l`acqua come elemento simbolico e fantastico nel cinema

Transcript

l`acqua come elemento simbolico e fantastico nel cinema
L’ACQUA COME
ELEMENTO SIMBOLICO
E FANTASTICO
NEL CINEMA
PERCORSI
D’ACQUA
2006-7
Lezione della prof. Luisella Farinotti
Milano, 21 aprile 2007
STUDIOSA DI CINEMA, È DOCENTE DE I MEDIA DELL’ARTE PRESSO L’UNIVERSITÀ IULM DI MILANO. HA PUBBLICATO SU
RIVISTE E IN VOLUMI COLLETTANEI – TRA CUI LA STORIA DEL CINEMA ITALIANO (MARSILIO–BIANCO & NERO) E LA STORIA
D’ITALIA EINAUDI – SAGGI SUL CINEMA LOMBARDO, SUL CONCETTO D’AUTORE NEL CINEMA MODERNO, SUL CINEMA
ITALIANO DEGLI ANNI ’60 E ‘70. SI È OCCUPATA DI INDUSTRIA CULTURALE E CINEMA INDIPENDENTE (LA CULTURA DEL
MARGINE, 2001), DI STORIA E TEORIA DEI GENERI CINEMATOGRAFICI (TERRITORI DI CONFINE. CONTRIBUTI PER UNA
CARTOGRAFIA DEI GENERI CINEMATOGRAFICI, 2002, CON R. EUGENI) E DI FILM DI FAMIGLIA (IL MESTIERE E LA PASSIONE.
CINEMA AMATORIALE E FILM DI FAMIGLIA IN ITALIA, 2005, CON E. MOSCONI). HA PUBBLICATO UNA MONOGRAFIA SU
EDGAR REITZ (IL FUTURO DIETRO LE SPALLE. TEMPO E STORIA NEL CINEMA DI EDGAR REITZ, 2005) E STA PREPARANDO
UNO STUDIO SU GLI OGGETTI NELLA SCRITTURA CINEMATOGRAFICA.
IL FLUSSO DELLE IMMAGINI
Il cinema ha da subito sfruttato la “fluidità semantica“ dell’acqua: la ricchezza simbolica, la qualità
plastica, la varietà fisica di un elemento dotato di una sorta di fotogenia naturale che lo rende
così adatto alla rappresentazione visiva.
Fin dai lavori dei Lumière, alla fine dell’ottocento, l’acqua entra nella scena cinematografica come
elemento dinamico che duplica il movimento delle immagini e come elemento fisico impalpabile
che l’occhio della macchina da presa restituisce senza difficoltà, superando i limiti delle arti
figurative tradizionali. L’acqua, con il suo fluire inesausto, è uno dei soggetti più ricorrenti del
cinema delle origini: sia come “superficie mobile“ in cui transitano mezzi di trasporto, sia come
pura realtà naturale il cui moto incessante, dal leggero incresparsi delle onde al turbinio dei marosi,
si offre come traccia del respiro inesauribile della vita. È sorprendente la profusione di effetti di
realtà di questo cinema: l’evidenza fisica di immagini in cui l’acqua, l’aria, la luce diventano palpabili
e presenti. Il vapore acqueo, gli effluvi, i riflessi, lo sciabordio delle onde, l’atmosfera rimangono per
certi versi irrappresentabili, eppure non per questo sono meno evidenti: anzi sono viva realtà
nell’immagine. È col metro del lavoro pittorico che si può misurare la qualità del cinematografo:
nelle immagini in movimento si riesce a vedere ciò che sfugge: la trasparenza delle acque, il battito
incessante della pioggia, il rapido dissolversi delle nuvole di vapore. Con Aumont (L’occhio
interminabile, 1991) possiamo considerare i Lumière gli ultimi impressionisti: nella veduta Lumière
“l’atmosfera è oggettivata e come fondata in natura, realizzando e annullando le più forti speranze
pittoriche“ (si pensi solo allo sfumato come esasperata ricerca della pittura impressionista di
raggiungere e rappresentare gli effetti atmosferici).
OLTRE LA PITTURA DI PAESAGGIO
Nel lavoro di Franco Piavoli – cineasta-pittore dotato di un acuto sguardo fenomenologico
–ritroviamo questa stessa idea di cinema come potente occhio rivelatore dello “straordinario
nell’ordinario”, delle qualità nascoste nell’attimo qualunque. Nel suo primo lungometraggio,
Il pianeta azzurro (1982), il paesaggio è un corpo che respira, elemento fisico e metafisico insieme.
Piavoli condensa in poche immagini le metamorfosi del cosmo, rendendo protagonista l’acqua, il
vento, le nuvole, il paesaggio al cui interno l’uomo si muove come elemento naturale tra gli altri.
Il film inizia mostrando il lento risvegliarsi della natura dopo il gelo dell’inverno. È proprio l’acqua,
nel suo calmo gorgogliare sotto la crosta del ghiaccio, a dare inizio alla vita. Piavoli costruisce
un’orchestrazione sonoro-visiva in cui gli sciabordii, i risucchi o il fragore impetuoso dei torrenti
si uniscono alle immagini della trasformazione fisica degli elementi. La luce si riflette sulla
superficie del ghiaccio producendo infinite rifrazioni capaci di restituirci il ritmo e il respiro
naturale del mondo. L’acqua non è una cornice scenografica, un tranquillo ambiente naturale in
cui si collocano le vicende, o, addirittura, paesaggio indifferente. E non è neppure un elemento di
quieto e sereno trascorrere, ma è traccia di modificazione e trasformazione, materia di un ciclo di
rigenerazione inesauribile. Dall’acqua come elemento del paesaggio, si è passati all’acqua come
indice del movimento ciclico dell’uomo e della natura.
LA RICCHEZZA SIMBOLICA DELL’ACQUA
L’acqua simboleggia le dinamiche dei flussi ciclici, delle continuità periodiche, ma è anche il segno
del dinamismo delle trasformazioni. L’acqua porta via, ma anche porta a (a qualcosa, a qualcuno,
al mondo, a un altro mondo). L’acqua porta attraverso: è un elemento di congiunzione, di
attraversamento, di trasmissione e di evoluzione. L’acqua porta e sostiene, rivela e nasconde,
congiunge e trascina, lega e divide. Nell’acqua passa l’elemento cardine del viaggio: il trascorrere,
il movimento che modifica e trasforma.
L’immagine dell’acqua ne L’Atalante (1934) di Jean Vigo non è congiunta all’immaginario del
mistero e della forza – il mare, massa compatta e segreta, insondabile – ma al fiume, flusso lento
che trascina e unisce. La via fluviale segnala un percorso, è un canale liquido che sorregge e si
lega alla terra. L’immagine della barca (l’Atalante) affidata ai canali, che scivola libera eppure
guidata da argini e comandi, può essere assunta come sintesi metaforica della vita e dell’amore.
Il film mette in scena la vita che fugge, il tempo che incalza, il vivere come passaggio inarrestabile
e ininterrotto. Il movimento della barca sull’acqua restituisce il senso di questo passaggio, il fluire
e il perdersi senza posa nella vita. Jean, il protagonista, disperato per la fuga della moglie, si tuffa
nel canale, alla ricerca dell’immagine della donna amata, ricordando quella volta che Juliette gli
aveva raccontato come nelle acque limpide sia possibile vedere il volto di chi si ama. E il miracolo
avviene. La figura di Juliette in abito da sposa appare a Jean nelle acque del canale, bianca,
vaporosa, viva e presente. Questa sequenza di ricongiungimento illusorio dei due amanti avviene
non a caso nella profondità delle acque, dentro questo elemento fluido che avvolge e trascina,
che svela e costringe a un diverso respiro. Sono immagini di estrema forza visionaria, dense di
una tensione visiva pura, dove gli elementi fisici concreti diventano una sfera astratta, mentale,
priva di qualsiasi rilievo materiale: pura forma della follia dell’amore.
Sotto un altro aspetto, l’acqua sostituisce e restaura le direttrici dell’ambiente, il senso di uno
stare in mezzo alle cose trascorrendo tra esse. Il fiume può essere anche elemento di invasione e
di conquista: come nei titoli di testa de The New world (2005) di Terrence Malick. Su un’antica
carta geografica si protendono, come lunghe dita all’interno del territorio, i canali fluviali,
segnalando la conquista inglese del nuovo mondo. Subito dopo vediamo immagini di assoluta
armonia: il piacere con cui i corpi dei nativi si immergono nelle acque trasparenti si contrappone
alla violenza con cui i grandi vascelli inglesi solcano i mari, annunciando l’imminente passaggio
da uno stato “primitivo” di fusione con l’ambiente naturale alla “civiltà” che impone il dominio e
la violazione del paesaggio.
TERRITORI DI CONFINE
L’acqua definisce un confine, sia di ordine fisico (la fine della terra), sia di ordine metaforico (le
distese marine come orizzonte aperto del possibile, spazio in cui lo sguardo si perde e si confronta
con l’infinito). Se il finale de I quattrocento colpi di Truffaut offre uno degli esempi più noti di
questa immagine del mare come orizzonte di libertà e superamento dei limiti, in Primavera,
Estate, Autunno, Inverno… e poi ancora Primavera (2003) del coreano Kim Ki-Duk, il confine
definisce una separazione, traccia i limiti tra l’ordine e il disordine (psicologico, morale, religioso).
Il film è ambientato in un territorio di confine: un’isola galleggiante al centro di un lago
circondato da alte montagne. Per accedere all’isola bisogna varcare una prima soglia: una porta
a doppio battente sospesa sull’acqua, varco dal chiaro significato simbolico di accesso a uno
spazio “altro”, di purificazione e rigenerazione. È proprio l’acqua – che il film mostra in tutti i suoi
possibili stati (liquida e solida, trasparente e oscura, immobile e vorticosa) – a garantire i percorsi
di ricerca di sé dei protagonisti, il loro perdersi o riconciliarsi con la natura e con il mondo.
L’isolamento, lo spazio costretto tra i confini delle montagne e protetto dalle acque del lago,
definisce una separazione geografica e temporale: il tempo è come sospeso, solo l’alternarsi delle
stagioni introduce un cambiamento, quel senso dell’impercettibile che accompagna il passaggio
del vivere o il vivere come passaggio inarrestabile e ininterrotto.
IL LUOGO DELL’ALTRO
La ricchezza simbolica dell’acqua è ampiamente sfruttata dal cinema di fantascienza e dal cinema
horror. Le profondità marine nascondono forze oscure e pericoli imprevedibili. Le acque melmose
sono il luogo ideale per occultare cadaveri e l’impeto e l’energia delle correnti sembrano poter
cancellare le tracce di atti delittuosi, far sparire tesori, armi o prove compromettenti.
Lo squalo (1975) di Steven Spielberg è uno dei titoli più famosi di un cinema che dà corpo ai
fantasmi dell’inconscio, ai mostri – più o meno verosimili – di un abisso mentale prima ancora
che fisico. La fantascienza – si pensi solo ai labirinti d’acqua della “zona” in Stalker (1979) o
all’oceano pensante di Solaris (1972), entrambi di Andrej Tarkovskij, ma anche al più recente
L’infinito spazio profondo (2005) di Werner Herzog – ha eletto l’acqua a spazio dell’”altro”,
incarnazione cangiante di qualcosa di inafferrabile, per la mente più ancora che per i sensi.
FILMOGRAFIA ESSENZIALE
BARQUE SORTANT DU PORT (LUMIÈRE, 1895)
ROUGH SEA (BANFORTH AND COMPANY, 1900)
L’ATALANTE (JEAN VIGO, 1934)
I 400 COLPI (FRANÇOIS TRUFFAUT, 1959)
LO SQUALO (STEVEN SPIELBERG 1975)
STALKER (ANDREI TARKOVSKJ, 1979)
PIANETA AZZURRO (FRANCO PIAVOLI, 1982)
PRIMAVERA, ESTATE, AUTUNNO,INVERNO… E ANCORA PRIMAVERA (KIM KI-DUK, 2003)
THE NEW WORLD (TERRENCE MALICK, 2005)
L’INFINITO SPAZIO PROFONDO (WERNER HERZOG, 2005)
NUOVO MONDO (EMANUELE CRIALESE, 2006)