Il trasporto merci e la logistica sono un vincolo o una risorsa per uno
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Il trasporto merci e la logistica sono un vincolo o una risorsa per uno
COMUNICATO STAMPA Eppur si muove. Genesi e sviluppo del modello logistico italiano tra spinte innovative, capacità di adattamenti e rischi di sostenibilità A cura di Andrea Appetecchia e Dania De Ascentiis Edizioni Scientifiche Italiane pp. 208, Euro 20 E’ stato presentato a Roma presso la sede della F.I.C.E.I. 1 la pubblicazione dell’Isfort 2 edita dall’ESI “Eppur si muove. Genesi e sviluppo del modello logistico italiano tra spinte innovative, capacità di adattamento e rischi di sostenibilità’”. Il volume rappresenta una raccolta di ‘appunti di viaggio’, annotazioni e riflessioni sul tema della logistica che i ricercatori dell’Osservatorio nazionale sul trasporto merci e la logistica di Isfort hanno collezionato nel corso delle attività di ricerca e di assistenza tecnica svolta presso clienti privati e pubbliche amministrazioni dal 2001 ad oggi. Lungi dal rappresentare un mero ‘excursus storico’ di quanto sino ad ora realizzato dall’Osservatorio, il volume contiene riferimenti a temi di grande attualità. Si apre, infatti, con la trattazione della crisi internazionale che ha investito il sistema finanziario prima e l’economia reale poi, riletta alla luce delle dinamiche che tale evento ha ingenerato nella logistica mondiale a partire dalla caduta degli scambi commerciali. Sebbene privo di una trattazione organica della logistica, il volume restituisce un’immagine molto prossima alla realtà operativa del comparto in Italia. Illustra il percorso interpretativo dei fenomeni e dei processi che hanno caratterizzano la logistica nel Paese e che ha consentito ai ricercatori dell’Osservatorio di ‘abbozzare’ un modello logistico ‘made in Italy’. Quanto emerge dalla trattazione trova in estrema sintesi significatività nella descrizione di tale ‘modello logistico’ che mostra peculiarità tipicamente italiane e che, pur distinguendosi da quello di altri Paesi europei, non sembra essere penalizzato da tale sua diversità. La dimensione piccola e medio-piccola di buona parte delle imprese di trasporto merce e di logistica non ha impedito agli operatori di supportare la manifattura italiana nel suo processo di internazionalizzazione. La maggiore rapidità e flessibilità operativa tipica dei ‘piccoli’ ha consentito all’operatore logistico di bypassare alcune defaillance di sistema (in primis la carenza infrastrutturale) e di modulare il servizio sulle esigenze della singola impresa, offrendo in buona sostanza un servizio su misura, non standardizzato ma caratterizzato da quel tratto di ‘artigianalità’ tipico, peraltro, di tanta manifattura italiana. Tuttavia il ‘modello’ presenta dei risvolti di cui è bene tenere conto. E’, prima di tutto, il riflesso del modus operandi delle piccole e medie imprese del comparto (quelle ‘piccolissime’ con meno di 6 addetti non sono contemplate e quelle di maggiori dimensioni vanno soggette a ben altre dinamiche comportamentali) e sembrerebbe trovare applicazione spesso a scapito dell’efficienza operativa (veicoli non a pieno carico, tempi di carico/scarico incerti, ecc.) e di alcuni soggetti della catena logistica (in particolare i vettori e tra questi gli autotrasportatori di ‘piccola taglia’, i c.d. ‘padroncini’) che con i loro ‘sacrifici’ consentono alle aziende di battere la competizione internazionale. Le relazioni tra gli attori all’interno delle filiere logistiche svelano, infatti, uno squilibrio nella distribuzione dei costi e dei Federazione Italiana Consorzi Enti Industrializzazione L’Istituto Superiore di Formazione e Ricerca per i Trasporti è stato costituito nel 1994 su iniziativa della Fondazione Banca Nazionale delle Comunicazioni, attuale azionista di maggioranza, e dalle Ferrovie dello Stato. La quota più rilevante delle energie dell’Istituto è dedicata alle attività di ricerca, con l’obiettivo di leggere e interpretare i fenomeni e le tendenze più rilevanti, identificare i problemi critici e progettare strumenti operativi e modelli di comportamento appropriati per affrontarli. Oltre all’Osservatorio nazionale sul trasporto merci e la logistica, Isfort gestisce l’Osservatorio «Audimob » su stili e comportamenti di mobilità degli italiani e l’Osservatorio sulle Politiche per la Mobilità Urbana Sostenibile (Opmus) focalizzato sul monitoraggio e l’analisi delle politiche innovative di mobilità urbana, lo sviluppo di modelli di valutazione, la repertoriazione delle normative, dei documenti istituzionali e degli studi sul tema. 1 2 1 benefici che è sintomo dell’intrinseca ‘fragilità’ del modello. Ciascun componente della filiera è impegnato a realizzare i propri profitti, senza considerare che talvolta la crescita di alcuni segmenti, può incidere negativamente sull’equilibrio degli altri (dalle altre imprese al territorio). Nella ricostruzione di tale ‘modello’ i ricercatori non si soffermano più di tanto sulle best practice né si limitano a constatare l’inefficienza del sistema osservando l’arretratezza di buona parte della logistica nazionale. Piuttosto tentano di fornire una serie di indicazioni per superare molti dei luoghi comuni che rischiano di limitare il dibattito sull’argomento e, soprattutto, l’intervento pubblico nel comparto a partire dall’insufficiente dotazione di infrastrutture che non sempre rappresenta, secondo i ricercatori dell’Osservatorio, un ostacolo insormontabile allo sviluppo del territorio. L’Indice di accessibilità, che l’Isfort elabora e aggiorna periodicamente, e il fenomeno della crescita degli investimenti diretti dall’estero, che ha visto una parte rilevante dei grandi gruppi che controllano la logistica mondiale stabilirsi in territorio italiano, dimostrerebbe che sviluppo e infrastrutture non vanno sempre nella stessa direzione e che la situazione infrastrutturale del Paese non è poi così grave se molti player della logistica mondiale hanno deciso di investirvi. La stessa piccola dimensione dei soggetti che compongono la domanda e l’offerta logistica in Italia andrebbe rivalutata alla luce di ben altri aspetti che trascendono dalla mera dimensione d’impresa. Tenuta del sistema logistico nel suo insieme, solidità e flessibilità delle relazioni tra i soggetti, capacità di introdurre innovazioni organizzative e tecnologiche sono gli altri elementi di cui far tesoro per un uso più saggio delle specificità delle PMI italiane (imprese manifatturiere ed operatori logistici) oltre, naturalmente, alla capacità delle stesse di mettersi in rete e di competere. Allo stesso modo per un più equilibrato dispiegamento del modello logistico è auspicabile un uso più saggio del territorio orientato verso I) una re-distribuzione lungo tutto il Paese della collocazione delle infrastrutture e dei servizi logistici (razionalizzazione delle strutture e dei servizi logistici a Nord, incentivo alla collocazione degli stessi al Sud) e II) un riequilibro modale dei flussi merci che attraversano il territorio nazionale da realizzarsi attraverso l’integrazione tra rete ferroviaria e network dei porti. Un’integrazione che, pur non risolvendo i problemi infrastrutturali che caratterizzano il Paese, consentirebbe tuttavia di avviare un percorso virtuoso di aumento della capacità attrattiva del sistema trasportistico/logistico nazionale. Ma è soprattutto un intervento pubblico nel settore della logistica più attivo e propositivo, finalizzato a governare, e non a subire, gli impatti delle catene logistiche competitive sul territorio (sostenibilità) e ad utilizzare la logistica quale strumento di incentivo per l’attrazione di investimenti produttivi (sviluppo economico) l’aspetto di cui si avverte maggiormente la carenza. Il rispetto delle specificità di un territorio può essere la chiave di volta per governare in modo nuovo lo sviluppo futuro della logistica nel Paese. Il che non vuol dire rifiutare il processo di globalizzazione, peraltro inevitabile, ma semplicemente che le strade da percorrere possono essere più d’una. Aprirsi agli investimenti delle grandi ‘multinazionali’ della logistica mondiale può sembrare la più auspicabile, ma perché non pensare invece di orientare lo sviluppo della logistica prevalentemente al servizio delle necessità di connessione del sistema produttivo italiano e di prediligere le filiere corte, riconoscendo per l’appunto le specificità italiane? Essere parte attiva dei processi di globalizzazione non è un fattore negativo o positivo in sé. Può diventarlo in relazione alle caratteristiche del territorio in cui tali processi si innestano ma soprattutto in relazione alle scelte strategiche e di accompagnamento che amministrazioni, imprese e cittadini intendono intraprendere per sostenere tali processi e alla consapevolezza di tutti gli attori dei prezzi da pagare per ottenere i benefici che la globalizzazione può portare. “La logistica in Italia sarà in grado di favorire lo sviluppo solo se ciascun attore della filiera sarà disposto a collaborare in una logica di sistema, altrimenti, se dovesse prevalere − parafrasando una celebre frase di Gandhi − l’avidità di pochi o la colpevole disattenzione di altri, rischia di portarlo verso il declino. Occorre dunque che imprese e intermediari dei trasporti maturino una maggiore consapevolezza circa l’impatto sociale e ambientale del loro modello organizzativo, che i vettori di trasporto si misurino con i mutamenti in corso avendo il coraggio di reinventare il proprio ruolo e la propria 2 funzione all’interno della filiera e la pubblica amministrazione torni a considerare le politiche dei trasporti e della logistica tra gli assi fondamentali dello sviluppo economico e industriale, ma anche della crescita sostenibile del Paese.” 3 IL VOLUME IN SINTESI Il Molo Italia - La globalizzazione è un processo ormai irreversibile e anche la logistica mondiale governata in buona sostanza da multinazionali radicate nei mercati maturi dei paesi industrializzati e intenzionate a conquistare anche i mercati delle economie in via di sviluppo migliorando le proprie performance, sia sul versante del risparmio economico e del miglioramento della qualità percepita dai consumatori, sia su quello della sostenibilità ambientale -, non può sottrarsi al confronto con processi e fenomeni di portata globale. La crisi internazionale esplosa nel 2008, i cui effetti sono tuttora in atto, ha avuto ripercussioni importanti sulla catena logistica di rifornimento e di distribuzione delle imprese (dai fornitori delle materie prime alle imprese di trasporto e di logistica, fino a quelle commerciali) determinando un calo drastico della domanda di materie prime e di beni. Non è tuttavia riuscita ad imporre un ripiegamento locale delle catene logistiche globali. Semmai ha accentuato l’attenzione verso l’uso dell’energia e una più elevata considerazione per i costi diretti ed indiretti connessi alla funzione trasporto, ma non ha provocato un abbattimento significativo dei trasporti intercontinentali ne’ tanto meno una riduzione del raggio delle catene logistiche. La piattaforma logistica italiana, invece, non rappresenta ancora una reale opportunità di rilancio per la rete trasportistica nazionale (infrastrutture e servizi) poiché, non solo non è in grado di catturare i traffici che attraversano il Mediterraneo, ma non riesce a soddisfare le esigenze logistiche della Produzione interna. Le importazioni e le esportazioni nazionali (al netto dell’approvvigionamento energetico) entrano ed escono dai confini nazionali accedendo al network logistico mondiale attraverso hub logistici (Porti, Aeroporti e Centri Intermodali) collocati al di fuori della rete infrastrutturale italiana. Non a caso, nonostante l’Italia sia la seconda potenza industriale manifatturiera del continente europeo, il totale del traffico containerizzato dei porti italiani nel 2008 (10,1 milioni di TEU) è inferiore a quello fatto registrare dal solo Porto di Rotterdam in Olanda (10,8 milioni di TEU) e il traffico merci (569.000 tonnellate) dei due principali hub aeroportuali nazionali (Malpensa e Fiumicino) nel medesimo periodo corrisponde a poco più di un quarto di quello del solo aeroporto Charles De Gaulle di Parigi (2.029.000 tonnellate). La logistica internazionale ha ricercato il miglioramento delle performance investendo sulle parti rigide della catena (soprattutto porti e centri intermodali) anche con imponenti investimenti, sia sui vettori − determinando la crescita esponenziale della portata delle navi porta container da parte delle principali multinazionali del trasporto marittimo −, sia sui nodi – favorendo l’industrializzazione delle movimentazioni portuali, in particolare nel Nord Europa e nell’Estremo Oriente −, sia sulle reti – il che ha portato allo sviluppo del traffico ferroviario delle merci soprattutto nel Nord America. La logistica italiana, in assenza di un piano di investimenti pubblici e privati analoghi, si è posta il problema di immettere nei tempi e nei modi richiesti dal mercato e dalle nuove organizzazioni logistiche planetarie, i prodotti delle piccole e medie imprese nazionali. I tratti salienti di un modello artigianale – E’ con un siffatto scenario internazionale che l’industria logistica italiana viene a misurarsi facendo registrare sul versante dei servizi logistici l’esistenza di un modello organizzativo artigianale, ma a suo modo efficace. Le indagini condotte dall’Osservatorio in proposito in questi anni descrivono infatti un processo evolutivo dell’organizzazione logistica delle Piccole e Medie imprese nazionali (che rappresentano la parte maggioritaria del tessuto produttivo del Paese) accompagnato non tanto da ‘campioni’ logistici internazionali, quanto piuttosto dai tradizionali partner locali (imprese di autotrasporto o case di spedizione locale) che si sono avventurati nel complesso mondo delle geometrie logistiche internazionali insieme ai loro partner industriali. Il principale fornitore di servizi di trasporto e di logistica per più di 2/3 delle imprese manifatturiere di medio piccola dimensione consultate dall’Osservatorio rimane l’ausiliario (mediatore) dei trasporti o più comunemente lo spedizioniere. Questa partnership disegna un modello logistico polverizzato dal punto di vista degli attori in gioco ma, allo stesso tempo, piuttosto concentrato dal punto di vista territoriale. Circa un terzo degli spedizionieri consultati dall’Osservatorio ha meno di 9 addetti (pur non considerando nella rilevazione le piccole aziende vale a dire quelle con meno di 6 addetti) e il complesso delle aziende si concentra nelle aree più potenti da un punto di vista industriale (più del 65% nella circoscrizione settentrionale, poco più del 10% in tutto il Meridione, Isole comprese, e meno del 22% al Centro). Le relazioni all’interno della filiera logistica, tra impresa manifatturiera e operatore logistico, si sostanziano in rapporti abbastanza stabili ma poco strutturati, visto che essi sono regolati da contratti di fornitura di 1 servizi logistici di medio-lunga durata solo nel 12% dei casi. I fattori che guidano una competizione tra operatori piuttosto serrata sono: la puntualità e la velocità delle consegne, la completezza della prestazione (non solo trasporto quindi ma anche carico e scarico del mezzo), la sicurezza dell’integrità dei prodotti trasportati e prezzo del servizio. Flessibilità e rapidità di azione vengono, invece, garantite da un proliferazione I fattori di competitività che determinano la scelta dell’operatore logistico da di fornitori di servizi parte delle imprese-clienti (val. medio) di trasporto su gomma (in buona Puntualita' di presa-consegna 3,7 parte piccole e Velocita' di presa-consegna 3,6 piccolissime aziende) e di addetti alle C ompletezza del servizio 3,5 lavorazioni logistiche 3,5 Sicurezza del carico disseminati tra una pluralità di attori del 3,4 Prezzo del servizio mercato. In alcuni 3,3 Grado di specializzazione/know-how casi si tratta delle stesse imprese di Ottimizzazione del processo logistico del cliente 3,3 produzione, che svolgono con C opertura geografica globale 2,9 proprio personale Innovazione organizzativa 2,8 tali lavorazioni; in altri di imprese di 2,8 Innovazione tecnologica servizi, o 2,8 Elevata integrazione dei processi logistici cooperative, che mettono a 2,7 Modalita' di trasporto utilizzata disposizione semplicemente la forza lavoro (body rental) senza nessuna pretesa di integrazione con il resto della catena logistica; in rari casi si tratta infine di imprese di trasporto o di spedizione che estendono il loro campo di attività verso questa fase del processo per rispondere alle esigenze dei propri clienti. Un sistema indubbiamente caotico che però è stato in grado – a suo modo – di assistere le imprese più innovative a livello nazionale ed internazionale nel loro percorso di sviluppo e di consolidamento, consentendogli, grazie a buone performance logistiche, di essere competitive in Italia e all’estero anche nei momenti in cui la concorrenza a basso costo dei Paesi dell’Est europeo e del Sud Est asiatico sembrava invincibile. Imprese di produzione e piccoli operatori della logistica, dunque, non sono stati ‘tagliati fuori’ dalla riorganizzazione dei network di trasporto e logistici internazionali che dagli anni ’60 si sono progressivamente industrializzati anche grazie alla diffusione delle unità di carico standardizzate (container) e concentrati lungo un numero esiguo di grandi vie internazionali di collegamento, soprattutto marittime (secondo il WTO l’80% degli scambi commerciali planetari viaggia lungo le rotte che toccano l’Estremo Oriente, l’Europa e il Nord America), ma al contrario si sono integrati con successo all’interno delle catene logistiche planetarie. Un processo di integrazione possibile per le imprese e per gli operatori ma non per la rete trasportistica e logistica nazionale che, al contrario, non è stata in grado di inserirsi, nonostante la propria vantaggiosa posizione, in questo nuovo scenario. Infrastrutture e domanda di mobilità - Tessuto produttivo, dinamiche del mercato logistico locale e politiche di intervento della Pubblica Amministrazione rappresentano le discriminanti di un modello che si adatta al contesto locale in base alla potenza economica, alle vocazioni industriali ed al livello di accessibilità determinando il livello di competitività logistica dei territori. Dall’esame della geografia industriale del Paese non emerge però una coincidenza tra concentrazione territoriale delle attività produttive e opportunità di connessione alla rete del trasporto merci. I risultati dell’applicazione dell’Indice di accessibilità al complesso delle aree produttive nazionali consentono di rilevare numerose criticità (o paradossi) diffuse su tutto il territorio. In particolare si nota lo squilibrio tra potenza industriale e facilità di accesso ai principali nodi di trasporto (Porto, Aeroporto, Casello Autostradale, Stazione Abilitata al traffico merci e Centro Intermodale). Il confronto tra la concentrazione di addetti nel settore manifatturiero ed il grado di accessibilità dei Sistemi Locali del 2 Lavoro del Piemonte e delle Marche, ad esempio, mette in evidenza una chiara sproporzione tra una Regione (Piemonte) in declino dal punto di vista degli addetti, ma che ancora dispone di un buon network di nodi logistici facilmente accessibili ed un’altra (Marche) ugualmente potente ed in costante crescita ma che, al contrario, non riesce ad accedere con la medesima facilità alla rete logistica. Vi sono dunque territori dotati, da un Aree di concentrazione manifatturiera a bassa accessibilità punto di vista industriale, e svantaggiati dal punto di vista dell’accesso alla rete di trasporto, ma anche territori relativamente potenti (o che lo erano in passato) ma che mantengono livelli di accessibilità più che accettabili. Si tratta di un fenomeno nuovo indotto dalla recente evoluzione industriale italiana. Nel secondo Dopoguerra lo sviluppo infrastrutturale e il radicamento nel territorio delle grandi imprese si sono avvicendati nel trainare la crescita dei territori. Gli effetti di questa convergenza strategica sono evidenti nel cosiddetto triangolo industriale (Milano, Torino e Genova) collocato nel quadrante nord occidentale che dispone della migliore rete trasportistica nazionale e nei porti italiani (Genova, Venezia, Trieste, ma anche Taranto, Napoli, Brindisi, ecc.) dove si è insediata l’industria siderurgica, chimica e di trasformazione in genere (di cui però oggi ben poco è rimasto). A partire dagli anni ’80 la crisi della grande impresa e la crescita spontanea e diffusa delle piccole e medie imprese, invece, non sono state accompagnate da un processo di riconversione e adattamento del network logistico nazionale. Il knowhow, la cultura sociale e la coesione delle comunità locali sono state le ragioni di aggregazione territoriale, non certo l’accessibilità. I poli di attrazione sono dunque diventati i saperi, le competenze e la tradizione e gli investimenti infrastrutturali non sono stati in grado di seguire la nuova configurazione del tessuto industriale colmando i gap di connessione di queste nuove aree produttive. Oggi dunque la potenza industriale del Paese pur rimanendo elevata – l’Italia è seconda solo alla Germania in Europa – risulta ‘sparsa’ sul territorio e soprattutto incoerente rispetto all’intelaiatura infrastrutturale. Il ritorno della pianificazione - Nonostante le molte parole spese, le dichiarazioni di intento ed i progetti deliberati, la realtà dei trasporti in Italia degli ultimi trent’anni è stata caratterizzata da un’assenza di azione politica. L’amministrazione pubblica ha preferito lasciare liberi gli attori del mercato (imprese ed operatori logistici) di organizzarsi come meglio potevano (laissez faire), senza individuare contemporaneamente un sistema di regole in grado di orientare e contenere l’intrapresa privata entro i limiti del pubblico interesse. Allo stesso tempo gli investimenti in nuove infrastrutture, nella riconversione, nella manutenzione e nel potenziamento di quelle esistenti è stata piuttosto contenuta e soprattutto priva di una strategia di fondo. Ciò non vuol dire che non vi siano stati investimenti, anzi essi sono stati importanti e numerosi, ma, ad esempio, contrapposti agli orientamenti delle altre principali economie industrializzate. L’Italia nei fatti ha preferito diversificare tali investimenti in un numero di anno in anno crescente di autorità portuali, di centri intermodali e di aeroporti, mentre la rivoluzione logistica internazionale induceva tutto il mondo a concentrare le risorse verso il potenziamento di un numero limitato di hub portuali, ferroviari e aerei. Intorno ai temi 3 della logistica in Italia sarebbe opportuno guardare con realismo alla realtà produttiva e trasportistica nazionale e avere il coraggio di compiere una scelta determinata circa il valore strategico della logistica per il Paese. Le caratteristiche di collocazione geografica, la ricchezza e la varietà del tessuto produttivo, l’apertura internazionale dello stesso creano le condizioni di base perché questo potenziale possa essere esplicato appieno. Affinché tutti gli effetti positivi possano svilupparsi e il territorio possa vedere moltiplicate le proprie occasioni di sviluppo è importante verificare le potenzialità di recupero infrastrutturale sia in merito alla rete viabilistica e ferroviaria che ai punti nodali, quali aeroporti e centri intermodali. Ma non è solo un problema di rete e di nodi. I mutamenti dell’imprenditoria locale e la modernizzazione dei sistemi organizzativi di approvvigionamento, di produzione e di distribuzione delle merci hanno infatti sostanzialmente cambiato anche gli attori, le strategie e le relazioni stravolgendo il quadro cognitivo ed operazionale della logistica nazionale e regionale. Pertanto nella prospettiva di agganciare l’industria logistica nazionale al network logistico mondiale, ammesso che questo sia realmente possibile, sarebbe prima opportuno valutare i costi e i benefici di questa nuova collocazione dell’Italia nelle geometrie internazionali di trasporto. Si tratta di scegliere entro quali orizzonti strategici sviluppare un programma nazionale di intervento nel settore, affrontando le seguenti questioni: 1. se è veramente opportuno attirare traffico per erogare servizi logistici (in fin dei conti il contenimento del traffico merci può anche avere risvolti positivi in termini ambientali, turistici e di qualità della vita dei residenti); 2. inoltre, ragionando in un contesto di risorse scarse, è opportuno valutare, se è prioritario servire la domanda interna di logistica (e quindi agevolare la connessione interna, nazionale e internazionale) delle imprese locali grandi, medie e piccole, piuttosto che ospitare insediamenti logistici esterni; 3. oppure se si ritiene strategicamente più rilevante investire sull’industria logistica e quindi sull’insediamento di grandi operatori multinazionali in grado di servire, non solo il traffico locale, ma anche le geometrie internazionali di trasporto; 4. o, infine, se sia possibile promuovere l’attrazione di investimenti esterni per iniziative produttive e di logistica ampliando flussi e filiere già presenti sul territorio nazionale (logistica interna e internazionale). Alla luce del duplice impatto della logistica, da una parte positivo quale volano del sistema produttivo, dall’altra potenzialmente negativo, quale agente di inquinamento e di consumo del territorio, appare evidente che il tema della governance La mappa dei Piani Regionali delle reti trasportistiche di Trasporto regionali rappresenta la chiave di volta per PRT in vigore non in aggiornamento l’ottimizzazione del sistema PRT in vigore in aggiornamento logistico nazionale. Tale PRT in corso di nuova definizione (redazione/approvazione) governance, per essere efficace PRT assente o non cogente(*) e soprattutto pertinente rispetto alle esigenze del territorio (imprese, famiglie e ambiente), dovrà essere fondata su una strategia in grado di ordinare le priorità di intervento e di regolare le modalità di consumo di territorio e di utilizzazione delle sue infrastrutture. I rapporti periodici pubblicati dall’Osservatorio dal 2001 ad oggi indicano che le strategie di governo dei processi e dei flussi (materiali e immateriali) che guidano la logistica privata e quella pubblica, sebbene, sul piano teorico dovrebbero essere coerenti, nella 4 prassi sono, al contrario, divergenti. Gli itinerari e gli orizzonti strategici infatti si discostano, o meglio sembrano essere indifferenti gli uni agli altri, e i tempi di intervento non allineati. Le imprese sono ‘schiacciate’ su dinamiche competitive piuttosto stringenti che impongono flessibilità e tempestività di intervento, l’amministrazione pubblica, al contrario procede a rilento ed è confusa da indicazioni politicostrategiche e programmatiche dei livelli di governo superiori intermittenti e a volte contraddittorie cui, non di rado si aggiunge la carenza di risorse umane e finanziarie. Ma se differenti tempi di reazione e di intervento tra imprese e amministrazione, in fin dei conti, sono più che comprensibili (anche se non giustificabili), ciò che appare più preoccupante è l’assenza di un terreno comune di lavoro. L’orientamento degli investimenti all’estero delle imprese nazionali, ma anche la concentrazione territoriale degli investitori esteri in Italia non sembrano essere guidati, né tanto meno accompagnati, dall’intervento pubblico (nonostante la pluralità di istituzioni ed il volume di investimenti destinati a questo fine). Allo stesso modo l’analisi delle eccellenze logistiche segnala una totale assenza del fattore pubblico, sia per l’incentivazione di procedure virtuose, sia per il contrasto di comportamenti nocivi per il territorio. Tra i cosiddetti driver o mutamenti di contesto che hanno stimolato l’adeguamento o il potenziamento delle catene logistiche vi sono solo variazioni nelle dinamiche imprenditoriali guidate dalla domanda o dall’offerta, mai interventi di regolazione pubblica. 5