Roma e gli anni `70 raccontati dall`arte

Transcript

Roma e gli anni `70 raccontati dall`arte
19 dicembre 2013 delle ore 04:06
Roma e gli anni ’70 raccontati dall’arte
È stato un decennio tragico e vivissimo. Ricco di voglia di azzardare. Che ha visto la nascita di
opere memorabili e di artisti che tuttora sono studiati dai giovani. Così come i critici e i curatori
che, accanto a loro, spesso hanno inventato un nuovo modo di fare l’arte. Tutto questo ora è
raccontato in una luminosa mostra in un museo romano. Paradossalmente proprio il luogo che
quel decennio ha criticato [di paola ugolini]
Il Palazzo delle Esposizioni di Roma, torna ad
essere un museo, un grande Museo con la M
maiuscola, grazie alla mostra "Anni 70 Arte a
Roma” (fino al 2 marzo 2014) splendidamente
curata da Daniela Lancioni. Il decennio preso
in esame è sviscerato esclusivamente dal punto
di vista delle arti visive e attraverso i lavori degli
artisti italiani e stranieri, che in quegli anni
risiedevano nella capitale. Si snoda così
l’avvincente racconto di un periodo complesso,
ricco di molteplici e talvolta contraddittorie
sfaccettature. I sovvertimenti sociali e politici,
il femminismo, gli strascichi della protesta
giovanile del ’68, la lotta di classe, la nascita
delle Brigate Rosse e quindi della lotta armata
che hanno reso quegli anni tristemente noti
anche come "gli anni di piombo” si riverberano
nelle opere di molti artisti impegnati
politicamente e mentre I linguaggi visivi si
complicano e si moltiplicano, già nella seconda
parte di quel decennio così ricco di stimoli si
delinea quel "rappel à l’ordre” che è poi
sfociato, agli inizi degli anni ’80, nei due
movimenti pittorici della Transavanguardia,
teorizzata da Achille Bonito Oliva e della
Pittura Colta di Italo Mussa.
Il percorso espositivo inizia nella rotonda
centrale, concepita dall’architetto Pio Piacentini
alla fine del XIX secolo, al centro una delle
opere più emblematiche di Gino De Dominicis
Il Tempo, lo sbaglio, lo spazio del 1969,
presentata a Roma nel 1970 in occasione della
mostra curata da Maurizio Calvesi presso la
Galleria L’Attico di Fabio Sargentini intitolata
"Fine dell’Alchimia”: In quella sede, «nel
garage di via Beccaria, Kounellis presenta la
donna bendata con le mosche che si posano sulla
pancia; Vettor Pisani la tartaruga che procede
lenta portando sul dorso un peso dorato in
mezzo a gusci di tartaruga; Gino De Dominicis
lo scheletro con i pattini a rotelle, un’asta in
bilico sul dito e il cane al guinzaglio, opera di
cui Gabriele Guercio — tra gli altri — descrive
con attenzione le dinamiche sottese. Per De
Dominicis lo spazio dell’arte è quello della
verticalità, lo sbaglio è la volontà di spostarsi
orizzontalmente e ancor più il desiderio di
imprimere un’accelerazione attraverso i pattini
». (Laura Cherubini, Gino De Dominicis, in
Flash Art 270, Giugno-Luglio 08). La mostra "
Fine dell’Alchimia” (28-29 dicembre 1970),
una delle quattro collettive-cardine che
cambieranno il modo di concepire un’esposizione
di arte e che segneranno indelebilmente l’epoca,
sono raccontate oggi a Palazzo delle
Esposizioni attraverso le immagini di tre
fotografi, Claudio Abate, Ugo Mulas e
Massimo Piersanti (fotografo ufficiale degli
Incontri Internazionali d’Arte associazione
culturale fondata da Graziella Lonardi
Bontempo nel 1970) e da una serie di
documenti. Le altre tre mostre, oltre a quella
appena citata, sono "Vitalità del negativo
nell’arte italiana 1960/70” al Palazzo delle
Esposizioni (novembre 1970-gennaio 1971), "
Contemporanea” al Parcheggio di Villa
Borghese (30 novembre 1973-28 febbraio
1974) e "Ghenos, Eros e Thanatos” alla Galleria
La Salita (dal 3 febbraio 1975).
Con "Vitalità del Negativo” e "
Contemporanea”, Achille Bonito Oliva
introduce non solo la collettivizzazione di
esperienze diverse in un’unica grandiosa
visione, ma anche la precisa messa a punto del
dispositivo mostra come scrittura espositiva.
Con "Eros, Ghenos e Thanatos” curata da
Alberto Boatto e "Fine dell’Alchimia” c’è il
distacco netto dalle pratiche artistiche
concettuali per un’immersione nei misteri della
vita, della morte e della sessualità. Dalla
rotonda il percorso espositivo si dirama in
diverse sezioni che presentano le opere
accostate per nuclei concettuali «suggeriti dalle
opere», precisa Daniela Lancioni. La prima
sala, entrando a destra, è dedicata a "La carne
e l’immaginario”, binomio preso in prestito da
Alberto Boatto. Presenta due Cretti di Alberto
Burri, uno bianco e uno nero, due sculture che
diventano materia pittorica in muto dialogo con
i due olii neo-metafisici di De Chirico che in
questo periodo di "copiatura di se stesso” dava
vita a dei pastiches visivi, prelevando e
mischiando insieme i modelli e le icone delle
sue opere Metafisiche. Sempre in questa sala,
una grande opera di Kounellis del 1973 occupa
il muro di fondo, mentre a metà sala lo spazio
è interrotto dalla Mimesi del 1973 di Giulio
Paolini un artista che si è sempre interrogato, e
continua a farlo, sulla natura intrinseca
dell’opera d’arte nonché sul ruolo, sulla
posizione dell’artista. Salvo, invece, si
autorappresenta come Raffaello nella grande
tela del 1970 Autoritratto come Raffaello,
mentre Luigi Ontani veste i panni di Dioniso in
uno dei suoi primi lavori fotografici.
"Il doppio” e subito dopo "L’altro” sono I
"macro-temi” che titolano le altre due sale del
corridoio a sinistra mentre nel corridoio di
destra le tappe sono contrassegnate da "
Linguaggio”, "Sistema” e "Il disegno e la
scultura”. Il corridoio centrale ospita una serie
di opere che sono riunite sotto il titolo "Tutto”
usato da Mario Schifano per una sua mostra del
1963 in cui dopo l’esperienza del monocromo
inglobò nei suoi dipinti tutte le immagini
possibili: paesaggi naturali e urbani, citazioni
colte dalla storia dell’arte. Qui convivono Senza
Titolo (1970), di Jannis Kounellis, un
pianoforte a coda posizionato come nella
mostra "Vitalità del Negativo” in cui l’artista
presentò per la prima volta quest’opera,
Particolare (1972) di Giovanni Anselmo, Alba,
giorno, tramonto, notte (1975-76) di Eliseo
Mattiacci, Ritratto di Dio (1970) e Autoritratto
(1971), due feltri di Vincenzo Agnetti, Fantasia
del paziente naturale (1970) di Mario Schifano,
un’esplosione di colori vitalissima, Mettere al
mondo il mondo (1972-73) e una Mappa (1971)
di Alighiero Boetti e cinque monocromi di
Ettore Spalletti realizzati fra il 1974 e il 1975
oltre alla Colonna di Colore esposta nel 1979
alla galleria di Mario e Dora Pieroni. La
Rivoluzione siamo noi è il titolo dell’intervento
che Joseph Beuys tenne il pomeriggio del 21
aprile del 1972 nella sede degli Incontri
Internazionali d’Arte a Palazzo Taverna
invitato da Achille Bonito Oliva, che fu
direttore artistico dell’associazione dal 1970 al
1980, e la cui documentazione sonora e
fotografica, con gli scatti di Claudio Abate ed
Elisabetta Catalano, ci riporta in quell’epoca in
cui l’arte era politica e la parola d’ordine oltre
a "condivisione” era "partecipazione”.
Fenomeno è il titolo della sala che raccoglie le
opere della metà del decennio ricco di
differenze di linguaggio, tematiche, tecniche e
attitudini, le foto della performance 4,5 o 6
Pianos di Nam Jun Paik presentata nel 1975 alla
galleria L’Attico che in perfetto spirito Fluxus
sovverte le regole del gioco includendo il
pubblico nell’azione, la Stella di Zorio (1974),
la Piroga intagliata nel legno di Hidetoshi
Nagasawa (1973), Tufo Stone Circle di Richard
Long (1976), la scultura Aereo-razzo Bachem
Natter 349 B-1944 (1976) di Maurizio
Mochetti, la grande tela acquerellata di Salvo I
Giganti fulminati da Giove (1977), le fotografie
usate come memoria intima, ricordo di vita
vissuta dell’opera di Christian Boltanski
L’appartement de la rue Vaugirard (1973), la
fotografia come opera autocelebrativa con
pagina 1
Exibart.com
Gilbert and George, come documento politico
come nell’inquietante serie delle Foto da un
atlante di medicina legale (1975) di Giosetta
Fioroni, la fotografia usata da Katerina
Sieverding e da Urs Luthi, I ritratti fotografici
di quei bellissimi ragazzi degli anni 70: Enrico
Castellani, Cesare Tacchi, Maurizio Mochetti,
Alighiero Boetti, Lawrence Weiner di
Elisabetta Catalano e le fotografie di Tano
d’Amico che con il suo obiettivo ha raccontato
un’epoca di lotte, di immigrazione e di povertà.
E ancora le fotografie di Mario Cresci,
realizzate fra il ‘78 e il ‘79, in cui c’è la ricerca
della luce, delle ombre e "dell’artisticità” del
mezzo fotografico.
Racconto, Politica e Labirinto sono i temisimbolo delle ultime tre sale, a tal proposito
bisogna citare l’interessante il saggio in
catalogo di Lucilla Meloni sugli strettissimi
rapporti fra arte e politica che caratterizzano il
decennio, quando gli artisti non potevano
prescindere dall’impegno e spesso anche dalla
militanza. In effetti, politica è l’arte di
Kounellis, di Sol Lewitt, di Vettor Pisani, di
Maurizio Mochetti, di Andrè Cadere, di
Vincenzo Agnetti, di Sergio Lombardo, di Luca
Patella, di Fabio Mauri, di Lawrence Weiner,
come decisamente politica è la scelta di
Gianfranco Baruchello di abbandonare la città
per l’agricoltura e la campagna. Politici sono i
lavori del collettivo Videobase e i lavori di
matrice femminista di Cloti Ricciardi, Suzanne
Santoro e Tomaso Binga. Con la fine degli anni
70 c’è il ritorno alla pratica pittorica «scivolata
verso il disegno» (Achille Bonito Oliva) come
in una sorta di approccio timido che poi
esploderà grandioso e monumentale con la
"pittura totale” della Transavanguardia nei
primi anni ’80. Ottimo il catalogo, un vero e
proprio libro che è un piacere leggere, editato
dal Palazzo delle Esposizioni, con ben dodici
contributi critici tutti di altissimo profilo.
pagina 2
19 dicembre 2013