Paolo Conte, chansonier, jazzman, pittore, poeta, sognatore e
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Paolo Conte, chansonier, jazzman, pittore, poeta, sognatore e
FUORI DAL FORO It’s wonderful Paolo Conte, chansonier, jazzman, pittore, poeta, sognatore e..avvocato e..avvocato DI PAOLA PARIGI FUORI DAL FORO È capitato spesso di fare tirate durissime in auto per incontrare editori a Milano e rientrare ad Asti in piena notte per presentarmi in studio puntuale il mattino dopo P osso chiamarla collega? «Ma certo». Incontrando Paolo Conte, l’eclettico, il grande, non è facile nascondere l’emozione, così rara, di trovarsi di fronte ad uno dei propri miti. Ma la grandezza, l’intelligenza, la cultura e lo charme mettono a proprio agio e trasformano subito l’atmosfera. Passiamo al tu e l’intervista si muta in conversazione. Lo studio legale dei fratelli Paolo e Giorgio Conte è ad Asti. Chiedo come è successo che sia diventato avvocato e che tutt’ora lo sia. «Sono nato e cresciuto in una famiglia di notai. Come primogenito era ovvio che studiassi giurisprudenza. Avrei voluto fare medicina, però. Non tanto per seguire una vocazione, ma per un interesse verso la scienza medica. Mio padre è morto prematuramente e le ragioni pratiche hanno prevalso». Sorride ripensandoci: «Tra l’altro mio padre aveva un’idea che per l’epoca era molto avanzata: quella di fare uno studio legale associato e collegato con lo studio notarile. Era in anticipo sui tempi, ma il suo progetto non si è realizzato». Giovanissimo Paolo Conte ha iniziato a dipingere e, a scrivere musica e testi. Non deve essere stato semplice conciliare questa passione, che presto si è trasformata in un’attività di successo, con la professione legale. «Cercavo sempre di tenere separato il talento dal resto ma a volte, quando ti prende l’ispirazione, non è facile ignorarla. È difficile tenere a freno una melodia che ti nasce dentro e impedirti di seguirla, magari perché sei in tribunale. Sono sempre riuscito, però, a mantenere un’organizzazione precisa nel lavoro, per riuscire a conciliarlo con l’arte. È capitato spesso di fare tirate durissime in auto per incontrare editori a Milano e rientrare ad Asti in piena notte per presentarmi in studio puntuale il mattino dopo». È un ricordo lontano, ripescato dalla memoria; è un ricordo lontano e velato di una certa malinconia. «Beh, sì, ogni tanto ci penso. La professione in sé mi manca un po’. Ora posso giudicarla alla distanza, anche se ho dimenticato proprio tutto della procedura civile. I tribunali invece non mi mancano. Ho una nostalgia tecnica, non ambientale». Scrivere canzoni, come poesie, come favole, usare il linguaggio come lo sa usare Conte, con la precisione e l’acuta - mai distratta - attenzione alle minime sfumature di ogni parola è arte, ma anche tecnica, impegno, lavoro. Scrivere un atto di citazione, una comparsa conclusionale, una memoria difensiva, richiede pure uno sforzo analogo ma su un piano diverso. Difficile conciliarli, chiedo come TopLegal 56 possano coesistere in una persona sola due linguaggi così diversi. «Certo, il modo di scrivere dell’avvocato è involuto, ciceroniano direi. Spesso si snoda in periodi lunghi e tortuosi. Scrivere una canzone ti costringe a seguire strutture strette, a trovare un modo poetico e veloce, fatto di flash. Il mio modo di scrivere è vicino alla tecnica cinematografica, induce alla visualizzazione di una scena, di quel teatrino di 3 minuti che è la canzone». Ma aggiunge: «Può darsi che qualche volta nel redigere atti mi sia lasciato andare, se non altro per aiutare il giudice, per non abusare della sua pazienza». Sorridiamo benevoli e io penso a come sarebbe bello se gli atti giudiziali fossero tutti scritti in stile Paolo Conte e, a quanto sarebbero più docili i giudici e poetiche le udienze. «Confesso però che nello scrivere canzoni e nelle comparse si deve essere un po’ bugiardi. L’avvocato, d’altra parte, difende una sola delle parti ed è giusto che si identifichi con la sua versione dei fatti. Sei paladino della parte, la incarni, devi rincorrere la sua verità. Anche nelle canzoni bisogna essere un po’ bugiardi per farsi scudo, per nascondersi. Le mie non sono autobiografiche, per pudore tendo a nascondere le emozioni più intime e a non mostrare proprio tutto». Il pubblico è un giudice. Non devi annoiarlo, ma non devi nemmeno denudarti davanti a lui: «A me piace non dare certezze. Sostengo il dubbio, sempre. Lo faccio anche in mia difesa e a beneficio della libertà del pubblico». Torniamo allo spettacolo d’arte varia FUORI DAL FORO Mi accusano di non parlare di attualità, di non essere engagé, impegnato. Ho le mie idee e le mie opinioni, ma non voglio approfittare del palco per parlarne che è la vita raccontata da Conte. Tra le piccole e grandi ingiustizie, di cui alcuni dei suoi personaggi sono vittime, transitano anche un paio di avvocati. Uno, in particolare, è il difensore di “Parole d’amore scritte a macchina”, l’istanza di separazione in cui si raccontano in poche righe una vita, un amore alla sua fine. Nemmeno il linguaggio di quell’avvocato che “è proprio un asino” riesce però a nascondere i risentimenti, e l’amore che è stato e trasuda dalla carta bollata. Quelle parole scritte a macchina suscitano il riso amaro dell’uomo lasciato e pudibondo: “certe cose non si scrivono, che poi i giudici ne soffrono”. «Nella tetralogia del Mocambo c’è un personaggio che fallisce. È l’uomo del dopoguerra, un eroe perdente che sognava in grande, molto più in grande delle sue possibilità. Crede molto nei suoi stessi errori e il curatore del suo fallimento, alla fine, gli offre un caffè solidale. L’ingiustizia del destino è necessaria. Fa parte dei contrasti in cui devo collocare i miei uomini e donne. Ho tre minuti per creare dinamiche e frizioni. L’ingiustizia è un escamotage letterario, in questo senso». Sulla giustizia e i suoi problemi evita di rispondere: «Mi accusano di non parlare di attualità, di non essere engagé, impegnato. In verità, come libero cittadino ho le mie idee e le mie opinioni, ma non voglio approfittare del palco e della notorietà per parlarne». L’ultimo album “Elegia” (2004) arriva dopo 9 anni in cui, lungi dal restare inattivo, Paolo Conte è uscito con dischi dal vivo e con un lavoro multimediale. “Raz- mataz” è un sogno illustrato e musicato, che ha fornito l’alibi per mescolare tutti i suoi linguaggi. «Ho sempre avuto il vizio di dipingere e di sognare. La magia del computer mi ha permesso di inscatolarci dentro tutto. Non da solo, naturalmente, questo no…il computer non so nemmeno come si accende». Dell’ultimo album dice: «Non lo posso giudicare, è troppo presto. Preferisco non giudicare i miei lavori, per rispetto di quella libertà del pubblico di cui parlavo prima. A me piacciono cose che al pubblico magari non piacciono. C’è una polverizzazione di sensibilità diverse, ognuno ha la sua. In un concerto o in un disco, certe scelte sono forzate. Dal vivo i pezzi “sempreverdi” non posso evitarli». Ma qual è la canzone di Paolo Conte preferita da Paolo Conte, chiedo. «Da un punto di vista musicale è “Nessuno mi ama” (dell’album “Tournee”, 1993, ndr)». E qual è la canzone preferita tra quelle che non ha scritto? Risponde con un sorriso, «penso all’America, direi “Stardust” di Hoagy Carmichael (“Stardust Melody”, 1958, ndr), che tra l’altro era un avvocato, oltre che un grande musicista. La lotta interna tra l’arte e la professione, ricorre ancora». Così pare. Inizia il concerto. La formazione di 7 elementi lo accompagna in continui virtuosismi. È un’esibizione fantastica, densa, poetica, divertente e commovente, ma due ore e tre bis dopo, finisce, purtroppo. Niente male, collega, davvero niente male. TopLegal 57 Il modo di scrivere dell’avvocato è involuto, ciceroniano direi. Scrivere una canzone ti costringe a seguire strutture strette, a trovare un modo poetico e veloce, fatto di flash