniano
la vocazione storica di un territorio e che possono indicare la presenza di vecchi insediamenti.
Sono anche utilizzate carte geologiche per conoscere la natura del territorio e da questa
ricavare indicazioni sugli elementi naturalistici e geomorfologici, che possono aver influenzato
positivamente o negativamente lo sviluppo dell’insediamento antropico (fiumi, valli, alture,
paludi).
5. La didattica e la divulgazione: pannelli, ricostruzioni grafiche e multimedialità
Esiste un punto di incontro fra ricerca scientifica, didattica e divulgazione, e questo è
identificabile nel museo archeologico che, secondo i più attuali criteri espositivi, non dovrebbe
essere più una raccolta di singoli materiali decontestualizzati, ma dovrebbe fornire al visitatore
un percorso guidato alla conoscenza, all’interno del quale vi siano gradi differenziati di
apprendimento e di approfondimento degli argomenti trattati. Il primo e più immediato grado
di apprendimento è affidato all’utilizzo di ricostruzioni che consentano una agevole comprensione delle informazioni ed aiutino ad acquisire eventuali approfondimenti di carattere storico
o tecnico.
Le ricostruzioni sono, dunque, essenziali alla divulgazione; essendo in genere basate
su un accurato lavoro di confronto fra archeologi e grafici, esse hanno però anche un grande
valore didattico, perché possono essere utilizzate per insegnare ciò che spesso è stato rimosso
nel corso dell’intervento di scavo, e quindi non è più conservato. Sono esemplificative di questo
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le successioni di ricostruzioni che rimontano le stratigrafie, operano cioè al contrario rispetto
allo scavo archeologico e facilitano la comprensione degli eventi dei quali spesso, al termine
delle indagini, sono conservate solo una parte delle tracce.
Una delle prime applicazioni su larga scala dell’uso della ricostruzione all’interno di
un museo è stata sperimentata all’interno del Parco archeologico minerario di Rocca San
Silvestro, nel Comune di Campiglia Marittima (LI). La grandissima fortuna ed il gradimento
generale dell’esperienza (testimoniato dal numero di visitatori del sito e dai loro commenti) ha
indotto ad estendere questo tipo di metodologia di comunicazione del dato archeologico anche
ad altri contesti.
Nella nostra provincia tale esperienza è stata acquisita e rielaborata all’interno del
Parco di Poggio Imperiale di Poggibonsi, dove i pannelli costituiscono l’aspetto più significativo del museo e sono inoltre dislocati sul sito, in modo da accompagnare la visita ai suoi punti
centrali.
Figura 2.
Rocca San Silvestro: ricostruzione di una antica coltivazione mineraria.
I pannelli di Rocca San Silvestro illustrano una serie di temi cruciali sia rispetto
all’evoluzione dell’insediamento, che rispetto ai materiali rinvenuti. Sono affrontati, ad esempio, temi quali lo studio delle tecniche di costruzione di Rocca San Silvestro e l’organizzazione
di un cantiere medievale. Vengono ricostruiti elementi significativi del tessuto insediativo, ad
esempio la chiesa ed il relativo cimitero, così come aspetti economici relativi al sito: le risorse
agricole e le produzioni artigianali.
Una sezione di particolare importanza è, infine, quella dedicata alle attività metallurgiche; vi sono pannelli dedicati al ferro, alle attività di forgia, all’estrazione del minerale, alla
riduzione del rame e del piombo argentifero.
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V. LA DIDATTICA DELL’URBANISTICA:
PIENZA CITTA’ IDEALE
di Piergiacomo Petrioli
1. Pienza, piccola città del senese, è un esempio raro di urbanistica rinascimentale portata a compimento. Definita, di volta in volta, la città ideale, la città utopia, essa rappresenta
oggi concretamente una delle modalità costruttive attraverso le quali, in età rinascimentale, si
cercò di realizzare un modello di vita e di governo “ideale” sulla terra, elaborando un'idea di
città che fosse in grado di dare risposte concrete al desiderio di convivenza civile, pacifica ed
operosa, degli uomini; era l’utopia della civitas: vanamente inseguita dagli uomini dell’antichità.
La sua collocazione al centro della Val d’Orcia, una valle bellissima e intatta dal punto
di vista paesaggistico, rende la cittadina perfettamente in grado di documentare ancora oggi
l’interesse fondamentale che l’architettura umanistica pose nel rapporto uomo-natura, anche in
riferimento all'importanza che questo rapporto ebbe durante l’età classica.
Figura 1.
Pianta del centro di Pienza.
Il centro di Pienza fu completamente trasformato dal Papa Pio II nel Rinascimento;
egli progettò di trasformare il suo borgo natale in una città ideale del Rinascimento. L’architetto
Bernardo Rossellino, sotto l’egida di Leon Battista Alberti e dello stesso cultissimo pontefice,
ebbe l’incarico di costruire un Duomo, un palazzo papale e un palazzo comunale; i lavori furono
completati in tre anni (1459-1462).
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Figura 2.
Papa Pio II (Enea Silvio Piccolomini).
Il Duomo fu costruito dall’architetto Bernardo Rossellino (1459) come una “hallenkirche” tedesca (forse in ricordo del passato di Pio II legato pontificio a Colonia), ha oggi
problemi di stabilità nella parte absidale. Ci sono delle crepe nei muri e nel pavimento di una
navata, ma le splendide proporzioni classiche sono rimaste intatte. E´ inondato dalla luce proveniente dalle grandi finestre a vetrata volute esplicitamente da Pio II, il quale desiderava una
domus vitrea, che simboleggiasse lo spirito della luminosità intellettuale dell’età Umanistica.
Figura 3.
Pienza, Piazza Rossellino,
facciata del Duomo.
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Il palazzo è adiacente al Duomo ed è stata la dimora dei discendenti di Pio II fino al
1968; il suo progetto è del Rossellino, che fu influenzato dal palazzo Rucellai di Leon Battista
Alberti sito in Firenze. Gli appartamenti aperti al pubblico includono la camera e la libreria di
Pio II; all’interno del palazzo troviamo un cortile ornato di colonne, che immette in una loggia
e si affaccia sul giardino all'italiana; da qui si ha una vista spettacolare della Val d’Orcia e delle
pendici boscose del Monte Amiata. Pio II, inoltre, “consigliò” alle nobili famiglie cardinalizie
romane di costruirsi un palazzo nella sua nuova cittadina, come ad esempio ai rinomati Borgia,
che vollero la loro magione pientina proprio di fronte a quella piccolominea.
Figura 4.
Pienza, Piazza Rossellino.
Figura 5.
Teatro romano - ricostruzione.
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2. Ci sono parti di città stesse che possiamo individuare e riconoscere come beni
culturali stessi, basti pensare a piazza dei Miracoli a Pisa, Venezia, etc. Il concetto di bene
culturale non implica necessariamente un oggetto conservato dentro un luogo, ma può essere,
specialmente nella realtà storica, culturale ed artistica italiana, il luogo stesso. Per siffatti motivi,
sopra accennati, possiamo considerare la città di Pienza, o almeno lo spazio della piazza principale quale museo “vivente” all’aperto. Museo, è vero, ma con caratteristiche del tutto particolari, per cui la didattica e la fruizione deve seguire vie del tutto particolari e “personalizzate”, ovvero conformi alla tipologia del luogo.
Pienza si pone quale esempio singolare ed adatto per comprendere la cultura
umanistica del Rinascimento italiano: la sua piazza viene concepita come un teatro del mondo,
la scena perfetta e classica in cui agisce l’Uomo attore della storia, vera espressione dell’eroe
machiavelliano.
La facciata della cattedrale con i due palazzi Piccolomini e Borgia crea una vera
quinta da proscenio classico ed al centro, il cerchio in pietra bianca, costituisce il punto di fuga
di una prospettiva albertiana geometrica e reale, dove prospettiva rinascimentale e riscoperta dei
valori classici si fondono in un insieme armonico e mirabile.
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VI. STILI ARCHITETTONICI E TOPOGRAFIA
DEI LUOGHI SACRI A SIENA
di Annamaria Romana Pellegrini
1. Si è soliti pensare a Siena come alla città gotica per eccellenza, e questo è vero. Lo
stile chiamato spregiativamente “gotico” dal Vasari, che volle esaltare il ritorno alla misura classica fiorentina, ha in Siena uno dei suoi capisaldi italiani, per motivi storici e non solo,
nonostante la sua vicinanza, o forse proprio per, la sua propinquità alla potente città toscana.
Indubbiamente il periodo di massimo splendore dello stile gotico coincise con quello di massima potenza politica dell’età comunale a Siena, quindi di maggior ricchezza e di prestigiosi
progetti artistici, tanto che ancora i romantici viaggiatori dell’Ottocento videro in Siena “un
sogno gotico” e qui si hanno esempi tra i primi in Europa di un gusto neogotico (il palazzo
vescovile, per esempio).
Questo stile, nel suo massimo splendore, si identifica con il Duomo cittadino,
orgogliosamente collocato nel punto più alto della città, ma questo è stato un punto di arrivo del
percorso estetico, favorito dalla presenza in città di due personaggi quali Nicola e Giovanni
Pisano. Ugualmente interessanti, dal punto di vista stilistico, sono sia opere precedenti questo
momento topico, sia successive, perché anche la prima metà del Cinquecento, con la presenza
in città di un artista come Domenico Beccafumi, dimostra una straordinaria vitalità estetica,
senza costringerci a chiudere Siena all’interno dello schema gotico-neogotico.
2. Ritengo necessario precisare a priori quali siano i caratteri dei due stili architettonici che hanno caratterizzato la fioritura europea di cattedrali, pievi, abbazie, quindi anche la
senese. Come insegnante di storia dell’arte debbo osservare che è fortuna non da poco che gli
allievi possano osservare senza troppi spostamenti ciò che studiano sui libri, perché naturalmente i testi scolastici debbono procedere per schemi, ma è l’osservazione diretta, anzi direi la
visita, soprattutto per le strutture architettoniche, l’unica esperienza che ci permette di comprendere appieno quanto studiato teoricamente.
Lo stile gotico rappresenta l’evoluzione, avvenuta nell’Ile de France, di quello che
chiamiamo Romanico, termine che ha una storia piuttosto recente, risalendo al periodo in cui,
nell’Ottocento romantico, si scoprì il valore di quei secoli bui e si riconobbe nelle strutture delle
cattedrali, edificate dopo il Mille, gli elementi portanti dell’architettura romana. Per cominciare, l’arco a tutto sesto, la volta a botte e successivamente l’incrocio di due volte darà origine alle
quattro vele della volta a crociera (Fig.1.); strutture che, sostenute da robusti pilastri ed adeguate
pareti portanti, hanno sfidato i secoli come e più delle gotiche.
Figura 1.
Schema delle volte a botte e a crociera.
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A Siena la costruzione che più di altre può aiutarci a comprendere i caratteri dell’architettura romanica, ed il passaggio al Gotico, è la Basilica di San Domenico, che presenta
entrambe queste scelte stilistiche, vale a dire l’arco a tutto sesto e quello a sesto acuto caratterizzante lo stile gotico, e ancora reminiscenze del soffitto a capriate delle origini, rispettivamente
nelle basiliche inferiore e superiore, un po’ come succede in San Francesco ad Assisi. Si è soliti affermare che la luce che invade attraverso le vetrate gli edifici gotici li caratterizzi, come al
contrario i fasci di luce che si alternano alla penombra, siano segno della spiritualità più severa
dei secoli precedenti; questo, per quanto riguarda le costruzioni italiane, non è sempre vero,
conservando spesso queste, per esempio, nell’età gotica, caratteristiche prettamente romaniche,
come vedremo.
Prendiamo, comunque, ad esempio la Basilica di San Domenico: nella cripta, vera
basilica inferiore, i poderosi pilastri e le mura possenti, sulle quali si aprono feritoie fortemente strombate, creano nell’ambiente la tipica suggestiva penombra delle chiese
romaniche, mentre nella basilica superiore, il cui soffitto a capriate della navata unica
evita l’impegno di elevare il tetto con copertura a volte, le finestre ogivali illuminano in
maniera uniforme l’interno. Come in Assisi, dove gli affreschi dedicati alla vita di San
Francesco della basilica superiore sono visibili in tutto il loro splendore grazie alle
finestre che, come è stato ampiamente sottolineato già dalla filosofia tomistica, con la
loro luce sono simbolo del divino che pervade i fedeli. Questa novità costruttiva, che
arriverà quasi a sostituire le pareti nella straordinaria Sainte Chapelle di Parigi, è possibile grazie alla scoperta della nuova tecnica costruttiva, che è alla base delle costruzioni
gotiche, basata sul sistema di spinte e controspinte e che permette, grazie ad un equilibrio
fisico, di alleggerire le pareti forandole appunto con le suddette finestre ogivali, bifore,
trifore, quadriforme, etc. (Fig. 2-3). Così come la penombra delle cattedrali romaniche era
necessità anche tecnica dovuta sia al ruolo tra religioso e civile degli edifici sacri in quel periodo, sia alla sostituzione delle leggere capriate con la volta, quindi ad una necessità di
robusto sostegno.
Figura 2.
Schema dell’arco a sesto acuto e di quello a tutto sesto.
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Figura 3.
Schema dello spaccato delle cattedrali gotiche (da L. Lundberg).
3. In Italia questo stile perverrà soprattutto grazie alla diffusione dei cistercensi, che per
regola rifuggono dalla decorazione preferendo un ambiente sobrio e severo, lontano dalle fantastiche costruzioni dell’Ile de France, quindi lo stile gotico che prenderà piede da noi è senz’altro
meno ornato, nello spirito più vicino al romanico. L’abbazia gotica cistercense più vicina a Siena
è la suggestiva San Galgano. Le chiese gotiche presenti a Siena, ma in genere in Italia, anche dal
punto di vista costruttivo, ma soprattutto nello spirito, sono in genere lontane da quella dismisura
che caratterizza le loro coeve d’oltralpe. Dobbiamo, dunque, tener presente che la definizione degli
stili è una struttura teorico-formale da non prendere alla lettera, la conoscenza della particolare
grammatica, codificata in questi ultimi secoli dagli studiosi, ci è senz’altro indispensabile per
riconoscere la storia degli edifici che visitiamo, ma non può essere fonte unica di informazione,
solo di orientamento.
Prendiamo in esame, per esempio sommo da tutti i punti di vista, il Duomo di Siena. La
sua costruzione prosegue per un lungo lasso di tempo, anche tenendo semplicemente conto della
sua struttura di base, tanto che rispetto al progetto originario — che è stato attribuito a Nicola
Pisano, creatore del famoso pulpito, la cui opera conserva forti elementi di classicità — si concluderà con la facciata di suo figlio Giovanni, di carattere assolutamente gotico. Gli stessi portali di
ingresso presentano ancora l’arco a tutto sesto, l’uso dei marmi bicromi collocati orizzontalmente
è caratteristico del romanico toscano, i pilastri poderosi della navata si alleggeriranno solo nella
parte del coro, sia divenendo più slanciati che facendo predominare i marmi chiari rispetto agli
scuri, per ottenere un effetto più in sintonia col gusto che stava prendendo piede negli ultimi decenni. E, per continuare quanto si andava dicendo a proposito della luce, non si può negare che l’ambiente sia tutt’altro che luminoso; eppure questo è considerato uno degli esempi più significativi di
gotico in Italia, tanto sono stretti i rapporti tra Siena e la Francia attraverso la via Francigena.
Ma non è questa la difficoltà di definizione di un edificio sacro come romanico o gotico,
non è l’unica o la più complessa rispetto ai luoghi architettonici, sacri e non, a Siena. Infatti, la città
sarà ancora, nell’Ottocento, uno dei capisaldi dello stile Purista nella sua Accademia di Belle Arti,
vale a dire uno dei capisaldi dello stile neogotico, soprattutto per quanto riguarda l’architettura,
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nella persona di Giuseppe Partini, attivissimo a Siena, ma anche in tutta la Toscana (basti dire che
diciannovenne era già riuscito a far apprezzare il suo progetto per la facciata del Duomo di Firenze).
A lui si debbono veri e propri rifacimenti, nel gusto del restauro che ha il più famoso esponente in
Francia in Viollet Le Duc, di luoghi e spazi cittadini ed extraurbani, nonché cancellazioni di elementi aggiunti (non molti in verità) dell’età barocca in città. Questo stile neogotico ha avuto larga
fortuna nell’Europa dell’Ottocento, soprattutto laddove il Medioevo era stato un momento significativo dal punto di vista storico ed artistico, per esempio in Inghilterra, Germania, nella stessa
Francia come già detto. In Italia, Siena sarà uno dei centri più rappresentativi di questo gusto internazionale, ancora poco conosciuto e quindi non facilmente individuabile da tutti i visitatori, o anche
liquidato come “falso, rifatto”, negando alle opere così rimaneggiate un valore estetico. L’intervento
purista sul duomo di Siena è relativo soprattutto alla facciata, particolarmente nelle cuspidi musive,
e all’interno, nel pavimento, ma anche nel Battistero di San Giovanni. Alessandro Franchi, direttore
dell’Accademia senese, è uno dei principali protagonisti di questi rifacimenti.
Ma il caso più significativo a Siena di rifacimenti neogotici sarà la Chiesa di San
Francesco, che non essendo stata completata per quanto riguardava la facciata, proprio come la
cattedrale fiorentina, avrà sia l’aggiunta del rosone sia il completamento marmoreo, nonché
l’intonacatura bicroma dell’interno. Non stiamo qui a ricordare le accese discussioni che
sorsero in occasione di questo o di altro rifacimento, in questi ultimi due secoli, da quando si è
diffuso il concetto di conservazione e restauro, le quali non mancano mai.
4. Da quanto detto finora, sembrerebbe che Siena sia davvero ed esclusivamente la “regina
gotica”, la cui fama si è andata costruendo a partire dall’età romantica. Se questo è in linea di massima vero, se il tessuto urbano si è voluto rispecchiare nella sua quasi totalità nell’età comunale, sarà il
caso di segnalare almeno qualche esempio che testimoni, nonostante le cancellazioni ottocentesche, il
Rinascimento ed il Barocco anche negli edifici sacri della nostra città. Oltre ai numerosi altari barocchi presenti nello stesso Duomo (in San Francesco furono tolti in occasione del ripristino purista, di
cui abbiamo parlato), conseguenti a quel rinnovato fervore creativo frutto del ruolo che l’arte ha avuto
dopo la Controriforma, spicca proprio nel più antico edificio sacro della città, la Chiesa di San
Cristoforo, che fu col suo chiostro il primo luogo di riunione del nuovo comune, e la cui antichità è
testimoniata dai pilastri scolpiti alla base dei pennacchi della cupola, che rappresentano quegli “oranti” appena abbozzati visibili nel protoromanico di Digione e in pochi altri luoghi. La chiesa è centrale
nell’urbanistica cittadina, in quella Piazza Tolomei così chiamata per la presenza dell’omonimo palazzo, al centro dei Banchi di Sopra, luogo deputato al “passeggio” cittadino. Qui il rifacimento, di gusto
rinascimentale, riguarda soprattutto la facciata, che riprende lo schema innovativo voluto dal Vignola
e dal Della Porta per primi nella Chiesa del Gesù a Roma, e diffusosi laddove si propagò l’ordine, che
prediligendo ambienti a navata unica, per favorire l’ascolto della parola da parte dei fedeli, trova nella
pianta di San Cristoforo un ambiente ideale. I valori plastici del timpano, reminiscenza dell’antico (qui
il padre putativo è sempre Leon Battista Alberti) e delle nicchie con le statue dei santi, in questo caso
e in altri dimenticano i marmi policromi di romanica memoria.
Per quanto poi riguarda il barocco, altari e statue – la stessa di San Cristoforo, quelle in San
Martino – di squisita fattura, ci sono pervenute, il che non è accaduto per quelle un tempo presenti in
Duomo, definite dai puristi un obbrobrio, vendute in occasione dei rifacimenti di cui abbiamo parlato, oggi a Londra. E poiché fu proprio il papa senese Alessandro VII uno dei più grandi mecenati del
Bernini (a lui si deve la stessa commissione della piazza ellittica davanti San Pietro), non possono
mancare anche nell’ambito sacro testimonianze di questo gusto, prevalentemente riservate agli
interni, ma anche assai presenti nelle chiese di contrada. Un caso particolare è la Basilica di
Provenzano, la cui costruzione va riferita ad un evento “miracoloso”, che dopo il Duomo è, relativamente al Palio e quindi alla stessa vita cittadina, la seconda sede sacra di riferimento.
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VII. SPAZI ED ARREDI SACRI
Termini e funzioni
di Annamaria Romana Pellegrini
1. Questo argomento dei nostri incontri riguarda un tema basilare e trasversale a molte
epoche, la cui conoscenza viene data per scontata nel corso delle visite ai monumenti artistici. Nello
spazio sacro la tradizione rituale impone norme costanti agli architetti presso ogni cultura religiosa,
e se ci sono delle varianti non sono quasi mai sostanziali. Ci occuperemo degli edifici sacri riservati alle due principali religioni che hanno caratterizzato la storia della cultura occidentale, il tempio classico e la chiesa cristiana, naturalmente dedicando maggiore attenzione soprattutto a
quest’ultima, poiché in Toscana, particolarmente nel senese, è questa la tipologia architettonica che
è necessario conoscere.
Ma se in genere tutti noi sappiamo cos’è una navata o un’abside, non altrettanto si può
dire per quanto riguarda gli arredi sacri, a meno che non si sia stati chierichetti il termine pisside o
turibolo non sempre ci dicono qualcosa, va meglio con calice e tonaca. Perché naturalmente anche
l’abito è importante all’interno del rito ed a Siena in particolare in ogni museo di contrada, non solo
in quello dell’Opera del Duomo, sono esposti arredi e manufatti che hanno legato la propria storia
materiale a quella della comunità.
Va precisato a priori che molto diversa è la concezione del tempio da quella della chiesa
cristiana; mentre, infatti, quest’ultima deriva il suo nome dal termine greco “ecclesia”, che significa assemblea, che presuppone ed auspica la frequentazione della folla dei fedeli, il tempio è la casa
del dio, alla quale possono accedere i sacerdoti per il sacrificio.
Figura 1.
Pianta dei principali templi greci.
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Ci sono molte affinità fra il tempio greco (Fig. 1), etrusco (Fig. 2) e romano, e qualche
differenza; questa forma, emblematica del linguaggio dell’architettura classica, il cui timpano e le
cui colonne a distanza di secoli sono in grado di comunicare anche ai più incolti un preciso messaggio, furono prediletti in seguito al gusto neoclassico anche per architetture fortemente simboliche di carattere civile (per esempio la Casa Bianca), per musei e teatri, in ogni parte del mondo,
tanto nell’immaginario collettivo questo linguaggio si identifica con idee rassicuranti e positive di
civiltà e democrazia, nelle quali ci si riconosce a diverse latitudini.
Figura 2.
Ricostruzione ideale del tempio etrusco secondo la descrizione di Vitruvio (da Borrmann-Wiegand).
Nelle variabili dell’idea di base del tempio classico ciò che non può mancare è il nàos
o cella, un ambiente rettangolare che è la casa del dio (del quale in antico ospitava una statua),
che nei templi etruschi può anche essere tripartito, perché dedicato a tre divinità. In verità noi
non possiamo più visitare templi etruschi, in quanto sono andati distrutti a causa della fragilità
dei materiali con i quali furono costruiti, ma come per molti altri aspetti della vita dei nostri più
diretti antenati ce ne possiamo fare un’idea grazie al culto funerario, che ci ha trasmesso
numerose urne di questa forma. Molto interessante a proposito di resti di un santuario etrusco
è la visita al museo di Murlo.
Il timpano, cioè la cornice triangolare che sovrasta la facciata, è immancabile nel tempio,
ne abbiamo già detto, mentre le colonne possono trovarsi sia a delimitare il solo pronaos, sia tutto
attorno al naos, quale spazio processionale, ed in questo caso il tempio si chiama periptero. C’è,
comunque, una precisa proporzione da rispettare tra lunghezza e numero di colonne in facciata
rispetto a quelle laterali, vale a dire il lato breve del rettangolo sarà quello di facciata. Non mancano
mai i gradini d’ingresso, che nelle prime forme greche sono tre (crepidoma) e circondano come
base tutta la struttura, mentre nel tempio romano, come in quello etrusco, potranno essere in
numero maggiore, e solo in facciata. Fondamentali sono i tre stili che caratterizzano la colonna classica: dorico, ionico e corinzio per quella greca, alla quale si aggiunge il tuscanico; lo stile è definito principalmente dalla forma del capitello.
2. Quando i cristiani al termine delle persecuzioni e nel momento della loro legittimazione, vale a dire nel IV° secolo, grazie all’imperatore Costantino, possono innalzare le loro
chiese, vogliono differenziare il proprio luogo di culto da quello pagano; tanto ferrea sarà questa
regola che non poche critiche, da parte della gerarchia ecclesiastica, avrà lo stesso Leon Battista
Alberti, il più grande teorico dell’architettura e dell’idea di classicità nel Rinascimento, per edificare il suo Tempio Malatestiano a Rimini.
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I cristiani prenderanno come modello la basilica, edificio romano di uso civile, adatto a
contenere una moltitudine di persone, caratterizzato da forma rettangolare e due absidi nei lati
brevi, ingresso nel lato lungo, che sarà sostituito da una sola abside in uno dei lati brevi, e l’ingresso
nell’altro che permetta di evidenziare immediatamente al fedele l’altare sul quale il sacerdote celebra, collocato davanti all’abside. Il termine basilica è passato a designare la chiesa cristiana, e rari
sono gli esempi di una forma diversa, per esempio di quella rotonda derivante dai ninfei romani
(anche qui è presente la simbologia dell’acqua battesimale), prediletta invece nei primi battisteri
caratterizzati dalla vasca centrale nella quale all’epoca ci si immergeva. Quando lo stesso Donato
Bramante proverà a progettare un San Pietro a pianta centrale, sarà corretto dal successivo progetto raffaellesco, ben più funzionale alle cerimonie, come vedremo.
La basilica (Fig. 3) può essere ad una, tre o cinque navate, sempre quella centrale
ospiterà l’altare e sarà fronteggiata dal più grande portale di ingresso. Le navate sono spazi
delimitati in questi primi secoli da colonne, successivamente anche da pilastri, che hanno ruolo
di sostegno del soffitto, e debbono il loro nome all’aspetto di nave con la chiglia rovesciata che
caratterizzava la prime basiliche dal soffitto a capriate, talvolta coperte da cassettoni, dall’evidente significato simbolico.
La basilica può essere a croce latina: questo nuovo spazio rettangolare, che va ad inserirsi ai lati dell’abside, costituisce un evidente segno simbolico, ma può anche, soprattutto nella chiesa
bizantina, affiancare semplicemente all’abside principale due absidiole: pròtesis e diaconicon, che
concludono le navatelle. Lo spazio più vicino all’altare è riservato alle gerarchie ecclesiastiche,
quello delle navate ai fedeli, che nella liturgia di rito cattolico debbono poter vedere la celebrazione:
è chiara, dunque, la necessità di una maggiore capienza delle navate rispetto a quello che si chiama
coro, e la loro più opportuna posizione frontale. Nella liturgia ortodossa la visione dell’altare può
essere ostacolata dall’iconostasi, talvolta fissa, talaltra mobile.
Figura 3.
Pianta ed alzato della Basilica di San
Pietro a Roma (da G. Bovini).
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La posizione dell’altare nei secoli è stata leggermente variata, come abbiamo già detto
parlando della Maestà di Duccio, in particolare la liturgia latina, che dopo il concilio di Trento,
vuole il celebrante prevalentemente di spalle ai fedeli, che dà un aspetto sempre più monumentale all’altare, è stata sostituita dopo il Concilio Vaticano II° da una “mensa” leggera, con arredi non più simmetrici, collocato in genere davanti al precedente; qui il sacerdote celebra nelle
lingue parlate, rivolto verso i fedeli.
Le basiliche paleocristiane erano in genere precedute da un nartece, vale a dire un portico che poteva ospitare coloro che ancora non avevano ricevuto il battesimo, non erano quindi
ammessi all’ecclesia. Talvolta, come nell’antica San Pietro o nella Basilica di San Clemente o
in Santa Cecilia a Roma, prima di accedere all’ambiente sacro vero e proprio si entra in un
quadriportico al centro del quale è collocato il fonte battesimale. Nell’età romanica (pensiamo
al Sant’Ambrogio di Milano), come la chiesa stessa, questo spazio sarà anche luogo di dibattito civile, prima della costruzione dei palazzi del Comune o della Ragione o Broletto, che sanciscono la nuova struttura politica dei Comuni. La torre campanaria, che data da quest’epoca,
ha ugualmente il ruolo di richiamo per eventi civili e religiosi, scandisce le ore della preghiera,
ma anche quelle del lavoro e del riposo. E´ soprattutto in questa età di religiosità capillare, quando la dimensione delle chiese diventa sempre maggiore per poter ospitare la grande massa dei
fedeli, che diventa necessario un elemento architettonico come il pluteo o ambone, sul quale
sale il sacerdote per poter essere visto ed udito in ogni parte della chiesa, soprattutto nel corso
della omelia, come già detto momento fortemente didattico e non solo.
Figura 4.
Turibolo. Argento sbalzato e bulinato (Museo della Contrada della Chiocciola, Siena, 1840).
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3. Torneremo sulle chiese medievali nel corso dell’intervento su “stili architettonici e
topografia dei luoghi sacri” a Siena; ora è opportuno definire, in quest’ultima parte del testo,
l’argomento forse meno scontato, vale a dire termini e funzioni degli arredi sacri, che sono
spesso opera di grandi orafi e sono caratterizzati dai vari stili, che si susseguono nel corso della
storia dell’arte. Riprendendo quanto già detto nell’introduzione, il calice è il vaso sacro
indispensabile alla celebrazione dell’Eucarestia, la pisside è un vaso circolare con coperchio che
ha origine nella ceramica greca, ma come arredo liturgico è in metallo prezioso ed è utilizzato,
se con piedistallo, per conservare l’Eucarestia, se più piccolo e piatto per portare il
Sacramento agli infermi, il turibolo un contenitore per l’incenso sostenuto da una catenella
che viene fatta ondeggiare, perché il profumo si diffonda nei momenti più significativi della
celebrazione liturgica (Fig. 4).
Un oggetto che spesso è costruito come una piccola architettura, di cui questa presenta le caratteristiche stilistiche dei vari periodi storici, è il tabernacolo, dove viene conservata
l’ostia, che è chiuso da una porticina con chiave. Sempre all’Eucarestia sono dedicati gli ostensori, per offrirla all’adorazione ed alla benedizione dei fedeli. Un ruolo simile hanno le “paci”,
il cui nome rimanda evidentemente allo scambio del segno della pace che si fa tra fedeli nella
più recente liturgia, prima della Comunione. Oggetti di alta oreficeria sono spesso i pastorali,
cioè l’insegna vescovile a forma di bastone ricurvo al vertice, che allude al ruolo sacerdotale
assimilato a quello di Cristo: il buon pastore.
Un ruolo per noi quasi inimmaginabile, fondamentale, ebbero nei secoli passati le
reliquie dei santi, vanto e ricchezza delle chiese e delle comunità, per i quali furono creati straordinari contenitori, con le forme più svariate. Il tesoro di Siena è tra i più interessanti ed è
esposto in gran parte al Santa Maria della Scala. Molto numerosi a Siena sono anche i paliotti, oggetti ornamentali di legno dorato, metallo sbalzato o stoffa, che si antepongono all’altare
come ornamento in occasione delle festività più solenni.
Tra gli arredi sacri Siena conserva numerose testimonianze di paramenti in tessuto,
grazie anche alla scuola che qui ha formato restauratori qualificati, unica in Italia. I paramenti
sono caratterizzati da colori diversi nei diversi periodi dell’anno liturgico, ad esprimere gioia,
lutto, attesa. Per questo tali manufatti, spesso in seta e metallo prezioso, hanno lasciato ormai
gli armadi delle sacrestie e sono esposti nella maniera più adeguata. Sono pianete, che vengono
indossate dai sacerdoti per la celebrazione, spesso in parure con stola (una striscia che si indossa incrociandola sul petto), manipolo (una striscia più corta), velo del calice e borsa per il corporale. Sono piviali con cappuccio o senza, mantelli a semicerchio di uso processionale (a
Pienza abbiamo la “cappella Sistina” dei piviali), sono dalmatiche, un antico capo di abbigliamento con larghe maniche, che dall’età bizantina è giunto fino a noi grazie allo scarso interesse
per le mode volubili degli indumenti rituali. Ma le epoche alle quali questi tessuti appartengono
si possono individuare grazie ai disegni del tessuto: un universo tutto da scoprire.
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VIII. IL MUSEO SCIENTIFICO E LA DIDATTICA
di Francesca Vannozzi
Al fine di dare alcune informazioni di base sulla didattica scientifica sono stati elaborati due interventi: il primo sul concetto di strumento scientifico quale bene culturale che, in
quanto tale, deve essere pertanto tutelato al pari di un’opera d’arte; il secondo sulla possibilità
e l’opportunità di “usare” il museo scientifico, o la collezione scientifica quale mezzo duttile e
idoneo a qualsiasi fruitore, per “fare scienza”.
1. I beni culturali in ambiente sanitario: strumenti e oggetti fuori dai musei
Per una storica della medicina, impegnata da oltre dieci anni in progetti volti alla
valorizzazione delle collezioni universitarie di strumentaria storico-scientifica, è di primaria
importanza la salvaguardia del patrimonio scientifico senese.
In particolare, per quanto riguarda l’emergenza in merito alla tutela di tale patrimonio,
i punti che seguono intendono sintetizzare le questioni relative al settore:
lo strumento scientifico è l’esempio emblematico dell’oggetto fuori dal museo.
Nonostante esso sia spesso stato usato in un contesto fortemente culturale, come per la
strumentazione didattica universitaria, non è ancora adeguatamente riconosciuto quale
oggetto da musealizzare;
l’attenzione per gli strumenti in Italia è stata scarsa fino alla mostra fiorentina di Storia
della scienza del 1929, quando fu proposta per la prima volta un’esposizione di strumenti scientifici e dalla quale nacque poi l’Istituto e Museo di Storia della Scienza di
Firenze;
lo strumento scientifico è un bene culturale al pari di un dipinto, di una scultura, di un
reperto archeologico e, pertanto, deve essere adeguatamente tutelato;
le metodologie di lavoro in questo settore sono le stesse di qualsiasi altro patrimonio
storico: l’inventariazione, la catalogazione, il restauro conservativo, la ripresa fotografica;
gli elementi necessari per la tutela degli strumenti storico-scientifici possono essere
considerati: una normativa specifica volta alla salvaguardia di tale patrimonio, una
campagna di sensibilizzazione, la volontà politica di salvare e ben tutelare gli strumenti, la formazione di esperti del settore.
Nel patrimonio storico-scientifico è incluso anche quello sanitario, per il quale la
necessità del recupero è ancora più pressante. Sintetizzando ancora una volta, possiamo affermare che:
per patrimonio storico-sanitario si intende tutto ciò che un ospedale ha prodotto nel
corso degli anni, ossia strumentaria e apparecchiature medicali, modelli didattici,
vetreria, suppellettili e arredi sanitari, fondi librari ed archivistici;
tale materiale versa in una situazione di estrema precarietà. Le aziende ospedaliere e
sanitarie da sempre, senza uno scarico inventariale o alcuna regolamentazione, buttano
via gli strumenti e tutelano scarsamente i propri archivi. La mancanza di competenza,
di spazi adeguati e di finanziamenti, insieme alla rapidissima evoluzione tecnologica
che immette sul mercato strumentazione sempre più nuova e sofisticata, determinano
l’urgenza, da parte delle aziende, di disfarsi rapidamente di quella considerata obsoleta.
Gli ospedali stessi diventano così veri e propri beni di consumo, soggetti a continue
trasformazioni e rinnovamenti;
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la sensibilità nei confronti di uno strumento di uso sanitario è più difficile da suscitare,
poiché l’oggetto è correlato a un concetto di utilità prettamente quotidiana e, inoltre,
perché la sua storia è associata alla storia del dolore, più che della vita. Ad esso non
sempre sono applicabili canoni estetici, pensiamo, ad esempio, a una centrifuga da laboratorio, a un apparecchio radiologico; spesso tale strumentazione è ingombrante,
come ad esempio un microscopio di quarta generazione, che necessita per la propria
installazione di un’intera stanza;
a partire dall’Ottocento si è verificata una progressiva convergenza tra scienza e tecnica, da una scienza medica su base empirica a una tecnologia fondata direttamente
sulla scienza;
il concetto di benessere psicofisico ha avuto nel tempo interpretazioni diverse a seconda
dell’evoluzione del pensiero, ma anche delle procedure strumentali, diagnostiche e
terapeutiche, usate per la sua misurazione e mantenimento;
la strumentazione scientifica va considerata quale modello intellettuale per conoscere
quella determinata realtà in cui essa è stata usata; per comprendere le teorie scienti
fiche e le conseguenti discipline occorre studiare la natura e i suoi rapporti con la strumentazione.
Pertanto, tutelare il patrimonio storico-sanitario significa, innanzi tutto, evitarne la
dispersione attraverso una puntuale individuazione, inventariazione e catalogazione, che ne
garantiscano la preservazione secondo le modalità più idonee alle varie tipologie di oggetti, che
la strumentaria sanitaria comprende.
Il Centro Servizi di Ateneo per la tutela e la valorizzazione dell’antico patrimonio
scientifico senese dell’Università degli Studi di Siena è deputato alla catalogazione e conservazione della strumentaria storica universitaria. A seguito della ricognizione effettuata sugli
strumenti presenti nei dipartimenti e istituti universitari, nonché nelle aziende sanitarie senesi e
la successiva pubblicazione dei relativi inventari, è stato costituito un deposito di circa duemila
strumenti scientifici salvati dalla rottamazione, ai quali si sono aggiunte alcune donazioni da
parte di privati.
Iniziative ed esposizioni curate dal Centro, nonché i progetti su cui esso è impegnato
attualmente, sono consultabili nel sito web: www.cutvap.unisi.it
2. Strumenti, tavole, modelli di ieri per una didattica di oggi
Una relazione al Convegno Internazionale del 1999, tenutosi a Milano sul tema Musei,
saperi e culture, organizzato dalla Fondazione Museo Nazionale della Scienza e della
Tecnologia “Leonardo da Vinci”, insieme all’ICOM (Consiglio Internazionale dei Musei,
Comitato Nazionale Italiano), portava il titolo I musei tra divulgazione e conservazione, ponendo la questione di sempre del confine tra questi due obiettivi dell’istituzione museale. Convegni,
incontri, corsi di formazione tornano periodicamente da alcuni anni su tali temi, quasi che si
possa concepire una struttura museale che curi solo l’aspetto della conservazione o solo quello
della divulgazione. Tale “insistenza” deriva probabilmente dalla necessità di assolvere con lo
stesso impegno ai due compiti, aggiungendo alla missione storica del museo, cioè la tutela del
proprio patrimonio, quella della comunicazione.
In tale panorama si inquadra anche l’aspetto della didattica: intendere cioè il
museo come strumento per l’insegnamento, la conoscenza, la divulgazione, che vede nell’utenza scolastica, ma non solo, il proprio massimo interlocutore.
Tali concetti, che si sono posti solo recentemente con forza per quanto riguarda i
musei storico-artistici ed archeologici, sono da sempre più facilmente stati recepiti nel44
l’ambito scientifico e demo-etnoantropologico, nei quali la “missione” didattica è stata
costantemente presente. Per fare scienza, per comunicare le novità scientifiche, per insegnare
i fenomeni scientifici da sempre ci si avvale di modelli didattici, immagini e tavole, esperimenti, marchingegni che nel tempo sono andati accumulandosi nei laboratori dei nostri
atenei, nei depositi di accademie e musei per costituire poi le prestigiose collezioni degli
attuali musei scientifici.
La necessità che, per fare scienza, sono necessari particolari sussidi didattici non
è cambiata nel tempo; infatti, ancor oggi si comunica scienza ricorrendo ad “artifizi”, seppure alla mano del disegnatore di tavole si sia sostituita quella del disegnatore al computer e al
posto dei modelli in cera o terracotta si adottino sempre più sofisticati mezzi di comunicazione tecnologica. Nascono così i tanto discussi science-center dalle mirabolanti ambientazioni, mentre i musei scientifici storici tentano di adottare nuovi allestimenti per meglio
valorizzare le proprie collezioni e si avvalgono di esposizioni temporanee tematiche dalle
moderne soluzioni allestitive. I grandi temi della scienza, un tempo irraggiungibili, sono
divulgati con facilità con mezzi spettacolari e la didattica è presente sul mercato con una
estrema varietà di sussidi, mostre scientifiche di facile accessibilità, programmi tele e
radiofonici di scienza, video, cd, vhs appositamente studiati per la scuola, il tutto in una
sfrenata gara di commercializzazione in genere non a “buon mercato”, ma non a caso
siamo nell’era della globalizzazione!
Ma allora, le antiche collezioni universitarie di strumenti, modelli e tavole didattiche, la infinita quantità di reperti naturalistici che “fanno” i musei italiani di storia naturale,
le collezioni dei musei anatomici, gli erbari dipinti o di piante essiccate degli orti botanici, sono così desueti da essere destinati all’oblio? Così fuori tempo da confinarli in
depositi “di lusso” scarsamente accessibili? Possono essi rivestire ancora un ruolo nell’attuale didattica della scienza o sono ormai ruderi e curiosità di un passato scientifico?
Su tali questioni si propone la personale testimonianza di didattica della scienza
maturata nell’ambito dell’ateneo senese: dell’Accademia dei Fisiocritici e in quello del
Sistema dei musei senesi dell’Amministrazione Provinciale di Siena. Quella presentata
non è una modalità didattica casuale, ma fatta di esperienze originate, comunque, sempre
dall’obiettivo prioritario della salvaguardia dei beni culturali storico-scientifici e da quello, non secondario, economico e cioè di contenere i costi, specie se per investimenti
effimeri.
2.1. La didattica della scienza in ambito universitario
Per l’insegnamento della Storia della Medicina agli studenti dei Corsi di Laurea
triennale ed a quelli del Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia, si è posto
il problema non tanto del programma di lezioni da adottare quanto della loro modalità di
svolgimento. A tale scopo si è sperimentato la lezione-visita al posto della tradizionale
lezione frontale, cioè in aula. Siena, per la ricchezza di “luoghi della scienza” e per la loro
facile raggiungibilità, ben si presta a tale scelta: quale luogo più suggestivo del Santa
Maria della Scala per una lezione sulla storia dell’assistenza ospedaliera? dell’ex
Ospedale Psichiatrico San Niccolò per spiegare il passaggio dalla segregazione al modello del villaggio manicomiale? della “Sala Paolo Mascagni” dell’Accademia dei Fisiocritici
per illustrare l’importanza dell’iconografia scientifica nei testi di medicina? della
Collezione Craniologica del Museo Anatomico “L. Comparini” per l’evoluzione della
scienza anatomica e la nascita della criminologia? o delle collezioni di strumentazione
storico-scientifica universitaria per capire il ruolo della tecnologia nel progresso medico?
Spunti e sollecitazioni non mancano! Dal vedere direttamente le originali tavole
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anatomiche, dal poter toccare con mano macchinari e strumentazione storica, dal passeggiare nelle ex corsie del vecchio nosocomio, temi scientifici apparentemente lontani dall’attualità, il nesso tra la scienza del passato e quella del presente, la storia delle professioni sanitarie diventano non solo comprensibili, ma sono appresi con facilità ed entusiasmo.
I risultati poi di tale modalità didattica sono riscontrabili dall’aumentata richiesta di tesi
di laurea di argomento storico-medico, che da sempre sono una rarità per uno studente che
deve laurearsi in Medicina o in uno dei Corsi di Laurea triennale della Facoltà medica.
Fare una lezione-visita richiede tempo, organizzazione, disponibilità del docente a ripetere
a gruppi il medesimo argomento, ma è solo un fatto di buona volontà che viene ripagato
dal livello di attenzione e apprendimento dello studente.
2.2. La didattica della scienza per le scuole elementari
Il Museo di Storia Naturale dell’Accademia dei Fisiocritici si è posto da anni il
problema di evitare che il suo utente più assiduo e numeroso, le scuole elementari di Siena
e provincia, venisse semplicemente “parcheggiato” nel museo. Il termine non a caso denota la frequenza, spesso riscontrata negli insegnanti, della casualità e impreparazione alla
visita, non inserita o collegata ad alcun programma di insegnamento di scienze, visita
ridotta ad un far stazionare per due ore la classe in museo e poi proseguire la visita alla
città. Si è tentato pertanto di migliorare il rapporto con le scuole con la visita obbligatoriamente
guidata dal personale del Museo e impostata su specifici temi scientifici collegabili alle
collezioni esistenti in Accademia o alla mostra temporanea del momento, a scelta dell’insegnante. Tale impostazione comporta che i bambini, prima di giungere in Accademia,
abbiano già avuto dalla propria maestra una lezione in classe sull’argomento scientifico,
tema poi della visita; occasionalmente e su richiesta, è lo stesso personale dell’Accademia
che tiene preventivamente la lezione presso la scuola.
Altro espediente adottato dall’Accademia per migliorare il rapporto tra museo e
scuola è il concorso “Il Museo va a scuola, la scuola al museo”, ormai bandito da anni,
aperto alle scuole elementari di Siena e provincia, le quali, a seguito della loro visita
all’Accademia, sono invitate a presentare elaborati artistici su quanto visto, secondo le
regole di un apposito bando. Disegni e composizioni artistiche vengono poi esposte in
Accademia in una piccola mostra temporanea allestita in occasione della cerimonia di
nomina della classe vincitrice del suddetto concorso.
Anche questa tipologia di didattica della scienza richiede una buona organizzazione da parte del museo e personale esperto e disponibile per la guida alla visita, ma
garantisce un rapporto di qualità e soprattutto continuativo con le scuole e, cosa di estrema
importanza, con gli insegnanti di scienze e con le maestre.
2.3. La didattica della scienza tra più musei
Dall’istituzione del Sistema dei Musei Senesi dell’Amministrazione Provinciale
di Siena ad oggi costituito da una rete di 26 musei sul territorio senese, si è posto il
problema di un coordinamento della didattica museale: allo scopo fu istituito un Gruppo
di lavoro per la messa a punto di un progetto didattico che inducesse l’utente, di qualsiasi età e provenienza, a visitare non uno, ma alcuni musei del Sistema nelle quattro sue
tipologie: musei artistici, archeologici, etnografici, scientifici. In sintesi, il progetto si
proponeva di individuare percorsi guidati a tema tra musei diversi, con la visita solo di
alcuni pezzi o collezioni presenti in più musei del Sistema e collegati appunto dalla
scelta tematica.
Per l’approfondimento di un tema scientifico ci si può avvalere, quindi, di più
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luoghi e realtà museali senesi, offrendo una proposta culturale e turistica non solo a
scuole, ma anche a gruppi culturali e associazioni, al pubblico adulto che intendesse
avvicinarsi alla scienza in un modo insolito, ma sicuramente semplice e accattivante. Tali
percorsi interdisciplinari consentivano di scoprire il patrimonio culturale senese nella sua
ricchezza di bellezze artistiche, storico-scientifiche e ambientali. Sta alla creatività e competenza dei curatori del progetto individuare percorsi intriganti, che abilmente collegassero i beni culturali presenti nella città e nel suo territorio. I 26 musei del Sistema dei
Musei Senesi, con collezioni e allestimenti così diversificati, ben si prestano a sollecitare
l’individuazione di vari percorsi tematici in un progetto culturale ampio, che prevede
anche una programmazione di corsi di aggiornamento per insegnanti e operatori didattici
e laboratori didattici da organizzare sia presso gli istituti scolastici che presso le sedi
museali.
IX. LA DIDATTICA MUSEALE NELLA E PER LA SCUOLA
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di Annamaria Romana Pellegrini
1. Prima di affrontare il tema della didattica museale per la scuola sono necessarie
alcune premesse sul fatto che molti non vedono affatto di buon occhio la frequentazione dei
musei da parte delle scolaresche.
Hanno torto? Personalmente, vorrei prendere le distanze sia da quanti sono per accompagnare le classi in visita ai musei o, come si dice comunemente, “in gita” (espressione che è
tutto un programma, e viene utilizzata sia per una passeggiata in un parco che per gli Uffizi) a
tutti i costi, perché comunque “è un’occasione di crescita culturale che molto spesso i ragazzi
non possono aspettarsi in famiglia”, che da quanti vedendo entrare al museo un gruppo di allievi
accompagnati dall’insegnante ed atteggiano il volto all’espressione “vade retro, Satana!”.
Gli insegnanti, non tutti lo sanno, sono perseguitati da allievi e genitori che ritengono
questo uno dei loro doveri non eludibili (e così non è!), tanto che spesso finiscono per cedere
nonostante esperienze non proprio felici. Gli insegnanti di storia dell’arte, nelle scuole in cui è
contemplato lo studio di questa materia, ma non solo per i corsi che ne prevedono lo studio,
sono i più tormentati da richieste in tal senso, e sono, guarda caso, i più restii a cedere a tali
pressioni; perché amando soprattutto le arti — in caso contrario non avrebbero intrapreso uno
studio che più di altri è caratterizzato da disoccupazione e precariato, poiché questa materia non
ha certo nella scuola italiana il posto che sarebbe auspicabile — hanno scelto di scommettere
su questa e conoscono la fragilità dei manufatti e dei monumenti che i nostri predecessori ci
hanno tramandato: opere che sono poste a repentaglio anche dal più rispettoso dei visitatori,
dalla luce, dal tempo stesso, vanno viste ed apprezzate, ma non sciattamente. Di tutto questo
molto spesso non si tiene conto ed ancora una volta è il business a dirigere i giochi.
E´ pur vero che anche in un ragazzo non preparato, l’amore ed il rispetto per quanto
gli artisti hanno prodotto possono nascere, comunque, quando entra in contatto diretto con
l’opera d’arte; personalmente tuttavia ritengo, e con me la stragrande maggioranza dei miei colleghi, che nella maggioranza dei casi la visita diretta dovrebbe essere preceduta da una adeguata preparazione (quante volte gli allievi ci riferiscono di aver visitato questo o quel museo in
viaggio con i loro genitori, ma di non ricordare nulla?), perché è la preparazione preventiva che
predispone all’attenzione, al riconoscimento, alla consapevolezza ed all’apprezzamento di un
museo, di un tessuto urbano, di un monumento, altrimenti potrà restare nel migliore dei casi un
piacevole ricordo vago, nel peggiore, data l’organizzazione di certe “gite” dove sembra che la
quantità abbia preso il posto della qualità, resta il ricordo di una grande stanchezza. Non dimentichiamo, inoltre, che se un ragazzo che viaggia in compagnia della sua famiglia ha determinati
comportamenti, il suo atteggiamento nel gruppo-classe potrà essere ben diverso.
Concludendo la lunga premessa, che mi pare indispensabile, affermo che è giusto
accompagnare in visita alle opere d’arte scolaresche mai troppo numerose, preparate e consapevoli, ed allora non ci saranno brutte sorprese, anzi sarà un piacere per l’adulto accompagnatore vedere la gioia, lo stupore, il riconoscimento negli occhi dei ragazzi, la maggior parte
dei quali – è vero – non hanno chi in famiglia possa essergli guida in questo senso. E’ un rivivere in loro le nostre scoperte giovanili, che ci hanno portato spesso a fare una scelta di vita,
una delle scelte di vita più gratificanti, posso dirlo con la certezza di una lunga esperienza.
In ogni caso, comunque, l’accompagnatore accorto dovrà valutare la capacità di attenzione dell’allievo, non pretendere in alcun caso la visita di enormi musei di concezione ottocentesca, creati magari per i pochi fortunati protagonisti del grand tour, per i quali un viaggio
durava anni, ma è necessario operare delle scelte quantitative e qualitative pertinenti il gruppo.
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Oggi quasi tutti i musei, e molto spesso anche le mostre, hanno uno staff che si occupa della didattica, e sarebbe il caso che vi si ricorresse quando l’accompagnatore non ha la
preparazione necessaria (ripeto, è questa la maggior parte dei casi, poiché gli insegnanti di storia dell’arte sono pochissimi, in Siena e provincia le cattedre per esempio sono sette, comprese
quelle costituite da uno stesso insegnante su più scuole); può capitare tuttavia che l’insegnante
di lettere sia un laureato in storia dell’arte, che è stato condizionato nella scelta da evidenti
motivi di sopravvivenza. Quando non si diano questi due casi, è meglio ricorrere al personale
specializzato operante nei musei, anche se qualche volta questa scelta può rappresentare un
costo aggiuntivo. Sarà eventualmente e saggiamente compensato da un minor numero di uscite,
o dalla scelta di una meta più vicina (un’altra tendenza delirante delle gite scolastiche è quella
di scegliere mete più “esotiche”, con pacchetti come Siena-Praga con sosta a Salisburgo in
pullman da effettuare in cinque giorni, viaggio compreso, ma mi è capitata anche la proposta di
un viaggio della stessa durata in Grecia, mezzo di trasporto bus + traghetto; non riferisco la
risposta da me data in quell’occasione).
2. Ciò premesso, le proposte per visite didattiche funzionali all’età ed alla preparazione
del gruppo classe sono infinite, bisogna solo ricordarsi che spiegando non si può far sfoggio
della propria preparazione, come se si dovesse fare una lezione universitaria, ma è
indispensabile usare il linguaggio adeguato all’età ed alla preparazione del gruppo col quale si
vuole comunicare, per cui chi non capisce si distrae più facilmente.
Farò alcuni esempi diversificati che diano un ventaglio di soluzioni, ognuno potrà
arricchirli con la propria ricerca ed esperienza. E’ evidente che visitare una mostra dedicata al
percorso artistico di un solo autore non è un problema, basta conoscerne la vita e le opere; a mio
avviso uno dei motivi del grande successo che hanno le esposizioni temporanee, rispetto ai
musei, è proprio da ricercarsi nella loro natura tematica, più afferrabile, oltreché naturalmente
nel maggiore fascino che esercita tutto ciò che ci può sfuggire. A questo oggi si cerca di ovviare
con l’allestimento di piccoli musei “del territorio” o tematici, vedi l’esperienza senese, ma a
Parigi per esempio le mie classi non dimenticheranno mai la visita al Museo Rodin, o Brancusi
(Fig. 1), o a quello di Moreau (Fig. 2), al quale l’affascinante simbolista pensò quando era ancora in vita, anche se non c’erano dépliants in italiano (“qui di italiani non ne vengono mai”). Non
tutti hanno la fortuna di poter visitare lo stesso museo in più riprese nel corso degli anni scolastici, scegliendo ogni volta le opere più didatticamente significative, e senza pagare il biglietto ogni volta, come succede a noi in Pinacoteca.
Figura 1.
Constantin Brancusi, La muse
endormie, gesso, 1910 (Parigi,
Museo Brancusi).
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Figura 2.
Gustave Moreau, L’apparizione, olio su tela, 1876
(Parigi, Museo Moreau).
Partendo proprio da Siena, sorvolando
sulla didattica dell’arte contemporanea, prenderò in esame le soluzioni adottate al Santa Maria
della Scala per la bella ed originale mostra dedicata ai falsari, frutto degli studi e delle competenze non comuni di Gianni Mazzoni. Per questa mostra sono stati studiati due percorsi didattici, uno che affianca alla visita dell’esposizione una passeggiata per le vie cittadine, alla scoperta di quel neogotico, l’altro vuol insegnare come si esegue un fondo oro: quest’ultima scelta
per esempio, pur essendo per i più interessante, non lo sarebbe per molti dei miei allievi della
sezione di pittura, perché già imparano a scuola questa tecnica. Lo stesso gruppo didattico del
Santa Maria, in occasione dell’esposizione dedicata a Duccio ed alla sua epoca, mostra ricchissima con qualche rischio di noia per visitatori non preparati data la tematica iconografica
ripetitiva (commento di una scolaresca romana “non preparata”, ultimo anno di liceo scientifico: “ma so’ tutte Madonne!”); lo stesso gruppo dicevo aveva preparato una visita, con opportuni tagli, incentrata sul ruolo della luce nell’arte gotica: evidentemente la scolaresca romana
aveva preferito il fai-da-te.
Passando dalla mostra al Museo, sempre a Siena abbiamo una Pinacoteca (alla quale
i gruppi turistici, quando va bene, dedicano mezz’ora: ma che vedranno?), che essendo la più
ricca collezione di fondi oro può essere ripetitiva: ecco quindi che sono stati progettati percorsi differenziati, per esempio uno esamina la vita quotidiana e l’abbigliamento all’interno di
alcune opere.
Particolarmente problematica può essere la visita ad un museo archeologico, o ad una
mostra di ceramiche o manufatti di carattere archeologico: ho trovato particolarmente efficace
a tale proposito la visita didattica effettuata al Santa Maria della Scala dalla stessa curatrice in
occasione dell’esposizione “Il vino di Dioniso, dei e uomini a banchetto”, che presentava manufatti provenienti da sepolture lucane, perché la stessa studiosa, Deborah Barbagli, mettendosi al
livello dei ragazzi che la ascoltavano, studenti della prima classe dell’Istituto d’arte, spiegava
loro l’uso degli oggetti, il rito, il mito, riuscendo a catturarne l’attenzione..
Significativa a Siena è l’opera del Museo per i Bambini, guidato da Michela Eremita,
della cui attività ne ha trattato Silvia Franco: il lavoro fatto da questa équipe, per esempio relativamente agli affreschi del Lorenzetti in Palazzo Comunale, o il tema “Viva la natura morta
evviva!”, trattato anche per i più piccoli, mi è sempre sembrato molto interessante e ne ho
riscontrato la validità.
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Nello scorso inverno mi è capitato di visitare a Milano una mostra molto complessa,
ideata da Flavio Caroli, intitolata Il gran teatro del mondo, l’anima e il volto del Settecento, che
aveva avuto l’ambizione di renderci l’idea della società nell’età barocca. Ebbene, la mostra
corredata da un catalogo smisurato era stata sintetizzata in un libretto ad uso di ragazzi dai 9 ai
14 anni, pensato dalla sezione didattica del Museo di Palazzo Reale, suddiviso nei settori di
immagini dedicato a: I ricchi, I poveri (ritratti), Uno sguardo sul mondo (ricchi e poveri dove
vivono? Guardiamo ambienti e paesaggio), Volti ed espressioni di uomini e donne, etc. Un
esempio, la “Lezione di ballo” di Pietro Longhi (Fig. 3): in un’elegante casa veneziana è l’ora
della lezione di ballo: “leggera danza la fanciulla al suono del violino, il maestro indica dove
mettere il piedino, la fanciulla esegue e segue il ritmo al suono del violino”.
Figura 3.
Pietro Longhi, Lezione di ballo, 1740, olio su tela (Venezia, Gallerie dell’Accademia).
Molto interessante mi è sembrato anche il percorso di cui mi parlava una collega di
educazione visiva relativo a Brera: qui dei piccoli allievi con un blocco di appunti avevano avuto
il compito di osservare i cieli nei dipinti e descriverli: una partenza assai efficace per definire
periodi e tecniche pittoriche, con spiegazioni adeguate all’uditorio. Sicuramente quei bambini
non si annoiavano e non si davano pizzicotti.
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X. PER UNA DIDATTICA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
L’attività del Palazzo delle Papesse di Siena
di Leonardo Scelfo
Il contesto in cui operiamo, il Centro d’Arte Contemporanea “Palazzo delle Papesse”,
può essere considerato un contenitore adatto a scoprire il piacere di gustare l’inconsueto; a differenza del Museo, infatti, il Centro non possiede, se non in minima parte, le opere e la sua funzione conservativa è circostanziata al periodo della mostra.
Ogni volta che i bambini giungono alle Papesse trovano un nuovo Palazzo: tutto cambia, gli allestimenti ridefiniscono e disegnano gli spazi in cui sono inserite nuove opere. La
certezza acquisita con l’esperienza precedente cade appena varcata la soglia d’ingresso e il piccolo visitatore si prepara periodicamente a ricreare dei legami relazionali con gli operatori e con
ciò che incontra. L’accettazione del mutevole e del provvisorio si pone, dunque, come un’esperienza educativa privilegiata per quanto concerne l’alterità; inoltre, la presenza di artisti internazionali potenzia l’avvicinamento verso nuove culture1.
In questo rapporto con l’alterità, con il diverso, o meglio con il piacere di scoprire ciò
che non conosciamo è racchiusa una delle funzioni maggiori che caratterizza l’esperienza formativa dell’arte contemporanea.
L’educazione all’alterità, a cui mirano gli interventi didattici, indipendentemente dalle
opere presenti in una determinata mostra, può essere considerata un motivo centripeto, che si
oppone alla tendenza centrifuga riscontrabile nel mondo della scuola che tende alla cristallizzazione dei saperi.
La sezione didattica del Palazzo delle Papesse opera con interventi articolati su vari
tipi di attività, interne al Centro, come la visita alla mostra, la visita animata ed il laboratorio,
mentre, nelle scuole realizza interventi di alfabetizzazione al contemporaneo e/o progetti richiesti
dagli stessi insegnanti.
1. La visita alla mostra
È propedeutica al laboratorio ed è finalizzata sia a fornire ai bambini le occasioni e gli
strumenti adatti a stabilire il rapporto fra opera e spettatore, sia ad arricchire il loro bagaglio di
conoscenze tramite l’apporto dell’operatore che, assecondando il processo conoscitivo avviato
nella prima fase, aggiunge ulteriori elementi contribuendo al completamento dell’esperienza.
La finalità primaria della visita è la ricerca attiva a cui tutti partecipano per concorrere
alla comprensione di un determinato aspetto, che generalmente coincide con il tema della
mostra; dunque, non un intervento frontale ed esclusivo dell’operatore che travasa conoscenze
su bambini passivi, ma un percorso di reciproco scambio e di svelamento.
Attraverso tale metodologia, dell’opera si colgono gli indirizzi di senso, mentre il
significato complessivo rimane oscuro, perché un’analisi esaustiva dovrebbe comprendere
molteplici aspetti e richiederebbe dei tempi di elaborazione molto lunghi.
Non esiste un modo univoco di leggere l’opera, ma certamente una delle possibilità che
più abbiamo sperimentato è quella della descrizione: quando i bambini descrivono un’opera —
come gli adulti — compiono implicitamente un atto di interpretazione della medesima attraverso un processo individuale di scelta e di selezione fondato su regole di priorità2.
1Le scolaresche che fin dall’inizio hanno partecipato alle attività didattiche del Centro d’Arte Contemporanea “Palazzo
delle Papesse” hanno avuto modo, nell’ambito della sezione Le Repubbliche dell’arte, di vedere opere di artisti
Israeliani, Tedeschi, Norvegesi, Finlandesi, Islandesi, Danesi e Svedesi.
2Vedi E. Panofsky, La prospettiva come forma, Feltrinelli, Milano, 1985.
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L’itinerario di visita può essere costruito, ma l’operatore deve essere pronto a cambiamenti di traiettoria sollecitati direttamente dai bambini, guidati attivamente e prevalentemente
dalla curiosità di scoprire gli “oggetti” inconsueti presenti nello spazio espositivo, perché tanto
più essi sono fuori dalla norma, tanto più attirano la loro attenzione.
La visita, dunque, può essere definita come un viaggio che dal mondo reale conduce
verso un mondo dei racconti o un mondo del possibile. L’opera contemporanea, infatti, deve
essere considerata come una sineddoche della vita: attinge e riproduce o produce ciò che già
esiste nella realtà, anche quando si relaziona a elementi astratti sia formali che concettuali.
Una metodologia che adottiamo spesso riguarda proprio il processo collettivo di
disvelamento di quegli elementi di un’opera che più si legano alla “vita”, all’esperienza quotidiana del bambino, per consentire di vedere nel nuovo e nel diverso una parte di noi.
La scoperta, dunque, di oggetti famigliari, di immagini note, di luoghi conosciuti, di
pratiche condivise genera nei piccoli visitatori un avvicinamento istintivo verso le opere, una
volontà di ritrovare elementi delle proprie conoscenze al di fuori di un contesto tradizionale di
riferimento.
Nel lavoro con l’attualità, perché gran parte delle opere presentate al Palazzo delle
Papesse sono state realizzate negli ultimi venti anni, la problematicità della ricostruzione
storica oggettiva risulta attenuata rispetto alle opere moderne o antiche, e la scommessa principale sta dunque nella possibilità di fornire le condizioni favorevoli di “percezione” in rapporto a quelle di altri sistemi culturali diversi dal nostro.
2. La visita animata
L’idea di utilizzare il teatro con una funzione didattica, in rapporto all’arte contemporanea, vede impegnati da circa quattro anni la compagnia laLut e la cooperativa Elicona all’interno del Centro d’Arte Contemporanea. Rispetto alla visita tradizionale, che si coniuga all’attività di laboratorio, l’uso del teatro consente una partecipazione attiva in cui i bambini diventano a loro volta protagonisti di una storia che intende approfondire un aspetto o il tema della
mostra.
Mediante il teatro, la creazione di una storia che diventa il filo conduttore della visita,
gli operatori innalzano il livello di attesa e di attenzione dei bambini, che entrano a far parte di
un processo dinamico che tende alla “lettura” collettiva dell’evento artistico. Ogni partecipante,
dagli attori ai bambini, ma talvolta anche il personale di sorveglianza e gli accompagnatori, contribuisce a vario titolo e con diversa intensità alla costruzione della storia.
La presenza nel racconto di codici misteriosi da interpretare o svelare diviene metafora di un analogo processo che i bambini devono compiere di fronte alle opere. Spesso i codici
si sovrappongono, vengono trasferiti dal narrato nelle opere o viceversa. Il percorso si definisce
come un’esperienza di stupore o di straniamento, dove gli accadimenti possono fluire lentamente o scaturire da azioni improvvise e repentine che costringono il bambino a ridefinire continuamente le regole di un dialogo che lo vede protagonista con gli altri (attori, compagni, storia, opere, spazio).
L’artificio della sorpresa, il momento culminante in cui la storia cambia registro, spesso sottolineato dalla musica, altera continuamente lo stato emotivo precedente e prepara il piccolo ad un’analoga situazione successiva. L’elemento ludico, che spesso è abbinato ad un
registro comico, si configura come una possibile soluzione di un dialogo o di una scena, ma è
sempre ricondotto all’interno della narrazione complessiva per evitare un allontanamento dalla
direzione di senso che si tende a fornire.
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3. Il laboratorio
L’attività di laboratorio è intesa come esperienza aggiuntiva e diversificata rispetto alla
visita guidata e ruota sulla convinzione che la conoscenza abbia anche un carattere praticocostruttivo. L’attività di laboratorio è sempre stata collegata direttamente alla mostra in corso
ponendosi di volta in volta come un’esperienza incentrata su una o più opere, su un artista o sul
tema dell’esposizione.
Nel laboratorio i bambini e gli insegnanti possono tramutare in “oggetti” le sollecitazioni ricevute nel corso della visita e acquisire nozioni fondamentali su procedimenti e
tecniche. La scelta dei materiali, degli strumenti, delle tecniche e dei supporti è indirizzata sempre verso le soluzioni meno usuali e più difficilmente riferibili ad una tradizione artistica.
L’esperienza del laboratorio è orientata a fornire possibilità tecniche e di azione, che
solitamente negli spazi scolastici vengono negate. Si tratta, dunque, di esperire mediante forme
nuove le infinite possibilità con cui si può pervenire alla costruzione di un oggetto.
Per brevità mi limiterò a presentare solo le attività svolte dal 2002 ad oggi, rinviando
per le precedenti alla pubblicazione LaborArte (Esperienze di didattica per bambini), a cura di
Massimo Sqillacciotti (Meltemi editore, Roma, 2004).
4. De Gustibus. Collezione privata Italia, 2/4-12/5/2002
La mostra intende mettere a fuoco pratiche e atteggiamenti collezionistici eterodossi,
che rivelano quella pluralità di motivazioni e atteggiamenti – esaltazione intellettuale, pratica
sentimentale, pulsione ossessiva, puro possesso – che sorregge il collezionismo dall’epoca antica ad oggi.
Il collezionista di storie. Jimmy è un “bambino grande” che ci vede malissimo; per
molti anni ha collezionato oggetti che la gente buttava via, riscoprendone la bellezza e custodendoli come tesori dentro la sua valigetta. Ma da un po’ di tempo la sua miopia è andata
aumentando fino al punto di impedirgli la sua più grande passione: contemplare gli oggetti della
sua collezione e scoprirne di nuovi. La sua ossessione è cambiata: non s’interessa più all’oggetto in quanto tale, ma alla storia che esso racchiude o che fa nascere nella sua immaginazione.
Dall’immagine sfocata delle cose Jimmy trae le parole per racconti brevissimi, che appunta a
caratteri cubitali su fogli bianchi, per poi conservarli, come nuovi oggetti da collezione, nella
sua valigetta. Per accrescere la sua raccolta si sposta di città in città; visita negozi, grandi
magazzini, discariche, mercati, mostre e musei: ovunque si trovano storie interessanti.
Al Palazzo delle Papesse Jimmy incontra un altro collezionista: è un ricco signore che
vive immerso nella sua raccolta di opere d’arte contemporanea, in compagnia di due buffi servitori. Jimmy, insieme ad una comitiva di bambini incontrati per strada, visita la casa del
collezionista, piena zeppa di oggetti preziosi e curiosi, riempiendo la sua valigetta di molte
nuove storie.
La natura dell’Arte. I laboratori sono preceduti da una breve visita guidata incentrata
sulle opere presenti nel Passeggio ed in particolare su White Bubble Ring di Richard Long, che
diviene protagonista di un semplice esercizio di schedatura.
In laboratorio i bambini e i ragazzi trovano dei Non site, cioè dei raccoglitori contenenti materiali naturali: ghiaia, sabbia, gesso, argilla, cera, carbone, etc. da utilizzare per la
realizzazione di un elaborato individuale.
Ogni partecipante può così scoprire le qualità cromatiche e plastiche dei singoli materiali e, mediante l’apposita scheda, indicare le sensazioni tattili, visive e uditive ricevute nel
corso della manipolazione. L’attività pratica si avvale come supporto di una tavoletta di legno
su cui sono disposti e organizzati sia bidimensionalmente che tridimensionalmente gli elementi e le forme.
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5. Olivo Barbieri - Elger Esser, Cityscapes/Landscapes, 13/9-17/11/2002
La mostra offre un nuovo sguardo su Siena e il suo paesaggio, che da sempre costituiscono una delle realtà più caratterizzate d’Italia nell’immaginario collettivo per la forza
urbanistica della città e l’armonia costruita del paesaggio circostante.
La strada per il cielo ha per protagonista un silente monaco visionario, che sogna di
poter salire al cielo. Al Palazzo delle Papesse lo strano personaggio incontra tre compagni che
decidono di seguire le sue orme: insieme intraprendono un viaggio caratterizzato da visioni
sfuocate che li condurrà nel sotterraneo dell’edificio.
L’intervento teatrale prende spunto dall’istallazione di Cildo Meireles (una lunga scala
di ca. 40 m. che collega cielo e terra) nell’Orto de’Pecci (al II p. del Palazzo delle Papesse erano
presenti i progetti degli artisti che nel 2002 parteciparono ad “Arte all’Arte”).
La scatola magica. In laboratorio i bambini hanno la possibilità di intervenire direttamente su un piano e attraverso la disposizione e la manipolazione di vari elementi e l’inserimento di oggetti eterogenei possono “costruire” un paesaggio personale.
Al termine, mediante delle camere stenopeiche, ogni partecipante cattura l’immagine
del proprio elaborato. In camera oscura i bambini seguono le fasi e i procedimenti per fissare
l’immagine su carta fotografica.
6. Christian Boltanski / Annette Messager, Faire part – Pudique, Publique, 07/12-02/03/2003
Christian Boltanski ha fatto del mondo del buio, delle ombre e degli spiriti il suo
mondo artistico, indagandolo e ricreandolo con gli occhi e i ricordi dell’infanzia, e con la stessa intensità delle emozioni del bambino che è in ognuno di noi.
Nelle opere presenti al Palazzo delle Papesse i temi più ricorrenti sono: la morte, la
malattia e l’abbandono, ma da sempre l’artista francese propone tali soggetti con finalità
apotropaiche.
L’eco delle parole. E´ la storia di Annete e Bole che da anni vivono rinchiusi nel proprio Palazzo confortati dai ricordi della propria esistenza, ma un giorno bussa alla porta una
chiassosa comitiva di bambini che ridona alla coppia il piacere di vivere…
Scacciaspiriti. Dopo una breve visita tra le opere presentate da Boltanski e Messager,
in laboratorio i bambini affrontano il tema della paura (intesa nella sua declinazione più leggera:
l’Horror), realizzando con materiali eterogenei degli amuleti e degli scaccia spiriti finalizzati a
tenere lontano ciò che li spaventa.
Al termine le ombre degli elaborati vengono proiettate sulle pareti della stanza e i bambini disposti in circolo svelano a turno il “senso” del proprio lavoro, la finalità implicita del proprio amuleto: scoprendo così involontariamente le proprie paure ricorrenti. Tutti gli elaborati
appesi al soffitto del laboratorio, conservati per tutto il periodo della mostra, formano un
enorme scacciaspiriti.
7. Melting pop, 15/03-25/05/2003
Nata dall’omonimo libro che Gianluca Marziani pubblicò nel 2001 per i tipi di
Castelvecchi, Melting Pop propone alcune significative combinazioni tra l’arte visiva e gli altri
linguaggi creativi.
1 x uno: i bambini dopo aver effettuato una semplice schedatura di un oggetto di forma
standard e colore neutro, lo personalizzano mediante l’uso del colore e l’applicazione di materiali eterogenei: cartone, spago, cotone, fogli di alluminio. Una volta terminata la decorazione,
ripetono la schedatura del manufatto. La comparazione collettiva delle due schede consente di
approfondire alcuni aspetti legati alla produzione degli oggetti d’arte.
Double-face: i bambini realizzano liberamente delle grandi decorazioni collettive su
supporti di carta e stoffa. Al termine i fogli vengono girati per mostrare il disegno di sagome di
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oggetti (scatole, custodie di cd, orologi) e di indumenti. Dopo aver ritagliato e montato gli abiti
e gli oggetti, i partecipanti scoprono che la propria decorazione è diventata parte integrante di
elementi tridimensionali. La riflessione conclusiva evidenzia come, talvolta, la creatività entri a
far parte involontariamente del circuito produttivo.
8. Jaume Plensa, Fiumi e cenere, 31/01-02/05/2004
Per la mostra senese lo scultore catalano ha selezionato un nucleo ristretto di lavori
recenti in cui spiccano delle istallazioni interattive, che sollecitano un rapporto diretto con il
fruitore e si sostanziano semanticamente solo se riescono ad attivare una relazione “d’uso”.
Dove sono le mie scarpe? E´ la storia di Mimmo, un bambino troppo grande, e dei personaggi e delle storie che nella vita gli hanno instillato dubbi buoni e cattivi. Nelle sale del
palazzo Mimmo percorre la sua infanzia buffa e difficile attraversando avventure di ogni
genere. Con sua grande sorpresa scopre che non tutto è come sembra e che la verità è uno strano oggetto. Il suo viaggio lo condurrà, infine, a un presente di luce e felicità. Sarà allora che
Mimmo si chiederà se tanta felicità non sia un rifugio o invece la ricompensa per il lungo viaggio; e imparerà che il dubbio non è solo un tarlo.
9. Carlos Garaicoa, La misura di quasi tutte le cose, 31/01-02/05/2004
Per la mostra senese l’artista cubano ha presentato alcune installazioni costituite da
vari modelli in materiali eterogenei che restituiscono l’idea di una città immaginaria.
La città dei bambini: in laboratorio i bambini hanno la possibilità di pianificare la propria idea di città indicando le linee guida a cui devono attenersi durante la realizzazione del plastico e alcune regole di convivenza civile per i virtuali abitanti dello spazio progettato. Un manifesto, in distribuzione gratuita presso il Centro, documenta i risultati del lavoro.
10. Alfabetizzazione al contemporaneo
Fino al 2003 l’attività di alfabetizzazione al contemporaneo è stata incentrata sull’attività dei grandi maestri delle avanguardie: Mirò, Klee, Mondrian, Kandinsky, etc., mentre nell’ultimo anno abbiamo individuato dei temi per approfondire il tema del linguaggio contemporaneo tenendo sempre presente l’attività svolta dal Centro e impostando i laboratori come
momento propedeutico alla visita.
10.1. Italo Calvino e Le città invisibili.
Le città invisibili non sono identificabili se non mediante la forza della fantasia, hanno
tutte un nome femminile come la nostra città e come essa sono in continua trasformazione tanto
che a volte se non la paragoniamo a delle cose, a degli animali o a dei sentimenti finiamo per
non riconoscerla.
Le splendide pagine di Calvino ci offrono l’occasione per pensare a “Che cos’è la città
per noi?”, guidano la fantasia verso la trasposizione visiva di parole, frasi e periodi in case,
strade e quartieri dell’immaginario. Scoprire la nostra città ideale, è scoprire noi stessi, è dar
forma ai nostri desideri, concretizzare le nostre paure in forme, colori e linee.
Il materiale riciclato consente di dare un volto alla nostra città collettiva frutto della
fantasia di coloro che vi hanno lavorato producendo un modello fatto di scambi di parole, di
ricordi, di sogni e di desideri che continuamente in ognuno di noi prendono forma e svaniscono.
Autore di riferimento Italo Calvino
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10.2. Dada, il caso diventa arte
“[…] Quando la conversazione sui fatti del giorno o le proposte per un intervento divertente o scandaloso nella vita di allora cominciava a perdere vivacità, eravamo soliti passare ai
giochi […]”. Giochi semplici, puerili, basati su poche regole essenziali come i Cadavere exquis
o Dessin Communiqué consentono di “liberare pienamente l’attività metaforica dello spirito”.
Gioco e fantasia si esaltano reciprocamente nell’incontro con il caso che ci libera dalle
regole fisse e dagli stereotipi che ci attanagliano nel quotidiano. Scrivere una poesia, operazione
complessa di composizione testuale, può diventare un’azione di scoperta di noi nell’altrove:
“Prendete un giornale. / Prendete un paio di forbici. / Scegliete nel giornale un articolo che abbia la lunghezza che voi desiderate dare alla vostra poesia. / Ritagliate l'articolo. /
Tagliate ancora con cura ogni parola che forma tale articolo e mettete tutte le parole in un sacchetto. / Agitate dolcemente. / Tirate fuori le parole una dopo l'altra, disponendole nell'ordine
con cui le estrarrete. / Copiatele coscienziosamente. / La poesia vi rassomiglierà”. Autori e
artisti di riferimento: Tzara, Breton, Duchamp, Tanguy, Masson.
10.3. Il giocattolo nell’arte
Il giocattolo non è un oggetto, è la nostra proiezione su di esso - non a caso il termine
contiene il suffisso io. Attraverso la fantasia tutto può diventare un giocattolo o, meglio, un
oggetto d’affezione.
Partendo da oggetti che hanno perso il loro uso originario e combinando parti eterogenee, nascono costruzioni personali che racchiudono già all’interno i nostri desideri, le nostre
paure, le nostre angosce libere dai condizionamenti che i giocattoli prodotti in serie inducono
in noi, anche quando le nostre “creazioni” sono improntate da finalità mimetiche rispetto ad
essi. Artisti di riferimento: Balla, Depero, Man Ray, Baj, Dine, De Dominicis, Steinbach,
Cattelan.
10.4. Caveau
Avere una propria stanza a disposizione, impossessarsene, colmarne gli spazi, valorizzarne i vuoti, tutto questo è offerto non senza il rischio del caos.
Una stanza sgombra viene ridefinita mediante l’idea collettiva dei partecipanti, che si
impossessano dello spazio inserendo elementi eterogenei: dagli arredi della scuola ai materiali
riciclati assemblati in grandi composizioni tridimensionali. Il contenitore architettonico diventa il luogo di un immaginario che si concretizza attraverso forme, colori ed emozioni. Artisti di
riferimento: Balla, Depero, Schwitters, Studio Azzurro, Corsini, Vedovamazzei, Middlebrook,
Bordoni.
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PROGETTO DI FORMAZIONE
PER OPERATORI DEL VOLONTARIATO
Operatore per la didattica museale
Seconda Parte
METODOLOGIE ED ESPERIENZE
NELLA DIDATTICA MUSEALE
I. IL PARCO ARCHEOLOGICO DI POGGIO IMPERIALE
di Luisa Dallai
1. Lo scavo archeologico di un villaggio altomedievale
L’apertura al pubblico del Museo e del percorso di visita allestito all’interno dell’area di
scavo di Poggio Imperiale rappresentano l’ultimo atto di un lungo progetto avviato nel 1991 dal
Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena, cresciuto all’interno dell’area di medievistica del professor Riccardo Francovich e diretto da Marco Valenti. Il luogo è
interessante per più motivi, sia storico-archeologici che museologici, e costituisce un esempio
riuscito di intreccio virtuoso fra ricerca, valorizzazione ed opportunità di lavoro. L’area è, infatti, al momento non solo un parco archeologico e un museo, ma ospita convegni ed iniziative
didattiche, ed è gestita da un folto gruppo di archeologi formatisi negli anni di cantiere sul sito.
Il museo ospita alcuni dei reperti rinvenuti sul sito ed è impreziosito da numerose
ricostruzioni grafiche che facilitano la comprensione delle diverse fasi insediative riconosciute
sull’altura; l’allestimento è, inoltre, arricchito da varie postazioni multimediali che consentono
approfondimenti tematici. Il sito, ancora sotto scavo, è un grande cantiere didattico, aperto per
l’intero periodo estivo, dove si incontrano e lavorano studenti provenienti da numerose università.
La storia del sito ed i dati archeologici sono editi sia in opere dedicate ad un pubblico
ristretto che su riviste e periodici destinati ad un target più ampio. Le note che seguono sono
tratte in particolare dalla rivista “Archeologia Viva” (Anno XVI, n° 61, 1997), dove Francovich
e Valenti offrirono una lettura diacronica delle fasi insediative di Poggio Imperiale:
“Il toponimo Poggio Imperiale identifica un rilievo collinare allungato, alto intorno ai
200 metri ed esteso per circa 12 ettari che chiude ad Ovest la cittadina di Poggibonsi: percorrendo la superstrada da Siena verso Firenze se ne può individuare il profilo sulla sinistra della
carreggiata. La superficie di Poggio Imperiale, delimitata dalle strutture di una fortezza
medicea mai portata a compimento, è stata destinata ad uso agricolo sin dal XVII secolo, ma
soprattutto ha rappresentato il centro storico originario di Poggibonsi e si propone come un’area
monumentale ed archeologica di grande rilievo. Qui, tra il 1155 e il 1270, era in vita il nucleo
urbano di Podium Bonizi, posto a controllo della Via Francigena, e ancora qui, nel 1313, Arrigo
VII (l’imperatore che aveva suscitato le speranze di riscatto politico di Dante) tentò l’edificazione di una nuova città, distrutta nel breve spazio di 5 mesi”.
Dal 1991 la collina è oggetto di studio da parte del Dipartimento di Archeologia e
Storia delle Arti dell’Università di Siena, in collaborazione con il Comune di Poggibonsi. Dopo
un’indagine preliminare, volta a comprendere la reale portata dei depositi archeologici conservati nella fortezza, dal 1993 ha avuto inizio uno scavo a lungo termine, accompagnato dopo due
anni da un progetto di parco archeologico e monumentale.
I risultati archeologici si sono rivelati di grande spessore: l’intervento ha mostrato
come la storia della collina abbia inizio con la fine del VI - inizi VII secolo d.C., tramite la fondazione di un villaggio frequentato ininterrottamente fino agli inizi del X secolo. La successiva forma insediativa fu poi rappresentata dal nucleo fortificato di Podium Bonizi, edificato alla
metà del XII secolo, trasformatosi in città di medio-piccole dimensioni agli inizi del XIII secolo e distrutto per mano fiorentina pochi decenni dopo.
L’area campione indagata mostra la presenza di un insediamento a lunga frequentazione, articolato in strutture di età longobarda (fine VI-VII/VIII secolo) e carolingia (IX-inizi
X secolo). Si tratta della realtà tipica di un villaggio altomedievale, che occupava uno spazio
minimo, pari a quasi due ettari, composto da capanne di legno, terra e paglia. L’alternanza di
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edifici riconosciuta denota l’esistenza di una realtà dinamica, in continua evoluzione, dove le
abitazioni non avevano lunga durata (una o due generazioni).
Figura 1.
Poggio Imperiale: i resti di una capanna.
2. Podium Bonizi: un complesso villaggio medievale
Il nuovo centro abitato di Poggio Imperiale, fondato nel 1155 dal conte Guido Guerra
il Vecchio della famiglia dei conti Guidi, doveva estendersi per circa quattro o cinque ettari. Le
difese erano costituite da una possente cinta, che attraversava longitudinalmente gli spazi a
sudovest, mentre a nordest esse sembrano essere state affidate alla conformazione del terreno
(quasi 100 metri di dislivello).
La parte sommitale era destinata agli edifici di potere. La zona ovest doveva ruotare
intorno a una piazza lastricata al cui centro era posto un pozzo (oggi scomparso) sovrastante la
grande cisterna rinvenuta in quest’area. La zona centrale era occupata, per gran parte, da un edificio con ampio porticato, esteso 23 x 9 metri e confinante con una strada lastricata, corredato
da una cisterna quadrangolare realizzata in travertino e da un silos da grano anch’esso in
travertino. Risulta indubbio il carattere signorile del complesso di questa zona centrale: tecnica
costruttiva, articolazione strutturale e infrastrutture di servizio sono chiari segni elitari e di
distinzione.
La zona ad est, probabilmente la superficie donata a Siena da Guido Guerra, era occupata dalla chiesa con campanile, che negli ultimi anni di vita del villaggio aveva tre navate,
abside quadrangolare e un’estensione di 19 x 48 m.; il resto dello spazio era occupato da residenze popolari.
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Figura 2.
Poggio Imperiale: due particolari della chiesa.
3. Dal nucleo feudale (1155-fine XII secolo) all’organizzazione comunale (inizi XIII secolo)
L’aspetto di Podium Boinizi iniziò a cambiare con la fine del XII secolo e gli inizi del
XIII secolo, anni in cui il centro si rese autonomo costituendosi come comune. A questo cambiamento politico-istituzionale seguì anche una trasformazione dell’insediamento, che intanto
aveva sviluppato un esteso borgo fuori dalle mura.
Pur lasciando inalterata la disposizione delle strutture di uso e di interesse comunitario
(la chiesa e la grande cisterna), le nuove esigenze portarono alla formazione di una zona usata
come grande emporio o centro di servizi, utilizzata dai molti viaggiatori in transito sulla via
Francigena, nonché dalla popolazione, stimabile nel primo ventennio del XIII secolo tra 5000 e
6000 unità.
Anche il palazzo venne completamente smantellato: dopo una iniziale costruzione di
lunghe case-bottega con ingresso a doppia arcata, alcuni anni dopo la zona fu investita da un
ulteriore intervento; una vera e propria lottizzazione programmata, nella quale si progetta un
nuovo quartiere composto da una bottega di fabbro, una casa a due piani, uno spazio aperto con
funzione ortiva o di giardino.
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4. Nello schieramento ghibellino
Nella prima metà del Duecento Podium Bonizi era una comunità in continua crescita;
d’altronde, sono proprio questi anni che rappresentano il suo periodo “aureo”, coincidente peraltro con l’investitura del titolo di città imperiale da parte di Federico II nel 1220. Questo si
lega alla partecipazione attiva alle vicende politiche toscane come caposaldo delle iniziative
imperiali e qualifica il luogo come centro di spicco dello schieramento ghibellino, con la presenza di una popolazione caratterizzata da grande intraprendenza imprenditoriale, impegnata in
una vasta gamma di attività. Sono questi dei chiari indizi del ruolo che l’insediamento ha assunto sul tracciato della Francigena: quello di una fiorente comunità di tipo cittadino.
Dal punto di vista delle strutture materiali, le trasformazioni cui il nucleo urbano andò
soggetto rappresentano anch’esse la testimonianza di uno sviluppo costante e l’adeguamento
della funzionalità degli spazi alla nuova realtà politico-istituzionale ed economica assunta in
questi decenni.
5. Fine di un centro ghibelino
Politicamente filo-imperiale e ghibellino, Podium Bonizi trovò la distruzione nel 1270
per mano fiorentina. Dopo la conquista di Carlo d’Angiò, la guelfa Firenze acquistò i diritti su
Podium Bionizi e vi pose un proprio presidio; un anno più tardi, spinta dalla calata in Italia di
Corradino di Svevia, la popolazione cacciò gli occupanti e si pose sotto la sua protezione. A
questo punto il destino di Podium Bonizi è inscindibilmente legato alla breve avventura dell’imperatore; nel 1270, a distanza di soli due mesi dalla sua morte, il castello venne espugnato
da Guido di Monfort, vicario generale di Carlo D’Angiò. Firenze pagò una grossa somma di
denaro per il diritto alla completa distruzione, che non si limitò alle difese ed agli edifici principali, ma pare essere stata totale. La cronachistica narra di abbattimenti di abitazioni, chiese e
dell’interramento delle fontane; la popolazione fu trasferita nel sottostante borgo Marturi
(l’odierna Poggibonsi). Nel 1313 l’imperatore Arrigo VII tentò di ricostruire la città, ma dopo
cinque mesi Firenze portò di nuovo morte e distruzione sulla collina.
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II. IL PARCO-MUSEO MINERARIO
DI ABBADIA SAN SALVATORE
di Luisa Dallai
1. Premessa
Il Parco-Museo minerario di Abbadia San Salvatore (SI) è allestito nella Palazzina
dell’Orologio, all’interno della miniera di Abbadia S. Salvatore; sin dalla sua ubicazione il
museo si è proposto di far ripercorrere la storia dell’estrazione e della lavorazione del cinabro
e del mercurio sull’Amiata: dall’antichità fino all’epoca più recente, della quale la miniera è
testimonianza evidente.
L’esposizione è pensata per fornire una lettura diacronica della storia della lavorazione
del mercurio ed al contempo allarga la prospettiva fino a considerare le implicazioni che la presenza di risorse a carattere minerario e metallurgico hanno avuto sulla formazione del paesaggio dall’epoca classica al medioevo.
Figura 1.
Il Museo Minerario situato nell’area della miniera dismessa.
Dall’antichità al Medioevo, all’epoca moderna e contemporanea, il percorso didatticotematico lungo la storia della tecnologia è affrontato con l’uso di pannelli, carte ricostruttive,
immagini e con la ricostruzione di un forno per la distillazione del mercurio basata su un’accurata descrizione della fine del XVIII secolo.
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Il fornetto, di cui è qui proposta la ricostruzione in scala, fu realizzato presso Selvena,
nella contea di Santa Fiora, nell’anno 1738, dal chimico e naturalista di Camerino Stefano
Mattioli, e venne descritto dal celebre naturalista Giorgio Santi nel corso dei suoi viaggi, per le
terre di Toscana, della fine del Settecento. Il disegno originale è opera del sig. Forconi. Questo
fornetto da distillazione doveva produrre circa 3000 libbre di mercurio metallico all’anno e
seguiva una procedura non molto dissimile dal tradizionale metodo della distillazione descritto
a metà del ‘500 nella Pirotechnia di Vannoccio Biringuccio. La tecnica impiegata si rifà,
dunque, ad una lunga tradizione nell’uso delle risorse cinabrifere di Selvena; già nel XIII secolo, infatti, alcuni documenti parlano dell’esistenza di una argenteria de Silvena, all’interno del
grande patrimonio della casata Aldobrandesca.
Figura 2.
Il disegno ricostruttivo del forno per la distillazione del mercurio.
2. Il mercurio secondo Vannoccio Biringuccio
“E’ l’argento vivo un corpo di materie fluenti quasi come quel de l’acqua, con una
lucente bianchezza, composto da la natura di sustantia viscosa e sottile, con molta sopra abundantia d’humidità, et frigidità insieme, il qual composito, secondo l’oppinione de filosofi
alchemici è cosa molto disposta a metallificare. Anzi dicano esser original seme di tutti i metalli,
il quale per mancharli la calidità et la siccità debita o il tempo determinato che se gli ricercha
non può coagularsi, et resta così nel lesser chel vediamo senza la forma di metallo et come cosa
imperfetta. Et ancho questi suttili investigatori per certi effetti chan considerato di lui, lhan
chiamato mercurio, forse per la similianza del suo pianeta, in quelli effetti del quale li poeti fabulizando vogliano che sia mezzo infra gli dei et gli homini. Così anchor questi vogliano che sia
questo infra li metalli perfetti facendosi prima materia minerale et forse anchor esser potrebbe
che così il chiamassero per esser come lui alato et fuggitivo, et per virtù della sua sottigliezza
potente a penetrare in tutte le cose come fa lo iddio mercurio, et adulcir anchor a sua posta dove
gli è messo" (V. Biringuccio, De la Pirotechnia, libro II).
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3. Il percorso diacronico all’interno del museo:
lo sfruttamento minerario dall’Eneolitico al Medioevo
3.1. Il Neolitico e l’Età dei Metalli
I giacimenti metalliferi amiatini furono interessati assai precocemente da ricerche
minerarie. La presenza del cinabro, utilizzato fin dal Neolitico, spinse alla scavo di gallerie e
cunicoli per raggiungere il prezioso colorante; tali cunicoli vennero in luce in buon numero con
i lavori minerari riavviati nei primi anni del nostro secolo. Nel corso di queste nuove ricerche
si effettuò anche il recupero di strumenti da miniera realizzati in pietra e corno, provenienti dalle
miniere delle Solforate, di Morone, del Siele e Cornacchino. Da queste ultime due località, nel
comune di Castellazzara, furono recuperati mazzuoli in pietra e zappette in corno di cervo, databili, per confronto con altri rinvenimenti spagnoli e portoghesi, fra la fine del Neolitico e
l’Eneolitico. Provengono dalla miniera delle Solforate una mazza in legno ed un tronco di abete
fossilizzato, quest’ultimo utilizzato come armatura di un’antica galleria.
E’ possibile che alcuni dei cunicoli scavati per la ricerca del cinabro siano serviti anche
alla coltivazione del rame, dato che il metallo poteva essere reperito in filoni all’interno degli
stessi depositi. A tale proposito va ricordato il rinvenimento di asce a margini rialzati e panelle
di rame e bronzo nei comuni di Castiglione d’Orcia, Abbadia S. Salvatore, Casteldelpiano Dai
comuni di Castellazzara, Castiglion d’Orcia e S. Fiora provengono manufatti in rame, bronzo
e ferro che testimoniano, oltre alla circolazione di oggetti metallici in molte località della montagna, una certa diffusione di ripostigli databili al Bronzo Antico - Bronzo Medio.
3.2. Gli Etruschi
Il massiccio amiatino caratterizza marcatamente la conformazione geomorfologica
dell’Etruria settentrionale interna. Le sue risorse minerarie tuttavia non trovarono in epoca
etrusca un utilizzo così ampio come attestato per il periodo Eneolitico; il cinabro venne, infatti, usato dagli Etruschi come terra colorante, ma se ne ignorano impieghi certi per la produzione
di metallo. Il controllo su questa zona montana, area di confine delle città etrusche di Vulci,
Roselle e Chiusi, pare concretizzarsi soprattutto nell’utilizzo delle sue risorse agricole e
boschive, e sembra caratterizzato da un limitato sviluppo insediativo nel lungo periodo che va
dall’ VIII al VI secolo a.C. Per questo aspetto l’Amiata non si discosta da quanto avviene in
molti altri territori dell’interno, valgano d’esempio i monti della Tolfa, la zona di Magliano, le
aree collinari del Massetano, tutti luoghi importanti per le risorse economiche che ospitano, e
che tuttavia conoscono un’evoluzione strettamente funzionale ai bisogni dei centri maggiori.
3.3. I Romani
Con il passaggio dei territori etruschi sotto il controllo romano, le risorse tradizionali
della montagna continuarono ad essere ampiamente utilizzate: è noto in particolare lo sfruttamento dei boschi. L’Amiata è sempre stata un ricchissimo bacino di approvvigionamento di
buon legname e la presenza di boschi di abete bianco, l’abies alba tanto apprezzato dai Romani
per la costruzione di case ed imbarcazioni, ne rese il potenziale economico di assoluto rilievo.
Nell’elenco delle città etrusche che furono chiamate a fornire aiuti per la spedizione di Scipione
in Africa nel 205, Livio ricorda Chiusi, Roselle e Perugia; ad esse era richiesto di procurare il
legno di abete per la costruzione della flotta: è assai probabile che questo legno fosse tagliato,
fra l’altro, anche nei boschi del monte Amiata.
Per quest’epoca non si hanno informazioni certe riguardo all’uso del cinabro locale,
mentre è nota la produzione di cinabro dalle miniere spagnole della Nuova Castiglia. Tale lacuna non stupisce affatto, poiché si inserisce nel generale sotto utilizzo delle miniere della peniso67
la a favore della concentrazione di attività estrattive nelle province di nuova acquisizione. La
penisola Iberica, in particolare ricchissima di giacimenti di rame e piombo, acquisita con la fine
della II guerra Punica, conobbe uno degli sfruttamenti minerari più massicci e duraturi della
storia antica, che si protrasse oltre la fine del II secolo d.C.
4. Lo sfruttamento minerario nel Medioevo
4.1. I metalli della montagna
Il Medioevo conobbe certamente l’utilizzo dei depositi minerari dell’Amiata, sia di
quelli cupriferi ed argentiferi, che dei minerali di antimonio e ferro. Quanto al mercurio, di esso
si conosce l’impiego come colorante, come rimedio medicamentoso e come elemento chiave
nella pratica metallurgica dell’amalgama per ottenere metalli preziosi. I frequenti richiami della
trattatistica tecnica di scuola senese alla disponibilità di questo metallo ne fanno presupporre un
reale e diffuso utilizzo nei vari campi di applicazione, e dunque se ne può dedurre che i giacimenti amiatini costituissero un reale bacino di approvvigionamento, ricco e facilmente raggiungibile.
4.2. Il ferro
Fra le risorse minerarie amiatine, quella siderurgica conobbe un particolare sviluppo,
legato in special modo alle lavorazioni metallurgiche.
Già in documenti di IX secolo compaiono i primi indizi dell’esistenza di fabri, cioè
figure professionali specializzate nella lavorazione del ferro, e si precisano aree a netta
vocazione siderurgica, come la valle del Lente, che manterranno questa loro caratteristica fino
ai nostri giorni. Si associa alla comparsa dei fabri la menzione di strutture produttive connesse
ad opere di regimazione delle acque, queste ultime necessarie per svolgere alcune fasi del
processo produttivo. Tali figure specialistiche rivestiranno a lungo un ruolo di particolare rilievo nella struttura sociale e produttiva amiatina; se ne ritrova eco nello statuto di Abbadia S.
Salvatore del 1434, che introduce tutele specifiche per la categoria dei fabbri.
A partire dal IX secolo molte strutture produttive furono controllate dall’Abbazia di S.
Salvatore, che ne promosse una diffusione capillare nel territorio. Con il XII all’abbazia di S.
Salvatore si affiancarono nuovi enti monastici, impegnati anch’essi a sviluppare attività economiche e manifatturiere sulla montagna, cioè il Monastero Camaldolese di S. Benedetto del
Vivo e l’Abbazia di S. Trinità di Montecalvo, espressione della potente famiglia degli
Aldobrandeschi. E’ utile ricordare che proprio gli Aldobrandeschi si distinsero, fra le grandi
famiglie, nell’acquisire territori a vocazione mineraria e nell’incentivarne la produzione sia
estrattiva che metallurgica.
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III. ARCHEOLOGIA URBANA:
IL MUSEO DELLA CONTRADA DELLA CIVETTA
di Luisa Dallai
1. Premesa
I musei di contrada sono estremamente vari ed enormemente eterogenei sono i reperti
in essi contenuti. Dal punto di vista archeologico i reperti ceramici di maggiore interesse sono
custoditi nel Museo della contrada del Nicchio, ubicato nell’area della città che, durante il
Medioevo, ospitava appunto le manifatture ceramiche, e quelli conservati nel Museo della
contrada della Civetta, che sono invece il frutto di un recupero di notevolissima importanza
avvenuto all’inizio degli anni Ottanta, nel corso dei lavori di ristrutturazione dello stesso museo.
Figura 1.
Localizzazione dell’area all’interno del tessuto cittadino.
La sede del museo, ubicato nel cuore del Castellare Ugurgeri e la qualità dei rinvenimenti, hanno consentito di ricostruire il corredo di una casa signorile senese del XIV secolo. La
struttura è situata all’interno del Castellare degli Ugurgeri; questo nucleo di edifici è legato alla
storia di una delle più illustri casate senesi originatasi, nel corso del XII secolo, dal trasferimento a Siena dal contado di un ramo della potente famiglia dei Berardenghi. Si tratta di uno
di quei fenomeni di inurbamento che parte della storiografia vede alla base della nuova rinascita delle città, dopo la crisi della tarda romanità; Volpe ad esempio cita il ruolo fondamentale
svolto, in primo luogo, dalla feudalità minore all’atto del suo inurbamento dalla campagna. Con
l’arrivo delle famiglie feudali, la città si popola di torri, diventa “città foresta”, secondo la
definizione di un altro insigne storico: Hearly. Queste città foreste si sono conservate più nelle
descrizioni pittoriche e nelle cronache che nella realtà, perché è fatto frequente che, all’affermarsi di un più forte potere centrale, la città si veda spogliata delle torri, simbolo dei differenti
poteri inurbati. Così avviene per Siena, per Firenze, per Bologna, solo per citare i casi più noti
ed a noi vicini.
I signori portano con loro alcune tipologie edilizie peculiari e ben riconoscibili ancora
oggi nel tessuto urbano: la casa torre, che spesso, ribassata, è oggi inglobata in più tardi palazzi
69
signorili, ed il castellare, vero e proprio nucleo fortificato riproposto all’interno di un insediamento più vasto. La zona scelta dagli Ugurgeri è cruciale rispetto al cuore delle attività urbane,
cioè il campo. In questa stessa zona del resto sorgono anche le abitazioni di altre potenti consorterie: i Rossi, i Salvani, i Tolomei e poco oltre i Malavolti, i Montanini e i Salimbeni. Queste
famiglie, al pari degli Ugurgeri, ribadiscono con le loro dimore isolate, simili a fortezze, una
forte esigenza di identità familiare e una precisa volontà di affermazione nell’ambito delle lotte
cittadine tra gruppi e consorterie.
I pezzi oggi conservati all’interno del museo della contrada sono stati oggetto di un
analitico lavoro di schedatura e valutazione operato dalla dottoressa Arianna Luna e dalla stessa pubblicato nel 1999.
Le note che seguono sono tratte dalla pubblicazione: “Nel corso dei lavori di restauro
presso la contrada della Civetta, è venuto alla luce un pozzo per lo smaltimento dei rifiuti
domestici” (edita in “Archeologia Medievale”, XXVI, pp. 411-427).
La struttura è situata presso l’angolo NE del castellare, in prossimità delle pareti
perimetrali del complesso, all’interno di un vano sotterraneo che doveva far parte degli ambienti di
servizio. All’interno del complesso monumentale degli Ugurgeri lo spazio doveva, infatti,
essere organizzato intorno alla corte centrale, sulla quale si aprivano le scuderie, i magazzini e
gli alloggi dei servi. Ciò che è rimasto visibile del castellare ci dà l’idea di una struttura addossata alla cinta muraria cittadina e caratterizzata da spazi verticali raccordati attorno alla
piazzetta centrale. Questo aspetto è naturalmente mutato nel tempo, in relazione all’evolversi
delle esigenze e delle condizioni politico-sociali della casata; ad esempio l’allentarsi dei vincoli
consortili e la conversione delle attività economiche verso la mercatura.
Figura 2.
Pianta del Castellare degli Ugurgeri con la localizzazione del pozzo.
2. L’indagine del pozzo
Nella prima fase dell’intervento, fino alla profondità di m. 6, il deposito ha restituito,
misto a terra e “tufo”, materiale di demolizione (pietre, mattoni, frammenti di intonaco), resti
di cibo costituiti da ossa animali e materiale ceramico, il tutto relativo a varie epoche comprese
fra il XVI e il XIX secolo.
Al di sotto dei 6 metri però il riempimento ha rivelato una maggiore uniformità tra gli
strati, sia per la qualità del terreno che per i reperti rinvenuti; scendendo in profondità, infatti,
è diminuita la presenza di pietre e mattoni, mentre sono aumentati i resti di ossa animali, le trac70
ce di cenere ed i resti di materiale escrementizio. I reperti rinvenuti in questa parte del pozzo,
inoltre, offrono un contesto omogeneo ascrivibile ad un arco cronologico relativamente circoscritto, che va dalla prima metà del XIV agli inizi del XVI secolo. In base a questo l’attenzione
si è concentrata sulla parte bassa del pozzo, che, tramite lo studio dei materiali e della loro
distribuzione nei vari livelli, è stato diviso in due fasi.
Nella parte più bassa del pozzo i rapporti quantitativi tra le classi ceramiche vedono
una considerevole percentuale di maiolica arcaica seguita dall’acroma depurata e dall’acroma
grezza, mentre la ceramica invetriata è presente in quantità più modesta.
Figura 3.
Il pozzo: disegno della sezione.
E’ importante sottolineare che probabilmente questa è la parte più integra del butto, quella che non ha subito sconvolgimento: il quadro complessivo dei rinvenimenti indurrebbe, quindi,
a collocare una prima fase d’uso della struttura a partire dalla prima metà del XIV secolo.
La continuità d’uso del butto nel corso del ‘400 sembra confermata, oltre che dal tipo di
materiali, anche dalla variazione dei rapporti quantitativi tra classi; in questi livelli, infatti, aumenta la percentuale di ceramica invetriata e diminuisce l’acroma depurata, l’acroma grezza e la
maiolica arcaica. A queste classi se ne aggiungono altre quali l’ingobbiata e graffita, e la maiolica rinascimentale, esemplificata da diverse produzioni, oltre alla maiolica con decoro “alla porcellana”, caratteristica della prima metà del XVI secolo. Riferibile alla stessa epoca, infine, sembra essere un piatto istoriato con la figura di Cristo benedicente, rinvenuto fuori contesto.
71
I materiali rinvenuti nel pozzo della Civetta sono esemplificativi delle produzioni note
per Siena e per il suo contado; il butto è risultato di interesse in particolare per la presenza di
un buon nucleo di forme in maiolica arcaica, tipica produzione ceramica con copertura stannifera e decorazione comunemente realizzata in ramina-manganese (verde-bruno), largamente
attestata in Toscana e a Siena fra la fine del XIII ed il XIV secolo.
Figura 4.
Maiolica arcaica: motivi decorativi principali con elementi geometrici e figurativi.
Figura 5.
Maiolica arcaica: motivi decorativi presenti sulle anse.
Un dato interessante è il rinvenimento, all’interno del butto, di maiolica cosiddetta di
prima fase, cioè la più antica, che confermerebbe la natura privilegiata del contesto analizzato,
visto che questo tipo di ceramica nasce come prodotto di pregio, per poi diffondersi ampiamente
nella fase matura della produzione.
72
IV. L’ATTIVITA’ DIDATTICA DEL MUSEO
DELLA MEZZADRIA SENESE
di Leonardo Scelfo
Per conto della Cooperativa Elicona nel 2002 ho avuto modo di progettare, in collaborazione con il preside Raffaele Jorlano e la professoressa Gabriella Mugnai, l’attività didattica del Museo della Mezzadria Senese di Buonconvento (SI).
L’intento di questa relazione è quello di mostrare il lavoro svolto in sede progettuale per
poi analizzare a titolo esemplificativo alcune delle attività realizzate in questi anni dalla sezione
didattica del museo1.
1. Le premesse teoriche e gli obiettivi della sezione didattica
La sezione didattica del Museo della Mezzadria mediante una serie di attività di laboratorio si propone, in collaborazione con gli insegnanti, di attivare una esplorazione guidata dell’oggetto di osservazione/studio, che metta in gioco l’emozione della scoperta, la fantasia, perfino il senso del rischio, attraverso il contatto immediato, anche sensoriale e corporeo con la
varietà ambientale, sociale e umana che il museo etnografico offre sollecitando composizioni e
riscomposizioni continue di dati, elementi, esperienze2.
In principio… l’attività didattica era stata strutturata in quattro ambiti principali:
A. MULTIMEDIALE
1. Laboratorio fotografico,
2. Laboratorio audio,
3. Laboratorio pc.
A.1. Laboratorio fotografico
Il mondo in una scatola. Percorsi fotografici nella realtà contadina di ieri e di oggi3
• Storia della macchina fotografica: dalle scatole magiche alle fotocamere digitali,
• introduzione alla fotografia attraverso alcuni fotografi-guida,
• lettura dell’immagine fotografica: ideazione di un progetto,
• percorso fotografico: attività di esplorazione e ricerca attraverso un mezzo che è
insieme strumento conoscitivo e creativo,
• la camera oscura: provini a contatto, selezione delle immagini da stampare, scelta
della carta e stampa,
• visione delle fotografie realizzate e commento.
1 Le
attività di seguito elencate sono state estrapolate da una più ampia progettazione, che prevedeva
ulteriori percorsi didattici ideati da Raffaele Jorlando e Gabriella Mugnai.
2 Cfr. Raffaele Jorlando, introduzione a Guida per l’insegnante, in attesa di pubblicazione.
3 Tale attività è stata oggetto della lezione pratica svolta al Museo della Mezzadria senese, Cfr. cap. seguente.
73
A.2. Laboratorio audio
Attività di gioco-verifica-approfondimento, nel corso della quale saranno sottoposti ai
ragazzi vari tipi di suoni e rumori legati ad oggetti, macchine ed animali pertinenti il museo e il
mondo mezzadrile.
1. Facciamo silenzio: i bambini saranno invitati ad ascoltare la sovrapposizione in continua ripetizione di una folta serie di suoni provenienti da un paesaggio immaginario e dovranno restituire le emissioni sonore ai legittimi proprietari cercando di eliminare tutto ciò che non
ha un’origine naturale. Individuate tutte le fonti sonore, l’operatore porrà fine al gioco, eliminando progressivamente l’audio e generando un profondo silenzio.
A chi si rivolge
Scuole Elementari e medie inferiori
Discipline interessate
Educazione Musicale
Azioni/attività
Durata
Abilità/requisiti
Saper ascoltare, Catalogare,
Scomporre, Ricomporre.
Obiettivi
Insegnare divertendo.
Potenziamento delle capacità
ricettive-uditive.
Ascolto di suoni eterogenei
2h
e riconoscimento di quelli legati alla natura.
Osservazioni
Per questa unità cfr. Il paesaggio invisibile.
Tabella 1.
2. A spasso nel tempo: il percorso, concepito come una sorta di viaggio nel tempo, condurrà i partecipanti attraverso i rumori di tutti gli oggetti che hanno osservato durante la visita
al museo, ordinati con un criterio tendenzialmente cronologico. A questi si aggiungeranno
anche molti altri suoni, scelti con l’obiettivo di favorire l’acquisizione di competenze di più elevata attualità potenziale (i partecipanti potranno ad esempio imparare a riconoscere il canto
degli uccelli tipici del nostro territorio).
A chi si rivolge
Scuole Elementari e medie inferiori
Discipline interessate
Educazione Musicale
Azioni/attività
Ascolto di suoni eterogenei
e riconoscimento di quelli uditi nel corso
della visita.
Durata
2h
Abilità/requisiti
Saper ascoltare, Catalogare,
Scomporre, Ricomporre.
Obiettivi
Potenziamento delle capacità
ricettive-uditive.
Osservazioni
Per questa unità cfr. Il paesaggio invisibile.
Tabella 2.
3. Costruiamo un paesaggio sonoro: i partecipanti avranno la possibilità di costruire un
loro paesaggio ideale composto da suoni e rumori. Ogni unità realizzata avrà carattere tematico, es. rumori e suoni della fattoria, rumori e suoni dei lavori agricoli, rumori e suoni della stalla, etc. Verranno ricostruiti così i contesti sonori legati al mondo della mezzadria. Gli strumenti impiegati potranno essere sia tradizionali che multimediali.
74
A chi si rivolge
Discipline interessate
Scuole Elementari, medie inferiori e
superiori.
Educazione Musicale,
Educazione tecnica.
Azioni/attività
Abilità/requisiti
Riconoscere e distinguere suoni e rumori,
Saper ascoltare, Catalogare,
Scomporre, Ricomporre,
Capacità di usare strumenti multimediali.
Durata
Dopo la visita al museo, divisi in ristretti
gruppi di lavoro, i partecipanti dovranno
ricostruire il contesto sonoro di un luogo o
di una attività del mondo mezzadrile.
Obiettivi
1-2 h
Potenziamento delle capacità
ricettive-uditive.
Osservazioni
Gli elaborati potranno essere raccolti in CD o in una banca dati. Per questa unità cfr., Il paesaggio invisibile.
Tabella 3.
A.3. Laboratorio pc
1. Caccia al tesoro: i ragazzi dopo una visita guidata tenuta da uno o più anziani del
luogo, o dagli operatori didattici, saranno invitati a partecipare ad una caccia al tesoro che si
avvarrà di vari strumenti multimediali come il CD sulla famiglia mezzadrile e i punti audio e
video presenti nello spazio museale e nei vari laboratori. I quesiti saranno forniti direttamente
sul pc e il reperimento degli indizi sarà realizzato mediante l’utilizzo di fotocamere digitali. Gli
oggetti fotografati saranno analizzati approfonditamente da un punto di vista tecnico e consentiranno di stabilire dei legami con proverbi, indovinelli e filastrocche popolari.
A chi si rivolge
Scuole medie inferiori e superiori.
Discipline interessate
Italiano, Storia, Geografia,
Educazione tecnica,
Educazione artistica,
Educazione Musicale.
Azioni/attività
Abilità/requisiti
Capacità di usare strumenti multimediali.
Durata
Obiettivi
Al termine della visita guidata, i
2-4 h
partecipanti saranno divisi in squadre e con
l’ausilio di strumenti multimediali (cd, video
e audio): dovranno risolvere quesiti
e compiere azioni per ottenere gli indizi
indispensabili per giungere al tesoro.
Verificare l’acquisizione delle conoscenze
minime relative allo spazio museale e
incentivare l’utilizzo di strumenti
multimediali.
Osservazioni
Tabella 4.
2. Scrivo anch’io: grazie al sito del museo le scuole potranno collaborare all’ideazione
di un ipertesto cooperativo. Dato uno spunto iniziale, i vari partecipanti remoti dovranno passarsi il testimone ed articolare la storia prevedendo anche l’apparato illustrativo. Del lavoro sarà
parte integrante anche il forum su cui i partecipanti potranno confrontarsi per analizzare e
valutare le scelte fatte.
A chi si rivolge
Scuole Elementari e medie inferiori
Azioni/attività
Creazioni di un ipertesto cooperativo.
Discipline interessate
Italiano, Storia, Geografia,
Educazione tecnica,
Educazione artistica,
Educazione Musicale.
Durata
Non prevedibile
Osservazioni
Abilità/requisiti
Capacità di utilizzare strumenti
multimediali.
Obiettivi
Incentivare l’utilizzo di strumenti
multimediali con finalità creative.
Tabella 5.
75
3. Navigando nell’ipertesto: sui computer del laboratorio potrà essere analizzato un
testo strutturato. Rispondendo correttamente alle domande, i partecipanti potranno accedere alla
pagina web successiva fino a giungere alla conclusione del percorso.
A chi si rivolge
Discipline interessate
Scuole medie inferiori e superiori. Italiano, Storia, Geografia,
Educazione tecnica,
Educazione artistica,
Educazione Musicale.
Azioni/attività
Analisi di un testo.
Abilità/requisiti
Capacità di utilizzare strumenti
multimediali.
Conoscenza del testo.
Durata
Obiettivi
Incentivare l’utilizzo di strumenti
multimediali e verificare le conoscenze
relative al testo e al mondo mezzadrile.
1 h.
Osservazioni
La collaborazione con il museo potrà proseguire nel tempo e prevedere progetti pluriennali
Tabella 6.
B. NARRATIVO
1. Affabulazione,
2. Teatralizzazione.
B.1. L’affabulazione
1. Ascolta chi parla: i bambini avranno la possibilità di ascoltare dalla viva voce di
anziani, esperti, testimoni, insegnanti, etc., fatti, episodi e consuetudini tipiche del mondo mezzadrile. Di questa sezione farà parte anche l’unità intitolata Mestieri di una volta, che verrà condotta da alcuni artigiani che illustreranno il proprio lavoro.
A chi si rivolge
Scuole elementari e medie inferiori.
Discipline interessate
Italiano, Storia, Geografia,
Educazione tecnica.
Azioni/attività
Dopo la visita al museo i bambini o i
ragazzi avranno la possibilità di scoltare
dalla voce di un anziano o di un esperto
una testimonianza relativa al mondo mezzadrile.
Abilità/requisiti
Ascoltare.
Durata
2 h.
Obiettivi
Comprensione di contenuti provenienti
direttamente dalla fonte.
Osservazioni
Questa unità è introduttiva ai Mestieri di una volta, cfr. “Laboratori tecnico-artistici”.
Tabella 7.
2. E se parlassero: i bambini, dopo aver visitato il Museo ed acquisito conoscenze
eterogenee sul mondo agricolo potranno liberare e sostanziare le proprie suggestioni dando voce
agli animali, alle piante e agli oggetti. A seconda dell’età e degli scopi prefissati dagli insegnanti, l’elaborazione dei testi potrà essere sia orale che scritta.
Orale: nella stanza del camino i bambini saranno invitati a raccontare una storia da loro
ideata, che potrà anche divenire frutto di un lavoro collettivo; potranno, ad esempio, dar voce a
chi solitamente non parla; inventare e raccontare alla classe la storia di un animale, di una pianta
o di un oggetto legati al mondo agricolo.
Scritta: il laboratorio potrà trovare logica prosecuzione a scuola o a casa. Ogni bambino avrà la possibilità di scrivere la sua storia, che poi potrà far pervenire al Museo.
76
Tramite il sito Internet sarà anche possibile realizzare dei working in progress: le classi di più scuole potranno così collaborare alla stesura di racconti e storie corredate di immagini e illustrazioni.
A chi si rivolge
Scuole elementari e medie inferiori.
Discipline interessate
Azioni/attività
Dopo la visita al museo i bambini, nella stanza
del focolare, potranno scambiarsi storie
fantastiche o reali.
Abilità/requisiti
Italiano, Storia, Geografia,
Educazione tecnica,
Educazione Artistica.
Le quattro abilità di base,
Divertirsi imparando,
Capacità di lavorare in gruppo.
Durata
Obiettivi
2-3 h.
Dare la possibilità al bambinbo di tradurre
in modo creativo le nozioni e le
suggestioni ricevute dal museo.
Osservazioni
I racconti dei bambini potranno anche essere trascritti e raccolti in piccoli quaderni, oppure divenire i canovacci per rappresentazioni teatrali.
Tabella 8.
B.2. Teatralizzazione
1. Il Teatro al Museo: il teatro entra nel museo. Attraverso visite animate guidate o spettacoli messi in scena da piccole compagnie sarà possibile, di volta in volta, approfondire uno o
più aspetti del mondo mezzadrile.
Tabella 9.
A chi si rivolge
Scuole elementari e medie inferiori.
Azioni/attività
Visita animata o spettacolo all’interno
dello spazio museale.
Discipline interessate
Educazione all’immagine,
Italiano, Storia, Geografia,
Educazione tecnica,
Educazione Artistica.
Abilità/requisiti
Capacità di osservare ed apprendere.
Durata
1 h per la visita animata.
Obiettivi
Approfondimento di alcuni aspetti del
mondo mezzadrile mediante l’animazione.
Osservazioni
La visita animata sarà effettuata dagli operatori. Per gli spettacoli è necessaria una collaborazione con la scuola.
Per quanto concerne gli spettacoli potranno essere reallizzati da e per il pubblico adulto, soprattutto nel periodo estivo.
2. 7 Personaggi in scena: con le scuole, con cui sarà attivata una collaborazione continuata nel tempo, sarà possibile mettere in scena uno spettacolo teatrale focalizzato sul mondo
mezzadrile. I testi realizzati nel laboratorio di scrittura creativa, grazie al coinvolgimento di uno
o più gruppi teatrali, saranno messi in scena. Le rappresentazioni aperte al pubblico, potranno
rendere partecipi gli adulti del processo di apprendimento dei figli.
Tabella 10.
A chi si rivolge
Scuole medie inferiori e superiori.
Azioni/attività
Realizzazione di un testo scritto, delle
scenografie e della “colonna sonora”.
Messa in scena dello spettacolo.
Discipline interessate
Educazione Artistica,
Educazione tecnica,
Educazione musicale,
Italiano, Geografia, Storia.
Durata
Nel corso dell’anno scolastico, con
interventi degli operatori in classe.
Abilità/requisiti
Le quattro abilità di base,
Stesura di un testo scritto,
Capacità di lavorare in gruppo,
Utilizzo espressivo del corpo.
Obiettivi
Utilizzo espressivo del corpo,
Imparare divertendosi.
Osservazioni
Questa unità è legata a 7 personaggi in cerca d’autore, cfr. Laboratori di scrittura e animazione.
Per la rappresentazione dei testi è necessaria una collaborazione protratta nel tempo.
Lo spettacolo diverrà l’evento conclusivo di un lungo percorso didattico.
3. Le Ombre raccontano: i testi ideati nei laboratori di scrittura creativa — cfr. C’era
77
una volta... — saranno rappresentati mediante le ombre cinesi. Data o ideata una fiaba, saranno ricostruiti con materiali semplici quali carta, cartone, legno e stoffa, i personaggi principali
e alcuni semplici elementi scenografici. Grazie ad una fonte luminosa, le ombre delle sagome
saranno proiettate su di un velario e daranno vita alla rappresentazione, che si avvarrà sia di
parti recitate che di inserti musicali. La realizzazione del laboratorio potrà essere condotta dall’insegnante usufruendo di testi, schede appositamente preparate e di un kit pronto all’uso,
oppure dagli operatori che guideranno il gruppo in tutte le fasi.
Tabella 11.
A chi si rivolge
Scuole medie inferiori.
Azioni/attività
Discipline interessate
Abilità/requisiti
Educazione Artistica,
Educazione tecnica,
Educazione musicale.
Capacità di lavorare in gruppo,
Produrre e recepire messaggi visivi,
verbali e musicali.
Costruzione tecnica
Durata
Obiettivi
Scelta una fiaba, si procederà a costruire le 2 h con l’apposito kit
sagome dei personaggi e a predisporre una
semplice sceneggiatura da rappresentare
mediante la tecnica delle ombre cinesi.
Se il laboratorio è condotto dall’insegnante
si ricorrera al Kit pronto per l’uso.
Stimolare la curiosità dei bambini verso
le fiabe.
Sollecitare la discriminazione sensoriale.
Insegnare divertendo.
Osservazioni
Tale unità è la logica prosecuzione del laboratorio di scrittura creativa: C’era una volta, cfr. B.1. Affabulazione.
L’apposito Kit, Le ombre raccontano è disponibile al Museo della Mezzadria.
4. Lo scenario luminoso: le storie inventate nei laboratori di scrittura creativa potranno essere rappresentate mediante l’utilizzo di una lavagna luminosa. I racconti che avranno per
soggetti i protagonisti naturali del mondo contadino, es. l’avventura di un chicco di grano, di
un’oliva, di un acino, etc., potranno anche essere mostrati dall’insegnante, che si avvarrà dell’apposito kit contenente i lucidi con i disegni. In tal modo si potrà spiegare facilmente le fasi
della vita e della lavorazione di molti prodotti della terra.
A chi si rivolge
Scuole elementari e medie inferiori.
Azioni/attività
Discipline interessate
Educazione all’immagine,
Educazione Artistica,
Educazione tecnica,
Italiano.
Durata
Laboratorio di scrittura creativa e
2 h se si ricorre al kit.
rappresentazione dei racconti.
Nel caso di un unico incontro l’ insegnante
potrà avvalersi del Kit.
Abilità/requisiti
Capacità di lavorare in gruppo,
Produrre e recepire messaggi visivi, verbali:
Ascolare, Parlare, Interpretare,
Disegnare e colorare
Obiettivi
Stimolare la curiosità dei bambini verso
i cicli naturali e le tecniche di
produzione agricole.
Sollecitare la discriminazione sensoriale.
Insegnare divertendo.
Osservazioni
Tale unità è legata al laboratorio di scrittura creativa: C’era una volta, cfr. B.1. Affabulazione
Qualora non fosse possibile svolgere l’intero modulo, l’insegnante si avvarrà del Kit, in tal caso i bambini avranno solo
un approccio ricettivo. L’apposito Kit, Lo scenario luminoso, è disponibile presso il Museo della Mezzadria.
Tabella 12.
C. LUDICO
78
1. Giocando si impara: attraverso alcuni giochi di squadra i bambini potranno lavorare
in gruppo divertendosi, mostrando le conoscenze acquisite relative al mondo mezzadrile e
all’organizzazione dello spazio museale. I giochi saranno anche un ulteriore strumento per l’acquisizione di alcune nozioni. Grazie all’attività ludica i partecipanti saranno motivati a manifestare quanto appreso senza temere il giudizio dell’insegnante o degli operatori.
A chi si rivolge
Scuole elementari e medie inferiori.
Discipline interessate
Azioni/attività
Dopo la visita al museo, i bambini, divisi in
più squadre, si dispongono sul grande tappeto
calpestabile e iniziano a giocare seguendo le
regole e le indicazioni degli
insegnanti o degli operatori
Abilità/requisiti
Educazione all’immagine,
Divertirsi imparando, Leggere.
Educazione Artistica,
Ascoltare, parlare,
Educazione tecnica,
Capacità di lavorare in gruppo.
Italiano, Storia, Geografia, Scienze,
Educazione Musicale.
Durata
Obiettivi
Verificare, attraverso il gioco, le
competenze acquisite sul mondo agricolo
mezzadrile e sull’organizzazione dello
spazio museale.
2h
Osservazioni
Per questa unità cfr., Il gioco del mezzadro, Il gioco dell’alveare e Il crucipuzzle
Tabella 13.
C.1. Esempi di giochi ideati
IL GIOCO DELL’ALVEARE
I partecipanti saranno divisi in due squadre: blu e rossa. Ogni squadra dovrà scegliere
la cella da cui iniziare il percorso. A seconda dell’età dei partecipanti, il gioco potrà riguardare
il riconoscimento dell’immagine nascosta dalla maschera o la risoluzione di un quesito legato
alla foto; ad ogni risposta positiva la cella prenderà il colore della relativa squadra. L’obiettivo
è formare una catena di otto celle del medesimo colore disposte verticalmente, orizzontalmente
o obliquamente e ostacolare gli avversari cercando di interrompere il loro percorso. Se la catena sarà rettilinea la squadra otterrà 10 punti, se invece risulterà spezzata i punti saranno 5.
Per le scuole materne sono previsti il riconoscimento dell’immagine presente nella foto
e semplici domande; per es. cosa mangiano i vitelli? In alcuni quesiti sarà anche richiesto di
scrivere, sugli spazi lasciati vuoti nella foto, il nome della cosa, della pianta o dell’animale rappresentati4.
Per le scuole elementari e medie sono previste domande relative al mondo mezzadrile:
per es. in che periodo dell’anno si svolge la vendemmia? Quale uva si coglie prima, la bianca o
la nera?
Figura 1.
Gioco dell’alvaeare.
4
Il Gioco dell’alveare é stato ideato da Elisabetta Scelfo (Elicona).
IL CRUCIPUZZLE
79
I partecipanti saranno divisi in due squadre: blu e rossa. Partendo dal tabellone con i
disegni, ogni squadra dovrà rispondere a dei quesiti legati all’immagine presentata. La risposta
esatta corrisponderà ad un’unica parola che dovrà essere rintracciata nel tabellone delle lettere.
Vince la squadra che indovina il maggior numero di parole nascoste5.
Figura 2.
Crucipuzzle.
D. TECNICO-CREATIVO
1. I colori della terra: il laboratorio è finalizzato a riscoprire le antiche qualità cromatiche delle terre che, opportunamente trattate, diverranno la materia prima per la realizzazione di elaborati artistici. Le singole terre es. tufo (ocra-giallo), terra di Siena (ocra-rosso),
creta (grigio), caolino (bianco), saranno utilizzate con funzione di pigmenti coloranti. Grazie ad
una carta geologica sarà possibile evidenziare la presenza sul territorio provinciale delle terre e
dei minerali in questione con riferimenti alle qualità fisiche e alle colture tradizionali. Dopo tale
analisi, condotta da un operatore didattico o dall’insegnante, con l’apposito kit si passerà alla
fase “creativa”: con bottiglie di plastica si costruiranno delle grandi matite contenenti sabbie
naturalmente colorate con le quali poter realizzare, su tavole di legno, composizioni e disegni
che potranno essere fissati con l’ausilio di colle.
A chi si rivolge
Scuole elementari e medie inferiori.
Azioni/attività
Realizzazione di elaborati artistici
con pigmenti naturali.
Discipline interessate
Educazione all’immagine,
Educazione Artistica,
Educazione tecnica.
Durata
4 h. La durata può essere ridotta se si
utilizza un disegno già pronto.
Abilità/requisiti
Osservare, Correlare, Scomporre,
Ricomporre, Catalogare, Classificare,
Disegnare, Immaginare, Creare.
Obiettivi
Stimolare la creatività e instaurare un
rapporto diretto con gli elementi naturali.
Osservazioni
A seconda delle finalità è possibile riprodurre paesaggi da opere d’arte, da foto o inventarli. Per maggiori informazioni su
questa unità, cfr. Le matite di sabbia. L’apposito Kit, I colori della terra è disponibile al Museo della Mezzadria.
Tabella 14.
2. Costruisci i tuoi balocchi: nel laboratorio artistico si potranno realizzare anche i tipici giochi in uso nelle campagne nella prima metà del Novecento, con l’impiego di materiali
poveri: per es. pannocchie di granturco, noci, legno, stoffa, cera, stoppa, sughero, carta, cartone
riciclato ed altro.
Accanto ai giocattoli veri e propri, si potranno costruire maschere e zucche antropo5
Il Crucipuzzle è stato ideato da Elisabetta Scelfo (Elicona).
80
morfe soffermandosi anche su particolari aspetti antropologici o sulle ricorrenze e le festività
durante le quali tali oggetti venivano impiegati. La realizzazione pratica sarà preceduta da dibattiti con gli operatori e incontri con gli anziani. I bambini potranno così sentire direttamente con
cosa e come ci si divertiva. Anche oggetti con precise funzioni, come gli spaventapasseri,
potranno essere costruiti puntando l’attenzione sull’aspetto creativo. I vari temi: gli spaventapasseri, le zucche antropomorfe, etc., saranno approfonditi anche con l’ausilio della letteratura
e della cinematografia relativa. Tali attività potranno essere realizzate al Museo o in classe
anche senza la presenza degli operatori, ricorrendo al kit nel quale sono spiegate ed illustrate
parte delle attività ludico creative.
Tabella 15.
A chi si rivolge
Scuole elementari e medie inferiori.
Azioni/attività
Discipline interessate
Educazione all’immagine,
Educazione Artistica,
Educazione tecnica,
Italiano, Storia.
Durata
Abilità/requisiti
Le quattro abilità di base, Catalogare,
Divertirsi imparando, Immaginare,
Creare, Costruire.
Obiettivi
Sperimentazione e creazione di alcuni
4 h.: 1 h per la visita e il dibattito con gli Conoscenza dei giochi del passato.
giochi del passato.
anziani o gli operatori e 3 h per la
Costruzione di semplici giocattoli.
realizzazione dei giocattoli o dei giochi.
Costruzione di maschere e spaventapasseri.
Osservazioni
Per questa unità cfr. Giocattoli poveri. L’apposito Kit, Costruisci i tuoi giochi, è disponibile al Museo della Mezzadria.
3. Un mondo di burattini: per una prima caratterizzazione dei personaggi, saranno
mostrati materiali ed elementi naturali eterogenei, dei quali i bambini potranno servirsi per
immaginare e iniziare a progettare i burattini. Per quanto riguarda la costruzione dei burattini
saranno utilizzati soprattutto elementi naturali cercando di stimolare la fantasia dei bambini sulle
possibilità di riutilizzo e combinazione dei materiali poveri e di uso comune. A questo scopo verranno mostrati loro semplici modelli esemplificativi (realizzati dagli operatori o da altri bambini) e alcune immagini di riferimento tratte dalla storia dell’arte (da Arcimboldi a Mirò), che possano fornire ulteriori spunti di composizione anche in senso allegorico e metaforico.
A chi si rivolge
Scuole elementari e medie inferiori.
Azioni/attività
Visita al Museo,
Elaborazione di un testo,
Costruzione dei burattini e del teatrino,
Realizzazione dello spettacolo.
Discipline interessate
Educazione all’immagine,
Educazione Artistica,
Educazione tecnica,
Educazione Musicale,
Italiano, Storia.
Durata
Visita al museo e introduzione al
laboratorio: 2 ore.
Costruzione dei burattini: 6 ore, che
possono essere divise in 2 o 3 incontri.
Elaborazione e revisione del testo:
2 incontri di 2 ore.
Realizzazione del teatrino e dei fondali:
2 incontri di 2 ore.
Commento musicale: 2 incontri di 2 ore.
Prove dello spettacolo: 2 incontri di 2 ore.
Abilità/requisiti
Le quattro abilità di base, Catalogare,
Divertirsi imparando,
Esprimere sensazioni,
Immaginare, Creare, Costruire.
Obiettivi
Sviluppare la creatività.
Produzione di messaggi verbali e visivi.
Riconoscimento delle differenze
cromatiche, volumetriche e materiche
dei materiali impiegati.
Osservazioni
Per questa unità cfr. I burattini. Alle varie fasi del laboratorio possono partecipare anche classi diverse di una medesima scuola.
Tabella 16.
4. I materiali e i mestieri di una volta: i partecipanti potranno apprendere da un arti-
81
giano, un esperto, un operatore didattico o, per mezzo di apposite schede, dall’insegnante stesso,
le fasi di lavorazione di uno dei seguenti materiali: ferro, ceramica, vetro, cera, cuoio e legno.
Alla fase teorica seguirà il momento di verifica durante il quale dovranno essere rintracciati nel
museo e successivamente schedati oggetti realizzati in un dato materiale. Guidati da un artigiano,
un operatore o, dalle apposite schede, i ragazzi potranno realizzare un semplice elaborato.
A chi si rivolge
Scuole elementari e medie inferiori.
Discipline interessate
Educazione all’immagine,
Educazione Artistica,
Educazione tecnica,
Italiano, Storia e Scienze.
Azioni/attività
Lezione su un determinato materiale e
sulle fasi di lavorazione.
Ricerca e schedatura di oggetti.
Sperimentazione della tecnica nella
realizzazione di un manufatto.
Durata
Abilità/requisiti
Osservare, Analizzare,
Confrontare, Schematizzare, Sintetizzare,
Immaginare, Saper prendere appunti,
Manipolare, Costruire.
Obiettivi
Acquisizione di conoscenze tecniche
attraverso l’ascolto, l’osservazione e la
pratica.
4h.
Osservazioni
L’apposito Kit, Materiali e mestieri di una volta, è disponibile al Museo della Mezzadria.
Il laboratorio può essere collegato ad Ascolta chi parla, cfr. B.1 Affabulazione.
Tabella 17.
2. Esempi di attività realizzate
Non tutte le attività progettate hanno poi trovato realizzazione per svariati problemi che
non sto qui a dettagliare, mi limito a esemplificare alcune unità di laboratori che sono state
svolte dall’attivazione del servizio didattico del Museo della Mezzadria Senese di
Buonconvento6.
2.1. I colori della terra
Il laboratorio è preceduto da un’analisi della carta geologica della Provincia di Siena,
che consente di evidenziare la distribuzione sul territorio delle terre e dei minerali ed evidenzia
il legame tra la composizione del suolo e le coltivazioni.
Dopo l’analisi teorica si riscoprono le antiche qualità cromatiche delle terre che, opportunamente trattate, divengono la materia prima per la realizzazione di alcuni elaborati.
Le singole terre, es. tufo, terra rossa di Siena, creta, etc., sono utilizzate come pigmenti
coloranti. Per mezzo di bottiglie di plastica si realizzano grandi matite di polveri, naturalmente
colorate, con le quali eseguiamo su tavole di legno composizioni e disegni, che vengono fissate
con l’ausilio di colle.
Nel corso del laboratorio viene spiegata l’antica origine di tali composizioni. I
Mandala, infatti, risalgono ad epoche remote e furono realizzati sia in Oriente che presso le
popolazioni Maya ed Azteche con finalità propiziatorie. Ancor oggi alcuni indiani Nahavo — i
pochi superstiti — usano polveri naturali per realizzare grandi composizioni da offrire agli dei.
Anche se nella cultura contadina non esistono analoghi riferimenti, è indubbio che il potere
colorante delle terre sia stato sempre sfruttato da artisti ed artigiani.
2.2. Come si realizzano le bottiglie
6 Rispetto
alle attività progettate nel 2002, la sezione didattica del Museo della Mezzadria ha nel corso di
questi 2 anni progettato e realizzato ulteriori percorsi tenendo conto delle specifiche esigenze delle scuole e del territorio. Tra i progetti più significativi vale la pena ricordare L’orizzonte nelle tue mani (Iniziativa
di Educazione Ambientale, Infea 2003).
82
E’ necessario procurarsi delle bottiglie di plastica da 1/4 di litro, asciugarne bene l’interno e praticare sulla sommità del tappo un foro con un punteruolo. La grandezza del foro
determina lo spessore del segno, che può variare a seconda del risultato che si vuole ottenere.
Si raccolgono tonalità di terre e sabbie eterogenee, che poi vengono setacciate con un
colino metallico per eliminare le impurità. Una volta imbottigliate si aggiunge un’apposita
etichetta su cui sono indicate le caratteristiche del contenuto, es. Creta proveniente da Asciano
(trattata da Mario Bianchi): colore grigio. Per aumentare l’intensità delle tonalità si possono
aggiungere delle polveri colorate, mentre per facilitare lo scorrimento si può inserire una base
neutra di sabbia.
Vista la difficoltà che incontrano i bambini nel disegnare a mano libera con la polvere
della bottiglia, è necessario realizzare il disegno della composizione da eseguire sul supporto.
Per conservare l’elaborato si stende, sul supporto in legno, un leggero strato di colla.
Figura 3.
Matite di sabbia.
2.3. Giocattoli poveri
I figli dei contadini non avevano giocattoli comprati nei negozi o costruiti dagli artigiani; erano abituati a costruirseli da soli con oggetti riciclati e con elementi naturali: bastoni,
foglie, ortaggi, etc.
Dopo aver raccontato come e con cosa ci si divertiva nelle campagne senesi, i bambini seguendo le istruzioni degli operatori e del kit potranno riscoprire il piacere di realizzare alcuni giocattoli tipici della cultura contadina. Ad esempio, con le foglie secche del granturco,
opportunamente annodate, è possibile costruire una piccola bambola o un pupazzo.
Figura 4.
Bamboline di granturco.
2.4. Il gioco del mezzadro
83
I partecipanti, divisi in più squadre, scelgono i caposquadra e i bambini-pedina. Le
pedine si sistemano sul quadrato centrale raffigurante la fattoria. Ogni squadra a turno lancia il
grande dado che fa avanzare le pedine. Ogni volta che ci si ferma su una casella, la squadra
dovrà rispondere, tramite il caposquadra, al quesito proposto. In alcune caselle la risposta
positiva consentirà di ottenere un particolare di un’immagine-puzzle; una volta ottenuti tutti i
pezzi il gioco è concluso7.
Figura 5.
Gioco del mezzadro.
Le domande riguardano i seguenti argomenti:
****
- gli animali e il loro impiego,
****
- gli attrezzi e i processi di lavorazione,
****
- i prodotti della terra e le varie fasi del lavoro agricolo (aratura, semina, raccolta, etc.),
****
- la cucina e l’alimentazione contadina.
7
Il Gioco del mezzadro è stato ideato da Barbara Chechi (Elicona).
V. IL MONDO IN UNA SCATOLA:
84
PERCORSI FOTOGRAFICI NELLA REALTA’ CONTADINA
Il laboratorio didattico del Museo della Mezzadria
di Leonardo Scelfo
La terra parla, racconta di quelli prima di noi,
di noi che viviamo ora,
degli altri che verranno dopo di noi.
Se l’ascolti la terra ti dice tante cose.
(Mario Giacomelli, La terra non muore: fotografie)
La fotografia ha a che fare con il passato e con il presente, ma soprattutto con il presente; il fotografo si muove, esplora, scopre il territorio e la vita che lo circonda; fotografare
significa instaurare relazioni.
Il laboratorio è stato strutturato in due o tre incontri (il numero degli incontri può
comunque variare in rapporto al tipo di progetto da concordare con gli insegnanti)1, che fanno
da introduzione e completamento all’esperienza fotografica diretta dei ragazzi sul territorio; il
Museo della Mezzadria di Buonconvento diviene così il centro da cui partire ed a cui tornare per
realizzare un percorso di ricerca attraverso il mezzo della fotografia.
Il primo incontro riguarda le “scatole magiche”: vengono presentate le immagini delle
prime macchine fotografiche e illustrati i procedimenti tecnici.
1. Struttura del laboratorio
Il laboratorio è preceduto dalla visita al Museo della Mezzadria di Buonconvento, che
consente ai ragazzi di familiarizzare con l’antico mondo contadino. Particolare attenzione è
riservata all’osservazione delle immagini d’epoca che documentano momenti e gesti del passato.
Primo incontro: Percorso fotografico
I° parte: introduzione alla fotografia, attraverso alcuni fotografi-guida come mezzo docu
mentario e espressivo;
II° parte: incentrata sul tema-progetto scelto dalla classe, con la visione di fotografie, la lettura
dell’immagine fotografica, il commento del progetto;
III° parte: abbozzo del progetto di percorso fotografico sul territorio (che potrà essere completato in classe con gli insegnanti) e appunti dei ragazzi su schede riguardo alla loro “intenzione” fotografica;
IV° parte: sarà compiuta dai ragazzi sul territorio; attività di esplorazione e ricerca attraverso
un mezzo che è insieme strumento conoscitivo e creativo.
Secondo incontro: La camera oscura
I° parte:
II° parte:
- provini a contatto,
- selezione delle immagini da stampare,
- scelta della carta e stampa.
- Visione delle fotografie realizzate e commento.
2. La scatola magica
1
Il laboratorio è stato progettato da Arianna Brunetti, Marina Giordano ed Elisabetta Scelfo.
85
L’esperimento proposto è incentrato sull’utilizzo di un apparecchio a foro stenopeico;
è lo strumento più elementare per formare immagini fotografiche e discende direttamente dalla
camera oscura. I pittori del Rinascimento si servivano di questo artificio per correggere e comprendere la prospettiva.
Figura 1.
Camera “oscura”.
L’obbiettivo viene sostituito da un minuscolo foro per lasciar passare la luce, le sue
ridottissime dimensioni ci costringono a lavorare per lunghe pose a causa della scarsa luminosità.
Se stiamo operando in ambienti chiusi con luce artificiale dobbiamo contare su lampade ad alto voltaggio (500 W.), mentre per esterni non ci sono vere e proprie regole da
rispettare, per giornate nuvolose è opportuno aumentare il tempo di esposizione.
Si consiglia normalmente di fotografare sempre in piena luce e scegliendo soggetti ben
contrastati; inoltre, è preferibile evitare il controluce, talvolta può aumentare il fenomeno della
diffrazione dovuto al foro minutissimo.
Poiché l’apparecchio non dispone di una lente per obbiettivo non richiede la messa a
fuoco; la profondità di campo è assoluta e tutti gli elementi contenuti nella composizione hanno
lo stesso grado di nitidezza.
Perché, dunque, cimentarsi oggi a fotografare con uno stenope? Senz’altro significa
fare un passo indietro rispetto agli attuali automatismi delle fotocamere moderne, capaci di
regolare la messa a fuoco, il tempo di esposizione, l’apertura di diaframma e il cambiamento di
focale.
Allo stesso tempo ci consente di entrare in contatto con la tecnica e la storia della
fotografia; le immagini prodotte si contraddistinguono per una certa morbidezza e richiamano
le autentiche foto d’epoca.
3. Trasformare una scatola in camera a foro stenopeico
Per poter realizzare la nostra “macchina fotografica” dobbiamo procurarci un qualsiasi
contenitore a tenuta di luce e anneribile all’interno, inoltre:
• dobbiamo aprire con il cutter uno sportellino nel lato corto della scatola (ipotizzando
che si tratti di un parallelepipedo, spesso vengono impiegate delle scatole da scarpe),
• nella parete opposta pratichiamo un foro largo quanto la testa di uno spillo,
• è preferibile annerire almeno tutte le superfici dell’interno della scatola e proteggere
gli angoli esterni con dello scotch nero da elettricista,
• infine, dobbiamo fabbricare un coperchio per coprire il nostro piccolo obbiettivo; se
pensiamo di seguire la sequenza delle operazioni con continuità può essere sufficiente
tenere premuto con il polpastrello del dito la parte da oscurare; altrimenti si consiglia
86
di applicare un pezzo di cartoncino o di stoffa nero resistente alla luce.
4. Sviluppo del B/N
Passiamo adesso alla fase dello sviluppo della carta:
• entriamo in una stanza buia o illuminata da lampade rosse per camera oscura e inseriamo
all’interno dello sportello un foglio di carta fotografica con il lato emulsionato rivolto
verso il foro,
• tenendo coperto l’obiettivo, posizioniamo la fotocamera di fronte al soggetto che
desideriamo “catturare” e attendiamo più o meno un quarto d’ora (il tempo varia a
seconda della quantità di luce presente durante l’esposizione),
• in questo intervallo di tempo i raggi filtrano dall’apertura e proiettano l’immagine
capovolta nella carta sensibile,
• terminata l’esposizione copriamo nuovamente il foro e ci spostiamo nella camera
oscura per estrarre il foglio fotografico,
• per rendere visibile l’immagine è necessario sottoporre la carta ad un trattamento
chimico; ci occorrono delle bacinelle e delle pinze (mettere sempre lo stesso acido
nella solita bacinella e non scambiare le pinze),
• dobbiamo disporre dei seguenti liquidi:
1. rivelatore per sviluppo,
3. fissaggio,
2. arresto (acqua),
4. lavaggio (preferibilmente in acqua corrente),
Figura 2.
Le fasi del trattamento e dei tempi dello sviluppo.
• immergere il foglio nella prima bacinella con il rivelatore e muovere il liquido per
facilitarne l’assorbimento (deve coprire l’intera superficie); quando riteniamo di aver
raggiunto il corretto sviluppo la solleviamo con la pinza e la gettiamo nel secondo con
tenitore per un breve tempo (la pinza non deve andare in contatto con gli altri
prodotti chimici),
• di seguito la immergiamo nel bagno di fissaggio per circa 3 minuti capovolgendo di
tanto in tanto la carta per ottenere un miglior risultato,
• l’ultimo passaggio riguarda il lavaggio della stessa sotto acqua corrente (se non
disponiamo nel locale di rubinetto e lavabo dobbiamo riempire un recipiente con acqua
pulita e sostituirla spesso se sviluppiamo più di una foto),
• appendiamo la foto e aspettiamo il tempo necessario affinché siano asciutte bene.
Ovviamente, la carta utilizzata ha svolto lo stesso ruolo che ha la pellicola quando
viene caricata nella “reflex”; se desideriamo vedere l’inversione al positivo dobbiamo stampare
un'altra foto con il metodo del contatto.
5. Stampa per contatto
87
Solitamente in fotografia si usano delle attrezzature sofisticate per stampare che si chiamano ingranditori e lavorano come un proiettore da diapositive.
Per sperimentare la stampa possiamo arrangiarci con materiali più semplici.
Procuriamoci una lampadina da 15/25 W. e una superficie trasparente opaca per diffondere la luce.
.
Figura 3.
Figura 4.
Ingranditore di fortuna costruito con
una scatola, un obiettivo e una lampada.
Schema generale di un ingranditore.
Se vogliamo stampare direttamente dal negativo è conveniente fabbricarsi un ingranditore fatto in “casa” come quello corrispondente alla Fig. 3.
Per effettuare la stampa a contatto è necessario:
• tornare nella camera oscura e accendere la luce di sicurezza (lampada rossa),
• prendere un foglio di carta vergine e poggiarlo su un piano orizzontale con la superficie
emulsionata rivolta verso l’alto,
• adesso collochiamo la foto in versione di negativo direttamente sopra il primo foglio in
modo che l’immagine venga in contatto con la parte emulsionata e poniamo una lastra di
vetro sopra entrambi per garantire la perfetta aderenza delle superfici.
• normalmente si eseguono delle provinature per determinare l’esatta esposizione; si tratta di
coprire con un cartoncino nero delle strisce della foto durante l’esposizione (iniziate con 3,
4, 5, 6, 7 sec.),
• una volta stabilito il tempo corretto per la stampa ripetiamo le stesse operazioni senza il
cartoncino e procediamo nuovamente allo sviluppo rispettando le solite indicazioni sopra
descritte.
Otterremo degli effetti sorprendenti e insoliti che non sono riproducibili con apparec88
chi automatici o digitali.
Figura 5.
Figura 6.
Negativo su carta ILFORD
10x15 cm. Gradaz. 1.
Provino di stampa a contatto.
6. Il laboratorio didattico al Museo della Mezzadria
Lavori realizzati dagli allievi
Buonconvento (SI), 4 dicembre 2004
Figura 1.
Figura 2.
Foto stenopeica — Positivo 1.
Foto stenopeica — Negativo 1.
Figura 3.
Foto stenopeica — Positivo 2.
VI.
Figura 4.
Foto stenopeica — Negativo 2.
89
SCENE DEL TEATRO POPOLARE
TRADIZIONALE TOSCANO
Il Museo Te.Po.Tra.Tos. di Monticchiello (SI)
di Francesca Profili
1. A cominciare dal nome, il TePoTraTos è un “museo” particolare. Allestire un museo
sul teatro popolare tradizionale non è stato certamente semplice: i costumi sono poveri, le
scenografie quasi non esistono. Come fare allora? Cosa mostrare? E come creare qualcosa di
diverso rispetto ai molti musei della civiltà contadina già esistenti? L’idea di Andrea Cresti
(progettista dell’allestimento ed ora direttore), ispirata anche dalle teorie dell’antropologo
Pietro Clemente, è stata quella di creare un “museo scenografico”: più che un museo un luogo
vivo che sia in grado, attraverso suggestioni audiovisive, sonore, illuminotecniche, artistiche, di
ricreare le atmosfere del teatro popolare toscano e del contesto culturale a cui questo è intimamente collegato, ossia il mondo contadino mezzadrile.
Figura 1.
Museo TePoTraTos, Sala reattiva: il pozzo, Monticchiello (SI).
Più che un museo, allora, il TePoTraTos è, almeno nelle nostre intenzioni, uno spettacolo
permanente. Per prima cosa, illustrerò qui di seguito la struttura del museo, poi parlerò di come
abbiamo organizzato la fruizione di questo museo-spettacolo e ne spiegherò le motivazioni.
Nell’ingresso si trovano otto televisori che trasmettono contemporaneamente immagini in
diretta da tutto il mondo; è il prologo del nostro “spettacolo”, è il mondo moderno da cui i visitatori arrivano e che subito si lasciano alle spalle entrando nel TePoTraTos. Un pannello scritto in versi (come erano sempre in versi i testi del teatro popolare toscano) ci dà un’idea del
soggetto trattato nel museo:
91
Scontri di cavalieri che cantando
combattevano con spade di legno
befanate falò e giri di questua
sono stati definiti
“teatro popolare tradizionale”
da uomini dotti
che li guardarono con distaccata curiosità
come relitti d’antichi riti
custoditi da ignari contadini.
Non compresero i dotti che quell’uso
di attendere la primavera
e cantare il maggio
e danzare e duellare sull’aia
era un modo di vivere la vita
e di sentire la bellezza e l’arte
della cui diversità
si arricchisce ancora il nostro mondo.
Subito dopo si entra nella Camera Oscura, ossia nella prima “scena”: nella penombra,
ci si può sedere o muoversi, si sentono voci e rumori di vita, si vedono immagini e oggetti di un
mondo che non c’è più. Gli oggetti vanno scoperti, nascosti negli anfratti delle pareti, sotto i
sedili, quasi fossero dei reperti archeologici; ogni tanto, prepotentemente, la realtà attuale torna
a riproporsi con ironici messaggi pubblicitari.
Dopo alcuni minuti una porta si apre e ci appare la seconda scena: il corridoio sonoro,
si attraversa uno spazio pieno di colori con immagini di dame, cavalieri, santi. Voci che declamano versi di Dante e Ariosto si alternano a voci che cantano brani di teatro popolare. Le storie dei Bruscelli o dei Maggi, infatti, sono spesso le stesse trattate dall’epica e dalla letteratura
alta. Non resta che dedicare qui qualche minuto ad un lento attraversamento.
La sala reattiva (la terza del percorso) è la più grande e la più ricca di “attrezzi di
scena”: due “concrezioni”, sculture che trattengono al loro interno come fossili alcuni oggetti
della vita contadina, dominano la sala. I pannelli di legno nascondono una grande raccolta di
oggetti da lavoro e di uso quotidiano dei contadini. C’è un pozzo al centro della sala, in cui
scorre il fiume della storia, dove affiorano frammenti di vita. Poi, avvicinandosi alle immagini
dei 12 mesi poste sul pavimento, si aziona la proiezione di documenti filmati e fotografici
relativi alle forme di teatro popolare, alle tradizioni o ai lavori che si svolgono o si svolgevano
nei vari periodi dell’anno in Toscana.
Dopo la sala reattiva si trova la sala delle figure in trasparenza, che suggeriscono che
gli attori di questi spettacoli erano uomini comuni, lavoratori, non professionisti e dove si
vedono anche alcuni oggetti di scena posti su delle stele. Poi…
Quando vorrai vedermi
guarda nel tuo cuore e mi vedrai
perché non c’è morte per i viventi
e noi siamo rami della medesima pianta
che ha le radici nel cielo.
La poesia di Piergiorgio Zotti ben si adatta al simbolo del TePoTraTos: una grande quercia, posta
al centro del museo, con i rami in basso e le radici in alto, puntate verso il cielo, verso il futuro.
92
Per raggiungere il “luogo delle radici” si sale la scala che abbraccia la querce posta al
centro; salita che può rassomigliare ad un lungo piano-sequenza, che consente di avere una
visione d’insieme di tutto l’allestimento; e, una volta giunti, si può assistere alla proiezione di
un breve filmato composto, in buona parte, dallo spettacolo che il Teatro Povero ha presentato
nella stagione 2002 e che affronta il rapporto tra la gente di Monticchiello e il museo. Il museo,
pur fortemente voluto dalla popolazione, ha stimolato riflessioni e perplessità: a Monticchiello
si è cercato di mantenere la memoria delle radici attraverso gli spettacoli teatrali, creare invece
un museo sulle radici contadine e sulle tradizioni (un museo è generalmente visto come qualcosa di morto e polveroso) ha fatto nascere il timore di essere diventati “pezzi da museo”, di
non essere più vitali, di non aver più nulla da dire; perplessità in gran parte cadute di fronte alla
realizzazione di questo museo.
Scendendo nuovamente al piano terra si trova la parte conclusiva, la sala del plastico,
che offre l’occasione per sapere qualcosa di più sul teatro popolare tradizionale: i pannelli riportano citazioni tratte dai testi degli studiosi di tradizioni e teatro popolare; al centro della sala un
plastico della Toscana ci mostra la diffusione geografica e temporale dello spettacolo
tradizionale e ci dà spiegazioni sulle sue varie forme; questo si può ottenere premendo i bottoni
posti sulla plancia del mobile e leggendo quanto compare sullo schermo del piccolo monitor
posto al centro.
A questo punto, terminata la visita, se si vuole, si può lasciare un segno della propria
presenza sul “quaderno” posto sulla mensola di fronte al plastico.
2. Le visite al TePoTraTos si svolgono con modalità differenti da quelle degli altri
musei; per cominciare hanno degli orari prestabiliti, proprio come gli spettacoli. Questo è dovuto al fatto che il museo è interattivo e che tutto è governato dai computer, finché non finisce la
visita della prima sala, perciò la seconda sala non si attiva; i tempi minimi di visita così sono
prestabiliti e non si può entrare se c’è un’altra visita in corso.
Anche il numero dei visitatori ammessi è limitato, per gustare lo “spettacolo” non si
dovrebbe essere in più di 6 o 7 persone. Quando si presentano gruppi, la visita viene organizzata in questo modo: il gruppo viene suddiviso in sottogruppi dei quali uno visita il museo e gli
altri fanno attività diverse, ad esempio una visita guidata della chiesa o del paese, oppure la
visione di registrazioni degli spettacoli del Teatro Povero di Monticchiello.
Queste attività non sono semplicemente modi di passare il tempo nell'attesa della visita al museo: bisogna pensare, infatti, che il TePoTraTos è situato nel centro del borgo, in una
sede ricca di storia e di significati simbolici (un ex granaio appartenente alla famiglia di proprietari terrieri per i quali quasi tutti gli abitanti del paese lavoravano, mentre ora è di proprietà
della cooperativa del Teatro Povero, che riunisce gran parte della popolazione). Il museo,
inoltre, è stato fortemente voluto dalla gente che ha “deciso” in questo modo di non perdere la
memoria delle proprie radici, potremmo dire perciò che il paese e il museo sono due parti di una
stessa entità, se non che l’intero paese è una sorta di museo vivo; in questa logica le visite al
paese trovano un senso come parti della visita al museo.
Bisogna ricordare, inoltre, che Monticchiello è sede di un fenomeno molto particolare:
il Teatro Povero, che dal 1967 elabora, scrive, mette in scena: crea uno spettacolo completamente nuovo ogni estate. Questo fenomeno non rientra nella categoria “teatro popolare
tradizionale”, che è il tema del nostro museo, è un teatro moderno; tuttavia c’è un collegamento importante: il teatro popolare ha cominciato a dissolversi (nonostante sia ancora ben radicato in alcune zone della toscana) negli anni ’50 ’60 con i cambiamenti sociali ed economici conseguenti alla fine della mezzadria; non aveva più senso continuare delle tradizioni così intimamente collegate al mondo contadino, al ciclo delle stagioni, al calendario, quando tutto questo
veniva a mancare.
93
Il Teatro Povero di Monticchiello, invece,
nacque proprio dalla dissoluzione del mondo mezzadrile: questo grande cambiamento aveva portato il
paese e le campagne circostanti a spopolarsi e la
gente a domandarsi: “chi siamo? Ex contadini?
Uomini moderni?”. Allora la gente di Monticchiello
trovò nel teatro un modo per aggregare la comunità
intorno ad un’attività comune, per esprimersi, per
affrontare i problemi dovuti a questi profondi cambiamenti, per non perdere le proprie radici culturali
(il mondo contadino è sempre stato uno dei fili conduttori del Teatro Povero). La scelta del teatro come
mezzo di espressione è stata influenzata dalla lunga
tradizione di teatro popolare presente nella zona. La
cooperativa del teatro povero di Monticchiello ha
avuto e realizzato l’idea del museo, acquistando il
granaio e gestendolo. Una sezione del museo in
futuro sarà, quindi, dedicata al Teatro Povero ed avrà
un’altra sede proprio per non confondere il teatro
povero con il soggetto principale del TePoTraTos,
ossia il teatro popolare; allora, vedere uno spettacolo
del teatro povero in attesa del proprio ingresso al
museo, ha un senso.
Figura 2.
Museo TePoTraTos, La concrezione, Monticchiello (SI).
3. Torniamo alle modalità di visita; il TePoTraTos è, per la novità dell’idea e per la particolarità del suo allestimento, un museo in grado di affascinare qualunque tipo di visitatore, il
tema trattato è però piuttosto specialistico e poco conosciuto. Un’introduzione alla visita si
rende perciò necessaria per due motivi: in primo luogo, il visitatore deve essere preparato a
questo tipo di “visita-spettacolo”; forse, in futuro gli allestimenti museali di questo genere
saranno di norma, ma fino ad oggi nessuno associa l’idea del museo a quello che si vede a
Monticchiello. Non vogliamo perciò correre il rischio che, con un approccio sbagliato, i visitatori non capiscano il senso dell’allestimento e abbiano la sensazione di essere in un’installazione di arte contemporanea, o peggio, in un luna park! Spieghiamo, quindi, che visitare
TePoTraTos non è come visitare un museo, è un’esperienza sensoriale che ci riporta nell’atmosfera del teatro popolare e nel suo contesto culturale e sociale. L’allestimento è “scenografico”, bisogna predisporsi perciò ad assistere ad uno spettacolo, anzi a partecipare ad uno spettacolo, dimenticando, anche se per breve tempo, la fretta; nelle sale, infatti, non soltanto ci si
immerge nelle suggestioni create dalle voci, dai suoni, dalle immagini che via via affiorano, ma
ci si deve anche muovere seguendo i suggerimenti della luce, che invita a curiosare dietro le
pareti lignee o che sottolinea angoli nascosti che pian piano si rivelano; si è invitati, insomma,
ad interagire con ciò che si vede e lasciarsi emozionare.
Il secondo motivo che ci induce ad introdurre la visita è il tema trattato; è necessario
spiegare cosa intendiamo per “teatro popolare” e qual era il suo contesto culturale. Spiegazioni
più accurate si troveranno nell’ultima sala del museo, ma un’introduzione è comunque necessaria per comprendere e gustare meglio ciò che si vede e si sente nel museo.
94
L’introduzione viene fatta in modo partecipato, vale a dire che generalmente questa stimola ricordi o associazioni di idee nel visitatore che interagisce con la “guida” in modo personale e amichevole, nessuna visita quindi è uguale ad un’altra.
I gruppi di studenti che abbiamo avuto finora hanno avuto un’introduzione storicosociale all’argomento fatta da ex mezzadri o comunque persone che hanno partecipato al teatro
popolare e che hanno vissuto in prima persona nel mondo contadino di cinquanta anni fa.
L’introduzione al percorso museale è stata fatta invece da personale specializzato e il tentativo,
spesso riuscito devo dire, è stato quello di stimolare la curiosità e l’interesse dei ragazzi verso ciò
che stavano per visitare e di scardinare il pregiudizio che associa sempre il concetto di museo alla
noia. Tutto questo si è svolto non in modo “conferenza” ma dialogando, stimolando i ragazzi a
partecipare attivamente. C’è da dire, inoltre, che abbiamo programmato per i più giovani una visita abbreviata, in modo che possano mantenere costante l’attenzione per tutto il percorso.
L’introduzione alla visita viene fatta generalmente nella biglietteria, un grande spazio
attiguo al museo, dove ci sono sedie e divanetti, che permette di creare un’atmosfera rilassata e
familiare tra visitatori e la “guida”.
Guidare i visitatori-spettatori attraverso il museo o no? Ci siamo spesso posti questo
problema. Il concetto di “museo scenografico” ci farebbe propendere per il no; si rischia infatti di interrompere la suggestione che si crea nel percorso museale e di dare un indirizzo preciso
all’interpretazione di ciò che si vede, cosa questa che mal si concilia con il concetto di “spettacolo”. In questa logica il visitatore riceve dei suggerimenti, assapora delle atmosfere e non è
necessario che “capisca” tutto ciò che vede, è sufficiente che sia stimolato a porsi delle
domande a cui cercherà poi di dare risposta nell’ultima sala (quella più didattica ed esplicativa)
o comunque ad interpretare gli stimoli che riceve. E´ anche vero però che chi entra in un museo
generalmente non vuole soltanto gustarne il contenuto, ma anche capirlo e talvolta approfondirlo. Nei primi mesi di apertura abbiamo cercato, analizzando le reazioni ed i commenti dei
visitatori, di trovare una soluzione o una mediazione tra le due esigenze.
Nelle prime due sale, considerando anche che è stata già fatta l’introduzione alla visita, a nostro parere è bene lasciare il visitatore solo, è bene che il primo impatto sia personale,
senza influenze e senza interruzioni, che sia una immersione totale in questa nuova dimensione;
un eccesso di spiegazioni poi rovinerebbe l’atmosfera e la suggestione.
Il discorso cambia per la sala reattiva, dove il problema della spiegazione di ciò che si
vede ritorna: il visitatore deve aver modo di dare la sua interpretazione delle concrezioni, o
anche solo di gustare senza interruzioni i giochi di luce e l’effetto scenografico della sala; deve,
muovendosi come meglio crede, curiosare e scoprire gli oggetti nascosti dietro ai pannelli, cercare di capire a cosa servivano, chi li usava; deve lasciarsi trasportare in un’altra dimensione
temporale da ciò che appare nel pozzo, senza interferenze da parte di una “guida”. Quando si
arriva ai filmati relativi alle forme di teatro popolare, alle tradizioni ed alle attività quotidiane
che si svolgevano nei vari mesi dell’anno, però ci troviamo di fronte ad una parte del museo leggermente “ibrida”, cioè i filmati non sono così suggestivi da non aver bisogno di alcuna spiegazione e non sono però sufficientemente spiegati. Questo era inevitabile nell’allestimento del
museo, la documentazione originale non è generalmente di “buona qualità tecnica”: i filmati
sono in gran parte amatoriali ed hanno lo scopo di documentare più che di affascinare (del resto,
non era opportuno stravolgere la loro natura di documenti per ottenere un effetto estetico); tuttavia, spiegare con troppe didascalie ciò che si vede sugli schermi sarebbe stata una cesura troppo evidente rispetto al resto del percorso museale.
Allora ci comportiamo così: il visitatore ha un’idea di ciò che vedrà dall’introduzione,
viene lasciato alle suggestioni nelle prime due sale, nella terza la guida interviene, ossia si fa
vedere e, a seconda delle reazioni dei visitatori, agisce di conseguenza: dà qualche accenno sull’argomento trattato dal primo filmato, ad esempio, e vede quale grado di “intervento” il visi95
tatore richiede, se preferisce essere lasciato alle sue sensazioni e alla visione dei filmati (non è
detto, infatti, che un museo debba trattare un argomento in modo esaustivo, può assolvere la
funzione di stimolare l’interesse per quell’argomento), oppure se fa domande ed esprime il
desiderio di approfondire ciò che vede. Il secondo caso è più frequente, è gratificante infatti
porre delle domande ad un esperto ed avere a che fare direttamente con una persona che ha contribuito a creare il museo.
La sala delle figure in trasparenza e il luogo delle radici, così ricche di simboli, riportano il visitatore nella dimensione spettacolare. Quasi nessuna spiegazione, allora, se non un
accenno al video che si vedrà e al Teatro Povero. La sala del plastico è chiara e semplice da
visitare, potremmo dire che è quasi la sala di un museo tradizionale.
Figura 3.
Museo TePoTraTos,
Corridoio sonoro,
Monticchiello (SI).
4. Il “guest book” è una parte che può sembrare marginale e che tuttavia ha una sua
importanza, il primo periodo di apertura è stato, infatti, un periodo di rodaggio e gli aggiustamenti che abbiamo fatto sono stati anche influenzati dai commenti dei visitatori; le loro reazioni
vengono raccolte non soltanto dal quaderno, ma anche a voce: il biglietto di questo “spettacolo”,
infatti, si paga alla fine del giro, un po’ come si faceva nel teatro popolare dove alla fine della
rappresentazione veniva fatta una questua; i visitatori sono così invitati a passare nuovamente
dalla biglietteria, dove il rapporto con la “guida” si protrae ancora per raccogliere le sensazioni
provate e le critiche ed anche per fare una sorta di indagine sul tipo dei visitatori (provenienza,
livello socio-culturale, etc.) e su come hanno avuto l’informazione dell’esistenza del museo, cosa
questa che ci serve per capire quale forma di promozione attuata sia più efficace.
Un discorso a parte meriterebbe l’organizzazione delle visite per gli stranieri, devo dire
che, avendo inaugurato il museo meno di un anno fa, dobbiamo ancora fare delle modifiche per
adattare un percorso di visita alle loro esigenze, abbiamo in programma, ad esempio, di inserire
nella camera oscura molti suoni e rumori del mondo contadino e di limitare il più possibile i
dialoghi (che sono ovviamente intraducibili) e di tradurre tutto ciò che si trova nella sala del
plastico. Naturalmente, l’introduzione storica e socio-culturale del soggetto trattato nel museo
con gli stranieri deve essere ancora più ampia e generale e prende più tempo, mentre per l’approccio alla visita e per la spiegazione dell’impianto teatrale del museo abbiamo stampato una
brochure.
96
VII. LA DIDATTICA NEL MUSEO DI STORIA NATURALE
DELL’ACCADEMIA DEI FISIOCRITICI
di Francesca Vannozzi
1. Presentazione del Museo dei Fisiocritici
La programmazione della didattica della scienza e l’individuazione dei percorsi didattici all’interno di un museo scientifico non possono prescindere da:
1. una preparazione scientifica di base,
2. la conoscenza dettagliata delle collezioni presenti nel museo.
A differenza, infatti, dei musei artistici dove la didattica da più tempo è stata puntualizzata, per i musei scientifici sono più recenti le proposte al riguardo, soprattutto perché
ancora la scuola non ha percepito il “museo” quale strumento funzionale all’insegnamento.
Non è pertanto la scuola che si è posta il problema di una nuova didattica scientifica,
quanto lo stesso museo scientifico che, per meglio organizzare le visite e per valorizzare le proprie collezioni, propone alla scuola moderne modalità di fruizione.
Il primo punto sopra citato è compito dello stesso operatore didattico, mentre per il
secondo punto si forniscono i seguenti dati sullo stato attuale dell’Accademia dei Fisiocritici:
“Fin dai suoi primordi l’Accademia ha svolto un ruolo di assoluto rilievo nella diffusione della
cultura scientifica attraverso la raccolta di esemplari e collezioni donati da professori
dell’Università e da studiosi.
Le collezioni si trovano in gran parte nelle gallerie del chiostro che si sviluppa su due
piani attorno ad una corte con pozzo del Cinquecento. Il loro allestimento in antiche vetrine
mantiene intatto il fascino di un criterio ostensivo ottocentesco. Il nucleo originario del Museo
fu costituito verosimilmente fra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento.
Per il prevalente carattere regionale delle collezioni, il Museo si configura come una
finestra da cui guardare la storia naturale della Toscana meridionale degli ultimi tre secoli. Si
articola in tre Sezioni. La Sezione Geologica comprende collezioni di minerali, rocce e fossili.
Importanti le collezioni composte da minerali e relativi prodotti metallurgici di varie miniere
della Toscana meridionale, sfruttate già dagli Etruschi ed ormai prive di attività estrattiva. Altre
collezioni di rilievo: Collezione di microfossili dell’Abate camaldolese Ambrogio Soldani della
seconda metà del Settecento, conservata negli originali e caratteristici contenitori; Collezione di
terre polari naturali e manufatte; Collezione di marmi antichi. Numerose le collezioni di
conchiglie e mammiferi fossili rappresentative del Pliocene senese.
La Sezione Zoologica si è formata progressivamente nel corso dell’Ottocento grazie al
lavoro di conservazione degli animali condotto nel laboratorio tassidermico, tuttora in attività.
Sono presenti esemplari di animali appartenenti a specie estinte o in pericolo di estinzione. Tutte
le collezioni hanno un costante incremento, in particolare quella dei mammiferi marini: il continuo recupero di esemplari morti spiaggiati sulle coste toscane costituisce un tangibile contributo della Sezione all’attività di ricerca del Centro Studi Cetacei Italiano, con cui esiste una
consolidata collaborazione.
La Sezione Anatomica è costituita dalla Collezione di parti anatomiche pietrificate da
Francesco Spirito agli inizi del Novecento, ma soprattutto dalla sala dedicata a Paolo Mascagni
(1755-1815). Di questo grande scienziato sono esposti: preparati anatomici umani che evidenziano i vasi linfatici, la biblioteca, i documenti di archivio, le tavole anatomiche incise e colorate
a grandezza naturale.
97
Altre collezioni del Museo: Collezione di funghi in terracotta, realizzata da Francesco
Valenti Serini (1795-1862) e costituita da 1800 esemplari di cui 800 esposti; Collezione
teratologica, comprendente alcune mostruosità animali; Collezione paletnologica, con
manufatti litici e utensili in rame e bronzo”.
2. La didattica della scienza all’Accademia dei Fisiocritici
La sfida del Museo dell’Accademia dei Fisiocritici è stata quella di proporsi,
nonostante l’allestimento ottocentesco e la datazione delle collezioni, quale strumento didattico valido per l’insegnamento attuale della scienza; in sintesi: può un museo storico-scientifico
proporsi oggi quale valido sussidio didattico?
La stessa argomentazione può essere posta da un altro punto di vista e cioè quello di
individuare le modalità didattiche da adottare per rendere valido l’approccio al museo scientifico da parte di una utenza quanto mai varia.
A tal scopo l’Accademia propone (forse sarebbe più corretto impone), soprattutto alle
scuole, la visita parziale del Museo, meglio ancora della collezione e/o della mostra permanente
al momento allestita. Nonostante, infatti, la scarsa comprensione da parte dell’insegnante di tale
scelta operata dal Museo, la classe è indotta a scegliere se visitare la Sezione Zoologica o la
Sezione Minerali-Fossili o la Sezione Anatomica. A queste tre opzioni se ne può aggiungere una
quarta nel caso della presenza di una esposizione temporanea.
Fatta la scelta, è l’operatore didattico che, in piena autonomia, imposta la visita; ciò
avviene perseguendo i seguenti obiettivi:
1. adeguare le modalità del linguaggio e il taglio scientifico all’età degli scolari,
2. indurli all’osservazione e al ragionamento,
3. sollecitare la riflessione e stimolare l’espressività orale,
4. usare le collezioni anche quale veicolo per capire i tempi dell’uomo e i tempi geologici,
5. sollecitare il raffronto tra problemi del passato e quelli del presente,
6. ricorrere al passato per spiegare il presente: es. il fenomeno dell’estinzione, la biodiversità,
la catena alimentare,
7. “usare” le collezioni del Museo per meglio conoscere il territorio senese: ambiente e fauna,
8. concepire il museo come struttura “viva”: es. il Centro Studi Cetacei dell’Accademia dei
Fisiocritici.
Il Dr. Ferruccio Farsi, responsabile delle visite guidate della Sezione Minerali e Fossili
e il Sig. Fabrizio Cancelli, responsabile per la Sezione Zoologica e del Laboratorio
Tassidermico, possono fornire all’operatore didattico esempi concreti delle modalità da loro
adottate per le visite guidate alle scuole.
98
VIII. IL LABORATORIO DIDATTICO
PER L’ARTE CONTEMPORANEA
di Leonardo Scelfo
1. Le “Forme dell’Invisibile” al Palazzo delle Papesse
La mostra Invisibile, a cura di Emanuele Quinz1, nasce da un’idea precisa: “le stanze
sono vuote. Lo sguardo spazia senza trovare ostacoli. Nessuna ombra sul pavimento: non ci
sono oggetti.
Eppure quando entri, quando varchi la soglia di luce in quell’angolo o quando alzi la
mano in quel punto, succede qualcosa. Intendi bene, non c’è qualcosa, ma succede qualcosa. In
un certo senso, è vero, se succede qualcosa vuole dire che c ’è qualcosa, ma vuole anche dire
che questo qualcosa non c’era prima. O che prima era invisibile”2.
Figure 1-2.
Lavori realizzati nel laboratorio per la mostra Forme dell’Invisibile.
Si tratta, dunque, di un’arte da esperire, da sperimentare a livello multisensoriale. Il piacere
della scoperta guida il visitatore che non può nascondersi dietro la propria atavica passività: non toccare!
Per una volta invece lo scambio relazionale, l’interattività, cioè la capacità di generare
uno scambio reciproco tra due soggetti, diviene atto fondante, imprescindibile alla fruizione dell’esposizione. L’eterna opposizione tra finzione e realtà trova in Invisibile un contesto conciliatorio: “ogni cosa è veramente reale soltanto se è anche una finzione”3 .
Nelle sale del secondo piano del Palazzo delle Papesse la tecnologia multimediale
risulta inscindibile dalle opere, che generano simulazioni indispensabili al sistema comunicativo da interpretare. Simulare non corrisponde a fingere o ingannare, è una nuova via che con1 La mostra Invisibile, Palazzo delle Papesse, Siena 9 ottobre 2004 – 9 gennaio 2005, comprende opere
interattive di Jean-Louis Boisser (Les Perspecteurs de Sienne, 2004), Hehe (Brix, 2001), Akitsugu
Maebayashi (Radio Room, 2004), Cristobal Mendoza (Untitled Mirror, 2003), Marcos Novak
(InvisibleSien(n)a: Eversive Fields, 2004), David Rokeby (Very Nervous System, 1968-2004), Antoine
Shmitt (Psychic, 2004), Jeffrey Shaw (The Golden Calf, 1994). Progetto speciale: Olafur Eliasson (The
uncertain museum, 2004).
2 E. Quinz, Invisibile, catalogo della mostra (Palazzo delle Papesse, 9 ottobre 2004 – 9 gennaio 2005),
Gli Ori, Siena-Prato, 2004, p. IX.
3 E. Garroni, Ogni cosa è veramente reale soltanto se è anche una finzione, “Telema”, n. 16, 1999, p. 11.
99
duce all’apprendimento fondato sull’esperienza sensoriale, anche quando manca il referente
materiale da poter toccare, annusare, vedere, ascoltare o assaggiare.
Figure 3-4.
Lavori realizzati nel laboratorio per la mostra Forme dell’Invisibile.
Il percorso didattico con diverse forme e strumenti, in relazione all’età dei partecipanti, mira dunque a sollecitare i piccoli visitatori verso una fruizione diretta, motivata e sensoriale delle opere presenti in mostra. L’accento cade in primo luogo sull’utilizzo, sull’attivazione
di processi simulatori e sul piacere di scoprire le poliedriche manifestazioni virtuali generate
dalle e con le opere.
Figure 5-6.
Lavori realizzati nel laboratorio per la mostra Forme dell’Invisibile.
“E’ riproducibile (quasi) tutto sensazioni comprese”4, quindi si può tentare di dare
forma anche all’invisibile, o meglio si può cercare di rintracciare gli aspetti meno noti della
realtà, rendere visibile ciò che vediamo con maggiore difficoltà come gli elementi microscopici che si perdono nel palmo di una mano.
Anche senza l’utilizzo di particolari tecnologie possiamo con semplici elementi (la
cornice di una diapositiva, fili, filtri colorati, semi, segni, piume, etc.) creare delle composizioni
che una volta proiettate in un ambiente buio sveleranno tutta la propria forza evocativa, rendendo visibili gli aspetti meno noti delle realtà a cui si riferiscono.
La capacità di leggere e descrivere le immagini imporrà uno sforzo interpretativo personale, ma il processo collettivo di disvelamento consentirà di scoprire parte di sé nell’altro5.
4
5
R. Saracco, E’ riproducibile (quasi) tutto sensazioni comprese. Non l’anima, “Telema”, n. 16, 1999, p. 24.
La sequenza di immagini e le relative descrizioni vocali dei partecipanti verranno proiettate per tutta la
durata della mostra all’interno del laboratorio
100
Figure 7-8.
Lavori realizzati nel laboratorio per la mostra Forme dell’Invisibile.
2. Il laboratorio didattico al Palazzo delle Papesse – Centro di Arte contemporanea
Diapositive realizzate dagli allievi
Siena, 27 novembre 2004
Figura 1.
Figura 2.
Figura 3.
Figura 4.
101
Figura 5.
Figura 7.
102
Figura 6.
Figura 8.
IX. L’ESPERIENZA DIDATTICA DEL MUSEO
D’ARTE PER BAMBINI
di Silvia Franco
1. Il Museo d’arte per bambini di Siena
Il Museo d’arte per bambini di Siena nasce nel
1998 e si colloca all’interno del territorio senese con
lo scopo di avvicinare ed educare la sua utenza ad un
“dialogo” con l’arte1. Ed è proprio in relazione con il
“dialogare” che il museo utilizza la modalità teatrale,
la musica, la danza e i più svariati linguaggi artistici
per entrare in quello delle arti visive. Parallelamente
all’opera viene preso in considerazione lo spazio,
inteso sia come luogo di collocazione dell’opera
all’interno del museo sia come luogo della visione
artistica. I due spazi risultano in relazione e creano
un processo continuo di entrata del visitatore nell’opera e di uscita delle “visioni” dall’opera stessa. In
questo senso il dialogo stimola e amplia la partecipazione diretta dell’utente ai momenti culturali ed
educativi proposti.
Figura 1.
Galleria del Museo d’arte per bambini.
2. La didattica animata
In questa sede ci limiteremo alla trattazione della didattica animata ed in particolare a
due esempi in cui il linguaggio teatrale viene utilizzato in maniera differente, ma strettamente
legato allo scopo intrinseco del museo: La natura morta evviva! e Un Amore di bambino.
1 Per approfondire i contenuti e le modalità del Museo d’arte per bambini consultare “Lungo la linea rossa: dallo spa-
zio del museo allo spazio dell’opera”. Quaderno di riflessioni n. 0, Aprile 2003. Progetto editoriale di Michelina Simona
Eremita, “Bambimus – Museo d’arte per bambini”, Via dei Pispini 164, 53100 Siena. Per l’attività del museo consultare il sito www.comune.siena.it/ bambimus.
103
2.1. La natura morta evviva!
Il percorso sulla natura morta è un viaggio attraverso il tempo, in cui viene presentata
l’evoluzione del genere pittorico: dal “500” al
“900”, da Caravaggio a Morandi passando per
Arcimboldi e Van Gogh. L’allestimento propone una galleria che si snoda lungo un corridoio. Alle pareti sono appese le riproduzioni
delle opere e subito sotto si trova il soggetto
del quadro in tridimensione. Il visitatore varca
la soglia del museo e si trova a contatto con lo
spazio museale ed alla necessità di una
fruizione particolare dello spazio stesso. Con
Figura 2.
il
percorso nasce “la linea rossa”: il limite di
Momenti del percorso teatrale
comunicazione
fra il pubblico e l’opera. Il
sulla natura morta.
visitatore si colloca in un luogo ideale di
osservazione: spazio di riflessione, di ascolto
e di dubbio. L’opera è dall’altra parte della
linea rossa, nel luogo della visione; ed è dal
luogo della visione che partono le voci delle
opere e appaiono i personaggi generati e usciti dal quadro. Il personaggio guida è Flora di
Arcimboldi, che si presenta e dialoga con i
visitatori. La presenza del personaggio risulta
un forte stimolo emotivo e porta i visitatori ad
entrare nel mondo della natura morta, dove le
opere non sono affatto morte, ma mettono in
risalto il loro vissuto sia storico che emotivo: parlano di se stesse, ma anche del loro pittore e
della mano che le ha prodotte. Infatti, dopo Flora, creazione artistica, appare il pittore Vincent
Van Gogh che parla della sua vita, del suo modo di fare pittura e della sua fonte d’ispirazione.
In questo percorso vi è uno stretto legame fra l’affabulazione dell’attore e l’opera da
conoscere: l’attore diviene il ponte fra il quadro e chi lo osserva. In tale contesto il percorso attoriale è legato ad una attenta fase progettuale e di scelta delle modalità di comunicazione: l’attore deve entrare nel progetto non solo come personaggio, ma come personaggio attivo nel
senso che abbraccia l’idea progettuale e la trasmette ai diversi gruppi di visitatori con cui entra
in relazione. Vi è uno spazio di improvvisazione legata alla partecipazione attiva dei gruppi, che
deve essere gestita dall’attore senza uscire dalle finalità dettate dal progetto. In questo senso
l’attore deve avvicinarsi al pubblico con attenzione ed energia comunicativa.
Legata alla fase affabulativa vi è poi quella laboratoriale, dove i partecipanti producono le loro nature morte. Il laboratorio pratico diventa il momento della rielaborazione e
della sperimentazione di un linguaggio pittorico: continuano ad entrare nel mondo della visione
dando la loro personale interpretazione. Quindi, il percorso sulla natura morta utilizza il linguaggio teatrale in senso “classico”, in quanto crea un personaggio che entra in relazione con
l’opera e con il pubblico.
104
2.2. Un Amore di bambino
Diverso è il caso del percorso sulla scultura Un Amore di bambino, che nasce dal
Cupido di Fulvio Corsini. Il percorso prevede un lavoro sul corpo che utilizza tecniche di didattica teatrale per approdare alla lettura della scultura. In questo caso il visitatore si trova di fronte
ad un originale e ad un’opera che racchiude la visione dell’artista e il mondo del mito.
Il lavoro procede per gradi:
1. si parte da esperienze individuali legate alla conoscenza del proprio corpo ed alle sue possibilità di modificazione nello spazio;
2. si passa per un percorso di creazione legato alla scultura e si introduce il tema del mito;
3. si arriva alla scultura di Fulvio Corsini. La fase finale racchiude diverse modalità di approccio all’opera stessa.
Figura 3.
Fulvio Corsini, Cupido (scultura).
Seguendo le tracce dell’analisi del proprio corpo:
1. si assume la posizione della scultura per analizzare la forma, la leggerezza o la pesantezza, etc.,
2. si posiziona il corpo per dare un connotato emotivo,
3. successivamente si introducono gli elementi propri del personaggio,
4. visione d’insieme dell’opera e pensiero dell’artista.
Il visitatore entra in contatto con un mondo altro, di invenzione, che sperimenta prima
con il suo corpo: diventa materia e scultura; egli è attore, nel senso di colui che agisce e assume
svariati ruoli: creatore, forma, materia, volume, spazio, colore.
Dopo la fase di sperimentazione individuale si passa alla fase di rielaborazione dell’esperienza e ad una verifica in cui il vissuto viene utilizzato per procedere ad una lettura sia
formale sia emotiva dell’opera di Corsini.
In questo percorso il teatro diventa un mezzo di esperienza individuale e di conoscenza diretta senza la mediazione dell’attore e porta il visitatore a fare un viaggio su se stesso e
sulla sua capacità di produrre visioni per arrivare ad una delle tante visioni generate dal mito:
Cupido di Corsini.
105
PROGETTO DI FORMAZIONE
PER OPERATORI DEL VOLONTARIATO
Operatore per la didattica museale
Appendice
MATERIALI DI SECONDO LIVELLO
SULL’ATTIVITA’ FORMATIVA
1. RELAZIONE DI MONITORAGGIO E VALUTAZIONE
DELL’ATTIVITA’ FORMATIVA
di Laura Bozzi
Operatore per la didattica museale
Nel periodo di novembre-dicembre 2004, presso l’Arci di Siena, si è svolto il corso di
formazione Operatore per la didattica museale, promosso dal CESVOT ed organizzato
dall’Associazione “la collina”, in collaborazione con la coop. OPUS ed il patrocinio
dell’Amministrazione Provinciale di Siena.
Il corso, della durata di 40 ore, si è rivolto agli Operatori delle Associazioni di
Volontariato senesi. Al termine delle attività sono stati somministrati due questionari, finalizzati a conoscere il livello di gradimento dell’offerta formativa ed il livello di apprendimento dei
partecipanti.
Gli indicatori utilizzati nei due questionari consentono, inoltre, di rilevare il livello di
qualità percepita dagli allievi in termini di efficienza ed efficacia dell’intervento formativo.
1. Dati sui partecipanti
Sesso ed età
Hanno partecipato agli incontri 16 allievi, di cui 12 donne e 4 uomini, di età compresa tra 23 e 50 anni. L’età media è di 34,5 anni.
Maschi
Femmine
Esperienze di volontariato
Dieci partecipanti hanno avuto esperienze di volontariato e/o sono membri di
Associazioni come ARCI, AVIS, Misericordia, Legambiente, Auser, Gruppo Archeologico
d’Italia, Gruppo 334, GAF LDF, Pubblica Assistenza, Associazione Murlo Cultura.
Titolo di studio
Gli allievi sono tutti diplomati: otto di loro
hanno conseguito una laurea, cinque allievi
frequentano percorsi universitari di specializzazione, master e laurea di secondo livello.
Quindici allievi su sedici hanno frequentato in
precedenza corsi di formazione.
Laurea
Maturità
109
Status professionale
Otto allievi sono occupati: cinque impiegati, un insegnante, un giornalista, un
disegnatore meccanico. Due allievi sono disoccupati; uno è in cerca di prima occupazione ed
uno è pensionato. Un allievo è studente e un altro è praticante presso uno studio di avvocati.
2. Motivazioni
La quasi totalità degli allievi dichiara di aver deciso di frequentare il corso perché
crede nell’importanza della promozione della cultura e del patrimonio culturale.
Dal grafico emerge, inoltre, che 11 allievi si sono iscritti al corso per acquisire
conoscenze e tecniche per la didattica museale.
PERCHE’ HA DECISO DI FREQUENTARE QUESTO CORSO?
Perché credo nell’importanza della promozione
dei musei
6
2
Perché mi interessa conoscere le tecniche per
ladidattica museale
8
Perché mi interessa capire le metodologie della
formazione per i beni museali
6
Perché credo nell’importanza della promozione
della cultura e del patrimonio culturale
11
14
Perché mi interessano le tecniche di
comunicazione didattica
5
Per curiosità
Altro
3. Aspettative
Alla domanda Cosa pensa di ottenere attraverso il corso? Quattordici allievi hanno
risposto “Accrescere il mio bagaglio culturale”. Dieci di loro desiderano acquisire competenze
e conoscenze utili per realizzare iniziative che sensibilizzino alla cultura museale e competenze professionali spendibili altrove per la propria carriera formativa/lavorativa. Due allievi
desiderano acquisire attraverso il corso le capacità e le conoscenze per realizzare un proprio
progetto di formazione per i musei; due allievi hanno espresso l’esigenza di acquisire un
riconoscimento formale per la frequenza alle attività di formazione.
COSA PENSA DI OTTENERE ATTRAVERSO IL CORSO?
Un riconoscimento formativo
1
2
14
2
10
Le capacità e le conoscenze per realizzare un
mio progetto di formazione per i musei
Competenze e conoscenze utili per realizzare
iniziative che sensibilizzino alla cultura museale
Competenze professionali spendibili altrove per
la mia carriera formativa/lavorativa
10
Accrescere il mio bagaglio culturale
altro
110
4. Gradimento
I valori attribuiti dai partecipanti ai vari items sono piuttosto omogenei; non si notano
scarti significativi. Tutti i valori sono alti, eccetto quello riferito all’item “I contenuti sono stati
difficili da comprendere”; il dato va letto attribuendo una valenza statistica inversa, quindi
anch’esso risulta positivo: gli allievi ritengono che i contenuti non siano stati difficili da comprendere.
Dalla lettura dei dati emersi dal monitoraggio si evince un elevato livello di qualità dell’offerta formativa percepita dagli allievi; gli elementi di maggiore soddisfazione sono:
• la preparazione dei docenti sui temi affrontati e la loro chiarezza espositiva,
• l’idoneità delle sedi di svolgimento del corso,
• la traducibilità dei contenuti trattati nell’attività quotidiana,
• l’idoneità dei materiali didattici,
• la coerenza delle attività svolte, dei contenuti trattati, dei metodi utilizzati con gli
obiettivi dichiarati in fase di presentazione del corso.
L’elemento di minore soddisfazione è rappresentato dall’organizzazione dei tempi: gli
allievi lamentano una inefficiente gestione del calendario delle attività. Non sono state tenute
adeguatamente in considerazione le difficoltà logistiche e di spostamento degli allievi.
GRADIMENTO
Ritiene che gli argomenti proposti siano stati sufficientemente affrontati
Il livello di attenzione dei partecipanti si è mantenuto alto durante il corso
Ritiene che i docenti fossero adeguatamente preparati sui temi del corso
I docenti sono stati chiari nelle loro spiegazioni
Ritiene che i momenti di discussione collettivi abbiano consentito di
comprendere meglio i contenuti del corso
Ritiene che le attività, i contenuti, i metodi utilizzati siano stati coerenti
con gli obiettivi dichiarati all’inizio del corso
Ritiene che i contenuti siano traducibili nella realtà quotidiana
I contenuti sono stati difficili da comprendere
Si è tenuto conto delle esigenze dei partecipanti
I tempi sono stati ben organizzati
I materiali didattici sono stati idonei all’attività svolta
Il corso sia svolto in sedi idonee
Il corso risponde alle sue aspettative
Media dei valori attribuiti dai partecipanti
0
1
2
3
4
5
111
5. Osservazioni e suggerimenti
Alla domanda Ci sono particolari bisogni dei partecipanti che andavano presi in
considerazione o soddisfatti meglio? Se si, quali: i partecipanti hanno risposto sottolineando la
necessità di gestire meglio i tempi, soprattutto nell’organizzazione delle visite guidate ai musei.
Un allievo suggerisce di dare più spazio a momenti di confronto tra gli allievi e tra questi ultimi ed i docenti.
Alla domanda Se dovesse essere realizzato nuovamente questo corso secondo lei cosa
dovrebbe essere cambiato, aggiunto o eliminato? Cinque allievi hanno risposto con suggerimenti inerenti la possibilità di realizzare maggiori attività pratiche ed eventualmente periodi di
stage all’interno di musei. Quattro allievi hanno sottolineato nuovamente la gestione dei tempi
ed hanno suggerito una maggiore durata del corso.
6. Conclusioni
La lettura dei dati emersi dalla somministrazione del questionario di gradimento evidenzia un buon livello di gradimento da parte dell’utenza sia rispetto l’organizzazione del corso,
sia rispetto i docenti, le metodologie didattiche e i materiali utilizzati. Gli allievi ritengono che
le aspettative iniziali siano state soddisfatte.
112
LA VALUTAZIONE DELL’APPRENDIMENTO
Al termine del corso agli allievi è stato somministrato il questionario Verifica dei
risultati di apprendimento. Lo strumento è finalizzato ad acquisire informazioni circa il raggiungimento degli obiettivi, l’acquisizione dei contenuti, la trasferibilità delle conoscenze e
delle competenze acquisite ed a raccogliere eventuali suggerimenti degli allievi circa il percorso formativo svolto.
1. Autovalutazione
Da una lettura sinottica dei dati emersi dal questionario di autovalutazione si evince
che, in media, gli allievi ritengono di aver acquisito i contenuti del corso ad un livello
abbastanza elevato.
AUTOVALUTAZIONE DELL’APPRENDIMENTO
La didattica della tradizione: il recupero e la valorizzazione del teatro popolare
Il carattere didattico dell’urbanistica: il caso Pienza
Il contributo del museo di contrada all’archeologia della città di Siena
Il valore del passato attraverso la riscoperta di antiche tecniche e strumenti
Il ruolo delle tecniche teatrali per avvicinare i bambini all’arte
L’importanza del laboratorio didattico per l’arte contemporanea
Metodi e tecniche per trasmettere la storia naturale ai bambini
Il contributo del parco-museo archeologico alla tutela della memoria storica
L’importanza della didattica per l’archeologia mineraria
Il contributo della didattica nella e per la scuola alla formazione dei giovani
Il valore didattico degli stili e della topografia dei luoghi sacri
Il significato storico-culturale degli spazi e degli arredi sacri
La didatticademo-etno-antropicogica: metodi, tecniche e strumenti
L’arte contemporanea: metodi, tecniche e strumenti
La didattica scientifica: metodi, tecniche e strumenti
La didattica dell’archeologia: metodi, tecniche e strumenti
Il bisogno dei giovani di praticare percorsi di formazione all’arte
Il rapporto dei giovani con l’artee la struttura museale
La consapevolezza del significato comunicativo della didattica
La storia della nascita del museo
La valenza didattica del racconto iconografico
I principali metodi e strumenti per la didattica museale
La storia della museologia e museografia
L’importanza del ruolo della formazione per la didattica museale
Media dei valori attribuiti dai partecipanti
0
1
2
3
4
5
113
2. Obiettivi
Gli obiettivi dell’azione formativa, definiti a livello individuale, sono così sintetizzabili:
• comprendere l'importanza del valore della didattica per la comunicazione dell'arte,
• acquisire una consapevolezza del ruolo svolto dalla didattica museale,
• comprendere l’importanza della formazione degli operatori didattici per promuovere l'arte,
• comprendere il significato dello sviluppo della sensibilità artistica nei giovani ed adulti,
• sviluppare una consapevolezza circa l'importanza dei laboratori didattici per la
diffusione dell'arte contemporanea nelle scuole,
• sviluppare una consapevolezza circa l'importanza del ruolo dell'operatore didattico nel
volontariato culturale.
Gli obiettivi del corso risultano pienamente raggiunti da parte di tutti gli allievi.
I valori attribuiti ai vari items sono piuttosto alti: la media di tutti i valori espressi dagli
allievi è pari a 4,5 su una scala Lickert, dove 5 è il valore massimo.
RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI
La coscienza dell’importanza del ruolo dell’operatore didattico
nel volontariato culturale
La consapevolezza dell’importanza dei laboratori didattici per
la diffusione dell’arte contemporanea nelle scuole
Il significato dello sviluppo della sensibilità artistica
nei giovani ed adulti
L’importanza della formazione degli operatori didattici per
promuovere l’arte
La maturazione della consapevolezza del ruolo svolto dalla
didattica museale
Compreso l’importanza del valore della didattica per la
comunicazione dell’arte
Media dei valori attribuiti dai partecipanti
0
1
2
3
4
5
Gli allievi ritengono di poter trasferire e ricontestualizzare nel proprio lavoro e/o nella
propria vita privata le conoscenze acquisite e le competenze sviluppate nell’ambito del corso.
I contenuti maggiormente trasferibili risultano essere:
• l’importanza dell'azione didattica per la formazione della persona (la media dei valori
attribuiti dagli allievi è pari a 4,6 su una scala Lickert dove 5 è il valore massimo),
• la cultura del bene artistico come patrimonio collettivo (media dei valori attribuiti dagli
allievi è pari a 4,6),
• la sensibilità alla cultura museale (4,5),
• la consapevolezza del rapporto intrinseco tra didattica e patrimonio artistico (4,4).
114
Dalla lettura dei dati emersi dal questionario si nota una netta differenza tra i valori
attribuiti dagli allievi agli items sopra elencati e quelli seguenti:
• la progettazione e gestione di azioni didattiche per i musei senesi (3,5),
• le linee guida per condurre interventi di didattica museale (3,4),
• le modalità per la gestione di gruppi scolastici in strutture museali (3,3),
• la conoscenza delle tecniche e strumenti didattici per spiegare agli adulti il valore
formativo del racconto iconografico (3,3),
• la comunicazione come valorizzazione della cultura del bene museale (3,9),
• il metodo dell'osservazione e ragionamento in campo scientifico (3,4).
Questi ultimi items si riferiscono ad aspetti prettamente pratici della didattica museale,
a differenza di quelli elencati in precedenza. Si ipotizza che i docenti del corso abbiano dato
un’impostazione prevalentemente teorica a scapito della trattazione di aspetti legati alla gestione
delle attività didattiche nell’ambito di strutture museali.
3. Suggerimenti
Analizzando le risposte libere degli allievi alla domanda Quali tematiche avrebbe voluto che fossero ulteriormente sviluppate? emerge un bisogno di approfondire temi legati alla
pratica della didattica museale quali:
• la didattica dell'archeologia antica e medioevale,
• le modalità per la gestione di gruppi scolastici in strutture museali,
• le tecniche e gli strumenti didattici per spiegare agli adulti il valore formativo del
racconto iconografico,
• la didattica per bambini: metodi, argomenti da utilizzare, esempi pratici,
• gli allestimenti e i supporti informativi (multimediale, cartaceo, pannellistica, ecc.),
• i metodi e le linee guida di intervento e gestione della didattica museale,
• il valore dei simboli: qualche modello di approccio didattico,
• il target e relative tematiche e moduli didattici,
• le modalità per rapportarsi agli adulti nelle visite guidate.
Tali suggerimenti confermano l’esigenza degli allievi di svolgere maggiori attività
pratiche finalizzate all’acquisizione di tecniche e strumenti per la gestione della didattica museale.
4. Conclusioni
Dalla lettura dei dati emersi dal monitoraggio finale del Corso di formazione per
Operatori della didattica museale emerge quanto segue:
• gli obiettivi del progetto sono stati raggiunti,
• le attività sono state coerenti con quanto dichiarato all’inizio del Corso,
• i risultati ottenuti rispondono alle aspettative del progetto,
• il livello organizzativo è risultato efficace per il raggiungimento degli obiettivi, benché
gli allievi suggeriscano una migliore gestione dei tempi ed una maggiore durata del corso,
• il livello qualitativo dell’offerta formativa, espresso dagli allievi, risulta elevato.
Il progetto ha riscosso particolare successo tra gli allievi, i quali hanno espresso la
volontà di approfondire ulteriormente i temi trattati e di mettere in pratica, nel lavoro, nell’attività associativa e nella vita di tutti i giorni, le conoscenze e le competenze acquisite durante il
percorso formativo.
115
2. PARTECIPANTI AL PERCORSO FORMATIVO
di Domenico Muscò
Il corso di formazione Operatore per la didattica museale (organizzato
dall’Associazione culturale “La collina” di Siena) era rivolto a massimo 20 operatori del volontariato senese; il cui bando, per la chiamata delle iscrizioni, è stato pubblicato il 20 settembre
2004 con termine ultimo per la presentazione delle domande, presso la sede de “La collina”, il
29 ottobre 2004; complessivamente sono giunte 23 schede d’iscrizione, tutte ammesse a partecipare (nonostante il limite di 20 allievi), poiché data l’unicità dell’intervento formativo e visto
la buona motivazione manifestata da ogni iscritto, si è ritenuto “giusto” dare a tutti l’opportunità di partecipare al corso; ma, alla fine, solo 21 iscritti hanno effettivamente partecipato alle
lezioni. Hanno concluso positivamente il percorso formativo 16 allievi su 21 effettivi (di cui: 4
maschi e 12 femmine), che quindi hanno avuto diritto all’ “Attestato di partecipazione”.
E´evidente che l’interesse dei partecipanti è stato soddisfacente, poiché la perdita di
solo 5 partecipanti (che non hanno regolarmente concluso il percorso didattico) è un fattore che
rientra nella normale fisiologia dei percorsi didattici; quindi, possiamo dire che il gruppo allievi
ha dimostrato una buona stabilità premiando il nostro lavoro in termini di “fedeltà formativa”.
Occorre precisare che alcuni allievi avevano già frequentato dei nostri corsi rivolti al
volontariato, nonché erano presenti delle persone che provenivano da esperienze di nostre attività
di educazione degli adulti, ma anche molte altre persone nuove, che si sono avvicinate a noi per
la prima volta attraverso il tema della didattica museale; ciò ci dice, sicuramente, che la didattica è un valore che riesce a mettere insieme varie persone provenienti da molteplici esperienze, ma accomunate dal medesimo bisogno formativo.
Naturalmente, visto il successo dell’azione didattica, va esplicitamente riconosciuto il
ruolo determinante svolto dagli allievi grazie alla loro partecipazione simpatetica al percorso
formativo; cioè non è mai detto a sufficienza che è proprio la persona in formazione che determina il vero valore dell’azione formativa, per cui l’allievo rappresenta l’elemento chiave della
buona riuscita dell’attività educativa e del suo progetto.
Infine, è corretto e doveroso citare integralmente l’elenco dei 16 allievi che hanno frequentato con regolarità l’attività didattica del corso Operatore per la didattica museale, ottenendo così l’Attestato di Frequenza del Cesvot:
1. Laura Cerundolo
Avis Comunale – Tequanda (SI)
2. Maddalena Delli
Gruppo 334 – Firenze
3. Franca Fabbiani
Impiegata – Siena
4. Luca Giglioni
Legambiente – Circolo di Siena
5. Raffaella Gori
117
Gruppo Archeologico Fiorentino – Firenze
6. Ilaria Martini
Ass. Murlo cultura – Murlo (SI)
7. Giorgio Pallecchi
Gruppo Archeologico Fiorentino DLF – Firenze
8. Sara Paradisi
Storia dell’arte contemporanea – Ricercatore – Casole d’Elsa (SI)
9. Lorenzo Pes
Gruppo Archeologico Pisano - Pisa
10. Annalisa Ranieri
Arciconfraternita di Misericordia – Siena
11. Agnese Sabella
Arciconfraternita di Misericordia GVP – Siena
12. Anna Scognamiglio
Archivio di Stato – Siena
13. Olga Severino
Ass. Corte dei Miracoli – Siena
14. Francesca Simonetti
Laurea in Lettere. Impiegata – Siena
15. Mauro Tanzini
AUSER Solidarietà sociale – Poggibonsi (SI)
16. Antonella Varlotta
Ass. Gatto con gli stivali – Salerno
118
3. MOMENTI DEL LAVORO FORMATIVO
Un percorso fotografico
Figura 1.
Museo Minerario di Abbadia S. Salvatore (Foto Luca Giglioni), 27 novembre 2004.
Figura 2.
Museo Minerario di Abbadia S. Salvatore (Foto Maddalena Delli), 27 novembre 2004.
119
Figura 3.
Fortezza di Poggio Imperiale a Poggibonsi (SI), (Foto Luca Giglioni), 27 novembre 2004.
Figura 4.
Fortezza di Poggio Imperiale a Poggibonsi (SI), (Foto Luca Giglioni), 27 novembre 2004.
120
Figura 5.
Fortezza di Poggio Imperiale a Poggibonsi (SI), (Foto Luca Giglioni), 27 novembre 2004.
Figura 6.
Palazzo delle Papesse: laboratorio di creazione delle diapositive (Foto Maddalena Delli), 27 novembre 2004.
121
Figura 7.
Palazzo delle Papesse: laboratorio di creazione delle diapositive (Foto Maddalena Delli), 27 novembre 2004.
Figura 8.
Palazzo delle Papesse: laboratorio di creazione delle diapositive (Foto Maddalena Delli), 27 novembre 2004.
122
Figura 9.
Palazzo delle Papesse: laboratorio di creazione delle diapositive (Foto Maddalena Delli), 27 novembre 2004.
Figura 10.
Museo di Storia Naturale dei Fisiocritici di Siena (Foto Luca Giglioni), 4 dicembre 2004.
123
Figura 11.
Museo di Storia Naturale dei Fisiocritici di Siena (Foto Maddalena Delli), 4 dicembre 2004.
Figura 12.
Museo di Storia Naturale dei Fisiocritici di Siena: Sala Mascagni (Foto Maddalena Delli), 4 dicembre 2004.
124
Figura 13.
Museo d’arte per bambini di Siena (Foto Maddalena Delli), 4 dicembre 2004.
Figura 14.
Museo d’arte per bambini di Siena (Foto Maddalena Delli), 4 dicembre 2004.
125
Figura 15
Museo della Mezzadria di Buonconvento (SI): laboratorio sulla fotografia stenopeica
(Foto Luca Giglioni), 4 dicembre 2004.
Figura 16.
Museo della Mezzadria di Buonconvento (SI): laboratorio sulla fotografia stenopeica
(Foto Maddalena Delli), 4 dicembre 2004.
126
Figura 17.
Museo della Mezzadria di Buonconvento (SI): laboratorio sulla fotografia stenopeica
(Foto Maddalena Delli), 4 dicembre 2004.
Figura 18.
Oratorio della Contrada del Nicchio (Foto Luca Giglioni), 11 dicembre 2004.
127
Figura 19.
Museo della Contrada del Nicchio (Foto Luca Giglioni), 11 dicembre 2004.
Figura 20.
Pienza, Piazza Rossellino (Foto Luca Giglioni), 11 dicembre 2004.
128
Figura 21.
Pienza, Cortile di Palazzo Piccolomini (Foto Luca Giglioni), 11 dicembre 2004.
Figura 22.
Museo Tepotratos di Monticchiello (Foto Luca Giglioni), 11 dicembre 2004.
129
Figura 23.
Museo Tepotratos di Monticchiello (Foto Luca Giglioni), 11 dicembre 2004.
Figura 24.
Museo Tepotratos di Monticchiello (Foto Luca Giglioni), 11 dicembre 2004.
130
Figura 25.
Museo Tepotratos di Monticchiello (Foto Luca Giglioni), 11 dicembre 2004.
Gruppo dei partecipanti al corso con gli “Attestati di frequenza”.
131
4. NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE DEGLI AUTORI
LAURA BOZZI
Nata a Grosseto nel 1976 e residente a Marina di Grosseto. Laureata in Scienze
dell’Educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione con tesi dal titolo “Istruzione e
Formazione Tecnico Scientifica in Toscana: prospettive di scenario”. Dal 2000 collabora con il COAP,
Azienda Speciale della Camera di Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Grosseto, nell’ambito della formazione professionale (attività di progettazione, coordinamento, tutoraggio, monitoraggio e valutazione di corsi di qualifica professionale). Attualmente coordina il progetto regionale
di sperimentazione dell’Alternanza Scuola Lavoro promosso dall’Unione Nazionale delle Camere di
Commercio e dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca.
Svolge attività di Orientamento (attività di sportello ed incontri con studenti) presso le
scuole superiori della provincia di Grosseto. Collabora con l’ARCI di Siena dal 2000 per il monitoraggio e la valutazione di corsi di formazione professionale e di altre iniziative formative a
carattere seminariale, tra cui: “Progettazione e gestione di eventi d’arte” (Siena, giugno 2000),
“Educazione alla pace” ed “Educazione al consumo” (Arci Siena, Ottobre 2000 - febbraio 2001),
“Operatore dei servizi di animazione turistica” (Arci Siena, aprile-giugno 2002), “La gestione
sostenibile del governo locale” (Comune di Colle Val d’Elsa - Arci Siena, Dicembre 2002 - Marzo
2003). Dal 2002 al 2004 ha collaborato con la Provincia di Grosseto, presso il Centro Per
l’Impiego, in qualità di Tutor per l’Obbligo Formativo.
LUISA DALLAI
Nata a Siena nel 1967, vive e lavora a Siena. Laureata in Lettere nel 1993 presso
l’Università di Siena con una tesi sul “Popolamento e risorse nel territorio di Massa Marittima.
Tecnologie estrattive e metallurgiche”. Dottore di Ricerca in Archeologia Medievale presso
l’Università di Siena; lavora come tecnico per la gestione della cartografia archeologica presso il
Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti delll’Università degli Studi di Siena; presidente della
OPUS, Piccola Società Cooperativa, operante nel settore archeologico e dei beni culturali
Consegue la Qualifica in “Gestione dei beni archeologici” nel 1994 (Regione Toscana)
e nel 1999 frequenta il corso di Riqualificazione per i soci di cooperative dal titolo “Riqualificazione
settore informatico”, frequenta i corsi della scuola in “Remote sensing in Archaeology”, e nel 2000
partecipa al corso al corso “Progettazione grafica ed editoriale di strumenti informativi”, nonché consegue l’Idoneità per l’insegnamento di materie letterarie nella scuola media ed istituti professionali.
Partecipa a molte campagne di scavo archeologico, tra cui: scavo archeologico urbano in
Piazza del Duomo (S. Maria della Scala), Siena, Direttore: Prof. R. Francovich, Università di Siena
(1988, 1999); scavo archeologico del castello di Rocca S. Silvestro, Livorno, Direttore: Prof. Riccardo
Francovich, Università di Siena (1989-1994); scavo archeologico del castello di Montemassi,
(Roccastrada, GR), Direttore: Prof. Roberto Parenti, Università di Siena (1991); scavo archeologico
all’Abbazia di S. Salvatore al Monte Amiata, Direttore: Dott. Franco Cambi, Università di Siena
(1997); scavo urbano sul cantiere di Santa Maria della Scala (SI), Direttore: Prof. Daniele Manacorda,
Prof. Riccardo Francovich, Università di Siena (1998); scavo archeologico del castello di Montemassi
(Roccastrada, GR), Direttore: Prof. Roberto Parenti, Università di Siena (2000-2004); scavo archeologico del monastero di San Quirico di Populonia (Piombino, LI), Direttore: prof. Riccardo
Francovich, prof. Sauro Gelichi, Università di Siena, Università di Venezia (2002-2004).
Realizza e sviluppa un progetto archeologico-topografico per il territorio di Massa
Marittima (1995-1998); in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Terra
dell’Università degli Studi di Siena (prof. M. Mellini) ed il Comune di Massa Marittima, ha
133
lavorato alla nuova progettazione espositiva relativa alla storia del territorio massetano ed alle testimonianze più significative dell’attività mineraria (1998-1999); in collaborazione con la
Comunità Montana “Colline Metallifere”, progetta e realizza la pannellistica storico-archeologica per i centri abitati del comprensorio Massa Marittima-Monterotondo Marittimo-Montieri
(1999-2000); per il Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti (Università degli Studi di
Siena) ha lavorato alla “Gestione della cartografia raster e vettoriale” relativa alle indagini
archeologiche condotte nella provincia di Grosseto, e strutturazione di archivi complessi in versione informatica (1999-2001); ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie
Chimiche e dei Biosistemi per la mappatura delle aree relative a siti archeometallurgici ed
archeominerari nel comprensorio Scarlino-Massa Marittima (2003-2004).
Inoltre, ha svolto varie attività didattiche, di cui si ricordano: lezioni di topografia
archeologica e valorizzazione territoriale tenute nell’ambito del Corso di Formazione per
Catalogatori dei Beni Archeologici, organizzato dal Comune di Orbetello e dalla Provincia di Grosseto
(1996); lezioni di topografia e storia medievale tenute nell’ambito del Corso di Formazione per
Operatori Culturali organizzato dalla Comunità Montana dell’Amiata, Zona Senese (1997); lezioni di
topografia archeologica e creazione banche dati informatiche nell’ambito del Corso di Formazione
per Catalogatori di Beni Archeologici, Comune di Castellazzara, Provincia di Grosseto (1998); lezioni
di metodologia archeologica nell’ambito del Corso di Formazione per Operatore Culturale,
Amministrazione Provinciale di Siena (1999); attività seminariali di supporto all’Insegnamento di
Archeologia Medievale ed esercitazioni di cartografia archeologica e gestione di archivi inerenti l’area
dell’antica diocesi di Massa/Populonia (Livorno) (Anni Accademici 1999, 2000, 2001); per il Centro
di Formazione Professionale dell’Amministrazione Provinciale di Siena ed ARCI Siena: lezioni di
archeologia nell’ambito del Corso di Formazione per Operatore Culturale (1999) e nei corsi Cesvot
“Progettazione e gestione di eventi d’arte e valorizzazione dei beni culturali” (2000) ed
“Operatore per la didattica museale” (2004).
SILVIA FRANCO
Nata a Maratea (PZ) nel 1966, vive e lavora a Siena; laureata in “Scienze economiche e
bancarie”. Dopo le prime esperienze di teatro dialettale nella sua città (Sapri), si trasferisce a Siena
per studio e si dedica con continuità ad attività teatrali. Fa parte, dal 1995, del gruppo teatrale
“laLUT”, Libera Università del Teatro di Siena. Dal 2001 collabora col “Museo d’arte per
Bambini di Siena” come responsabile e autrice dei percorsi teatrali-didattici per bambini, nell’ambito delle mostre ivi organizzate; dal 1997 tiene corsi di teatro in scuole materne, elementari
e medie della provincia di Siena.
Ha partecipato a diversi spettacoli di teatro, cinema e danza, tra cui si ricordano: Le relazioni
pericolose, Piccolo Teatro di Siena, 1992; La vita incantata di Macbeth, di M. Sergardi, 1994; Soirée
PAB e Ricasso, Compagnia Chille de la Balanza, 1994-95; Perelà, uomo di fumo, da A. Palazzeschi,
1995; Il suicida, di N. Erdman, 1996; Gli attori in buona fede, di P.C. Marivaux, 1996; Il giovane erudito, di G.E.Lessing, 998; La giornata d’uno scrutatore, di Italo Calvino, I due Anfitrioni, di L. de
Camoes, 1999; Lo specchio e la luna, Centro d’Arte Contemporanea, Palazzo delle Papesse, 2001;
La notte degli oltraggi, Compagnia Katzenmacher, 2001; La morte del cherubino, di Franco Fortini,
2002; Orfeo emerso, testo di J. Kerouac, 2003; Arriva il temporale, cortometraggio, 2002; Oltre Tele
Trans-Unto, performance, 2002; Il bacio, video, 2003; Visita guidata con fantasma, performance,
2004; Streghe e Il senso della vita, coreografie di Claudia Semplici, 2004.
Ha svolto varie attività didattiche per il Museo d’arte per Bambini di Siena in veste d’autrice
e regista: “Viaggio in Tibet”, “Visita al Buongoverno”, “Le immagini della fantasia”, “Albero di
Natale” (2002), “Il silenzio del dono” (cortometraggio), “Le immagini della fantasia”, “Albero di
Natale” (2003); “Alla ricerca della Maestà perduta” (mostra Duccio di Buoninsegna), “Un Amore di
134
bambino-viaggio nel mondo della scultura”, “Le immagini della fantasia”, “Albero di Natale” (2004),
“Le immagini della fantasia” (2005).
Dal 1997 al 2000 ha realizzato corsi di teatro nelle scuole materne, elementari e medie di
Siena, corsi e allestimento di spettacoli presso le scuole elementari e medie di Rapolano Terme e
Montalcino; dal 2001 al 2003 corsi e allestimento di spettacoli nelle scuole materne ed elementari
dell’Amiata grossetana nell’ambito del progetto “Fare Teatro a Scuola”, promosso dalla Comunità
Montana Amiata Grossetana e dall’Accademia Amiata; dal 2003 ad oggi corsi e allestimento di spettacoli nelle scuole elementari di Arbia (Asciano); dal 2005 corsi e allestimento di spettacoli nelle
scuole medie di S.Quirico d’Orcia.
DOMENICO MUSCO’
Nato a Strongoli (KR) nel 1963, vive a Chiusdino (SI) e lavora a Siena presso l’Arci N.A.,
occupandosi di progettazione e gestione di corsi di fomazione, educazione degli adulti ed educazione ambientale, nonché di organizzazione di eventi culturali. Si è laureato in Filosofia morale
(Università di Siena, 1990) con una tesi su: “Il ruolo delle regole morali nell’utilitarismo di John
Stuart Mill ed Henry Sidgwick” (relatore prof. Eugenio Lecaldano).
Svolge attività di docenza nei corsi di formazione per vari enti ed ha tenuto il seminario su
La tragedia di “Amleto” tra filosofia e letteratura (Università di Siena, Facoltà di Lettere, 17 gennaio/11 aprile 1995), presso la cattedra di Letteratura Inglese del prof. Alex Falzon.
E’ stato: fondatore e coordinatore del Premio di Narrativa “Formiche Rosse” (Edizioni
1997/1998); fondatore e coordinatore di redazione del giornale web “la collina. Suggerimenti di informazione culturale” (Siena, da Aprile 2003).
Ha curato le seguenti pubblicazioni di autori vari: “Federico Garcìa Lorca: todo un ombre”
(1991), “La pittura tra poesia e narrativa” (1992), “Scrittura e pacifismo” (1993), “La collina. Storia
di una passione” (1994), “Il sogno della “collina” (1995), “Formiche Rosse 1997” (1997), “Formiche
Rosse 1998” (1998), “Organizzazione di eventi d’arte, comunicazione non profit e strumenti informativi” (2001), “La gestione dell’archivio nelle organizzazioni non profit” (2002), “Cultura
della nonviolenza” (2004), “La cultura dell’acqua” (2004). E’autore di Scrivere a Siena. Itinerari critici di arte, filosofia, letteratura ed oltre (Nuova Immagine Editrice, Siena, 2005).
Attualmente, è Presidente dell’Associazione culturale “la collina” (fondata a Siena nel
1990); è membro del Consiglio e della Segreteria Provinciale Arci Nuova Associazione di Siena
(Responsabile Aree: Formazione, Eda, Ambiente); fa farte del Comitato di Coordinamento del Forum
Permanente per l’Educazione degli Adulti (Firenze, da Ottobre 2000).
ANNAMARIA ROMANA PELLEGRINI
Nata a Novara nel 1948 e residente a Siena. Nel 1972 si laurea in Lettere Moderne presso
l’Università di Roma, con una tesi in “Storia del Teatro” dal titolo “La vita dello spettacolo al tempo
di Alfonso I, analisi e descrizione” (relatore prof. Ferruccio Marotti). Dal 1998 docente di “Storia
dell’Arte e delle Arti Applicate” presso l’Istituto d’Arte “Duccio di Buoninsegna” di Siena.
“Specializzazione in Storia dell’Arte”, conseguita nel 1994, all’università di Siena, con la tesi “La fortuna iconografica di una creatura dantesca: Pia de’ Tolomei nell’arte accademica dell’Ottocento”,
(Prof. Cantelli, titolare della Cattedra di Storia delle Arti Minori).
Nel 1999 docente di “Storia dell’Arte del Territorio” nel corso per “Operatore culturale”
(Amministrazione Provinciale e Arci Siena); nell’Istituto d’Arte è stata docente referente del progetto teatrale “Giovani per l’Europa” Siena-Avignone; docente nel 1999-2000-2001 dei due corsi abilitanti (classe 61 A) riservati ai docenti già in possesso di una abilitazione; è stata più volte membro
della commissione esaminatrice negli esami dei corsi post-diploma organizzati dall’Amministrazione
Provinciale di Siena relativi al restauro ed alla preparazione delle Guide Turistiche; lezioni nei corsi di
135
formazione “Progettazione e gestione di eventi d’arte e valorizzazione dei beni culturali” (2000),
“Progettazione grafica ed editoriale di strumenti informativi” (2000), “Musei nel territorio senese e
valorizzazione dell’arte locale” (2002), “Operatore per la didattica museale” (2004). Dal 1997 al 2004
ha fatto parte della giuria del premio di narrativa “Formiche Rosse”.
Svolge attività giornalistica: critico teatrale della “Gazzetta di Siena” (1990-1993), collaboratrice del periodico chiantigiano “Classico” (1992-1994), collaboratrice del settimanale “Il Giovedì”
di Siena (1994), redattrice di “Suggerimenti” (1995-1996). Dal 29 marzo 1995 iscritta (tessera n°
76345) all’ordine dei giornalisti come pubblicista; da tale data ha collaborato con “Il giornale dell’arte”, alle pagine culturali de “Mattina - Unità” (fino alla chiusura del medesimo); dal 1995 ad oggi
collabora alle pagine culturali del “Tirreno”; dal 2004 collabora al “Corriere del Teatro”, rivista
dell’Opera, Concerti, Balletto; nel 2004 ha collaborato in qualità di esperta del settore con l’Ufficio
Stampa della Siena Parcheggi S.P.A. in occasione dell’installazione presso il parcheggio Il Campo dell’opera permanente “Tra alba e notte” di Sauro Cardinali.
Inoltre, ha pubblicato: “Note sullo spazio architettonico del Liceo Classico “Enea Silvio
Piccolomini” (1984); “Gli ex-voto del Romituzzo” in “Monteriggioni Atelier” (1991); “Félix
Vallotton ne “La vita assassina” e altrove” (1994); “Costumi antichi” ne “La Chiesa di Santi Pietro e
Paolo ed il Museo della Contrada della Chiocciola” (1994); “L’immagine di Pia de’ Tolomei
nell’Ottocento: Podesti, Sala, D.G.Rossetti” (“Museo Bresciano”,1995); “Dipinti e tessuti restaurati Percorsi didattici e metodologici”, mostra dell’Istituto Sperimentale “Monna Agnese” (1995).
In qualità di curatrice della mostra ha curato, per la parte artistica, l’introduzione generale del catalogo “Pia de’ Tolomei: Una leggenda romantica” (1999). “D’Oriente e d’Occidente”, presentazione
della collettiva di artisti Italiani e giapponesi presso la Galleria “Beaux Arts” (Siena, 1997);
“Ritrovamento e restauro dello stendardo processionale di San Domenico in Siena” (Jacquard, 1998);
presentazione della mostra “La stanza degli ospiti”, dipinti e incisioni di Pascale Quiviger
(Monticiano, 2000); “Il segno e il colore” mostra di Ermanno Tomassetti – Palazzo Comunale di
Sabaudia (2000); presentazione della mostra fotografica “Guatemala: un dialogo di viaggio” di
Jacopo Righi Ricco (Siena, 2001); schede di accompagnamento delle opere appartenenti all’Istituto
d’arte “Duccio di Buoninsegna” esposte nella mostra “Arte come mestiere”, I Biennale
dell’Istruzione artistica in Toscana, Parco Mediceo di Pratolino (2002 – 2003); “Incontro con Lidia
Croce” (2003); presentazione del catalogo della pittrice Margit Platny (2004).
PIERGIACOMO PETRIOLI
Nato a Firenze nel 1964, vive e lavora a Siena; svolge attività di storico della critica d’arte.
Nel 1993 si laurea in “Storia della Critica d’Arte” presso l’Università degli Studi di Firenze (Professor
Giuliano Ercoli), con una tesi dal titolo “Siena e la sua arte nella letteratura anglosassone della
seconda metà dell’Ottocento”. Dottorato di ricerca (2002) in “Storia e critica d’arte” presso Università
degli Studi di Torino, con una tesi dal titolo: “Gaetano Milanesi e la storia dell’arte italiana durante la
seconda metà del XIX secolo” (in corso di pubblicazione); Scuola di Specializzazione (1995) in
“Storia dell’Arte” presso l’Università degli Studi di Siena, con una tesi finale su: “ ‘The Relation
between Michael Angelo and Tintoret’ di John Ruskin e l’idea di Michelangelo in Inghilterra nel XIX
secolo” (prof. Alberto Olivetti, Estetica). Nel 1994 ottiene una borsa di studio della Fondazione di studi
di storia dell’arte “Roberto Longhi” di Firenze, con un lavoro dal titolo “Roberto Longhi e l’arte senese”.
Ha svolto attività di docenza di storia dell’arte per vari enti e università italiane e straniene:
dal 1997 al 2000 docente di “Storia e cultura senese” a Siena per Dartmouth College (New Hampshire
- U.S.A.); corso propedeutico di Storia dell’Arte Moderna: “Dal Rinascimento al periodo Romantico”
e corso monografico di Storia dell’Arte Moderna: “Gaetano Milanesi e il restauro a Siena durante il
XIX secolo” (Università degli Studi di Siena, 1999); dal 1998 al 2000 docente di “Storia dell’arte”
(Storia della scultura) al Corso di formazione professionale della Provincia di Siena per Operaio
136
Scalpellino (Rapolano Terme); tiene un seminario alla Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte
di Firenze con due lezioni dal titolo: “Dalla fortuna critica al saggio critico” e “La fortuna critica
dell’arte senese” (2000); docente di “Patrimonio ambientale e culturale” nel corso di formazione professionale “Orientamento, formazione ed accompagnamento a sostegno della creazione di imprese
giovanili nel settore dei beni ambientali e culturali” (2000); lezioni su “L’eredità del mondo antico
nella letteratura artistica italiana dal XIV al XVIII secolo; parte prima: dall’Antichità al XIV
secolo” (2002); docente di Storia della Critica d’Arte al Dipartimento di Storia dell’Arte
(Università degli Studi di Firenze) con lezioni su “Lineamenti di Storia della Critica d’Arte dal
Trecento all’Ottocento” (2003).
Dal 1992 al 1998 svolge l’attività di “Schedatore” per la Soprintendenza ai Beni Artistici e
Storici di Siena e Grosseto: Certosa del Galluzzo (Firenze), Chiesa e convento di San Domenico
(Siena), Chiesa e convento di Santa Maria dei Servi (Siena), Campagnatico (Grosseto), Chiesa e
monastero delle Sperandie (Siena), Scarlino e Sassofortino (Grosseto).
Ha pubblicato molti scritti in riviste e volumi, tra cui si ricordano: “Gaetano Milanesi,
biografia e carteggio artistico” (2004); “Interludio fiorentino a Siena. La decorazione di palazzo
Sansedoni”, in AA.VV., “Il palazzo Sansedoni di Siena”, (2004); “Viaggio nell’arte italiana da Firenze
a Roma tra Medioevo e Rinascimento” (2001); “Ideazione ed organizzazione di mostre ed eventi
artistici”, “Redazione dei cataloghi e dei depliant illustrativi per le mostre d’arte”, “L’organizzazione
redazionale e le fasi del lavoro di una testata giornalistica”, “L’organizzazione e il lavoro dell’Ufficio
stampa dell’Ente Non Profit” (in “Organizzazione di eventi d’arte, comunicazione non profit e strumenti informativi”, 2001); “Roberto Longhi e l’arte senese, percorso critico ed uno scritto inedito”, in
“Proporzione, annali della Fondazione Longhi” (2001); introduzione a “Siena 1885. La settimana di
un ruskiniano” (2000); “William Wetmore Story. Un Americano al Palio” (2000); “Minimo vademecum iconografico alla creazione della donna” (1999); collabora al catalogo mostra “Pia de’ Tolomei:
una leggenda romantica” (1999); cura gli apparati filologici e bibliografia del Catalogo della mostra
“Cartoni di Cesare Maccari” (1998); “Giovanni Battista Cavalcaselle e Gaetano Milanesi” (1998);
“Siena, DIDEE e l’intenzione dell’arte” (1997); catalogo della mostra: “Prima mostra-concorso per
gli studenti degli Istituti d’arte della Toscana” (1996); “Aristotele e Fillide nella pittura senese del
Trecento” (1996); “L’antica arte senese nel collezionismo anglosassone” (1996); “Da Lord Lindsay a
Bernard Berenson. La pittura senese nella storia dell’arte anglosassone” (1996); cura l’edizione critica del poema di Robert Browning “Pacchiarotto” (1994); “La pittura senese del Trecento” (1993);
cura il catalogo della mostra “Prima mostra-concorso di arredo plastico” (1992).
Svolge attività giornalistica tra il 1992 e 1996: redattore del settimanale “Il nuovo campo di Siena”,
con recensioni di libri e mostre, articoli concernenti l’arte e la storia senese; tra il 1991 e 1996 è redattore e poi collaboratore della rivista fiorentina di poesia comparata “Semicerchio”; dal 1992 al 1994
è redattore della rivista senese di letteratura “la collina”; dal 1995 al 1996 è redattore del foglio senese
di informazione culturale “Suggerimenti”; dal 1998 è redattore e direttore responsabile de “LA DIANA
(annuario della Scuola di Specializzazione in Archeologia e Storia dell’Arte dell’Università di Siena).
Inoltre, svolge attività di conferenze, tra cui: “The wonder of Siena. Artisti e critici anglosassoni dell’Ottocento e il Pavimento del Duomo di Siena”, nel Convegno internazionale “Il Pavimento
del Duomo di Siena. Iconografia, stile, indagini scientifiche” (Siena, 2002); “Carteggio Milanesi –
Cavalcaselle”, nel Convegno internazionale “G. B. Cavalcaselle, alle origini della storia dell’arte”,
(Verona, 1997); “Da Lord Lindsay a Bernard Berenson: la pittura senese nella storia dell’arte
anglosassone”, nel Convegno “Siena tra storia e mito nella cultura anglosassone” (Siena, 1995).
FRANCESCA PROFILI
Nata a Milano nel 1967, vive a Montepulciano (Siena), lavora presso il Museo
TEPOTRATOS di Monticchiello. Nel 1995 si laurea in Lettere presso Università di Roma “La
137
Sapienza” con una tesi su: “Il Teatro Povero: l’autodramma di Monticchiello – arte e vita di un borgo
toscano”. Nel 1995 ottiene l’idoneità all’esercizio della professione di Interprete Turistico per la lingua inglese, rilasciata dalla Regione Toscana e frequenta il Settimo Corso Internazionale d’Alta
Cultura su “Il gran teatro del barocco: la scena e la festa”, dell’Accademia Nazionale dei Lincei; dal
1996 al 1999 partecipa al corso per “Esperto dei Servizi Turistici Culturali del Territorio” ed al seminario su “Management dei Musei” della SDA Bocconi
Dal 1994 al 1996 è impiegata presso “I Percorsi dell’Arte”, cooperativa di servizi
turistici e culturali di Roma, con funzioni di relazioni pubbliche, coordinamento dei progetti ed
organizzazione del lavoro. Dal 1996 lavora nell’organizzazione e gestione dei punti di informazione per la città di Roma in occasione della “Festa Europea della Musica”. Dal 1997 al
2003 partecipa al gruppo scientifico per le ricerche e l’allestimento del museo “TePoTraTos”;
da gennaio 2004 ad oggi è curatrice responsabile del museo “TePoTraTos – Scene del Teatro
Popolare Tradizionale Toscano” a Monticchiello (Siena) nell’ambito della rete museale dei
Musei Senesi. Ha pubblicato: “La fattoria della Foce” (“American Journal of Italian Studies”,
2000), “La Val d’Orcia di Iris – storia, vita e cultura dei mezzadri” (Editrice Le Balze, 2003),
catalogo del museo “TePoTraTos” (in corso di pubblicazione).
LEONARDO SCELFO
Nato a Siena nel 1973, dove lavora; vive a Castelnuovo Berardenga. Diploma di “Arte applicata” all’Istituto d’Arte di Siena; consegue la laurea in Lettere presso l’Università di Siena, nell’A.A.
1997/1998, con una tesi in storia dell’arte contemporanea su “Arturo Viligiardi (1869-1936). Pittore,
scultore, architetto”. Frequenta la Scuola di Specializzazione in “Archeologia e Storia dell’Arte” di
Siena. Iscritto al secondo anno del dottorato “Innovazione e tradizione. Eredità dell’antico nel
moderno e nel contemporaneo” presso l’Università di Siena. Abilitato all’insegnamento di Storia dell’arte nelle scuole superiori.
Svolge attività di progettazione dei laboratori didattici del Centro d’Arte Contemporanea
Palazzo delle Papesse, del Museo della Mezzadria di Buonconvento e del Museo del Paesaggio di
Castelnuovo Berardenga; nonché ha svolto visite guidate ed attività didattica con le scuole presso il
Centro d’Arte Contemporanea Palazzo delle Papesse di Siena, di cui è responsabile della sezione
didattica; socio della Cooperativa di servizi culturali Elicona.
Inoltre, ha realizzato vari interventi quali: “Lettura di cinque opere: Francis Bacon, Joseph
Beuys, Mario Merz, Christian Boltanski, Sam Francio” (Siena, 2000); “Organizzazione e gestione
mostre di arte contemporanea ed analisi di casi” (Siena, 2000); “L’angelo e il custode” (Siena, 2000);
“Sottosale” (Siena, 2000); “La maschera” (Siena, 2001); “Stupore, crescita e immaginazione:
l’esperienza delle Papesse” (Prato, 2001); lezioni per “Organizzatrice di eventi espositivi d’arte contemporanea” (Siena, 2002); presentazione del video “Commercial Landscape” di Christian Jankowski
(Castelnuovo Berardenga, 2003); “L’esperienza didattica di Elicona” (Castelnuovo Berardenga, 2003);
“Il superamento dell’Accademia e i nuovi orientamenti artistici nell’arte senese tra Otto e Novecento”
(Siena, 2003); “Un museo per tutti” (Buonconvento, 2003); “L’esperienza formativa dell’arte contemporanea” (Buonconvento, 2004).
Membro dei comitati scientifici delle mostre: “Pia de’ Tolomei: una leggenda romantica”
(Siena, 1999) e “Franco Fortini, disegni, incisioni, dipinti” (Siena, 2002); curatore delle mostre:
“Patrizio Fracassi tra arte e metodo” (Siena, 2003) e “Liminalia” (Montalcino, 2004). Consulente
scientifico per la mostra: “Vita e morte. 1894-1895 Arturo Viligiardi a San Gimignano” (San
Gimignano, 2001), per il “Catalogo ragionato dei disegni, incisioni e dipinti di Franco Fortini” ed il
laboratorio “Siena Città dell’acqua” nell’ambito della ricerca “La presenza delle acque nella provincia di Siena”.
Ha pubblicato vari scritti in volumi e riviste su temi di arte senese: “Pia de’ Tolomei: una
leggenda romantica” (Siena, 1999), “I tabernacoli della contrada dell’onda” (Siena, 1999); “Le
138
Repubbliche dell’Arte: Israele” (Siena, 2000); “Strati di memoria”, in “Sottosale” (Siena, 2000),
“Arturo Viligiardi. Per un ritratto dell’artista”, in “Vita e Morte. 1894-1895 Arturo Viligiardi a San
Gimignano” (Pontedera, 2001); “Mostre di arte contemporanea”, in “Organizzazione di eventi d’arte,
comunicazione non profit e strumenti informativi” (Firenze, 2001); “Il quaderno di Dino, guida didattica per ragazzi del Museo della Mezzadria di Buonconvento” (Siena, 2002); “Patrizio Fracassi tra arte
e metodo” (Siena, 2003); “Dino un bambino tra i bambini. Una guida didattica per il museo”, (Siena,
2003); “L’arte contemporanea in Chianti” (San Gimignano, 2003); “L’esperienza formativa dell’arte
contemporanea” in “Laborarte” (Roma, 2004); “Il superamento dell’accademia e i nuovi orientamenti
artistici nell’arte senese tra Ottocento e Novecento” in “Patrizio Fracassi tra arte e metodo” (Siena,
2003); “Melting Pop. Percorso tra opere scelte, guida alla mostra Melting Pop” (Siena, 2003). Infine,
nel
2003-2004
ha
pubblicato
sul
sito-web
de
“la
collina”
(http://it.geocities.com/collinaweb/Pierini.htm): “Intervista a Marco Pierini”, “Melting pop”, “Patetica
Performance Popolare”, “Parco d’arte contemporanea ‘Sculture del Chianti’”, “Intervista a Sandra
Becucci”, “Il viaggio di Edgar Walpor”.
FRANCESCA VANNOZZI
Nata a Siena nel 1955, vive a Siena e lavora presso il Polo Scientifico nel “Centro
Universitario per la Tutela e la Valorizzazione dell’Antico Patrimonio Scientifico Senese”
dell’Università degli Studi di Siena, Sez. “Storia della Medicina”.
Nel 1982 si laurea in “Medicina e Chirurgia” presso l’Università degli Studi di Siena, consegue l’abilitazione alla professione medica presso l’Università degli Studi di Pisa nel luglio dello stesso anno; nel 1986 ottiene la Specializzazione in “Sicurezza Sociale e Organizzazione Sanitaria” presso l’Università di Siena, con tesi sulla “Storia della Pellagra in Italia”; mentre nel 1986-1987 ha frequentato il corso di Perfezionamento in “Storia della Medicina” presso la Cattedra di Storia della
Medicina dell’Università di Siena.
Nel periodo 1987/2004 frequenta i corsi “Catalogazione e Restauro della Strumentaria
Scientifica” e “Storia della Sanità”, è collaboratore Tecnico di ruolo presso la Cattedra di Storia della
Medicina di Siena, compie il perfezionamento in “Storia delle Malattie Infettive” presso la Cattedra
di Storia della Medicina ed è funzionario Tecnico presso la Cattedra di Storia della Medicina
dell’Università di Siena, è direttore del Centro Universitario per la Tutela e la Valorizzazione
dell’Antico Patrimonio Scientifico Senese; delegato Rettorale dell’Università di Siena del Sistema
Museale di Ateneo per la “Commissione Musei, Archivi e Centri per le collezioni universitarie di
interesse storico scientifico” della Conferenza dei Rettori (CRUI), membro della “Commissione
Nazionale per la Valorizzazione della tradizione storica dei rapporti tra ricerca e pratica della medicina in Italia” del MURST, ricercatore Universitario Confermato nel settore scientifico disciplinare
MED 02/Storia della Medicina; presidente del Centro Servizi di Ateneo per la Tutela e la
Valorizzazione dell’Antico Patrimonio Scientifico Senese-CUTVAP.
Nel periodo 1986/2004 ha svolto i seguenti incarichi per l’Università di Siena ed altri enti:
il riordino e catalogazione del materiale facente parte dell’Archivio Storico dell’Ateneo Senese e
stesura del relativo inventario; coordinamento delle manifestazioni scientifiche relative al programma
delle celebrazioni per i 750 anni dalla fondazione dell’Ateneo Senese, previste per l’a.a. 1990/91;
riallestimento di una sala del Museo di Storia della Scienza di Firenze relativa alla collezione della
Strumentaria Chirurgica del Brambilla; coordinatrice del progetto-pilota della Regione Toscana sul
“Recupero della Strumentaria Scientifica a Siena”; curatrice dell’allestimento, nell’ambito delle
celebrazioni dei 750 anni dell’Ateneo senese, presso l’Accademia dei Fisiocritici, di una mostra
di strumentaria antica medica dal titolo “Il percorso della salute nell’Ottocento senese”; coordinatrice del gruppo di ricerca (PAR 2002) sulla “Storia dell’assistenza alla partoriente e al
nascituro a Siena (sec. XVIII-XX)”.
139
Nel periodo 1986/2004 svolge varie attività didattiche quali: docente di “Storia delle
Istituzioni Sanitarie e Previdenziali” nella Scuola di Specializzazione in “Sicurezza Sociale e
Organizzazione Sanitaria”, presso l’Istituto Tecnico “Monna Agnese” di Siena svolge lezioni di
“Storia della Sanità” per le attività di Orientamento universitario; lezioni di “Storia della Medicina”
nell’ambito del Progetto Speciale “Fare e insegnare scienza e tecnica di/da donne” del Provveditorato
agli Studi di Firenze; organizzatrice e direzione del I e II Corso di Aggiornamento per dipendenti delle
Aziende Ospedaliere e UU.SS.LL. toscane sul tema della “Tutela e Salvaguardia del Patrimonio
Storico Ospedaliero”; docente presso il Centro di Formazione Professionale della Provincia di
Arezzo nel corso “Musei Scientifici. Esperienze museografiche e di catalogazione”; docente al
Corso di Formazione “Fondamenti di Scienza della Medicina nell’ambito generale delle
conoscenze scientifiche” e nel corso di formazione “Tutela e valorizzazione dei patrimoni storici ospedalieri”; consulente dell’istituto Superiore di Sanità per il progetto “Studio e catalogazione degli strumenti storico-scientifici dell’I.S.S.”.
L’attività scientifica svolta è documentata dalle numerose pubblicazioni, che investono i
vari settori della ricerca di Storia della medicina e della sanità dal XVIII al XX secolo, con particolare riguardo a: storia assistenziale e storia ospedaliera; storia della psichiatria (ex Ospedale
Psichiatrico San Niccolò di Siena); storia della Facoltà Medica Senese, storia dei suoi insegnamenti e docenti, storia della istituzione delle cliniche senesi, i grandi personaggi della scienza senese
(Pier Andrea Mattioli, Paolo Mascagni, Achille Sclavo). Ha svolto ricerca nel settore della strumentaria storico-scientifica, con particolare riguardo per quella medica; nel settore della museologia scientifica. Ha ricoperto l’incarico di “coordinatore scientifico” per il progetto di allestimento
dei seguenti musei: Museo Anatomico “L. Comparini” dell’Università di Siena (Siena); Museo e
Centro Direzionale ed Educativo del Sistema delle Riserve Naturali delle Province di Siena e
Grosseto (Monticiano, Siena); Museo di Storia Naturale dell’Accademia dei Fisiocritici (Siena).
Presso la Cattedra di Storia della Medicina di Siena ha curato inoltre la pubblicazione dei
“Quaderni del Raggruppamento Tosco-Umbro-Emiliano di Storia della Medicina” e della rivista
semestrale “Quaderni Internazionali di Storia della Medicina e della Sanità”. Dal 1992 al 1994 è
stata Direttore Scientifico del Centro Interdipartimentale di Ricerca di Storia della Sanità
dell’Università di Siena.
È consulente del Dipartimento Sanità della Regione Toscana per le problematiche
riguardanti la tutela del patrimonio storico sanitario regionale e per la museologia scientifica; è
Consulente dell’Assessorato Cultura dell’Amministrazione Provinciale di Siena per i Musei del
Sistema Museale Senese. Tra le varie istituzioni per le quali è chiamata a prestare attività di consulenza, si segnala l’Accademia dei Fisiocritici di Siena, il Complesso Museale del Santa Maria
della Scala di Siena, l’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze.
Ha promosso e curato le seguenti mostre: “L’assistenza pubblica nella Siena di fine
Ottocento” (Siena, Accademia dei Fisiocritici, 1991); “Mostra di opere a stampa di Pietro Andrea
Mattioli” (Siena, Accademia dei Fisiocritici, 1992); “Tre secoli di erbari e di collezioni botaniche a
Siena” (Siena, Palazzo Patrizi, 1993); “La farmacia ieri e oggi” (Siena, Magazzini del Sale, 1994);
“L’avventura dei raggi X (1895-1995). Dal radiologo universale... all’universo dei raggi X” (Siena,
Palazzo Patrizi, 1995); “Comunicazione artistica e funzioni cerebrali”, (Siena, Santa Maria della
Scala, 995); “La scienza illuminata. Paolo Mascagni nel suo tempo (1755-1815)” (Santa Maria
della Scala, Siena, 1997); “Gli inizi della fisioterapia a Firenze” (Istituto e Museo di Storia della
Scienza, Firenze, 1999); “Siena, la città laboratorio. Dall’innesto del vajuolo ad Albert Sabin”
(Santa Maria della Scala, Siena, 2000); “La vetreria scientifica” (Museo del Cristallo, Colle Val
d’Elsa, 2002).
140
5. INDICE DEI NOMI DI PERSONA
A
Alberti, Leon Battista 29, 31, 36, 38
Aldobrandeschi, Famiglia dei 68
Alessandro VII 36
Alfonso I 135
Alighieri, Dante 21, 22, 61, 92
Apollodoro di Damasco 20
Arcimboldi, Giuseppe 81, 104
Ariosto, Ludovico 92
Aristotele 137
Arrigo VII 64
B
Bacon, Francis 138
Baj, Enrico 58
Balla, Giacomo 58
Barbagli, Deborah 51
Barbieri, Olivo 56
Beccafumi, Domenico 33
Becucci, Sandra 139
Berardenghi, Famiglia dei 69
Berenson, Bernard 137, 138
Bernini, Gian Lorenzo 36
Beuys, Joseph 138
Bianchi, Mario 83
Biringuccio, Vannoccio 66
Boisser, Jean-Louis 99
Boltanski, Christian 56, 138
Bordoni, Isabella 58
Borgia, Famiglia dei 31, 32
Borrmann-Wiegand 38
Bovini, G. 39
Bozzi, Laura 9, 109, 133
Bramante, Donato 39
Brambilla 139
Brancusi, Costantin 50
Breton, André 58
Browning, Robert 137
Brunetti, Arianna 85
C
Calvino, Italo 57, 134
Cambi, Franco 133
Cancelli, Fabrizio 98
Cantelli, Giuseppe 135
Caravaggio, Michelangelo Merisi da 19,
104, 136
Cardinali, Sauro 136
Caroli, Flavio 52
Cattelan, Maurizio 58
Cavalcaselle, Giovanni Battista 137, 138
Cerundolo, Laura 117
Chechi, Barbara 84
Clemente, Pietro 91
Comparini, L. 45, 140
Corradino di Svevia 64
Corsini, Vittorio 58, 105
Cospi, Ferdinando 15
Costantino, l’imperatore 38
Cresti, Andrea 91
Croce, Lidia 136
D
Dallai, Luisa 9, 25, 61, 65, 69, 133
D’Angiò, Carlo 64
De Angelis, Luigi 13
De Camoes, L. 134
De Dominicis, Gino 58
Della Porta, Giacomo 36
Delli, Maddalena 117, 119, 121, 122, 123,
124, 125, 126, 127
Depero, Fortunato 58
Dine, Jim 58
Duccio di Buoninsegna 21, 22, 40, 51, 134,
135, 136
Duchamp, Marcel 58
E
Eliasson, Olafur 99
Ercoli, Giuliano 136
Erdman, N. 134
Eremita, Michela Simona 51, 103
Esser, Elger 56
F
Fabbiani, Franca 117
Falzon, Alex 135
Farsi, Ferruccio 98
Federico II 64
Fillide 137
141
Forconi 66
Fortini, Franco 134, 138
Fracassi, Patrizio 138, 139
Franchi, Alessandro 36
Francio, Sam 138
Franco, Silvia 9, 51, 103, 134
Francovich, Riccardo 61, 133
G
Garaicoa, Carlos 57
Garcia Lorca, Federico 135
Garroni, E. 99
Gasparri, Pietro 14
Gauguin, Paul 19
Gelichi, Sauro 133
Giacomelli, Mario 85
Giglioni, Luca 117, 119, 120, 121, 123,
126, 127, 128, 129, 130, 131
Giordano, Marina 85
Giovio, Paolo 15
Gori, Raffaella 117
Grassi, Luigi 14
Guerra il Vecchio, Guido 62
H
Hearly, David 69
J
Jankowski, Christian 138
Jorlano, Raffaele 73
K
Kandinsky, Vasilij 57
Kerouac, Jack 134
Klee, Paul 57
L
Lecaldano, Eugenio 135
Le Duc, Viollet 36
Leonardo da Vinci 19, 44
Lessing, G. E. 134
Lindsay, Lord 137, 138
Livio, Tito 67
Long, Richard 55
Longhi, Pietro 52
Longhi, Roberto 136, 137
Lorenzetti, Ambrogio 51
Luciano di Samosata 13
Lugli, Adalgisa 14
142
Luna, Arianna 70
Lundberg, E. 35
M
Maccari, Cesare 137
Maebayashi, Akitsugu 99
Maffei, Cesare 24
Malavolti, Famiglia dei 70
Man Ray 58
Manacorda, Daniele 133
Marivaux, P. C. 134
Marotti, Ferruccio 135
Martini, Ilaria 118
Marziani, Gianluca 56
Mascagni, Paolo 45, 97, 140
Masson, André 58
Mattioli, Pier Andrea 140
Mattioli, Stefano 66
Mazzoni, Gianni 51
Meireles, Cildo 56
Mellini, M. 133
Mendoza, Cristobal 99
Merz, Mario 138
Messager, Annette 56
Middlebrook, Jason 58
Milanesi, Gaetano 136, 137, 138
Mill Stuart, John 135
Millais, John Everett 22
Mirò, Jean 57, 81
Mondrian, Piet 57
Monfort, Guido di 64
Montanini, Famiglia dei 70
Morandi, Giorgio 104
Moreau, Gustave 51
Mugnai, Gabriella 73
Muscò, Domenico 7, 9, 117, 135
N
Neickel, Caspar Friedrich 15, 16
Novak, Marcos 99
O
Olivetti, Alberto 136
P
Palazzeschi, Aldo 134
Pallecchi, Giorgio 118
Panofsky, Erwin 19, 53
Paradisi, Sara 118
Parenti, Roberto 133
Partini, Giuseppe 36
Pellegrini, Annamaria R. 9, 19, 33, 37, 49,
135
Pepe, Mario 14
Pes, Lorenzo 118
Petrioli, Piergiacomo 9, 13, 15, 29, 136
Petronio, Arbitro 13
Pia de’ Tolomei 22, 135, 136, 137, 138
Pianigiani, Giuseppe 23
Piccolomini, Enea Silvio 32, 136
Pierini, Marco 139
Pio II, Papa 29, 30, 31
Pisano, Giovanni 33, 35
Pisano, Nicola 33, 35
Platny, Margit 136
Plensa, Jaume 57
Podesti, Giuseppe 136
Profili, Francesca 9, 91, 137
Q
Quinz, Emanuele 99
Quiviger, Pascale 136
R
Ragghianti, Carlo Ludovico 15
Ranieri, Annalisa 118
Righi Ricco, Jacopo 136
Rokeby, David 99
Rossellino, Bernardo 29, 30, 31
Rossetti, Dante Gabriele 22, 136
Rossi, Famiglia dei 70
Ruskin, John 136, 137
S
Sabella, Agnese 118
Sabin, Albert 140
Sala, Eliseo 136
Salimbeni, Famiglia dei 70
Salvani, Famiglia dei 70
Santi, Giorgio 66
Saracco, R. 100
Scelfo, Elisabetta 79, 80, 85
Scelfo, Leonardo 9, 53, 73, 85, 99, 138
Schwitters, Kurt 58
Scipione, Publio Cornelio 67
Sclavo, Achille 140
Scognamiglio, Anna 118
Semplici, Claudia 134
Sergardi, M. 134
Sestini, Bartolomeo 23
Severino, Olga 118
Shakespeare, William 21
Shaw, Jeffrey 99
Shmitt, Antoine 99
Sidgwick, Henry 135
Simonetti, Francesca 118
Soldani, Ambrogio 97
Sordi, Alberto 19
Spirito, Francesco 97
Squillacciotti, Massimo 55
Steinbach, Haim 58
Strabone 15
T
Tanguy, Yves 58
Tanzini, Mauro 118
Tolomei, Famiglia dei 70
Tolomeo II Filelfo 15
Tomassetti, Ermanno 136
Tzara, Tristan 58
U
Ugurgieri, Famiglia dei 70
V
Valenti, Marco 61
Valenti Serini, Francesco 98
Vallotton, Félix 136
Van Gogh, Vincent 19, 104
Vannozzi, Francesca 9, 43, 97, 139
Varlotta, Antonella 118
Vasari, Giorgio 33
Vignola, Jacopo Barozzi detto il 36
Viligiardi, Arturo 138, 139
Vitruvio 38
Vittorio Emanuele 24
Volpe, Gioacchino 69
W
Walpor, Edgar 139
Warburg, Abi 19
Wetmore Story, William 137
Z
Zotti, Piergiorgio 92
143
Collana “
Briciole ”
1. Pronto soccorso per i beni culturali.
2. Progetto Campo libero. Il volontariato e il carcere nella regione Toscana.
3. Organizzazione di eventi d'arte,comunicazione non profit e strumenti informativi
(a cura di Domenico Muscò).
4. Risorse umane ed emergenza di massa
( a cura di Anna Placentino e Carmelo Scarcella)
5. La Gestione dell'Archivio nelle Organizzazioni Non Profit
(a cura di Domenico Muscò).
6. Progetto Faro. Sviluppo delle comunità e dei sistemi integrativi.
7. Passi di ... versi.
8. Conoscere l'ambiente per difenderlo.
9. Cultura della nonviolenza
(a cura di Domenico Muscò).
10. RIFUGIATI. Guida didattica per volontari.
11. Il ruolo del volontariato in una società multietnica.
Finito di stampare nel mese di Luglio 2005
presso: Tipografia ESSEGI snc
Via Ponte alle Mosse 141/A/B
Firenze
Grafica ed impaginazione
Linda Vinci