Diventare a Viggiù un tuffatore

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Diventare a Viggiù un tuffatore
Diventare a Viggiù un tuffatore
Aldo Nove
(ispirato a IL TUFFATORE)
egli Anni Ottanta tutti volevamo diventare qualcuno, o qualcosa. Anche negli Anni Settanta molta gente voleva diventare
qualcuno o qualcosa. Diversi volevano fare la rivoluzione, la volevano fare fuori. Fuori non riuscivano e così l’hanno fatta dentro. Si
sono messi dentro le vene delle dosi incongrue di eroina e sono diventati dei morti. Questo è ovvio, prima o poi tutti diventiamo dei
morti. Ma loro sono morti prima perché avevano dei sogni grandi.
Negli Anni Ottanta invece l’eroina era finita, i sogni erano
piuttosto piccolini da fare. Mi ricordo che io stesso mi drogavo con le
canne dei fratelli più grandi dei miei compagni di classe. Le fumavo
e pensavo sempre a situazioni di sesso estremo, ma visto che le canne
le fumavo in compagnia, ed eravamo tutti maschi, stavo male e dicevo che c’avevo l’esistenzialismo ma in realtà volevo trasformarmi in
un assorbente di Moana Pozzi, che allora era viva e bellissima, e vivere lì dentro un’esistenza serena, che mi piace trascorrere.
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Quando mi passava l’effetto della canna tornavo a pensare a cosa
sarei potuto diventare, o essere, finito quel periodo di transizione, né carne
né pesce ma tanti brufoli e altrettante seghe, detto adolescenza. Per un po’
come molti avevo pensato che mi sarebbe piaciuto diventare Simon Le Bon.
Così scopavo con tutte le mie compagne di classe e con le compagne di classe di tutto il mondo portandomele appresso nel mio aereo privato che usavo
per i miei incredibili concerti wild boys. Quando Simon Le Bon mi ha rotto
ho pensato che sarei potuto comunque diventare un sacco di altre cose.
Ho pensato che una buona idea era quella di intraprendere la
carriera di omosessuale ambiguo. In quell’epoca gli omosessuali ambigui internazionali erano David Bowie e David Sylvian. Essi erano furbi,
perché l’omosessuale ambiguo piace molto alle donne in quanto non è
aggressivo come un Lando Buzzanca qualunque, la donna si fida e poi
all’improvviso scopre che anche tu sei un Lando Buzzanca qualunque,
ma intanto glielo hai già ficcato nel culo. Mi era venuta l’idea di farmi
prete perché su Cronaca Vera avevo letto che i preti ne facevano di tutti
i colori, erano delle vere pornostar dell’oratorio, ancora adesso ogni
tanto si sente ad esempio in America cosa fanno i preti.
Poi mi sono stufato di tutta questa sessualità (a diciassette
anni inizia la parabola declinante degli ormoni, che sembra però aumenti poi a 40) e mi sono dato alla politica, al desiderio di diventare, di essere un politico. Il mio ideale era Sandro Pertini. Quello sì
che era fuori, non come Ciampi che poveretto con le cazzate che dice
Berlusconi ha il suo bel da fare un giorno sì e un altro sì, ma io, a differenza di Pertini, non avevo fatto la resistenza e non gli assomigliavo per nulla, intendo fisicamente.
Fisicamente assomigliavo, non per la statura ma in quanto a
mole, a Bettino Craxi, che però già allora mi faceva schifo al cazzo.
Recentemente ho visto alla tele sua figlia Stefania. Ogni tanto appare
alla tele, piange e dice che suo padre era il migliore di tutti e che un
giorno la gente capirà. Secondo me Stefania Craxi finisce da Muccioli.
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Comunque per non divagare c’era questo problema di cosa
diventare, di cosa essere. I miei volevano che diventassi medico. Ci
ho pensato per un po’. Una possibilità era fare il medico legale.
Quello che va a raccogliere i pezzettini della gente dopo gli incidenti e deve decidere se quello che raccoglie è un pezzo di faccia o di intestino. Però poi mi spaventavo e pensavo che avrei potuto fare il ginecologo ma anche quello mi dava inquietudine. Avevo sempre
avuto un’immagine neorinascimentale della figa e riconsiderarla in
ambito ospedaliero mi sconvolgeva, tipo certi tumori alla cervice
che ho visto su una rivista di medicina, non sono eccitanti.
Quindi non sarei diventato un medico e neppure un astronauta, che era un sogno che avevo da bambino. Tornavo a scuola
dopo qualche giorno di assenza e mi chiedevano dove sei stato? Io
dicevo sulla Luna e tutti rimanevano tramortiti. È difficile nella vita
decidere cosa si vuole essere. Ad esempio essere ricco non è mica
male. Poi vedi com’è l’uomo più ricco d’Italia e sogni subito di essere povero per non diventare come lui, che già adesso ha le allucinazioni figuriamoci tra poco quando finisce in carcere.
Anche diventare povero però non è il massimo. Non puoi
comprarti un saccco di scemenze che i poveri si rosicano, per non
averle. Certi prodotti Beghelli, come il salvabimbo che poi si può applicare anche alla fidanzata attraente ma a rischio, così se scopa in
giro suona il salvacorna Meliconi entri nel motel e fai una strage.
Un’altra cosa che un povero non può comprare è il guscio Meliconi.
Ma scherziamo. Essere poveri è un incubo. I poveri hanno anche il
difetto di leggere poco, comprano cibo invece dei libri e così diventano degli ignoranti bestiali, e io non ho mai voluto essere un ignorante bestiale. Insomma, che cazzo dovevo essere?
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Poi un giorno sento alla radio una canzone che inizia in inglese, una
bellissima canzone.
All’inizio ho pensato meno male che è in inglese, quando non
si capiscono le parole è meglio perché di solito i cantanti quando li
capisci ti viene schifo, come ad esempio Antonello Venditti di cui
amavo la musica di “Sara” ma il testo mi sembrava scritto sotto effetto di detersivi per l’igiene dei fornelli.
Comunque quella canzone che iniziava in inglese era bellissima, un dono della natura. Chiamo dono della natura certe perle
della musica leggera dove ti sintonizzi immediatamente a uno stato
di gioia, di vitalità o anche rabbia estreme condivise dal cosmo tutto
che solo certe canzoni ti permettono di sentire o anche semplicemente prendere in considerazione, mi riferisco a miracoli come “I
Want You” di Bob Dylan nei Sessanta, “Anarchy in the UK” dei Sex
Pistols nei Settanta o “With or Without You” degli U2 negli Ottanta.
Ma quella canzone era qualcosa di molto diverso da tutto quello che
avevo sentito prima. Aveva una sorta di magica trasandatezza, nel
cantato, nella povertà della musica (quella povertà vanto dei più
grandi cantautori) che mi sembrava incredibilmente confacente ai
tempi, ai miei tempi. A me. E così, quando è incominciata la parte in
italiano, invece di ritrarmi come mi succedeva di solito con le idiozie di Venditti o anche con certi polpettoni di Guccini per non dire
di altri, sono andato in estasi. Non so bene come funzionino le cose
lì, ma mi si deve essere aperto qualcosa come il settimo chakra, che
deve essere una roba di quelle belle serie che quando ti si aprono
sono cazzi tuoi. Ero in estasi. Volevo essere un tuffatore. Diceva. Per
rinascere ogni volta dall’acqua all’aria. Giusto. Rinascere ogni volta.
Come David Bowie, che rinasceva in continuazione anche perché lì
era un trucco, cambiava il personaggio e basta, tutti compravamo i
suoi dischi e che felicità che c’era, almeno fino ai tempi di Let’s
Dance, l’ultimo suo album strepitoso. Ma questa canzone che non
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avevo mai sentito, e che mi aveva sedotto per sempre, e che parlava
di un tuffatore che rinasceva, è finita subito, come le più belle cose,
come le rose avrebbe detto De André, quello sì che mi è dispiaciuto
che è morto. Comunque poi non mi ricordo cosa hanno fatto alla
radio, mi sembra una cosa di Enrico Ruggeri che parlava della polvere. Io ero cotto. Andavo in giro per Viggiù e chiedevo: ma hai sentito il tuffatore? Il tuffatore?, mi rispondevano quasi tutti. Poi nel
giro di qualche giorno diversi mi dicevano sì, l’ho sentita, questa
cosa del tuffatore, che figata fuori dalla logica, dicevano!
C’è stata una settimana a Viggiù che volevamo diventare tutti
tuffatori. Cioè avremmo costruito una piscina, dove c’era la piazza
più grande del paese, quella dove c’era il mercato al giovedì, e tutto
il giorno noi giovani ci tuffavamo fieri di essere diventati un qualcosa che finalmente ci piaceva. Era il sogno più incongruo e bello, da
condividere con i miei coetanei, che mai avesssi avuto, e per questo
sarò sempre grato a chi quel sogno me lo ha fatto vivere, e condividere, con quella tribù di disorientati che eravamo io e i miei coetanei ai tempi in cui la radio ci regalava le note e le parole di quella
canzone irripetibile.