orazione ufficiale del prof. paolo pezzino alle
Transcript
orazione ufficiale del prof. paolo pezzino alle
1 ORAZIONE UFFICIALE DEL PROF. PAOLO PEZZINO ALLE “FOSSE DEL FRIGIDO” 16 SETTEMBRE 2009 2 Signor Sindaco, Signor Prefetto, Autorità tutte, Signore e Signori, l’episodio atroce che commemoriamo oggi non è isolato: si colloca in una catena di violenza e di uccisioni che vide coinvolto il nostro comune nella tarda estate del 1944. Il suo immediato precedente è l’uccisione, il 10 settembre, in varie località di Massa (“La Foce”, ore 9.00; “Ponte di Forno”, ore 10.00; “Ponte di Lazzari”, ore 12-13.00; “Ponte di Migna”, ore 13.00; “Alle Capannelle”, ore 16.00; “Alla Rinchiostra”, ore 17.00; “Ai Quercioli”, ore 17.30; “Turano”, ore 18.00; via Palestro, ore 19.00) di 37 vittime: fra di esse alcuni sacerdoti, diversi rastrellati della Versilia giunti al Forte Malaspina dal 1° settembre in avanti, oltre a 10 monaci e 7 civili rastrellati alla Certosa di Farneta (Lucca) l’1 e 2 settembre (su quella tragica vicenda abbiamo ora un bel libro di Gianluca Fulvetti, Una comunità in guerra. La Certosa di Farneta tra resistenza civile e violenza nazista, napoli-roma, l’ancora del mediterraneo, 2006). Le fucilazioni del 10 sono menzionate nei bollettini giornalieri della XIV armata: “Una pattuglia delle brigate nere italiane è caduta in un agguato 2 km a sud di 31/27 [probabilmente Colonnata] ed ha subito sei morti. Per rappresaglia sono stati fucilati 43 tra appartenenti e complici della banda Bandolini [sic, recte Bandelloni]”. L’indicazione è fuorviante: la banda Bandelloni aveva operato in zone della Versilia nel precedente agosto, e quindi non poteva essere responsabile dell’episodio – anch’esso di difficile individuazione – che avrebbe provocato la “rappresaglia“. Si fa riferimento forse allo scontro del 7 settembre presso i Ponti di Vara, nel quale una pattuglia della formazione Ulivi aveva ucciso 4 brigatisti neri, ma sia la data che la località non coincidono. Il 16 settembre è il giorno della strage di Bergiola: le fonti tedesche segnalano a 2 km a sud est di Carrara un attacco contro un plotone del reparto esplorante della SS-Panzer-AufklärungsAbteilung 16 nel quale rimane ucciso un soldato. In reazione sarebbero stati uccisi 12 prigionieri del gruppo partigiano “Falco”. Si tratta in realtà della strage di civili commessa a Bergiola: l’episodio che si ritiene abbia scatenato la furia nazifascista fu l’uccisione di un tedesco alla Foce la mattina del 16. Sembra che sia stato un vigile di Bergiola il primo a scorgere il cadavere del militare tedesco, e che, nel fuggire terrorizzato dal luogo, abbia lasciato sul terreno uno zaino con l’indicazione della propria residenza. Spinto verso Bergiola da questo falso indizio, un plotone tedesco, appartenente probabilmente allo stesso reparto colpito, coadiuvato da elementi delle Brigate Nere carraresi, si dedicò, nel pomeriggio del 16 settembre, al massacro di chi fu trovato a Bergiola. La tempestività della reazione nazifascista, l’allarme lanciato, sembra, tardivamente, la convinzione presso alcuni dell’immunità garantita a donne, bambini, anziani, tutti questi elementi fanno sì che gli abitanti di Bergiola siano stati colti impreparati dall’arrivo dei tedeschi e dei fascisti repubblicani. Alcuni furono uccisi nelle loro case, poi saccheggiate e incendiate, un gruppo 3 consistente venne rastrellato, radunato nella scuola elementare e sterminato con una mitragliatrice, fucili e bombe a mano. Fra gli uccisi anche il maresciallo maggiore Vincenzo Giudice, comandante della brigata della Guardia di Finanza di Carrara, che aveva intrapreso senza successo un tentativo di mediazione, offrendo la sua vita in cambio della salvezza per la popolazione, e finì fucilato presso la scuola elementare con la moglie, il figlio e la figlia. Sessantuno furono gli uccisi in “cambio” della vita di un solo soldato tedesco: 6 mesi aveva Maria Domenica Dell’Amico, la vittima più giovane, 77 anni Arturo Dell’Amico, la più anziana. 29 donne, 10 bambine, 10 bambini, 8 uomini e ragazzi sopra i 14 anni, 4 anziani furono sterminati dalle SS e da italiani in camicia nera. Non fu una rappresaglia, se per rappresaglia si intende una risposta ad un’azione ostile secondo le leggi e gli usi del diritto internazionale di guerra, che non prevedevano mai – e come avrebbero potuto farlo – l’uccisione di persone inermi, di donne, anziani, bambini. La strategia tedesca era quella di fare terra bruciata attorno ai partigiani, di utilizzare il terrore, il ferro e il fuoco per impedire il sostegno delle popolazioni alla loro lotta. Contro ogni legge di guerra, e contro ogni comune senso di umanità, ovunque le truppe tedesche dovettero fronteggiare non solo eserciti regolari, ma formazioni partigiane, i civili furono considerati responsabili delle azioni militari condotte da questi ultimi, diventando obiettivi militari in una guerra che ormai non distingueva più fra combattenti e persone inermi, una guerra totale. L’eccidio delle fosse del Frigido non ha nessuna motivazione di rappresaglia, o di lotta antipartigiana: si inserisce piuttosto nella volontà dell’esercito tedesco in ritirata di evacuare la zona di Massa, compresa la popolazione carceraria, entro il 15 settembre. Esistevano a Massa due carceri distinti, il penale in via Pellegrini, nei pressi della stazione ferroviaria, e il giudiziario al Castello Malaspina. Il primo aveva finito per ospitare più del triplo della sua normale capienza (700 detenuti contro i 200 inizialmente pensati) per la sua natura di stazione di passaggio nel trasferimento al nord dei carcerati custoditi nelle isole toscane (Pianosa, Gorgona, Capraia). Nel luglio, i ripetuti bombardamenti e l’azione dei “Patrioti Apuani” avevano svuotato il carcere penale: erano rimasti soltanto 78 uomini, talmente debilitati da non poter deambulare. Costoro furono raccolti al Malaspina, insieme agli altri già lì presenti. Il 14 settembre le SS avevano preso il carcere in consegna, trovandovi 168 detenuti: la mattina del 16 caricarono sui camion i detenuti e li trasportarono sulle rive del Frigido, presso la chiesina di San Leonardo. Raccolti sull’argine destro del fiume, dove un bombardamento aveva scavato 3 ampi crateri, furono fucilati e gettati dentro le buche e ricoperti con la terra. La cifra dei morti accertati varia da 146 a 149, di 3 detenuti si sa che furono risparmiati in quanto dipendenti del comandante del distaccamento, della sorte dei rimanenti presenti sui registri del carcere non si hanno notizie certe. 4 Le salme furono riesumate soltanto nel febbraio 1947, anche se una nota al prefetto del maggio ’45 ne retrodata la scoperta all’immediato dopoguerra: nel mattinale, il questore relaziona infatti sulle lamentele degli abitanti della zona del Frigido per l’ “aria ammorbata da puzzo di cadaveri. Recatisi sul posto l’ufficiale sanitario Bertolini ed il vigile Bigini Archimede, constatarono che tre profondissime buche prodotte da bombe di aeroplani erano piene di cadaveri in avanzata putrefazione che erano stati in quelle buche ammazzati dai tedeschi. Per testimonianze di vicini si è potuto stabilire che i detti cadaveri appartenevano ai detenuti che erano nel carcere Malaspina di Massa e che i tedeschi a suo tempo prelevarono dal detto carcere dicendo che li sfollavano ma che poi portavano in quella località e li uccidevano con le mitragliatrici. Le dette buche erano state coperte con un leggero strato di terra, che le acque hanno asportato. (…) Data la stagione è impossibile esumarli ed eseguirne il trasporto al cimitero di Massa per evitare qualche epidemia. Si stanno ora coprendo con un alto strato di terreno in attesa della stagione fredda che ne consenta il trasloco” Anche dalla nota dell’Ufficiale Sanitario del 18 aprile 1947, riportata da Michelucci e Ianni in appendice al libro di Alina Gjika (Il carcere di Massa e l’Eccidio delle Fosse del Frigido (19431945), con la collaborazione di Luigi Cairola ed una appendice di Massimo Michelucci e Nino Ianni, Ceccotti, Massa, 2002), risulta che già subito dopo la liberazione ci si accorse dei cadaveri sepolti nelle fosse, e si procedette prima con il riempimento delle buche con terra, calce e creolina. Nel settembre 1945 si riesumarono alcune salme che, essendo in stato di avanzata putrefazione, furono lasciate sul posto, in “quanto prevalse il criterio di costruire un ossario comune sul luogo stesso”. Dalla stessa nota risulta che l’impulso alla definitiva riesumazione venne, tramite gli Alleati, dai Certosini di Lucca, che cercavano traccia del vescovo venezuelano Montes De Oca e del priore della Certosa, padre Binz (uccisi in realtà non a Massa, ma a Montemagno). La riesumazione durò dal 27 gennaio al 20 marzo 1947. Responsabili di questo crimine, che trova giustificazione solo nella concezione razziale del razzismo, per cui persone deboli, malate e considerate socialmente inutili, in quanto detenuto per reati comuni, non dovevano rappresentare un peso per la comunità, ritengo sia stata probabilmente la Feldgendarmerie della XVI Divisione SS, cioè la struttura incaricata di gestire il parco ostaggi della Divisione. La XVI Panzer-Grenadie-Division “Reichsführer SS” si era costituita nel gennaio 1944 a Lubiana, in Slovenia,, era stata trasferita a Vienna nel marzo 1944, quindi spostata in Ungheria e da lì, nel maggio 1944, in Italia, “precisamente sulla costa ligure […] Il comandante della divisione era il maggiore generale Max Simon. Simon mi era noto come un fanatico nazional socialista e eccellente ufficiale”, scriveva dopo la guerra un ex ufficiale della Divisione, Max Paustian, che così sintetizzava i compiti assegnati alla divisione: “1) protezione della costa ligure contro eventuali 5 sbarchi alleati; 2) all’avvicinarsi del fronte, diretto impegno e partecipazione all’azione; 3) impiego contro possibili attività partigiane nella zona della divisione”. Come hanno dimostrato le ricerche di Carlo Gentile, Si trattava di una divisione formata di giovanissimi militari, non più solo volontari, ma reclutati fra i giovani in età di leva, anche della classe 1926. Numerosi ufficiali e sottufficiali della divisione provenivano dalle file della divisione SS Totenkopf, collegata al sistema concentrazionario nazista, nota per il fanatismo ideologico dei suoi membri. Max Simon e Otto Baum, il successore di Simon, erano stati entrambi alla testa della Totenkopf, e Walter Reder e molti dei suoi comandanti di compagnia vi avevano prestato servizio. Anton Galler, il comandante del II battaglione del 35° reggimento responsabile della strage di Sant’Anna di Stazzema,, e Walter Reder, comandante del battaglione esplorante, responsabile fra l’altro dell’eccidio di Monte Sole, avevano prestato servizio a Dachau, così come molti loro commilitoni. Altri ufficiali avevano operato in battaglioni di SS e di polizia nell’Europa dell’Est, responsabili di operazioni di sterminio di ebrei o di civili nella Polonia occupata. Lo stesso Galler era stato indiziato per uccisioni di civili nella Polonia occupata, e il suo comandante di reggimento, Karl Gesele, era stato nel 1941-1942 capo di stato maggiore della SS-Kavvaleriebrigade, l’unità che aveva avviato le azioni di sterminio degli ebrei in Ucraina e Bielorussia nell’estate del 1941. Tra gli ufficiali era comune un precoce impegno politico a favore del nazismo: Anton Galler era entrato a quindici anni nelle associazioni dell’estrema destra austriaca pantedesca, e per la sua attività politica aveva dovuto a diciassette anni lasciare l’Austria e rifugiarsi in Germania. Reder era stato sospeso da tutte le scuole austriache per la sua attività politica ed era stato costretto a fuggire in Germania nel 1934. Dal 24 luglio la divisione aveva fissato il suo quartier generale a Nozzano, vicino a Lucca; poi con l’arretramento del fronte un’altra sede fu fissata a Camaiore, e quindi a Massa, fino al 31 agosto. Arrivata in zona, la divisione fu impegnata in operazioni contro i “partigiani” –nel termine vengono considerati anche i civili in blocco – protrattesi per tutto il mese, fra Versilia ed Alpi Apuane, che, oltre a scompaginare il movimento partigiano, arrecheranno gravi lutti alle popolazioni. Nessuno pagò per i poveri morti del frigido, che provenivano da tutta l’Italia, alcuni da altri paesi d’Europa, e non avevano una comunità che rivendicasse per loro giustizia: il comandante della XVI Divisione SS, generale Simon, fu condannato a morte nel 1947, a Padova, da un tribunale militare britannico per una serie di eccidi commessi dai suoi uomini, fra i quali quelli di Bardine di San Terenzo e Valla, Vinca e Bergiola: una condanna subito tramutata in ergastolo in considerazione delle nuove esigenze geopolitiche imposte dalla guerra fredda, e dopo pochi anni seguita da una definitiva liberazione. Walter Reder fu assolto per insufficienza di prove nel 1951 a Bologna per le stragi di Bergiola e delle Fosse del Frigido: i testimoni che lo accusavano, fra i quali 6 Alessandro Brucellaria, il comandante partigiano carrarino “Memo”, lo fecero tardivamente, a processo già in corso (ed infatti l’imputazione a Reder per le stragi di Bergiola e delle Fosse del Frigido gli furono contestate durante il dibattimento) in base a confidenze che avevano ricevuto da Giulio Riedler, un importatore di marmi di Carrara che, conoscendo il tedesco, fungeva da interprete presso il comando tedesco, e collaborava con i partigiani. Ma costui era deceduto nel 1947, e non poté essere ascoltato dal Tribunale militare. Il vicecomandante delle brigate Nere di Carrara, Lodovici, che aveva partecipato alla strage di Vinca, il 29 novembre 1948 fu incredibilmente assolto dalla Corte d’Assise di Perugia dalle imputazioni relative alla strage. Invece il processo a 64 brigatisti neri per le stragi di Vinca e Bergiola si concluse con sentenza della Corte d’Assise di Perugia del 21.3.1950 e varie condanne all’ergastolo, e a pesanti pene detentive. Ma il 19 dicembre 1952 la Corte di Assise di Appello di Ancona commutava le sentenze di ergastolo in pene detentive, e successive riduzioni di pena per effetto di amnistie e condoni fecero sì che entro la fine degli anni cinquanta tutti gli autori di quei crimini orrendi furono rimessi in libertà. Non vogliamo prolungare il dolore, né incitare all'odio con le nostre commemorazioni: italiani e tedeschi oggi sono membri importanti dell’Unione Europea, e vivono nelle nostre zone, a spiccata vocazione turistica, gli uni accanto agli altri, in pace e prosperità. E non vogliamo rinfocolare antiche fratture nella nostra comunità. Ma non vogliamo dimenticare: per rispetto verso i nostri morti, verso coloro che consapevolmente hanno scelto di rischiare la propria vita per il riscatto della patria, e verso coloro che, vittime innocenti, sono state sacrificate sull'altare di una guerra ingiusta, di un'ideologia razziale e nazionalista aberrante, del venire meno di ogni pietà. Ho detto che non vogliamo scordare: allora mi sembra importante, a sessantacinque anni da quegli avvenimenti che tanto drammaticamente segnarono l’Italia, e le nostre zone, e mentre la voce delle vittime e dei protagonisti di quelle battaglie per la libertà si affievolisce sempre di più, proporre e lavorare finalmente per una politica della memoria, che consenta agli Italiani di avere luoghi e istituzioni dove si possano raccogliere e rielaborare tutti i dati, i documenti, i ricordi dell’esistenza di quel periodo: un simile Parco per la memoria ci sembra tanto più importante in questa provincia così duramente colpita dalle stragi: in comune di Massa, oltre alle Fosse del Frigido, Forno, Antona, Guadine, l’eccidio del 10 settembre 1944 di cui abbiamo parlato in apertura; nella provincia gli eccidi di Avenza, Bagnone, Bardine di san terenzo e Valla, Bergiola Foscalina, Canova, Casola Lunigiana, Castelpoggio, Cervara, Fontana Gilente, Licciana Nardi, Mommio, Pontremoli, Tenerano, Vinca, Zeri. Si tratta di realizzare ed alimentare progetti stabili, luoghi della memoria attrezzati con le più moderne tecniche di comunicazione, che si pongano l’obiettivo di illuminare tutti gli aspetti della resistenza civile, le connessioni con la resistenza armata, la nascita di forme di solidarietà che 7 andranno ad alimentare i nuovi valori di cittadinanza democratica; di far crescere una cultura della pace nella conoscenza storica degli orrori della guerra; di onorare in questo modo, che è il migliore dei modi, le vittime innocenti delle Fosse del Frigido e di tutti quei luoghi sui quali si abbatté la furia omicida dei nazisti e dei loro alleati fascisti repubblicani. Paolo Pezzino Massa, Fosse del frigido, 16 settembre 2009