n° 1 Novembre 2011
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n° 1 Novembre 2011
BARTOLOMEO il giornale degli studenti dello zucchi TUNISIA EDITORIALE TRA NUOVE SPERANZE E VECCHI INCUBI 17 dicembre 2010, Tunisia: inizia la cosiddetta “primavera araba”. 25, 26, 27 gennaio 2011, il contagio si diffonde: Egitto, Siria, Yamen, Libia, Bahrain . Poi ancora Arabia Saudita, Oman, Iraq. dittatori sangunari, sostenendoli implicitamente? Lo sconcerto dettato da queste elezioni lascerà ben presto il posto agli interessi economici e i rappresentanti del governo islamico verranno ricevuti con gli stessi onori con cui in 2011: i tunisini sono stati i primi a passato si ricevevano Ben Ali, cominciare, i primi ad essersi Mubarak e Gheddafi. liberati di un dittatore, i primi a recarsi alle urne, i primi a L a p r e o c c u p a z i o n e n o n dimostrare che rivoluzione non dovrebbe vertere intorno alla s i g n i f i c a n e c e s s a r i a m e n t e nascita di un nuovo stato rinnovamento, certo, è un’azione islamico in quanto tale, ma che preannuncia un cambiamento, intorno all’inammisibillità di ma nessuno ci assicura che sia in uno stato teocratico nel XXI meglio perchè le rivolte preparano secolo, indipendentemente sì la caduta di un despota, ma è dalla religione a cui decide di anche vero che nessuno, o pochi, ispirarsi, dal momento che una pensano a ciò che verrà, al dopo; religione, per quanto moderata così, quando il tiranno rovina essa possa definirsi, rimane in nella polvere, c’è il rischio che ogni caso conservatrice e senza che nessuno se ne accorga, reazionaria. Ed ancora più striscino verso il potere i servi dei sorprendente è che abbia deciso vecchi padroni, con la speranza e di intraprendere una via di l’attesa di diventare i nuovi cesari. questo genere un popolo che fino a pochi mesi fa lottava con La Tunisia ha vissuto le prime le unghie e con i denti per elezioni libere dal colpo di stato costruirsi un futuro di diritti e dei Ben Ali e dunque è ancora democrazia. Proprio per questo difficile fare previsioni perchè il mi sembra che, sebbene il vero “dopo” non è ancora mondo arabo abbia vissuto arrivato, comincerà quando il un’intensa primavera, a Tunisi nuovo governo si troverà ad l’inverno sia giunto fin troppo affrontare la democrazia con tutte presto. le difficoltà e aspettative che ne La grande occasione di un concerne; ma il fatto che abbia cambiamento drastico offerta al s c e l t o c o m e p r o p r i o paese dalle rivolte è stata rappresentante un partito islamico gettata via da un elettorato non fa presagire prospettive forse ancora troppo poco propriamente rosee. L’esito delle conscio del proprio peso elezioni non era certo una politico e abituato a considerare sorpresa eppure l’Europa, e se stesso unicamente come l’America insieme a lei, ostentano strumento di guerriglia. disdegno di fronte a questa Probabilmente questo è tutto vittoria di An-Nahda: non si ciò che possiamo aspettarci da rendono conto del fatto che oggi u n p o p o l o c h e n o n h a gli elettori tunisini, e forse esperienza diretta di governi domani quelli egiziani e libici, d e m o c r a t i c i ed una scelgono l’Islam anche perchè ieri maggioranza “islamica, ma l’Occidente ha chiuso gli occhi moderata” è quanto di più davanti al potere tirannico di vagamente simile a un’istituzione democratica esso possa permettersi anche e soprattutto perchè quando si parla di mondo arabo o Medio Oriente delle elezioni “libere e giuste” costituiscono già un cambiamento drastico ed un enorme passo verso la democrazia. ••• Nadeesha Uyangoda III A POLITICA / ATTUALITÁ La libertà di stampa nell’era del Web, una conquista ormai perduta? Se anche voi, nei giorni 4,5 e 6 Ottobre, navigando su Internet alla disperata ricerca di materiale scolastico, avete deciso di andare sul sicuro e di collegarvi a Wikipedia, avrete certamente notato (e con disappunto, immagino) che il sito era oscurato e al posto della pagina iniziale potevate solamente leggere una lettera degli utenti che cordialmente si scusavano per l’accaduto e auspicavano ad un veloce ritorno alla normalità. Motivo della momentanea chiusura di Wikipedia Italia: la protesta contro il comma 29 del cosiddetto DDL intercettazioni; eh sì, perché questo decreto, approvato dalla Camera dei deputati l’11 Giugno 2009 e poi modificato dal Senato il 10 Giugno 2010, permette a chiunque si ritenga in qualsiasi modo offeso da un contenuto presente su un blog o su una testata giornalistica on-line, di richiederne l’immediata rettifica, indipendentemente dalla veridicità delle informazioni stesse. In altre parole, ipotizziamo che qualcuno di importante non voglia che una notizia riguardante i suoi affari venga divulgata nel Web e che per questo motivo egli la ritenga lesiva della propria immagine; ebbene, costui potrebbe, secondo la legge, obbligare il sito in questione a pubblicare entro 48 ore dalla richiesta un nuovo testo che, senza alcun commento, si venga a sostituire al precedente, anche qualora la notizia pubblicata fosse stata vera. Wikipedia è un mezzo di informazione neutrale, gratuito e soprattutto libero, come attesta il nome stesso di “Enciclopedia libera”; ed è proprio per questo motivo che gli utenti del sito, insieme agli altri manifestanti contro la cosiddetta “legge bavaglio”, si sono mobilitatati tanto da riuscire a scuotere l’opinione pubblica, e non solo quella italiana. Il primo a scendere in campo in ambito internazionale è stato l’ONU che avverte: il decreto “va abolito o modificato in quanto rischia di minare la libertà di espressione in Italia”; il ministro degli Esteri Franco Frattini, “fortemente sconcertato e sorpreso”, invita a leggere il testo di legge con maggior attenzione e fa notare che “in democrazia si tutelano anche i diritti degli indagati”. E mentre al governo sembra interessare di più la salvaguardia di suddetti diritti, l’Italia scivola ormai tra i Paesi semi-liberi per quanto riguarda la libertà di stampa, secondo il rapporto Freedom House, che dal sessantacinquesimo posto ci ha declassato nel 2009 al settantatreesimo, pari merito con Tonga e Israele e sotto molti stati in via di sviluppo, come Namibia e Ghana. La libertà di stampa insieme a quella degli altri organi di informazione è una delle principali garanzie di ogni governo democratico e dovrebbe appunto garantire a tutti i cittadini l’esistenza della libertà di parola e di espressione; in Italia tale diritto è sancito dall’Articolo 21 della Costituzione e inoltre in quanto membro dell’Unione Europea, dalla Dichiarazione dei Diritti Fondamentali e, come stato facente parte dell’ONU, anche dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Peccato che nel nostro Paese la libertà di stampa formalmente non si estenda al Web e perciò i blogger possono tranquillamente essere querelati o incriminati per diffamazione, proprio quello che dovrebbe essere evitato in un Paese civile. A schierarsi dalla parte dei giornalisti on-line è il rappresentante per l’Osce della libertà di stampa, Dunja Mijatovic, che ricorda come non ci dovrebbero essere restrizioni generali di legge per la pubblicazione di informazioni di interesse pubblico, né tanto meno pene detentive per coloro che possiedono o pubblicano tali notizie. Dall’Osce parte quindi un nuovo monito alle autorità italiane, affinché modifichino il disegno di legge che se attuato, bloccherebbe il giornalismo investigativo e la libera pubblicazione di informazioni al servizio della democrazia. Se persino il presidente della commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno, ha deciso di dimettersi perché a suo dire il DDL intercettazioni “preclude la possibilità di dare notizie” e aggiunge “la legge così è inaccettabile”, mi chiedo di quanto tempo hanno ancora bisogno i potenti per capire che non è più il tempo, e probabilmente non lo è mai stato, di limitare la libertà: come si può sopportare oltre questo tipo di costrizioni che, a beneficio di pochi, gettano l’ombra della censura su molti? Qui di seguito un estratto del decreto legge sulle intercettazioni telefoniche, il comma 29 “ammazza-blog”: «Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono.» ••• Beatrice Mosca, III C Claudia Pizzagalli, III C POLITICA / ATTUALITÁ PROOOOOOOOT, PROOOOOOOOT Blubb, bzzz, chicchirichì, bleah, crack, crash, flap, gulp, vah, thrash, pak, puah, ptuh… Sì, mi sembra l’inizio più appropriato; una bella rassegna di onomatopee. Eh, sì, onomatopee. Sono divertentissime: parole prive di un significato proprio che riproducono e suggeriscono suoni o, meglio ancora, rumori naturali. Il modo più spontaneo, primordiale, infantile e quindi internazionale - vale per tutti - di interpretare la molteplicità delle cose. E come si fa a non esordire con queste garrulanti, sibilanti, cuculanti, sussurranti, tintinnanti, squillanti espressioni in un clima come quello odierno. Un clima dramma-comico. E poi bisogna ricordare che le onomatopee sono il fiore all’occhiello dei nostri esponenti, soprattutto di quel provincialotto di Capolago, quello che si spaccia Ministro per le riforme, quello che si è inventato tutta quella storia da festa delle matricole, la storia dei celti, mitici antenati dominatori della mitica Padania che non è mai esistita, i Celti che arrivarono in Italia dai valichi alpini, maestri nella resa di queste figure di suono: quell’Umberto federale, che scalda bene gli scranni romani, l'ago della bilancia che decide il governo del paese, che, davanti a villici in una festa di carnevale con elmi e alabarde di latta in pugno, e trecce barbariche finte, articola una gamma di pernacchie degne di una hit parade. Senza contare che la sua è una performance eterna, per via di quel piccolo disturbo di emissione. Oggi però ci si accorge che è sempre più arduo inquadrare la fase attuale in una di queste espressioni, rendere queste ultime una sorta di incarnazione della realtà: non bastano più quelle presenti, se ne cercano di nuove, di più conciliabili, di più disgustose. Nemmeno l’attore comico più convincente sarebbe in grado di coniarne una che manifesti le scorrerie quotidiane, l’indignazione pressante, l’incancrenimento esasperato del potere, l’aborrimento di qualsiasi educazione civile e democratica, l’incessante sputtanamento mediatico a carattere internazionale, il trafficare lucroso, la “macelleria sociale”, l’arretratezza esacerbata. Una sequela infinita di piaghe che tanto si è tentato di occultare e che ora emergono reboanti da quel costruito clima omertoso appena passato. Si provi solo a pensare a quella famigerata e sminuita onomatopea che puntualmente, stampa e notiziari, a colazione, pranzo e cena, ricordano mestamente, provocando plurimi problemi di digestione: crack. Un suono disgregante, dirompente, angosciante, incontrovertibile. Quando un pezzo di legno fa “crack”, divelto, si scinde, non è più l’ente di partenza; quando un braccio fa “crack”, divelto, occorre armarsi di pazienza e attendere la scadenza di trenta giorni; ma quando le vertebre fanno “crack”, divelto, allora la situazione è inconfutabile, non si è più gli enti di partenza. E quando a fare “crack” è un intero sistema, un insieme di attività e investimenti umani legati tra loro da una costante eterea ma necessaria, cosa significa? È possibile riacquistare le qualità di partenza? Quando moltitudini sconfinate si coalizzano, senza striscioni di una o dell’altra corrente, occupano strade, piazze, città, continenti, significa che le esili vertebre dei paesi si stanno irrimediabilmente disgiungendo, che non si parla più di braccia rotte e di pazienza, ma di una paralisi che costringerà noi tutti a muoverci su una sedia a rotelle per il resto dei nostri giorni. I trenta giorni d’attesta sono diventanti sessanta, poi novanta e poi centottanta e così inarrestabilmente. E così la pazienza sfuma, la tranquillità si dissolve e, privi di una sincera speranza di guarigione, si instaura un regime di caos e paradosso. Uomini che rappresentano una nazione europea, di stampo democratico, sebbene accusati di onta, infamia, ignominia e invitati ad abbandonare le posizioni istituzionali, si rifugiano nei palazzi del potere e, sordi, perseverano nel fomentare i disordini e le ingiustizie. Nemmeno il principio ordinatore della legge può impedire questi scriteriati; le leggi si possono interpretare o renderle interpretabili. Si danno i premi nobel per la pace a chi foraggia investimenti per i conflitti mediorientali, si va alle feste di compleanno di ex dirigenti del KGB fondatori di una tirannia celata, si assolvono con formula piena assassini… Ma il dramma, la tragedia, è che oggi come oggi non si può ricondurre la realtà a una di queste espressioni, ma tutto è un miscuglio omogeneo, un gran putiferio ambiguo, un impasto grossolano che rischia di farci penetrare in quella oscura, ignota e desolante dimensione del non essere. Si tenta di prendere provvedimenti, e ognuno fa a modo suo finché non tuona la commissione europea e la BCE che ricordano ai nostri politici che sono tali, e non spassionati leccapiedi. Siamo in un set televisivo. O per meglio dire in una fabbrica che confeziona i propri prodotti con carte sgargianti, piene di fiocchi, fiocchettini e fiocchettoni di ciclopiche dimensioni, sui quali compaiono scritte come “evviva”, “urrà”, “va bene così”: poi, dopo aver pagato profumatamente il tutto, apri la confezione e ci scopri un mucchietto di polvere anonima. La fabbrica di Berluskonia - siamo sempre alle solite, fa prima a crepare il cavallo prima che si cambi leitmotiv - il regno del consumo senza limiti e della felicità assoluta sotto la guida del buon sultano, avvenne con la costruzione di Canale 5, Italia 1 e Retequattro. Passando negli studi televisivi si capiva che un ometto non solo era capace di moltiplicare i bisogni e i desideri, ma anche di far credere ai poveri di essere ricchi e agli infelici di essere privilegiati. I poveri cristi noleggiati o assunti per far funzionare la produzione, appena entrati nel recinto magico si trasformavano, si sentivano eleganti, spigliati, erano entrati nel prato dei miracoli, del benessere e della bontà. Qui la bonarietà naturale del nostro è diventata un'arma irresistibile di dominio. Che balle quadre, non ne posso più dei nani: la prossima volta andiamocelo a cercare come minimo “abbronzato”. ••• Andrea Merola ID POLITICA / ATTUALITÁ AVREI CHIAMATO LA MAMMA IL CORAGGIO DI ELIZABETH Chi ha detto che il coraggio di affrontare dei rischi ( per un’idea, per un principio, per una passione) non possa andare di pari passo con la sensibilità di una donna, di una madre? La storia della giornalista statunitense Elizabeth Rubin è un esempio lampante, la vicenda di una giovane donna che, sola ed incinta di quattro mesi ha seguito i marines al fronte in Afghanistan. Elizabeth ha raccontato le travagliate vicende dell’Afghanistan fin dal 2001. Negli anni novanta ha lavorato come corrispondente per il N e w Yo r k Ti m e s M a g a z i n e , dall’Iraq, dai Balcani, dalla Russia, dall’Africa. Nel 1998 è stata un mese a Sarajevo, come reporter e fotografa. Fa - per così dire - un lavoro poco femminile, che la porta a dormire in grotte fredde e buie, viaggiare al seguito di soldatacci nelle steppe asiatiche, affrontare lunghe traversate sotto il sole rovente in una jeep. Ma il suo mestiere di “narratrice del mondo” le ha mostrato anche il volto delicato e toccante delle situazioni più crude. Un incubo. Avrà mai fine? Mi sono immaginata me stessa mentre tento di proteggere mio figlio da un attacco aereo senza riuscirci. Improvvisamente sono stata sopraffatta.. Completamente senza speranza. La sensibilità (se vogliamo, possiamo definirla femminile) di Elizabeth le ha fatto cogliere il lato umano, pur dentro un’atroce violenza, ed è stata questa stessa sensibilità a farglielo raccontare. Il volto insanguinato di un ragazzo colpito da una bomba statunitense: “ Perché continuate a bombardarci e poi venite a dire che vi dispiace?”. Eppure, Elizabeth continua a scrivere, imperterrita. La vede come l’unica cosa da fare per non essere sopraffatta da ciò che la circonda. Il suo modo di rapportarsi all’orrore della guerra. Il coraggio di Elizabeth ha trovato molti ostacoli, molte reticenze. I giudizi sulla sua decisione così rischiosa sono stati aspri. Il colonnello dell’esercito aveva inizialmente respinto la sua richiesta di seguire i suoi uomini al fronte per via della sua gravidanza. Il medico del centro per le malattie infettive le aveva sconsigliato vivamente di affrontare il viaggio. Al che Elizabeth aveva risposto:- Se avessi avuto bisogno di qualcuno che mi dicesse di non andare in Afghanistan avrei chiamato mia madre.E’ l’esempio di come determinazione e forza di volontà possono superare tutte le barriere ed i (pre)giudizi. Specialmente per noi ragazze, specialmente in un epoca dove la femminilità coincide, nell’immaginario collettivo, con i bei vestiti, l’affettazione, la frivolezza, la cura estrema e maniacale dell’esteriorità. Se non, in certi casi, con qualcosa di peggiore. ••• Irene Doda III D POLITICA / ATTUALITÁ LEALTÁ E AZIONE Buongiorno Zucchini! Immagino che ormai il trauma del primo periodo di scuola si stia pian piano alleggerendo, che ormai tutti stiamo accettando di compiere il nostro dovere e che al posto del devasto iniziale stia avanzando la grinta, o forse la rassegnazione, di mettersi al lavoro! Insomma sembra che quest'anno all'opera non ci stiamo mettendo solo noi nella nostra cara Monza. A quanto pare, un certo gruppo di neonazisti ha eletto la nostra città come la più degna a ospitare la loro sede di ritrovo. Quale orgoglio ci reca questa scelta! Sarà che i nostri politici locali hanno un cuore tanto grande da accogliere un movimento che viene accuratamente evitato, se non cacciato, dalle città vicine... Infatti questo gruppo, che si chiama “Lealtà e Azione”, si era in precedenza stabilito a Milano, ma il sindaco, non ritenendo opportuna una presenza simile, li ha allontanati dalla città. Come lui, non sono stati solo degli altri "comunistoni" ad essere infastiditi da questo movimento: a Magenta, una giunta di destra, a marzo di quest'anno ha rifiutato che venisse svolta una serata dedicata al nazismo, per di più organizzata il giorno dell’anniversario della marcia su Roma di Mussolini. Perchè “Lealtà e Azione” non viene compresa, e accettata dalle realtà che ci circondano? Mi preoccuperò solo di delinearvi un breve profilo del movimento nei suoi punti essenziali, in modo che voi stessi possiate darvi una risposta. I membri di questo gruppo si pongono come portatori di un modello fondamentalmente etico e morale, che prevede la guerra a quelli che sono i nostri punti deboli interni, per poter migliorare il nostro essere, come spesso le religioni ci chiedono. Il movimento in questione però, sottilmente, concepisce questo essere come la nostra nazione e attribuisce il nome di debolezza interna a ognuna di quelle minoranze scomode che spesso sono oggetto di dibattito. Lealtà e Azione cerca di diffondere una mentalità omofobia e razzista, basandosi non a caso sulle parole di una guardia SS particolarmente vicina al Furer, un certo Leon Degrelle. Ora la nostra città non sta facendo proprio una gran figura accogliendo a braccia aperte suddette persone. Anche implicitamente, sta comunque esprimendo una propria inclinazione politica che è piuttosto forte: non è come schierarsi semplicemente a destra o a sinistra (da notare è il fatto che il collettivo FOA BOCCACCIO continua a occupare edifici rivendicando la necessità di un centro sociale a Monza e continua ad essere ignorato, mentre invece un immediato consenso viene dato a organizzazioni politiche come quella di cui ora ci stiamo occupando). Così, sabato 8 Ottobre c'è stato un presidio, gestito da associazioni come l'ANPI e, appunto, il BOCCACCIO, in Piazza San Paolo, per esprimere il dissenso che portano i cittadini di Monza (o almeno una parte) verso la presenza di questo movimento. Il presidio è cominciato alle 14.30 ed è durato per tutto il pomeriggio. C'è stata la possibilità di firmare contro l'apertura di questa sede ed è stata allestita una mostra di fotografia. Non c'era poca gente. La piazza, forse potreste dire che è piccola, ma in ogni caso, con il tempo, si è riempita. Quindi chi non è d'accordo con questa decisione c'è, e si sta facendo sentire. ••• Anna Caprotti IA PIANETA ZUCCHI PORTE E PORTONI Mi rendo conto che ora probabilmente non riuscirete a cogliere il riferimento tra il titolo e il contenuto di questo mio articolo... Ma, se avrete pazienza e leggerete fino alla fine, scoprirete il nesso che li lega. Ciò di cui vorrei scrivere è lo smistamento. Questo parolone spaventerà chi di voi è appena approdato al pianeta Z. Si riferisce in sostanza a una prassi ormai usuale (si ripete già da qualche anno) che riguarda le classi che passano dal ginnasio al liceo. È una questione di numeri: la legge stabilisce dei criteri quantitativi per le classi liceali che entrano nel triennio dal biennio (dall’ultima riforma in verità si parla di 1° biennio, 2° biennio e ultimo anno). Perciò una delle classi quinte ginnasio va incontro a “smistamento”: si sceglie una di esse mediante estrazione e i suoi componenti si dividono accorpandosi alle altre sezioni. In questo modo si raggiunge il numero di alunni prestabilito per ogni classe. Ecco cosa hanno risposto alle mie domande sette ragazze della classe smistata a giugno: Prima che lo smistamento vi riguardasse da vicino, sapevate cosa fosse? Eravate consapevoli della eventualità di incorrervi? Sì, una mia amica era stata smistata e me ne aveva parlato. Tuttavia la sottovalutavo come esperienza. ..Lo conoscevo, ma speravo che non succedesse proprio a me. Il momento dell’estrazione? Io lì per lì sono scoppiata a piangere, perché è stato un po’ un “trauma”… aldilà di questa reazione, è stato un grande dispiacere per me: eravamo una bella classe. Ero incredula: mi sono trovata a sperare che ripetessero l’estrazione.. Lo stesso vale per me, in quel momento non ho realizzato le conseguenze di ciò che stava succedendo, me ne sono accorta solo a settembre. La scuola vi ha seguito, vi ha aiutato a orientarvi in quella situazione? Dal momento che l’estrazione è avvenuta in piena estate, ci siamo trovati un po’ in difficoltà, abbiamo dovuto orientarci da soli per quanto riguarda libri e compiti. Però nel procedimento dello smistamento, e cioè in concreto la scelta della nuova classe a cui essere assegnati, siamo stati supportati – abbiamo potuto esprimere più di una preferenza. A proposito, come avete fatto a mettervi d’accordo tra voi? Effettivamente all’inizio è stato problematico, il dover esprimere delle preferenze per le sezioni cui essere assegnati … abbiamo cercato di arrivare a un compromesso tra noi, per essere tutti soddisfatti dell’esito dello smistamento. E ora come vi trovate nella nuova classe? In generale bene, non ci sono grossi problemi a livello di socializzazione: per quanto mi riguarda, sono stata ben accolta dalla classe in cui sono stata smistata. È ancora presto per parlare. L’unità si creerà con il tempo … Cosa dite a chi teme lo smistamento? A chi lo teme?..che fa bene! No, dai, all’inizio dispiace molto, ma poi passa l’ansia. Più che altro io ho sentito la preoccupazione di dover ricominciare tutto daccapo: non solo nuovi professori (cosa è tipica del passaggio da ginnasio a liceo) ma anche nuovi compagni.. Sì, è stato un po’ come tornare in quarta ginnasio, per certi versi. Però può essere un’opportunità! Siete ancora in contatto con i vostri ex compagni di classe? In questo caso, secondo me, vale un discorso generale: i contatti si mantengono se lo si vuole davvero. Questo accade sempre in amicizia. Io sono rimasta in contatto con chi avevo legato di più durante i due anni di ginnasio. Con gli altri … non ci salutiamo nemmeno. Tra di noi siamo rimaste in contatto:non è affatto difficile. Alle parole di chi ha da poco vissuto questa esperienza posso aggiungere quelle di due mie compagne di classe, che ho “acquisito” a seguito di uno smistamento. Con il senno di poi mi dicono che, aldilà del dispiacere e dello smarrimento iniziale a cui non sono rimaste indifferenti, capitare nella classe di cui ora sono parte integrante è stata una grande opportunità. Possiamo anche affermare, pur indulgendo in un’espressione molto comune, che nel momento in cui viene estratta una sezione, per i suoi componenti si chiude una porta e allo stesso tempo si apre un portone. Ecco spiegato il titolo! ••• Irene Pronestì III D INTERVISTE Ripensare la Natura senza la Natura Una conferenza al Binario 7 propone un esercizio linguistico per salvare l’ambiente La salvaguardia dell’ambiente è un tema di stretta attualità, in quanto, secondo gli esperti stiamo distruggendo la “Natura”, termine spesso usato come ciò che non è “Antropico”. Eppure il genere umano fa parte di essa: costituisce il complesso degli esseri viventi, delle forze, dei fenomeni che hanno in sé un principio costitutivo che ne stabilisce l’ordine e le regole. Ma la parola in sé può celare significati strumentalizzabili, come ha rilevato Stefano Moriggi, filosofo della scienza, nel corso della conferenza d a l t i t o l o U o m o D o v e Va i ? , organizzata dal Centro Culturale Ricerca, che si è svolta al centro congressi “Binario 7” di Monza, lo scorso 30 settembre. Un argomento non intuitivo, eppure Rosanna Fabozzi, docente di Scienze naturali, presso il Liceo Zucchi, ha invitato gli studenti a partecipare all’iniziativa, cercando di superare le difficoltà linguistiche e concettuali. Ragionare su argomenti complessi diventa di stimolo per i protagonisti del futuro. Professoressa Fabozzi, Stefano Moriggi ha invitato il pubblico ad un “esercizio linguistico”: evitare di usare nel proprio lessico il termine “natura”. Perché è necessario ripensare l'ambiente alla luce di un esercizio di parole? Ritengo sia un approccio interessante: un esercizio di logica e di coerenza, che non solo costituisce un esercizio linguistico notevole, ma impone un accostamento scientifico alla tematica. Moriggi sostiene che se, in un discorso, si impone la regola di non usare la parola/ concetto di cui si dibatte, si è obbligati a darne una definizione, ad argomentare, a dibattere della tematica senza attribuire significati precostituiti, impliciti o pregiudizievoli. In un discorso scientifico non è ammesso descrivere qualcosa usando il termine/concetto che è oggetto di indagine. Si è obbligati a trovare parole che ne restituiscano l’immagine, il senso, le caratteristiche e l’approccio metodologico. Insomma, è vietata la tautologia. Se va riconsiderato il termine Natura, come vanno ripensati i libri di testo al riguardo, visto che spesso nei manuali di Geografia si ha la contrapposizione “naturaleantropico”? Sicuramente in senso meno antropocentrico rispetto a quanto non abbia fatto la civiltà occidentale, che vede la Natura come Ente asservito a bisogni, necessità, senso estetico, follie dell’uomo. Così non è da un punto di vista strettamente scientifico, dato che l’H. sapiens sapiens è solo una delle specie che vivono sul pianeta e nemmeno la più numerosa. Sicuramente la più “intelligente”, ma che non sempre fa cose molto “intelligenti”. Nella società odierna - anche delle Nazioni più avanzate - domina una concezione politico-economica della Natura e delle sue forze. Il recente disastro in Giappone ne è un esempio. Tale rapporto, se pur non negato, va ripensato, riequilibrato. Le conferenze del CCR sono un inno al pensiero laico, svincolato dai dogmatismi ideologici. Ma è possibile parlare davvero di laicità in una società dominata dai messaggi dei media che lanciano messaggi spesso nascondono “altro”? Se per laicità si intende essere scevri da pregiudizi, direi che è cosa ardua. La scienza è fatta dagli scienziati e anche loro hanno i loro “pregiudizi” innati. Diciamo che si può tendere ad un’analisi e quindi ad un giudizio che si avvicini ad una visione “laica” della Natura. Ciò può essere raggiunto solo se si applica un metodo scientifico, dato che in esso è insito il fatto che ogni dato, procedura, conclusione è sottoposta a critica, verificata da altri ed oggetto di controversia. Ovviamente il processo della scienza è lungo, necessita di tempi per i quali le “necessità decisionali” politiche non possono sempre attendere. Il problema diviene dunque una questione di valutazione di priorità, di pesi, di saggezza. E gli uomini politici o meglio gli uomini non sono sempre saggi. Parlando di laicità in senso più stretto, è possibile una conciliazione o almeno un dialogo tra scienza e fede? Sì, se ciò è processo operato da menti “intelligenti”. Mi viene in mente il Direttore della Specola Vaticana, grande esperto di astronomia, o la Pontificia Accademia delle Scienze. E’ un religioso ed anche uno dei massimi esperti di ipertesti ed costruzione di siti internet. Solo la conclusione finale è diversa. Ma quello è atto di fede. Uno dei testi recentemente usciti in allegato alla rivista «Le Scienze» si intitola Non è vero, ma ci credo e raccoglie una rassegna di interviste ai massimi esperti mondiali in vari campi della scienza che hanno dato la loro risposta a tale domanda. ••• Chiara Borghi IV B Shower Time Internet e il mondo di Ana Prima di tutto un saluto a tutti gli zucchini e soprattutto ai nuovi arrivati di quarta ginnasio, auguro a tutti un anno scolastico divertente e non troppo snervante! Mi accingo a scrivere il mio primo articolo come nuova redattrice del Bartolomeo e devo dire che sono un po' nervosa ed emozionata allo stesso tempo. La mia rubrica non avrà un tema ben preciso poichè in realtà amo parlare di mille cose diverse e per scrivere cerco spunti da qualsiasi parte. Ecco perchè ho deciso di chiamarla Shower Time, poichè credo che il momento della doccia sia un momento di profonda riflessione per la maggior parte delle persone (compresa me). E dopo quest'attimo di ironia iniziamo a trattare del tema di oggi. Purtroppo in questo articolo non parlerò di qualcosa di allegro e leggero, mi scuso subito ma penso che questo sia un argomento importante e poichè questo fenomeno non è molto conosciuto ritengo giusto e necessario informarvi di alcune cose che appartengono alla nostra realtà e soprattutto al mondo di noi giovani. Non so se vi sarà mai capitato di capitare su alcuni siti o blog proAna. Cos'è un sito/blog pro-Ana? I siti pro-Ana sono siti pro-anoressia nati verso la fine degli anni '90 e nati come "diari di dimagrimento estremo". La filosofia delle persone pro-ana nega la presenza di disturbi alimentari e psicologici ma li interpreta come uno stile di vita. Su internet si possono trovare alcune informazioni riguardo questi gruppi di persone che in questi anni si sono raccolti anche in diversi forum: " (...) i Forum Pro Ana danno vita a gruppi virtuali, con sembianze di sette religiose: le adepte di Ana, dove Ana è una musa ispiratrice ed un ideale supremo." Facendo ricerche più approfondite si possono trovare anche stralci delle loro "diete", o meglio, digiuni forzati: "«A colazione bevo un thè al finocchio (0 kcal)», scrive un’altra ragazza, indicando anche il numero di calorie ingerite, «a pranzo 2 yogurt al kiwi (220 kcal), a cena un cappuccino (50 kcal), spuntino un litro e mezzo di the senza zucchero (7kcal). Calorie totali: 277 kcal»" Inoltre troviamo anche episodi raccontati da ragazze bulimiche (che si considerano schiave di Mia, la bulimia appunto). "«Preparo il pranzo per tutta la famiglia», scrive Iris, «preparo la pasta e fagioli, la cucino io, la mangio tutta, la vomito fino alla bile. Compro un gelato, ne compro due, al terzo comincio a vomitare. Passo per il supermarket a comprare l'acqua. Compro un pacco di biscotti, e dei Kinder fetta a latte, e un Duplo. Mangio tutto in macchina. Vomito tutto in palestra, nel bagno, con la gente che fa la fila fuori per entrare. Vedo ancora un pezzo di buccia di mela. Rosso. O era un pezzo di stomaco? Non lo saprò mai." Sembra di trovarsi in un brutto film dell'orrore, purtroppo è tutto vero. I loro blog sono costellati da moltissime foto di modelle, attrici e ragazze magrissime. La filosofia pro-Ana: "Se non sei magra non sei attraente, essere magra è più importante di stare in salute, devi comprare vestiti, tagliarti i capelli, prendere lassativi e fare tutto quello che ti faccia sentire magra". Credo che dopo aver letto queste cose molti di voi saranno indignati, sorpresi. Ci tengo a precisare che non sto assolutamente cercando di prendermi gioco di ragazze che soffrono di disturbi alimentari e che con forza di volontà e fatica stanno cercando di guarire oppure soffrono ogni giorno per la loro malattia. Quello che mi da fastidio è che la maggior parte di queste comunità su internet sono accessibili a chiunque, anche a ragazzine molto giovani e ingenue, e che i contenuti di questi siti sono davvero molto forti e nocivi per una mente delicata come quella di un'adolescente. Questi blog spingono all'odiare il proprio corpo e la propria persona, a farsi del male e ad ammalarsi. In Italia sarebbero 500.000 le ragazze malate e tra queste alcune migliaia decidono di partecipare a blog a favore dell'anoressia e della bulimia, raccontando con fierezza i risultati raggiunti. Come cercare di fermare questo fenomeno? Ci sono alcuni siti di ex anoressiche che organizzano petizioni e raccontano la loro storia, come ad esempio quello di Anna Paterson www.annapaterson.com. Anche il sito di Vogue Italia ha organizzato una petizione contro lo sviluppo di questo fenomeno: http:// www.vogue.it/magazine/petizionecontro-i-siti-pro-anoressia. Se però per caso vi imbattete in alcuni blog di questo genere segnalateli subito alla piattaforma su cui sono pubblicati (Blogger, Splinder ecc...), non è sicuro che verranno oscurati ma tentar non nuoce. Forse questi blog sono destinati a esistere ancora per molti anni e a influenzare la mentalità di molte ragazzine (vi assicuro che purtroppo hanno quasi un effetto ipnotico), ma mi sembrava comunque giusto provare a sensibilizzare gli studenti di questa scuola. Magari il problema non verrà mai risolto, magari queste petizioni non salveranno il mondo ma un semplice click non costa niente. Non lasciamoci abbindolare da queste dimostrazioni d'odio, ricordate che internet ha un'altissima capacità di influenzare soprattutto le persone più sensibili e giovani, e questi fenomeni potrebbero colpire chiunque, anche i nostri amici o parenti. Cerchiamo di tenere questa piattaforma pulita e sicura, per quanto si possa fare. ••• Federica Mutti IC LETTERATURA / RIFLESSIONI ZUCCHINE amor cortese 2011? "...E' dalla poesia trobadorica che deriva tutto ciò che concerne l'amore del 2011! Noi non abbiamo inventato niente ma siamo costantemente e talvolta inconsciamente influenzati da quella mentalità di circa 1000 anni fa..." Proviamo a fare un passo indietro (forse più di uno...), sfidiamo il tempo con la mente, che è forse l'unica arma umana, e tuffiamoci nel Medioevo, più precisamente nella regione dell'odierna Francia, anno 1100 d.C. circa. Mentre scrivo, pesando leggermente i tasti sulla tastiera, mi sembra di riuscire a farlo veramente. Beh, io non sono mai stata a Parigi e non conosco l'atmosfera che oggi lì si respira, se non dai racconti o dalle foto... Però so che è spesso detta "la città dell'amore" e credo di conoscerne il motivo. Nel Medioevo, infatti, le città della Francia non erano certo contraddistinte da quell'incalzante ritmo frenetico che le soffoca oggi. Ma per le strade, nei cunicoli, nelle piazze si potevano scorgere figure itineranti che davano vitalità all’ambiente urbano: uno appoggiato a un muro scrostato e insignificante, oppure eccone un altro... là...passeggia su un ponte. Sono i giullari. Me li immagino con in testa un cappello, la cui peculiarità è una piumetta che sostituiscono quando si accorgono che è un po' rinsecchita... Indossano un abito sgualcito che portano però con dignità e, in mano, come se fosse parte del loro corpo, tengono un mandolino. Cercano la gente, cercano persone desiderose di ascoltare perché, come diceva un personaggio di un libro, "Non sei mai finito veramente sinché hai in mano una buona storia e qualcuno a cui raccontarla (...)". Ma qual era la loro storia? I giullari cantavano l'amore tra un cavaliere e una dama della nobiltà feudale, un amore particolare, basato sulla devozione, la lealtà, l'obbedienza e il rispetto. Un sentimento che oggi, secondo me, non c'è più. Quasi più. Non è che non esista, l'amore... eccome se c'è! Altrimenti sarebbe già tutto morto. Il problema è che manca qualcosa che gli conferisca un tocco di raffinatezza e di disarmata potenza. Nessuno più ama l'amore. Il difetto consiste nel fatto che non ci stupiamo più e tutto ci appare banale, scontato. Invece non lo è! Amare, o meglio, saper amare è una virtù e quante persone non ne sono in grado! E per amore io intendo anche il rapporto fraterno o persino l'affetto che si può nutrire verso il proprio gatto: molti infatti non sanno dosarlo e rischiano di investire gli animali (e questo vale anche tra persone) di troppe coccole tanto che li stordiscono. Ecco che l'oggetto del desiderio (per ritornare all'amor cortese) diventa un burattino, un giocattolo... forse è da qui che deriva il detto gioco d'amore! A parte la battuta, dato il tale livello d’ignoranza sull'ars amandi, forse dovrebbe diventare una materia scolastica da valutare come la condotta! Focalizzando la nostra attenzione sul rapporto di coppia uomo-donna, ciò che non funziona è la concezione che si ha di entrambi. L'uomo è il "macho" che può permettersi di fare quello che vuole e la donna è uno strumento nelle sue mani. Questo è un discorso trito e ritrito che però non si può fare a meno di sottolineare perché il mondo stesso della comunicazione, i media e la televisione in primis, ci sottopone, e direi anche cerca di sottometterci, a questi modelli! Però questa, in cui l'uomo è l’amante-guida della donna è una concezione sbagliata, la cui origine non si può attribuire al presente bensì al passato. E' dall'era delle caverne che il maschio crede che il territorio sia suo, solo perché va a caccia! Ciò dimostra quanto probabilmente una parte dell’universo maschile abbia ancora bisogno di evolversi. Ed è decisamente in ritardo! Ciò in cui l'amor cortese maggiormente coincide con l'amore 2011 è certamente il cossirar: cioè l'eccesso di immaginazione che creiamo nella nostra mente circa la persona di cui siamo innamorati. L'immagine reale della persona in questione occupa un terzo della nostra vita, gli altri due terzi si consumano nel fantasticare... Dicono che in verità, e io ne sono rimasta molto scossa e turbata, noi amiamo l'assenza di quella persona, intorno alla quale costruiamo un'immagine che non corrisponde alla realtà... Indubbiamente qui notiamo l'incommensurabile peso dell'influenza trobadorica che ha invaso la nostra mentalità! Però io lo trovo un po' triste e ci sto ancora riflettendo... Vi lascio insomma con una frase che ha detto con scivolosa, ma circospetta noncuranza (forse per captare la nostra reazione di adolescenti in erba) la mia insegnante di italiano a proposito dell'amor cortese e che vi farà pensare: "...Avevo dato al mio sogno un volto che era il tuo, ma non eri tu." ••• Alice Pennino ID RIFLESSIONI ZUCCHINE un pescatore Quest’estate ho conosciuto un pescatore. Era seduto sul molo, la pipa in mano che cadenzava l’andare del suo racconto, con i passanti che incuriositi si fermavano ad ascoltare le sue parole, e in sottofondo, lo sciabordio delle onde. Raccontava che da quando era giovane, ogni sera salpava dal porticciolo, tornando poi sul fare del giorno. Qualche volta poteva andargli bene, quando riusciva a pescare abbastanza per sostentare la sua famiglia, qualche altra volta invece gli toccava alare le barche degli altri pescatori più fortunati e pulirne le carene, facendosi mille e mille più cicatrici sulle sue mani. Casomai capitaste per quel porticciolo, tra l’odore della salsedine e il canto dei gabbiani che volteggiano sopra le vostre teste, fermatevi un momento ad ascoltare la sua voce. Il mare era in burrasca quella sera, il peschereccio in balìa delle onde sembrava voler sfidare quel cielo cupo e gonfio, e completamente alla deriva portava gli incoscienti marinai verso un destino ormai certo. Il vento spirava, il mare colpiva, il cielo cadeva, ma quella barca non ne voleva sapere di colare a picco. C’era chi pregava, chi cercava di mantenere il timone, ma veniva regolarmente vinto dalla forza dei marosi, chi restava sopraccoperta e alzava il braccio al cielo in preda alla follia e alla disperazione, uno solo però era congelato, immobile, di fronte al cataclisma. Alzava lo sguardo verso le onde, lo abbassava e rimirava in silenzio lo spettacolo dei lampi in quel cielo così lontano, e se fosse stato suo destino morire là, senza tomba e senza memoria, non avrebbe potuto fare niente al di fuori delle lacrime che già scorrevano abbondanti su quel suo giovane viso. Non aveva senso, abbandonare il mondo così anonimamente per un solo atto d’incoscienza che bontà divina non aveva voluto perdonare. Non era nulla quel misero legno rispetto all’incommensurabilità di quella distesa d’acqua in furia, nulla le piccole lampare accatastate qui e là a babordo e tribordo e il lumicino di segnalazione rispetto alla luce violenta dei lampi, che crudelmente illuminava la morte sui volti di quei miseri condannati, spinti più dal vino che dal bisogno su quel barile ormai alla deriva. Lui era lì e piangeva, tremava, quando si fece avanti un’onda più grande degli altri. Lui la vide, capì, chiuse gli occhi, e il buio diventò silenzio. Si svegliò in mezzo ad alcuni resti dell’imbarcazione su una spiaggia isolata, unica lingua di sabbia tra scogliere rocciose. Nel cielo limpido erano comparsi gabbiani, che gli sembrarono simili ad angeli nel suo sguardo. Rimase disteso sulla sabbia calda per lungo tempo, pensando a cosa potesse essere successo dopo l’onda che l’aveva trascinato via e quell’immenso fragore. Ricordava di essersi sentito trascinare via da una forza, mentre annaspava sott’acqua in cerca di ossigeno, provò ad aprire gli occhi ma lo accecò una luce azzurra e cristallina, credette di essere finito in paradiso, e le sue memorie si dissolsero fino al suo risveglio. Una volta ripreso, si riavviò sulla via di casa. Dei suoi compagni non se n’era salvato nessuno. Quando poi giunse al paese, raccontò tutto a chi capitava, ma i suoi familiari, i suoi amici e i suoi compaesani non capirono. Fu di nuovo obbligato dalla necessità ad essere assoldato su un altro peschereccio, e tutti lo guardavano male perché di solito dopo un’esperienza così, una persona tiene a stare lontano dal mare, e si trova un’occupazione a terra. Ma lui ormai era pieno di ebbrezza ed entusiasmo, sentendosi quasi invincibile, e non gli interessava nulla di quello che potesse pensare chi, conoscendo il suo trascorso, lo vedeva ancora alle prese con i cavi e le reti da pesca, in procinto ancora una volta di prendere il largo. Non era voglia di rivalsa sul mare, quanto più una sorta di dipendenza psicologica. Amava il mare anche se questo si era dimostrato crudele con lui e i suoi compagni, ed era malato di lui come qualsiasi innamorato che respinto, non sa calmare le sue inquietudini, ma si getta a capofitto in qualunque pazzia, per poter dimostrare di cosa è capace. Così si trovava a pescare i pesci più enormi nei punti più pericolosi per le correnti, e ad ogni successo le persone attorno a lui si allontanavano sempre di più, fino a quando lui non divenne solo con la sua ossessione, e l’età si fece tanto inclemente da costringerlo forse, a rimanere a terra. Casomai capitaste per quel porticciolo, e vi fermaste ad ascoltare quel marinaio, scoprireste che nelle sue traversate, durante le notti di luna piena quando lui era solo con l’infinito, nell’aria aleggiavano i canti di tutti quei marinai lontani dalla loro patria e dalle loro donne, che ha visto con il suo cannocchiale i pirati prendere d’assalto le ricche navi mercantili e poi seppellire su isole variopinte i loro innumerevoli tesori per poi darsi al festeggiamento, e che poi ha potuto fissare le immense volte stellate riflesse negli occhi di bellissime sirene. Se capitaste per quel porticciolo al tramonto, vedrete al largo la luce della sua nave, che si fa sempre più fioca all’orizzonte, e degli omuncoli che sulla riva del mare, con il sole che cala alle loro spalle si mettono a deriderlo, mentre guardano le loro ombre che si allungano davanti a loro e si credono dei giganti. ••• Matteo Monti III B RIFLESSIONI ZUCCHINE DESPERADO “Questo è decisamente il settembre più lungo della mia vita. È da quando sono qui che piove. Di solito mi piaceva la pioggia. Mi piaceva quando mi stordiva dal finestrino posteriore, le volte che alle quattro di mattina dovevano riportarmi a casa in macchina, perché ero troppo ubriaco e troppo felice per poter rispettare i limiti di velocità e di discrezione. Mi piaceva quando lei non poteva uscire e io stavo a letto a guardare l’ennesimo film demenziale… la pioggia bussava sul lucernario e chiedeva di poter stare lì con me, almeno lei… Allora la pioggia mi piaceva perché mi faceva pensare alle luci convulse dell’Haçienda di Manchester, credevo che la vita, quella vera, si rifugiasse lì quando doveva vomitare adrenalina… e ora che ci sono arrivato, ora che sono qui a Manchester, la pioggia mi appare come un fantasma della sua stessa città: scivola educatamente sui neon tiepidi, si agglomera in milioni di losanghe di milioni di giacche inglesi, è una pioggia che parla un inglese strettissimo e io non la capisco, non mi ricorda niente di casa mia. Neanche la pizza mi ricorda di casa mia. Avevo scelto apposta qualcosa di molto poco inglese e sufficientemente rassicurante, ma mi sento ancora più strano di prima, sono a disagio. Non so che ci faccio qui, seduto, fermo, a riflettere sulla pizza e sulla pioggia. Non sono cose inventate per stimolare il pensiero. A dire il vero nulla è mai riuscito a farlo, se ti fermi a pensare sei finito… devi essere dinamico, non avere radici, non accontentarti mai. Devi muoverti, avere sempre nuovi obiettivi, se ti consideri arrivato finirai per arrivare davvero, e a quel punto non riuscirai più a ripartire. Tutte quelle belle cose che ti raccontano sul matrimonio, sui figli, sulle responsabilità, sono solo i tristi slogan di chi si è scoperto da poco prigioniero di una gabbia che sta arrugginendo, è tutta gente che vuole solo trascinarti nel gorgo. Che cosa devi fare? Devi divertirti, la vita non va mai presa troppo sul serio. Hai mille porte aperte intorno a te: fai in modo di non chiuderle. L’equilibrio è un terreno franoso e tu devi essere pronto a scappare. Non sarai mai solo: dietro a una lepre che corre c’è sempre un cacciatore. Lo so, perché quando i meno sinceri hanno deciso di perdere le mie tracce, i miei colleghi hanno subito pensato a come farmi divertire. Lo so, perché se non fosse andata bene con lei, ce n’erano già tre o quattro disposte a tutto pur di stare con me. Ma ora che sono lontano, anche loro, tutti quanti, sono tutti lontani. Ho scritto un messaggio a tutti, qualcuno ha già risposto: “Davvero sei a Manchester? Grande! Buona fortuna!”. A lei invece ho fatto quattro telefonate, non ha risposto neanche una volta. Chissà se è con qualcuno… ma che me ne importa in fondo, non la dovevo mica sposare. Certo, mi manca, ma non è un buon motivo per bloccarmi o soccombere alle paranoie. È qui che devo essere, è ciò che desidero da tutta la vita… lavorare, uscire ogni sera, divertirmi, conoscere gente nuova… È ora di uscire da qui, al diavolo la pizza, al diavolo la pioggia, corro senza guardare la strada, tanto l’orribile palazzo marrone in cui alloggio copre tutto il cielo, si vede fin da qui. Rallento un attimo di fronte alla porta di vetro, giusto il tempo di cercare le chiavi per aprire, poi schizzo su per le scale. Non so quanti scalini mi lascio alle spalle, pure il grasso mi sta abbandonando. Eccomi, sono in terrazza. Chiudo gli occhi e inspiro l’aria umida. Questo è il punto più alto della città, finalmente sono in cima, posso guardare il traffico di Manchester che scorre all’impazzata, come il sangue di un emofiliaco. Sono solo, piove, e da qui non si vede nient’altro che nuvole.” “A chi è andato a vivere a Londra a Berlino, a Parigi, a Milano o Bologna ma le paure non han fissa dimora le vostre svolte son sogni di gloria” ••• Eva Casini III B cINEMA DEAD MAN Premesso che in questo periodo non ho trovato nessun film che mi ispirasse da potervi consigliare, ho deciso di parlarvi di dead man. “Titolo abbastanza inquietante” penserete ma vi assicuro che non è un film da perdere. Trama brevissima: fine ottocento, William si reca nella cittadina desolata di Machine per essere assunto come contabile. Per sua sfortuna il lavoro è già stato occupato e senza un soldo William incontra una signora che lo invita a dormire a casa sua. Accusato di due delitti sarà costretto a fuggire. Durante la fuga incontrerà un indiano di nome “Nessuno” che lo aiuterà a compiere il suo inevitabile destino. Il regista e sceneggiatore è Jim Jarmush, l’interprete principale, William Blake, è interpretato da Johnny Depp. “Dead man” è un film western del 1995, sebbene le tecniche cinematografiche lo permettessero, il regista (vi avviso subito) l’ha volutamente girato in bianco e nero. il ritmo è abbastanza lento ogni cambio di scena dura almeno un secondo. A mio parere questa tecnica permette di riflettere su ciò che è appena avvenuto, senza confondere lo spettatore investendolo con sequenze troppo rapide e di valorizzare le inquadrature. queste ultime soprattutto nella parte iniziale del film ricordano quelle di Sergio Leone (maestro dei film western) che utilizzava l’extreme close-up (inquadratura del particolare es. occhi, bocca…). L’intreccio della storia è lineare, fatto di cause e conseguenze. punto di forza del film è sicuramente la colonna sonora, interamente improvvisata da Neil Young e tipicamente western. il regista punta molto anche sui nomi dei personaggi (es. William Blake non è ovviamente il vero poeta ma un omonimo) che non sono assegnati a caso ma sono elementi necessari e importanti per lo svolgimento dello storia (il nome di Nessuno è usato come da Ulisse nell’Odissea, ovvero puntando sul fraintendimento del significato della parola). dal momento in cui viene accusato di omicidio, il giovane contabile dovrà affrontare una serie di difficoltà e pericoli, propri dell’uomo ricercato che lo condurranno ad un profondo cambiamento sia nel carattere ( da timido contabile ad assassino senza rimorsi), che nell’aspetto. In conclusione è da apprezzare la cura che il regista dedica al protagonista rendendolo un personaggio a tutto tondo, vittima di una società vendicativa e senza regole oltre che razzista. Gli eventi che travolgeranno Blake lo condurranno all’unico finale possibile che si intuisce di aver sempre saputo solo al termine della pellicola. ••• Irene Camporeale II A MUSICA R.E.M. UN ELEGANTE ADDIO “To our fans and friends: as R.E.M., and as a lifelong friends and coconspirators, we have decided to call it a day as a band. We walk away with a great sense of gratitude, of finality, and of astonishment at all we have accomplished. To anyone who ever felt touched by our music, our deepest thanks for listening.” R.E.M. Quella dei R.E.M. è stata una carriera anomala per una rock band che può vantare di aver cambiato la musica americana a detta di Rolling Stone, nessuno scandalo sessuale, storie di droga e continui cambi di formazione, solo 31 anni di musica in un crescendo di successo e complessità che li ha portati a definire i caratteri del rock alternativo. Tutto iniziò nell’ormai lontano 1980 all’università della Georgia: il cantante Michael Stipe incontrò Peter Buck, chitarrista, e coinvolsero poi al basso Mike Mills e Bill Berry alla batteria, che lasciò il gruppo nel 1998, il resto è il normale percorso di ciascuna band esordiente. Si esibirono ovunque fosse possibile e pubblicarono i primi EP con case discografiche indipendenti, finché, dopo aver scritto sei album, nel 1988 con Green, prodotto dalla major Warner Bros, vennero consacrati dal pubblico non solo per il particolare timbro di Michael e gli arpeggi di Peter, ma anche per l’impegno dei testi. Inoltre i video di Orange Crush e Stand portarono la scalata al successo mondiale non si è arrestata dopo Out of Time, anzi, brani come What’s the fama della band anche oltreoceano, successo che venne consolidato qualche anno dopo con l’album Out of Time e il celeberrimo singolo Losing my Religion, che vendettero milioni di copie in tutto il mondo. La frequency Kenneth? e Bad Day, Leaving New York e Supernatural Superserious sono oggi considerati pezzi cult della band. Quest’anno i R.E.M. hanno pubblicato a marzo il loro ultimo album: Collapse into now, una specie di autobiografia del gruppo, a giudicare dalle parole del cantante, in cui di brano in brano vengono raccontate le loro esperienze e i loro errori. Forse non è il loro migliore album, ma rappresenta l’anima della band aprendosi definitivamente al proprio pubblico in un riassunto di tutta una brillante carriera. 1984 - Reckoning 1985 - Fables of the 1998 - Up Il 21 settembre, con la stessa eleganza che ha contraddistinto ogni loro spettacolo, il gruppo ha annunciato il proprio ritiro dalle scene senza rancore e con grande soddisfazione, nella consapevolezza di essere stati “la colonna sonora di una generazione” (New Yorker) avendo lasciato una “traccia indelebile nella musica moderna” (Spin). 2001 - Reveal 2004 - Around the Sun 2008 - Accelerate 2011 - Collapse into Now DISCOGRAFIA: 1982 - Chronic Town 1983 - Murmur Reconstruction 1986 - Life's Rich Pageant 1987 - Document 1988 - Green 1991 - Out of Time 1992 - Automatic for the People 1994 - Monster 1996 - New Adventures in HiFi ••• Elisa Tonussi II D BAR SPORT SARÁ LA CRISI? Viviamo in un periodo difficile: l'economia va a rotoli, migliaia di persone perdono il lavoro o scioperano per non perdere i loro diritti. Scioperano gli operai, ma scioperano anche gli sportivi. Ebbene si, perfino gli atleti in questo periodo si sono scoperti “sindacalisti” ed hanno deciso di incrociare le braccia (o le gambe: dipende dallo sport). Lo sciopero dei calciatori di serie A dello scorso Agosto ce lo ricordiamo tutti, ma non è stato l'unico. Non c'è bisogno di andare lontano per trovare un altro campionato calcistico di primo livello che ha dovuto posticipare il proprio inizio: infatti anche la Liga spagnola ha saltato la prima giornata, come la serie A, ma per ragioni ben diverse. Da noi infatti è successo che l'Aic (Associazione Italiana Calciatori, il principale sindacato dei calciatori itlaiani), si è scontrata con la Lega di serie A su un punto del contratto collettivo. Dopo la scadenza dell'ultimo contratto, circa un anno fa, sono state subito avviate delle trattative tra le parti per il rinnovo. Si è trovato un accordo su tutto, ma non sulla questione dei cosiddetti “fuori rosa”. A questa categoria appartengono tutti quei calciatori che, per vari motivi, non rientrano più nei piani degli allenatori e che per questo non vengono fatti allenare con il resto della squadra. Il sindacato ne chiedeva l'abolizione (che tra l'altro in parte è già avvenuta), per permettere anche agli esclusi di avere la possibilità di dimostrare le proprie capacità e di poter quindi trovare più facilmente un ingaggio in un altro club. I presidenti erano invece del parere opposto perchè, isolando i giocatori “inutili” e non facendoli giocare la domenica, permetterebbero agli allenatori di lavorare con un gruppo più ridotto e quindi più gestibile, ed incentiverebbero questi “scarti” ad andarsene in posti dove giocherebbero, anziché stare in tribuna. Alla fine, dopo le reazioni sdegnate di tutti, per salvare la faccia ed il campionato si è deciso di prorogare il precedente contratto e di negoziare nel frattempo un nuovo accordo entro la fine di Giugno. Risultato: giocatori ormai stracotti ma anche strapagati preferiscono prendere 4 milioni l'anno facendo la muffa sul divano piuttosto che prenderne un po' di meno ma giocare (riferimenti a giocatori italobrasiliani residenti a Torino sono puramente casuali). Lo sciopero spagnolo ha invece cause più “tradizionali”: come probabilmente saprete la Spagna è stata colpita dalla crisi molto più del nostro paese e questo ha influito notevolmente anche sulle società sportive. Infatti, con l'eccezione delle big Barcellona e Real Madrid, le altre squadre , che già prima del 2007 non se la passavano economicamente troppo bene, si sono trovate di fronte a gravi problemi finanziari. Per questo molti club, anche alcuni di livello europeo come l'Atletico Madrid, hanno addirittura smesso di pagare gli stipendi ai giocatori. Che guadagneranno anche molto più dei normali lavoratori, però sono anche loro, appunto, dei lavoratori ed hanno quindi diritto ad uno stipendio. Lo sciopero spagnolo ha avuto come richiesta principale, poi soddisfatta, quella di introdurre forti penalizzazioni per le squadre insolventi nei confronti dei loro giocatori che prima potevano fare tutto questo senza incorrere in sanzioni.Anche oltreoceano ci sono stati degli scioperi. In America, però, le cose sono andate in modo leggermente diverso. Gli scioperi a stelle e strisce sono infatti dei “lockout”, delle vere e proprie serrate. Da noi le partite saltate verranno recuperate, nel Nuovo mondo, invece, viene annullato tutto e, soprattutto, non ci sono più vincoli né rapporti tra squadre ed altelt. I giocatori non si possono allenare ed i presidenti chiudono tutti gli stadi ed i centri sportivi finchè non si prende una decisione, anche a costo di saltare un'intera stagione, come è successo nel 2004 quando il mancato accordo tra le squadre della NHL e gli atleti fermò il campionato di hockey per 310 giorni. Negli ultimi mesi ha rischiato il blocco il campionato di football, mentre la competizione americana più famosa in Europa, l'NBA, non partirà. Le franchigie vorrebbero introdurre un tetto massimo agli ingaggi (uno dei motivi del breve lockout del football è stato il tentativo da parte dei giocatori di abolire questa norma che lì c'è già) e riequilibrare la distribuzione dei ricavi tra giocatori e squadre. Infatti ai giocatori attualmente spetta più della metà dei ricavi dell'NBA e non vogliono rinunciare a questo enorme privilegio, mentre le squadre vorrebbero, dal canto loro, arrivare almeno ad una situazione di equilibrio. Le parti però sono decisamente distanti e, dopo il fallimento dell' (ennesimo) incontro il 10 Ottobre, sono state annullate le prime due settimane del campionato, con il rischio concreto di stare fermi fin dopo Natale. Una bella notizia per tutti gli appassionati europei. Infatti, a causa del lockout, molti cestisti, non avendo più alcun vincolo con la propria franchigia ma avendo una voglia matta di giocare, stanno venendo nelle squadre del vecchio continente: qualcuno è tornato nella propria squadra di origine (come il nostro Danilo Gallinari che è di nuovo a Milano), altri hanno fatto scelte apparentemente più strane il francoamericano Tony Parker giocherà in una squadretta francese per soli 1.500€ al mese ( ma ne è uno dei propietari). La maggior parte, però, è attratta soprattutto dai soldi (Kobe Bryant potrebbe prendere appena 2 milioni per giocare una sola partita a Bologna). D'altronde si sa, c'è la crisi, e per portare a casa la pagnotta (da un milione di dollari?!?) si è disposti a fare di tutto. ••• Alessandro Mantovani III D GIOCHI Sudoku medio 3 6 4 1 2 3 7 1 4 5 2 5 1 8 6 9 3 4 8 9 7 2 4 8 9 8 6 4 8 5 3 difficile 7 4 5 9 6 1 1 1 4 3 6 8 5 2 4 1 7 9 2 8 7 1 3 6 4 8 2 Bisogna partire da una parola data e arrivare a un’altra parola stabilita, passando attraverso una serie di altre parole, ognuna delle quali è diversa da quella di prima e da quella di dopo soltanto per una lettera. (es. Da UNO a CENTO : UNO –> UNTO –> MUNTO -> MENTO –> CENTO: 5 passaggi) Da CENTO a MILLE: 8 passaggi. Le soluzioni … nel prossimo numero! Quorinfranti e saltat e i v e h a del t c t e e n i n i t h Quar macc a l l a i t n i. dava vetev l o v e , caffè ei ina d g e R ei la Kiki s tti! Bisco ccone o r c S Le Klerrina, ina, ina Smettila di insultarmi! An be La tua cartoleria/libreria/compagna di banco nie , ti vo dim , non glio t an en to tica pe nsi rlo a m ucc ide come entre rm i :) ne Sammy basta messag giare in class ei s da, o D n e b o! Ru m i ss i l l be e! La tua compag na di b anco a Un a ss o R BARTOLOMEO il giornale degli studenti dello Zucchi R E D A Z I O N E N. ① - A/S 2011-12 DIRETTRICE: Nadeesha Uyangoda - III A VICEDIRETTRICE: Clara Del Genio - III A CAPOREDATTORI: REDATTORI • Chiara Borghi - IV B • Claudia Pizzagalli - III C • Irene Doda - III D • Silvia Arpano - II A • • • • • • • • • • • Alessandro Mantovani - III D Alice Pennino - I D Andrea Merola - I D Anna Buratti - IV D Anna Caprotti - I A Beatrice Mosca - III C Elisa Tonussi - II D Eva Casini - III B Federica Mutti - I C Irene Pronestì - III D Silvia Zicoio - IV D COLLABORATORI: GRAFICA: • Irene Camporeale - II A • Matteo Monti - III B • Michele Vitobello - III B • Simona Pronestì - I D Ringraziamo inoltre tutti coloro che hanno collaborato all’uscita del Bartolomeo (collaboratori, insegnanti ed operatori scolastici). Ricordiamo che chiunque può partecipare alla redazione del Bartolomeo inviando un suo articolo all’indirizzo mail [email protected] I numeri del Bartolomeo sono disponibili anche on line sul sito www.liceozucchi.it CHI UN VUOLE MES SGG INVIAR IO E R “QU ORI UBRIC ALLA A NF F bart ARLO RANTI ” olom T eo@ RAMIT PUÓ E lice ozu cchi .