n° 1 Novembre 2011

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n° 1 Novembre 2011
BARTOLOMEO
il giornale degli studenti dello zucchi
TUNISIA
EDITORIALE
TRA NUOVE SPERANZE E VECCHI INCUBI
17 dicembre 2010, Tunisia:
inizia la cosiddetta “primavera
araba”. 25, 26, 27 gennaio 2011,
il contagio si diffonde: Egitto,
Siria, Yamen, Libia, Bahrain . Poi
ancora Arabia Saudita, Oman,
Iraq.
dittatori sangunari, sostenendoli
implicitamente?
Lo sconcerto dettato da queste
elezioni lascerà ben presto il
posto agli interessi economici e
i rappresentanti del governo
islamico verranno ricevuti con
gli stessi onori con cui in
2011: i tunisini sono stati i primi a passato si ricevevano Ben Ali,
cominciare, i primi ad essersi Mubarak e Gheddafi.
liberati di un dittatore, i primi a
recarsi alle urne, i primi a L a p r e o c c u p a z i o n e n o n
dimostrare che rivoluzione non dovrebbe vertere intorno alla
s i g n i f i c a n e c e s s a r i a m e n t e nascita di un nuovo stato
rinnovamento, certo, è un’azione islamico in quanto tale, ma
che preannuncia un cambiamento, intorno all’inammisibillità di
ma nessuno ci assicura che sia in uno stato teocratico nel XXI
meglio perchè le rivolte preparano secolo, indipendentemente
sì la caduta di un despota, ma è dalla religione a cui decide di
anche vero che nessuno, o pochi, ispirarsi, dal momento che una
pensano a ciò che verrà, al dopo; religione, per quanto moderata
così, quando il tiranno rovina essa possa definirsi, rimane in
nella polvere, c’è il rischio che ogni caso conservatrice e
senza che nessuno se ne accorga, reazionaria. Ed ancora più
striscino verso il potere i servi dei sorprendente è che abbia deciso
vecchi padroni, con la speranza e di intraprendere una via di
l’attesa di diventare i nuovi cesari. questo genere un popolo che
fino a pochi mesi fa lottava con
La Tunisia ha vissuto le prime le unghie e con i denti per
elezioni libere dal colpo di stato costruirsi un futuro di diritti e
dei Ben Ali e dunque è ancora democrazia. Proprio per questo
difficile fare previsioni perchè il mi sembra che, sebbene il
vero “dopo” non è ancora mondo arabo abbia vissuto
arrivato, comincerà quando il un’intensa primavera, a Tunisi
nuovo governo si troverà ad l’inverno sia giunto fin troppo
affrontare la democrazia con tutte presto.
le difficoltà e aspettative che ne La grande occasione di un
concerne; ma il fatto che abbia cambiamento drastico offerta al
s c e l t o c o m e p r o p r i o paese dalle rivolte è stata
rappresentante un partito islamico gettata via da un elettorato
non fa presagire prospettive forse ancora troppo poco
propriamente rosee. L’esito delle conscio del proprio peso
elezioni non era certo una politico e abituato a considerare
sorpresa eppure l’Europa, e se stesso unicamente come
l’America insieme a lei, ostentano strumento di guerriglia.
disdegno di fronte a questa Probabilmente questo è tutto
vittoria di An-Nahda: non si ciò che possiamo aspettarci da
rendono conto del fatto che oggi u n p o p o l o c h e n o n h a
gli elettori tunisini, e forse esperienza diretta di governi
domani quelli egiziani e libici, d e m o c r a t i c i
ed una
scelgono l’Islam anche perchè ieri maggioranza “islamica, ma
l’Occidente ha chiuso gli occhi moderata” è quanto di più
davanti al potere tirannico di
vagamente simile a
un’istituzione democratica
esso possa permettersi
anche e soprattutto perchè
quando si parla di mondo
arabo o Medio Oriente
delle elezioni “libere e
giuste” costituiscono già un
cambiamento drastico ed
un enorme passo verso la
democrazia.
•••
Nadeesha Uyangoda
III A
POLITICA / ATTUALITÁ
La libertà di stampa nell’era del Web,
una conquista ormai perduta?
Se anche voi, nei giorni 4,5 e 6
Ottobre, navigando su Internet alla
disperata ricerca di materiale
scolastico, avete deciso di andare sul
sicuro e di collegarvi a Wikipedia,
avrete certamente notato (e con
disappunto, immagino) che il sito era
oscurato e al posto della pagina
iniziale potevate solamente leggere
una lettera degli utenti che
cordialmente si scusavano per
l’accaduto e auspicavano ad un
veloce ritorno alla normalità.
Motivo della momentanea chiusura
di Wikipedia Italia: la protesta contro
il comma 29 del cosiddetto DDL
intercettazioni; eh sì, perché questo
decreto, approvato dalla Camera dei
deputati l’11 Giugno 2009 e poi
modificato dal Senato il 10 Giugno
2010, permette a chiunque si ritenga
in qualsiasi modo offeso da un
contenuto presente su un blog o su
una testata giornalistica on-line, di
richiederne l’immediata rettifica,
indipendentemente dalla veridicità
delle informazioni stesse.
In altre parole, ipotizziamo che
qualcuno di importante non voglia
che una notizia riguardante i suoi
affari venga divulgata nel Web e che
per questo motivo egli la ritenga
lesiva della propria immagine;
ebbene, costui potrebbe, secondo la
legge, obbligare il sito in questione a
pubblicare entro 48 ore dalla
richiesta un nuovo testo che, senza
alcun commento, si venga a
sostituire al precedente, anche
qualora la notizia pubblicata fosse
stata vera.
Wikipedia è un mezzo di
informazione neutrale, gratuito e
soprattutto libero, come attesta il
nome stesso di “Enciclopedia
libera”; ed è proprio per questo
motivo che gli utenti del sito,
insieme agli altri manifestanti contro
la cosiddetta “legge bavaglio”, si
sono mobilitatati tanto da riuscire a
scuotere l’opinione pubblica, e non
solo quella italiana. Il primo a
scendere in campo in ambito
internazionale è stato l’ONU che
avverte: il decreto “va abolito o
modificato in quanto rischia di
minare la libertà di espressione in
Italia”; il ministro degli Esteri Franco
Frattini, “fortemente sconcertato e
sorpreso”, invita a leggere il testo di
legge con maggior attenzione e fa
notare che “in democrazia si tutelano
anche i diritti degli indagati”.
E mentre al governo sembra
interessare di più la salvaguardia di
suddetti diritti, l’Italia scivola ormai
tra i Paesi semi-liberi per quanto
riguarda la libertà di stampa, secondo
il rapporto Freedom House, che dal
sessantacinquesimo posto ci ha
declassato nel 2009 al
settantatreesimo, pari merito con
Tonga e Israele e sotto molti stati in
via di sviluppo, come Namibia e
Ghana.
La libertà di stampa insieme a quella
degli altri organi di informazione è
una delle principali garanzie di ogni
governo democratico e dovrebbe
appunto garantire a tutti i cittadini
l’esistenza della libertà di parola e di
espressione; in Italia tale diritto è
sancito dall’Articolo 21 della
Costituzione e inoltre in quanto
membro dell’Unione Europea, dalla
Dichiarazione dei Diritti
Fondamentali e, come stato facente
parte dell’ONU, anche dalla
Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo. Peccato che nel nostro
Paese la libertà di stampa
formalmente non si estenda al Web e
perciò i blogger possono
tranquillamente essere querelati o
incriminati per diffamazione, proprio
quello che dovrebbe essere evitato in
un Paese civile. A schierarsi dalla
parte dei giornalisti on-line è il
rappresentante per l’Osce della
libertà di stampa, Dunja Mijatovic,
che ricorda come non ci dovrebbero
essere restrizioni generali di legge
per la pubblicazione di informazioni
di interesse pubblico, né tanto meno
pene detentive per coloro che
possiedono o pubblicano tali notizie.
Dall’Osce parte quindi un nuovo
monito alle autorità italiane, affinché
modifichino il disegno di legge che
se attuato, bloccherebbe il
giornalismo investigativo e la libera
pubblicazione di informazioni al
servizio della democrazia.
Se persino il presidente della
commissione Giustizia della Camera,
Giulia Bongiorno, ha deciso di
dimettersi perché a suo dire il DDL
intercettazioni “preclude la possibilità
di dare notizie” e aggiunge “la legge
così è inaccettabile”, mi chiedo di
quanto tempo hanno ancora bisogno i
potenti per capire che non è più il
tempo, e probabilmente non lo è mai
stato, di limitare la libertà: come si può
sopportare oltre questo tipo di
costrizioni che, a beneficio di pochi,
gettano l’ombra della censura su molti?
Qui di seguito un estratto del decreto
legge sulle intercettazioni telefoniche,
il comma 29 “ammazza-blog”:
«Per i siti informatici, ivi compresi i
giornali quotidiani e periodici diffusi
per via telematica, le dichiarazioni o le
rettifiche
sono pubblicate, entro
quarantotto ore dalla richiesta, con le
stesse caratteristiche grafiche, la stessa
metodologia di accesso al sito e la
stessa visibilità della notizia cui si
riferiscono.»
•••
Beatrice Mosca, III C
Claudia Pizzagalli, III C
POLITICA / ATTUALITÁ
PROOOOOOOOT, PROOOOOOOOT
Blubb, bzzz, chicchirichì, bleah,
crack, crash, flap, gulp, vah, thrash,
pak, puah, ptuh… Sì, mi sembra
l’inizio più appropriato; una bella
rassegna di onomatopee. Eh, sì,
onomatopee. Sono divertentissime:
parole prive di un significato proprio
che riproducono e suggeriscono
suoni o, meglio ancora, rumori
naturali. Il modo più spontaneo,
primordiale, infantile e quindi
internazionale - vale per tutti - di
interpretare la molteplicità delle
cose. E come si fa a non esordire con
queste garrulanti, sibilanti, cuculanti,
sussurranti, tintinnanti, squillanti
espressioni in un clima come quello
odierno. Un clima dramma-comico.
E poi bisogna ricordare che le
onomatopee sono il fiore
all’occhiello dei nostri esponenti,
soprattutto di quel provincialotto di
Capolago, quello che si spaccia
Ministro per le riforme, quello che si
è inventato tutta quella storia da
festa delle matricole, la storia dei
celti, mitici antenati dominatori della
mitica Padania che non è mai
esistita, i Celti che arrivarono in
Italia dai valichi alpini, maestri nella
resa di queste figure di suono:
quell’Umberto federale, che scalda
bene gli scranni romani, l'ago della
bilancia che decide il governo del
paese, che, davanti a villici in una
festa di carnevale con elmi e
alabarde di latta in pugno, e trecce
barbariche finte, articola una gamma
di pernacchie degne di una hit
parade. Senza contare che la sua è
una performance eterna, per via di
quel piccolo disturbo di emissione.
Oggi però ci si accorge che è sempre
più arduo inquadrare la fase attuale
in una di queste espressioni, rendere
queste ultime una sorta di
incarnazione della realtà: non
bastano più quelle presenti, se ne
cercano di nuove, di più conciliabili,
di più disgustose. Nemmeno l’attore
comico più convincente sarebbe in
grado di coniarne una che manifesti
le scorrerie quotidiane,
l’indignazione pressante,
l’incancrenimento esasperato del
potere, l’aborrimento di qualsiasi
educazione civile e democratica,
l’incessante sputtanamento
mediatico a carattere internazionale,
il trafficare lucroso, la “macelleria
sociale”, l’arretratezza esacerbata.
Una sequela infinita di piaghe che
tanto si è tentato di occultare e che
ora emergono reboanti da quel
costruito clima omertoso appena
passato. Si provi solo a pensare a
quella famigerata e sminuita
onomatopea che puntualmente,
stampa e notiziari, a colazione,
pranzo e cena, ricordano
mestamente, provocando plurimi
problemi di digestione: crack. Un
suono disgregante, dirompente,
angosciante, incontrovertibile.
Quando un pezzo di legno fa “crack”,
divelto, si scinde, non è più l’ente di
partenza; quando un braccio fa
“crack”, divelto, occorre armarsi di
pazienza e attendere la scadenza di
trenta giorni; ma quando le vertebre
fanno “crack”, divelto, allora la
situazione è inconfutabile, non si è
più gli enti di partenza. E quando a
fare “crack” è un intero sistema, un
insieme di attività e investimenti
umani legati tra loro da una costante
eterea ma necessaria, cosa significa?
È possibile riacquistare le qualità di
partenza?
Quando moltitudini sconfinate si
coalizzano, senza striscioni di una o
dell’altra corrente, occupano strade,
piazze, città, continenti, significa che
le esili vertebre dei paesi si stanno
irrimediabilmente disgiungendo, che
non si parla più di braccia rotte e di
pazienza, ma di una paralisi che
costringerà noi tutti a muoverci su
una sedia a rotelle per il resto dei
nostri giorni.
I trenta giorni d’attesta sono
diventanti sessanta, poi novanta e poi
centottanta e così inarrestabilmente.
E così la pazienza sfuma, la
tranquillità si dissolve e, privi di una
sincera speranza di guarigione, si
instaura un regime di caos e
paradosso. Uomini che rappresentano
una nazione europea, di stampo
democratico, sebbene accusati di
onta, infamia, ignominia e invitati ad
abbandonare le posizioni
istituzionali, si rifugiano nei palazzi
del potere e, sordi, perseverano nel
fomentare i disordini e le ingiustizie.
Nemmeno il principio ordinatore
della legge può impedire questi
scriteriati; le leggi si possono
interpretare o renderle interpretabili. Si
danno i premi nobel per la pace a chi
foraggia investimenti per i conflitti
mediorientali, si va alle feste di
compleanno di ex dirigenti del KGB
fondatori di una tirannia celata, si
assolvono con formula piena
assassini…
Ma il dramma, la tragedia, è che oggi
come oggi non si può ricondurre la
realtà a una di queste espressioni, ma
tutto è un miscuglio omogeneo, un gran
putiferio ambiguo, un impasto
grossolano che rischia di farci penetrare
in quella oscura, ignota e desolante
dimensione del non essere.
Si tenta di prendere provvedimenti, e
ognuno fa a modo suo finché non tuona
la commissione europea e la BCE che
ricordano ai nostri politici che sono tali,
e non spassionati leccapiedi.
Siamo in un set televisivo. O per
meglio dire in una fabbrica che
confeziona i propri prodotti con carte
sgargianti, piene di fiocchi, fiocchettini
e fiocchettoni di ciclopiche dimensioni,
sui quali compaiono scritte come
“evviva”, “urrà”, “va bene così”: poi,
dopo aver pagato profumatamente il
tutto, apri la confezione e ci scopri un
mucchietto di polvere anonima. La
fabbrica di Berluskonia - siamo sempre
alle solite, fa prima a crepare il cavallo
prima che si cambi leitmotiv - il regno
del consumo senza limiti e della felicità
assoluta sotto la guida del buon sultano,
avvenne con la costruzione di Canale 5,
Italia 1 e Retequattro. Passando negli
studi televisivi si capiva che un ometto
non solo era capace di moltiplicare i
bisogni e i desideri, ma anche di far
credere ai poveri di essere ricchi e agli
infelici di essere privilegiati. I poveri
cristi noleggiati o assunti per far
funzionare la produzione, appena
entrati nel recinto magico si
trasformavano, si sentivano eleganti,
spigliati, erano entrati nel prato dei
miracoli, del benessere e della bontà.
Qui la bonarietà naturale del nostro è
diventata un'arma irresistibile di
dominio.
Che balle quadre, non ne posso più dei
nani: la prossima volta andiamocelo a
cercare come minimo “abbronzato”.
•••
Andrea Merola ID
POLITICA / ATTUALITÁ
AVREI CHIAMATO LA MAMMA
IL CORAGGIO DI ELIZABETH
Chi ha detto che il coraggio di
affrontare dei rischi ( per un’idea,
per un principio, per una passione)
non possa andare di pari passo con la
sensibilità di una donna, di una
madre? La storia della giornalista
statunitense Elizabeth Rubin è un
esempio lampante, la vicenda di una
giovane donna che, sola ed incinta di
quattro mesi ha seguito i marines al
fronte in Afghanistan.
Elizabeth ha raccontato le
travagliate vicende dell’Afghanistan
fin dal 2001. Negli anni novanta ha
lavorato come corrispondente per il
N e w Yo r k Ti m e s M a g a z i n e ,
dall’Iraq, dai Balcani, dalla Russia,
dall’Africa. Nel 1998 è stata un
mese a Sarajevo, come reporter e
fotografa.
Fa - per così dire - un lavoro poco
femminile, che la porta a dormire in
grotte fredde e buie, viaggiare al
seguito di soldatacci nelle steppe
asiatiche, affrontare lunghe
traversate sotto il sole rovente in una
jeep.
Ma il suo mestiere di “narratrice del
mondo” le ha mostrato anche il volto
delicato e toccante delle situazioni
più crude.
Un incubo. Avrà mai fine? Mi sono
immaginata me stessa mentre tento
di proteggere mio figlio da un
attacco aereo senza riuscirci.
Improvvisamente sono stata
sopraffatta.. Completamente senza
speranza.
La sensibilità (se vogliamo,
possiamo definirla femminile) di
Elizabeth le ha fatto cogliere il lato
umano, pur dentro un’atroce
violenza, ed è stata questa stessa
sensibilità a farglielo raccontare. Il
volto insanguinato di un ragazzo
colpito da una bomba statunitense: “
Perché continuate a bombardarci e
poi venite a dire che vi dispiace?”.
Eppure, Elizabeth continua a
scrivere, imperterrita. La vede come
l’unica cosa da fare per non essere
sopraffatta da ciò che la circonda. Il
suo modo di rapportarsi all’orrore
della guerra.
Il coraggio di Elizabeth ha trovato
molti ostacoli, molte reticenze. I
giudizi sulla sua decisione così
rischiosa sono stati aspri. Il
colonnello dell’esercito aveva
inizialmente
respinto la sua richiesta di seguire i
suoi uomini al fronte per via della
sua gravidanza. Il medico del centro
per le malattie infettive le aveva
sconsigliato vivamente di affrontare
il viaggio. Al che Elizabeth aveva
risposto:- Se avessi avuto bisogno di
qualcuno che mi dicesse di non
andare in Afghanistan avrei chiamato
mia madre.E’ l’esempio di come determinazione
e forza di volontà possono superare
tutte le barriere ed i (pre)giudizi.
Specialmente per noi ragazze,
specialmente in un epoca dove la
femminilità
coincide,
nell’immaginario collettivo, con i bei
vestiti, l’affettazione, la frivolezza, la
cura estrema e maniacale
dell’esteriorità. Se non, in certi casi,
con qualcosa di peggiore.
•••
Irene Doda
III D
POLITICA / ATTUALITÁ
LEALTÁ E AZIONE
Buongiorno Zucchini!
Immagino che ormai il trauma del
primo periodo di scuola si stia pian
piano alleggerendo, che ormai tutti
stiamo accettando di compiere il
nostro dovere e che al posto del
devasto iniziale stia avanzando la
grinta, o forse la rassegnazione, di
mettersi al lavoro!
Insomma sembra che quest'anno
all'opera non ci stiamo mettendo
solo noi nella nostra cara Monza. A
quanto pare, un certo gruppo di
neonazisti ha eletto la nostra città
come la più degna a ospitare la loro
sede di ritrovo. Quale orgoglio ci
reca questa scelta! Sarà che i nostri
politici locali hanno un cuore tanto
grande da accogliere un movimento
che viene accuratamente evitato, se
non cacciato, dalle città vicine...
Infatti questo gruppo, che si chiama
“Lealtà e Azione”, si era in
precedenza stabilito a Milano, ma il
sindaco, non ritenendo opportuna
una presenza simile, li ha allontanati
dalla città. Come lui, non sono stati
solo degli altri "comunistoni" ad
essere infastiditi da questo
movimento: a Magenta, una giunta
di destra, a marzo di quest'anno ha
rifiutato che venisse svolta una
serata dedicata al nazismo, per di più
organizzata il giorno
dell’anniversario della marcia su
Roma di Mussolini.
Perchè “Lealtà e Azione” non viene
compresa, e accettata dalle realtà che
ci circondano? Mi preoccuperò solo
di delinearvi un breve profilo del
movimento nei suoi punti essenziali,
in modo che voi stessi possiate darvi
una risposta. I membri di questo
gruppo si pongono come portatori di
un modello fondamentalmente etico
e morale, che prevede la guerra a
quelli che sono i nostri punti deboli
interni, per poter migliorare il nostro
essere, come spesso le religioni ci
chiedono. Il movimento in questione
però, sottilmente, concepisce questo
essere come la nostra nazione e
attribuisce il nome di debolezza
interna a ognuna di quelle minoranze
scomode che spesso sono oggetto di
dibattito. Lealtà e Azione cerca di
diffondere una mentalità omofobia e
razzista, basandosi non a caso sulle
parole di una guardia SS
particolarmente vicina al Furer, un
certo Leon Degrelle.
Ora la nostra città non sta facendo
proprio una gran figura accogliendo a
braccia aperte suddette persone.
Anche implicitamente, sta comunque
esprimendo una propria inclinazione
politica che è piuttosto forte: non è
come schierarsi semplicemente a
destra o a sinistra (da notare è il fatto
che il collettivo FOA BOCCACCIO
continua a occupare edifici
rivendicando la necessità di un centro
sociale a Monza e continua ad essere
ignorato, mentre invece un
immediato consenso viene dato a
organizzazioni politiche come quella
di cui ora ci stiamo occupando).
Così, sabato 8 Ottobre c'è stato un
presidio, gestito da associazioni
come l'ANPI e, appunto, il
BOCCACCIO, in Piazza San Paolo,
per esprimere il dissenso che portano
i cittadini di Monza (o almeno una
parte) verso la presenza di questo
movimento. Il presidio è cominciato
alle 14.30 ed è durato per tutto il
pomeriggio. C'è stata la possibilità di
firmare contro l'apertura di questa
sede ed è stata allestita una mostra di
fotografia. Non c'era poca gente. La
piazza, forse potreste dire che è
piccola, ma in ogni caso, con il
tempo, si è riempita. Quindi chi non
è d'accordo con questa decisione c'è,
e si sta facendo sentire.
•••
Anna Caprotti
IA
PIANETA ZUCCHI
PORTE E PORTONI
Mi rendo conto che ora
probabilmente non riuscirete a
cogliere il riferimento tra il titolo e il
contenuto di questo mio articolo...
Ma, se avrete pazienza e leggerete
fino alla fine, scoprirete il nesso che
li lega.
Ciò di cui vorrei scrivere è lo
smistamento. Questo parolone
spaventerà chi di voi è appena
approdato al pianeta Z. Si riferisce in
sostanza a una prassi ormai usuale
(si ripete già da qualche anno) che
riguarda le classi che passano dal
ginnasio al liceo.
È una questione di numeri: la legge
stabilisce dei criteri quantitativi per
le classi liceali che entrano nel
triennio dal biennio (dall’ultima
riforma in verità si parla di 1°
biennio, 2° biennio e ultimo anno).
Perciò una delle classi quinte
ginnasio va incontro a
“smistamento”: si sceglie una di esse
mediante estrazione e i suoi
componenti si dividono
accorpandosi alle altre sezioni. In
questo modo si raggiunge il numero
di alunni prestabilito per ogni classe.
Ecco cosa hanno risposto alle mie
domande sette ragazze della classe
smistata a giugno:
Prima che lo smistamento vi
riguardasse da vicino, sapevate
cosa fosse? Eravate consapevoli
della eventualità di incorrervi?
Sì, una mia amica era stata
smistata e me ne aveva parlato.
Tuttavia la sottovalutavo come
esperienza.
..Lo conoscevo, ma speravo
che non succedesse proprio a me.
Il momento dell’estrazione?
Io lì per lì sono scoppiata a
piangere, perché è stato un po’ un
“trauma”… aldilà di questa reazione,
è stato un grande dispiacere per me:
eravamo una bella classe.
Ero incredula: mi sono
trovata a sperare che ripetessero
l’estrazione..
Lo stesso vale per me, in
quel momento non ho realizzato le
conseguenze di ciò che stava
succedendo, me ne sono accorta solo
a settembre.
La scuola vi ha seguito, vi ha
aiutato a orientarvi in quella
situazione?
Dal momento che
l’estrazione è avvenuta in piena
estate, ci siamo trovati un po’ in
difficoltà, abbiamo dovuto orientarci
da soli per quanto riguarda libri e
compiti.
Però nel procedimento dello
smistamento, e cioè in concreto la
scelta della nuova classe a cui essere
assegnati, siamo stati supportati –
abbiamo potuto esprimere più di una
preferenza.
A proposito, come avete fatto a
mettervi d’accordo tra voi?
Effettivamente all’inizio è
stato problematico, il dover
esprimere delle preferenze per le
sezioni cui essere assegnati …
abbiamo cercato di arrivare a un
compromesso tra noi, per essere tutti
soddisfatti dell’esito dello
smistamento.
E ora come vi trovate nella nuova
classe?
In generale bene, non ci sono
grossi problemi a livello di
socializzazione: per quanto mi
riguarda, sono stata ben accolta dalla
classe in cui sono stata smistata.
È ancora presto per parlare.
L’unità si creerà con il tempo …
Cosa dite a chi teme lo smistamento?
A chi lo teme?..che fa bene!
No, dai, all’inizio dispiace molto, ma
poi passa l’ansia. Più che altro io ho
sentito la preoccupazione di dover
ricominciare tutto daccapo: non solo
nuovi professori (cosa è tipica del
passaggio da ginnasio a liceo) ma
anche nuovi compagni..
Sì, è stato un po’ come
tornare in quarta ginnasio, per certi
versi. Però può essere
un’opportunità!
Siete ancora in contatto con i vostri
ex compagni di classe?
In questo caso, secondo me,
vale un discorso generale: i contatti
si mantengono se lo si vuole davvero.
Questo accade sempre in amicizia. Io
sono rimasta in contatto con chi
avevo legato di più durante i due anni
di ginnasio. Con gli altri … non ci
salutiamo nemmeno.
Tra di noi siamo rimaste in
contatto:non è affatto difficile.
Alle parole di chi ha da poco vissuto
questa esperienza posso aggiungere
quelle di due mie compagne di classe,
che ho “acquisito” a seguito di uno
smistamento. Con il senno di poi mi
dicono che, aldilà del dispiacere e dello
smarrimento iniziale a cui non sono
rimaste indifferenti, capitare nella
classe di cui ora sono parte integrante è
stata una grande opportunità.
Possiamo anche affermare, pur
indulgendo in un’espressione molto
comune, che nel momento in cui viene
estratta una sezione, per i suoi
componenti si chiude una porta e allo
stesso tempo si apre un portone.
Ecco spiegato il titolo!
•••
Irene Pronestì
III D
INTERVISTE
Ripensare la Natura senza la Natura
Una conferenza al Binario 7 propone un esercizio linguistico
per salvare l’ambiente
La salvaguardia dell’ambiente è un
tema di stretta attualità, in quanto,
secondo gli esperti stiamo
distruggendo la “Natura”, termine
spesso usato come ciò che non è
“Antropico”. Eppure il genere
umano fa parte di essa: costituisce il
complesso degli esseri viventi, delle
forze, dei fenomeni che hanno in sé
un principio costitutivo che ne
stabilisce l’ordine e le regole. Ma la
parola in sé può celare significati
strumentalizzabili, come ha rilevato
Stefano Moriggi, filosofo della
scienza, nel corso della conferenza
d a l t i t o l o U o m o D o v e Va i ? ,
organizzata dal Centro Culturale
Ricerca, che si è svolta al centro
congressi “Binario 7” di Monza, lo
scorso 30 settembre. Un argomento
non intuitivo, eppure Rosanna
Fabozzi, docente di Scienze naturali,
presso il Liceo Zucchi, ha invitato
gli studenti a partecipare
all’iniziativa, cercando di superare le
difficoltà linguistiche e concettuali.
Ragionare su argomenti complessi
diventa di stimolo per i protagonisti
del futuro.
Professoressa Fabozzi, Stefano
Moriggi ha invitato il pubblico ad
un “esercizio linguistico”: evitare
di usare nel proprio lessico il
termine “natura”. Perché è
necessario ripensare l'ambiente
alla luce di un esercizio di parole?
Ritengo sia un approccio
interessante: un esercizio di logica e
di coerenza, che non solo costituisce
un esercizio linguistico notevole, ma
impone un accostamento scientifico
alla tematica. Moriggi sostiene che
se, in un discorso, si impone la
regola di non usare la parola/
concetto di cui si dibatte, si è
obbligati a darne una definizione, ad
argomentare, a dibattere della
tematica senza attribuire significati
precostituiti, impliciti o
pregiudizievoli. In un discorso
scientifico non è ammesso
descrivere qualcosa usando il
termine/concetto che è oggetto di
indagine. Si è obbligati a trovare
parole che ne restituiscano
l’immagine, il senso, le
caratteristiche e l’approccio
metodologico. Insomma, è vietata la
tautologia.
Se va riconsiderato il termine
Natura, come vanno ripensati i
libri di testo al riguardo, visto che
spesso nei manuali di Geografia si
ha la contrapposizione “naturaleantropico”?
Sicuramente in senso meno
antropocentrico rispetto a quanto non
abbia fatto la civiltà occidentale, che
vede la Natura come Ente asservito a
bisogni, necessità, senso estetico,
follie dell’uomo. Così non è da un
punto di vista strettamente
scientifico, dato che l’H. sapiens
sapiens è solo una delle specie che
vivono sul pianeta e nemmeno la più
numerosa. Sicuramente la più
“intelligente”, ma che non sempre fa
cose molto “intelligenti”. Nella
società odierna - anche delle Nazioni
più avanzate - domina una
concezione politico-economica della
Natura e delle sue forze. Il recente
disastro in Giappone ne è un
esempio. Tale rapporto, se pur non
negato, va ripensato, riequilibrato.
Le conferenze del CCR sono un
inno al pensiero laico, svincolato
dai dogmatismi ideologici. Ma è
possibile parlare davvero di laicità
in una società dominata dai
messaggi dei media che lanciano
messaggi spesso nascondono
“altro”?
Se per laicità si intende essere scevri
da pregiudizi, direi che è cosa ardua.
La scienza è fatta dagli scienziati e
anche loro hanno i loro “pregiudizi”
innati. Diciamo che si può tendere ad
un’analisi e quindi ad un giudizio che
si avvicini ad una visione “laica”
della Natura. Ciò può essere
raggiunto solo se si applica un
metodo scientifico, dato che in esso è
insito il fatto che ogni dato,
procedura, conclusione è sottoposta a
critica, verificata da altri ed oggetto
di controversia. Ovviamente il
processo della scienza è lungo,
necessita di tempi per i quali le
“necessità decisionali” politiche non
possono sempre attendere. Il problema
diviene dunque una questione di
valutazione di priorità, di pesi, di
saggezza. E gli uomini politici o meglio
gli uomini non sono sempre saggi.
Parlando di laicità in senso più
stretto, è possibile una conciliazione o
almeno un dialogo tra scienza e fede?
Sì, se ciò è processo operato da menti
“intelligenti”. Mi viene in mente il
Direttore della Specola Vaticana,
grande esperto di astronomia, o la
Pontificia Accademia delle Scienze. E’
un religioso ed anche uno dei massimi
esperti di ipertesti ed costruzione di siti
internet. Solo la conclusione finale è
diversa. Ma quello è atto di fede. Uno
dei testi recentemente usciti in allegato
alla rivista «Le Scienze» si intitola
Non è vero, ma ci credo e raccoglie una
rassegna di interviste ai massimi esperti
mondiali in vari campi della scienza
che hanno dato la loro risposta a tale
domanda.
•••
Chiara Borghi
IV B
Shower Time
Internet e il mondo di Ana
Prima di tutto un saluto a tutti gli
zucchini e soprattutto ai nuovi
arrivati di quarta ginnasio, auguro a
tutti un anno scolastico divertente e
non troppo snervante!
Mi accingo a scrivere il mio primo
articolo come nuova redattrice del
Bartolomeo e devo dire che sono un
po' nervosa ed emozionata allo
stesso tempo. La mia rubrica non
avrà un tema ben preciso poichè in
realtà amo parlare di mille cose
diverse e per scrivere cerco spunti da
qualsiasi parte. Ecco perchè ho
deciso di chiamarla Shower Time,
poichè credo che il momento della
doccia sia un momento di profonda
riflessione per la maggior parte delle
persone (compresa me). E dopo
quest'attimo di ironia iniziamo a
trattare del tema di oggi.
Purtroppo in questo articolo non
parlerò di qualcosa di allegro e
leggero, mi scuso subito ma penso
che questo sia un argomento
importante e poichè questo
fenomeno non è molto conosciuto
ritengo giusto e necessario
informarvi di alcune cose che
appartengono alla nostra realtà e
soprattutto al mondo di noi giovani.
Non so se vi sarà mai capitato di
capitare su alcuni siti o blog proAna.
Cos'è un sito/blog pro-Ana?
I siti pro-Ana sono siti pro-anoressia
nati verso la fine degli anni '90 e nati
come "diari di dimagrimento
estremo". La filosofia delle persone
pro-ana nega la presenza di disturbi
alimentari e psicologici ma li
interpreta come uno stile di vita.
Su internet si possono trovare alcune
informazioni riguardo questi gruppi
di persone che in questi anni si sono
raccolti anche in diversi forum:
" (...) i Forum Pro Ana danno vita a
gruppi virtuali, con sembianze di
sette religiose: le adepte di Ana,
dove Ana è una musa ispiratrice ed
un ideale supremo."
Facendo ricerche più approfondite si
possono trovare anche stralci delle
loro "diete", o meglio, digiuni
forzati:
"«A colazione bevo un thè al
finocchio (0 kcal)», scrive un’altra
ragazza, indicando anche il numero
di calorie ingerite, «a pranzo 2 yogurt
al kiwi (220 kcal), a cena un
cappuccino (50 kcal), spuntino un
litro e mezzo di the senza zucchero
(7kcal). Calorie totali: 277 kcal»"
Inoltre troviamo anche episodi
raccontati da ragazze bulimiche (che
si considerano schiave di Mia, la
bulimia appunto).
"«Preparo il pranzo per tutta la
famiglia», scrive Iris, «preparo la
pasta e fagioli, la cucino io, la
mangio tutta, la vomito fino alla bile.
Compro un gelato, ne compro due, al
terzo comincio a vomitare. Passo per
il supermarket a comprare l'acqua.
Compro un pacco di biscotti, e dei
Kinder fetta a latte, e un Duplo.
Mangio tutto in macchina. Vomito
tutto in palestra, nel bagno, con la
gente che fa la fila fuori per entrare.
Vedo ancora un pezzo di buccia di
mela. Rosso. O era un pezzo di
stomaco? Non lo saprò mai."
Sembra di trovarsi in un brutto film
dell'orrore, purtroppo è tutto vero. I
loro blog sono costellati da
moltissime foto di modelle, attrici e
ragazze magrissime.
La filosofia pro-Ana:
"Se non sei magra non sei attraente,
essere magra è più importante di
stare in salute, devi comprare vestiti,
tagliarti i capelli, prendere lassativi e
fare tutto quello che ti faccia sentire
magra".
Credo che dopo aver letto queste
cose molti di voi saranno indignati,
sorpresi.
Ci tengo a precisare che non sto
assolutamente cercando di prendermi
gioco di ragazze che soffrono di
disturbi alimentari e che con forza di
volontà e fatica stanno cercando di
guarire oppure soffrono ogni giorno
per la loro malattia.
Quello che mi da fastidio è che la
maggior parte di queste comunità su
internet sono accessibili a chiunque,
anche a ragazzine molto giovani e
ingenue, e che i contenuti di questi
siti sono davvero molto forti e nocivi
per una mente delicata come quella
di un'adolescente. Questi blog
spingono all'odiare il proprio corpo e la
propria persona, a farsi del male e ad
ammalarsi.
In Italia sarebbero 500.000 le ragazze
malate e tra queste alcune migliaia
decidono di partecipare a blog a favore
dell'anoressia e della bulimia,
raccontando con fierezza i risultati
raggiunti.
Come cercare di fermare questo
fenomeno?
Ci sono alcuni siti di ex anoressiche
che organizzano petizioni e raccontano
la loro storia, come ad esempio quello
di
Anna
Paterson
www.annapaterson.com.
Anche il sito di Vogue Italia ha
organizzato una petizione contro lo
sviluppo di questo fenomeno: http://
www.vogue.it/magazine/petizionecontro-i-siti-pro-anoressia.
Se però per caso vi imbattete in alcuni
blog di questo genere segnalateli subito
alla piattaforma su cui sono pubblicati
(Blogger, Splinder ecc...), non è sicuro
che verranno oscurati ma tentar non
nuoce.
Forse questi blog sono destinati a
esistere ancora per molti anni e a
influenzare la mentalità di molte
ragazzine (vi assicuro che purtroppo
hanno quasi un effetto ipnotico), ma mi
sembrava comunque giusto provare a
sensibilizzare gli studenti di questa
scuola. Magari il problema non verrà
mai risolto, magari queste petizioni non
salveranno il mondo ma un semplice
click non costa niente.
Non lasciamoci abbindolare da queste
dimostrazioni d'odio, ricordate che
internet ha un'altissima capacità di
influenzare soprattutto le persone più
sensibili e giovani, e questi fenomeni
potrebbero colpire chiunque, anche i
nostri amici o parenti. Cerchiamo di
tenere questa piattaforma pulita e
sicura, per quanto si possa fare.
•••
Federica Mutti
IC
LETTERATURA / RIFLESSIONI ZUCCHINE
amor cortese 2011?
"...E' dalla poesia trobadorica che
deriva tutto ciò che concerne
l'amore del 2011! Noi non abbiamo
inventato niente ma siamo
costantemente e talvolta
inconsciamente influenzati da quella
mentalità di circa 1000 anni fa..."
Proviamo a fare un passo indietro
(forse più di uno...), sfidiamo il
tempo con la mente, che è forse
l'unica arma umana, e tuffiamoci nel
Medioevo, più precisamente nella
regione dell'odierna Francia, anno
1100 d.C. circa. Mentre scrivo,
pesando leggermente i tasti sulla
tastiera, mi sembra di riuscire a farlo
veramente.
Beh, io non sono mai stata a Parigi e
non conosco l'atmosfera che oggi lì
si respira, se non dai racconti o dalle
foto... Però so che è spesso detta "la
città dell'amore" e credo di
conoscerne il motivo. Nel Medioevo,
infatti, le città della Francia non
erano certo contraddistinte da
quell'incalzante ritmo frenetico che
le soffoca oggi. Ma per le strade, nei
cunicoli, nelle piazze si potevano
scorgere figure itineranti che davano
vitalità all’ambiente urbano: uno
appoggiato a un muro scrostato e
insignificante, oppure eccone un
altro... là...passeggia su un ponte.
Sono i giullari.
Me li immagino con in testa un
cappello, la cui peculiarità è una
piumetta che sostituiscono quando si
accorgono che è un po' rinsecchita...
Indossano un abito sgualcito che
portano però con dignità e, in mano,
come se fosse parte del loro corpo,
tengono un mandolino.
Cercano la gente, cercano persone
desiderose di ascoltare perché, come
diceva un personaggio di un libro,
"Non sei mai finito veramente sinché
hai in mano una buona storia e
qualcuno a cui raccontarla (...)".
Ma qual era la loro storia?
I giullari cantavano l'amore tra un
cavaliere e una dama della nobiltà
feudale, un amore particolare, basato
sulla devozione, la lealtà,
l'obbedienza e il rispetto. Un
sentimento che oggi, secondo me,
non c'è più. Quasi più.
Non è che non esista, l'amore...
eccome se c'è! Altrimenti sarebbe già
tutto morto. Il problema è che manca
qualcosa che gli conferisca un tocco
di raffinatezza e di disarmata
potenza. Nessuno più ama l'amore. Il
difetto consiste nel fatto che non ci
stupiamo più e tutto ci appare banale,
scontato. Invece non lo è! Amare, o
meglio, saper amare è una virtù e
quante persone non ne sono in grado!
E per amore io intendo anche il
rapporto fraterno o persino l'affetto
che si può nutrire verso il proprio
gatto: molti infatti non sanno dosarlo
e rischiano di investire gli animali (e
questo vale anche tra persone) di
troppe coccole tanto che li
stordiscono. Ecco che l'oggetto del
desiderio (per ritornare all'amor
cortese) diventa un burattino, un
giocattolo... forse è da qui che deriva
il detto gioco d'amore! A parte la
battuta, dato il tale livello
d’ignoranza sull'ars amandi, forse
dovrebbe diventare una materia
scolastica da valutare come la
condotta!
Focalizzando la nostra attenzione sul
rapporto di coppia uomo-donna, ciò
che non funziona è la concezione che
si ha di entrambi.
L'uomo è il "macho" che può
permettersi di fare quello che vuole e
la donna è uno strumento nelle sue
mani. Questo è un discorso trito e
ritrito che però non si può fare a
meno di sottolineare perché il mondo
stesso della comunicazione, i media e
la televisione in primis, ci sottopone,
e direi anche cerca di sottometterci, a
questi modelli! Però questa, in cui
l'uomo è l’amante-guida della donna
è una concezione sbagliata, la cui
origine non si può attribuire al
presente bensì al passato. E' dall'era
delle caverne che il maschio crede
che il territorio sia suo, solo perché
va a caccia! Ciò dimostra quanto
probabilmente una parte
dell’universo maschile abbia ancora
bisogno di evolversi. Ed è
decisamente in ritardo!
Ciò in cui l'amor cortese maggiormente
coincide con l'amore 2011 è certamente
il cossirar: cioè l'eccesso di
immaginazione che creiamo nella
nostra mente circa la persona di cui
siamo innamorati. L'immagine reale
della persona in questione occupa un
terzo della nostra vita, gli altri due terzi
si consumano nel fantasticare... Dicono
che in verità, e io ne sono rimasta
molto scossa e turbata, noi amiamo
l'assenza di quella persona, intorno alla
quale costruiamo un'immagine che non
corrisponde alla realtà... Indubbiamente
qui notiamo l'incommensurabile peso
dell'influenza trobadorica che ha invaso
la nostra mentalità! Però io lo trovo un
po' triste e ci sto ancora riflettendo... Vi
lascio insomma con una frase che ha
detto con scivolosa, ma circospetta
noncuranza (forse per captare la nostra
reazione di adolescenti in erba) la mia
insegnante di italiano a proposito
dell'amor cortese e che vi farà pensare:
"...Avevo dato al mio sogno un volto
che era il tuo, ma non eri tu."
•••
Alice Pennino
ID
RIFLESSIONI ZUCCHINE
un pescatore
Quest’estate ho conosciuto un
pescatore. Era seduto sul molo, la
pipa in mano che cadenzava l’andare
del suo racconto, con i passanti che
incuriositi si fermavano ad ascoltare
le sue parole, e in sottofondo, lo
sciabordio delle onde. Raccontava
che da quando era giovane, ogni sera
salpava dal porticciolo, tornando poi
sul fare del giorno. Qualche volta
poteva andargli bene, quando
riusciva a pescare abbastanza per
sostentare la sua famiglia, qualche
altra volta invece gli toccava alare le
barche degli altri pescatori più
fortunati e pulirne le carene,
facendosi mille e mille più cicatrici
sulle sue mani. Casomai capitaste
per quel porticciolo, tra l’odore della
salsedine e il canto dei gabbiani che
volteggiano sopra le vostre teste,
fermatevi un momento ad ascoltare
la sua voce. Il mare era in burrasca
quella sera, il peschereccio in balìa
delle onde sembrava voler sfidare
quel cielo cupo e gonfio, e
completamente alla deriva portava
gli incoscienti marinai verso un
destino ormai certo. Il vento spirava,
il mare colpiva, il cielo cadeva, ma
quella barca non ne voleva sapere di
colare a picco. C’era chi pregava, chi
cercava di mantenere il timone, ma
veniva regolarmente vinto dalla
forza dei marosi, chi restava
sopraccoperta e alzava il braccio al
cielo in preda alla follia e alla
disperazione, uno solo però era
congelato, immobile, di fronte al
cataclisma. Alzava lo sguardo verso
le onde, lo abbassava e rimirava in
silenzio lo spettacolo dei lampi in
quel cielo così lontano, e se fosse
stato suo destino morire là, senza
tomba e senza memoria, non avrebbe
potuto fare niente al di fuori delle
lacrime che già scorrevano
abbondanti su quel suo giovane viso.
Non aveva senso, abbandonare il
mondo così anonimamente per un
solo atto d’incoscienza che bontà
divina non aveva voluto perdonare.
Non era nulla quel misero legno
rispetto all’incommensurabilità di
quella distesa d’acqua in furia, nulla
le piccole lampare accatastate qui e
là a babordo e tribordo e il lumicino
di segnalazione rispetto alla luce
violenta dei lampi, che crudelmente
illuminava la morte sui volti di quei
miseri condannati, spinti più dal vino
che dal bisogno su quel barile ormai
alla deriva. Lui era lì e piangeva,
tremava, quando si fece avanti
un’onda più grande degli altri. Lui la
vide, capì, chiuse gli occhi, e il buio
diventò silenzio. Si svegliò in mezzo
ad alcuni resti dell’imbarcazione su
una spiaggia isolata, unica lingua di
sabbia tra scogliere rocciose. Nel
cielo limpido erano comparsi
gabbiani, che gli sembrarono simili
ad angeli nel suo sguardo. Rimase
disteso sulla sabbia calda per lungo
tempo, pensando a cosa potesse
essere successo dopo l’onda che
l’aveva trascinato via e
quell’immenso fragore. Ricordava di
essersi sentito trascinare via da una
forza, mentre annaspava sott’acqua
in cerca di ossigeno, provò ad aprire
gli occhi ma lo accecò una luce
azzurra e cristallina, credette di
essere finito in paradiso, e le sue
memorie si dissolsero fino al suo
risveglio. Una volta ripreso, si
riavviò sulla via di casa. Dei suoi
compagni non se n’era salvato
nessuno. Quando poi giunse al paese,
raccontò tutto a chi capitava, ma i
suoi familiari, i suoi amici e i suoi
compaesani non capirono. Fu di
nuovo obbligato dalla necessità ad
essere assoldato su un altro
peschereccio, e tutti lo guardavano
male perché di solito dopo
un’esperienza così, una persona tiene
a stare lontano dal mare, e si trova
un’occupazione a terra. Ma lui ormai
era pieno di ebbrezza ed entusiasmo,
sentendosi quasi invincibile, e non
gli interessava nulla di quello che
potesse pensare chi, conoscendo il
suo trascorso, lo vedeva ancora alle
prese con i cavi e le reti da pesca, in
procinto ancora una volta di prendere
il largo. Non era voglia di rivalsa sul
mare, quanto più una sorta di
dipendenza psicologica. Amava il
mare anche se questo si era
dimostrato crudele con lui e i suoi
compagni, ed era malato di lui come
qualsiasi innamorato che respinto, non
sa calmare le sue inquietudini, ma si
getta a capofitto in qualunque pazzia,
per poter dimostrare di cosa è capace.
Così si trovava a pescare i pesci più
enormi nei punti più pericolosi per le
correnti, e ad ogni successo le persone
attorno a lui si allontanavano sempre di
più, fino a quando lui non divenne solo
con la sua ossessione, e l’età si fece
tanto inclemente da costringerlo forse,
a rimanere a terra. Casomai capitaste
per quel porticciolo, e vi fermaste ad
ascoltare quel marinaio, scoprireste che
nelle sue traversate, durante le notti di
luna piena quando lui era solo con
l’infinito, nell’aria aleggiavano i canti
di tutti quei marinai lontani dalla loro
patria e dalle loro donne, che ha visto
con il suo cannocchiale i pirati prendere
d’assalto le ricche navi mercantili e poi
seppellire su isole variopinte i loro
innumerevoli tesori per poi darsi al
festeggiamento, e che poi ha potuto
fissare le immense volte stellate riflesse
negli occhi di bellissime sirene. Se
capitaste per quel porticciolo al
tramonto, vedrete al largo la luce della
sua nave, che si fa sempre più fioca
all’orizzonte, e degli omuncoli che
sulla riva del mare, con il sole che cala
alle loro spalle si mettono a deriderlo,
mentre guardano le loro ombre che si
allungano davanti a loro e si credono
dei giganti.
•••
Matteo Monti
III B
RIFLESSIONI ZUCCHINE
DESPERADO
“Questo è decisamente il settembre
più lungo della mia vita. È da
quando sono qui che piove. Di solito
mi piaceva la pioggia. Mi piaceva
quando mi stordiva dal finestrino
posteriore, le volte che alle quattro
di mattina dovevano riportarmi a
casa in macchina, perché ero troppo
ubriaco e troppo felice per poter
rispettare i limiti di velocità e di
discrezione. Mi piaceva quando lei
non poteva uscire e io stavo a letto a
guardare l’ennesimo film
demenziale… la pioggia bussava sul
lucernario e chiedeva di poter stare lì
con me, almeno lei…
Allora la pioggia mi piaceva perché
mi faceva pensare alle luci convulse
dell’Haçienda di Manchester,
credevo che la vita, quella vera, si
rifugiasse lì quando doveva vomitare
adrenalina… e ora che ci sono
arrivato, ora che sono qui a
Manchester, la pioggia mi appare
come un fantasma della sua stessa
città: scivola educatamente sui neon
tiepidi, si agglomera in milioni di
losanghe di milioni di giacche
inglesi, è una pioggia che parla un
inglese strettissimo e io non la
capisco, non mi ricorda niente di
casa mia. Neanche la pizza mi
ricorda di casa mia. Avevo scelto
apposta qualcosa di molto poco
inglese e sufficientemente
rassicurante, ma mi sento ancora più
strano di prima, sono a disagio. Non
so che ci faccio qui, seduto, fermo, a
riflettere sulla pizza e sulla pioggia.
Non sono cose inventate per
stimolare il pensiero. A dire il vero
nulla è mai riuscito a farlo, se ti
fermi a pensare sei finito… devi
essere dinamico, non avere radici,
non accontentarti mai. Devi
muoverti, avere sempre nuovi
obiettivi, se ti consideri arrivato
finirai per arrivare davvero, e a quel
punto non riuscirai più a ripartire.
Tutte quelle belle cose che ti
raccontano sul matrimonio, sui figli,
sulle responsabilità, sono solo i tristi
slogan di chi si è scoperto da poco
prigioniero di una gabbia che sta
arrugginendo, è tutta gente che vuole
solo trascinarti nel gorgo. Che cosa
devi fare? Devi divertirti, la vita non
va mai presa troppo sul serio. Hai
mille porte aperte intorno a te: fai in
modo di non chiuderle. L’equilibrio è
un terreno franoso e tu devi essere
pronto a scappare. Non sarai mai
solo: dietro a una lepre che corre c’è
sempre un cacciatore. Lo so, perché
quando i meno sinceri hanno deciso
di perdere le mie tracce, i miei
colleghi hanno subito pensato a come
farmi divertire. Lo so, perché se non
fosse andata bene con lei, ce n’erano
già tre o quattro disposte a tutto pur
di stare con me. Ma ora che sono
lontano, anche loro, tutti quanti, sono
tutti lontani. Ho scritto un messaggio
a tutti, qualcuno ha già risposto:
“Davvero sei a Manchester? Grande!
Buona fortuna!”. A lei invece ho fatto
quattro telefonate, non ha risposto
neanche una volta. Chissà se è con
qualcuno… ma che me ne importa in
fondo, non la dovevo mica sposare.
Certo, mi manca, ma non è un buon
motivo per bloccarmi o soccombere
alle paranoie. È qui che devo essere,
è ciò che desidero da tutta la vita…
lavorare, uscire ogni sera, divertirmi,
conoscere gente nuova…
È ora di uscire da qui, al diavolo la
pizza, al diavolo la pioggia, corro
senza guardare la strada, tanto
l’orribile palazzo marrone in cui
alloggio copre tutto il cielo, si vede
fin da qui.
Rallento un attimo di fronte alla
porta di vetro, giusto il tempo di
cercare le chiavi per aprire, poi
schizzo su per le scale.
Non so quanti scalini mi lascio alle
spalle, pure il grasso mi sta
abbandonando.
Eccomi, sono in terrazza. Chiudo gli
occhi e inspiro l’aria umida. Questo è
il punto più alto della città,
finalmente sono in cima, posso
guardare il traffico di Manchester che
scorre all’impazzata, come il sangue
di un emofiliaco.
Sono solo, piove, e da qui non si
vede nient’altro che nuvole.”
“A chi è andato a vivere a Londra
a Berlino, a Parigi, a Milano o Bologna
ma le paure non han fissa dimora
le vostre svolte son sogni di gloria”
•••
Eva Casini
III B
cINEMA
DEAD MAN
Premesso che in questo periodo
non ho trovato nessun film che mi
ispirasse da potervi consigliare, ho
deciso di parlarvi di dead man.
“Titolo abbastanza inquietante”
penserete ma vi assicuro che non è
un film da perdere.
Trama brevissima: fine ottocento,
William si reca nella cittadina
desolata di Machine per essere
assunto come contabile. Per sua
sfortuna il lavoro è già stato
occupato e senza un soldo William
incontra una signora che lo invita a
dormire a casa sua. Accusato di
due delitti sarà costretto a fuggire.
Durante la fuga incontrerà un
indiano di nome “Nessuno” che lo
aiuterà a compiere il suo
inevitabile destino.
Il regista e sceneggiatore è Jim
Jarmush, l’interprete principale,
William Blake, è interpretato da
Johnny Depp.
“Dead man” è un film western del
1995, sebbene le tecniche
cinematografiche lo permettessero,
il regista (vi avviso subito) l’ha
volutamente girato in bianco e
nero. il ritmo è abbastanza lento
ogni cambio di scena dura almeno
un secondo. A mio parere questa
tecnica permette di riflettere su ciò
che è appena avvenuto, senza
confondere lo spettatore
investendolo con sequenze troppo
rapide e di valorizzare le
inquadrature. queste ultime
soprattutto nella parte iniziale del
film ricordano quelle di Sergio
Leone (maestro dei film western)
che utilizzava l’extreme close-up
(inquadratura del particolare es.
occhi, bocca…). L’intreccio della
storia è lineare, fatto di cause e
conseguenze. punto di forza del
film è sicuramente la colonna
sonora, interamente improvvisata
da Neil Young e tipicamente
western. il regista punta molto
anche sui nomi dei personaggi (es.
William Blake non è ovviamente il
vero poeta ma un omonimo) che
non sono assegnati a caso ma sono
elementi necessari e importanti per
lo svolgimento dello storia (il nome
di Nessuno è usato come da Ulisse
nell’Odissea, ovvero puntando sul
fraintendimento del significato
della parola). dal momento in cui
viene accusato di omicidio, il
giovane contabile dovrà affrontare
una serie di difficoltà e pericoli,
propri dell’uomo ricercato che lo
condurranno ad un profondo
cambiamento sia nel carattere ( da
timido contabile ad assassino senza
rimorsi), che nell’aspetto. In
conclusione è da apprezzare la cura
che il regista dedica al protagonista
rendendolo un personaggio a tutto
tondo, vittima di una società
vendicativa e senza regole oltre che
razzista. Gli eventi che travolgeranno
Blake lo condurranno all’unico finale
possibile che si intuisce di aver
sempre saputo solo al termine della
pellicola.
•••
Irene Camporeale
II A
MUSICA
R.E.M.
UN ELEGANTE ADDIO
“To our fans and friends: as R.E.M.,
and as a lifelong friends and coconspirators, we have decided to call
it a day as a band. We walk away
with a great sense of gratitude, of
finality, and of astonishment at all
we have accomplished. To anyone
who ever felt touched by our music,
our deepest thanks for listening.”
R.E.M.
Quella dei R.E.M. è stata una
carriera anomala per una rock band
che può vantare di aver cambiato la
musica americana a detta di Rolling
Stone, nessuno scandalo sessuale,
storie di droga e continui cambi di
formazione, solo 31 anni di musica
in un crescendo di successo e
complessità che li ha portati a
definire i caratteri del rock
alternativo. Tutto iniziò nell’ormai
lontano 1980 all’università della
Georgia: il cantante Michael Stipe
incontrò Peter Buck, chitarrista, e
coinvolsero poi al basso Mike Mills
e Bill Berry alla batteria, che lasciò
il gruppo nel 1998, il resto è il
normale percorso di ciascuna band
esordiente. Si esibirono ovunque
fosse possibile e pubblicarono i
primi EP con case discografiche
indipendenti, finché, dopo aver
scritto sei album, nel 1988 con
Green, prodotto dalla major Warner
Bros, vennero consacrati dal
pubblico non solo per il particolare
timbro di Michael e gli arpeggi di
Peter, ma anche per l’impegno dei
testi. Inoltre i video di Orange Crush
e Stand portarono la scalata al
successo mondiale non si è arrestata
dopo Out of Time, anzi, brani come
What’s the fama della band anche
oltreoceano, successo che venne
consolidato qualche anno dopo con
l’album Out of Time e il celeberrimo
singolo Losing my Religion, che
vendettero milioni di copie in tutto il
mondo. La frequency Kenneth? e
Bad Day, Leaving New York e
Supernatural Superserious sono oggi
considerati pezzi cult della band.
Quest’anno i R.E.M. hanno
pubblicato a marzo il loro ultimo
album: Collapse into now, una specie
di autobiografia del gruppo, a
giudicare dalle parole del cantante, in
cui di brano in brano vengono
raccontate le loro esperienze e i loro
errori. Forse non è il loro migliore
album, ma rappresenta l’anima della
band aprendosi definitivamente al
proprio pubblico in un riassunto di
tutta una brillante carriera.

1984 - Reckoning

1985 - Fables of the

1998 - Up
Il 21 settembre, con la stessa
eleganza che ha contraddistinto ogni
loro spettacolo, il gruppo ha
annunciato il proprio ritiro dalle
scene senza rancore e con grande
soddisfazione, nella consapevolezza
di essere stati “la colonna sonora di
una generazione” (New Yorker)
avendo lasciato una “traccia
indelebile nella musica
moderna” (Spin).

2001 - Reveal

2004 - Around the Sun

2008 - Accelerate

2011 - Collapse into Now
DISCOGRAFIA:

1982 - Chronic Town

1983 - Murmur
Reconstruction

1986 - Life's Rich Pageant

1987 - Document

1988 - Green

1991 - Out of Time

1992 - Automatic for the
People

1994 - Monster

1996 - New Adventures in HiFi
•••
Elisa Tonussi
II D
BAR SPORT
SARÁ LA CRISI?
Viviamo in un periodo difficile:
l'economia va a rotoli, migliaia di
persone perdono il lavoro o
scioperano per non perdere i loro
diritti. Scioperano gli operai, ma
scioperano anche gli sportivi.
Ebbene si, perfino gli atleti in questo
periodo si sono scoperti
“sindacalisti” ed hanno deciso di
incrociare le braccia (o le gambe:
dipende dallo sport).
Lo sciopero dei calciatori di serie A
dello scorso Agosto ce lo ricordiamo
tutti, ma non è stato l'unico. Non c'è
bisogno di andare lontano per
trovare un altro campionato
calcistico di primo livello che ha
dovuto posticipare il proprio inizio:
infatti anche la Liga spagnola ha
saltato la prima giornata, come la
serie A, ma per ragioni ben diverse.
Da noi infatti è successo che l'Aic
(Associazione Italiana Calciatori, il
principale sindacato dei calciatori
itlaiani), si è scontrata con la Lega di
serie A su un punto del contratto
collettivo. Dopo la scadenza
dell'ultimo contratto, circa un anno
fa, sono state subito avviate delle
trattative tra le parti per il rinnovo.
Si è trovato un accordo su tutto, ma
non sulla questione dei cosiddetti
“fuori rosa”. A questa categoria
appartengono tutti quei calciatori
che, per vari motivi, non rientrano
più nei piani degli allenatori e che
per questo non vengono fatti allenare
con il resto della squadra. Il
sindacato ne chiedeva l'abolizione
(che tra l'altro in parte è già
avvenuta), per permettere anche agli
esclusi di avere la possibilità di
dimostrare le proprie capacità e di
poter quindi trovare più facilmente
un ingaggio in un altro club. I
presidenti erano invece del parere
opposto perchè, isolando i giocatori
“inutili” e non facendoli giocare la
domenica, permetterebbero agli
allenatori di lavorare con un gruppo
più ridotto e quindi più gestibile, ed
incentiverebbero questi “scarti” ad
andarsene in posti dove
giocherebbero, anziché stare in
tribuna. Alla fine, dopo le reazioni
sdegnate di tutti, per salvare la faccia
ed il campionato si è deciso di
prorogare il precedente contratto e di
negoziare nel frattempo un nuovo
accordo entro la fine di Giugno.
Risultato: giocatori ormai stracotti
ma anche strapagati preferiscono
prendere 4 milioni l'anno facendo la
muffa sul divano piuttosto che
prenderne un po' di meno ma giocare
(riferimenti a giocatori italobrasiliani residenti a Torino sono
puramente casuali). Lo sciopero
spagnolo ha invece cause più
“tradizionali”: come probabilmente
saprete la Spagna è stata colpita dalla
crisi molto più del nostro paese e
questo ha influito notevolmente
anche sulle società sportive. Infatti,
con l'eccezione delle big Barcellona e
Real Madrid, le altre squadre , che
già prima del 2007 non se la
passavano economicamente troppo
bene, si sono trovate di fronte a gravi
problemi finanziari. Per questo molti
club, anche alcuni di livello europeo
come l'Atletico Madrid, hanno
addirittura smesso di pagare gli
stipendi ai giocatori. Che
guadagneranno anche molto più dei
normali lavoratori, però sono anche
loro, appunto, dei lavoratori ed hanno
quindi diritto ad uno stipendio. Lo
sciopero spagnolo ha avuto come
richiesta principale, poi soddisfatta,
quella di introdurre forti
penalizzazioni per le squadre
insolventi nei confronti dei loro
giocatori che prima potevano fare
tutto questo senza incorrere in
sanzioni.Anche oltreoceano ci sono
stati degli scioperi. In America, però,
le cose sono andate in modo
leggermente diverso. Gli scioperi a
stelle e strisce sono infatti dei
“lockout”, delle vere e proprie
serrate. Da noi le partite saltate
verranno recuperate, nel Nuovo
mondo, invece, viene annullato tutto
e, soprattutto, non ci sono più vincoli
né rapporti tra squadre ed altelt. I
giocatori non si possono allenare ed i
presidenti chiudono tutti gli stadi ed i
centri sportivi finchè non si prende
una decisione, anche a costo di
saltare un'intera stagione, come è
successo nel 2004 quando il mancato
accordo tra le squadre della NHL e gli
atleti fermò il campionato di hockey
per 310 giorni. Negli ultimi mesi ha
rischiato il blocco il campionato di
football, mentre la competizione
americana più famosa in Europa,
l'NBA, non partirà. Le franchigie
vorrebbero introdurre un tetto massimo
agli ingaggi (uno dei motivi del breve
lockout del football è stato il tentativo
da parte dei giocatori di abolire questa
norma che lì c'è già) e riequilibrare la
distribuzione dei ricavi tra giocatori e
squadre. Infatti ai giocatori attualmente
spetta più della metà dei ricavi
dell'NBA e non vogliono rinunciare a
questo enorme privilegio, mentre le
squadre vorrebbero, dal canto loro,
arrivare almeno ad una situazione di
equilibrio. Le parti però sono
decisamente distanti e, dopo il
fallimento dell' (ennesimo) incontro il
10 Ottobre, sono state annullate le
prime due settimane del campionato,
con il rischio concreto di stare fermi fin
dopo Natale. Una bella notizia per tutti
gli appassionati europei. Infatti, a causa
del lockout, molti cestisti, non avendo
più alcun vincolo con la propria
franchigia ma avendo una voglia matta
di giocare, stanno venendo nelle
squadre del vecchio continente:
qualcuno è tornato nella propria
squadra di origine (come il nostro
Danilo Gallinari che è di nuovo a
Milano), altri hanno fatto scelte
apparentemente più strane il francoamericano Tony Parker giocherà in una
squadretta francese per soli 1.500€ al
mese ( ma ne è uno dei propietari). La
maggior parte, però, è attratta
soprattutto dai soldi (Kobe Bryant
potrebbe prendere appena 2 milioni per
giocare una sola partita a Bologna).
D'altronde si sa, c'è la crisi, e per
portare a casa la pagnotta (da un
milione di dollari?!?) si è disposti a fare
di tutto.
•••
Alessandro Mantovani
III D
GIOCHI
Sudoku
medio
3 6
4 1
2
3
7
1
4
5
2
5 1
8
6
9
3
4
8 9
7
2
4
8
9
8
6
4 8
5 3
difficile
7 4
5 9
6
1
1
1
4
3 6 8 5 2 4 1 7 9
2
8
7
1
3 6
4
8 2
Bisogna partire da una parola data e arrivare a un’altra parola stabilita, passando attraverso una
serie di altre parole, ognuna delle quali è diversa da quella di prima e da quella di dopo soltanto per
una lettera.
(es. Da UNO a CENTO : UNO –> UNTO –> MUNTO -> MENTO –> CENTO: 5 passaggi)
Da CENTO a MILLE: 8 passaggi.
Le soluzioni … nel prossimo numero!
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Klerrina, ina, ina
Smettila di insultarmi!
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La tua cartoleria/libreria/compagna di
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BARTOLOMEO
il giornale degli studenti dello Zucchi
R E D A Z I O N E
N. ① - A/S 2011-12
DIRETTRICE: Nadeesha Uyangoda - III A
VICEDIRETTRICE: Clara Del Genio - III A
CAPOREDATTORI:
REDATTORI
• Chiara Borghi - IV B
• Claudia Pizzagalli - III C
• Irene Doda - III D
• Silvia Arpano - II A
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Alessandro Mantovani - III D
Alice Pennino - I D
Andrea Merola - I D
Anna Buratti - IV D
Anna Caprotti - I A
Beatrice Mosca - III C
Elisa Tonussi - II D
Eva Casini - III B
Federica Mutti - I C
Irene Pronestì - III D
Silvia Zicoio - IV D
COLLABORATORI:
GRAFICA:
• Irene Camporeale - II A
• Matteo Monti - III B
• Michele Vitobello - III B
• Simona Pronestì - I D
Ringraziamo inoltre tutti coloro che hanno collaborato all’uscita del
Bartolomeo (collaboratori, insegnanti ed operatori scolastici).
Ricordiamo che chiunque può partecipare alla redazione del Bartolomeo
inviando un suo articolo all’indirizzo mail [email protected]
I numeri del Bartolomeo sono disponibili anche on line sul sito
www.liceozucchi.it
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