Volume degli atti 2012 - Società Italiana di Diagnostica di
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Volume degli atti 2012 - Società Italiana di Diagnostica di
CASEIFICIO LA FENICE Miele d’Angelo SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Via Marchesi, 26/D - 43126 Parma - Tel. 0521 290191 - Fax 0521 945334 e-mail: [email protected] - www.sidilv.org XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ASSESSORATO AL TURISMO Azienda Autonoma di Soggiorno di Sorrento - Sant’Agnello Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno SOCIETÀ ITALIANA DI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO VETERINARIA XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. Sorrento (NA) Hotel Conca Park 24 - 26 Ottobre 2012 VOLUME DEGLI ATTI XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Società Italiana di Diagnostica di Laboratorio Veterinaria XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. Sorrento (NA) Hotel Conca Park 24-26 Ottobre 2012 VOLUME DEGLI ATTI 1 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 2 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Consiglio Direttivo S.I.Di.L.V. Alfredo Caprioli, Presidente Elena Bozzetta, Vice Presidente Paolo Cordioli, Segretario Antonio Fasanella, Tesoriere Monica Cagiola, Membro Giuseppe Arcangeli, Membro Sergio Rosati, Membro Gian Luca Autorino, Past President Antonio Battisti, Revisore dei Conti Fabrizio Vitale, Revisore dei Conti Aldo Marongiu, Revisore dei Conti Comitato Scientifico Aniello Anastasio, Napoli Loredana Baldi, Portici (NA) Federico Capuano, Portici (NA) Giovanna Fusco, Portici (NA) Giorgio Galiero, Portici (NA) Achille Guarino, Portici (NA) Giuseppe Iovane, Napoli Antonio Limone, Portici (NA) Luigi Serpe, Portici (NA) Il Consiglio Direttivo S.I.Di.L.V. Comitato Organizzativo Sergio Fenizia, Portici (NA) Francesca Romano, Portici (NA) Paolo Sarnelli, Napoli Luciano Ranaldi, Portici (NA) Domenico Mollica, Sorrento (NA) SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Via Marchesi, 26/D - 43126 Parma Tel. 0521 290191 - Fax 0521 945334 e-mail: [email protected] www.sidilv.org 3 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 4 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Prefazione Anche nel 2012 il Congresso Nazionale si svolge in una città del Sud, nella cornice affascinante e suggestiva della città di Sorrento. Di questo dobbiamo ringraziare l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno e la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università Federico II di Napoli, che hanno reso possibile l’organizzazione dell’evento. Anche gli Enti Locali hanno dimostrato grande attenzione per il nostro Congresso, concedendo il loro patrocinio e supporto all’organizzazione: il Comune di Sorrento, e l’Azienda Autonoma di Soggiorno di Sorrento-Sant’Agnello. Il nostro grazie va anche ai colleghi dell’Azienda Sanitaria Locale Napoli 3 Sud della Penisola Sorrentina e della Giunta Regionale della Campania, Area Generale di Coordinamento, Assistenza Sanitaria, Settore Veterinario, che hanno partecipato attivamente al Comitato Organizzativo del Congresso e hanno contribuito in modo sostanziale a organizzare un ricco programma sociale, che darà modo ai congressisti di godere appieno delle risorse culturali ed enogastronomiche di questo splendido angolo del nostro Paese. Per quanto riguarda gli aspetti scientifici, gli esperti di levatura internazionale che hanno accolto l’invito a partecipare tratteranno come di consueto argomenti di grande rilevanza e attualità: le infezioni da Schmallenberg virus, emergenti tra i ruminanti in Europa, la patogenesi e specificità d’ospite delle infezioni da virus erpetici nei ruminanti, le problematiche legate alla contaminazione dei molluschi con virus enterici e altri patogeni emergenti, l’applicazione alla sicurezza alimentare di metodi di laboratorio innovativi basati su nanobiosensori. Sono particolarmente lieto di annunciare che i contributi scientifici presentati al Congresso e pubblicati in questo volume hanno raggiunto il numero record di 192 (nel 2010 a Genova furono 181). Questi numeri testimoniano da soli il consolidamento dell’interesse della comunità scientifica nei confronti degli eventi organizzati dalla nostra Società. I colleghi membri del Comitato Scientifico hanno dedicato grande attenzione alla valutazione di questi lavori e alla selezione di quelli da destinare alla presentazione orale, e per questo lavoro, condotto in tempi ristretti, li ringraziamo caldamente. Questa attenta selezione è un aspetto dell’impegno preso dal Consiglio Direttivo a perseguire la crescita culturale della Società, anche attraverso il riconoscimento della qualità dell’attività scientifica. Per incoraggiare i giovani ricercatori, anche quest’anno saranno attribuiti riconoscimenti ai migliori lavori, selezionati con il nuovo meccanismo presentato lo scorso anno. I due migliori lavori riceveranno un contributo per supportare la partecipazione di un giovane autore al prossimo congresso della Europen Association of Veterinary Laboratory Diagnosticians (EAVLD), la società scientifica europea a cui SIDiLV è affiliata, assieme alle analoghe associazioni di altri Paesi europei. A tal proposito, devo ricordare con soddisfazione che, durante l’ultimo Congresso EAVLD, il nostro Past President Gian Luca Autorino è stato eletto nel Consiglio Direttivo di questa società. Continuando a perseguire l’obiettivo della crescita culturale di tutte le professionalità che operano nei nostri Istituti, anche questa edizione comprende il Corso di Aggiornamento per tecnici di laboratorio, che riguarderà sia gli aspetti organizzativi e gestionali delle attività analitiche che l’esecuzione di metodiche diagnostiche di base proprie di un laboratorio di sanità pubblica veterinaria. Nell’augurare a tutti i convenuti un proficuo lavoro e una piacevole permanenza, rivolgiamo un sincero riconoscimento ed apprezzamento allo staff di M.V. Congressi che come sempre ha collaborato con efficienza e professionalità alla realizzazione del nostro Congresso (realizzando anche il sistema di invio on-line dei lavori e delle iscrizioni, molto apprezzato dai soci) agli sponsor del settore che hanno aderito numerosi presentando la loro produzione e organizzando interessanti simposi satellite, agli sponsor parte del locale tessuto produttivo agro-alimentare, che hanno contribuito alla realizzazione di un ricco programma sociale, e ai Direttori degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali che, consentendo la larga partecipazione di numerosi operatori, rendono possibile la continua crescita di questa Società. Sorrento, 24 Ottobre 2012 5 Alfredo Caprioli Presidente S.I.Di.L.V. XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 6 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Il XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. si svolge con il patrocinio di: Comune di Sorrento e Assessorato al Turismo Regione Campania Azienda Autonoma di Soggiorno di Sorrento-Sant’Agnello Il Comitato Organizzatore del XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. è grato ai seguenti Enti ed Aziende per il fattivo contributo alla realizzazione dell’evento: Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno Università degli Studi di Napoli “Federico II” ASL 3 Napoli Sud Giunta Regionale della Campania, AGC, Assistenza Sanitaria, Settore Veterinario AGROLABO BIO-RAD FOSS ITALIA ID-VET KRENE LIFE TECHNOLOGIES ITALIA LSI by LIFE TECHNOLOGIES MEDICAL SERVICE 2000 OXOID PALL ITALIA PROMEVET QIAGEN TECAN ASSOCIAZIONE CUOCHI DELLA PENISOLA SORRENTINA CASEIFICIO “LA FENICE” CASEIFICIO “LA CILIEGINA” CASEIFICIO PERRUSIO COOPERATIVA “LA GINESTRA” DBA ITALIA “MIELE D’ANGELO” SOLAGRI 7 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 8 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 INDICE RISULTATI PRELIMINARI DI UNA CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE DEL RISCHIO SVOLTA PRESSO SCUOLA PRIMARIA SUGLI ALLERGENI PRESENTI NEL CIBO SOLITAMENTE CONSUMATO DAI BAMBINI Bagni M., Ventura E., Bianchi D.M., Vencia W., Mascarello G., Crovato S., Ravarotto L., Decastelli L. 26 STUDIO DI SPECIE ITTICHE LESSEPSIANE ED ABISSALI PESCATE NEL TIRRENO CENTRO-MERIDIONALE E RINVENUTE NEI CIRCUITI COMMERCIALI De Carlo E., Di Nocera F., Gallo P., Soprano V., Marigliano L., Serpe F.P., Rossi R., Guarino A., Caruso C., Improta A., Amato A. 28 IDENTIFICAZIONE DI FRODI COMMERCIALI NEI PRODOTTI ITTICI TRASFORMATI MEDIANTE ANALISI DEL DNA Amoroso M.G., Girardi S., Cutarelli A., Guarino A., Galiero G., Corrado F. 31 L’IPERESPRESSIONE DEL RECETTORE PROGESTINICO PER L’DENTIFICAZIONE DEI TRATTAMENTI ILLECITI CON ESTROGENI Pezzolato M., Richelmi G., Maurella C., Varello K., Meistro S., Mascarino D., Longo D., Caramelli M., Bozzetta E. 34 UTILIZZO ED EVOLUZIONE DI UN SISTEMA INFORMATIVO PER LA GESTIONE DEI LABORATORI DI ANALISI (SIGLA) Nappo C., Pizzoni E., Manai R., Izzo P., Desantis E., Virdis A., Mingolla A., Cenni G., Faccenda L. 36 HERPESVIRUS ASSOCIATO A GRAVE STOMATITE E MAMMILLITE ULCERATIVA IN UN ALLEVAMENTO DI ASINE DA LATTE Martella V., Lorusso E., Larocca V., Catella C., Pinto P., Losurdo M., Maggiolino A., Tempesta M., Canio B. 38 ISOLAMENTO DI BOVINE HERPESVIRUS 1 (BOHV-1) NEL BUFALO MEDITERRANEO (BUBALUS BUBALIS) IN UN ALLEVAMENTO DEL SUD ITALIA Fusco G., Viscardi M., Brandi S., Veneziano V., Corrado F., Degli Uberti B., Amoroso M.G., Cerrone A., Natale A., Guarino A., Galiero G. 41 RISULTATI PRELIMINARI DELLA SORVEGLIANZA VIROLOGICA PER FLAVIVIRUS REALIZZATA SU ZANZARE IN PIEMONTE NEL 2011 Rizzo F., Ameri D., Calzolari M., Bonilauri P., Prearo M., Pautasso A., Radaelli M.C., Bertolini S., Barbieri I., Casalone C., Chiavacci L., Mandola M.L. 43 MALATTIE TRASMESSE DA ZECCHE: LA SORVEGLIANZA SUL TERRITORIO COME STRUMENTO PER UNA DIAGNOSI PRECOCE Pintore M.D., Pautasso A., Corbellini D., Tomassone L., Ceballos L.A., Rizzo F., Ameri D., Boin C., Mignone W., Peletto S., Acutis P.L., Mandola M.L., Mannelli A., Casalone C. 46 CLONAGGIO E PURIFICAZIONE DELLA PROTEINA RICOMBINANTE DIIDROLIPOAMIDE ACETILTRANSFERASI (E2) DI MYCOPLASMA GALLISEPTICUM ESPRESSA IN ESCHERICHIA COLI Silva Rocha T., Tramuta C., Giuffrida M.G., Profiti M., Baro C., Matucci A., Catania S., Rosati S. 48 STRAIN TYPING OF MYCOPLASMA SYNOVIAE: LENGTH VARIABILITY OF THE HAEMAGGLUTIN ENCODING GENE VLHA Baldasso E., Battanolli G., Gobbo F., Rodio S., Catania S. 50 VALUTAZIONE DI COMPOSTI STILBENI E TERFENILICI IN COLTURE DI LEISHMANIA INFANTUM Castelli G., Bruno F., Piazza M., Lupo T., Migliazzo A., Tolomeo M., Vitale F. 51 9 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 STUDIO PRELIMINARE SULL’UTILIZZO DEL GAMMA-INTERFERON NELLA SPECIE BUFALINA De Carlo E., Martucciello A., Schiavo L., Viscito A., Parente G., Boniotti M.B., Guarino A., Pacciarini M. 54 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE E SENSIBILITÀ AGLI ANTIMICROBICI DI CEPPI DI YERSINIA PSEUDOTUBERCULOSIS ISOLATI DA ANIMALI DOMESTICI E SELVATICI Magistrali C.F., Cucco L., Farneti S., Ercoli L., Tartaglia M., Prati P., Lollai S., Pezzotti G. 56 UTILIZZO DEL MEAT JUICE PER LA SIEROLOGIA DELLA MALATTIA DI AUJESZKY NEL CINGHIALE Natale A., Zuliani F., Di Martino G., Lucchese L., Gagliazzo L., Chisini Granzotto F., Sandonà C., Bonfanti L. 58 PERMISSIVITÀ DI LINEE FIBROBLASTICHE VERSO CAPRINE ARTHRITIS ENCEPHALITIS VIRUS (CAEV) DERIVANTI DA ANIMALI CON ALTA E BASSA CARICA VIRALE Bertolotti L., Colussi S., Profiti M., Quasso A., Acutis P.L., Reina R., Rosati S. 62 BIOTIPO CITOPATOGENO DI VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA TIPO 3 ISOLATO DA MANZA CON MALATTIA RESPIRATORIA Decaro N., Lucente M.S., Mari V., Sciarretta R., Pinto P., Cirone F., Colaianni M.L., Narcisi D., Elia G., Thiel H., Buonavoglia C. 64 LA RETE DEGLI II.ZZ.SS AL SERVIZIO DELLA SICUREZZA ALIMENTARE DEI PRODOTTI TRADIZIONALI ITALIANI Daminelli P., Losio M.N., Gianfranceschi M., Decastelli L., Comin D., Fischetti R., Valiani A., Fadda A., Goffredo E., Nava D., Cardamone C., Prencipe V.A., Varisco G. 67 DETERMINAZIONE DI ENTEROTOSSINE STAFILOCOCCICHE IN PRODOTTI LATTIERO-CASEARI: CIRCUITO INTERLABORATORIO PER LA RETE IIZZSS Ingravalle F., Bianchi D.M., Bellio A., Gallina S., Zuccon F., Ghia C.A., Fabbri M., Corvonato R., Decastelli L. 69 RISCHI MICROBIOLOGICI ASSOCIATI AL CONSUMO DI LATTE CRUDO: VALUTAZIONE DELLA PREVALENZA DI VTEC E MRSA NEL PRODOTTO FINITO. Gallina S., Conedera G., Ustulin M., Noli A., Losio M.N., Maccabiani G., Tonucci F., Grande L., Maugliani A., Corrente M., Ventrella G., Caprioli A., Morabito S. 72 RICERCA DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. PARATUBERCULOSIS VITALE MEDIANTE CATTURA PEPTIDO-MAGNETICA E TRATTAMENTO CON PROPIDIUM MONOAZIDE IN CAMPIONI DI LATTE De Cicco C., Ricchi M., Garbarino C., Cammi G., Arrigoni N. 75 STUDIO DELL’ATTITUDINE A FORMARE BIOFILM DI CEPPI DI LISTERIA MONOCYTO GENES ISOLATI DA ALIMENTI, DA AMBIENTI DI LAVORAZIONE DEGLI ALIMENTI E DA CASI CLINICI UMANI. Caruso M., Latorre L., Botticella G., Zippone V., Palazzo L., Fraccalvieri R., Santagada G., Parisi A. 78 UTILIZZO DI FAGI COME AGENTI BIO-DECONTAMINANTI IN PRODOTTI CASEARI Maccabiani G., Zanardini N., D’Amico S., Galuppini E., Pavoni E., Finazzi G., Giuradei F., Losio N., Varisco G. 80 ENTERIC VIRUSES AND OTHER EMERGING PATHOGENS IN SEAFOOD Le Guyader S.F., Le Saux J., Ruvoen-clouet N., Hervio-heath D., Le Pendu J. 83 VALUTAZIONE DEL VIRULOTIPO DEI SIEROTIPI DI SALMONELLA ENTERICA ISOLATE IN CAMPANIA DA ALIMENTI E DA PAZIENTI OSPEDALIZZATI Proroga Y.T., Esposito S., Veneri M.R., Campagnuolo R., Cuccurullo S., Conte M., Guarino A., Capuano F. 84 10 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 DISTRIBUZIONE DELLE VARIANTI ALLELICHE DELLA CITOTOSSINA SUBTILASI IN CEPPI DI ESCHERICHIA COLI PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA DI ORIGINE UMANA E OVINA E CARATTERIZZAZIONE DELL’ISOLA DI PATOGENICITÀ CHE CONTIENE L’ALLELE SUBAB2 Michelacci V., Tozzoli R., Martinez R., Marziano M.L., Scheutz F., Caprioli A., Morabito S. 86 DIAGNOSI DI ANTRACE CUTANEO NELL’UOMO TRASMESSO DA UN VETTORE DURANTE UN FOCOLAIO OVINO IN BASILICATA Pace L., Galella M., De Stefano C., Giangrossi L., Quaranta V., Bochicchio V., Mercurio V., Fasanella A. 88 MALATTIA DA GRAFFIO DEL GATTO E BARTONELLOSI FELINA:UN’APPLICAZIONE PRATICA DEL CONCETTO DI “ONE MEDICINE” Prati P., Vicari N., Brunetti E., Ferraioli G., Sala G., Marone P., Fabbi M. 90 NANOBIOSENSORI E LAB-ON-CHIP: LA NUOVA FRONTIERA NELLA SICUREZZA ALIMENTARE Ricciardi C. Parisi A., Miccolupo A., Latorre L., Bilei S., Greco S., Decastelli L., Normanno G., Santagada G. 92 CONFRONTO DI MLST E MLVA PER LA CARATTERIZZAZIONE DI ISOLATI CLINICI ED ALIMENTARI DI LISTERIA MONOCYTOGENES. Parisi A., Miccolupo A., Latorre L., Bilei S., Greco S., Decastelli L., Normanno G., Santagada G. 94 VALIDAZIONE DI UN METODO REAL-TIME PCR SECONDO ISO16140:2003 PER LA DETERMINAZIONE DI CAMPYLOBACTER JEJUNI, COLI E LARI IN ALIMENTI REALTIME PCR FOR DETECTION OF CAMPYLOBACTER JEJUNI, COLI AND LARI IN FOODS: TEST VALIDATION ACCORDING TO ISO16140:2003 Vencia W., Bianchi D.M., Galllina S., Adriano D., Civalleri N., Mantoan P., Radium P., Gramaglia M., Decastelli L. 97 OGM: SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN NUOVO METODO IN FAST PCR REAL-TIME PER LA QUANTIFICAZIONE DELL’EVENTO EH92-527-1 DI PATATA Madeo L., Pierboni E., Curcio L., Tovo G., Rondini C. 99 LA PROTEINA V DEL VIRUS LPMV (LA PIEDAD MICHOACAN MESSICO VIRUS) ANTAGONIZZA LA RISPOSTA DI TIPO I DELL’INTERFERONE LEGANDOSI ALLA PROTEINA STAT2 E PREVENENDONE LA TRASLOCAZIONE. Pisanelli G., Manicassamy B., Laurent-rolle M., Belicha-villanueva A., Morrison J., Iovane G., Garcia-sastre A. 101 CEPPI DEL VIRUS DELLA WEST NILE APPARTENENTI AL LINEAGE 2 ISOLATI IN UCCELLI SELVATICI IN SARDEGNA Savini G., Puggioni G., Di Gennaro A.P., Rossi R., Di Francesco G., Rocchigiani A.M., Polci A., Marini V., Pinoni C., Arru D., Rolesu S., Lorusso A., Monaco F. 103 INDAGINI VIROLOGICHE NEI CHIROTTERI IN NORD ITALIA Lelli D., Boniotti M.B., Moreno A., Lavazza A., Papetti A., Canelli E., Bonilauri P., Cordioli P. 105 SCHMALLENBERG VIRUS AS A PARADIGM OF THE EMERGENCE OF NEW VIRUSES Van Der Poel W.H.M. 108 ASSOCIAZIONE TRA POLIMORFISMI DEL GENE MHCIIB E RESISTENZA ALLA LATTOCOCCOSI NELLA TROTA IRIDEA (ONCORHYNCHUS MYKISS): RISULTATI PRELIMINARI Colussi S., Bertuzzi S., Maniaci M.G., Peletto S., Modesto P., Riina M.V., Scanzio T., Prearo M., Acutis P.L. 110 IL REGISTRO TUMORI ANIMALI DELLA REGIONE CAMPANIA Degli Uberti B., Sarnelli P., Caputo V., Guarino A., Mizzoni V., Pompameo M., D’Amore M., Francese A., Rosato G. 113 11 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RCD1-PRA ATROFIA PROGRESSIVA DELLA RETINA Cutarelli A., Amoroso M.G., Girardi S., De Roma A., Trio S., Guarino A., Galiero G., Corrado F. 117 ISOLAMENTO E COLTIVAZIONE IN VITRO DI CONDROCITI ISOLATI DALLA CARTILAGINE AURICOLARE DI CAVALLO Barbaro K., Canonici F., Fagiolo A., Eleni C., Zepparoni A., Altigeri A., Sittinieri S., Cocumelli C., Roncoroni C., Amaddeo D. 119 POSTERS STUDIO SULL’ORIGINE DELLA CONTAMINAZIONE DI SULFADIAZINA NEL MIELE Accurso D., Menotta S., Fedrizzi G. 123 L’IMMUNITA’ INNATA NELLA BUFALA MEDITERRANEA: STUDIO SUL RUOLO DEI RECETTORI TOLL-LIKE 2, 4 E 9 NEI CONFRONTI DI MYCOBACTERIUM BOVIS Alfano F., Peletto S., Lucibelli M.G., Borriello G., Tarantino M., Pasquali P., Guarino A., Acutis P.L., Galiero G. 125 STUDIO PRELIMINARE DI ALCUNI PARAMETRI IMMUNITARI NEI VITELLI BUFALINI. Alfieri L., Roncoroni C., Bucci E., Zottola T., Lai O. 130 STUDIO PRELIMINARE SULLA VALUTAZIONE DELLA PRODUZIONE DI ANTICORPI VERSO YERSINIA RUCKERI, IN TROTA IRIDEA (ONCORHYNCHUS MYKISS), MEDIANTE LA MESSA A PUNTO DI UN TEST ELISA, A SEGUITO DI PROVE VACCINALI Angioni S.A., Tittarelli M., Zezza D., Ferri N. 132 INDAGINE PRELIMINARE SULLA PRESENZA DI COXIELLA BURNETII IN CAMPIONI DI LATTE D’ASINE ALLEVATE IN CAMPANIA. Auriemma C., Lucibelli M.G., Bove F., Gallo A., De Carlo E., Martucciello A., Corrado F., Guarino A., Galiero G. 135 STUDIO DEL GENOTIPO DELLA PROTEINA PRIONICA NELLA POPOLAZIONE OVINA NAZIONALE IN FUNZIONE DELLA RESISTENZA GENETICA ALLE EST Baldinelli F., Ciaravino G., Scavia G., Fazzi P., Chiappini B., Vaccari G. 137 RESIDUI DI CHINOLONI NEL LATTE DELLE AZIENDE PIEMONTESI: RISULTATI DI UNA SURVEY CONDOTTA NEL 2012 Barbaro A., Chiavacci L., Travaglio S., Vitale N., Parisani V., Palma A., Abete M.C., Gili M. 139 RISULTATI DEL PROGRAMMA COMUNITARIO DI MONITORAGGIO PER LISTERIA MONOCYTOGENES IN ALIMENTI PRONTI AL CONSUMO NELLA CITTA’ DI GENOVA NEL 2011 Barbaro A., Galleggiante Crisafulli A., Rubini D., Gennari M., Teneggi M.E., Bavetta S., Chiavacci L. 141 DIAGNOSTICA VIROLOGICA DI PRRS: STUDIO COMPARATIVO TRA METODICHE BIOMOLECOLARI CLASSICHE E INNOVATIVE CON CAMPIONI OTTENUTI DA UN’INFEZIONE SPERIMENTALE Belfanti I., Mondin A., Drigo M., De Mateo Aznar M., Bortoletto G., Nardelli S., Ceglie L. 143 VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE PRODUTTIVE E DEI PARAMETRI EMATOLOGICI IN POLLI DA CARNE ALIMENTATI CON DIETE INTEGRATE CON VERBASCOSIDE Bergagna S., Dezzutto D., Mellia E., Salcedo W., De Marco M., Forneris G., Corino C., Gennero M.S., Schiavone A. 146 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DEL GENERE SALMONELLA IN UN FOCOLAIO DI TOSSINFEZIONE ALIMENTARE Bertasi B., D’Amico S., Tilola M., Ferrari M., Panteghini C., D’Incau M., Finazzi G., Daminelli P., Bonomini A., Pedroni P., Losio M.N. 148 12 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 MONITORAGGIO DI VIBRIO SPP. IN MOLLUSCHI EDULI LAMELLIBRANCHI E ACQUA DI MARE Bertasi B., Galuppini E., Consoli M., Fusini F., Pavoni E., Saetti F., Rubini S., Daminelli P., Finazzi G., Losio M.N. 150 UTILIZZO DI BIOSENSORI PER LA DIAGNOSI RAPIDA DI MALATTIE IN TEMPO REALE Biagetti M., Cuccioloni M., Sebastiani C., Angeletti M. 152 INDIVIDUAZIONE IN PIEMONTE DI UN FOCOLAIO DI BESNOITIOSI IN BOVINI PROVENIENTI DALLA FRANCIA. Biolatti P.G., Valentini L., Militerno G., Bassi P., Gennero M.S., Bergagna S., Zanet S., Ferroglio E., Scaglione F.E., Bollo E. 154 DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI E. COLI O157 NELLA SPIANATA DI CERVO E SALSICCIA DI CERVO STAGIONATA Bogdanova T., Bichi G., Casati D., Bilei S., Deni D., De Santis P., Gori R., Falorni B. 155 INFEZIONE SPERIMENTALE CON MYCOBACTERIUM CAPRAE NEL BOVINO: STUDIO DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA CON SAGGI DIAGNOSTICI TRADIZIONALI Boniotti M., Busi C., Sabelli C., Zanoni M., Alborali G., Archetti I., Lombardi G., Martinelli N., Tagliabue S., Gelmetti D., Gibelli L.R., Amadori M., Pacciarini M. 157 EPIDEMIOLOGIA DELL’INFEZIONE DA CAMPYLOBACTER JEJUNI IN ALLEVAMENTI BOVINI DELLA LOMBARDIA Borella L., Bianchini V., Benedetti V., Santoro E., Invernizzi E., Miccolupo A., Parisi A., Luini M.* 159 ATTIVITA’ DI CONTROLLO NEL SUD E NELLE ISOLE NEI MANGIMI AD USO ZOOTECNICO PER LA RICERCA DI PROTEINE ANIMALI TRASFORMATE (ANNI 2006-2012) Bove D., Schiavo M., Chiappini B., Mancuso M.R., Vodret B., Di Taranto A., Serio F., Morelli L., De Vita R., Palermo P., Capuano F., Guarino A. 161 INDAGINE PRELIMINARE SULLA DIFFUSIONE DELL’ARTRITE ENCEFALITE VIRALE CAPRINA (CAEV) IN FRIULI VENEZIA GIULIA Bregoli M., Di Giusto T., Passera A., Cocchi M., Palei M., Menegoz A., Furlan D., Conedera G. 164 IMPIEGO DI COLORANTI IN ACQUACOLTURA: L’ASTAXANTINA Brizio P., Prearo M., Elia A.C., Scanzio T., Pavoletti E., Pacini N., Benedetto A., Gasco L., Dorr A.M., Righetti M., Squadrone S., Abete M.C. 167 ASPARAGOPSIS TAXIFORMIS: UNA NUOVA TERAPIA ANTI-LEISHMANIA? Bruno F., Castelli G., Piazza M., Reale S., Lupo T., Migliazzo A., Armeli Minicante S., Genovese G., Vitale F. 169 RISCHIO DI TRASMISSIONE DI VIBRIO PATOGENI LEGATO AL CONSUMO DI CROSTACEI NELLA REGIONE VENETO Caburlotto G., Fasolato L., Antonetti P., Rahman M.S., Zambon M., Manfrin A. 172 DETERMINAZIONE DI MACRO E MICROELEMENTI ESSENZIALI E NON ESSENZIALI NEL PLASMA DI TESTUDO HERMANNI MEDIANTE ICP-MS Cannavacciuolo A., Isani G., Menotta S., Carpenè E., Di Girolamo N., Ferlizza E., Fedrizzi G. 174 DIAGNOSI DI INFEZIONE DA MORBILLIVIRUS NEI CETACEI MEDIANTE MICROSCOPIA ELETTRONICA, ISOLAMENTO SU COLTURE CELLULARI E METODI BIOMOLECOLARI Cardeti G., Cersini A., Puccica S., Antognetti V., Cittadini M., Dante G., Amaddeo D. 176 FOCOLAIO DI RINOTRACHEITE INFETTIVA BOVINA IN ALLEVAMENTO VACCINATO ALL’INGRASSO Caruso C., Rosamilia A., Biolatti P.G., Malerba M., Lotti R., Rutigliano B., Peletto S., Angiolillo S., Biosa T., Trisorio S., Acutis P.L., Masoero L. 178 13 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 PROCEDURA DI ESTRAZIONE DEL DNA DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. PARATUBERCOLOSIS DA FORMAGGI DI PECORA Casalinuovo F., Ciambrone L., Musarella R., Allevato F., Corea M., Gentile M., Guarino A. 181 MONITORAGGIO DEI GRANDI ROGHI INCONTROLLATI DI RIFIUTI IN REGIONE CAMPANIA Cavallo S., Esposito M., Pellicanò R., Colarusso G., Rosato G., Guarino A., Caligiuri V., Baldi L., Sarnelli P. 184 MONITORAGGIO SULLA PRESENZA DI CADMIO E PIOMBO NELLE CARNI EQUINE MACELLATE NELLA REGIONE PUGLIA DAL 2010 AL 2012 Chiaravalle A., Pompa C., Miedico O., Tarallo M. 186 VALUTAZIONE DELLA PREVALENZA DI ESCHERICHIA COLI VTEC IN CARCASSE E FECI DI BOVINI MACELLATI IN UMBRIA. Cibotti S., Ercoli L., Farneti S., Zicavo A., Mencaroni G., Scuota S. 188 DETERMINAZIONE QUANTITATIVA MEDIANTE HPLC-MS/MS DI PERFLUOROOTTANO SULFONATO (PFOS) E ACIDO PERFLUOROOTTANOICO (PFOA) IN CEREALI Ciccotelli V., Gili M., Brizio P., Podda M., Abete M.C. 191 VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI CONTAMINANTI ORGANICI PERSISTENTI IN MATRICI ALIMENTARI DI ORIGINE ANIMALE Clausi M.T., Santoro A., Fusco G., Ferrante M.C. 194 ISOLAMENTO DI SALMONELLA ENTERICA SUBSP. HOUTENAE DA DRAGO BARBUTO (POGONA VITTICEPS, AHL 1926) Cocchi M., Di Giusto T., Minorello C., Bellese A., Deotto S., Vascellari M. 197 ANALISI QUANTITATIVA E TOSSINOGENOTIPIZZAZIONE IN CEPPI DI CLOSTRIDIUM PERFRINGENS ISOLATI DAL CONTENUTO INTESTINALE DI BOVINI SANI Cocchi M., Clapiz L., Di Giusto T., De Stefano P., Deotto S., Bacchin C., Bregoli M., Drigo I. 199 C’ERA UNA VOLTA IL QUADERNO DEL DEMATERIALIZZAZIONE Colangeli P., Ruggieri E., Mercante M.T., Ricci L. 201 TECNICO: UN’ESPERIENZA DI PIANO DI MONITORAGGIO DELLA REGIONE CAMPANIA SUI REQUISITI MICROBIOLOGICI DEI PASTI DI ORIGINE ANIMALE SOMMINISTRATI NELLA RISTORAZIONE PUBBLICA E COLLETTIVA: ANALISI PRELIMINARE DEI RISULTATI. Colarusso G., Giannoni A., Peirce E., Pellicanò R., Cavallo S., Caligiuri V., Baldi L. 205 ANALISI DELLA VARIABILITA’ DEL GENE NOD2/CARD15 QUALE MARCATORE DI RESISTENZA/SUSCETTIBILITA’ ALLA PARATUBERCOLOSI BOVINA NELLA RAZZA FRISONA Colussi S., Bertuzzi S., Peletto S., Modesto P., Dondo A., Giorgi I., Goria M., Romano A., Gennero M.S., Bergagna S., Bozzetta E., Varello K., Chiavacci L., Vitale N., Acutis P.L. 208 DIVERSITA’ GENETICA DEL MTDNA D-LOOP MITOCONDRIALE IN BUBALUS BUBALIS Corrado F., Girardi S., Cutarelli A., De Roma A., Coletta A., Guarino A., Galiero G. 211 ANISAKIS SPP. IN SPECIE ITTICHE MARINE DI INTERESSE COMMERCIALE NELLA REGIONE SICILIA: DIFFUSIONE E CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI GENOTIPI RICOMBINANTI Costa A., Martuscelli L., Pisano P., Roccuzzo E., Sciortino S., Di Noto A.M. 214 FIORITURE ALGALI DI ALEXANDRIUM SPP IN IMPIANTI DI MITICOLTURA DELLA REGIONE SICILIA: RISCHI PER LA TOSSICITA’ DA PSP (PARALYTIC SHELLFISH POISON) Costa A., Giacobbe M.G., Cangemi E., Penna A., Borzì S., Alio V., Nicastro L., Rabito A. 217 14 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ISOLAMENTO DI MICROSPORUM COOKEI DA ESEMPLARI DI SCOIATTOLO GRIGIO E SCOIATTOLO ROSSO IN UMBRIA Crotti S., Agnetti F., Tentellini M., Sebastianelli M., Danesi P., Marini C., Papa P., Paoloni D. 219 OGM: MESSA A PUNTO E VALIDAZIONE DI UN SISTEMA MULTI-SCREENING IN FAST PCR REAL-TIME PER LA RILEVAZIONE DI DIVERSE SPECIE VEGETALI Curcio L., Pierboni E., Madeo L., Tovo G., Rondini C. 222 OGM: STUDIO DEI COSTRUTTI T-NOS E CTP2-CP4EPSPS NELLA MESSA A PUNTO E VALIDAZIONE DI UN SISTEMA PCR REAL TIME MULTI-SCREENING Curcio L., Pierboni E., Madeo L., Tovo G., Rondini C. 225 STUDIO DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN TOPI VACCINATI CON BRUCELLA MELITENSIS REV1: PARTE 1 – APPROFONDIMENTI SULLA RISPOSTA ACQUISITA Curina G., Montagnoli C., Paternesi B., Severi G., Forti K., Rizzo G., Cagiola M. 227 STUDIO DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN TOPI VACCINATI CON BRUCELLA MELITENSIS REV1: PARTE 2 – APPROFONDIMENTI SULLA RISPOSTA INNATA Curina G., Montagnoli C., Paternesi B., Severi G., Forti K., Rizzo G., Cagiola M. 231 IMPORTANZA DI UNA CORRETTA IDENTIFICAZIONE TASSONOMICA DI STAFILOCOCCHI COAGULASI POSITIVI Currò V., Piazza A., Persichetti M.F., Galluzzo P., Caracappa S. 235 SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN MODELLO PREDITTIVO PER STIMARE LA CRESCITA DI BACILLUS CEREUS DURANTE IL RAFFREDDAMENTO POST-PASTORIZZAZIONE DEL MASCARPONE Daminelli P., Cosciani Cunico E., Fierro A., Finazzi G., Bertasi B., Dalzini E., Varisco G. 237 DEFINIZIONE DEI LIVELLI DI ALCUNI PARAMETRI DI IMMUNITÀ INNATA NELLA SPECIE BUFALINA De Carlo E., Martucciello A., Schiavo L., Vecchio R., Palermo P., Guarino A., Amadori M. 240 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI PCV2 NEI SUINI SELVATICI E DOMESTICI IN SARDEGNA Dei Giudici S., D’Avino C., Salaris A.A., Sulas A., Madrau M.P., Sanna M.L., Oggiano A. 243 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI ALCUNI CEPPI DI PARVOVIRUS CANINO CIRCOLANTI IN SARDEGNA Dei Giudici S., Cubeddu T., Giagu A., Rocca S., Cadalanu R., Balzano F., Oggiano A. 246 OSSERVAZIONI PRELIMINARI SU ISOLAMENTI DI ESCHERICHIA COLI PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINE IN PIEMONTE IN UNGULATI SELVATICI D’Errico V., Giorgi I., Perosino M., Sant S., Grattarola C., Mei D., Perruchon M., Di Gregorio V., Goria M., Radaelli C., Chiavacci L., Dondo A., Zoppi S. 249 RICERCA DI CALICIVIRUS E VIRUS DELL’EPATITE E IN SUINI CON DIARREA Di Bartolo I., Angeloni G., Tofani S., Ponterio E., Maione E., Marrone R., Cortesi M.L., Ostanello F., Ruggeri F.M. 252 EFFETTO DELL’EMOLISI SULLA QUANTIFICAZIONE DELLE PRINCIPALI SIEROPROTEINE DEL SUINO Di Martino G., Stefani A.L., Gagliazzo L., Gabai G., Signor F., Bonfanti L. 255 RILEVAMENTO DI E. COLI E COLIFORMI IN ACQUE MINERALI NATURALI IMBOTTIGLIATE MEDIANTE METODO INNOVATIVO Di Pasquale S., De Medici D. 258 STUDIO SU ALCUNI NEMATODI GASTROINTESTINALI (SPIRURIDA) DEI RAPACI DIURNI (FALCONIFORMES AND ACCIPITRIFORMES) E NOTTURNI (STRIGIFORMES) IN CALABRIA: DIVERSITÀ, SPECIFICITÀ ED EFFETTO PATOGENO Di Prisco F., D’Alessio N., Degli Uberti B., Guarino A., Veneziano V., Troisi S., Santoro M. 260 15 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 AGENTI MASTIDOGENI DEL BOVINO IN VALLE D’AOSTA: RISULTATI DEL PIANO DI MONITORAGGIO CONDOTTO NEL TRIENNIO 2009-2011 Domenis L., Doglione L., Orusa R., Gallina S., Bianchi D.M., Vevey M., Vitale N., Dezzutto D., Gennero S., Bergagna S. 263 CONFRONTO DI METODI MICROBIOLOGICI E BIOMOLECOLARI PER LA RICERCA DI ESCHERICHIA COLI O:157 DA FECI DI BOVINI MACELLATI IN UMBRIA. Ercoli L., Cibotti S., Magistrali C.F., Scuota S., Tentellini M., Cucco L., Farneti S. 266 MONITORAGGIO DI PCDD/F E PCB-DIOSSINA SIMILI IN AZIENDE ZOOTECNICHE Esposito M., Serpe F.P., Cavallo S., Colarusso G., Rosato G., Neri B., Ubaldi A., Caligiuri V., Rocca R., Sarnelli P., Guarino A., Baldi L. 268 GESTIONE DELLA CONFORMITA’ DEL DATO: PERCORSO E RISULTATI DELL’IZS UMBRIA E MARCHE Faccenda L., Olivieri E., Biasini G., Berretta C., Tonazzini S., Saccoccini R., Mingolla A. 272 VALUTAZIONE DEL BENESSERE ANIMALE NELL’ ALLEVAMENTO DEI VITELLI BUFALINI IN RELAZIONE ALLE TECNICHE DI SVEZZAMENTO E ALLA CORTISOLEMIA Fagiolo A., Ruggeri M.T., Dionisi L., Cavallina R. 278 MONITORING OF GROUPS A AND D AVIAN ROTAVIRUSES IN ITALIAN POULTRY FLOCKS Falcone E., Monini M., Canelli E., Lavazza A., Ruggeri F.M. 279 EPIDEMIOLOGIA DELL’ANTRACE IN BANGLADESH E NEPAL Fasanella A., Di Taranto P., Hossain M., Shamsuddin M., Joshi D., Hugh - Jones M. 281 VALUTAZIONE DEL RISCHIO ANISAKIASI NELLE PREPARAZIONI GASTRONOMICHE CONTENENTI PRODOTTI DELLA PESCA DESTINATI AD ESSERE CONSUMATI CRUDI: RISULTATI PRELIMINARI DI UN PIANO DI MONITORAGGIO DIPARTIMENTALE IN CAMPANIA MEDIANTE METODO DIGESTIVO Fraulo P., Morena C., Costa A., Guarino A., Improta A., De Carlo E. 283 VALIDAZIONE DI DUE METODI DI PROVA IMMUNOENZIMATICI (ELISA) PER LA RICERCA DI ALLERGENI NEGLI ALIMENTI Gagliardi R., Biondi L., Esposito M., Guarino A., Nava D. 285 VALUTAZIONE DEL RISCHIO PER LA PRESENZA DI CONTAMINANTI CHIMICI NEL LATTE DI BUFALA DELLA CAMPANIA Gallo P., La Nucara R., Salini M., Hauber T., De Crescenzo M., Guadagnuolo G., Rossini U., Urbani V., Maglio P., Bianco R., Guarino A., Serpe L. 287 DETERMINAZIONE DI MICROCISTINE IN INTEGRATORI A BASE DI ALGHE MEDIANTE LC/ESI-MS/MS IN TRAPPOLA IONICA Gallo P., Fabbrocino S., Serpe L., Guarino A. 289 METODO MULTI-RESIDUO PER LA DETERMINAZIONE DEGLI ANTI-INFIAMMATORI NON STEROIDEI IN MUSCOLO MEDIANTE LC/ESI-QTRAP-MS/MS Gallo P., Salini M., Guadagnuolo G., Danese V., Guarino A., Serpe L. 293 VALUTAZIONE DEI RISULTATI DELL’INTRADERMOTUBERCOLINIZZAZIONE (IDT) E DI DUE KIT ELISA GAMMA INTERFERON DISPONIBILI IN COMMERCIO, IN UN FOCOLAIO CONCLAMATO DI TUBERCOLOSI BUFALINA. Gamberale F., Barlozzari G., Scaramella P., Volpi C., Maggiori F., Saralli G. 296 L’IMPORTANZA DEL MONITORAGGIO DI LISTERIA Garofalo F., Pesce A., Salzano C., Cioffi B., Romano M., Guarino A. 298 16 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI BRUCELLA ABORTUS E BRUCELLA MELITENSIS ISOLATI IN ITALIA MEDIANTE MLVA-16 LOCI E MULTICOLOR CAPILLARY ELECTROPHORESIS Garofolo G., Ancora M., D’Emidio F., Zilli K., Cammà C., Di Giannatale E. 301 VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE ANALITICHE DI UN METODO RAPIDO DI REAL TIME PCR PER LA DETERMINAZIONE DI LISTERIA MONOCYTOGENES NELLA CARNE DI MAIALE Gattuso A., Delibato E., Sonnessa M., De Medici D., Rodríguez-lázaro D., Gianfranceschi M.V. 304 STUDIO DI UN PROTOCOLLO SPERIMENTALE ATTO AL MANTENIMENTO DELLA VITALITÀ DEI LINFOCITI RESPONSABILI DELLA PRODUZIONE DI IFN- G IN CAMPIONI DI SANGUE INTERO NELLA DIAGNOSI DELLA TUBERCOLOSI BOVINA Gerace E., Fiasconaro M., Rappazzo E., Russo M., Aronica V., Cicero P., Amato B., Vitale M., Di Marco Lo Presti V. 306 DIAGNOSI DI AGENTI MASTIDOGENI IN BOVINE CON MASTITE CLINICA Giacinti G., Sagrafoli D., Rosa G., Marri N., Carfora V., Bovi E., Tammaro A., Amatiste S. 308 METALLI PESANTI (CADMIO, PIOMBO, MERCURIO) IN TRANCI DI XIPHIAS GLADIUS Giangrosso G., Billone E., Malara C., Cicero A., Currò V., Grippi F., Accardo M.F., Ferrantelli V. 310 AVVELENAMENTO DA METALDEIDE: DETERMINAZIONE MEDIANTE GC-MS IN CARCASSE DI CANI DELLA REGIONE SICILIA NEL TRIENNIO 2009-2011. Giangrosso G., Vella A., Grippi F., Lo Monaco D., Cicero A., Ferrantelli V. 312 SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO DI SCREENING PER LA RICERCA DI CHINOLONI NELLE UOVA MEDIANTE HPLC-FLD Gili M., Stella P., Ostorero F., Olivo F., Podda M., Abete M.C. 314 INDAGINE SULLE CAUSE INFETTIVE DI ABORTO NEI BOVINI IN PIEMONTE Giorgi I., Grattarola C., Goria M., Garrone A., D’Errico V., Perosino M., Zoppi S., Dondo A. 317 ANALISI FILOGENETICA DI OVHV-2 ISOLATI IN PIEMONTE Grattarola C., Decaro N., Amorisco F., Dondo A., Giorgi I., Varello K., Casalone C., Masoero L., Crescio M.I., Trisorio S., Peletto S., Acutis P.L. 320 ANTIGENI RICOMBINANTI PER LA DIAGNOSI DI BRUCELLOSI NEL BOVINO Greco M.F., Ventrella G., Desario C., Vesco G., Villari S., Buonavoglia D., Corrente M. 323 RIVALIDAZIONE DI METODICHE BIOMOLECOLARI PER ANALISI DIAGNOSTICHE: TAQ POLIMERASI A CONFRONTO Guerrini E., Gigli A., Nardelli S., Ceglie L. 326 SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO RADIOCHIMICO PER LA DETERMINAZIONE DI STRONZIO-90 NEI PRODOTI CARNEI ED ITTICI MEDIANTE SCINTILLATORE LIQUIDO AD ULTRA BASSO FONDO Iammarino M., Dell’Oro D., Bortone N., Chiaravalle A.E. 328 NOROVIRUS ED HAV IN MOLLUSCHI BIVALVI VIVI NELLA REGIONE PUGLIA La Salandra G., D’Alessandro M., Galante D., Goffredo E., Di Pinto A., Cafiero M.A., Chiocco D. 331 VALUTAZIONE DI ALCUNI PARAMETRI EMATOCHIMICI IN VITELLI BUFALINI CON RIFERIMENTO ALLA NORMATIVA PER LA TUTELA DEL BENESSERE ANIMALE Lai O., Roncoroni C., Alfieri L., Cavallina R., Fagiolo A. 334 17 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 PSEUDOMONAS AERUGINOSA QUALE RESPONSABILE DI MASTITI OVINE: VALUTAZIONE DEI PROFILI DI PATOGENICITÀ IN ISOLATI PROVENIENTI DA ALLEVAMENTI DI DIVERSE AREE DELLA SARDEGNA. Liciardi M., Pinna A., Boboi S., Pateri L., Orrù G. 336 SALMONELLE ISOLATE IN SARDEGNA NEL PERIODO 1995-2011 DA ANIMALI E ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE Lollai S.A., D’Ascenzo V., Bandino E., Cabras P., Carboni G.A., Carusillo F., Cogoni P., Liciardi M., Manunta D., Vidili A., Virgilio S., Azara A., Barco L. 339 RISCONTRI DI POSITIVITÀ DA BIOTOSSINE ALGALI DEL TIPO P.S.P. (PARALYTIC SHELLFISH POISON) IN MITILI ALLEVATI NELLE ZONE DI OLBIA E DI ORISTANO (SARDEGNA) E FIORITURE DI ALEXANDRIUM MINUTUM ED ALEXANDRIUM CATENELLA NEGLI ANNI 2002-2012 Lorenzoni G., Arras I., Bazzardi R., Sanna G., Muzzigoni C., Pes A.M., Marongiu E., Virgilio S. 341 NOROVIRUS NEI PRODOTTI DELLA PESCA: NOVE ANNI DI MONITORAGGIO IN ITALIA Losio M.N., Pavoni E., Consoli M., Saetti F., Suffredini E., Serracca L., Battistini R., Rossini I., Arcangeli G., Croci L. 344 INFEZIONE NATURALE DA NEOSPORA CANINUM NELLA VACCA DA LATTE: RISULTATI DI UN ANNO DI STUDIO Lucchese L., Zuliani F., Biz R., Marchione S., Gagliazzo L., Natale A. 347 SVILUPPO DI UN TEST IMMUNOBLOTTING CHEMILUMINESCENTE PER LA DIAGNOSI DI MORBO COITALE MALIGNO Luciani M., Di Pancrazio C., Di Febo T., Tittarelli M., Podaliri Vulpiani M., Puglielli M.O., Naessens J., Sacchini F. 350 IMPIEGO DI UN ANTICORPO MONOCLONALE PER LA RICERCA DI MYCOPLASMA MYCOIDES SUBSP. MYCOIDES MEDIANTE METODICA IMMUNOISTOCHIMICA Luciani M., Armillotta G., Manna L., Ciarelli A., Di Febo T., Sacchini F., Pini A., D’Angelo A.R. 353 USO DEL TEST FPA NELLA DIAGNOSTICA DELLA BRUCELLOSI ANIMALE Lucifora G., Riccelli E., Arturi G., Gentile M., Casalinuovo F., Guarino A. 356 LISTERIA MONOCYTOGENES: INCIDENZA DI UN PATOGENO IN OVI-CAPRINI DECEDUTI IN ALLEVAMENTO. Lucifora G., Riverso C., Macrì N., Casalinuovo F., Parisi A., Guarino A. 358 UTILIZZO DEI CIRCUITI INTER-LABORATORIO NELL’AMBITO DEL SISTEMA DI GESTIONE DELLA QUALITA (SGQ) IN UN LABORATORIO DI CHIMICA ANALITICA Maddaluno F., Serpe F.P., Gallo P., Soprano V., Esposito M., Tagariello T., Guarino A., Serpe L. 360 OGM: SVILUPPO DI UNA METODICA RAPIDA PER LA TRACCIABILITA’ DELLA PATATA SU MATRICI AGROALIMENTARI SEMPLICI E COMPLESSE Madeo L., Pierboni E., Curcio L., Tovo G., Gabrielli F., Rondini C. 364 SCREENING RAPIDO PER LA DETERMINAZIONE DI KLEBSIELLA SPP. MULTIRESISTENTI DA CAMPIONI ANIMALI Mandalà S., Galuppo L., Marineo S., Conaldi P.G., Caracappa S. 367 GENOTIPIZZAZIONE DI CHLAMYDIA PSITTACI E CHLAMYDIA ABORTUS MEDIANTE L’ANALISI MLVA Manfredini A., Petasecca D., Labalestra I.R., Bellotti M.A., Fabbi M., Magnino S., Vicari N. 369 18 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 STUDIO PER LA QUANTIFICAZIONE DELLE PROTEINE ANIMALI TRASFORMATE NEI MANGIMI MEDIANTE L’UTILIZZO DELLA MICROSCOPIA FT-NIR Marchis D., Amato G., Poma Genin E., Podda M., Abete M.C. 371 EXCURSUS SULLA SCRAPIE: ANALISI DEI FOCOLAI UMBRI 2001-2011 Maresca C., Morelli A., Scoccia E., Sebastiani C., Ciullo M., Biagetti M. 374 CINETICA PLASMATICA E RESIDUI DI EPRINOMECTINA IN LATTE DI ASINE TRATTATE POUR-ON Marrone R., Smaldone G., Veneziano V., Chirollo C., Anastasio A., Gokbulut C. 376 INFEZIONE DA VIRUS WEST NILE: PROTOCOLLI IMMUNOISTOCHIMICI A CONFRONTO NEL MODELLO MURINO Marruchella G., Di Francesco G., Vita S., Portanti O., Marini V., D’Angelo A.R., Savini G. 379 TIPIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI ESCHERICHIA COLI O157 PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA: ANALISI RETROSPETTIVA DI CEPPI ISOLATI IN ITALIA NEL PERIODO 1989-2011 Maugliani A., Tozzoli R., Minelli F., Marziano M.L., Scavia G., Caprioli A., Morabito S. 382 VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. PARATUBERCULOSIS IN REFLUI ZOOTECNICI UTILIZZATI PER LA PRODUZIONE DI BIOGAS: DATI PRELIMINARI Mazzone P., Corneli S., Ciullo M., Maresca C., Scoccia E., Sensi M., Papa P., Costarelli S., Caporali A., Fumanti P., Curina G., Scotoni R., Marconi R., Arrigoni N. 385 DESCRIZIONE DI UN CASO DI INSULINOMA NEL CANE: ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI ED ISTOLOGICI. Mazzotta E., Milani C., Carminato A., Corrò M. 388 LA RISTORAZIONE COLLETTIVA: STUDIO DELLE PROBLEMATICHE SANITARIE ASSOCIATE ALLE ALLERGIE Meletti F., Merigo D., Kaware Y., Peroni S., Andreoli M., Pavoni E., Losio M.N., Maccabiani G., Mioni R., Bertasi B. 390 IDENTIFICAZIONE MORFOLOGICA E MOLECOLARE DELLA FLORA FUNGINA ISOLATA DA SALAMI TRADIZIONALI DELLA PROVINCIA DI PAVIA Merla C., Andreoli G., Vicari N., Dalla Valle C., Cavanna C., Manfredini A., Pajoro M., Guglielminetti M.L., Biancardi A., Fabbi M. 392 REPORT DATI RISTORAZIONE COLLETTIVA: IL CONTROLLO DELLE MENSE SCOLASTICHE E OSPEDALIERE NELL’ANNO 2011 Migliazzo A., Lanzino R., Gentile M.S., Iannitelli R., Scatassa M.L., Cardamone C. 395 SVILUPPO DI UNO STANDARD INTERNAZIONALE PER LA RICERCA DI VTEC NEGLI ALIMENTI: ISO TS 13136 Minelli F., Ferreri C., Babsa S., Tozzoli R., Marziano M.L., Caprioli A., Morabito S. 396 INDAGINE SULLA GESTIONE SANITARIA DEI GIARDINI ZOOLOGICI IN ITALIA Modesto P., Biolatti C., Maroni Ponti A., Zacchia C., Barbarino G., Caramelli M., Acutis P.L. 399 IL CONTROLLO SANITARIO NELLE IMPRESE DELLA RISTORAZIONE COLLETTIVA NELLA PENISOLA SORRENTINA: RISULTATI PRELIMINARI Mollica D., Esposito V.V., Vanni R., Castellano F.S., Rapesta V., Fusco G. 401 DIETE SPECIALI NELLA RISTORAZIONE SCOLASTICA: GESTIONE DEL RISCHIO E CRITICITÀ Morena V., Scognamiglio U., Ermenegildi A., Saccares S. 403 19 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 MYCOBACTERIUM BOVIS SUBSP. CAPRAE IN REGIONE PIEMONTE: CASE REPORT Nappi R., Ferraro G., Giorgi I., Varello K., D’Errico V., Bozzetta E., Zoppi S., Goria M., Dondo A. 405 VALIDAZIONE PRELIMINARE DI UN ELISA COMPETITIVA IN FASE SOLIDA PER LA RICERCA DI ANTICORPI NEI CONFRONTI DEL VIRUS DELLA WEST NILE DISEASE (WNDV) IN SIERI EQUINI Nardini R., Autorino G., Caprioli A., De Simone F., Frontoso R., Lelli D., Rosone F., Scicluna M.T. 408 VALUTAZIONE DI ALCUNE PERFORMANCE DIAGNOSTICHE DI KIT ELISA PER LA DIAGNOSI SIEROLOGICA DI ANEMIA INFETTIVA EQUINA (AIE) Nardini R., Scicluna M.T., Terregino C., Mandola M.L., Cavaliere N., Cordioli P., Fusco G., Purpari G., Angioni A., Panzieri C., Manca M., Autorino G. 411 PCR END-POINT PER LA DETERMINAZIONE DI Y.ENTEROCOLITICA PRESUNTA PATOGENA IN MATRICI VEGETALI CRUDE: VALIDAZIONE SECONDO ISO 16140:2003 Nogarol C., Gallina S., Musicanti P., Bianchi D.M., Buonincontro G., Fragassi S., Corvonato M., Zuccon F., Ramon E., Bertasi B., Losio M.N., Decastelli L. 415 VALIDAZIONE DI UN METODO MOLECOLARE ALTERNATIVO PER LA RICERCA SIMULTANEA DI MICRORGANISMI PATOGENI DA ALIMENTI: TECNICA COLTURALE E PIATTAFORMA MULTIPATHOGEN A CONFRONTO Omiccioli E., Lazzarini S., Fagiolino I., Del Baldo F., Canini R., Magnani M. 418 VALUTAZIONE DI UN METODO ALTERNATIVO PER LA NUMERAZIONE DI BATTERI LATTICI IN FORMAGGIO PECORINO Ortenzi R., Scoccia E., Bazzucchi V., Benda S., Roila R., Valiani A., Scuota S. 422 EVOLUZIONE SIMIL-EPIDEMICA DI FOCOLAI DI CARBONCHIO EMATICO IN BASILICATA E CAMPANIA. Palazzo L., De Carlo E., Aceti A., Palazzo L., De Carlo E., Aceti A., Guarino A., Quaranta V., Francia M., Adone R., Fasanella A. 425 STUDIO PRELIMINARE PER UN APPROCCIO ALL’ANALISI DEL RISCHIO MICROBIOLOGICO DEGLI ALIMENTI: RISULTATI DEI CONTROLLI UFFICIALI SVOLTI IN REGIONE CAMPANIA NEL TRIENNIO 2009-2011 Peirce E., Pellicanò R., Colarusso G., Caligiuri V., Baldi L., Guarino A. 427 STUDIO PRELIMINARE PER UN APPROCCIO ALL’ANALISI DEL RISCHIO CHIMICO DEGLI ALIMENTI: RISULTATI DEI CONTROLLI UFFICIALI SVOLTI IN REGIONE CAMPANIA NEL TRIENNIO 2009-2011 Pellicanò R., Peirce E., Colarusso G., Caligiuri V., Nappo C., Baldi L., Guarino A. 430 VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE DI UN TERRENO COLTURALE SELETTIVO PER L’IDENTIFICAZIONE DI E. COLI STEC NON O157 Perosino M., Bossotto T., Zoppi S., Angelillo M., Milanesio A., Gemmato A., Callipo M.R., Nappi R., Dondo A. 433 IDENTIFICAZIONE DI GERMI MASTITOGENI E PROFILI DI ANTIBIOTICO-RESISTENZA IN CEPPI ISOLATI DA LATTE MASTITICO Pesce A., Garofalo F., Coppa P., Salzano C., Cioffi B., De Marco G., Guarino A. 437 TIPIZZAZIONE OGM: MESSA A PUNTO E VALIDAZIONE DI METODI IN FAST PCR REAL-TIME Pierboni E., Curcio L., Madeo L., Tovo G., Rondini C. 440 OGM: SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO RAPIDO DI ESTRAZIONE DI DNA DAL RISO Pierboni E., Madeo L., Curcio L., Tovo G., Rondini C. 442 20 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 SVILUPPO DI UN SISTEMA INNOVATIVO BASATO SU BIOSENSORI A MICROCANTILEVER PER LA RILEVAZIONE DEL 17B-ESTRADIOLO NEL MUSCOLO E SIERO BOVINO Pitardi D., Pezzolato M., Gili M., Perazzini A.Z., Di Corcia D., Ciprianetti N., Ferrante I., Santoro K., Ricciardi C., Bozzetta E. 446 INDIVIDUAZIONE DI FOCOLAI DI LEPTOSPIROSI IN DUE CANILI DELLA SARDEGNA Ponti M.N., Canu M., Cocco R., Palmas B., Noworol M., Ruiu A., Briguglio P., Piredda I. 449 I CULICIDI VETTORI DI FLAVIVIRUS: ATTIVAZIONE DI UN PIANO DI SORVEGLIANZA ENTOMOLOGICA IN PIEMONTE Prearo M., Pautasso A., Radaelli M.C., Vitale N., Bertolini S., Desiato R., Mosca A., Dottori M., Dondo A., Mandola M.L., Rizzo F., Maurella C., Casalone C., Chiavacci L. 452 SVILUPPO DI UNA METODICA SYBR-GREEN REAL TIME PCR PER L’IDENTIFICAZIONE DI MYCOPLASMA AGALACTIAE Puleio R., Macaluso G., Ciprì V., Prudente C., Tamburello A., Loria G.R. 456 UTILIZZO E SVILIPPO DI UN TEST DI PCR REAL TIME CON SISTEMA GENEDISC® PER LA RICERCA DI GENI PRODUTTORI DI NEUROTOSSINE GENERE CLOSTRIDIUM Quarti C., De Santis A. 458 SU UN CASO DI INFESTAZIONE DA ORNITHONYSSUS BACOTI IN MUS MUSCULUS IN UN CANILE-RIFUGIO IN ITALIA (PUGLIA) Raele D.A., Chiocco D., Galante D., Mancini G., Cafiero M.A. 461 MONITORAGGIO DI MASTITI CONTAGIOSE DA S. AUREUS MEDIANTE SISTEMI MOLECOLARI INNOVATIVI: RISULTATI PRELIMINARI DEL PROGETTO MASTFIELD Raschetti M., Cremonesi P., Pozzi F., Capra E., Rossini S., Castiglioni B., Vezzoli F., Luini M. 465 DIAGNOSI DI GIARDIA DUODENALIS NEGLI ANIMALI E NELL’UOMO NEL CENTRO/ SUD ITALIA Rinaldi L., Maurelli M.P., Alfano S., Musella V., Cringoli G. 468 IDENTIFICAZIONE DEI SITI DI GLICOSILAZIONE DELLA GP51 DEL VIRUS DELLA LEUCOSI ENZOOTICA BOVINA Rizzo G., Forti K., Cagiola M., Ferrante G., De Giuseppe A. 469 MOLECULAR DIFFERENTIATION OF MYCOPLASMA GALLISEPTICUM STRAINS. Rodio S., Battanolli G., Fincato A., Baldasso E., Catania S. 472 PREVALENZA E FATTORI DI RISCHIO ASSOCIATI ALLA POSITIVITA’ VERSO L’ HERPESVIRUS CAPRINO NEL TERRITORIO DEL PIEMONTE Rosamilia A., Bertolini S., Caruso C., De Marco L., Andrà M., Pitti M., Quasso A., Ru G., Masoero L. 474 INDAGINE DI PREVALENZA DEL VIRUS DELL’EPATITE E (HEV) IN ALLEVAMENTI SUINICOLI DEL PIEMONTE Rosamilia A., Caruso C., Vitale N., Chiavacci L., Peletto S., Modesto P., Acutis P.L., Messana E., Gobbi E., Origlia S., Sona B., Masoero L. 477 MESSA A PUNTO DI METODICHE DI BIOLOGIA MOLECOLARE PER LA RICERCA DI CIANOBATTERI Sabatucci G., Zanardini N., Berta V., D’Ippolito N., Coffinardi F., Titola M., Fusini F., D’Amico S., Bertasi B. 480 21 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 DETERMINAZIONE DI PARAMETRI CHIMICI MEDIANTE TECNOLOGIA NIR (FOODSCAN™ DAIRY ANALYSER) IN CAMPIONI DI FORMAGGIO “CACIOCAVALLO PALERMITANO” Scatassa M.L., Miraglia V., Carrozzo A., Ducato B., Lazzara F., Lo Dico G., Todaro M., Mancuso I. 482 VALUTAZIONE DEI PARAMETRI DI IGIENE DI PROCESSO IN CARCASSE DI BOVINI MACELLATI NELLA REGIONE UMBRIA Scuota S., Zicavo A., Ercoli L., Bazzucchi V., Scorpioni V., Bonanno S., Cambiotti V., Mencaroni G. 484 DETERMINAZIONE RAPIDA DI PESTICIDI FOSFORATI E METABOLITI IN FRUTTA E VERDURA MEDIANTE LC/ESI-QTRAP Serpe F.P., Esposito M., Gallo P., Guarino A., Serpe L. 487 INDAGINI POST-MORTEM SU TARTARUGHE MARINE SPIAGGIATE (CARETTA CARETTA) LUNGO LE COSTE LIGURI (2010-2011) Serracca L., Rossini I., Battistini R., Cencetti E., Prearo M., Mignone W., Tittarelli C., Goria M., Sant S., Ercolini C. 490 PROTOCOLLO SPERIMENTALE PER IL CONTROLLO DELLO STATO SANITARIO E DI BENESSERE DI ANIMALI UTILIZZATI IN INTERVENTI ASSISTITI DAGLI ANIMALI IN PIEMONTE Soncin A.R., Bergagna S., Catalano D., Petruccelli G., Dezzutto D., Mellia E., Dondo A. 492 PIOMBO E CADMIO: SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO IN ICP-MS NEGLI ALIMENTI DI ORIGINE VEGETALE Squadrone S., Gavinelli S., Pellegrino M., Tarasco R., Brizio P., Podda M., Abete M.C. 494 BRUCELLOSI-ATTIVITÀ DI MONITORAGGIO DEI CEPPI CIRCOLANTI NEL CENTRO DELLA SICILIA Stancanelli A., Agnello S., Piraino C., Caracappa S., Campo F. 496 INDAGINE SULLA PRESENZA DI SALMONELLA IN CETACEI SPIAGGIATI SULLE COSTE TOSCANE: DATI PRELIMINARI Terracciano G., Eleni C., Cocumelli C., Tolli R., Franco A., Fischetti R., Stefanelli S., Susini F., Fichi G. 498 MICOBATTERIOSI NEL CINGHIALE: STUDIO DI FENOMENI DI ANTIBIOTICO-RESISTENZA IN PROVINCIA DI IMPERIA Tittarelli C., Zoppi S., Dondo A., D’Errico V., Giorgi I., Perosino M., Lanfranchi P., Mignone W. 502 EPISODIO DI GRAVE ENTERITE AD EZIOLOGIA VIRALE MULTIPLA IN CUCCIOLI DI CANE IMPORTATI DALL’EST EUROPA Toffan A., Mazzariol S., Povinelli M., Trovò G., Terregino C., Bernardini D., Corrò M. 504 LESIONI RENALI DA MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. AVIUM NEL SUINO: ASPETTI ANATOMO-ISTOPATOLOGICI E SIGNIFICATO DIAGNOSTICO Varello K., Dondo A., Richelmi G., Bozzetta E., Perosino M., D’Errico V., Goria M., Giorgi I., Zoppi S. 506 STANDARDIZZAZIONE DEI QUADRI ISTOPATOLOGICI E VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE DELL’ESAME ISTOPATOLOGICO NELLA DIAGNOSI DI TUBERCOLOSI NEI CINGHIALI Varello K., Bozzetta E., Zoppi S., Rossi F., Dondo A., Pezzolato M., Goria M., Ferraro G., Chiavacci L., Vitale N., Mignone W., Robetto S., Orusa R., Domenis L. 509 22 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 TOXOPLASMA GONDII: RISULTATI DI UNA INDAGINE SIEROLOGICA IN ASINI DEL SUD ITALIA Veneziano V., Mariani U., Fusco G., Di Prisco F., D’Alessio N., Guarino A., Piantedosi D., Sedlak K., Machacova T., Bartova E. 512 IDENTIFICAZIONE DI CPV-2A, CPV-2B,CPV-2C IN CANI CON PARVOVIROSI IN CAMPANIA Viscardi M., Brandi S., Cerrone A., Guarino A., Galiero G., Fusco G. 515 LA VARIABILITA’ GENETICA DELLA POPOLAZIONE BOVINA SICILIANA: ANALISI DI UN PANNELLO STANDARDIZZATO DI MICROSATELLITI Vitale F., Reale S., Lupo T., Cosenza M., Migliazzo A., Bivona M., De Maria C., Caracappa S. 517 SCREENING SIEROLOGICO E MOLECOLARE PER T. GONDII IN ANIMALI DA PRODUZIONE ED IN CAMPIONI DI CARNE, IN SICILIA. Vitale M., Agnello S., Giangrosso G., Vicari D., Salina F., Ferrantelli V., Di Marco Lo Presti V. 520 VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA ATMOSFERE ESPLOSIVE (ATEX) Vitelli B.R., Sini S., Saezza M.E., Cenci F., Severini S. 523 STRESS OSSIDATIVO IN SANITA’ ANIMALE: CONFRONTO DEI LIVELLI DI RADICALI LIBERI TRA CANI SANI E MALATI Vito G., Ratto A., Bassi A.M., Ratto S., Cosma V., Campanella C., Ferrari A. 525 PROGRAMMA DI CONTROLLO ISPIRATO AI PRINCIPI DELL’HACCP NELLA PRODUZIONE PRIMARIA: RISULTATI PRELIMINARI Zanardi G., Finazzi G., Daminelli P., Bonometti G., Losio N. 529 NECROSI DEL PIEDE NEL BOVINO DA CARNE: STUDIO PRELIMINARE SUGLI AGENTI BATTERICI IMPLICATI Zoppi S., Miciletta M., Giorgi I., Perosino M., D’Errico V., Monnier M., Grattarola C., Carlino F., Pinto L., Goria M., Bima A., Dondo A. INDICE DEGLI AUTORI 531 535 23 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 24 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Letture plenarie, comunicazioni orali 25 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISULTATI PRELIMINARI DI UNA CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE DEL RISCHIO SVOLTA PRESSO SCUOLA PRIMARIA SUGLI ALLERGENI PRESENTI NEL CIBO SOLITAMENTE CONSUMATO DAI BAMBINI Bagni M.*[1], Ventura E.[2], Bianchi D.M.[2], Vencia W.[2], Mascarello G.[3], Crovato S.[3], Ravarotto L.[3], Decastelli L.[2] Keywords: Risk-communication, Food allergens, Children Ministero della Salute ~ Roma, [2]Istituto Zooprofilattico Sperimentale Piemonte Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino, [3] Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Legnaro, Padova [1] queste ha riguardato l’elaborazione di due testi teatrali e la realizzazione di schede specifiche sugli allergeni alimentari adeguate per linguaggio e forma, ai bambini di 8-10 anni (4). Una rappresentazione è stata effettuata a Roma presso il Plesso scolastico Anna Magnani da bambini di IV elementare. Un’altra attività è stata la realizzazione di un seminario rivolto agli insegnati, durante il quale sono state fornite informazioni scientifiche riguardo il rischio delle allergie alimentari nei bambini, e materiali didattici per gli studenti. Nei mesi precedenti la rappresentazione gli insegnanti hanno potuto usare le schede fornite per stimolare i bambini a modificare i propri comportamenti nei confronti degli alimenti, soprattutto quelli potenzialmente allergenici. I contenuti delle rappresentazioni teatrali sono state dedicati alla descrizione di momenti quotidiani della vita dei bambini in cui questi vengono in contatto con potenziali allergeni. Una particolare attenzione è stata dedicata alle tematiche bioetiche (3) e del rispetto verso l’altro, una tale tematica ha cominciato a imporsi nelle classi dei bambini che erano nel target. SUMMARY: An awareness campaign has been developed in a primary school on allergens in the frame of a project funded by the Ministry of Health. Children and their family were the target of the campaign due to the fact that the childwood is the age where most frequently allergenic problems arise. In this paper are described some important preliminary results of the campaign. INTRODUZIONE: Il Progetto coordinato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, dal titolo “Messa a Punto di Dispositivi Nanotecnologici (Biosensori) per il Rilevamento di Allergeni in Alimenti di Origine Animale e Vegetale”, è una ricerca molto vasta finanziata nell’ambito della Ricerca Finalizzata del ministero della salute che si avvale di un ampio consortio di partner: la Rete degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, l’Università del Piemonte Orientale, il Politecnico di Torino, l’Istituto Superiore di Sanità, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Azienda Ospedaliera Maggiore della Carità di Novara con annessa la Rete Allergologica della Regione Piemonte. Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha dato il suo patrocinio e il supporto istituzionale per raggiungere le scuole a livello regionale. Il Dipartimento della Sanità Pubblica Veterinaria, della Sicurezza Alimentare e degli Organi Collegiali per la Tutela della Salute, consapevole della necessità di sviluppare e migliorare le capacità di comunicazione del rischio a livello territoriale ha coordinato le attività di comunicazione. La campagna di comunicazione ha visto come target finale la popolazione maggiormente a rischio (bambini di 8-10 anni e famiglie) allo scopo di aumentarne la conoscenza rispetto agli allergeni contenuti nel cibo che solitamente consumanoallo scopo di ridurne l’esposizione ai fattori di rischio (1; 2; 3). RISULTATI E CONCLUSIONI: LA SCUOLA E LE ALLERGIE ALIMENTARI. Attraverso la realizzazione di 3 focus group sono state indagate le percezioni e le opinioni degli insegnanti circa la gestione delle allergie alimentari a scuola. Ai focus hanno preso parte 24 insegnati dai quali è emerso un condiviso ed elevato interesse rispetto alla tematica trattata. Solamente gli insegnati di Roma si sono dichiarati abbastanza preparati sulla questione degli allergeni, mentre a Torino e Palermo è emersa una scarsa conoscenza e familiarità con la problematica. I principali bisogni informativi maggiormente condivisi dai partecipanti sono: la necessità di conoscere la differenza tra allergia e intolleranza, ricevere una maggiore conoscenza sui cibi più a rischio, ottenere indicazioni su come riconoscere la reazione allergica, approfondire le specifiche allergie maggiormente presenti tra gli studenti e ricevere alcune nozioni per la gestione delle emergenze a scuola. Infine dai focus sono emerse informazioni rilevanti anche rispetto al rapporto tra i bambini e le allergie. In particolare gli insegnanti ritengono che i bambini allergici sono a conoscenza della problematica e si comportano in maniera responsabile; non emergono particolari problemi tra il bambino allergico e i compagni tuttavia emerge l’esigenza degli insegnanti di far accettare ai bambini i limiti che possono derivare dall’essere allergici. MATERIALI E METODI: Metodiche di ricerca sociale qualitative e quantitative sono state applicate al fine di studiare le percezioni e le conoscenze sulla tematica delle allergie alimentari di insegnanti di scuola primaria, dei responsabili della salute all’interno della scuola e delle famiglie. L’approccio qualitativo è stato applicato in particolare per la rilevazione delle percezioni degli insegnati sui rischi alimentari, attraverso lo strumento del focus group, e per indagare in maniera più approfondita il problema delle allergie nel contesto domestico con interviste mirate ai genitori. Per la parte quantitativa, invece, sono stati impiegati dei questionari strutturati che hanno permesso di rilevare gli eventuali mutamenti delle conoscenze degli insegnati sull’argomento, prima e dopo gli interveti di comunicazione. Inoltre questionari strutturati sono stati rivolti anche alle famiglie coinvolte nel progetto al fine di far emergere l’efficacia del progetto sugli studenti. Le attività di ricerca sociale (Focus group e questionari) sono state effettuate nelle province di Torino, Roma e Palermo. Dai risultati della fase esplorativa sono derivate diverse attività. Una di LA RAPPRESENTAZIONE TEATRALE E L’IMPATTO SUL TARGET Dai risultati analizzati finora possiamo affermare che il 75% delle famiglie che hanno assistito alla recita e seguito i bambini nel periodo precedente di preparazione e studio della stessa, hanno riscontrato un aumentato interesse e una maggiore partecipazione del bambino per quelle che sono le tematiche 26 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 considerata nella presente sperimentazione risultano idonei a ricevere una campagna sensibilizzazione informativa che impieghi il mezzo teatrale e il gioco/imparo. Agli strumenti ‘classici’ di diffusione della conoscenza, dell’informazione e della formazione, si è voluto sperimentare un diverso medium di comunicazione (6). Si è voluto recuperare dal passato il medium del ‘teatro’, primo e antico strumento di comunicazione di massa e sperimentandolo nell’ambito di questo progetto di ricerca sulla sicurezza alimentare. legate agli alimenti (attenzione alle etichette relativamente agli ingredienti ed alla provenienza) e alla loro correlazione con problematiche di salute legate alle allergie alimentari. Il 75% ha riscontrato un aumento di interesse verso problematiche di salute in genere. Circa l’80% dei genitori hanno evidenziato che nei bambini è aumentata la necessità di ricevere chiarificazioni su argomenti riguardanti una corretta alimentazione a loro destinata (aumentata curiosità verso principi nutrizionali e vitamine). Il 30% del nostro campione non ha notato alcuna modifica specifica nei comportamenti del bambino. Dopo una prima analisi dei dati è emerso un elevato interesse sia da parte degli insegnanti di scuola primaria, sia dei genitori, riguardo alla tematica degli allergeni. Adesioni spontanee di docenti non direttamente coinvolte nel progetto ma pronte a mettere in scena la rappresentazione teatrale lascia intravedere ulteriore sviluppi e un interessante serbatoio di nuove informazioni. Il patrocinio del MIUR al progetto permetterà alla fine delle analisi dei risultati di effettuare una la divulgazione a livello nazionale dei testi prodotti. I bambini della fascia di età BIBLIOGRAFIA: 1 Bucchi, M., Scienza e società, Il Mulino, 2002. 2 D’antuono, E., Bioetica, Guida, Napoli, 2003. 3 Miano F., Responsabilità, Guida, Napoli, 2009. 4 Dameno, R., Comunicare la scienza, L’innovazione e il dibattito bioetico, Guerrini e Associati, 2010. 5 Baccarini E., La soggettività dialogica, Aracne, Roma, 2000. 6 Perniola, M., Miracoli e traumi della comunicazione, Einaudi, Torino, 2009. 27 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 STUDIO DI SPECIE ITTICHE LESSEPSIANE ED ABISSALI PESCATE NEL TIRRENO CENTRO-MERIDIONALE E RINVENUTE NEI CIRCUITI COMMERCIALI De Carlo E.[1], Di Nocera F.[1], Gallo P.[1], Soprano V.[1], Marigliano L.*[1], Serpe F.P.[1], Rossi R.[1], Guarino A.[1], Caruso C.[2], Improta A.[3], Amato A.[3] Keywords: lessepsiane, abissali, pesci Izsm Portici ~ Portici, [2]Izs Torino ~ Torino, [3]ASL Salerno ~ Salerno [1] SUMMARY: This study was performed to allow morphological identification and to evaluate microbiological and chemical risk assessment for 14 lessepsian and abyssal fish and cephalopod species caught in central-southern Tyrrhenian, by detecting foodborne pathogens, heavy metals and marine biotoxins. No foodborne pathogens and biotoxins were detected in tested species. High levels of mercury (up to 5.85 mg/kg), were detected in some species; moreover, significant total arsenic levels (> 1.0 mg/kg) were measured in 12 out of 14 species analyzed. lamento e alla conservazione (Tabella 1). I campioni decongelati sono stati fotografati e radiografati in digitale. Presso i laboratori dell’IZSM i campioni sono stati identificati tassonomicamente su base morfologica, mediante chiavi dicotomiche, e con criteri strumentali, mediante esame a focalizzazione isoelettrica su gel di poliacrilammide (PAGIEF) delle proteine solubili in acqua estratte dal tessuto muscolare. I gel PAGIEF sono stati sottoposti ad analisi densitometrica utilizzando il sistema Epson 4490 Photo Perfection. Le immagini dei gel PAGIEF colorate con Blu Coomassie sono state acquisite ed elaborate mediante il software Image Quant TL v.7 (Pharmacia Biotech, Milano). La ricerca di batteri patogeni, quali Vibrio spp., Aeromonas spp., Salmonella spp., L. monocytogenes, e la numerazione di indicatori dello stato d’igiene quali clostridi solfito riduttori, E. coli β-glucoronidasi positivo, di batteri psicrofili totali e di Enterobacteriaceae sono stati eseguiti attraverso l’applicazione di tecniche colturali ISO su muscolo. I livelli di contaminazione da piombo, cadmio, mercurio e arsenico nella parte edibile, sono stati determinati mediante mineralizzato per via umida in forno a microonde (Ethos C Milestone, FKV, Italia), e spettrofotometria di assorbimento atomico con vapori freddi e fornetto di grafite (CV-AAS; GF-AAS). A partire da muscolo, fegato e gonade è stata eseguita la ricerca di biotossine Paralytic Shellfish Poisoning (PSP), saxitossine, tetrodotossina, Diarrhetic Shellfish Poisoning (DSP), acido okadaico, pectenotossine, azaspiracidi, yessotossine e pali tossine, mediante mouse test, secondo i metodi riportati nel D.M. 16 Maggio 2002, e spettrometria di massa del tempo di volo (LC/MS/TOF); la ricerca di biotossine Amnesic Shellfish Poisoning (ASP), acido domoico, mediante cromatografia liquida ad alta prestazione (HPLC/UV), secondo metodo riportato nel D.M. 16 Maggio 2002, e LC/MS/TOF. INTRODUZIONE: Specie ittiche atipiche, lessepsiane ed abissali, si rinvengono frequentemente nei circuiti commerciali e risultano di complessa identificazione non essendo, tra l’altro, contemplate nella nomenclatura ufficiale. Oltre alle possibili frodi commerciali per sostituzione di specie, la vendita di specie atipiche, di cui spesso si ignorano le caratteristiche ecologiche, di salubrità e, soprattutto di sicurezza, potrebbe rappresentare un potenziale rischio microbiologico, chimico e biotossicologico per il consumatore finale (1, 2, 3, 4, 5, 6). E’ stata condotta un’indagine preliminare circa la loro potenziale commestibilità mediante: l’identificazione tassonomica, con analisi morfologica e strumentale; la determinazione dello stato fisiologico dell’animale; la ricerca nelle parti edibili di possibili agenti batterici patogeni per l’uomo, di metalli pesanti e delle principali biotossine marine. MATERIALI E METODI: Nel periodo 2008-2011 sono stati collezionati 30 campioni appartenenti a 14 specie diverse di pesci e molluschi cefalopodi, catturati a strascico in un areale compreso tra Salerno e Sapri (SA), rinvenuti presso il mercato ittico di Salerno dal servizio veterinario dell’A.S.L. che ha provveduto ad acquisire informazioni circa le catture, all’immediato conge- Tabella 1 - Specie ittiche campionate. 28 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 da consumo di prodotti ittici, potendo pertanto considerare accettabile il rischio microbiologico (4). I dati ottenuti rivelano l’ottimo stato igienico-sanitario delle carni, risultando paucimicrobiche per tutti i microrganismi indicatori, eccezion fatta per la specie Canario rotondo in cui è stata rilevata una carica psicrofila totale di 53.000 ufc/g. Le analisi chimiche hanno evidenziato che i livelli di Pb e Cd sono inferiori ai limiti massimi stabiliti dalla legge nonché sovrapponibili a quelli di solito rilevati in altre specie catturate nel basso Tirreno. Sono stati determinati livelli di contaminazione da Mg oltre il limite massimo ammesso dalla legge. In particolare, è singolare trovare livelli di Mg elevati nel Re di triglie nero, nel Pesce specchio e nel Pesce falce, in quanto non sono predatori ai vertici della catena trofica. Nel principio di garantire la massima tutela della sicurezza alimentare, le concentrazioni di Mg rilevate in alcune specie oltre i limiti di legge, dovrebbero sconsigliare il loro consumo, per analogia a quanto la legislazione prevede per tonno, pesce spada e squali. I livelli di As totale in tutti i campioni analizzati, sono stati stabiliti in un intervallo di concentrazioni da un minimo di 1.09 mg/kg (Carango mediterraneo) ad un massimo di 36.9 mg/kg (Pesce specchio). Per l’As totale oggi non esistono limiti massimi tollerati in quanto è riconosciuto pericoloso per l’uomo l’As organico. Inoltre, non esistono molti dati di letteratura per confrontare i livelli determinati, sebbene la nostra esperienza indichi che quantità di As totale dell’ordine delle decine di mg/kg si trovano in genere in crostacei e cefalopodi. E’ opportuno evidenziare che il Pesce specchio ha mostrato elevati livelli di Mg e As, ma non è risultato contaminato da Pb e Cd. Sebbene non sia stato possibile sviluppare un metodo affidabile per la determinazione della tetrodotossina mediante spettrometria di massa in trappola ionica, l’applicazione di altre tecniche analitiche come LC/MS/TOF non ha evidenziato la presenza della tossina. RISULTATI E CONCLUSIONI: I pattern di bande proteiche insieme alle immagini fotografiche e radiografiche, e le caratteristiche descrittive di specie costituiscono una banca dati per l’identificazione delle specie studiate. I risultati delle analisi microbiologiche possono essere così riassunti: Vibrio spp., Aeromonas spp., L. monocytogenes, Salmonella spp.: assenti in 25 g di muscolo in tutti i campioni analizzati; clostridi solfito riduttori, E. coli β-glucoronidasi positivo, carica psicrofila totale, Enterobacteriaceae: <10 ufc/g in tutti i campioni analizzati eccezion fatta per il Canario rotondo in cui è stata rilevata una carica psicrofila totale di 53.000 ufc/g. I risultati dei campioni sottoposti alla determinazione dei metalli pesanti sono stati espressi in mg/kg di tessuto muscolare fresco. Laddove il contenuto del metallo pesante era inferiore al limite di quantificazione del metodo (LOQ), il risultato è stato indicato come “n.r.” mentre quando la disponibilità di matrice risultava insufficiente per l’esecuzione dell’analisi, il risultato è stato espresso come “n.e.” (Tabella 2). Le analisi biotossicologiche hanno dato esito negativo nei tessuti bersaglio dei campioni processati ad esclusione di due campioni positivi all’analisi in HPLC-UV per acido domoico, in Grugnitore bastardo su matrice gonadica (1.65 mg/kg) e Carango mediterraneo su matrice epatica (0.98 mg/kg), confermati poi negativi in LC/MS/TOF. L’analisi dei frammenti contenuti nello spettro di ciascun picco ha avvalorato l’ipotesi secondo cui trattasi di isomeri dell’acido domoico. I campioni relativi ai pesci ossei e cartilaginei si sono rivelati particolarmente ricchi di bande proteiche e pertanto, per tali specie, è risultata possibile l’identificazione sulla base del profilo elettroforetico. Purtroppo l’analisi dei gels ha evidenziato una quasi totale assenza di bande proteiche caratteristiche nei campioni estratti dai cefalopodi. Le indagini microbiologiche hanno rivelato l’assenza dei principali patogeni responsabili di tossinfezioni alimentari Tabella 2 - Concentrazioni di metalli pesanti rinvenuti nelle specie esaminate. 29 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 sient on the hydrographic characteristics in the Strait of Sicily and in the Tyrrhenian. Deep Sea Res. I, 52, 915-935. BIBLIOGRAFIA: 1. Bentur, Y., Ashkar, J., Lurie, Y., Levy, Y., Azzam, Z., Litmanovich, M., Gurevych, B., Golani, D., Eisenman, A. (2008) Lessepsian migration and tetrodotoxin poisoning due to Lagocephalus sceleratus in the eastern Mediterranean. Toxicon. 52: 964-968. 4. Huss, H.H. (1997). Control of indigenous pathogenic bacteria in seafood. Food Control 8, 91-98. 5. Nike Bianchi, C. (2007). Biodiversity issues for the forthcoming tropical Mediterranean sea. Hydrobiologia, 580, 7-21. 2. Bianchi, C.N., Morri, C. (2000). Marine Biodiversity of the Mediterranean Sea: Situation, Problems and Prospects for Future Research. Mar. Pollut. Bull., 40 (5): 367-376. 6. Schroeder, K., Gasparini, G.P., Tangherlini, M., Astraldi, M. (2006). Deep and intermediate water in the western Mediterranean under the influence of the Eastern Mediterranean Transient. Geophys. Res. Lett., 33, L21607. 3. Gasparini, G.P., Ortona, A., Budillo, G., Astraldi, M., Sansone, E. (2005). The effect of the Eastern Mediterranean Tran- 30 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 IDENTIFICAZIONE DI FRODI COMMERCIALI NEI PRODOTTI ITTICI TRASFORMATI MEDIANTE ANALISI DEL DNA Amoroso M.G.*[1], Girardi S.[1], Cutarelli A.[1], Guarino A.[1], Galiero G.[1], Corrado F.[1] Keywords: Fish species identification, DNA sequencing, commercial fraud Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (Na) [1] (salatura, cottura, affumicatura, messa sott’olio). Tutti i campioni ci sono stati forniti dalla Capitaneria di Porto nell’ambito di indagini routinarie. La tipologia di campione e la specie ittica identificata sono riportati in tabella 1. - Estrazione del DNA e PCR IL DNA è stato estratto dai campioni in esame (200 mg) mediante il kit “Nucleospin Food (Macharey-Nagel). Il DNA mitocondriale da COI è stato amplificato mediante i seguenti primers (3): FishF: 5’-TCAACCAACCACAAAGACATTGGCAC -3’ FishR: 5’-TAGACTTCTGGGTGGCCAAAGAATCA -3’ La mix di reazione (50µL) includeva: 25µL di Master Mix 2x (Applera), 1µL di ogni primer (10µM), 18µL di acqua DNAse/ RNAse free e 100 ng del DNA estratto. Il profilo termico di reazione era il seguente: 1° step di 15 min a 95°C, 35 cicli di: 30 sec a 94°C, 40 sec a 52°C, e 1 min a 72°C, uno step finale di 10 min a 72°C. - Sequenziamento I prodotti di PCR, purificati mediante Qiaquick PCR purification Kit (Qiagen), sono stati sottoposti a PCR di sequenziamento impiegando il kit Big Dye3.1 (Applied Biosystems (AB)). Le sequenze sono state poi purificate del Dye terminator mediante DyeEX 2.0 spin kit (Qiagen) e infine sottoposte ad elettroforesi capillare con lo strumento ABI Prism 3130 Genetic Analyzer (AB). Gli elettroferogrammi sono stati analizzati mediante software SeqScape v.2.5 (AB) e software di allineamento multiplo CLUSTAL W 1.5. Le sequenze ottenute sono state analizzate attraverso il BOLD System (www.boldsystems.org). SUMMARY: Institutions working for food safety have the main goal to guarantee consumers about the security of what they eat. In seafood field a key aspect of food safety is represented by the possibility to correctly identify the species of fish especially when the product has been already processed and therefore no more morphologically identifiable. In the present study we analysed 20 seafood products with the aim to properly classify their fish species composition. The analysis was carried out by sequencing a region of cytochrome oxidase subunit I gene. Results revealed ability of DNA sequencing to recognize fish species in very transformed seafood preparations, being able to reveal wrong labelling of the product. INTRODUZIONE: L’aumento del consumo di prodotti ittici e la relativa movimentazione delle merci ha incrementato la diffusione delle frodi alimentari a danno del consumatore. A conferma di ciò l’attività di controllo svolta dalle autorità competenti ha registrato, in tutti i comparti del settore alimentare, un sensibile incremento di frodi commerciali, rappresentate per il 40% circa da etichettatura non conforme. Le frodi più comunemente riscontrate nel settore ittico sono rappresentate dalla sostituzione di una specie di pesce con un’altra, simile morfologicamente, ma di minor pregio. La corretta identificazione di specie rappresenta uno step cruciale nel controllo qualità degli alimenti al fine di evitare la frode (1). L’identificazione di specie, effettuata valutando le caratteristiche morfologiche del pesce intero, (Legge No. 125 of 25.03.1959), diventa molto difficile se non impossibile da effettuare in alcuni prodotti (filetti, bastoncini, crocchette) in quanto le caratteristiche morfologiche sono parzialmente o completamente perse durante la trasformazione tecnologica a cui il prodotto alimentare è soggetto (1). In questo contesto appare fondamentale disporre di un metodo analitico in grado di identificare le specie oggetto di frode in maniera inequivocabile e rapida, per le implicazioni sanitarie oltre che commerciali, connesse ad un’etichettatura non corretta. A questo proposito negli ultimi anni si è sviluppato in maniera significativa l’impiego di indagini molecolari basate sull’analisi delle sequenze di DNA polimorfico nel genoma mitocondriale. Queste tecniche sono già ampiamente impiegate per l’identificazione di specie in molti campi: medico, forense e alimentare (2). Nel presente lavoro abbiamo analizzato 21 prodotti alimentari a base di pesce mediante analisi della sequenza di un frammento del gene COI. I risultati, ci hanno permesso in particolare di svelare, per prodotti a base di baccalà, la presenza di specie diversa da quella dichiarata in etichetta. La frode, che riguardava l’impiego di una specie di minore valore rispetto a quella dichiarata e consentita per legge, non sarebbe stata mai svelabile mediante analisi morfologica, dal momento che il prodotto era fortemente trasformato. RISULTATI E CONCLUSIONI: Il kit Nucleospin Food impiegato per l’estrazione del DNA ci ha consentito di ottenere un DNA di buona qualità. L’analisi di sequenza del gene COI ha permesso di identificare, in maniera inequivocabile, la specie di pesce nella maggior parte dei prodotti alimentari in esame, nonostante le profonde trasformazioni tecnologiche subite. In tutti i prodotti alimentari contenenti una sola specie di pesce è stato possibile identificare la specie presente. In alcuni casi l’analisi di sequenza ha confermato quanto riportato in etichetta (campioni 2, 14, 15, 18 e 19). Per altri campioni in cui nell’ingredientistica era riportata solo la dicitura “pesce”, è stato possibile fornire la specie presente. Un esempio è rappresentato dalle frittelle di mare e dalle bistecchine di mare (vedi Tab. 1) che si è evinto essere composte entrambe da Gadus chalcogrammus. I risultati più significativi riguardano i filetti di baccalà (campione 1), che sono risultati essere costituiti da una specie diversa da quella riportata in etichetta. Come è possibile vedere dai risultati dell’allineamento delle sequenze geniche (Tabella 2) la specie individuata è stata Pollachius virens invece della specie Gadus morhua. Questo risultato è stato ottenuto per 3 campioni alimentari simili aventi marche commerciali diverse. Inoltre Pollachius virens è stata individuata come la specie presente anche nel campione 17 (bocconcini di baccalà) in cui in etichetta è riportata solo la dicitura baccalà 60%. Per entrambi i campioni sopra citati (1,17) si è riscontrata la MATERIALI E METODI: - Materiali Sono stati analizzati 21 preparazioni alimentari a base di pesce. Di questi campioni 17 erano prodotti commerciali surgelati e 4 erano prodotti ittici sottoposti a vari trattamenti tecnologici 31 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 frode commerciale in quanto per legge il baccalà può essere costituito solo da due specie: Gadus morhua e Gadus macrocephalus. La specie individuata (Pollachius virens) è filogeneticamnete simile alle suddette specie (Fig.1), appartiene sempre alla famiglia delle Gadidae, ma è una specie di minore valore commerciale. In conclusione la ricerca ci ha consentito di effettuare identificazione di specie in prodotti sottoposti ai più svariati trattamenti tecnologici: filettatura, cottura, surgelazione, affumicatura, salagione, marinatura, panatura. Nessuno di questi processi ha inficiato l’analisi del DNA consentendo di svelare, laddove presenti, delle importanti frodi commerciali. Ricordiamo che attualmente in Italia l’unica tecnica valida a livello legale, l’identificazione morfologica, non è applicabile su prodotti ittici lavorati e trasformati, i quali vengono tuttavia preferiti dal consumatore odierno perché più pratici da utilizzare. L’impiego di metodiche biomolecolari può risolvere il problema legato all’identificazione di specie in prodotti lavorati e trasformati, dato che la molecola bersaglio il DNA, è stabile ai numerosi trattamenti che avvengono durante la trasformazione dei cibi (4); inoltre l’automazione associata alle tecniche molecolari le rende adatte ad effettuare analisi su larga scala in modo automatizzato, rapido ed economico. E’ doveroso sottolineare che un limite dell’analisi di sequenza del DNA è rappresentato dalla presenza nel prodotto alimentare di più specie. In questo caso il sequenziamento non ha consentito di identificare le specie contenute. Questo perché, essendo i primers universali, ciascuna specie ha fornito, durante la reazione di sequenziamento, il proprio elettroferogramma, portando ad una sovrapposizione degli stessi. L’unica informazione che si ottiene per questi campioni è comunque la presenza dell’ingrediente “pesce”. I prodotti in questione però in genere non hanno in etichetta l’indicazione delle specie contenute ma solo la dicitura “pesce o polpa di pesce”: l’analisi fornisce quindi l’informazione richiesta, ovvero la presenza di tessuto di pesce nell’alimento. Tab. 1 Campioni analizzati e specie ittica identificata - *prodotto surgelato ¹Prodotto impanato 32 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tab. 2 Punteggi di allineamento ottenuti mediante CLUSTAL Seq. 1: Campione; Seq. 2: P. virens; Seq. 3: G.chalcogrammus ; Seq. 4: G.morhua Figura 1. Albero filogenetico ottenuto mediante metodo Neighbor-Joining. I valori di confidenza sono stati stabiliti con l’opzione bootstrapping. BIBLIOGRAFIA: 1) Pepe T, Trotta M, Di Marco I, Cennamo P, Anastasio A et al. (2005) Mitochondrial Cytochrome b DNA Sequence Varations: An Approach to Fish Species Identification in Processed Fish Products. Journal of Food Protection 68: 421-425 2) Botti S, Giuffra E (2010) Oligonucleotide indexing of DNA barcodes: identification of tuna and other scombrid species in food products. BMC Biotechnology 10: 60. 3) Ward RD, Zemlak TS, Innes BH., Last PR, Hebert PDN (2005) DNA barcoding Australia’s fish species. Philosophical Transactions of the Royal Society B. 360:1847-1857. 4) Hajibabaei M, Smith MA, Janzen D H, Rodriguez JJ, Whitfield J B, Hebert PDN (2006). A minimalist barcode can identify a specimen whose DNA is degraded. Molecular Ecology 6:959–964. 33 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 L’IPERESPRESSIONE DEL RECETTORE PROGESTINICO PER L’DENTIFICAZIONE DEI TRATTAMENTI ILLECITI CON ESTROGENI Pezzolato M.*[1], Richelmi G.[1], Maurella C.[1], Varello K.[1], Meistro S.[1], Mascarino D.[1], Longo D.[1], Caramelli M.[1], Bozzetta E.[1] Keywords: 17ß-estradiolo, immunoistochimica, recettore progestinico [1]Istituto Zooprofilattico Sperimantale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino SUMMARY: Despite 17β-oestradiol ban in food producing animals due to its carcinogenicity, it’s misuse for growth promoting action is still adopted. We evaluated the accuracy of histopathology and immunohistochemistry for progesteron receptor, applied to sexual accessory glands from 89 calves treated with 17β-oestradiol and 64 controls, in the detection of 17β-oestradiol illecit treatments. Metaplasia of bulbo-uretral gland resulted an high reliable parameter to detect low dosage; furthermore immunopositivity for PR characterized all treated animal, improving the accuracy of the histological approach. INTRODUZIONE: L’utilizzo del 17β-estradiolo negli animali produttori di carne è vietato dal 2008(Dir 2008/97/EC) a causa del dimostrato potenziale carcinogenetico di tale sostanza. Nonostante tale evidenza, sussiste la possibilità che possa essere utilizzato negli allevamenti, dal momento che è dimostrato che e’ in grado di determinare un incremento di peso fino al 10% nei bovini trattati rispetto ai soggetti non trattati(11). La legislazione vigente impone il divieto di utilizzo di tale sostanza indicando i metodi chimici, ELISA e GC-MS/MS che devono essere applicati sul siero allo scopo di rilevarne l’impiego fraudolento; tali metodi, però, risultano negativi già dopo pochi giorni di sospensione del trattamento(5;12) a causa della rapida cinetica della sostanza o ancora perché spesso le sostanze utilizzate in maniera illecita vengono somministrate a bassi dosaggi. Per ovviare a queste problematiche e per preservare la salute del consumatore il mondo scientifico sta valutando negli ultimi anni nuove strategie di indagine, basate non più sull’identificazione chimica della molecola, bensì sull’evidenziazione degli effetti biologici della stessa. In questo contesto sono già stati sviluppati bioassay e sono in corso numerose indagini di genomica e proteomica per individuare marker specifici di trattamento. E’ stato dimostrato che il 17β-estradiolo induce alterazioni alla normale struttura delle ghiandole sessuali accessorie e l’iperespressione del recettore progestinico(4). Tale recettore, se evidenziato in tessuti, che normalmente non lo iperesprimono, individua inequivocabilmente un trattamento con estrogeni(10). Studi recenti riportano che il recettore progestinico può essere considerato un biomarker specifico di trattamento con estrogeni nel vitello se espresso a livello delle ghiandole sessuali accessorie.(2) Scopo del presente studio è di verificare l’accuratezza della colorazione immunoistochimica con anticorpo anti recettore progestinico (PR)(Clone hPRa2) per l’individuazione di trattamenti illeciti a bassi dosaggi con 17β-estradiolo. sti in box separati e allevati in accordo con la direttiva 86/609/ EEC. Nel corso della sperimentazione gli animali avevano libero accesso all’acqua e sono stati alimentati con allattatrici automatiche fino a 4 mesi, successivamente è stata introdotta una razione giornaliera di fibre. Durante il sesto mese 89 dei 153 vitelli sono stati trattati con 17β-estradiolo una volta alla settimana per 4 settimane alla dose di 5 mg/gg im, i rimanenti 64 sono stati allevati come animali di controllo. Tutti gli animali sono stati macellati presso uno stabilimento riconosciuto CEE 15 giorni dopo l’ultimo inoculo. Analisi istologica Durante la macellazione sono state prelevate le ghiandole sessuali accessorie (prostata e ghiandole bulbo uretrali) di ciascun animale. I tessuti sono stati fissati in formalina, processati ed inclusi in paraffina. Per ogni tessuto sono stati allestiti preparati istologici per la colorazione ematossilina eosina e per la colorazione immunoistochimica. L’esame istologico è stato condotto in cieco da due veterinari e i tessuti sono stati esaminati secondo quanto già descritto in bibliografia (8) al fine di identificare le alterazioni microscopiche correlate con la somministrazione di estrogeni. I parametri analizzati sono stati: iperplasia, metaplasia, ipersecrezione e cisti sia a livello della prostata che delle ghiandole bulbo uretrali. A ciascuna lesione è stato associato uno score da 0 a 3 (assente, lieve, moderato, grave). Immunoistochimica L’esame immunoistochimico è stato condotto applicando l’anticorpo anti recettore progestinico (PR)(clone hPRa2) per evidenziarne l’iperespressione. Preparati istologici delle ghiandole bulbo-uretrali di tutti gli animali allevati, trattati e controlli, sono stati deparaffinati in sostituto dello xilolo, reidratati in una serie di alcool decrescenti e quindi posti in acqua distillata. Lo smascheramento antigenico è stato eseguito a 97 C° per 35 min in una soluzione di buffer citrato pH6, quindi è stato eseguito il blocco delle perossidasi endogene per 30 min in una soluzione acquosa di perossido di idrogeno al 10%. L’anticorpo primario è stato incubato per 60 min alla diluizione 1:50. La rivelazione è stata eseguita con il kit EnVision/DAB Analisi statistica I risultati delle indagini microscopiche sono stati inseriti in un foglio elettronico e analizzati con il software Stata 10.1 SE. La validità sia del test istologico che immunoistochimico è stata valutata calcolando per ciascuno metodo sia la sensibilità (Se) che la specificità (Sp). MATERIALI E METODI: Disegno sperimentale 153 vitelli maschi di razza frisona sono stati acquistati all’età di 40 giorni e allevati in condizioni controllate per sette mesi. All’arrivo presso lo stabulario sono stati divisi in due gruppi, po- RISULTATI E CONCLUSIONI: Analisi istologica L’analisi microscopica dei tessuti ha confermato che la lesione maggiormente correlata al trattamento con gli estrogeni è la metaplasia, riscontrata in 86 su 89 ghiandole bulbo-uretrali degli 34 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 animali trattati. La stessa lesione è stata riscontrata con grado lieve in un unico animale di controllo.((se=96.6% CI95%:90.599.3) (Sp=98.4% CI95%: 91.6-100)) Gli altri parametri: iperplasia, ipersecrezione e cisti non erano significativamente correlati con il trattamento nei vitelli. Immunoistochimica La positività alla colorazione immunoistochimica per il progesterone, riscontrata come depositi giallo bruni nei nuclei delle cellule epiteliali, è stata rilevata in tutti gli animali trattati e in nessun animale di controllo.((Se:100% CI95% 95.9-100) (Sp=100% CI95%: 94.4-100)) L’esposizione di animali prepuberi a trattamenti con estrogeni si traduce in una diffusa iperespressione del recettore progestinico a livello delle cellule epiteliali delle ghiandole bulbouretrali. Questo risultato evidenzia che il trattamento di animali prepuberi è in grado di alterare la struttura(10;2),la funzione(4) e l’espressione genica(6;8) dell’apparato riproduttore maschile. In accordo con i nostri risultati l’analisi immunoistochimica con l’anticorpo anti recettore progestinico è un esame semplice, rapido ed economico in grado di evidenziare l’iperespressione del gene indotta da trattamenti con estrogeni anche a bassi dosaggi. efferent ducts of the rat and marmoset monkey during development, its modulation by oestrogens and its possible role in fluid resorption. Endocrinology 139:3935–3945. 4.Graham JD, Clarke CL(1997)Physiological Action of Progesterone in Target Tissues. Endocrine Reviews 502-519. 5.Hewitt SA, Kearney M, Currie JW, Young PB, Kennedy DG(2002)Screening and confirmatory strategies for the surveillance of anabolic steroid abuse within Northern Ireland. Anal Chim Acta 473:99–109. 6.Pentecost BT, Newbold R, Teng CT, McLachlan JA(1988) Prenatal exposure of male mice to diethylstilbestrol alters the expression of the lactoferrin gene in seminal vesicles. Mol. Endocrinol. 2:1243–1248. 7.Pezzolato M, Maurella C, Varello K, Meloni D, Bellino C, Borlatto L, Di Corcia D, Capra P, Caramelli M, Bozzetta E(2011) High sensitivity of a histological method in the detection of lowdosage illicit treatment with 17 -estradiol in male calves. Food Control 22:1668–1673. 8.Prins GS, Woodham C, Lepinske M, Birch L(1993)Effects of neonatal estrogen exposure on prostatic genes and their correlation with androgen receptor expression in the separate prostate lobes of the adult rat. Endocrinology 132:2387–2398. 9.Rajfer J, Coffey DS(1979) Effects of neonatal steroids on male sex tissues. Invest Urol 17:3–8. 10.Risbridger GP, Wang H, Frydenberg M, Cunha G(2001)The Metaplastic Effects of Estrogen on Mouse Prostate Epithelium: Proliferation of Cells with Basal Cell Phenotype1. Endocrinology 142:2443-2450. 11.Stephany R(2001)Hormones in meat: different approaches in the EU and in the USA. 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Endocrinology 140: 405–415. 2.De Maria R, Divari S, Spada F, Oggero C, Mulasso C, Maniscalco L, Cannizzo FT, Bianchi M, Barbarino G, Brina N, Biolatti B(2010)Progesterone receptor gene expression in the accessory sex glands of veal calves Vet Rec 167:291-296. 3.Fisher JS, Turner KJ, Fraser HM, Saunders PTK, Brown D,Sharpe RM(1998)Immunoexpression of aquaporin-1 in the Fig 1: A- CONTROLLO: ghiandola bulbo uretrale normale; B-TRATTATO: grave metaplasia del tessuto ghiandolare; C- CONTROLLO: assenza di immunopositività; D- TRATTATO: marcata positività all’anticorpo anti PR nei nuclei delle cellule epiteliali 35 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 UTILIZZO ED EVOLUZIONE DI UN SISTEMA INFORMATIVO PER LA GESTIONE DEI LABORATORI DI ANALISI (SIGLA) Nappo C.*[1], Pizzoni E.[2], Manai R.[3], Izzo P.[1], Desantis E.[2], Virdis A.[3], Mingolla A.[4], Cenni G.[5], Faccenda L.[4] Keywords: SIGLA, evoluzione, Web Application Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici, Istituto Zooprofilattico Sperimentale Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino, [3] Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna ~ Sassari, [4] Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia, [5] Krene gruppo Bassilichi ~ Sassari [1] [2] SUMMARY: Information system for analysis management (SIGLA) is a tool used for the monitoring of activities aiming to track the entire sample diagnostic procedure and is an extremely useful tool for data gathering. It has been adopted since twelve years ago from four Istituti Zooprofilattici Sperimentali. Having this shared platform among four institutes, with a common informational debt and activities, allows to have the same database and hence a common language. SIGLA user committee updated the software to 4.0 version (will be operational from 2013) with new tools and functionalities, listed below. ne di SIGLA 4.0; il prodotto sarà operativo in tutti i quattro gli IIZZSS nel 2013. Il progetto prevede per il futuro l’avvio di alcune sperimentazioni quali la creazione di un modulo dedicato ai Pagamenti online dei Referti, l’integrazione con un sistema di Conservazione sostitutiva dei Rapporti di Prova e l’integrazione con la Banca Dati Nazionale (BDN) per l’utilizzo dei dati anagrafici ufficiali (allevamenti, capi). MATERIALI E METODI: Evoluzioni tecnologiche del prodotto SIGLA dalla versione 3.1 alla 4.0 SIGLA 4.0 è un prodotto nato dalla completa reingegnerizzazione del prodotto SIGLA 3.1 attraverso la riscrittura del codice sorgente con l’utilizzo di linguaggi moderni allo scopo di migliorare la versione precedente e di rendere l’applicazione fruibile in ambiente web. SIGLA 4.0 integra nuove funzioni, in modo da adeguare il prodotto alle mutate esigenze degli Istituti, prima fra tutte la produzione dei Rapporti di prova in formato PDF e successiva applicazione della Firma Digitale. La gestione dei risultati degli esami è possibile fino alla singola unità campionaria. L’applicazione è personalizzabile grazie a parametrizzazioni che consentono ad ogni Istituto di utilizzare la modalità operativa più confacente al proprio modello organizzativo. La tracciabilità dei dati consente di soddisfare esigenze derivanti dal proprio Sistema di Qualità. Caratteristiche della Web Application: • Scalabilità: Consente l’integrazione di nuove funzionalità e verso altri sistemi; • Manutenibilità: Grazie all’architettura web che prevede l’installazione dell’applicazione su un solo server; • Facilità d’Uso: Utilizzo di layout pattern appositi per favorire l’usabilità; • Sicurezza e Affidabilità: Grazie all’accesso mediante password crittografata e solidità della base dati. Descrizione dell’infrastruttura tecnologica La tecnologia utilizzata è di tipo Open Source, basata in gran parte su Java, ad eccezione della base dati che è su RDBMS Oracle. (Allegato1) Di seguito viene descritta l’architettura tecnologica: • Livello Presentazione Pagine JSP Linguaggio Javascript Fogli di stile CSS • Livello Applicativo Linguaggio Java Framework Struts ORM Hibernate • Livello Dati Oracle 9i Rel. 2 (o superiore) INTRODUZIONE: Alla fine degli anni novanta, in seguito ad emergenze veterinarie quali ad es. BSE ed all’aumento di debiti informativi degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS), tre IIZZSS elaborarono un progetto di ricerca conclusosi con la realizzazione di un Sistema Informativo per la Gestione dei Laboratori di Analisi (SIGLA). Il software SIGLA è utilizzato da circa dodici anni per la registrazione delle attività di quattro IIZZSS (cinque sino al 2010) rivelandosi uno strumento fondamentale per l’estrazione dei dati necessari ad Osservatori, Centri di Referenza, Ministero, Regioni per la gestione di emergenze e/o piani di monitoraggio. SIGLA riveste un ruolo importante anche per il governo degli IIZZSS quale strumento fondamentale per il controllo di gestione, la pianificazione e la verifica delle attività. Dopo circa sette anni, il comitato Utenti SIGLA (gruppo di lavoro costituito dai rappresentanti di tutti gli Istituti che utilizzano il software) ha deciso di aggiornare il software in base a: -evoluzioni tecnologiche (firma digitale, posta elettronica certificata) -evoluzione normativa come il Regolamento (CE) n. 178 del 28/01/2002 (1) che istituisce l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare. -necessità di dialogo tra SIGLA ed altri software veterinari come SANAN (2) (per la gestione informatizzata dei piani di profilassi) e come i sistemi informativi regionali quali ARVET per il Piemonte, GISA per la Campania, SIVA per l’Umbria e le Marche e tra SIGLA e strumenti di laboratorio (Advia 2120- Siemens Dimension RXL- TECAN Genesis FE500- Konelab Sclavo- Bactoscan FC- Milkoscan 6200-Fossomatic 5000). SIGLA mette a disposizione l’applicativo SIGLA WEB che permette ai clienti degli IIZZSS di visualizzare lo stato di avanzamento dei campioni consegnati così da evitare richieste telefoniche ai laboratori od ai servizi accettazione. Anche SIGLA WEB sta evolvendo in SIGLA WEB 2.0, questo applicativo rende disponibile per ogni cliente una casella da cui prelevare i Rapporti di Prova firmati digitalmente. Il lavoro del Comitato utente SIGLA ha portato alla realizzazio36 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISULTATI E CONCLUSIONI: SIGLA, dopo 12 anni di attività presso gli Istituti Zooprofilattici, è un Sistema Informativo ampliamente collaudato. Nel solo 2011, considerando i 4 Istituti che attualmente lo utilizzano, sono state effettuate 406.078 accettazioni per le quali sono stati eseguiti 6.518.450 esami con la produzione di 568.695 di Rapporti di prova. Il sistema, nel tempo, si è arricchito di modifiche e nuove funzionalità richieste dagli Istituti per seguire tutto l’iter diagnostico del campione sicché l’applicativo è stato plasmato sulle esigenze specifiche degli Istituti Zooprofilattici; ciò costituisce il valore aggiunto dell’applicativo, insieme alla realizzazione di un codice comune tra gli IIZZSS, fattore importante nella standardizzazione dei servizi offerti dal SSN sul territorio nazionale ed alla possibilità di rendere confrontabili tra loro parametri quali i tempi di risposta, il numero di esami eseguiti, il numero di metodi di prova accreditati, ecc. Ma una caratteristica unica e fondamentale di SIGLA è quella che quattro Istituti, avendo un linguaggio informatico comune, perfezionato congiuntamente allo scopo, possano fornire rapidamente dati uniformi ad Enti centrali per la tutela della salute pubblica soprattutto in casi di emergenze sanitarie nazionali. Descrizione delle funzionalità Le funzionalità dell’applicazione sono organizzate in modo gerarchico secondo una struttura ad albero. Di seguito vengono descritte brevemente: • Login: Permette l’autenticazione per poter accedere all’applicazione; • Accettazione: Gestisce le varie fasi dell’accettazione dei campioni da analizzare; • Produzione: Gestisce la fase di Produzione degli esami effettuati sui campioni; • Validazione e Refertazione: Gestisce le fasi relative alla validazione dei risultati degli esami ed all’emissione dei rapporti di prova; • Rendicontazione: Consente l’elaborazione dei risultati degli esami allo scopo di renderli fruibili in forma aggregata secondo un criterio prescelto; • Tabelle di Base: Gestione delle tabelle di base come Laboratori, Profili Utente, Tipologie campioni ed Esami, Specie Animali, etc; • Anagrafiche: Funzioni che permettono la gestione dei dati anagrafici dei soggetti che interagiscono con il sistema, come Richiedenti, Utenti, Attività ed dei Capi animali. • Servizi: Funzioni ausiliarie come la messaggistica, cambio password, impostazione dei parametri applicativi etc.; • Sopralluoghi: Funzione di gestione dei Sopralluoghi effettuati dal personale dell’IZS presso gli allevamenti; • Gestione Vaccini: Funzioni di gestione dei Vaccini e Ceppi batterici inerenti i campioni conferiti. BIBLIOGRAFIA: 1) Regolamento CE n. 178 del 28/01/2002 - G.U.E. 01/02/2002 n. 31 2) Nota Ministero della salute Prot.n. 0005463-P-26/03/2008 37 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 HERPESVIRUS ASSOCIATO A GRAVE STOMATITE E MAMMILLITE ULCERATIVA IN UN ALLEVAMENTO DI ASINE DA LATTE Martella V.*[1], Lorusso E.[1], Larocca V.[1], Catella C.[1], Pinto P.[1], Losurdo M.[1], Maggiolino A.[1], Tempesta M.[1], Canio B.[1] Keywords: herpesvirus, asino, stomatite ulcerativa Dipartimento di Sanità Pubblica e Zootecnia, Università Aldo Moro di Bari, Valenzano (BA) ~ Bari [1] MATERIALI E METODI: In ottobre 2011, in un allevamento di asine (Equus asinus) da latte è stato osservato un focolaio di stomatite ulcerativa. La patologia ha inizialmente interessato un gruppo di 34 animali (17 asine in lattazione con i rispettivi piccoli) ed era caratterizzata da febbre e piccole lesioni nodulari, tendenti ad evolvere in ulcere dolorose, osservabili sulla mucosa orale, lingua e cute attorno alle labbra nei puledri (da 2 settimane e 4 mesi di età) (Figura 1 e 2). Lesioni simili erano anche visibili sulle mammelle delle asine e, sporadicamente, a livello dell’area genitale in alcuni soggetti. Le lesioni tendevano a guarire in 3-4 settimane. La patologia ha causato ingenti perdite economiche nell’allevamento sia per la perdita di peso dei puledri sia per l’interruzione della lattazione. In una fase successiva, la patologia è comparsa anche in un secondo gruppo di animali, comprendente 62 femmine adulte e/o prepuberi e 5 maschi adulti. In questo gruppo, tuttavia, solo 5 asine prepuberi e un’asina adulta hanno sviluppato lesioni orali. Nei tamponi orali prelevati da animali con forma acuta della patologia, l’osservazione al microscopio elettronico ha rivelato la presenza di particelle herpesvirus-simili. I tamponi inoltre sono risultati positivi in PCR con diversi set di primer universali per herpesvirus (5,10). Un pool di tamponi è stato inoltre opportunamente preparato e seminato su cellule dermali di equino. Al secondo passaggio su cellule è comparso un evidente effetto citopatico, tipico dei virus erpetici, con arrotondamento cellulare e formazione di sincizi nel giro di 24-48 ore (Figura 3). Il virus isolato è stato usato per effettuare uno screening in siero-neutralizzazione dei sieri degli animali dell’allevamento. Il DNA del virus isolato è stato estratto e sequenziato con primer unversali per herpesvirus, previa amplificazione in PCR di frammenti della DNA polimerasi e terminasi inversa, usando la metodica Sanger. Il DNA del virus è stato inoltre sequenziato su piattaforma Illumina HiSEQ2000 (NGS) (Baseclear, The Netherlands). Figura 1. Lesioni ulcerative su lingua di puledro con infezione acuta. Figura 2. Lesioni ulcerative su mucosa orale di puledro con infezione acuta. SUMMARY: In October 2011, an outbreak of ulcerative stomatitis started in a donkey (Equus asinus) dairy herd. Fever and small nodular lesions, evolving into painful ulcers, were observed on the oral mucosa, tongue, and the skin around the lips in young animals (2 weeks to 4 months of age). Similar lesions were also observed on the mares breasts and, sporadically, in the genital areas. The lesions typically recovered in 3-4 weeks. Hepersvirus DNA was detected using consensus herpesvirus primers. Upon sequence analysis, the virus was characterized as a member of alpha-Herpesivirinae sub-family within the genus Varicellovirus. INTRODUZIONE: La stomatite vescicolare/ulcerativa è un’importante patologia negli equidi. Diversi agenti infettivi sono stati associati a tale patologia, tra cui il virus della stomatite vescicolare, herpesvirus e bunyavirus (4,9,11). Tuttavia, in molte occasioni non è possibile formulare una diagnosi precisa, sebbene i pattern della malattia suggeriscano spesso una natura infettiva. 38 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Figura 3. Isolamento di virus AsHV/Bari/2011 su cellule dermali equine: effetto citopatico avanzato a 48 ore post-infezione Figura 4. Albero filogenetico costruito con il metodo neighborjoining sull’intera glicoproteina gB di membri del genere Varicellovirus. I triangoli neri indicano gruppi di sequenze collassate. La barra rappresenta il numero di sostituzioni amino-acidiche per sito. RISULTATI E CONCLUSIONI: Particelle herpesivirus-simili sono state osservate in tamponi orali prelevati da soggetti con infezione acuta ed il DNA di hepersvirus è stato identificato in PCR. L’analisi di sequenza della DNA polimerasi e della terminasi ha permesso di caratterizzare il virus come membro della sotto-famiglia alpha-Herpesivirinae nel genere Varicellovirus. L’analisi NGS ha permesso di ottenere la sequenza di circa il 70% del virus, compresa la sequenza completa della DNA polimerasi, della terminasi inversa e della glicoproteina B. Il virus è risultato simile geneticamente ad equid herpesvirus (EHV) type-1 e EHV-4, EHV-8 (AsHV-3) e EHV-9 (Gazelle HV) nella DNA polimerasi (77.8-76.0%) e nella terminasi (86.9-84.8% aa) e ad EHV-8 e EHV-9 (67.6-68% aa) nella glicoproteina B (Figura 4). Anticorpi neutralizzanti per il virus sono stati identificati nel siero di animali guariti ma non nel siero di animali con infezione acuta, indicando quindi una sierconversione specifica. merito allo spettro di patologie potenzialmente attribuibili ad infezione da herpesvirus negli asini. Precedentemente alla comparsa della malattia, nell’allevamento era stata introdotta un’asina con il suo puledro. La cronologia degli eventi osservati nell’allevamento, l’attitudine degli herpesvirus a slatentizzare (ad esempio a seguito di stress di tipo fisiologico) e la sieroconversione osservata negli animali che hanno superato l’infezione, suggeriscono che l’asina introdotta nell’allevamento abbia veicolato il nuovo herpesvirus agli altri animali, fino ad allora del tutto privi di immunità specifica e quindi altamente suscettibili, in particolare i giovani soggetti in cui si è osservato un quadro sintomatologico particolarmente severo. BIBLIOGRAFIA: 1. Browning GF, Ficorilli N, Studdert MJ. Asinine herpesvirus genomes: comparison with those of the equine herpesviruses. Arch Virol. 1988;101(3-4):183-90. Negli asini sono noti diversi herpesvirus. Asinine herpesvirus type-1 (AsHV-1) è associato a esantema coitale. AsHV-2 è stato isolato da leucociti di animali sani. AsHV-3 (EHV-8) è stato isolato da cavità nasali di animali immunodepressi (1) e AsHV-4, −5, e −6 da animali con polmonite interstiziale (6,7). AsHV-1 è stato classificato come alpha-herpesvirus ed esibisce una certa correlazione genetica con EHV-3 mediante analisi con enzimi di restrizione e Southern blot (1). AsHV-2 ha caratteristiche dei beta-herpesvirus, ma scarsa similarità con EHV-2 e −5 (1). AsHV-3 è classificato come un alphaherpesvirus sulla base della sequenza della glicoproteina G e della cross-reattività antigenica con EHV-1 e −4 (2,3,8). AsHV-4, -5, e -6 sono dei gamma-herpesvirus identificati in asini con polmonite interstiziale (6,7). La scarsità/mancanza di dati di sequenza per AsHV-1 e –3, nonché per AsHV-4 -5 e –6, impedisce una comparazione precisa tra il nuovo isolato AsHV/Bari/2011 e virus descritti in passato. L’analisi mediante NSG del virus AsHV/Bari/2011 mostra omologia con herpesvirus equini EHV-1 e -4, con il virus asinino EHV-8 (AsHV-3) e di gazzella (EHV-9). L’identificazione di questo nuovo herpesvirus in asini con stomatite ulcerativa amplia le conoscenze in 2. Crabb BS, Allen GP, Studdert MJ. Characterization of the major glycoproteins of equine herpesviruses 4 and 1 and asinine herpesvirus 3 using monoclonal antibodies. J Gen Virol. 1991 Sep;72 (Pt 9):2075-82 3. Ficorilli N, Studdert MJ, Crabb BS. The nucleotide sequence of asinine herpesvirus 3 glycoprotein G indicates that the donkey virus is closely related to equine herpesvirus 1. Arch Virol. 1995;140(9):1653-62. 4. Jenney EW. Vesicular stomatitis in the United States during the last five years (1963-1967). Proc Annu Meet U S Anim Health Assoc. 1967;71:371-85. 5. Kleiboeker SB, Chapman RK. Detection of equine herpesvirus 3 in equine skin lesions by polymerase chain reaction. J Vet Diagn Invest. 2004 Jan;16(1):74-9 6. Kleiboeker SB, Schommer SK, Johnson PJ, Ehlers B, Turnquist SE, Boucher M, Kreeger JM. Association of two newly 39 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 recognized herpesviruses with interstitial pneumonia in donkeys (Equus asinus). J Vet Diagn Invest. 2002 Jul;14(4):273-80. 9. Sahu SP, Landgraf J, Wineland N, Pedersen D, Alstad D, Gustafson G. Isolation of Jamestown Canyon virus (California virus group) from vesicular lesions of a horse. J Vet Diagn Invest. 2000 Jan;12(1):80-3. 7. Kleiboeker SB, Turnquist SE, Johnson PJ, Kreeger JM. Detection and nucleotide sequencing of a DNA-packaging protein gene of equine gammaherpesviruses. J Vet Diagn Invest. 2004 Jan;16(1):67-74. 10. VanDevanter DR, Warrener P, Bennett L, Schultz ER, Coulter S, Garber RL, Rose TM. Detection and analysis of diverse herpesviral species by consensus primer PCR. J Clin Microbiol. 1996 Jul;34(7):1666-71. 8. Paweska JT, Gerdes T, Van Heerden J. Serological relationship between a donkey alphaherpesvirus (isolate M7/91) and equid herpesvirus type 1 and 4. J S Afr Vet Assoc. 1994 Jun;65(2):64-6. 11. Vengust M, Baird JD, van Dreumel T, Ackerley C, Bienzle D. Equid herpesvirus 2-associated oral and esophageal ulceration in a foal. J Vet Diagn Invest. 2008 Nov;20(6):811-5. 40 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ISOLAMENTO DI BOVINE HERPESVIRUS 1 (BOHV-1) NEL BUFALO MEDITERRANEO (BUBALUS BUBALIS) IN UN ALLEVAMENTO DEL SUD ITALIA Fusco G.[1], Viscardi M.*[1], Brandi S.[1], Veneziano V.[2], Corrado F.[1], Degli Uberti B.[1], Amoroso M.G.[1], Cerrone A.[1], Natale A.[3], Guarino A.[1], Galiero G.[1] Keywords: Bubalus bubalis, BoHV-1, IBR Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (NA), Università degli Studi di Napoli Federico II, Facoltà di Medicina Veterinaria, Dipartimento di Patologia e Sanità Animale ~ Napoli, [3] Libero Professionista ~ Caserta [1] [2] SUMMARY: Bovine herpesvirus 1 (BoHV-1) infection is responsible of two major syndromes called infectious bovine rhinotracheitis (IBR) and infectious pustular vulvovaginitis (IPV) and a variety of clinical signs including conjunctivitis, encephalitis and abortions in adult cows. The present study reports the first isolation of a BoHV-1 field strain from biological samples composed of abortion and liver, spleen, lung, kidney of water buffalo calves. Virological investigation were first conducted using a real time PCR. Positive samples were subsequently submitted to viral isolation. The virus was typed as BoHV-1.1 using genomic sequence analysis (3). ceppo Schonboken RVB-073 Bovine herpesvirus 1, fornito dal Dr M. Beer dell’ FLI (Friedrich Loeffler Institut) e sia il ceppo BS di BHV1.1 fornito dall’IZSLER. Per l’isolamento di BoHV-1 gli omogenati dei campioni risultati positivi alla prova di real-time PCR sono stati inoculati su colture cellulari Madin-Darby Bovine Kidney (MDBK). La crescita virale è stata valutata mediante osservazione giornaliera per il rilievo dell’effetto citopatico (ECP). L’identificazione del virus è stata effettuata sia mediante la tecnica d’immunofluorescenza, utilizzando un siero monoclonale coniugato con fluoresceina e sia con real-time PCR. Controlli sierologici I campioni di emosiero sono stati sottoposti alla ricerca degli anticorpi rivolti verso la glicoproteina B (gB) e glicoproteina E (gE) del virus dell’IBR. I kit impiegati sono stati rispettivamente IDEXX gB ab test e IDEXX gE ab test. Esame istologico. I campioni in formalina al 10% dopo la fase di processazione ed inclusione in paraffina, sono stati sottoposti al taglio al microtomo, ottenendo sezioni di 3-4 µ di spessore ed infine colorati con ematossilina-eosina ed osservati al microscopio. Pirosequencig E’ stato effettuato utilizzando la piattaforma Qiagen Pyromark ID in accordo con le istruzioni del fornitore. Brevemente, ampliconi biotinilati (315 bp gene US8 glicoproteina E), venivano immobilizzati su microbiglie di sepharosio sensibilizzate con streptavidina, quindi denaturate e lavate con la PyroMark Vacuum Prep Worstation (QIAGEN), generando singoli filamenti di (ss)DNA. Il campione di DNA è stato eluito in piastre PSQ in presenza di un tampone di annealing e del primer di sequenziamento (PS), incubati ad 80°C per 2 min poi raffreddati per favorire l’annealing sul ssDNA. La reazione di PSQ è stata effettuata usando i reagenti PyroMarK Gold Q96 SQA, i pirogrammi venivano automaticamente analizzati con il softwere PyroMarK Sequenziamento I prodotti amplificati sono stati sequenziati direttamente dopo purificazione con analizzatore genetico 3130 (Applied Bioystems). La specificità delle sequenze è stata verificata in BLAST. INTRODUZIONE: Bovine herpesvirus 1 (BoHV-1), virus a DNA doppio filamento con envelope, appartiene alla famiglia Alphaherpesvirinae, genere Varicellovirus. E’ il principale agente eziologico della rinotracheite bovina (IBR), malattia, diffusa in tutto il mondo che colpisce i ruminanti nei quali evolve prevalentemente con sintomatologia a carico dell’apparato respiratorio e riproduttore con eventuale aborto. I soggetti colpiti restano portatori per tutta la vita grazie alla capacità del virus di sviluppare latenza a livello del ganglio del trigemino che viene raggiunto per via assonale retrograda. Il bufalo mediterraneo risulta sensibile a BoHV-1 e ciò deriva da numerose segnalazioni (2,3), ma la sua presenza nel comparto zootecnico bufalino tuttora non è stata mai associata a segni clinici sovrapponibili a quelli riscontrabili in focolai di IBR insorti nel bovino. Nel presente studio riferiamo in merito all’isolamento di BoHV-1 in due feti bufalini abortiti a circa quattro mesi di gestazione ed in tre vitelli neonati morti a pochi giorni dalla nascita. Dal momento che nel bufalo sono estremamente scarse le informazioni sull’andamento dell’infezione naturale sostenuta da BoHV1, questi ritrovamenti rappresentano utili informazioni per accrescere le attuali conoscenze sulla patogenesi dell’infezione e sull’importante ruolo che può svolgere il bufalo nell’epidemiologia dell’infezione. MATERIALI E METODI: Campionamento Nel periodo compreso tra settembre 2011 e giugno 2012 sono stati esaminati campioni biologici provenienti da due feti di bufalo abortiti al quarto mese di gravidanza proveniente da un’azienda di circa 400 capi bufalini della provincia di Caserta. Nello stesso periodo sono stati esaminati anche organi e precisamente fegato, rene, milza, polmone, cuore e cervello di 3 vitelli bufalini provenienti dalla medesima azienda. Dei tre vitelli, due erano morti dopo qualche giorno dalla nascita, mentre il terzo era stato sottoposto ad eutanasia perché nato con una malformazione degli arti posteriori. Campioni di emosiero sono stati raccolti dalle bufale abortite e dal vitello sacrificato prima della morte. Controlli virologici Le indagini virologiche sono state eseguite subito dopo la necroscopia su omogenati d’organo impiegando la metodica di realtime PCR descritta sull’OIE Terrestrial Manual 2010 (1). Nella sessione di lavoro è stato utilizzato come controllo positivo sia il RISULTATI E CONCLUSIONI: Riguardo ai risultati relativi all’isolamento di BoHV1 su tessuto colture, l’effetto citopatico (ECP) è stato osservato alla terza giornata del secondo passaggio. Il virus è stato isolato dagli aborti e dagli organi dei due vitelli neonati morti. Riguardo al vitello sacrificato, il virus è stato rilevato solo mediante real-time PCR nel fegato e cervello mentre è risultato negativo l’isolamento in tessuto colture. Le prove di sequenziamento hanno permesso di tipizzare il ceppo come BoHV-1.1. Le prove sierologiche hanno rilevato la presenza di anticorpi rivolti verso la gB e gE in tutti i sieri. I referti dell’esame istologico eseguito sugli organi dei due vitelli morti segnalano la presenza di lesioni nel cuore, polmone, milza, fegato, compatibili con un’ 41 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 infezione virale (Figg.2,3). Anche nel cervello dell’animale sacrificato le lesioni istologiche riscontrate risultano essere caratterizzate da manicotti perivascolari con infiltrazione di linfociti (Fig.1). A seguito della prima segnalazione di ritrovamento di BoHV1 il veterinario aziendale ha provveduto ad effettuare una profilassi immunizzante con vaccino gE deleto a tutte le bufale e dopo la vaccinazione gli episodi di aborto sono cessati così come la morte di vitelli neonati. Ad ogni modo nei vitelli abbiamo ritenuto fondamentale escludere la presenza di altri importanti patogeni responsabili di malattie neonatali quali ad esempio E. coli, Salmonella, Cl. perfrigens, Rotavirus, Coronavirus, MVD/MD. Nessun patogeno tra quelli ricercati è stato rinvenuto in sede extraintestinale. Ad oggi la suscettibilità del bufalo al BoHV1 è stata ampiamente dimostrata sia attraverso infezioni sperimentali e sia attraverso indagini sierologiche ma mancano report che associano il virus ad infezioni che decorrono con sintomi riconducibili a quelli registrati nel bovino quali ad esempio aborto. Nelle infezioni sperimentali gli animali infettati con BoHV1 non hanno presentato sintomi clinici, facendo supporre agli autori la possibilità che il virus possa indurre nell’ospite non specifico un’infezione asintomatica messa in evidenza dalla sieroconversione. Diversamente in condizioni d’infezione naturale molte sono le varianti in grado di influenzare il decorso dell’infezione quali ad esempio l’età dell’animale, lo stadio della gravidanza, la dose infettante e per ultimo, ma non per questo meno importante, il management aziendale. Le infezioni crociate tra bovini e bufali sono quindi possibili e anche in questa specie animale non si può trascurare il ruolo svolto da BoHV1 ed in particolare la possibilità che il virus possa indurre perdite dirette dovute ad aborti, mortalità neonatali, infertilità e soprattutto la possibilità di incremento di patologie secondarie negli allevamenti ove è presente grazie al suo effetto door opener. Alla luce di quanto sopra messo in evidenza, si rende necessaria una riflessione sul ruolo epidemiologico del bufalo nella diffusione dell’infezione da BoHV1 e sull’eventuale necessità di inserire tale specie nei piani di controllo dell’IBR anche in quelle regioni d’Italia dove attualmente è esclusa. Fig. 1 - Cervello (H-E): manicotti perivascolari di natura linfocitaria, gliosi parenchimale Fig. 2 - Fegato: foci di necrosi caseosa con ingenti infiltrati infiammatori BIBLIOGRAFIA: 1)OIE Terrestrial Manual 2010 chapter 2.4.13. 2)Rana SK.,Kota S.N.L.S.,Samayam P.N.R., Srinivasan V.A. 2011 Use of Real Time polymerase chain reaction to detect bovine herpesvirus in frozen cattle and buffalo semen in India. Veterinaria Italiana, 47, 3, 313-322. 3)Ros C., and Belak S. 2002 Characterization of the glicoprotein B gene from ruminant Alphaherpesvirus. Virus genes, 24, 2, 99-105. 4)Scicluna M.T.,Caprioli A.,Saralli G.,Manna G.,Barone A.,Cersini A.,Cardeti G.,Condoleo R.U.,Autorino G.L. 2010. Should the domestic buffalo (Bubalus bubalis) be considered in the epidemiology of Bovine herpesvirus 1 infection?. Veterinary Microbiology Fig. 3 - Fegato: manicotti fibrosi perivascolari ed infiltrati infiammatori di prevalente natura linfocitaria, scompaginamento dei dotti biliari 42 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISULTATI PRELIMINARI DELLA SORVEGLIANZA VIROLOGICA PER FLAVIVIRUS REALIZZATA SU ZANZARE IN PIEMONTE NEL 2011 Rizzo F.*[1], Ameri D.[1], Calzolari M.[2], Bonilauri P.[2], Prearo M.[1], Pautasso A.[1], Radaelli M.C.[1], Bertolini S.[1], Barbieri I.[3], Casalone C.[1], Chiavacci L.[1], Mandola M.L.[1] Keywords: flavivirus, zanzare, sorveglianza virologica [1] Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna ~ Reggio Emilia, [3] Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna ~ Brescia [2] aeroporti di traffico internazionale e siti di passaggio di uccelli migratori. Le trappole a CO2, attivate dal tardo pomeriggio fino alla mattinata del giorno seguente, sono state campionate 2 volte al mese in settimane alterne, per un totale di 8 trappole analizzate a settimana. Le zanzare, identificate a livello di specie, sono state raggruppate in pools, di massimo 200 zanzare ciascuno, rispettando sito, specie e data di prelievo; ogni fase del processo preanalitico è stata effettuata nel rispetto della catena del freddo, per preservare l’RNA virale dei campioni. I pool sono stati omogenati in PBS con DEPC attraverso l’uso del Tissue Lyser (Qiagen). L’RNA totale, estratto in TRIZOL (Sigma), è stato eluito in 50 μl di acqua RNasi free. I cDNA, retrotrascritti con il kit High-Capacity cDNA Reverse Transcription Kit (AB), sono stati amplificati simultaneamente con una PCR qualitativa specifica per il segmento NS5 di Flavivirus (5) e una Real time PCR disegnata sull’estremo 3’ della regione NC di WNV (7). Le analisi di conferma comprendevano un saggio qualitativo per la proteina E di USUV (4) e il sequenziamento degli ampliconi ottenuti. Il confronto delle sequenze generate con sequenze registrate in database pubblici , è stato espresso in termini di percentuale di identità nucleotidica. Per la costruzione degli alberi filogenetici, l’analisi delle sequenze ottenute e di sequenze omologhe di altri flavivirus presenti nel database GenBank è stata eseguita con il programma MEGA5(6), utilizzando “Neighbor-Joining method” per le sequenze del gene NS5 e “Maximum Likelihood method” per il gene E. SUMMARY: In the last few years the spread of RNA viruses with zoonotic potential through all Europe, included Italy, have been observed; most of these tropical species belonging to Flaviviridae family, are maintained by a wild bird-mosquito transmission cycle. In order to identify potential vectors and highligh early virus circulation, in 2011 IZSPLV implemented a virological surveillance in Piedmont region as a high risk area for the geographical position. Here we present the virological findings on mosquitoes collected in Piedmont in 2011. INTRODUZIONE: Negli ultimi anni la comparsa in alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia, di focolai epidemici animali e umani, ha portato in primo piano il problema dell’introduzione in territori prima indenni, di virus a RNA originari di Paesi tropicali. Il genere Flavivirus, appartenente alla famiglia Flaviviridae, comprende più di 70 specie virali, la maggior parte delle quali, a potenziale zoonotico, è trasmessa da artropodi ematofagi (8). La classificazione del genere comprende attualmente tre gruppi antigenicamente separati: i mosquito borne virus (MBV), comprendenti patogeni umani ad ampia diffusione, come il virus Yellow fever (YFV), il virus Dengue (DENV), il virus West Nile (WNV) e il virus della Encefalite Giapponese (JEV), il gruppo dei tick borne virus (TBV), che comprende il virus Tick-borne (TBEV) e infine il gruppo definito “mosquito-only virus” (MOV), propagabili solo su linee cellulari da dittero (8). Nel gruppo della Encefalite giapponese è compreso anche il virus Usutu (USUV), rilevato in ditteri e volatili in numerosi Paesi europei a partire dal 2001, quando in Austria fu associato a mortalità di corvidi (9); nel 2009, inoltre, è stato associato a 2 casi umani di malattia neuroinvasiva in Emilia Romagna (2). WNV e USUV, strettamente correlati dal punto di vista filogenetico (1), sembrano condividere lo stesso ciclo biologico, coinvolgendo uccelli selvatici (serbatoio), zanzare del genere Culex (vettore) e mammiferi (ospiti occasionali). I MOV, tra cui i “Culex Flavivirus” (CxFV) e gli “Aedes Flavivirus” (AeFV), nei riguardi dei quali i mammiferi non sembrano essere ospiti competenti, sono stati evidenziati in differenti specie di zanzare nel mondo (3), suggerendo una stretta associazione evolutiva tra ceppo virale e genere di zanzara ospite, confermata anche da studi di caratterizzazione filogenetica (3, 8). Il Piemonte, attraversato dal corso del fiume Po e confinante con regioni ove la circolazione di flavivirus è stata rilevata in precedenza, presenta siti favorevoli all’introduzione e mantenimento delle arbovirosi. In questo lavoro vengono presentati i risultati preliminari della sorveglianza virologica su zanzare, attuata in Piemonte nel corso del 2011 nell’ambito di un programma integrato di sorveglianza entomologica “risk-based”, istituito al fine di definire la composizione in specie, diffusione di potenziali vettori e precoce individuazione di flavivirus sul territorio. RISULTATI E CONCLUSIONI: Tra maggio e settembre 2011 sono state raccolte in Piemonte 7833 zanzare, per un totale di 266 pools analizzati. Culex pipiens è stata la specie più rappresentata (48,8%) sul totale della sorveglianza virologica, seguita da Ochlerotatus caspius (33,45%). Due pools di O.caspius (id 81618-1,2) e un pool di C. pipiens (id 81618-3), composti da circa 200 esemplari ciascuno, raccolti a inizio agosto nella stessa trappola lungo il corso del Po in provincia di Alessandria, sono risultati positivi alla PCR di genere per flavivirus; il sequenziamento degli ampliconi ha dimostrato una elevata percentuale di identità nucleotidica (96-97%) con un ceppo da Aedes campionato nel 2009 in Emilia Romagna (GenBank accession number:HQ441866). L’albero filogenetico in Fig.1 illustra l’affinità delle sequenze 81618-1-3 con i membri del gruppo MBV. Le varianti del Piemonte risultano filogenicamente molto simili (93%) a un nuovo MBV, definito Marisma Mosquito virus (MMV) (GB:JN603190.1), identificato recentemente in Spagna (10). Un pool di C. pipiens (id IZSTO), composto da 3 esemplari catturati a metà settembre in provincia di Novara, è risultato positivo anche al saggio PCR per USUV; la sequenza del frammento ottenuta ha rivelato una alta percentuale di identità nucleotidica (99%) con un ceppo emiliano del 2010 da C. pipiens (GB:F834676). L’albero filogenetico in figura 2 mostra come la sequenza IZSTO si posizioni nello stesso cluster di un ceppo austriaco USUV del 2004. MATERIALI E METODI: La sorveglianza virologica è stata realizzata su 16 trappole posizionate sul territorio piemontese selezionate in base a criteri di rischio quali prossimità con aree umide, 43 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 La sorveglianza impostata secondo lo studio dei fattori di rischio ha permesso di identificare la circolazione sul territorio piemontese di flavivirus del gruppo MBV e di USUV, anche in assenza di evidenze cliniche negli animali. L’affinità delle sequenze piemontesi con gli MBV, nonostante MMV in Spagna sia stato isolato con successo da cellule di zanzara e non da cellule di mammifero (9), potrebbe essere indicativa del potenziale patogeno di questo virus; sono comunque necessari ulteriori approfondimenti per confermare tale ipotesi. Lavoro in parte finanziato dal Ministero della Salute come progetto di ricerca corrente “Allestimento di un sistema multidisciplinare di controllo degli arbovirus patogeni per uomo ed animali nei culicidi vettori” Fig.1: albero filogenetico per la regione NS5 di flavivirus 44 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Fig.2: albero filogenetico per la proteina E di USUV and development of a rapid, highly sensitive heminested reverse transcription-PCR assay for detection of flaviviruses targeted to a conserved region of the NS5 gene sequences. J Clin Microbiol 39: 1922–1927. 6.Tamura K, Peterson D, Peterson N, Stecher G, Nei M, and Kumar S.(2011). MEGA5: Molecular Evolutionary Genetics Analysis using Maximum Likelihood, Evolutionary Distance, and Maximum Parsimony Methods. Mol Biol Evol. 28(10):2731-2739. 7.Tang Y, Anne Hapip C, Liu B and Fang CT.(2006). Highly sensitive TaqMan RT-PCR assay for detection and quantification of both lineages of West Nile virus RNA. J Clin Virol 36:177–182 8.Vázquez A, Sánchez-Seco MP, Palacios G, Molero F, Reyes N, Ruiz S, Aranda C, Marqués E, Escosa R, Moreno J, Figuerola J and Tenorio A.(2012). Novel flaviviruses detected in different species of mosquitoes in Spain. Vector Borne Zoonotic Dis. 12(3):223-229 9.Weissenböck H, Kolodziejek J, Url A, Lussy H, Rebel-Bauder B and Nowotny N.(2002) Emergence of Usutu virus, an African Mosquito-Borne Flavivirus of the Japanese Encephalitis Virus Group, Central Europe. Emerg Infect Dis. 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J Virol 83(18): 9532-9540 4.Manarolla G, Bakonyi T, Gallazzi D, Crosta L, Weissenbock H, Dorrestein GM, Nowotny N. (2010). Usutu virus in wild birds in northern Italy. Vet Microbiol 141: 159-163. 5.Scaramozzino N, Crance JM, Jouan A, DeBriel DA, Stoll F and Garin D.(2001) Comparison of flavivirus universal primer pairs 45 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 MALATTIE TRASMESSE DA ZECCHE: LA SORVEGLIANZA SUL TERRITORIO COME STRUMENTO PER UNA DIAGNOSI PRECOCE Pintore M.D.*[1], Pautasso A.[1], Corbellini D.[1], Tomassone L.[2], Ceballos L.A.[2], Rizzo F.[1], Ameri D.[1], Boin C.[1], Mignone W.[1], Peletto S.[1], Acutis P.L.[1], Mandola M.L.[1], Mannelli A.[2], Casalone C.[1] Keywords: zecche, zoonosi, sorveglianza Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino, [2] Università degli Studi di Torino ~ Torino [1] SUMMARY: Ticks are ectoparasites that heavily impact on global health by transmitting pathogens to vertebrates. Tick borne diseases (TBD) may affect animals and cause severe diseases in humans. Aim of this work is to present an epidemiological survey on TBD carried out in Piedmont and Liguria in order to investigate tick fauna and tick infection. Ticks were collected from environment, animals and men, identified and tested for the main zoonotic pathogens.Tick abundance, density of vertebrate reservoir hosts and infection prevalence in ticks are important data useful for the protection of public health. protocolli descritti in letteratura (5; 8; 7;6) Infine i campioni positivi per B. burgdorferi s.l. sono stati sottoposti a sequenziamento per l’identificazione delle genospecie coinvolte. Il gene OspC delle genospecie patogene per l’uomo è stato inoltre sequenziato e ne è stata eseguita l’analisi filogenetica al fine di valutare la potenziale invasività delle spirochete. L’analisi filogenetica è stata eseguita con il metodo della distanza UPGMA con 5,0 MEGA. Le distanze sono state calcolate in base al modello Jukes-Cantor. RISULTATI E CONCLUSIONI: Liguria In totale sono state raccolte 1440 zecche da dragging. Le zecche sono state classificate come appartenenti a 4 generi: Ixodes spp. (90%), Haemaphysalis spp. (6,5%) Dermacentor spp. (3%), Rhipicephalus spp. (0,5%). La fascia altitudinale più colpita era tra 400e 800 m s.l.m. e la densità variava da 0 a 111 zecche/100 m2. Il grafico in allegato n. 1 descrive la distribuzione delle specie di zecche riscontrate nelle Province Liguri. 1590 zecche, appartenenti ai 4 generi riscontrati dal dragging, sono state prelevate da animali come illustrato in allegato n 2. Piemonte. In totale sono state raccolte 1671 zecche tramite dragging. La fascia altitudinale più colpita era compresa tra 400 e 800 m s.l.m. e la densità variava da 0 a 113 zecche/100m2. Centocinque zecche sono state prelevate da animali selvatici. L’unica specie riscontrata è stata Ixodes ricinus, sia dall’ambiente che dagli animali. Sono state analizzate per la ricerca dei patogeni 352 zecche (323 da dragging e 29 da animale) Trentacinque sono risultate positive per B. burgdorferi s.l. Sono state identificate 4 genospecie: B. afzelii (38%), B. lusitaniae (38%), B. garinii (15%) and B. valaisiana (3%) – Allegato n. 3. Dall’analisi filogenetica basata sul gene OspC è emerso che la maggior parte dei ceppi di B. afzelii (10/11) e B. garinii (4/5) ) risultano potenzialmente invasivi per l’uomo. Tredici zecche sono risultate positive per Rickettsia spp. (5 R. monacensis e 8 R. helvetica) e 5 per Anaplasma phagocytophilum, mentre non è stato isolato TBEV. Grazie alla campagna di sensibilizzazione ai cittadini sono pervenute 69 zecche prelevate dall’uomo. Finora le indagini biomolecolari sono state completate su 48 zecche, di cui 10 sono risultate positive per patogeni come dettagliato in allegato n. 4 . Dai risultati del presente studio è emerso che in Liguria l’abbondanza delle zecche in cerca di ospite aumenta spostandosi dall’area costiera all’entroterra, per poi nuovamente diminuire per l’effetto negativo dell’altitudine. La fascia altitudinale più favorevole alla presenza delle zecche e, di conseguenza, di maggiore rischio acarologico per l’uomo è compresa fra 400 e 800 m s.l.m. I risultati dello studio, confermano inoltre la crescente diffusione di I. ricinus in aree altitudinali elevate anche al di sopra dei 1000 m s.l.m., come riportato anche in altri Paesi Europei. In questa regione la fauna ixodologica è più varia INTRODUZIONE: Le zecche sono parassiti ematofagi obbligati in grado di veicolare numerosi agenti infettivi patogeni per l’uomo e per gli animali. Le malattie trasmesse dalle zecche (MTZ) sono in continua espansione in diversi Paesi del mondo e la loro incidenza è aumentata nel corso degli ultimi anni. I vertebrati domestici e selvatici rivestono un ruolo importante come ospiti serbatoio e fonte di nutrimento per le zecche; l’uomo riveste un ruolo di ospite occasionale (3). Il presente studio si propone di svolgere un’indagine epidemiologica per valutare la presenza delle MTZ in alcune aree del Piemonte e della Liguria. L’obiettivo è identificare gli habitat a rischio, indagare la presenza di agenti patogeni nelle zecche campionate nell’ambiente e sugli animali. MATERIALI E METODI: Nel periodo marzo 2011-giugno 2012 sono state prelevate zecche su ospite (animali e uomo), e nell’ambiente, in siti selezionati della Liguria e del Piemonte. Per il campionamento dall’ambiente, le zecche sono state raccolte tramite la tecnica del panno strisciato (dragging), in siti dalla superficie di 100 m2, con cadenza mensile da marzo a settembre 2011. Sono stati selezionati 91 siti in Liguria, nelle province di Genova, Imperia e La Spezia, e 15 in Piemonte, nella provincia di Verbano-Cusio-Ossola (VCO). I siti sono stati scelti in base alla vegetazione, altitudine, distanza dal mare e versante. Sono state raccolte le zecche da animali vivi o morti pervenuti nella sezione dell’IZS di Imperia e presso l’ASL VCO-3. Al fine di sensibilizzare la popolazione alle problematiche connesse al morso delle zecche, inoltre è stata attuata una campagna di sensibilizzazione attraverso la realizzazione e distribuzione in Piemonte di materiale divulgativo, sotto forma di depliant e locandine. Tutte le zecche raccolte sono state contate e sottoposte ad identificazione tassonomica mediante microscopio stereoscopico seguendo chiavi tassonomiche (1;2;4) Trecentocinquantadue zecche raccolte dall’ambiente, selezionate in modo casuale tra ninfe e adulti in Piemonte e 48 zecche prelevate dall’uomo, sono state sottoposte ad indagini molecolari (PCR) al fine di ricercare la presenza di patogeni trasmissibili all’uomo quali Borrelia burgdorferi s.l., Rickettsia spp, Anaplasma spp, Tick borne encephalitis virus (TBEV), seguendo i 46 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 rispetto alla Provincia VCO. I. ricinus, la specie dominante in Liguria e l’unica riscontrata in Piemonte finora, è vettore di diverse zoonosi, inclusa la Borreliosi di Lyme (LB). I risultati delle indagini biomolecolari eseguite su un campione di zecche rappresentativo del Piemonte ha permesso di stimare che la prevalenza di infezione da B. burgdorferi s.l. nelle zecche dall’ambiente nella provincia VCO è del 10,3% . In questa provincia sono stati segnalati 3 casi umani di LB nel 2010 e 4 nel 2011. Inoltre le analisi filogenetiche eseguite sul gene Osp C da B. afzeli e B. garinii indicano che i ceppi di Borrelia che circolano tra le zecche in cerca di ospite hanno una potenziale patogenicità per l’uomo. Infine la campagna di sensibilizzazione alla problematica ha portato al conferimento presso l’IZS PLVA di ben 69 zecche prelevate dall’uomo, a dimostrazione che l’attività divulgativa ha avuto un buon riscontro soprattutto tra le persone considerate “a rischio”, quali frequentatori di boschi, parchi e campi incolti soprattutto nel periodo estivo. Il 20,8% delle zecche da uomo sottoposte ad indagini biomolecolari sono risultate infette da agenti potenzialmente patogeni per l’uomo. Risulta pertanto importante individuare tempestivamente la presenza di patogeni nei vettori al fine di favorire una diagnosi precoce nell’uomo. La prosecuzione dell’attività di campo, il completamento delle indagini biomolecolari sulle zecche non ancora testate, e la valutazione della dinamica stagionale delle zecche nelle diverse aree di studio permetterà di ottenere informazioni utili per la salute pubblica. BIBLIOGRAFIA: 1. Cringoli G., Iori A., Rinaldi L., Veneziano V. et Genchi C. (2005). Zecche. Mappe Parassitologiche. Rolando editore, Napoli; 308 pp. 2. Estrada-Pena A., Bouattour A., Camicas J.L., Walker A.R. Ticks of domestic animals in the Mediterranean Region. A Guide to identification of Species. Ed. University of Zaragoza, 2004, 131 p. 3. Jongejan F. and Uilenberg G. The global importance of ticks. Parasitology. 2004; 129: S3-S14. 4. Manilla, G. 1998. Acari, Ixodida (Fauna d’Italia 36). Edizioni Calderoni, Bologna, Italy 5. Rijpkema, S. G., M. J. Molkenboer, L. M. Schouls, F. Jongejan, and J. F. Schellekens. Simultaneous detection and genotyping of three genomic groups of Borrelia burgdorferi sensu lato in Dutch Ixodes ricinus ticks by characterization of the amplified intergenic spacer region between 5S and 23S rRNA genes. J. Clin. Microbiol. 1995, 33: 3091-3095. 6. Schwaiger M, Cassinotti P., Development of a quantitative real-time RT-PCR assay with internal control for the laboratory detection of tick borne encephalitis virus (TBEV) RNA. J Clin Virol. 2003 Jul;27(2): 136-45. 7. Stuen S, Nevland S, Moum T., Fatal cases of Tick-borne fever (TBF) in sheep caused by several 16S rRNA gene variants of Anaplasma phagocytophilum. Ann N Y Acad Sci. 2003 Jun; 990:433-4 8. Tzianabos T, Anderson BE, McDade JE. Detection of Rickettsia rickettsii DNA in clinical specimens by using polymerase chain reaction technology. J Clin Microbiol. 1989 Dec;27(12): 2866-8. 9. Wang IN, Dykhuizen DE, Qiu W, Dunn JJ, Bosler EM, Luft BJ. Genetic diversity of ospC in a local population of Borrelia burgdorferi sensu stricto. Genetics. 1999 Jan;151(1):15-30. Lavoro finanziato dal Ministero della Salute - Progetto di ricerca corrente “Malattie trasmesse da zecche: sviluppo e applicazione di metodi epidemiologici e diagnostici” 47 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 CLONAGGIO E PURIFICAZIONE DELLA PROTEINA RICOMBINANTE DIIDROLIPOAMIDE ACETILTRANSFERASI (E2) DI MYCOPLASMA GALLISEPTICUM ESPRESSA IN ESCHERICHIA COLI Silva Rocha T.*[1], Tramuta C.[1], Giuffrida M.G.[3], Profiti M.[1], Baro C.[3], Matucci A.[2], Catania S.[2], Rosati S.[1] Keywords: Mycoplasma gallisepticum, proteina ricombinante, E2 Dipartamento di Produzioni Animali Epidemioloia ed Ecologia- Università degli Studi di Torino ~ Torino, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università 10, 35020 ~ Legnaro (PD), Italy, [3] ISPA-CNR c/o Bioindustry Park Silvano Fumero Via Ribes, 5 10100 ~ Colleretto Giacosa (TO) Italy [1] [2] SUMMARY: The surface of the mycoplasma constitutes a source of antigens for diagnostic tests. We identify a component of the pyruvate dehydorgenase dihydrolipoamide acetyltransferase (E2) by two dimensional eletrophoresis (2-DE) and analyzed a recombinant E2 (r-E2). One point mutation was introduced for full length expression. Also, a rabbit antiserum produced against r-E2 was tested in WB using different mycoplasma species as antigens. The results showed the applicability of site directed mutagenesis, with a good yield of the r-E2 after purification. Anti-E2 serum reacted with all the MG strains tested, demonstrating the antigenic stability of the protein wich could represent a recombinant antigen with potential diagnostic applications. (BIOVAC). Spot corrispondenti a proteine immunoreattive sono state identificate in spettrometria di massa e analizzate con il software MS-Fit Web-based e BLASTp. Il nostro interesse si è rivolto ad un componente del complesso piruvato dehydorgenase: diidrolipoamide acetiltransferasi(E2) che risultava, dalle analisi in silico, specifico per MG. Mutagenesi sito-diretta Al fine di esprimere il gene di interesse in forma ricombinante, è stato necessario convertire un codone TGA in TGG. E’ stata quindi introdotta una mutazione puntiforme, utilizzando due reazioni di PCR (5): nella prima sono stati generati due frammenti sovrapposti di circa 30 bp in corrispondenza della mutazione da introdurre e impiegando primers con le necessarie correzioni. Tali frammenti sono stati successivamente gel purificati e concatenati in una seconda reazione di amplificazione utilizzando i primers più esterni. Il prodotto amplificato della lunghezza attesa è stato digerito con gli enzimi di restrizione appropriati, purificato e clonato nel vettore di espressione pSer6H, in frame con un tag di affinità di sei istidine, che consentono la purificazione mediante cromatografia per affinità (IMAC). I plasmidi ricombinanti sono stati usati per trasformare E. coli BL21(DE3) ed i cloni positivi controllati mediante PCR da colonia e sequenziamento. INTRODUZIONE: Le Micoplasmosi aviari provocano notevoli perdite economiche nel settore avicolo e, tra tutti i micoplasmi che possono infettare il pollame, il Mycoplasma gallisepticum (MG) è considerato la specie patogena più importante a livello globale. Il genere Mycoplasma si distingue dagli altri batteri per le dimensioni e la mancanza di una parete cellulare, a seguito di ciò, le proteine di superficie svolgono un ruolo fondamentale nelle interazioni tra patogeno ed ospite.(1) Le conoscenze derivate da studi condotti sulle proteine dell’MG hanno un notevole potenziale applicativo, ed in particolare nello sviluppo degli antigeni diagnostici. L’elettroforesi bidimensionale (2-DE) è una tecnica utilizzabile per definire il profilo dell’espressione quantitativa di miscele proteiche complesse, e trova applicazioni anche per caratterizzare e identificare proteine di micoplasmi come candidate potenziali per la diagnosi ed il controllo di infezioni.(2). Inoltre, la mutagenesi sito-specifica può essere necessaria per uno studio completo delle proteine codificate da geni di micoplasmi, poiché nel codice genetico di tali microrganismi il triptofano viene codificato prevalentemente dal codone TGA (stop codon nel codice genetico universale). Lo scopo del presente studio è stato quello di caratterizzare, dal punto di vista genetico ed antigenico, una proteina di MG potenzialmente utile allo sviluppo di uno specifico test sierologico. Tale antigene è stato preliminarmente identificato mediante elettroforesi bidimensionale, Western Blot e spettrometria di massa e successivamente espresso in forma ricombinante in MG dopo mutagenesi sito diretta per convertire i codoni TGA in TGG. Espressione della E2 ricombinante Per esprimere la proteina ricombinante, una coltura del clone positivo è stata incubata fino ad una OD600 di 0,6 quindi indotta per 2 ore con 0,5 mM Isopropyl β-D-1-thiogalactopyranoside(IPTG) sotto agitazione. I lisati cellulari totali sono stati ottenuti mediante metodi chimico-fisici e la proteina ricombinante è stato purificata dalla frazione insolubile e purificata mediante cromatografia per affinità IMAC. Purezza e quantità della proteina ricombinante sono state valutate rispettivamente mediante SDSPAGE e metodo di Bradford. Western blot ed ELISA Per confermare l’identità e la massa molecolare attesa della r-E2, è stato effettuato un WB utilizzando un anticorpo monoclonale anti-6 His. Un siero di coniglio immunizzato con la E2 ricombinante è stato utilizzato in WB per identificare la E2 nativa in differenti ceppi di MG sia di riferimento che isolati in diverse specie avicole e provenienti da aree geografiche distinte. Inoltre il medesimo siero di coniglio è stato valutato in WB con differenti specie di micoplasmi aviari. La E2 ricombinante è stata anche utilizzata in via preliminare per l’allestimento di un test ELISA indiretto, utilizzando 12 campioni positivi di polli naturalmente infetti con MG (campioni di campo) e 32 campioni negativi. MATERIALI E METODI: Elettroforesi bidimensionale e Western blotting Le proteine totali del ceppo MG S6 (ATCC Strain 15302) sono state sottoposte ad elettroforesi bidimensionale secondo procedure standard, blottate in parallelo su membrana di nitrocellulosa e testate con un siero di controllo positivo per MG 48 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISULTATI E CONCLUSIONI: L’analisi mediante western blot di proteine di MG risolte in elettroforesi bidimensionale ha consentito di identificare diverse frazioni immunoreattive. Fra queste è stata caratterizzata la diidrolipoamide acetiltransferasi (E2). Tale proteina era stata parzialmente caratterizzata da Jan et al. nel 2001 (3) ed il gene di interesse interamente sequenziato da Szczepanek et al. nel 2010. Tuttavia una accurata analisi della sua forma ricombinante era ancora necessaria per valutare le sue potenzialità diagnostiche. Per la mutagenesi sito-specifica, il primo prodotto di 1257bp e il secondo di 90pb, ottenuti nella prima PCR, sono stati purificati da gel, combinati e sovrapposti mediante una seconda reazione di amplificazione ottenendo un frammento di 1316pb (Fig . 1A). Successivamente al clonaggio nel vettore di espressione, il gene di interesse è stato interamente sequenziato, confermando la mutazione di interesse e la corretta frame di clonaggio. L’analisi in SDS-PAGE di estratti di coltura batterica in seguito all’induzione, ha rivelato una banda di 49 kDa corrispondente alla dimensione prevista (Fig1B e 1C). La proteina ricombinante è risultata solubile dopo l’utilizzo del tampone urea 4M e purificata mediante IMAC in una quantità finale soddisfacente (9,6 mg/l). Il prodotto è stato correttamente identificato in WB dall’anticorpo anti-6xHis. E’ stata inoltre valutata la capacità di un siero anti r-E2 di riconoscere la controparte nativa in diversi ceppi di MG e in altri micoplasmi aviari. Tutti i ceppi di MG (ceppi di riferimento e ceppi di campo) sono risultati positivi, mentre nessuna reazione si è osservata nei campioni di Mycoplasma synoviae (MS) e Mycoplasma iowae (MI), dimostrando che la proteina E2 è stabilmente espressa e specifica verso tutti i ceppi di MG testati ed isolati in varie regioni geografiche (Fig 2). I nostri risultati concordano con quanto precedente- mente osservato da Jan et al., 2001 (3). Una valutazione preliminare di r-E2 come antigene diagnostico è stata effettuata mediante ELISA indiretto utilizzando campioni positivi (n= 12) e negativi (n=32). La distribuzione delle densità ottiche dei valori di OD ottenuti (Fig. 3), conferma le potenzialità diagnostiche di questo antigene in forma ricombinante, la cui validità sarà valutata in condizioni di campo in studi futuri. BIBLIOGRAFIA: 1- Bencina, D.(2002): Haemagglutinins of pathogenic avian mycoplasmas, Avian Pathology, 31:6,535-547. 2- GörgA., WeissW., DunnM.(2004): Current two-dimensional electrophoresis technology for proteomics, Proteomics, 4:3665–3685. 3- JanG., LeHénaff M., FontenelleC., WróblewskH.(2001) Biochemical and antigenic characterization of Mycoplasma gallisepticum membrane proteins P52 and P67 (pMGA). Arch Microbiol,177 :81–90. 4- PanickerI.S., KanciA., Chien-JuC., VeithPD, GlewMD, BrowningGF, MarkhamPF (2012). A novel transposon construct expressing PhoA with potential for studying protein expression and translocation in Mycoplasma gallisepticum. BMC Microbiology,12:138 5- Rosati S., Robino P., Fadda, M., Pozzi S., Mannelli A., Pittau M.(2000) Expression and antigenic characterization of recombinant Mycoplasma agalactiae P48 major surface protein,71, 201-210. 6- Szczepanek SM, Tulman ER, Gorton TS, Frasca S, Kutish GF, Geary SJ(2010) Comparative Genomic Analyses of Attenuated Strains of Mycoplasma gallisepticum. Infection Immunity78:1760–1771. 49 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 STRAIN TYPING OF MYCOPLASMA SYNOVIAE: LENGTH VARIABILITY OF THE HAEMAGGLUTIN ENCODING GENE VLHA Baldasso E.*[1], Battanolli G.[1], Gobbo F.[1], Rodio S.[1], Catania S.[1] Keywords: Mycoplasma synoviae, vlhA, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Legnaro (PD) [1] SUMMARY: Mycoplasma synoviae (MS) is considered an important pathogen for poultry production. It induces acute synovitis, and respiratory disorder in chickens and turkeys; recently it has been related to the production of abnormal eggs in the layer sector [2, 3]. The aim of this study was to genotype different field strains of MS using the method described by Hammond et al. 2009 [4]. The PCR amplified the N- terminal of the vlhA gene, including PRR and RIII regions; after amplification the positive PCR products were sequenced. MS typing could permit a better epidemiological approach to the MS outbreaks. RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono stati estratti ed analizzati i DNA di 360 ceppi isolati tra il 2009 e il 2012 provenienti da diverse regioni italiane e da alcune regioni europee. La genotipizzazione secondo Hammond et al. [4] ci ha permesso di dividere i ceppi in 4 tipi: D (191 campioni), F (110 campioni), C (57 campioni) ed E (2 campioni). Per quanto riguarda i ceppi di tipo C, abbiamo ritrovato prevalentemente i sottotipi C1 e C3. La caratterizzazione dei ceppi di M. synoviae risulta essere un importante strumento diagnostico in particolar modo al fine di cercare di valutare eventuali correlazioni tra specifici genotipi e manifestazioni cliniche nei gruppi coinvolti. Inoltre può permettere anche studi epidemiologici volti ad identificare quali possono essere i fattori determinati nella diffusione di tale patogeno nel distretto avicolo Infine l’associazione di tali dati con i valori di concentrazione minima inibente potrebbe permettere una migliore classificazione. Ulteriori studi sono in corso proprio al fine di incrementare la capacità discriminativa dato che attualmente l’attenzione è focalizzata principalmente su un solo gene. INTRODUZIONE: Il Mycoplasma synoviae (MS) è considerato uno tra i più importanti micoplasmi patogeni per il settore avicolo industriale. Il suo ruolo patogeno è stato ampiamente dimostrato, in particolare nel settore da carne, provoca forme articolari con un interessamento respiratorio. Nel settore della gallina ovaiola tale micoplasma non veniva considerato un patogeno rilevante, recentemente alcuni Autori [2,3] hanno correlato la presenza del Mycoplasma synoviae ad una caratteristica alterazione del polo apicale dell’uovo, comunemente conosciuta come EAA (Eggshell Apex Abnormalities) o uova a guscio di vetro. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di genotipizzare, secondo il metodo descritto da Bencina et al.[1] e Hammond et al.[4], alcuni ceppi di M. synoviae isolati da allevamenti industriali e rurali, al fine di comprenderne la diffusione nel territorio. Il presente lavoro è stato sviluppato nell’ambito della Ricerca Corrente IZSVE 15/10 “Le micoplasmosi nel settore avicolo industriale: studio e messa a punto di nuove metodiche e protocolli diagnostici al fine di valutare e studiare il differente ruolo dei ceppi circolanti tra le differenti tipologie di produzioni avicole.” BIBLIOGRAFIA: [1] Bencina D, Drobnic-Valic M, Horvat S, Narat M, Kleven SH, Dovc P. (2001) Molecular basis of the length variation in the N-terminal part of Mycoplasma synoviae hemagglutinin. FEMS Microbiol Lett. Sep 11;203(1):11523 [2] Catania S, Bilato D, Gobbo F, Granato A, Terregino C, Iob L, Nicholas RA. Treatment of eggshell abnormalities and reduced egg production caused by Mycoplasma synoviae infection. Avian Dis. 2010 Jun,54(2):961-4. [3] Feberwee A, de Wit JJ, Landman WJ. (2009). Induction of eggshell apex abnormalities by Mycoplasma synoviae: field and experimental studies. Avian Pathol.38(1):77-85. [4] Hammond P.P., Ramirez A.S., Morrow C.J., Bradbury J.M. (2009) Development and evaluation of an improved diagnostic PCR for Mycoplasma synoviae using primers located in the haemagglutinin encoding gene vlhA and its value for strain typing. Veterinary Microbiology 136, 61-68 [5] OIE, Avian mycoplasmosis (Mycoplasma gallisepticum, M. synoviae), (2008) Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for terrestrial Animals, section 2.3 chapter 2.3.5. MATERIALI E METODI: I ceppi sono stati coltivati mediante procedura interna basata sul manuale OIE [5], con incubazione a 37°C al 5% di CO2. A crescita avvenuta, dai ceppi è stato estratto il DNA utilizzando un kit commerciale (Sigma Aldrich ®). Il DNA purificato è stato sottoposto a successiva PCR, seguendo le indicazioni descritte da Hammond et al. [4] con alcune modifiche. Al termine della reazione di PCR, i prodotti sono stati visualizzati con corsa in gel di acrilamide al 7% e successivamente inviati al sequenziamento. Le sequenze prodotte sono state allineate con il software MEGA® utilizzando come riferimento le sequenze elencate da Hammond et al.[4]. L’allineamento è avvenuto in due momenti: classificazione del genotipo tramite allineamento del PRR, valutazione della lunghezza e dell’identità rispetto alle sequenze già presenti. Infine solo per i campioni risultati di tipo C, è stato assegnato il sottotipo controllando l’identità della sequenza RIII rispetto a quelle già postate. 50 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 VALUTAZIONE DI COMPOSTI STILBENI E TERFENILICI IN COLTURE DI LEISHMANIA INFANTUM Castelli G.*[1], Bruno F.[1], Piazza M.[1], Lupo T.[1], Migliazzo A.[1], Tolomeo M.[2], Vitale F.[1] Keywords: Leishmania Infantum, Stilbenes, Terphenyls [1] Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia ~ Palermo, Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute, Sezione di Malattie Infettive, Università di Palermo ~ Palermo [2] SUMMARY: Leishmaniasis are globally widespread parasitic diseases caused by several protozoan parasites of the Leishmania genus. Leishmania species is able to undergo programmed cell death or apoptosis, as well as mammalian cells. Stilbenesbased compounds are widely represented in nature, and have become of particular interest to chemists and biologists because of their wide range of biological effects including chemopreventive, antitumor, antioxidant, antimicrobial, anti-inflammatory and antihistaminic activities Recently it was demonstrated in vitro the leishmanicidal effect of some stilbene derivatives (2-hydroxystilbene, combretastatin and heteroanalogous) and terphenyls. In this study we evaluated the anti-leishmanial activity of a pool of stilbene and terphenyls derivatives which had shown high apoptotic efficacy against neoplastic cells. 1x106 Leishmania infantum promastigotes were plated into 16 mm diameter wells containing RPMI-PY medium, a new medium, supplemented with FCS (10%) and 1% glutamine and treated with scalar concentration of 23 different artificial compunds. After 48 hours of incubation at 27°C leishmanias were harvested and their number were determined by using a counter. The percentage of apoptotic leishmanias was determined by morphological examination using a fluorencence microscope after ethidium bromide and acridine orange staining. Morphological alterations including cell shrinkage, an aflagellated ovoid shape and chromatin condensation were suggestive of apoptosis. Apoptotic activity of synthetic compounds was compared to that of pterostilbene (3,5-dimethoxy resveratrol), a natural stilbene compound. Among compounds tested; ST18, TR3 and TR4 showed an interesting anti-leishmanial activity. Our preliminary results suggest that some stilbene derivatives and terphenyls are highly effective at inducing apoptosis in Leishmania infantum promastigotes, thus they could represent potential anti-leishmanial agent that merit further pharmacological investigation. giore interesse (TR3,TR4, ST18). Nell’ambito della relazione Leishmaniosi-stilbeni, in un lavoro pubblicato nel 2007 da Kedzierski et al.(1), viene dimostrata l’azione Leishmanicida del composto naturale resveratrolo, utilizzato a diverse concentrazioni, in colture di promastigoti e amastigoti di Leishmania major; inoltre test condotti con alcuni composti ottenuti dall’idrossilazione del resveratrolo, hanno rivelato un maggiore effetto antiossidante, antiproliferativo e proapoptotico di questi derivati rispetto all’azione del resveratrolo, sia su cellule neoplastiche (2) che sulle colture leishmaniotiche. In particolare si è osservato che questi composti derivati dal resveratrolo (soprattutto il 3,4,4’,5’ tetrahydroxy trans-stilbene, TTAS) hanno un potentissimo effetto leishmanicida (determinando apoptosi) piuttosto che leishmanistatico. Invece in relazione ai composti terfenilici (3), in letteratura non sono presenti lavori in cui si è dimostrata una loro azione nei confronti dei parassiti appartenenti alla famiglia dei Trypanosomatidi. MATERIALI E METODI: I composti stilbenici e terfenilici sono stati testati in fiaschette da 25cm2, contenenti 4x106 /ml di Leishmania Infantum, alle concentrazioni di 5µM, 10µM, 20µM, 30µM, 40µM, 50µM. Le colture sono state successivamente monitorate misurando il tasso di crescita in un periodo di incubazione di 48 ore e nel caso della valutazione dell’apoptosi fino a 120 ore. I promastigoti sono stati contati utilizzando la camera di Bürker e successivamente colorati mediante colorazione may-grünwald/giemsa. Inoltre al fine di valutare la specificità di azione dei composti selezionati sono stati eseguiti saggi di vitalità cellulare (MTT) su cellule macrofagi che canine DH82. Per valutare un’eventuale citotossicità specie-specifica nei confronti dell’infantum, il composto più interessante, lo stilbene ST18, è stato poi saggiato alle stesse concentrazioni su colture di alcuni ceppi di L. amazonensis e panamensis. L’apoptosi esercitata dai composti sul ceppo MON1/IPT1 è stata studiata morfologicamente al microscopio a fluorescenza dopo colorazione con bromuro di etidio ed orange di acridina, mentre il ciclo cellulare delle leishmanie è stato valutato citofluorimetricamente dopo colorazione con ioduro di propidio. INTRODUZIONE: Recenti lavori hanno dimostrato che composti appartenenti alla classe degli stilbeni sono in grado di esercitare in vitro effetti citotossici su diverse specie di Leishmanie. Come è noto questo parassita emoflagellato è responsabile di un’antropo-zoonosi, la Leishmaniosi, che è considerata una delle maggiori malattie tropicali dalla World Health Organization. La Leishmaniosi causa un’alta mortalità per via della sua elevata capacità infettiva, rappresentando pertanto un serio problema di sanità pubblica a livello mondiale. La Leishmaniosi genera tre quadri clinici differenti: la L. viscerale, la L. muco cutanea e la L. cutanea. Nel presente lavoro, ci si propone di valutare l’azione leishmanicida di nuovi derivati stilbenici e terfenilici con lo scopo di identificare nuove molecole attive su colture parassitarie di Leishmania Infantum. Al fine di valutare il potenziale tossico dei composti che determinano una morte delle Leishmanie, analisi di tossicità in colture di DH82 sono state monitorate per i 3 composti che hanno mostrato un mag- RISULTATI E CONCLUSIONI: Tra i 16 composti analizzati il TR3, il TR4 e l’ST18 hanno mostrato un’attività leishmanicida molto interessante, mostrando una LD50 (Dose Letale 50) di 8,3 µM per TR3, una LD50 di 5,72 µM per TR4, una LD50 di 5,91µM per ST18. L’analisi con Arancio di acridina/Etidio bromuro ha dato indicazione che tale effetto leishmanicida fosse mediato dall’attivazione di un processo apoptotico (Figura 1). Questi dati hanno avuto ulteriore conferma dall’analisi citofluorimetrica del ciclo cellulare che ha mostrato che l’ST18, TR3 e TR4, determinavano un incremento della percentuale di cellule in fase sub-G1 del ciclo cellulare (Figura 2). Inoltre saggi di citotossicità condotti con questi composti su cellule macrofagiche canine DH82 hanno fornito dati interes51 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 santi riguardo la loro specificità di azione. I dati più interessanti sono stati ottenuti con l’ST18 per il quale è stato riscontrato come la dose 5,91 µM, che determinava la morte del 50% delle Leishmanie infantum (Figura 3), non aveva nessun effetto sulla vitalità delle DH82 per le quali si osservava una sopravvivenza del 100% (Figura 4). Inoltre l’analisi di citotossicità dell’ST18 in colture di Leishmanie amazonensis e panamensis ci ha permesso di ipotizzare una specie-specificità d’azione di questo stilbene, poiché i suoi effetti leishmanicidi su queste due specie non sono paragonabili a quelli osservati su L. infantum. TR3, TR4 e ST18 rappresentano nuovi composti terfenilici e stilbenici in grado di indurre apoptosi sul ceppo di leishmania MON1/ IPT1. Tra i 3 composti, lo stilbene ST18 ha suscitato maggiore interesse in quanto da un lato ha mostrato nei nostri esperimenti una maggiore e specifica attività citotossica per le infantum esercitando un blocco del ciclo cellulare e impedendo alle leishmanie di iniziare la duplicazione del DNA e quindi di entrare in fase S, e dall’altro una minore citotossicità per le DH82. L’immagine mostra l’analisi effettuata in colture di Leishmania infantum con Arancio di acridina/Etidio bromuro. Le Leishmanie sono state trattate per 72 h con 50 µM con TR3, TR4 e ST18. Effetto dei composti più attivi sul ciclo cellulare delle leishmanie valutati in questo studio. Nel controllo sono riportate le aree dell’istogramma relative alle cellule in fase G1, S e G2M. A = indica l’area dove si trovano le cellule in fase sub-G1 cioè con un quantitativo di DNA inferiore a quello tipico presente in G1. Le cellule in fase sub-G1 sono in genere cellule in apoptosi. 52 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Curva di crescita della vitalità delle Leishmanie infantum, trattata per 48h con concentrazioni crescenti di ST18 (*= p <0,05; **= p<0,01; ***= p<0,001). Curva dose-vitalità delle cellule DH82 a diverse concentrazioni di ST18. Sotto al grafico sono indicate le percentuali di vitalità delle DH82 ad ogni concentrazione di ST18 (*= p <0,05; **= p<0,01; ***= p<0,001). BIBLIOGRAFIA: (1) Kedzierski, L., Curtis, J.M., Kaminska, M., Jodynis-Liebert, J. and Murias, M. (2007) In vitro antileishmanial activity of resveratrol and its hydroxylated analogues against Leishmania major promastigotes and amastigotes. Parasitol Res 102:91-97. leukemic cells with a non-specific phase mechanism. Bioorganic & Medicinal Chemistry Letters - Bioorg Medicinal Chem Letter , vol. 16, no. 12, pp. 3245-3248. (3) Roberti M., Pizzirani D., Recanatini M., Simoni D., Grimaudo S., Di Cristina, Abbadessa V., Gebbia N. , Tolomeo M., (2006). Identification of a Terphenyl Derivative that Blocks the Cell Cycle in the G 0 −G 1 Phase and Induces Differentiation in Leukemia Cells. Journal of Medicinal Chemistry , vol. 49, no. 10, pp. 3012-3018. (2) Simoni D., Roberti M., Invidiata F. P., Aiello E., Aiello S., Marchetti P., Baruchello R., Eleopra M., Di Cristina A., Grimaudo S., Gebbia N., Crosta L., (2006). Stilbene-based anticancer agents: Resveratrol analogues active toward HL60 53 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 STUDIO PRELIMINARE SULL’UTILIZZO DEL GAMMA-INTERFERON NELLA SPECIE BUFALINA De Carlo E.[1], Martucciello A.[1], Schiavo L.*[1], Viscito A.[1], Parente G.[4], Boniotti M.B.[2], Guarino A.[3], Pacciarini M.[2] Keywords: tubercolosi bufalina, gamma-interferon test, antigeni innovativi Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Centro di Referenza Nazionale sull’igiene e le tecnologie dell’allevamento e delle produzioni bufaline ~ Salerno, [2] Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lombardia ed Emilia Romagna,Centro di Referenza Nazionale per la Tubercolosi da M. bovis ~ Brescia, [3] Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici, [4]ASL SA distretto 64 ~ Eboli [1] SUMMARY: The objective of the current study was to evaluate the use of the Gamma-Interferon (IFN-γ) assay in the buffalo specie. We used different antigens (PPDS, ESAT-6, CFP10) in the vitro stimulation of blood lynphocytes of TB positive and negative animals to evaluate which reagents give the best results. The obtained data showed that the use of both Australian PPDS gives the optimum results, even if the recombinant antigens reached a high value of specificity. tenenti ai tre allevamenti, con età superiore ai 42 giorni, sono stati sottoposti a prova intradermica con PPD bovina e PPD aviare, e a test IFN-γ. Nell’azienda A si è proceduto a eseguire il test tre volte a distanza di 50 giorni, nell’azienda B i campionamenti sono stati effettuati per due volte a distanza di un anno. Il test IFN-γ si basa sulla reazione tra il linfocita T sensibilizzato e l’antigene tubercolare. Il sistema rivelatore dell’avvenuta reazione è rappresentato dalla linfochina interferon gamma, rilevata attraverso un test immunoenzimatico di tipo semiquantitativo. In questo studio si è fatto uso di PPD bovina e aviare accluse al kit e di origine australiana, e di 2 proteine ricombinanti ESAT6 e CFP10 prodotte dal CRN per la Tubercolosi, al fine di ridurre la quantità di falsi positivi (2). INTRODUZIONE: Vari riferimenti bibliografici segnalano focolai di Mycobaterium spp. nel bufalo in più parti del mondo: Italia, Argentina, India, Brasile (1, 3, 4, 5, 6), a testimonianza della naturale sensibilità della specie a contrarre l’infezione e sviluppare la malattia. Gli insediamenti bufalini sono concentrati principalmente nel meridione d’Italia, dove il risanamento dalla tubercolosi non è ancora compiuto (prevalenza nel 2010 del 0.81% in Campania e del 0.64% nel Lazio). Inoltre, la pratica di allevare le due specie, bovina e bufalina, frequentemente in promiscuità, nonché l’utilizzo produttivo delle lattifere fino a tarda età, sono fattori che influenzano negativamente l’eradicazione della TBC in questa specie. A questo bisogna aggiungere le difficoltà di campo nell’effettuazione e soprattutto nell’interpretazione della prova intradermica (IDT). Infatti, studi compiuti sulla valutazione dello skin test nel bufalo d’acqua, attraverso inoculazione cervicale, caudale e doppia inoculazione, lo riportano come test scarsamente sensibile e specifico (7). Le difficoltà interpretative sono legate allo spessore della cute caratterizzata da uno strato corneo risultante il doppio rispetto a quello della cute bovina, nonché all’aspetto rugoso e alla presenza di fango di cui l’animale ama cospargersi. Quindi si rende necessario, al fine di soddisfare l’obiettivo dell’eradicazione, affiancare all’IDT ulteriori metodiche da impiegare in vita, al fine di migliorare le performances di sensibilità e specificità nella diagnosi. Il fallimento diagnostico in vita in questa specie è soprattutto rappresentato dalla diagnosi di TBC in sede ispettiva. Il test IFN-γ, che più studi confermano avere delle buone performance nella specie bovina (8), soprattutto in termini di specificità, potrebbe essere un valido aiuto nella diagnosi e nella eradicazione della TBC anche nella specie bufalina, per la quale attualmente non esistono dati attendibili circa le performance diagnostiche di questo test. RISULTATI E CONCLUSIONI: I campioni relativi agli animali appartenenti all’allevamento di 66 capi U.I. da TBC hanno dato esito negativo alle prove di sensibilizzazione con le proteine ricombinanti e con la PPD aviare, mentre due campioni hanno reagito positivamente in seguito a sensibilizzazione con PPD bovina, testimoniando il miglioramento della specificità attraverso l’utilizzo di antigeni ricombinanti (ESAT6-CFP10), come già valutato sul bovino dal CRN dell’IZSLER. Per quanto riguarda i focolai, i risultati relativi alle prove eseguite nell’anno 2010 per l’az. A e nell’anno 2011 per l’az. B sono riportati in tabella 1. I capi risultati positivi al test IFN-γ non sono stati abbattuti e sono state ripetute regolarmente le prove IDT, a due anni di distanza dal test per la prima azienda e ad un anno di distanza per la seconda. In tabella 2 sono riportati i risultati del confronto test IFN-γ e prova IDT ottenuti per l’azienda B nell’anno 2012. Dai risultati ottenuti in questo studio preliminare, sembrerebbe che il test IFN-γ abbia una discreta specificità vista l’assoluta mancanza di reattività con l’utilizzo delle proteine ricombinanti nell’allevamento U.I.. D’altro canto l’alta prevalenza dei capi positivi al IFN-γ nelle due aziende focolaio, a fronte di una scarsa o nulla positività alla IDT nelle stesse aziende, seguita da una positività molto più tardiva, richiede un ulteriore approfondimento. A tal fine è in itinere lo studio sull’andamento dei due focolai sino all’eradicazione, comparando la prova intradermica con il test IFN-γ e corollando gli esiti in vita anche con le prove di conferma post-mortem, quali esame anatomopatologico, istologico, batteriologico, PCR su tutti i soggetti positivi al IFN-γ. Resta che, quanto finora evidenziato sulla specie bufalina, ricalca in generale quanto già disponibile sulla specie bovina, con le dovute differenze immunitarie tra le due specie. MATERIALI E METODI: Sono stati valutati tre allevamenti bufalini di cui uno Ufficialmente Indenne (U.I.) da TBC e due infetti (azienda A e azienda B). Tutti gli animali, appar54 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tabella 1. Risultati relativi ai capi provenienti da focolai di TBC bufalina. (* = Azienda A; # = Azienda B; ne = non eseguiti). Tabella 2. Risultati relativi ai capi dell’azienda B nell’anno 2012. 5. Guanziroli M., Cicuta M.E., Zumárraga M., Romano M.I: “Isolation of Mycobacterium bovis from water buffalo (Bubalus bubalis, Linne 1758) of the North East of Argentine” 9th World Buffalo Congress, April 2010, Buenos Aires. 6. Jha V.C., Morita Y., Dhakal M., Besnet B., Sato T., Nagai A., Kato M., kozawa K., Yamamoto S., Kimura H. “Isolation of Mycobacterium spp. from milking buffaloes and cattle in Nepal” J.Vet.Med Sci. 69(8): 819-825, 2007. 7. Kanameda M., Ekgatat M., Wongkasemjit S., Sirivan C., Pachemasiri T., Kongkrong C., Buchaphan K., Boontarat B. “An enaluation of tuberculin skin tests to diagnose tuberculosis in swamp buffaloes (Bubalus bubalis)” Prev.Vet.Med. 39(2): 129135, 1999. 8. Vitale N., Zoppi S., Rossi F., Dondo A., Bergagna S., Ippolito C., Petruccioli G., Goria M., Garrone A., Ferraro G., Chiavacci L. “Valutazione dell’accuratezza diagnostica del γ-interferon test per la tubercolosi bovina in assenza di gold standard” XII Congresso Nazionale S.I.Di.L.V., 27-29 ottobre 2010, Genova. BIBLIOGRAFIA: 1. Ascione G., Cozza D., Iovane G., Galiero G. “Survey of the presence of Mycobacterium caprae in water Buffaloes in the Campania region”. 9th World Buffalo Congress, April 2010, Buenos Aires. 2. Buddle B.M., Ryan T.J., Pollock J.M., Andersen P., de Lisle G.W. “Use of ESAT-6 in the interferon- γ test for diagnosis of bovine tubercolosis following skin testing” Vet.Microbiol. 80:3746, 2001. 3. Dhakal M., Shrestha R.G., Jha V.C., Dhakal P.R., Sato T., Morita Y., Kozawa K., Kimura H. “Heat treatment effects on Mycobacterium spp. isolated from ruminants in Nepal” Vet.Microbiol. 106: 303-304, 2005. 4. Fujimura Leite C.Q., Anno I.S., Andrade Leite S.R., Roxo E., Morlock G.P., Cooksey R.C. “Isolation and identification of mycobacteria from livestock specimens and milk obtained in Brazil” Mem.Inst. Oswaldo Cruz vol.98 n.3, Rio de Janeiro Apr. 2003. 55 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE E SENSIBILITÀ AGLI ANTIMICROBICI DI CEPPI DI YERSINIA PSEUDOTUBERCULOSIS ISOLATI DA ANIMALI DOMESTICI E SELVATICI Magistrali C.F.*[1], Cucco L.[1], Farneti S.[1], Ercoli L.[1], Tartaglia M.[1], Prati P.[2], Lollai S.[3], Pezzotti G.[1] Keywords: Yersinia pseudotuberculosis, serotype, virulence Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche ~ Perugia, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e della Emilia Romagna ~ Pavia, [3] Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna ~ Sassari [1] [2] SUMMARY: The epidemiology of Y. pseudotuberculosis infection is not yet fully understood. Sixty-five isolates of Y. pseudotuberculosis, from cases of yersiniosis (n 53) and from asymptomatic wild boars (n 2), all confirmed as inv – positive, were included in this study. All isolates were typed for capsular antigens, melibiose fermentation, virulence determinants and sensitivity to antimicrobials. All the isolates showed susceptibility to antimicrobials. 35/65 strains were positive to yopH and yopB by PCR. Most strains were O:1a, O:1b and O:2a. However, two isolates from wild boars were characterized as O3-O1:b, and one from a hare O:12-O:13. di cinghiali asintomatici e infine da episodi di yersiniosi nel capriolo, canarino, gatto e minilepre (Tabella 1). I ceppi sono stati sottoposti a determinazione della sensibilità ai seguenti antimicrobici (5): ceftadizime, ampicillina, sulfametossazolo, cloramfenicolo, tetraciclina, streptomicina, cefalessina, ciprofloxacina, cefotaxime, acido nalidixico, kanamicina, amoxicillina + acido clavulanico ed eritromicina, e a multiplex PCR per i geni codificanti gli antigeni capsulari (6), e diretta a inv (7) yopH e yopB (3). Le tipizzazioni capsulari sono state affiancate dall’agglutinazione con sieri iperimmuni (Denka Seiken, Japan) e da fermentazione del melibiosio (8). I ceppi di riferimento sono stati gentilmente forniti dal dott. M. Skurnik (Helsinki University). INTRODUZIONE: Yersinia pseudotuberculosis è un agente di malattia in diverse specie animali di cui sono note anche le potenzialità zoonosiche. Negli animali, la yersiniosi è stata associata a diverse manifestazioni cliniche, come enterite, mastite, setticemia ed aborto in specie domestiche e selvatiche, quali pecora, bovino, volatili, suino e lepre (1,2). La patogenicità di Y.pseudotuberculosis è legata alla presenza di un plasmide di virulenza, che codifica per una serie di proteine anti-fagocitosi (Yersinia outer proteins), e della invasina Inv, di origine cromosomiale (3). Nell’uomo, la malattia si manifesta generalmente in modo sporadico; alcuni focolai epidemici sono stati tuttavia recentemente descritti in Finlandia e Francia, e in questi casi l’origine dell’infezione è stata fatta risalire a contatto diretto od indiretto con la fauna selvatica (2,4). Scopo di questo lavoro è stato quello di caratterizzare isolati di Y. pseudotuberculosis, provenienti da specie domestiche e selvatiche, valutandone sierotipo, determinanti di virulenza e sensibilità agli antimicrobici, per permettere un più efficace controllo della malattia negli animali e nell’uomo. RISULTATI E CONCLUSIONI: Tutti gli stipiti analizzati in questo lavoro sono risultati positivi al gene inv, confermando l’attribuzione a Y. pseudotuberculosis (9). Tutti i ceppi hanno mostrato un profilo identico di antibiotico resistenza, con sensibilità a tutti gli antibiotici testati ad eccezione dell’eritromicina, verso la quale le Enterobacteriaceae sono naturalmente resitenti, confermando quanto rilevato da altri autori (10,11,12). Questo batterio appare quindi conservare la sensibilità nei confronti degli antibiotici consigliati per la terapia, come gentamicina e sulfametossazolo (11). I determinanti di patogenicità yopH e yopB sono stati rinvenuti, sempre in associazione, in 35 ceppi, senza correlazioni osservabili con la presenza di lesioni o sintomi particolari, specie o area di origine. E possibile tuttavia ipotizzare la presenza di falsi negativi, legati alla perdita del plasmide durante le subcolture (8). Nella maggior parte dei casi gli stipiti sono risultati appartenenti ai sierotipi O:1a, O:1b e O:2a, senza correlazioni tra l’anno, la provenienza geografica e la specie animale di origine (Tabella 1). Tuttavia, ci sono state alcune eccezioni: i due ceppi provenienti da cinghiale sono risultati O3-O1:b, e uno, isolato da una lepre colpita da forma setticemica in Lombardia prima del 2000, è risultato O:12-O:13. I sierotipi descritti nel corso MATERIALI E METODI: Le indagini sono state condotte su 65 stipiti di Y. pseudotuberculosis isolati dal 1996 al 2012 in diverse regioni italiane. Gli isolati provenivano da casi di setticemia o enterite nella lepre, da mastite o aborto nell’ovino, da tonsille 56 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 della nostra indagine sono considerati i più comuni negli animali selvatici in Europa, mentre i sierotipi O:4-O:15 si ritrovano principalmente in Asia (10). La conoscenza dei sierotipi di Y.pseudotuberculosis circolanti in Italia può consentire, in corso di focolaio, la distinzione tra ceppi di origine autoctona o di provenienza orientale, come avvenuto recentemente in Francia (4). Inoltre, la conoscenza dei sierotipi circolanti può essere utile per una diagnosi indiretta differenziale con le infezioni da Francisella tularensis e Brucella suis. Un commento a parte merita il rilievo di, O3-O1:b: per quanto ci è stato dato accertare, ceppi di Y. pseudotuberculosis O3O1:b sono stati segnalati in precedenza solo in un focolaio di yersiniosi in cervidi Nord America (3). Tutti e due i ceppi O3O1:b sono risultati positivi per inv, yopH e yopB, e melibiosio negativi, caratteristiche compatibili con il gruppo genetico G5, che però non è mai stato segnalato nella fauna selvatica (13). Concludendo, la caratterizzazione degli isolati di Y.pseudotubercolosis ha consentito di evidenziare la circolazione prevalente di sierotipi tipici del contesto europeo, potenzialmente patogeni per l’uomo, con il rilievo di alcuni sierotipi rari nel cinghiale e nella lepre, e una generale sensibilità verso gli antibiotici impiegati nel controllo della yersiniosi. 5 EUCAST Disk Diffusion Method for Antimicrobial Susceptibility Testing- Version 2.1 (February 2012) www.eucast.org 6. Bogdanovich T, Carniel E, Fukushima H, Skurnik M. 2003 Use of O-antigen gene cluster-specific PCRs for the identification and O-genotyping of Yersinia pseudotuberculosis and Yersinia pestis. J Clin Microbiol. 41:5103-12 7 Thoerner P., Bin Kingombe C.I., Bögli-Stuber K., Bissig-Choisat B., Wassenaar T., Frey M., Jemmi T., 2003 PCR Detection of Virulence Genes in Yersinia enterocolitica and Yersinia pseudotuberculosis and Investigation of Virulence Gene Distribution Appl Environ Microbiol. 69: 1810–1816 8.Niskanen T, Laukkanen R, Murros A, Björkroth J, Skurnik M, Korkeala H, Fredriksson-Ahomaa M. 2009 Characterisation of non-pathogenic Yersinia pseudotuberculosis-like strains isolated from food and environmental samples. Int J Food Microbiol. 129(2):150-6 9 Nakajima H, Inoue M, Mori T, Itoh K, Arakawa E, Watanabe H. 1992 Detection and identification of Yersinia pseudotuberculosis and pathogenic Yersinia enterocolitica by an improved polymerase chain reaction method. J Clin Microbiol. 30:2484-6 10 Bonke R, Wacheck S, Stüber E, Meyer C, Märtlbauer E, Fredriksson-Ahomaa M. 2011 Antimicrobial susceptibility and distribution of β-lactamase A (blaA) and β-lactamase B (blaB) genes in enteropathogenic Yersinia species. Microb Drug Resist. 17(4):575-81 11 Terentjeva M., Bērziņš A. 2010 Prevalence and Antimicrobial Resistance of Yersinia enterocolitica and Yersinia pseudotuberculosis in Slaughter Pigs in Latvia Journal of Food Protection 73: 1335-1338 12 Martins C. H. G., Bauab T. M., Falcão D. P. 1998 Characteristics of Yersinia pseudotuberculosis isolated from animals in Brazil. Journal of Applied Microbiology 85: 703–70 13 Laukkanen-Ninios R., Didelot X., Jolley K. A., Morelli G., Sangal V., Kristo P., Brehony C., Imori P. F. M., Fukushima H., Siitonen A., Tseneva G., Voskressenskaya E.,. Falcao J. P, Korkeala H., Maiden M. C. J., Mazzoni C., Carniel E., Skurnik M., Achtman M. 2011 Population structure of the Yersinia pseudotuberculosis complex according to multilocus sequence typing Environmental Microbiology 12: 3114–3127 BIBLIOGRAFIA: 1 Shwimmer A, Freed M., Blum S., Khatib N., Weissblit L., Friedman S., Elad D. 2007 Mastitis caused by Yersinia pseudotuberculosis in Israeli dairy cattle and public health implications. Zoonoses and Public Health 54: 353-357 2 Wuthe H., Aleksic S., Kwapil S. 1995 Yersinia in the European brown hare of northern Germany. Contrib Microbiol Immunol. 13:51-54 3 Zhang S., Zhang Z., Liu S., Bingham W., Wilson F. 2008 Fatal yersiniosis in farmed deer caused by Yersinia pseudotuberculosis serotype O:3 enconding a mannosyltranferase-like protein WbyK. J Vet Diagn Invest 20: 356-359 4 Vincent P, Leclercq A, Martin L, Yersinia Surveillance Network, Duez J-M, Simonet M. 2008 Sudden onset of pseudotuberculosis in humans, France, 2004–05. Emerg Infect Available from http://wwwnc.cdc.gov/eid/article/14/7/07-1339.htm. 57 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 UTILIZZO DEL MEAT JUICE PER LA SIEROLOGIA DELLA MALATTIA DI AUJESZKY NEL CINGHIALE Natale A.[1], Zuliani F.*[1], Di Martino G.[2], Lucchese L.[1], Gagliazzo L.[2], Chisini Granzotto F.[3], Sandonà C.[1], Bonfanti L.[2] Keywords: Aujeszky, sierologia, cinghiale Laboratorio di Diagnostica Virologica e Sierologica, IZS Venezie ~ Legnaro (PD), [2] Staff Direzione Sanitaria, IZS Venezie ~ Legnaro (PD), [3] ULSS n. 7, Dipartimento di Prevenzione ~ Pieve di Soligo (TV) [1] SUMMARY: Porcine herpesvirus 1 is the agent of Aujeszky Disease, a relevant notifiable disease of swine. While infection cycle in swine and wild boar seems epidemiologically distinct, there is no zero risk; therefore the disease prevalence in the wild boar populations needs to be investigated. In Veneto hundreds of animals are yearly culled for depopulation needs. Meat collection during carcass inspection results more feasible than serum sampling, so a method for AD antibodies detection was validated in meat juice with optimal correspondence with the results obtained in serum. dal mese di gennaio 2012 sono stati raccolti campioni da 79 cinghiali abbattuti nella province di Treviso e Vicenza. Per 59 soggetti sono stati raccolti e stoccati in parallelo campioni di siero e di muscolo massetere, identificati singolarmente. Il siero è stato ottenuto per centrifugazione del coagulo cardiaco, raccolto immediatamente dopo l’abbattimento e trasportato a 4°C. Per la preparazione del meat juice i campioni di muscolo di almeno 1x3 cm sono stati toelettati, eliminando grasso e porzioni aponeurotiche, sminuzzati con le forbici e posti in appositi supporti (Christensen ApS, Hillerod, Danimarca), conservati in congelatore a -20°C. Il successivo scongelamento ha favorito la separazione del meat juice in una provetta di raccolta. Al fine di disporre di un pannello di campioni sicuramente positivi per la validazione del metodo sono stati raccolti e stoccati anche 30 campioni di siero e muscolo di suino provenienti da allevamenti da ingrasso correttamente vaccinati per AD in cui c’è stata circolazione virale, dimostrata mediante sieroconversione verso la glicoproteina E. Il procedimento per la raccolta del meat juice è stato identico, mentre i sieri sono stati ottenuti per centrifugazione di campioni di sangue prelevati al momento della iugulazione. I campioni sono stati trasportati a 4°C e stoccati a -20°C fino al momento dell’analisi. Analisi di laboratorio: Sono stati utilizzati i seguenti kit: - Kit 1: Ingenasa Ingezim ADV total 1.1.ADV.K1; test ELISA di tipo non competitivo con diluizione prescritta per il siero di 1:25. - Kit 2: IDEXX Herd Check anti PRV gB test kit; test ELISA di tipo competitivo con diluizione del siero 1:2. - Kit 3: ID-VET ID Screen Aujeszky anti gE competition; test ELISA di tipo competitivo con diluizione del siero che prevede una proporzione di 50 ml di siero più 20 ml di diluente per l’incubazione in giornata. I sieri sono stati testati con i tre kit in parallelo al fine di confermare la veridicità del risultato mediante utilizzo di tecniche indipendenti. Il meat juice è stato analizzato con il solo kit 1 in quanto, come kit di tipo non competitivo, permette maggiori variazioni rispetto alla concentrazione prevista per il siero. Per il siero i kit ELISA sono stati utilizzati secondo le soglie e le istruzioni previste dai produttori. Per il meat juice sono state esaminate le 4 diluizioni 1:2, 1:5, 1:10; 1:25, al fine di individuare quella in grado di fornire i risultati più sovrapponibili a quelli del siero. INTRODUZIONE: La Malattia di Aujeszky (AD) è una patologia notificabile sostenuta dal Porcine herpesvirus 1, di rilevante impatto economico sul settore suinicolo (1). Il possibile ruolo del cinghiale quale reservoir asintomatico, sebbene vi siano evidenze di due cicli d’infezione epidemiologicamente distinti in suini domestici e selvatici, pone comunque degli interrogativi sul costante pericolo di reintroduzione della malattia in aree indenni (1). Per questo motivo le linee guida comunitarie per i piani di eradicazione della malattia prevedono anche il monitoraggio delle popolazioni di cinghiali selvatici e l’eventuale adozione di misure di biosicurezza per prevenire i contatti tra suini domestici allevati all’aperto e selvatici (2). Come in altre realtà nazionali, nella Regione Veneto le popolazioni di cinghiali hanno subito negli ultimi decenni un’esplosione demografica che ha reso necessari interventi di depopolamento (3). Le carcasse dei cinghiali selvatici sono sottoposte a ispezione post-mortem da parte dei Servizi veterinari delle ASL per la ricerca di Trichinella e di lesioni tubercolari. L’attività di monitoraggio sierologico tradizionale prevede la raccolta di campioni di siero, ottenibile dal coagulo cardiaco negli animali selvatici abbattuti, spesso con scarsa qualità finale del campione. Il prelievo di porzioni di muscolo è facilmente attuabile durante l’ispezione post-mortem. Il meat juice è una matrice riconosciuta dalla normativa comunitaria per le analisi sierologiche (4), nonché utilizzata da tempo nella ricerca (5). L’obiettivo di questo lavoro è la validazione dell’esame sierologico per AD su meat juice mediante l’utilizzo di un kit commerciale ELISA di tipo non competitivo, verificandone la corrispondenza con i risultati ottenuti su siero. L’attività di controllo dei cinghiali selvatici espletata finora sul territorio regionale non ha consentito di identificare soggetti sieropositivi, pertanto per la validazione sono stati utilizzati campioni di cinghiale soltanto per le prove di specificità. Per la sensibilità sono stati utilizzati 30 suini domestici con rottura dell’immunità vaccinale per contatto con virus di campo. RISULTATI E CONCLUSIONI: I 79 cinghiali campionati nella provincia di Treviso sono risultati negativi alla ricerca di anticorpi verso il PHV-1. In soli due casi il kit 1 ha dato esito di bassa positività nel siero, solo in un caso confermata dal kit 3 (risultato dubbio); il kit 3 ha fornito 6 risultati dubbi, probabilmente dovuti alla scarsa qualità della matrice, spesso fortemente emolitica, utilizzata a bassa diluizione secondo quan- MATERIALI E METODI: Raccolta dei campioni: In seguito all’avvio del piano di monitoraggio per la malattia di Aujeszky nei cinghiali da parte della Regione Veneto, 58 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 risultati più conformi a quelli ottenuti su siero è la 1:10 (pvalue: 0.3616, IC 95%). La distribuzione delle diluizioni del meat juice da 1:2 a 1:10 non mostra l’andamento progressivamente decrescente che ci si poteva aspettare. Una possibile spiegazione è un’inibizione dovuta alle impurità presenti nella matrice dei campioni di meat juice più concentrati. Dalla diluizione 1:10 a quella 1:25 si verifica invece un calo di reazione compatibile con la maggior diluizione del campione. Tali risultati sono con ogni probabilità sovrapponibili a ciò che si otterrebbe da campioni di cinghiale, tuttavia, a causa della peggiore qualità della matrice che si ottiene mediamente sui campioni prelevati da animali selvatici, tale ipotesi sarà verificata non appena sarà disponibile un numero sufficiente di campioni positivi di cinghiale. Considerando sia le prove di sensibilità che quelle di specificità, si può concludere che il meat juice utilizzato alla diluizione di 1:10 offre risultati altamente concordanti (k=0.95) con quelli ottenuti con la sierologia tradizionale. Considerando il test eseguito su siero come Gold standard, i valori di sensibilità e specificità calcolati sul meat juice risultano rispettivamente 96.77% e 98.31%. to prescritto dal kit. Tali esiti dubbi non sono stati confermati (tranne che nel caso sopra citato) dagli altri 2 kit. Non sono comunque state rilevate differenze significative tra i risultati dei 3 kit utilizzati su siero (Test di Friedman p-value: 0.8477, IC 95%). Per quanto riguarda la validazione della prova su meat juice, sono stati considerati solo i 59 campioni per i quali era disponibile il confronto tra le due diverse matrici (tab. 1). Alla diluizione 1:2 sono risultati positivi 6 campioni, di cui solo 2 confermati alla diluizione 1:5 e soltanto uno alle diluizioni 1:10 e nessuno alla diluizione 1:25. La specificità migliore è risultata quella della diluizione 1:25, seguita dalla diluizione 1:10; anche per la diluizione 1:10 non si registrano differenze statisticamente significative rispetto ai risultati su siero (p-value: 0.0792, IC 95%). Per la validazione della sensibilità, data l’assenza di campioni positivi nei cinghiali, si è ricorso all’utilizzo dei 30 campioni suini raccolti al macello. Tutte le diluizioni di meat juice hanno confermato l’esito di positività ottenuto con i 3 kit utilizzati su siero, ma analizzando la distribuzione dei valori S/P (fig. 1) e applicando il Test dei segni, la diluizione che ha offerto 59 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 60 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 gulati: status, distribuzione, consistenza, gestione e prelievo venatorio delle popolazioni di Ungulati in Italia. Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, Report 2001-2005. 4 Regolamento 2160/2003/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 novembre 2003 “Sul controllo della salmonella e di altri agenti zoonotici specifici presenti negli alimenti”. 5 Osterkorn K., Czerny C.P., Wittkowski G., Huber M. 2001. Sampling plan for the establishment of a serologic Salmonella surveillance for slaughter pigs with meat juice ELISA. Berl. Münch. Tierärztl. Wschrift 114:30-34. BIBLIOGRAFIA: 1 Müller T., Hahn E.C., Tottewitz F., Kramer M., Klupp B.G., Mettenleiter T. C., Freuling C. 2011. Pseudorabies virus in wild swine: a global perspective. Arch Virol 156:1691-1705. 2 SANCO/3023/2008, Guidance to Commission Decision 2008/185/EC regarding additional guarantees in intra-Community trade of pigs related to Aujeszky’s disease and criteria for listing a Member State or a region thereof as free from Aujeszky’s disease or as having an approved disease control programme. Brussels, December 2009. 3 Carnevali L., Pedrotti L., Riga F., Toso S. Banca Dati Un- 61 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 PERMISSIVITÀ DI LINEE FIBROBLASTICHE VERSO CAPRINE ARTHRITIS ENCEPHALITIS VIRUS (CAEV) DERIVANTI DA ANIMALI CON ALTA E BASSA CARICA VIRALE Bertolotti L.*[1], Colussi S.[2], Profiti M.[1], Quasso A.[3], Acutis P.L.[2], Reina R.[4], Rosati S.[1] Keywords: Lentivirus, Carica provirale, Permissività cellulare Università degli Studi di Torino ~ Torino, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino, [3] Dipartimento di Prevenzione ASL n. 19 ~ Asti, [4] Instituto de Agrobiotecnologia, CSIC-UPNA-Gobierno de Navarra ~ Navarra [1] [2] SUMMARY: Animals belonging to the same breed and flock were classified according to CAEV proviral load detected in PBMC. Two animals with high and low viral load were selected and fibroblast cell lines were established from skin biopsy. Cytopathic effect, RT activity, entry and immunocytochemistry assays were conducted to investigate different steps involved in the viral infection. Both, flock isolated and reference viral strains, were able to induce cytopathic effects but only cells from the “High-proViral-Load” animal showed positive RT activity and increased entry efficiency and immunostaining. These results demonstrate that restriction factors likely associated to the innate immunity may play a crucial role in the host-pathogen interaction and may represent an alternative approach for the control of CAEV infection. RISULTATI E CONCLUSIONI: Tutti gli animali selezionati hanno mostrato una chiara positività alla presenza di provirus nei PBMC, sia in PCR endpoint sia in PCR real time. Due di questi animali hanno fornito linee cellulari idonee alle fasi successive dello studio. La differenza in termini quantitativi della carica provirale è risultata di circa 1.5 log fra High-proViral-Load e Low-proViral-Load (HpVL: 1571,88 copie/50ng, LpVL: 54.37 copie/50ng). L’isolamento virale da colture di MDM è risultato estremamente veloce per il soggetto HpVL, mentre nessun isolato è stato ottenuto dal soggetto LpVL. L’infezione delle due linee fibroblastiche ha prodotto risultati significativamente differenti sia utilizzando il ceppo di campo che lo stipite di referenza. L’attività RT è risultata ridotta o totalmente abrogata (Fig. 1) nella linea LpVL così come il segnale di immunostaining (Fig. 2), pur in presenza di fusione cellulare. Le prove di entry assay, espresso in unità formanti foci (UFF)/ml hanno consentito di determinare una diversa efficienza di entrata del virus CAEV-Cork nelle due linee fibroblastiche (HpVL: 1.2*10^3UFF/ml; LpVL: 5*10^2UFF/ml). INTRODUZIONE: I lentivirus dei piccoli ruminanti sono un gruppo eterogeneo di virus capaci di infettare sia capre che pecore. Tra i cinque genotipi a oggi caratterizzati, il genotipo B include i ceppi (CAEV-like) storicamente associati all’artrite encefalite caprina, patologia che nelle capre si manifesta con artiti, mastiti e, più raramente encefaliti. In allevamenti caprini infetti non è raro rilevare il 100% di sieropositività. Tuttavia solo in una parte di animali l’infezione evolve nelle caratteristiche forme cliniche. Altri animali, presentano un’infezione asintomatica che dura per tutta la vita economica. Studi precedenti indicano che la carica provirale nel sangue rappresenta la chiave per differenziare gli animali asintomatici da quelli in cui vi è una maggiore probabilità di evoluzione dell’infezione verso la fase clinica. La carica provirale può essere modulata dalla genetica dell’ospite e riguarda sia i geni associati all’immunità innata sia quelli associati all’immunità adattativa. Il presente studio intende indagare sui fattori di restrizione virale associati al comparto dell’immunità innata. Questo lavoro ha messo in evidenza come, all’interno dello stesso allevamento animali infettati da virus filogeneticamente simili, producano linee cellulari in grado di rispondere all’infezione in modo estremamente diverso, ponendo l’attenzione sull’esistenza di linee genetiche in grado di ridurre efficacemente il titolo virale del virus della CAE. In particolare, i risultati ottenuti finora sembrerebbero indicare che, durante l’infezione di cellule provenienti da individui LpVL, il virus sia in grado di entrare seppur con una ridotta efficienza (polimorfismo e/o ridotta espressione dei geni codificanti recettori e co-recettori cellulari). Successivamente all’entrata può intervenire un secondo blocco causato dall’ interazione fra il capside virale e il TRIM5 (2), o per l’azione di APOBEC3. Nell’ultimo caso una maggior frequenza di mutazioni potrebbe essere attesa e spiegherebbe almeno in parte i risultati ottenuti in immunocitochimica (drift degli epitopi immunodominanti del capside) e attività RT (effetto della costrizione funzionale della trascrittasi inversa). La presenza di fusione cellulare potrebbe essere garantita dall’espressione del gene env, che tollera un maggior grado di mutazioni puntiformi. Il coinvolgimento del TRIM5 potrebbe spiegare invece il diverso comportamento del ceppo isolato dallo stesso allevamento (totalmente inibito nella linea LpVL) rispetto al ceppo di referenza (parzialmente inibito nelle stesse linee cellulari). E’ possibile infatti che TRIM5 presenti la regione ipervariabile (PRYSPRY) adatta a complessare e neutralizzare il ceppo che ne ha stimolato la selezione. Non possiamo infine escludere l’ipotesi che la restrizione sia multi genica e rappresenti il risultato di differenti interazioni fra i diversi fattori di resistenza cellulari. Lo studio offre una nuova prospettiva per MATERIALI E METODI: Per lo studio è stato selezionato un allevamento di circa 80 capi di razza camosciata, con sieroprevalenza del 100% verificata mediante un test ELISA indiretto multiepitopo ed un origine clonale del virus CAEV (sottotipo B1). Una PCR realtime specifica per il virus circolante è stata preliminarmente utilizzata per classificare soggetti di pari età con bassa ed alta carica provirale. Sono stati selezionati 4 soggetti (due con bassa carica e due con alta carica) e sono state eseguite biopsie cutanee per l’allestimento di espianti di fibroblasti, cellule notoriamente permissive al virus CAEV. Parallelamente è stato tentato l’isolamento del ceppo viale mediante co-colture di macrofagi di derivazione sanguigna (MDM) e cellule sinoviali di feto caprino. La permissività delle linee cellulari risultate idonee è stata valutata mediante curve di crescita ed attività RT, effetto citopatico, immunocitochimica ed entry assay, utilizzando dove possibile il ceppo di campo ed lo stipite di referenza CAEV-Cork. 62 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 il controllo delle infezioni da lentivirus nei piccoli ruminanti, identificando i geni del comparto dell’immunità innata potenzialmente coinvolti nella modulazione della carica provirale. Ulteriori indagini a livello molecolare sono in corso per valutare l’espressione e il polimorfismo di alcuni geni coinvolti nei processi di restrizione identificati nel presente studio come CCR5, TRIM5 e l’APOBEC3. BIBLIOGRAFIA: 1. Hotzel, I., Cheevers, W.P., 2003. Caprine arthritis–encephalitis virus envelope surface glycoprotein regions interacting with the transmembrane glycoprotein: structural and functional parallels with human immunodeficiency virus type 1 gp120. J. Virol. 77 (21), 11578–11587. 2. Jáuregui P, Crespo H, Glaria I, Luján L, Contreras A, Rosati S, de Andrés D, Amorena B, Towers GJ, Reina R. Ovine TRIM5α Can Restrict Visna/Maedi Virus. J Virol. 2012 Sep;86(17):9504-9. Figura 1. Attività RT registrata nelle line cellulari provenienti da LpVL (grigio) e HpVL (nero) fino a 14 dpi. Le barre verticali rappresentano l’errore standard della media calcolato su tre repliche. Figura 2. Immunostaining verso la proteina p25 del capside in LpVL (1000L) e HpVL (7583H) a 25 dpi. 63 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIOTIPO CITOPATOGENO DI VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA TIPO 3 ISOLATO DA MANZA CON MALATTIA RESPIRATORIA Decaro N.*[1], Lucente M.S.[1], Mari V.[1], Sciarretta R.[1], Pinto P.[1], Cirone F.[1], Colaianni M.L.[1], Narcisi D.[1], Elia G.[1], Thiel H.[2], Buonavoglia C.[1] Keywords: Virus della diarrea virale bovina tipo 3, Biotipo citopatogeno, Caratterizzazione molecolare Dipartimento di Sanità Pubblica e Zootecnia, Università degli Studi di Bari ~ Valenzano (BA), [2] 2 Institut für Virologie, Justus Liebig Universität Giessen ~ Giessen, Germany [1] SUMMARY: &<We report the isolation and molecular characterisation of a bovine viral diarrhoea virus type 3 (BVDV-3) pair consisting of cytopathogenic (cp) and non-cytopathogenic (noncp) strains, Italy-83/10cp and Italy-83/10ncp. Both viruses were recovered from a heifer dead as a consequence of respiratory disease. Analysis of the nearly full-length genomes revealed that the two viruses were very closely related to each other, differing mainly for the presence of the Bos taurus Jiv sequence in the 3’ domain of the NS2 coding region of the cp strain. This is the first study reporting the isolation of a BVDV-3 cp strain. Madin Darby bovine kidney (MDBK) e la crescita virale è stata monitorata mediante test di immunofluorescenza indiretta (IFI). L’intero genoma dei ceppi Italy-83/10cp e Italy-83/10ncp è stato amplificato mediante RT-PCR (5), partendo dai virus purificati. I prodotti PCR sono stati sottoposti a sequenziamento diretto e le sequenze ottenute sono state assemblate e confrontate con analoghe sequenze di ceppi pestivirus cp e ncp di riferimento. L’analisi filogenetica è stata realizzata con il programma MEGA, versione 4.1, utilizzando il metodo neighbour-joining e fornendo supporto statistico mediante bootstrap in 1000 repliche. INTRODUZIONE: I virus della diarrea virale bovina (BVDV) appartengono alla famiglia Flaviviridae, genere Pestivirus. Attualmente si conoscono due distinte specie di BVDV, BVDV-1 e BVDV-2. Recentemente, pestivirus atipici o ‘Hobi’-like, proposti come nuova specie virale BVDV-3, sono stati isolati da distinti lotti di siero fetale bovino originari del Sud America o dell’Australia, nonché da casi di infezione naturale (5, 7, 8). Tuttavia, al momento le uniche segnalazioni di malattia conclamata riconducibile a pestivirus ‘Hobi’-like sono state effettuate in Italia (1, 2). In base alla capacità di indurre effetto citopatico sulle colture cellulari infette, sono noti due distinti biotipi di BVDV, citopatogeno (cp) e non citopatogeno (noncp), entrambi coinvolti nella patogenesi della malattia delle mucose, una forma clinica grave, ad esito letale, tipica dei vitelli immunotolleranti per BVDV. Stipiti cp sono stati segnalati sia per BVDV-1 che per BVDV-2, mentre, al momento, solo ceppi noncp sono stati identificati per BVDV-3 (1, 2, 5, 7). Nel presente lavoro si riportano l’isolamento e la caratterizzazione molecolare di una coppia di virus cp/noncp di questo pestivirus emergente. RISULTATI E CONCLUSIONI: Le indagini di laboratorio hanno permesso di identificare uno stipite pestivirus caratterizzato come BVDV-3. Mediante real-time RT-PCR, i polmoni della manza sono risultati contenere 7.98 x 10[6] copie di RNA virale per μl di estratto. Gli esami virologici e batteriologici hanno fornito esito costantemente negativo per i patogeni di rilevanza clinica del bovino. Le cellule MDBK inoculate con i campioni positivi per BVDV-3 hanno mostrato fluorescenza citoplasmatica al test IFI (Fig. 1). Nelle cellule infette sono state osservate alterazioni morfologiche caratteristiche della replicazione dei pestivirus cp (Fig. 2). Pertanto, i risultati ottenuti hanno fatto presumere la contemporanea presenza nei campioni esaminati di una coppia ‘Hobi’-like cp e noncp. Infatti, i due distinti stipiti cp e noncp (Italy-83/10cp e Italy-83/10ncp) sono stati separati mediante passaggi successivi rispettivamente con il metodo delle placche e della diluizione finale. L’analisi del genoma dei virus Italy-83/10cp e Italy-83/10ncp (numeri di accesso GenBank JQ612704 e JQ612705) ha evidenziato un’organizzazione genomica sovrapponibile a quella degli altri membri del genere Pestivirus. Gli stipiti cp e noncp sono risultati essere strettamente correlati dal punto di vista genetico (identità nucleotidica del 97%), differenziandosi quasi esclusivamente per la presenza di una inserzione nel gene NS2-3. Tale inserzione è altamente simile ad una sequenza genomica della specie bovina (Bos taurus) denominata J-domain protein interacting with viral protein (Jiv) (Fig. 3). Mediante analisi filogenetica, gli stipiti Italy-83/10cp e Italy-83/10ncp ricadono nel cluster dei pestivirus ‘Hobi’-like e risultano maggiormente correlati ai ceppi di origine sudamericana, esattamente come il prototipo italiano Italy-1/10-1 (Fig. 4). MATERIALI E METODI: Nel periodo compreso tra dicembre 2009 e febbraio 2010 è stata segnalata, in un allevamento bovino della regione Calabria, la presenza di malattia respiratoria che ha coinvolto 26 vitelli di 6-7 mesi di età con esito fatale in due di questi (1). Nello stesso allevamento, nel mese di marzo del 2010, una manza di 13 mesi (Italy-83/10) è deceduta dopo aver manifestato febbre (40.3 ° C), moderato scolo nasale, tosse secca, grave dispnea e leucopenia acuta. All’esame necroscopico erano evidenti tracheite e broncopolmonite catarrale. Dalla carcassa sono stati prelevati campioni di polmone e di feci per le successive analisi virologiche e batteriologiche per la rilevazione dei principali agenti causali di malattia respiratoria nel bovino. Per l’identificazione e quantificazione degli stipiti BVDV atipici, i campioni biologici sono stati sottoposti a protocolli di nested PCR (3) e di real-time RT-PCR con sonda TaqMan (6) messi a punto di recente. Per le prove di isolamento virale i campioni, dopo opportuno trattamento, sono stati inoculati su cellule Diverse mutazioni sono state associate all’insorgenza di stipiti BVDV cp a partire da stipiti noncp. La maggior parte di queste mutazioni sono situate all’interno della regione NS2-3 ed esitano nella abnorme produzione di NS3 libera, la quale è associata alla esaltazione della replicazione virale mediante aumento della produzione di complessi della replicasi. Un meccanismo particolare è rappresentato dall’inserzione di sequenze Jiv all’interno del gene NS2 poco prima del sito di 64 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 clivaggio tra NS2 ed NS3. Le sequenze Jiv agiscono inducendo il cambiamento conformazionale del complesso NS2-3 e la successiva attivazione dell’autoproteasi NS2 (4). Sequenze Jiv sono finora state identificate nella regione NS2 di diverse specie pestivirus, ma non del virus emergente ‘Hobi’-like. Pertanto il presente studio è il primo a riportare l’isolamento e la caratterizzazione di uno stipite BVDV-3 cp. La stretta correlazione genetica tra i due virus suggerisce che lo stipite cp sia insorto a seguito di mutazione (inserzione della sequenza Jiv per ricombinazione con sequenze cellulari) dello stipite noncp. Le coppie BVDV cp e noncp sono di solito isolate a partire da animali con malattia delle mucose (MD). In base alle attua- li conoscenze la MD si manifesta in bovini persistentemente infetti (detti anche immunotolleranti) ed è caratterizzata da lesioni di tipo emorragico e/o ulcerativo-necrotico. Risulta quindi interessante l’isolamento della coppia BVDV-3 da un soggetto che aveva presentato solo sintomi di tipo respiratorio. I risultati del presente lavoro aprono scenari interessanti in merito al potenziale patogeno dei virus ‘Hobi’-like ed alla loro capacità di indurre il fenomeno dell’immunotolleranza e sindromi cliniche analoghe alla MD. Solo il continuo monitoraggio epidemiologico negli allevamenti e gli studi di infezione sperimentale potranno chiarire in futuro tali aspetti ancora non adeguatamente conosciuti. Fig. 1. Isolamento di BVDV-3 su cellule MDBK: fluorescenza citoplasmatica ottenuta utilizzando un anticorpo monoclonale anti-NS3. Fig. 2. Isolamento di BVDV-3 su cellule MDBK: effetto citopatico caratterizzato da vacuolizzazione citoplasmatica e lisi del monostrato. Fig. 3. Allineamento delle inserzioni Jiv di 15 stipiti pestivirus messe a confronto con la analoga sequenza cellulare del bovino (Bos taurus, GenBank AY027882). 65 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Fig. 4. Albero filogenetico costruito con il metodo neighbor-joining sull’intero genoma dei membri del genere Pestivirus. La barra rappresenta il numero di sostituzioni nucleotidiche per sito. 5. Liu L, Kampa J, Belák S, Baule C. Virus recovery and full-length sequence analysis of atypical bovine pestivirus Th/04_KhonKaen. Vet Microbiol 2009; 138:62-8. 6. Liu L, Xia H, Belák S, Baule C. A TaqMan real-time RTPCR assay for selective detection of atypical bovine pestiviruses in clinical samples and biological products. J Virol Methods 2008; 154:82-5. 7. Schirrmeier H, Strebelow G, Depner K, Hoffmann B, Beer M. Genetic and antigenic characterization of an atypical pestivirus isolate, a putative member of a novel pestivirus species. J Gen Virol 2004; 85:3647-52. 8. Xia H, Vijayaraghavan B, Belák S, Liu L. Detection and identification of the atypical bovine pestiviruses in commercial foetal bovine serum batches. PLoS One 2012; 6(12):e28553. BIBLIOGRAFIA: 1. Decaro N, Lucente MS, Mari V, Cirone F, Cordioli P, Camero M, Sciarretta R, Losurdo M, Lorusso E, Buonavoglia C. Atypical pestivirus and severe respiratory disease in calves, Europe. Emerg Infect Dis 2011; 17:1549-52. 2. Decaro N, Lucente MS, Mari V, Sciarretta R, Pinto P, Buonavoglia D, Martella V, Buonavoglia C ‘Hobi’-like pestivirus in aborted bovine fetuses. J Clin Microbiol 2012; 50:509-12. 3. Decaro N, Sciarretta R, Lucente MS, Mari V, Amorisco F, Colaianni ML, Cordioli P, Parisi A, Lelli R, Buonavoglia C. A nested PCR approach for unambiguous typing of pestiviruses infecting cattle. Mol Cell Probes 2012; 26:42-6. 4. Lackner T, Müller A, König M, Thiel HJ, Tautz N. Persistence of bovine viral diarrhea virus is determined by a cellular cofactor of a viral autoprotease. J Virol 2005; 79:9746-55. 66 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 LA RETE DEGLI II.ZZ.SS AL SERVIZIO DELLA SICUREZZA ALIMENTARE DEI PRODOTTI TRADIZIONALI ITALIANI Daminelli P.*[1], Losio M.N.[1], Gianfranceschi M.[2], Decastelli L.[3], Comin D.[4], Fischetti R.[5], Valiani A.[6], Fadda A.[8], Goffredo E.[9], Nava D.[10], Cardamone C.[11], Prencipe V.A.[7], Varisco G.[1] Keywords: Sicurezza alimentare, Valutazione Quantitativa del Rischio Microbiologic, Microbiologia predittiva IZSLER ~ BRESCIA, [2]ISS ~ roma, [3]IZSTO ~ TORINO, [4]IZSVENEZIE ~ PADOVA, [5]IZSLT ~ PISA, [6]IZSUM ~ PERUGIA, [7] IZS ~ TERAMO, [8]IZSSARDEGNA ~ SASSARI, [9]IZSPB ~ BARI, [10]IZSPORTICI ~ NAPOLI, [11]IZSSICILIA ~ PALERMO [1] SUMMARY: At Community level, actually there are over 240 Italian products, of which 151 registered PDO and 90 branded PGI. The enhancement of the traditional agro-food must necessarily respond to the need to ensure food safety in relation to the protection of human health, in order to ensure the food business operators the ability to export products made in Italy absolving the requirements imposed in particular also from Third Countries. The predictive microbiology models are important tools for managing food safety and provide a scientific basis for addressing some key aspects of HACCP plans The combination of science and technology is essential for the effective application of predictive microbiology.The creation of a network between Istituti Zooprofilattici Sperimentali (II. ZZ. SS.) and the National Institute of Health (ISS) for the sharing of knowledge of the microbiological and physico-chemical characteristics of traditional Italian products and the potential applications of the tools predictive microbiology, represents a fundamental tool to ensure a uniform approach to the safety problems of food from animal origin, proposing experimental protocols and scientifically viable internationally nizione delle miglior strategie di gestione del rischio. Lo studio dei prodotti alimentari, dei processi tecnologici di trasformazione delle materie prime agricole, e delle dinamiche di sviluppo o di morte dei microrganismi, rappresenta la più importante strategia, necessaria e valida per la valutazione e la gestione del rischio microbiologico (2; 3; 4). La microbiologia predittiva, attraverso lo studio della cinetica microbica e l’utilizzo di modelli matematici provenienti dagli studi quantitativi sulle popolazioni microbiche, consente di quantificare, modellare (attraverso equazioni matematiche) e descrivere graficamente le relazioni esistenti tra i fattori di controllo presenti negli alimenti e le risposte dei microrganismi patogeni e alteranti. MATERIALI E METODI: Gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (II. ZZ. SS.) dislocati sul territorio nazionale e l’Istituto Superiore di sanità (ISS), svolgono un’attività di ricerca volta allo studio delle dinamiche di comportamento dei principali patogeni di maggiore interesse alimentare. Nel corso degli ultimi 10 anni sono stati sviluppati Progetti di Ricerca Finalizzata aventi per oggetto “la graduazione dei rischi e la modifica dei processi produttivi per la produzione di cibi con elevati standard di sicurezza” (PRF2004201) e la “messa a punto fino ad eventuale validazione di procedure per verificare il grado di sicurezza degli alimenti” (PRF2000203); recentemente, il progetto Epifood “Italian network for the molecular EPIdemiology surveillance of FOOD-borne pathogens”(PRF2008201) ha consentito di instaurare e consolidare collaborazioni con rinomati Centri di Ricerca, come l’Institute of Food Research (IFR) di Norwich (UK), al fine di creare e implementare una banca dati internazionale per la microbiologia alimentare, denominata “ComBase” (www.combase.cc), necessaria per la modellazione e l’analisi dei dati (7). La creazione di un network tra ISS ed II.ZZ.SS. mira alla condivisione delle conoscenze e delle metodologie sino ad ora applicate per lo studio delle caratteristiche microbiologiche, chimico fisiche e nutrizionali dei prodotti tradizionali italiani fungendo da elemento trainante per la definizione di procedure codificate nell’analisi statistica e nell’elaborazione di informazioni destinate allo sviluppo di una banca dati nazionale per la microbiologia predittiva alimentare finalizzata alla validazione dei modelli predittivi sulla cinetica dei microrganismi (patogeni e non) in prodotti italiani di origine animale e non. Attraverso l’utilizzo dei software di microbiologia predittiva disponibili in rete può essere valutata la dinamica dei microrganismi patogeni in funzione dei profili dinamici di pH, aw e temperatura di conservazione registrati nel database ComBase. Considerando la letteratura scientifica, precedenti studi sull’evoluzione dei microrganismi in alimenti (www.arsalimentaria.it) e la banca dati internazionale ComBase, dove sono raccolti più di 50.000 profili microrbiologici, tenuto conto dei parametri ambientali, si potrà ottenere, sia in matrici alimentari sia in brodi INTRODUZIONE: Secondo l’ultima revisione dell’elenco dei prodotti agro-alimentari tradizionali, ad opera del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, in Italia sono oltre 4500 le produzioni agricole tradizionali che caratterizzano il territorio. A livello comunitario, ad oggi, si contano oltre 240 denominazioni italiane, di cui 151 registrate a marchio D.O.P. e 90 a marchio I.G.T. La valorizzazione dei prodotti agro-alimentari tradizionali deve necessariamente rispondere anche all’esigenza di garantire la sicurezza degli alimenti in rapporto alla tutela della salute del consumatore. E’ importante ai fini della sicurezza del prodotto, caratterizzare il rischio igienico sanitario ad esso associato attraverso ricerche su origine e tracciabilità a livello di filiera produttiva, condizioni igienico-sanitarie degli animali e degli ambienti di lavorazione. In Europa, dati pubblicati da EFSA ed ECDC indicano che le tossinifezioni alimentari più diffuse sono causate da batteri riferibili a Campylobacter spp, Salmonella spp, Listeria monocytogenes, Escherichia coli VTEC, Yersinia spp, e da virus che penetrano nell’organismo attraverso il tratto gastro-intestinale (1). Partendo dal presupposto che il rischio zero per le infezioni alimentari o la loro totale eradicazione non sono possibili, sia le autorità competenti sia l’industria alimentare devono impegnarsi affinché, attraverso le attività di gestione e di controllo a livello di filiera, si riduca in modo significativo l’incidenza di tali patogeni nella popolazione. In particolare è stata riconosciuta l’interessante potenzialità della Valutazione Quantitativa del Rischio Microbiologico (VQRM) per la conoscenza e l’analisi dei sistemi di produzione alimentare, l’individuazione dei punti di debolezza e di forza in termini di controllo delle contaminazioni microbiche, la valutazione del rischio per il consumatore e defi67 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 colturali, per alcune classi di prodotto, il fattore di correzione tra alimento e brodo colturale. In funzione della categoria alimentare e delle caratteristiche intrinseche ed estrinseche del prodotto, sarà scelto il modello predittivo idoneo a descrivere l’andamento del patogeno nella matrice alimentare cui seguirà la validazione del modello approntando specifici challenge test. In laboratorio, oltre all’andamento della concentrazione del microrganismo patogeno nel tempo, saranno monitorati i parametri intriseci ed estrinseci in grado di modulare l’andamento batterico e la concentrazione dei batteri lattici eventualmente presenti: sarà possibile quindi validare il modello predittivo che sarà confrontato con i dati osservati come suggerito dalla letteratura (5). Per aumentare l’accuratezza dei modelli deterministici ottenuti, sarà considerato un approccio più stocastico, che considera anche la variabilità dei dati, determinando la probabilità che un evento sfavorevole per la salute del consumatore finale si possa manifestare. processi produttivi. I dati raccolti saranno utili per sviluppare modelli matematici predittivi, capaci di indicare l’evoluzione dei microrganismi durante le fasi del processo considerate critiche per la sicurezza del prodotto alimentare (6). L’uso e l’implementazione continua di ComBase e la diffusione delle informazioni attraverso di Ars-alimentaria (www.ars-alimentaria.it) aiuta a razionalizzare l’attività sperimentale, aumenta l’efficienza degli sforzi di ricerca, migliora la sicurezza e la qualità degli alimenti e standardizza la fonte dati per i valutatori del rischio microbiologico. BIBLIOGRAFIA: 1. EFSA, 2011. The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses,Zoonotic Agents and Food-borne Outbreaks in 2010. 2. Ross, et al 1994. Predictive microbiology – a review. Int. J. Food Microbiol., 23, 241–264 3. Ross, et al 2003. Modeling microbial growth within food safety risk assessments. Risk Anal., 23, 179-197. 4. Pouillot, et al 2011. Predictive microbiology models vs. modeling microbial growth within Listeria monocytogenes risk assessment: What parameters matter and why. Food Microbiol., 28.720-726 5. Pin, C., et al 1998. Predictive models are means to quantify the interactions of spoilage organisms. Int J Food Microbiol 41, 59–72. 6. Baranyi, et al 2004. ComBase: a common database on microbial responses to food environments. J Food Prot 67, 19671971. 7. McMeekin, et al 2008. The future of predictive microbiology: Strategic research, innovative applications and great expectations. Int J Food Microbiol 128, 2-9 RISULTATI E CONCLUSIONI: Le informazioni ottenute saranno rese disponibili all’Autorità Sanitaria e ai produttori per l’effettuazione di una corretta analisi del rischio con la finalità di migliorare la sicurezza degli alimenti a tutela della salute del consumatore, attraverso l’alimentazione del sito www.arsalimentaria.it. Il presente progetto rappresenta un valido strumento per contribuire all’acquisizione di conoscenze relative allo studio della qualità degli alimenti e agli aspetti nutrizionali e sanitari.. Le informazioni raccolte saranno inserite nella banca dati Combase (www.combase.cc) attraverso la quale è possibile gestire l’elevato numero di dati ottenuti monitorando i parametri dei 68 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 DETERMINAZIONE DI ENTEROTOSSINE STAFILOCOCCICHE IN PRODOTTI LATTIERO-CASEARI: CIRCUITO INTERLABORATORIO PER LA RETE IIZZSS Ingravalle F.[1], Bianchi D.M.[2], Bellio A.*[3], Gallina S.[2], Zuccon F.[3], Ghia C.A.[3], Fabbri M.[3], Corvonato R.[3], Decastelli L.[3] Keywords: Staphylococcal Enterotoxin, Dairy products, Ring Trial Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino, Italy; S.S. Biostatistica, Epidemiologia ed Analisi del Rischio ~ Torino, [2] Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino, Italy; NRL Stafilococchi coagulasi positivi, compreso S.aureus ~ Torino, [3] Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino, Italy; S.C. Controllo Alimenti e Igiene delle Produzioni ~ Torino [1] SUMMARY: In order to test the performance of the acquired methods each National Reference Laboratory (NRL) should organise comparative tests among the Official National Laboratories. IT NRL for Coagulase Positive Staphylococci, including S.aureus, organized the Ring Trial to evaluate reproducibility of methods used in IIZZSS network to detect Staphylococcal Enterotoxins (Ridascreen SET Total: r-Biopharm RIDAS; Vidas SET2: BioMérieux VIDAS) in dairy products. Results show a high level of reproducibility, however only 4 laboratories obtained discordant results. campioni ciascuno contrassegnato con un numero progressivo da 1 a 24. Le 4 serie di campioni, differenti solamente per la numerazione, sono state determinate secondo opportuni criteri di randomizzazione,. I set sono stati congelati a -20 °C e spediti ai laboratori, che avevano 30 giorni per eseguire le analisi e restituire i risultati al NRL. È stata verificata la corrispondenza tra risultati attesi e ottenuti ed è stato comunicato ad ogni singolo partecipante il risultato ottenuto. I dati sono stati analizzati mediante analisi statistica da parte del BEAR (Biostatistica, Epidemiologia ed Analisi del Rischio). Per l’analisi statistica della riproducibilità (o concordanza) è stato utilizzato il kappa (k) di Cohen. Tale indice consente di isolare la reale concordanza tra laboratori eliminando invece la componente imputabile esclusivamente al caso. Il k valuta esclusivamente la concordanza esistente tra i risultati ottenuti all’interno di un gruppo di laboratori, indipendentemente dalla correttezza diagnostica di tali risultati. Si è provveduto a calcolare per ciascuna combinazione di metodo (RIDAS e VIDAS) e matrice (CHEESE ovvero MILK): •il kappa, con relativo intervallo di confidenza al 95% (d’ora in avanti indicato con IC95% oppure con lb-ub) per ciascuna coppia di partecipanti; •il kappa-combined, complessivo, per l’intera rete dei partecipanti (2); •il kappa (+IC95%) per ciascun partecipante rispetto all’esito riportato dalla maggioranza dei partecipanti, relativamente ad ogni singolo campione (GM). Infine, si precisa che la numerosità campionaria n=24 è stata determinata in modo tale che, in caso di perfetta concordanza tra i risultati forniti da due partecipanti (cioè k = 1), il limite inferiore dell’IC95% fosse pari ad almeno 0.60 ed in caso di una sola discordanza, lb fosse superiore a 0.40. Si è provveduto, sempre per ciascuna combinazione di metodo e matrice, anche a valutare l’accuratezza per ciascun partecipante, calcolando la sensibilità (+IC95%, d’ora in avanti indicata con Se) e la specificità (+IC95%, d’ora in avanti indicata con Sp), rispetto al contenuto reale dei campioni, Gold Standard (GS) (1, 2). Bisogna sottolineare che l’obiettivo del RT era quello di valutare la riproducibilità tra i partecipanti, pertanto il disegno dello studio è stato condotto in quest’ottica. Dunque è facile prevedere che l’elaborazione statistica circa la valutazione dell’accuratezza conduca a risultati affetti da un elevato grado di incertezza (ossia con IC95% molto ampli), soprattutto per quanto concerne la Se, la quale viene calcolata su un esiguo numero di campioni positivi. D’altra parte è opportuno evidenziare che il disegno dello studio è stato impostato in modo da mimare la percentuale di positività riscontrabile in condizioni reali. INTRODUZIONE: L’Art. 33 del Reg. CE 882/2004 sancisce che ogni Stato Membro dell’Unione Europea deve istituire un Laboratorio Nazionale di Riferimento (NRL) per ogni Laboratorio Comunitario di Riferimento (EU-RL). Tra i compiti affidati al NRL vi sono quelli di collaborare con l’EU-RL, coordinare la rete nazionale dei laboratori ufficiali nelle tematiche inerenti la specifica attività e diffondere a livello nazionale le informazioni provenienti dall’EU-RL. Inoltre il NRL deve organizzare prove analitiche comparative tra i laboratori nazionali ufficiali al fine di valutare le performance dei metodi ufficiali utilizzati. Il NRL per gli Stafilococchi coagulasi positivi, compreso Staphylococcus aureus, con sede presso l’IZS PLV, coordina la rete degli IIZZSS nel proprio ambito di competenza. Questo lavoro descrive il Ring Test (RT) organizzato nel 2011, per valutare la riproducibilità dei metodi previsti per la determinazione di enterotossine stafilococciche (Ridascreen SET Total: r-Biopharm RIDAS; Vidas SET2: BioMérieux VIDAS) in latte e prodotti lattiero-caseari. MATERIALI E METODI: Il circuito ha interessato 24 laboratori di cui 23 appartenenti alla rete degli IIZZSS, ripartiti tra sedi e sezioni periferiche, ed uno dislocato presso l’ANSES (EU-RL CPS) con sede a Parigi. Ogni laboratorio partecipante ha ricevuto 12 campioni di latte e 12 campioni di formaggio preparati in doppio cieco. I saggi erano costituiti da 9 campioni negativi e 3 positivi per ogni matrice; i positivi di latte sono stati ottenuti mediante l’inoculo di latte UHT con un ceppo di S.aureus produttore di enterotossina tipo D. La produzione è stata favorita mantenendo il latte per 24 ore ad una temperatura di circa 37 °C. Parte di questo latte è stato impiegato per la produzione di formaggette positive presso il caseificio sperimentale dell’IZS PLV. Un’aliquota dei campioni di latte e una di formaggio sono state inviate all’EU-RL CPS per la quantificazione delle enterotossine stafilococciche presenti. I campioni positivi avevano una concentrazione media di enterotossina pari a circa 5 ng/g. I 24 set destinati ai laboratori partecipanti, comprendevano 24 69 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 sario indagare i motivi delle discordanze registrate per i 4 partecipanti che hanno fatto registrare discordanze, è stato organizzato un circuito di follow-up all’interno del quale i suddetti laboratori hanno ottenuto perfetta corrispondenza tra i risultati ottenuti e quelli attesi. Confrontando i risultati raggiunti in questo RT (RT2011) con quelli registrati nel precedente (RT2010), organizzato dall’NRL CPS, si nota che è aumentato il numero di partecipanti, da 19 dello scorso RT a 24 del presente. 18 laboratori hanno preso parte ad entrambi i RT, mentre 6 hanno partecipato per la prima volta nel 2011. Parallelamente all’aumento dei partecipanti, si è registrato anche l’aumento dei laboratori con risultati discordanti rispetto al GM: da 2 del RT2010 a 4 del RT2011. Anche rispetto al numero di discordanze si è registrato un sensibile incremento; infatti nel RT2010 erano state registrate complessivamente solo 3 discordanze (11 nel presente RT). I 2 laboratori che lo scorso RT presentarono discordanze, quest’anno sono stati perfettamente concordi rispetto al GM. Per quanto riguarda i metodi utilizzati il VIDAS risulta, per il secondo anno consecutivo, il metodo maggiormente impiegato. Tuttavia, nel RT2011 si è osservato un aumento nel numero di laboratori che utilizzano il metodo RIDAS (11% nel 2010, 21% nel 2011). In termini di riproducibilità (Kappa-combined), si è notato un complessivo miglioramento dei laboratori che hanno utilizzato il RIDAS ed un peggioramento di quelli che hanno impiegato il VIDAS. Il lb del Kappa-combined ottenuto da questi laboratori risulta comunque molto elevato. RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati comunicati dai partecipanti sono stati inseriti in un database predisposto ad hoc; la Tabella 1 riporta gli esiti comunicati dai partecipanti, il GM ed il GS; 19 partecipanti hanno svolto le analisi con VIDAS mentre solo 5 invece hanno utilizzato RIDAS. Valutazione della riproducibilità - Analizzando i risultati riguardanti l’accordo per ciascuna delle 276 coppie possibili di partecipanti (Tabella 2), l’accordo complessivo per l’intera rete diagnostica (Tabella 3) e l’accordo tra ciascun partecipante rispetto al GM (Tabella 4), si osserva che esiste un accordo perfetto tra quasi tutti i partecipanti, infatti solo 4 laboratori (L03, L04, L11 e L23) hanno fornito dei risultati discordanti rispetto agli altri. Tutti i confronti fra i restanti laboratori hanno mostrato valori di k e degli estremi del suo IC95% massimi, compatibilmente con la numerosità campionaria impiegata (Tabella 2). Di conseguenza, anche la riproducibilità complessiva dell’intera rete diagnostica è molto elevata (Tabella 3). Le discordanze riguardano sia campioni di latte che di formaggio (Tabella 1) e sono emerse solo in laboratori che hanno utilizzato il metodo VIDAS. Valutazione della accuratezza - Nella Tabella 5 sono riportati i risultati relativi alla correttezza dell’esito fornito da ciascun partecipante distinti per metodo. Si osserva che 20 dei 24 laboratori hanno raggiunto valori massimi sia per la Se che per la Sp. Due laboratori non hanno ottenuto valori massimi di Sp, mentre gli altri due hanno riscontrato difficoltà sia in termini di Se che di Sp. L’analisi statistica ha messo in risalto un elevato grado di riproducibilità dei metodi impiegati. Tuttavia poiché si rendeva neces- Tabella 1: Esiti comunicati dai partecipanti, GM, GS e Matrice Tabella 2: Kappa di Cohen (+IC95%) per RIDAS+VIDAS e CHEESE+MILK 70 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tabella 3: Kappa-combined (+IC95%) per ciascun Metodo e Matrice Tabella 4: Kappa di Cohen (+IC95%) rispetto al GM per RIDAS+VIDAS e CHEESE+MILK Tabella 5: Accuratezza (Se e Sp) per ciascun Metodo e Matrice BIBLIOGRAFIA: (1) D.G. Altman. In Practical Statistics for Medical Research. Chapman & Hall/CRC, London - (UK), 2nd edition, 1991. (2)J.L. Fleiss, B. Levin, and M.C. Paik. In Statistical Methods for Rates and Proportions. John Wiley & Sons, New York - USA), 3rd edition, 2003. 71 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISCHI MICROBIOLOGICI ASSOCIATI AL CONSUMO DI LATTE CRUDO: VALUTAZIONE DELLA PREVALENZA DI VTEC E MRSA NEL PRODOTTO FINITO Gallina S.[1], Conedera G.[2], Ustulin M.[2], Noli A.[2], Losio M.N.[3], Maccabiani G.[3], Tonucci F.[4], Grande L.[5], Maugliani A.[5], Corrente M.[6], Ventrella G.[6], Caprioli A.[5], Morabito S.*[5] Keywords: Latte crudo, Escherichia coli produttori di verocititossina, Pericoli microbiologici Laboratorio Controllo Alimenti, Istituto Zooprofilattico Sperimentale Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino, [2] Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie – SCT4 Friuli Venezia Giulia ~ Pordenone, [3] Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lombardia Emilia Romagna ~ Brescia, [4] Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche ~ Pesaro, [5] Istituto Superiore di Sanità ~ Roma, [6] Dipartimento di Sanità Pubblica e Zootecnia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi “Aldo Moro” ~ Bari [1] vendita diretta rispetto al conferimento all’impianto di pastorizzazione. La mancanza di un passaggio di abbattimento termico della flora batterica, rappresenta tuttavia un motivo di preoccupazione in quanto sussiste la possibilità di contrarre infezioni, in particolar modo quelle causate da E. coli produttori di Verocitossina (VTEC) e S. aureus meticillino-resistenti (MRSA). La diffusione del fenomeno ha indotto le autorità sanitarie a regolamentare, attraverso l’intesa del 25 gennaio 2007 tra Stato, Regioni e Province autonome, i requisiti igienico-sanitari, le modalità di controllo e i criteri microbiologici per la vendita diretta al consumatore di latte crudo. Nel 2009, il Ministero della salute ha finanziato un progetto di ricerca finalizzata, coordinato dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie (RF-IZV-2008-1142936), con l’obiettivo di condurre l’analisi integrata rischio-beneficio collegato al consumo di latte crudo al fine di valutare opportune strategie di educazione alimentare. In particolare, il progetto si propone la definizione dei possibili benefici in termini di salute pubblica rispetto agli effetti nocivi di possibili contaminanti microbiologici e chimici. Di seguito vengono presentati i dati relativi al monitoraggio di VTEC e di MRSA in campioni di latte crudo alla distribuzione, effettuato nel corso del primo anno di attività del progetto. SUMMARY: The consumption of raw milk in Italy increased since 2004 raising concern for the potential of this food commodity to cause human infections. In 2009, a research project aiming at evaluating the risk-benefit linked to the consumption of raw milk has been initiated, including the detection of VTEC and MRSA in the end product. Prevalence of about 5% was observed for both the microorganisms following the PCR screening, which dropped to less than 1% when a cultural approach was applied. These findings indicate that these pathogens circulate in the end product representing a risk for the consumer. INTRODUZIONE: La vendita di latte crudo per il consumo diretto è consentita in Italia a partire dal 2004 quando, con il D.L. 24 giugno 2004, n.157, è stato eliminato il divieto di vendita precedentemente in vigore. La vendita al pubblico avviene prevalentemente attraverso circa 1.500 erogatori automatici, dislocati in tutta la penisola (Figura 1). Il latte crudo trova ampi margini di gradimento nei consumatori essendo presentato come un alimento genuino, naturale e con proprietà nutrizionali benefiche. Inoltre rappresenta un’opportunità per gli allevatori che realizzano guadagni maggiori con la Figura 1: Localizzazione dei distributori di latte crudo sul territorio (fonte www.milkmaps.com) 72 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 MATERIALI E METODI: Il campionamento e le analisi sono state effettuate dalle Unità Operative (UO) IZS delle Venezie, IZS Umbria e Marche, IZS Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, IZS Lombardia ed Emilia Romagna e dall’Università di Bari. I campioni sono stati prelevati alla distribuzione o presso i contenitori del latte di massa e trasportati in condizioni di refrigerazione al laboratorio. In totale, sono stati analizzati 657 campioni di latte per la presenza di VTEC e 554 campioni per l’identificazione di MRSA (Tabella 1). La ricerca dei microrganismi di interesse è stata effettuata utilizzando procedure operative standard sviluppate nell’ambito del progetto. Per la ricerca di VTEC, è stato utilizzato un protocollo finalizzato all’identificazione della presenza di geni di virulenza (geni codificanti le verocitotossine e l’intimina) e geni di sierogruppo mediante Real Time PCR, basato sulla metodica definita nella ISO TS 13136 di prossima pubblicazione. Per l’identificazione di MRSA, è stata valutata la presenza nei campioni dei geni SA, associati alla specie S. aureus, e mecA, codifcante la resistenza alla meticillina mediante PCR end point mediante duplex PCR (1,2). Per entrambi i microrganismi è stato tentato l’isolamento con metodi colturali dai campioni positivi allo screening molecolare. La procedura operativa standard per la ricerca di MRSA è stata messa a punto presso l’UO Università di Bari, mentre la metodica per le fasi di screening ed isolamento di VTEC è stata sviluppata dall’UO Istituto Superiore di Sanità (ISS). Presso l’ISS è stata inoltre condotta una valutazione dell’efficienza di estrazione degli acidi nucleici dai campioni da sottoporre ad analisi con lo scopo di investigare i fattori che influenzano la sensibilità delle metodiche molecolari applicate alla ricerca di patogeni nel latte crudo. Il sistema sperimentale utilizzato prevedeva l’utilizzo di campioni di latte UHT contaminati artificialmente con quantità note di VTEC O157. I campioni sono stati allestiti, sottoposti ad estrazione dell’acido nucleico e analizzati utilizzando la metodica distribuita alle UO. Il passaggio di estrazione è stato effettuato utilizzando i kit commerciali di estrazione in uso nella routine e basati sull’utilizzo di resine non immobilizzate (metodi B e C in tabella 2) o di colonnine pre-assemblate (metodo A in tabella 2). I risultati dell’amplificazione sono stati utilizzati per la quantificazione della perdita di acido nucleico durante la fase di estrazione per confronto con rette di calibrazione ottenute mediante amplificazione di diluizioni seriali di quantità note di un plasmide contenente il prodotto di amplificazione del gene associato al sierogruppo O157. stata seguita dal tentativo di isolamento con metodiche colturali per confermare la presenza del microrganismo nel campione. L’isolamento è stato ottenuto da 5 dei 35 campioni positivi allo screening molecolare per VTEC (14,3%) e da 6 dei 27 (22,2%) dei campioni positivi per la presenza dei geni SA e mecA (Tabella 1) Valutazione dell’efficienza dell’estrazione dell’acido nucleico da colture di arricchimento. Il passaggio dell’estrazione dell’acido nucleico rappresenta il punto critico per l’applicazione dei metodi di screening basati sulla rilevazione della presenza di geni associati a particolari microrganismi patogeni e ne influenza direttamente il risultato finale. Dai risultati dell’analisi quantitativa su campioni contaminati artificialmente con VTEC O157, è emersa un’ampia variabilità nel recupero dell’acido nucleico con i diversi metodi utilizzati (Tabella 2). La perdita nel recupero dell’acido nucleico dai campioni di latte crudo, è stata in ogni caso considerevole, con una resa quantificata nel 3-6,5% utilizzando i protocolli basati sull’utilizzo di resine non immobilizzate mentre, nel caso dei campioni trattati con i kit basati sull’utilizzo di colonnine pre-assemblate, il recupero dell’acido nucleico è stato solo dello 0,12% (Tabella 2). Queste osservazioni suggeriscono che lo screening molecolare permetta di identificare come positivi i campioni contenenti tra 6 e 350 unità formanti colonia (UFC) di VTEC O157 per ml di latte, considerando l’intervallo delle rese ottenute in fase di estrazione (0,12-6,5%) e il numero di unità genomiche (UG) minime rilevate con il sistema utilizzato (0,4 UG). Conclusioni. I dati sulla presenza di VTEC e MRSA in campioni di latte crudo ottenuti nel primo anno di attività del progetto hanno mostrato positività presuntiva per entrambi i microrganismi in circa il 5% dei campioni analizzati, indicando l’esistenza di un possibile rischio per il consumatore di contrarre queste infezioni. I dati sulla quantificazione del recupero dell’acido nucleico nella fase di estrazione, indicano che la prevalenza presuntiva, valutata attraverso l’utilizzo di metodi molecolari, potrebbe essere sottostimata a causa della non ottimale efficienza nella fase di estrazione che ad oggi rimane un passaggio limitante nell’applicazione di queste metodiche. Una bassa performance metodologica potrebbe anche essere alla base delle prevalenze ancora più basse osservate nella fase di isolamento con metodi colturali. Infatti questi sono caratterizzati da una sensibilità analitica inferiore rispetto allo screening molecolare, in particolare se basato sulla Real Time PCR. In conclusione, il monitoraggio della presenza di VTEC e MRSA in campioni di latte crudo ha evidenziato la possibilità che questa matrice possa contenere questi patogeni. Inoltre, considerando la bassa dose infettante che caratterizza in particolare le infezione causate da VTEC e le quantità di latte crudo erogato giornalmente attraverso i distributori il rischio per il consumatore rimane non trascurabile. RISULTATI E CONCLUSIONI: Ricerca di VTEC e MRSA in campioni di latte crudo. I risultati della ricerca di VTEC e MRSA in campioni di latte crudo hanno mostrato la presenza presuntiva di questi patogeni rispettivamente nel 5,3% e nel 4,9% dei campioni analizzati (Tabella 1). La determinazione presuntiva, basata sull’evidenza della presenza dei geni target per ciascun microrganismo patogeno, è Tabella 1: Presenza di VTEC e MRSA in campioni di latte crudo prelevati alla distribuzione 73 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tabella 2: Valutazione del recupero degli acidi nucleici con diversi kit di estrazione commerciali. UG/rxn= Unità genomiche per reazione BIBLIOGRAFIA: 1) Murakami K., Minamide W., Wada K., Nakamura E., Teraoka H. and Watanabe S. (1991) - Identification of methicillin-resistant strains of staphylococci by polymerase chain reaction. J. Clin. Microbiol. 29, 2240-2244. 2) Martineau F, Picard FL, Roy PH, Ouellette M., Bergeron MG (1998) Species-specific and ubiquitous-DNA based assays for rapid identification of Staphylococcus aureus . J. Clin. Microbiol 36: 618-623. 74 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RICERCA DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. PARATUBERCULOSIS VITALE MEDIANTE CATTURA PEPTIDO-MAGNETICA E TRATTAMENTO CON PROPIDIUM MONOAZIDE IN CAMPIONI DI LATTE De Cicco C.*[1], Ricchi M.[1], Garbarino C.[1], Cammi G.[1], Arrigoni N.[1] Keywords: Latte, Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis, Propidium Monoazide IZSLER ~ Piacenza [1] SUMMARY: The detection of viable cells of Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis (Map) in milk and its derivatives is currently achieved by cultural methods, which are time consuming and show a lack of sensitivity. In this study we have developed a new technique to detect viable Map in milk based on the peptide magnetic separation (PMS) followed by qPCR after sample treatment with Propidium monoazide (PMA). This innovative and promising method allowed us to obtain a detection of viable Map by amplification of specific sequence element (target F57). circa un mese in brodo di coltura Middlebrook 7H9 (Difco), supplementato con OADC (BBL) e Mycobactin J (IDvet). Al termine dell’incubazione, i brodi sono stati sottoposti a declumpaggio, mediante agitazione con biglie di vetro, e quindi aliquotati. Il 50% delle aliquote (100 ml) di Map ATCC 19698 e dei ceppi di campo sono state sottoposte a trattamento termico (90°C per 15 min) per ottenere una completa inattivazione delle cellule (4). L’inattivazione è stata confermata dal risultato negativo alla coltura su terreno di Herrold al tuorlo d’uovo con Mycobactin J. Ad ogni aliquota, trattata e non, sono stati aggiunti 900 ml di latte; dopo agitazione le aliquote sono state quindi centrifugate a 2500 x g per 15 min. Il pellet ottenuto è stato risospeso in 1 ml di PBS-Tween20 (0.05%) e i campioni processati in automatico (Dynal BeadRetriever, Invitrogen) secondo la metodica di cattura magnetica mediata da peptidi (PMS) che prevede l’aggiunta di 10 ml di biglie paramagnetiche (Dynabeads MyOne Tosylactivated, Life Technologies) legate a due peptidi biotinilati Map-specifici (aMp3 e aMptD, Research Biochemicals) (6). Al termine della cattura, i campioni sono stati trasferiti in tubi da 1,5 ml e metà di essi sottoposti a trattamento con PMA. A tal fine, 1 mg di PMA (Biotium) è stato disciolto in 1,96 ml di DMSO (20%) per ottenere una soluzione 1 mM. Lavorando in condizioni minime di luce, tale soluzione è stata aggiunta ad ogni campione per ottenere una concentrazione finale di 25 mM di PMA. I campioni di controllo sono stati trattati con identici volumi di DMSO (20%). Tutti i campioni sono stati incubati al buio per 5 min in agitazione rotante e, successivamente, esposti a lampada alogena (650W) per 2 min, alla distanza di circa 10 cm. Il processo di incubazione e fotoattivazione è stato ripetuto dopo l’ulteriore aggiunta di PMA per una concentrazione finale di 50 mM. Al termine, mediante separazione magnetica, il PMA non legato è stato rimosso e le biglie risospese in buffer di lisi, con successiva fase di estrazione del DNA secondo il protocollo del DNeasy Blood and Tissue kit (Qiagen). Il DNA estratto è stato processato mediante F57 qPCR (per le sequenze dei primers rif. (7), la sequenza della sonda è 5’3’ TCCAGGAACGCTTGGCACTCG). Le reazioni di PCR sono state eseguite in StepOne Plus System (Life Technologies). La significatività statistica è stata valutata mediante ANOVA one way. INTRODUZIONE: La Paratubercolosi è una malattia cronica, infettiva e contagiosa che colpisce prevalentemente i ruminanti domestici e selvatici, causando gravi lesioni intestinali granulomatose, responsabili di perdita di peso, diarrea, ridotta produzione di latte e morte. L’agente eziologico è Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis (Map), implicato, secondo alcuni studi, anche nello sviluppo della malattia di Crohn dell’uomo (1). La disponibilità di metodi veloci in grado di valutare la vitalità delle cellule di Map eventualmente presenti negli alimenti, in particolare latte e formaggi, potrebbe essere di valido ausilio per la gestione del rischio in sicurezza alimentare. La metodica classica che consente di rilevare cellule vitali di Map è rappresentata dall’esame colturale su terreni liquidi e solidi, i cui limiti sono però rappresentati dai lunghi periodi di incubazione previsti per la crescita di Map, nonché dalla possibile perdita di sensibilità del rilevamento dovuta ai procedimenti preliminari di decontaminazione chimica. Un ulteriore limite è legato al fenomeno del clumping, ovvero la tendenza a formare aggregati cellulari (clumps) tipica di Map, che comporta una stima inferiore del numero di colonie rispetto al valore reale (2). D’altra parte, l’applicazione della PCR Real Time permette di rilevare e quantificare il micobatterio in tempi rapidi, ma non di discriminare le cellule vitali da quelle non vitali. Lo scopo del nostro studio è stato quello di sviluppare un metodo basato su qPCR in grado di rilevare la vitalità di cellule di Map in una matrice complessa quale il latte. MATERIALI E METODI: La tecnica prevede una fase di cattura di Map da latte sperimentalmente contaminato, seguita da trattamento con un intercalante del DNA, il Propidium Monoazide (PMA), in grado di penetrare unicamente nelle cellule con parete danneggiata. L’esposizione del campione alla luce induce la fotoattivazione del PMA che genera legami covalenti col DNA di Map inibendo la sua amplificazione in PCR (3, 4). Abbiamo associato tale procedura ad una qPCR che ci ha consentito di rilevare in modo specifico le cellule di Map, essendo il target F57 una sequenza presente in Map e assente nelle altre specie batteriche (5). Il nostro studio è stato condotto impiegando 3 ceppi diversi di Map; uno di riferimento (ATCC 19698) e 2 di campo (917/11 e 653/11), isolati da feci bovine presso il Centro di Referenza Nazionale per la Paratubercolosi. I ceppi sono stati coltivati per RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati relativi al numero di cicli soglia (ct) per i tre ceppi di Map sono mostrati in figura 1. In seguito al trattamento con PMA, le cellule di Map mostravano un numero di ct statisticamente maggiore dopo trattamento termico (A) rispetto alle cellule non inattivate termicamente trattate e non con PMA (C e D). Inoltre, i valori dei ct delle cellule trattate termicamente con PMA erano statisticamente superiori anche a quelli ottenuti con cellule inattivate, ma non trattate con PMA (B). Tutti e tre i ceppi hanno mostrato il medesimo andamento. Al contrario, i valori di ct delle cellule non inattivate, in pre75 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 senza o meno di PMA (C e D), non hanno mostrato differenze statisticamente significative ed erano simili a quelli delle cellule inattivate senza PMA. Più in dettaglio (Fig.2), le differenze tra i valori di ct ottenuti per le cellule termicamente inattivate e quelle non inattivate, trattate entrambe con PMA (Dct A-C), sono state pari a circa 4-5 cicli soglia. Analogo risultato è stato ottenuto per le cellule termicamente inattivate, trattate e non con PMA (Dct A-B), mentre le differenze, in termini di cicli soglia, tra le cellule non termicamente inattivate trattate e non con PMA (Dct C-D) sono risultate inferiori a 1,6 ct.. I nostri dati, seppur preliminari, suggeriscono come la metodica da noi proposta possa essere utilizzata per la ricerca di Map vitale in matrici complesse. L’aspetto innovativo è rappresentato dall’accoppiamento tra la cattura peptido-magnetica e il trattamento con PMA. Infatti, se la cattura permette la rilevazione di Map da matrici complesse (latte), il trattamento con PMA permette di identificare cellule vitali di Map. Il vantaggio principale di tale approccio rispetto ai metodi colturali è rappresentato dalla velocità di esecuzione (1 giorno lavorativo). Tuttavia, ulteriori studi sono necessari per valutare sia il limite di rilevabilità in matrici complesse come il latte e i suoi derivati. Figura 1. Confronto fra tre diversi ceppi di Map sottoposti a trattamento con PMA basato sui valori dei cicli soglia (ct). I risultati sono espressi come media ±DS. *(p<0,01 vs altri trattamenti) Figura 2. Confronto fra tre diversi ceppi di Map sottoposti a trattamento con PMA basato sulle differenze dei valori dei cicli soglia (Dct). I risultati sono espressi come media ±DS. *(p<0,01 vs altre differenze di trattamenti) 76 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1. Autschbach F, Eisold S, Hinz U, Zinser S, Linnebacher M, Giese T, Loffler T, Buchler MW, SchmidtJ. 2005. High prevalence of Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis IS900 DNA in gut tissues from individuals with Crohn’s disease. Gut. 54:944-949. 2. Grant IR, Kirk RB, Hitchings E, Rowe MT. Comparative evaluation of the MGIT and BACTEC culture systems for the recovery of Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis from milk. J Appl Microbiol. 2003. 95:196-201. 3. Nocker A, Cheung CY, Camper AK. 2006. Comparison of propidium monoazide with etidium monoazide for differentiation of live vs dead bacteria by selective removal of DNA from dead cells. J Microbiol Methods. 67:310-320. 4. Nocker A, Sossa KE, Camper AK. 2007. Molecular monitoring of disinfection efficacy using propidium monoazide in combination with quantitative PCR. J Microbiol Methods. 70:252-260. 5. Kralik P, Nocker A, Pavlik I. 2010. Mycobacterium avium subsp. Paratuberculosis viability determination using F57 quantitative PCR in combination with propidium monoazide treatment. Int J Food Microbiol. 141 Suppl 1:S80-6. 6. Foddai A, Elliott CT, Grant IR. 2010. Maximizing capture efficiency and specificità of magnetic separation for Mycobacterium avium subsp. Paratuberculosis cells. Appl Environ Microbiol. 76:7550-7558. 7. Ricchi M, Barbieri G, Taddei R, Belletti GL, Carra E, Cammi G, Garbarino CA, Arrigoni N. 2011. Effectiveness of combination of Mini-and Microsatellite loci to sub-type Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis Italian type C isolates. BMC Vet Res. 7:54. 77 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 STUDIO DELL’ATTITUDINE A FORMARE BIOFILM DI CEPPI DI LISTERIA MONOCYTOGENES ISOLATI DA ALIMENTI, DA AMBIENTI DI LAVORAZIONE DEGLI ALIMENTI E DA CASI CLINICI UMANI. Caruso M.*[1], Latorre L.[1], Botticella G.[1], Zippone V.[1], Palazzo L.[2], Fraccalvieri R.[1], Santagada G.[1], Parisi A.[3] Keywords: Listeria monocytogenes, Multi-Locus Sequence Typing, Biofilm IZS Puglia e Basilicata ~ Matera, [2]IZS Puglia e Basilicata ~ Potenza, [3]IZS Puglia e Basilicata ~ Putignano (BA) [1] SUMMARY: In this survey 123 Listeria monocytogenes isolates from foods and human were investigated for the capacity of forming biofilm taking into account their serotypes and genotypes. A statistically significant difference was identified among different serotypes and Sequence Types (ST). Serotypes are too large to represent the variability present in the population. MLST was able to identify homogeneous groups (STs) in relation to their ability to form biofilm, ST9, 121 and 155 showed a better ability in biofilm formation than ST2. valori medi di OD e quelli di deviazione standard (ds) dei sei pozzetti di ciascun ceppo. Successivamente, per ogni ceppo, è stata calcolata la media dei tre valori di OD ottenuti da ciascun esperimento e la relativa ds . I risultati sono stati analizzati attraverso ANOVA ad una via seguito da Tukey test (limite di significatività: P<0,05). RISULTATI E CONCLUSIONI: In funzione dei risultati ottenuti sono state individuate 3 categorie di isolati: OD <300, 300<OD<400, OD>400. Sono stati analizzati 79 ceppi isolati da alimenti, 19 da ambienti di lavorazione alimenti e 25 da uomo. Non sono state evidenziate differenze significative nella produzione di biofilm tra i ceppi di isolamento alimentare, ambientale e umano. Gli isolati analizzati appartenevano ai sierotipi 1/2a (n=33), 1/2b (n=22), 1/2c (n=18), 4b/4e (n=27), 3a (n=18) e 3b (n=5). Differenze statisticamente significative sono state riscontrate tra i ceppi del sierotipo 4b/4e e quelli dei sierotipi 1/2a, 1/2c e 3a (P<0,05) e 1/2b (P<0,01). La Figura 1 illustra la valutazione filogenetica mediante Minimum Spanning Tree dei dati MLST, il colore codifica per il valore di OD ottenuto. I ceppi appartenenti al ST 2 producevano una quantità di biofilm significativamente minore rispetto agli isolati appartenenti ai ST121 e 155 (P<0,01) e ST9 (P<0,05). I risultati evidenziano che i ceppi di L. monocytogenes presentano una elevata variabilità nella capacità di produrre biofilm, in accordo con quanto rilevato da altri autori in studi condotti con metodi analoghi (1,3). I dati ottenuti sono stati impiegati per verificare se la capacità di produrre biofilm fosse correlata alla matrice di isolamento, al sierotipo o al ST. L’analisi di varianza non ha evidenziato differenze significative fra gli isolati in funzione della origine, come osservato da altri autori (4), mentre differenze significative sono state riscontrate confrontando i ceppi appartenenti ai diversi sierotipi e ST. In particolare, il sierotipo 4b/4e ha mostrato una produzione di biofilm significativamente inferiore rispetto agli altri sierotipi. Per quanto riguarda il ST è stato rilevato che i ceppi appartenenti al ST2 producevano biofilm in quantità significativamente minore rispetto a quelli dei ST9, 121 e 155. Sebbene differenze significative siano state riscontrate tra i diversi sierotipi, questi rappresentano raggruppamenti troppo ampi e scarsamente rappresentativi della variabilità genetica della specie L. monocytogenes. Peraltro va considerato che stipiti identici dal punto di vista genetico possono esprimere fenotipi sierologici differenti, come il caso del ST155 e del ST121 al quale appartengono isolati di sierotipo 1/2 e 3a. La procedura standardizzata in questo studio può rappresentare un valido strumento per indagare le capacità di formare biofilm negli isolati clinici ed alimentari. E’ interessante notare che i genotipi che mostravano una migliore attitudine alla formazione di biofilm sono quelli che presentavano una maggiore prevalenza negli alimenti a testimonianza che questa caratte- INTRODUZIONE: Listeria monocytogenes è un batterio Gram positivo responsabile della listeriosi nell’uomo e negli animali. La malattia si contrae essenzialmente attraverso l’assunzione di alimenti contaminati, e desta particolare preoccupazione a causa dell’elevato tasso di mortalità. La contaminazione degli alimenti è spesso legata agli ambienti di lavorazione degli stessi dove L. monocytogenes è in grado di persistere a lungo grazie alla capacità di sopravvivere in presenza di stress chimico-fisici e di formare biofilm (8). Una volta organizzata in biofilm, L. monocytogenes risulta particolarmente resistente agli stress ambientali, agli agenti antimicrobici ed agli interventi di sanitizzazione e può rappresentare un’importante fonte di contaminazione secondaria degli alimenti (8). Numerosi studi hanno indagato la relazione tra la capacità di produrre biofilm e talune caratteristiche sia fenotipiche che genetiche dei diversi ceppi di L. monocytogenes anche se con risultati contrastanti (1,2,5,6). Scopo del presente lavoro è stato, pertanto, quello di valutare la capacità di produrre biofilm da parte di ceppi di L. monocytogenes provenienti da alimenti, da impianti di lavorazione degli alimenti e dall’uomo tenendo conto della loro caratterizzazione sierotipica e genetica oltre che della fonte di isolamento. MATERIALI E METODI: Sono stati saggiati 123 ceppi di L. monocytogenes selezionati tra quelli in collezione e stratificati in funzione del sierotipo, del genotipo (Sequence Type - ST) e, nell’ambito di ciascun sierotipo, quando possibile, in funzione della matrice di isolamento. Tutti i ceppi sono stati caratterizzati, attraverso sierotipizzazione e Multi-Locus Sequence Typing (MLST). Gli isolati sono stati sottoposti a due passaggi a 37°C per 24 ore in Tryptone Soy Broth (TSB) + glucosio all’1%; 20 ul delle colture allestite sono stati inoculati in sei pozzetti di piastre sterili da microtitolazione in polistirene non trattate contenenti 230 ul di TSB + glucosio all’1%, come precedentemente descritto (2,6). La valutazione quantitativa della formazione di biofilm da parte dei ceppi testati, è stata ottenuta decolorando i pozzetti con 250 ul di acido acetico glaciale al 33% v/v e trasferendo 100 ul della soluzione così ottenuta in piastre da microtitolazione Sero-Wel®, sulle quali è poi stata effettuata la lettura della densità ottica (OD) a 570nm. La prova è stata ripetuta per tre volte effettuando tre esperimenti indipendenti. Per ogni esperimento sono stati calcolati i 78 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ristica può costituire un vantaggio per tali isolati a persistere negli ambienti di lavorazione degli stessi e probabilmente a contaminare gli alimenti. In conclusione, una dettagliata valutazione genetica è indispensabile quando si vogliano valutare le attitudini fenotipiche di un’intera popolazione all’interno della quale possono evidentemente essere rappresentati sottogruppi in grado di esibire una grande varietà di comportamenti. A tal proposito l’analisi MLST sembra attualmente costituire un criterio in grado di identificare gruppi nella popolazione di L. monocytogenes che posseggono una certa omogeneità di comportamento, evidenziando quei genotipi che significativamente si distinguono per l’abilità a formare biofilm (7,8). BIBLIOGRAFIA: 1. Borucki, M. K., J. D. Peppin, D. White, F. Loge, and D. R. Call. 2003. Variation in biofilm formation among strains of Listeria monocytogenes. Appl.Environ.Microbiol. 69:7336-7342. 2. Di Bonavenura G., R. Piccolomini, D. Paludi, V. D’Orio, A. Vergara, M. Conter, and A. Ianieri. 2008. Influence of temperature on biofilm formation by Listeria monocytogenes on various food-contact surfaces: relationship with motility and cell surface hydrophobicity. J.Appl.Microbiol. 104:1552-1561. 3. Djordjevic, D., M. Wiedmann, and L. A. McLandsborough. 2002. Microtiter plate assay for assessment of Listeria monocytogenes biofilm formation. Appl.Environ.Microbiol. 68:2950-2958. 4. Harvey, J., K. P. Keenan, and A. Gilmour. 2007. Assessing biofilm formation by Listeria monocytogenes strains. Food Microbiol. 24:380-392. 5. Kalmokoff, M. L., J. W. Austin, X. D. Wan, G. Sanders, S. Banerjee, and J. M. Farber. 2001. Adsorption, attachment and biofilm formation among isolates of Listeria monocytogenes using model conditions. J.Appl.Microbiol. 91:725-734. 6. Pan, Y., F. Breidt, Jr., and S. Kathariou. 2009. Competition of Listeria monocytogenes serotype 1/2a and 4b strains in mixedculture biofilms. Appl.Environ.Microbiol. 75:5846-5852. 7. Parisi, A., L. Latorre, G. Normanno, A. Miccolupo, R. Fraccalvieri, V. Lorusso, and G. Santagada. 2010. Amplified Fragment Length Polymorphism and Multi-Locus Sequence Typing for high-resolution genotyping of Listeria monocytogenes from foods and the environment. Food Microbiology 27:101-108. 8. Renier, S., M. Hebraud, and M. Desvaux. 2011. Molecular biology of surface colonization by Listeria monocytogenes: an additional facet of an opportunistic Gram-positive foodborne pathogen. Environ.Microbiol. 13:835-850. Ringrazimenti: Si ringraziano per la collaborazione tecnica Bulzacchelli A., Giannico A, Silvestri E.. Lavoro finanziato dal Ministero della Salute (Ricerca Corrente IZSPB006/10) 79 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 UTILIZZO DI FAGI COME AGENTI BIO-DECONTAMINANTI IN PRODOTTI CASEARI Maccabiani G.*[1], Zanardini N.[1], D’Amico S.[1], Galuppini E.[1], Pavoni E.[1], Finazzi G.[1], Giuradei F.[1], Losio N.[1], Varisco G.[1] Keywords: bacteriophages, listeria monocytogenes, biodecontaminants IZSLER ~ Brescia [1] nuti con 100 µl di soluzione di L. monocytogenes e, al termine dell’incubazione, ciascuna diluizione è stata piastrata su PCA agar, utilizzando 5 ml di terreno LB semisolido. Le piastre così ottenute sono state incubate a 30°C per 48 ore; dopodiché si è proceduto alla determinazione del titolo contando il numero di placche di lisi formatesi per ciascuna diluizione, esprimendolo in UFP/ml. Latte parzialmente scremato a lunga conservazione - La prova è stata suddivisa in tre test per conoscere il limite massimo della capacità d’azione del fago IZS100 nei confronti di L. monocytogenes, usando concentrazioni diverse del patogeno e del fago. Sono stati utilizzati 3 titoli di L. monocytogenes e fago, rispettivamente nel primo test 108 UFC/ml e 1010 UFP/ml; nel secondo test 105 UFC/ml e 105 UFP/ml; nel terzo 103 UFC/ml e 103 UFP/ml, oltre ad un controllo positivo costituito solo dal patogeno. I prelievi sono stati effettuati al tempo zero, dopo 12 e 24 ore. Formaggio fuso - Ogni porzione (20 gr. circa) è stata immersa in una soluzione (400 ml) di L. monocytogenes 104 UFC/ml per 6 minuti. Dopo essere state asciugate a temperatura ambiente, alcune porzioni di formaggio fuso sono state immerse in una soluzione (200 ml) di fago IZS100 5*108 UFP/ml per 3 minuti; le restanti porzioni che non hanno subito tale trattamento sono servite da campioni di controllo. Tutte sono state confezionate e conservate a 5°C. Per ogni campionamento è stata prelevata una porzione di campione trattato col fago IZS100 e una di campione non trattato ed omogeneizzati in 40 ml di una soluzione di Tween al 6% in APT tramite l’utilizzo di uno stomacher. I campionamenti, oltre che al tempo zero, sono stati effettuati dopo 12 e 24 ore (T1 e T2), e dopo 7, 15, 25, 40, 50 e 65 giorni di conservazione a 5°C. Taleggio D.O.P. - 3 forme di taleggio DOP sono state contaminate per immersione (10-15 minuti) con una sospensione di L. monocytogenes 107 UFC/ml. Una volta estratte sono state lasciate ad asciugare all’aria per 10-15 minuti, in modo da ottenere una concentrazione superficiale pari a circa 105 UFC/ cm2. Successivamente, la metà delle forme sono state irrorate (campioni trattati) con una soluzione di fago IZS100 (300 ml circa), con titolo pari a 107 UFP/ml. Dopo averle lasciate asciugare all’aria, tutte le forme sono state accuratamente reincartate e poste in frigo termostato a 5°C. I campionamenti sono stati effettuati al tempo zero, e dopo 7, 14, 21 e 28 giorni. In questo caso, per ogni campionamento, si è preceduto di volta in volta a prelevare ¼ di forma, la cui superficie è stata lavata utilizzando 100 ml di una soluzione di Tween al 6% in APT. SUMMARY: In recent years decontamination processes and “functional packaging” have been developed to assure healthy and quality food products. Substances considered “biodecontaminants” are the bacteriocins, molecules produced by lactic bacteria strains able to inhibit the growth of pathogen bacteria. Moreover, bacteriophages are considered potentially biodecontaminants, thanks to their ability to selectively kill bacteria strains. In this work, the behavior of the phage IZS100 against Listeria monocytogenes have been evaluated in dairy products. INTRODUZIONE: La maggiore richiesta di sicurezza dei prodotti e di informazione sulle condizioni dell’alimento hanno stimolato, da un lato, lo sviluppo di prassi di decontaminazione che applicate in fase di trasformazione, siano in grado di abbattere la presenza di microrganismi patogeni nel preparato alimentare e, dall’altro lato, lo sviluppo dei cosiddetti “imballaggi funzionali”, in grado di interagire con il prodotto alimentare o con l’ambiente circostante all’interno della confezione, ai fini di prolungare la conservabilità o mantenere o migliorare le condizioni dei prodotti imballati. Tra i principali biodecontaminanti sono note le batteriocine, molecole anfifiliche prodotte da alcune specie di batteri lattici, dotate di attività inibitoria (litica-lisogenica) nei confronti di alcuni batteri patogeni gram positivi e gram negativi (2). Altra possibile tecnica di biodecontaminazione prevede l’utilizzo di batteriofagi a tropismo specifico: gli studi per il loro utilizzo come biodecontaminanti negli alimenti si sono intensificati solamente nell’ultimo decennio come conseguenza del sempre più crescente fenomeno della resistenza alle terapie antibiotiche da parte dei batteri (1). Obiettivo del presente lavoro è stato quindi valutare il comportamento di un fago specifico contro Listeria monocytogenes, denominato IZS100 all’interno di diverse matrici che potrebbero influirne l’attività (per la presenza di flore batteriche naturalmente presenti; per le temperature di conservazione; per i valori di pH) al fine di un possibile impiego per l’allestimento di un imballaggio funzionale MATERIALI E METODI: Gli alimenti in esame sono stati contaminati con Listeria monocytogenes ceppo IZSLER 129659/4 (id. Riboprinter DUP 1039). La soluzione di batteriofago IZS100 è stata ottenuta infettando una coltura batterica di L. monocytogenes in fase di crescita esponenziale. Dopo 48 ore a 30°C la produzione è stata filtrata per ottenere il batteriofago e successivamente titolata. Modalità di conta - In tutte le prove il titolo della L. monocytogenes è stato calcolato eseguendo delle diluizioni seriali in base 10 del ceppo batterico. Successivamente sono stati piastrati 100 µl di ciascuna diluizione su ALOA agar e, dopo averle incubate in aerobiosi per 48 ore a 37°C, si è proceduto alla numerazione per ricavarne il titolo, calcolato sia sui campioni trattati, che sui campioni non trattati (controlli positivi). Il titolo è stato poi espresso in UFC/ml. Per ottenere il titolo del fago IZS100, per ciascun campione trattato si è proceduto con la diluizione seriale in base 10 della soluzione in esame. Successivamente 1 ml di ciascuna diluizione è stato messo a contatto per 45 mi- RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati sono mostrati nelle figure allegate (figura 1,2,3). Con la prima parte di questo lavoro è stato dimostrato come il fago IZS100 sia in grado di svolgere la sua funzione contro il patogeno L. monocytogenes all’interno di una matrice alimentare liquida, quale il latte parzialmente scremato a lunga conservazione ad una temperatura di 4°C. Si é evidenziato che il fago IZS100 è in grado di svolgere la propria attività batteriostatica già dopo poco tempo dalla sua aggiunta all’interno 80 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 dell’alimento e di protrarla nel tempo anche dopo 48 ore. Infatti, già al tempo zero, il fago é in grado di abbattere il patogeno, indipendentemente dal titolo di partenza di quest’ultimo. La migliore attività del fago IZS100 nei confronti della L. monocytogenes è svolta usando concentrazioni superiori a 107 UFP/ml. Nel caso del formaggio fuso, quindi in una matrice più complessa, i dati dimostrano che L. monocytogenes viene mantenuta sotto controllo dall’effetto battericida del fago. Infine, nella terza parte della sperimentazione sono state utilizzate forme di Taleggio DOP per rendere i risultati sperimentali il più possibile rappresentativi della situazione reale di commercializzazione e conservazione di un alimento. Infatti la matrice solida risulta molto più complessa rispetto alle porzioni di formaggio fuso, in quanto presenta una superficie irregolare e ruvida (crosta), la presenza di flore batteriche naturalmente presenti nell’alimento e valori di pH più bassi. Nonostante l’introduzione delle suddette variabili, il fago IZS100 ha confermato i risultati ottenuti in precedenza. I risultati presentati in questo lavoro evidenzia- no come la concentrazione e soprattutto l’attività del fago si mantengano costanti per tutto il periodo preso in esame nelle sperimentazioni affrontate. Inoltre é evidenziato come la temperatura di conservazione non alteri l’attività del batteriofago nei confronti di L. monocytogenes, ma i suoi effetti inibitori sono fortemente dose dipendente. In definitiva, il fago IZS100 rappresenta un vero e proprio agente naturale “anti- Listeria”. Tali risultati forniscono un piccolo passo verso l’eventuale omologazione dell’utilizzo dei fagi come decontaminanti negli alimenti e nei loro processi di trasformazione; appare quindi logica una futura applicazione dei fagi come valido contributo alla tutela della salute pubblica. Una possibile strategia da sviluppare potrebbe essere l’uso combinato di flore lattiche e fagi in uno stesso alimento: le prime all’interno dello stesso producono batteriocine contro uno o più patogeni target, i secondi potrebbero essere assorbiti agli imballaggi funzionali selettivi contro gli stessi patogeni bersaglio delle batteriocine o addirittura verso altri diversi patogeni. 81 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 2. V.Raffi, M.C. Ossiprandi (2006) “Bacteriocins:Evolution, Ecology and practice application”Ann.Fac.Medic. Vet. di Parma (Vol XXVI) 235-246. BIBLIOGRAFIA: 1. Hagens S. and Loessner M.J. “Application of Bacteriophages for deteption and control of foodborne pathogens” Appl. Microbiol. Biotechnol, 76: 513-519 (2007) 82 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ENTERIC VIRUSES AND OTHER EMERGING PATHOGENS IN SEAFOOD Le Guyader S.F.[1], Le Saux J.[1], Ruvoen-clouet N.[2], Hervio-heath D.[1], Le Pendu J.[2] IFREMER, Laboratoire de Microbiologie, Nantes, France, INSERM-Universite de Nantes-CNRS-Oniris, Nantes, France [1] [2] Human and animal feacal wastes and urine contain a large number of different micro-organisms that can enter the environment through the discharge of waste materials from infected individuals. Despite the high diversity of microbes and parasites that are introduced into the environment by fecal pollution, only a few have been recognized to cause disease in association with consumption of contaminated shellfish. With increasing human development in coastal areas, emerging diseases, habitat destruction and global climate changes, the challenges associated with managing microbial contamination and shellfish safety continues to evolve.Shellfish filter large volumes of water during their feeding, and in the process they concentrate small particles containing micro-algae and microorganisms, such as parasites, bacteria and viruses. The practice of consuming either raw or undercooked shellfish can lead to transmission of disease caused by human or animal pathogens present in the shellfish. Nowadays, enteric viruses, pathogenic vibrio species, and fecal-borne bacterial pathogens are the main causes of shellfish-borne disease. These microorganisms have widely different properties, sources, virulence factors, and fate in the environment. For example parasite, such as Toxoplasma gondii, Giardia lamblia and Cryptosporidium parvum may be transmitted by sewage polluted waters and some have been detected in shellfish worldwide, without any reported outbreak yet. Bacterial outbreaks are much more common and were one of the first identified.Even in the 1800s, outbreaks of typhoid fever and cholera were associated with shellfish consumption. Faecal-borne bacteria are found in the gastrointestinal tracts of a wide range of organisms, including humans, all livestock and poultry, a wide range of rodents, waterfowl, other birds and other wild animals, and marine fish. Many of these species can also persist and even grow outside of the host in the natural environment, including coastal areas. However the set up of regulations in different countries based of faecal coliforms or Escherichia coli detection decreased significantly occurrence of bacterial outbreaks. However other bacteria such as marine vibrio are still a challenge for shellfish safety. Vibrio is comprised of bacteria found free-living in marine environments and at elevated levels in association with a variety of eukaryotic hosts, including shellfish and seaweeds. They play key roles in marine ecosystem but they also constitute a group of pathogens, primarily of shellfish and fish, thou- gh the human pathogens are notable. Of particular concern are Vibrio cholerae, Vibrio vulnificus and Vibrio parahaemolyticus, which cause severe diarrheal disease, gastroenteritis, wound infections, and septicemia. The challenge for vibrio detection in shellfish is discrimination between pathogenic and non pathogenic strains based on molecular identification of genes. Nowadays in Europe, and in many other countries worldwide, most of shellfish-borne outbreaks are due to viruses. Human enteric viruses such as hepatitis A virus or norovirus may be present in shellfish in very low numbers, nevertheless, in sufficient quantities to pose a health risk. The most common route for accidental contamination is after heavy rainfall, leading to overflow and release of untreated sewage into the aquatic environment. To limit shellfish contamination the most desirable and effective option is to reduce the viral input as treatments to eliminate virus from shellfish tissue are not efficient. Noroviruses are the main agents of gastroenteritis in humans and the primary pathogens of shellfish-related outbreaks. Some norovirus strains bind to shellfish tissues using carbohydrate structures similar to their human ligands, leading to the hypothesis that such ligands may influence bioaccumulation. Bioaccumulation efficiency and tissue distribution in oysters (Crassostrea gigas) of three strains from the two principal human norovirus genogroups demonstrated clear differences between strains. For example for some strains, bioaccumulation specifically occurred in digestive tissues in a dose-dependant manner and its efficiency paralleled ligand expression, which was highest during the cold months. In comparison, other norovirus strains, were poorly bioaccumulated and were recovered in almost all tissues without seasonal influence, while other strains presented an intermediate behavior, without seasonal effect and a lower bioaccumulation efficiency. Carbohydrate ligand specificities of the strains at least partly explain the strain-dependent bioaccumulation characteristics. To complement this approach, analysis of shellfish related outbreak data worldwide show an unexpected high proportion of some norovirus strains. These observations contribute to explain the bias observed in shellfish-related outbreaks compared to other outbreaks. We can conclude that oysters are not just passive filter, but can selectively accumulate norovirus strains based on virus carbohydrate ligands shared with humans. 83 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 VALUTAZIONE DEL VIRULOTIPO DEI SIEROTIPI DI SALMONELLA ENTERICA ISOLATE IN CAMPANIA DA ALIMENTI E DA PAZIENTI OSPEDALIZZATI Proroga Y.T.*[1], Esposito S.[1], Veneri M.R.[2], Campagnuolo R.[3], Cuccurullo S.[4], Conte M.[4], Guarino A.[1], Capuano F.[1] Keywords: Salmonella enterica, virulotyping, PCR Istituto Zooprofilattico S. del Mezzogiorno, Dip.to Ispezione degli Alimenti, Ce.Pi.T.Sa. ~ Portici (NA), [2] Ospedale S.Leonardo ~ Gragnano (NA), [3] Az. Ospedaliera Santobono Pausilipon ~ Napoli, [4]Az. Ospedaliera dei Colli ~ Napoli [1] SUMMARY: Salmonella pathogenicity depends on a variety of virulence factors that help the pathogen in adhesion and invasion mechanisms. In this study the detection of 12 loci encoding for virulence factors in Salmonella enterica was carried out. A total of 90 Salmonella strains were analyzed from July 2010 to June 2012; 49 strains were S. Enteritidis, 22 were S. Typhimurium and the remaining 14 were S. 4,5,12:i:-. Salmonella strains were of human origin (77%) or isolated from food (23%). Forty-six different virulence profiles were detected, S. Enteritidis showed a dominant profile of virulence while S. Typhimurium and S. 4,5,12:i:- showed higher variability. MATERIALI E METODI: In totale sono stati esaminati 249 stipiti batterici, di cui 90 appartenenti ai sierotipi di nostro interesse (49 S. Enteritidis, 27 S. Typhimurium e 14 S. 4,5,12:i:-). La maggior parte degli isolati erano d’origine umana (71/90), in quanto i tre sierotipi indagati, pur se di comune riscontro negli alimenti, costituiscono solo il 12,5 % del totale dei nostri isolati nel triennio Luglio 2010 – Giugno 2012, mentre sono il 77% degli isolati d’origine umana raccolti nello stesso periodo dal Centro Pilota per la Tipizzazione della Salmonella (CePiTSa) della Regione Campania. I ceppi di origine umana, sono stati isolati presso: Ospedale San Leonardo - Gragnano (NA) (n = 10); Ospedale Santa Maria delle Grazie - Pozzuoli (NA) (n = 9); Azienda Ospedaliera Santobono (NA) (n = 10); Azienda Ospedaliera Monaldi (NA) (n = 3); Azienda Ospedaliera D. Cotugno (NA) (n = 38), e venivano consegnati al CePiTSa nell’ambito del programma di sorveglianza ENTER-NET. I ceppi d’origine alimentare sono stati isolati presso i laboratori di microbiologia degli alimenti dell’IZSM seguendo il protocollo ISO 6579, utilizzando quali terreni selettivi xylose–lysinedesoxycholate (Oxoid) e salmonella chromogenic agar (Oxoid). Le colonie sospette venivano identificate mediante test biochimici (API 20 E e VITEK - Biomerieux) e tramite amplificazione del gene invA (2). Sierotipizzazione: è stata eseguita attraverso la caratterizzazione degli antigeni somatici (O) e flagellari (H), utilizzando rispettivamente antisieri della Statens Serum Institut (Dk) e della Difco (USA). Per il test si è adottata la metodica di agglutinazione su vetrino, seguendo lo schema di Kauffmann-White (8). I ceppi di controllo (S.Typhimurium e S. blokley) sono stati forniti dal Centro di Referenza Nazionale Salmonellosi. Per l’identificazione della S. 4,5,12:i- si è inoltre eseguito il test molecolare descritto dal Centro di Referenza Nazionale Salmonellosi. Virulotipo: l’amplificazione dei 12 loci indagati è stata eseguita seguendo i protocolli indicati in tabella 1. INTRODUZIONE: La patogenicità di Salmonella enterica subsp. enterica è influenzata dalla presenza di numerosi fattori che ne condizionano la virulenza, determinandone, tra l’altro, la capacità di resistere alla fagocitosi o di penetrare nelle cellule epiteliali. Queste capacità conseguono alla presenza di geni presenti in plasmidi (Salmonella Virulence Plasmids – SVPs) o nel cromosoma batterico, generalmente raggruppati in zone definite isole di patogenicità (Salmonella Pathogenicity Islands – SPI). I tre sierotipi di Salmonella enterica considerati a maggior impatto sanitario in Italia (4) sono S. Enteritidis, S. Typhimurium e la variante monofasica di S. Typhimurium (S. 4,5,12:i:). L’indagine intendeva verificare la patogenicità dei ceppi sopra indicati mediante la valutazione della presenza di 12 loci codificanti per fattori di virulenza riconosciuti, gipA, gtgB, sopE, sspH1, sspH2, sodC1, gtgE, spvC, pefA, mig5, rck, srgA, distribuiti lungo il cromosoma batterico (gipA, gtgB, sopE, sspH1, sspH2, sodC1, gtgE,) o in plasmidi di virulenza (spvC, pefA, mig5, rck, srgA) e verificare le correlazioni tra i profili di virulenza dei ceppi isolati dagli alimenti e quelli causa di malattia nell’uomo. 84 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISULTATI E CONCLUSIONI: I geni ricercati sono risultati presenti, nell’insieme degli stipiti indagati (n=90), con prevalenza che oscillava dal 1,1% (gtgE) al 93,3% (sspH2) (Tab. 2). Tra i loci di maggior riscontro segnaliamo gtgB (89%), sodC1 (80%), sopE (63,3%). Nessun isolato di S. 4,5,12:i:- presentava i 5 loci di virulenza d’origine plasmidica né gtgE. I suddetti geni erano assenti anche nella maggior parte degli isolati di S. Typhimurium. Le maggiori differenze in relazione alla fonte d’isolamento (uomo o alimenti) si è registrata per sspH1 e spvC che, negli isolati umani avevano prevalenza del 25,3% e 4,2 % rispettivamente; gli stessi loci negli isolati da alimenti avevano prevalenza del 10,5% e del 47,3%. In totale sono stati identificati 46 profili di virulenza diversi, quelli più ricorrenti sono riportati in tabella 3. La valutazione del virulotipo in Salmonella è estremamente complessa e legata alla presenza/assenza di un mosaico di loci che agiscono variamente anche in associazione. Lo studio da noi eseguito non consente, quindi, di stabilire la patogenicità degli stipiti batterici indagati, in quanto solo una piccola frazione dei geni di virulenza noti è stata analizzata. Si è focalizzata l’attenzione sui tre sierotipi di Salmonella a maggiore impatto per la salute umana per verificare la concordanza negli aplotipi tra gli isolati umani e d’origine alimentare. I loci di più comune riscon- tro sono inclusi nelle isole di patogenicità 2 (sspH2 e sopE) e 1 (sopE, sodC1), che agiscono per lo più favorendo la colonizzazione delle cellule epiteliali. Interessanti le valutazioni riguardanti SVPs che risultano assenti in tutti i ceppi di salmonella S. 4,5,12:i:- (isolate solo da uomo), mentre la loro presenza in S. Typhimurium varia dal 4,5% (pefA - spvC) al 40,8% (srgA). Diversamente nella S. Enteritidis la presenza di spvC e rck varia dal 5,1% al 97,4%. In S. Enteritidis sono risultati presenti tutti i geni plasmidici oggetto del nostro studio, con percentuali che vanno dal 70% al 100% (pef A e rck). Confrontando i dati ottenuti dallo studio delle salmonelle isolate in campo umano e dagli alimenti si notare una concordanza nella prevalenza dei geni plasmidici in S. Enteritidis. Per anni questa ha rappresentato il principale sierotipo causa di malattia nell’uomo e uno dei sierotipi maggiormente isolati nel settore veterinario, tale analogia potrebbe farci ipotizzare il ruolo determinante che questi geni assumono nella comparsa di malattia. Altro dato rilevante è la presenza nel 60% dei ceppi isolati da matrici alimentari del gene spvC, che, benché le ricerche di Haneda et al., 2012 (6) lo individuino quale cause della infezioni sistemiche di salmonella, risulta presente solo nel 4,2% degli isolati umani. BIBLIOGRAFIA: 1. Bacciu D., Falchi G., Spazziani A., Bossi L., Marogna G., Sisinnio Leori G., Rubino S., Uzzau S. (2004). Transposition of the heat-stable toxin astA gene into a Gifsy-2-related prophage of Salmonella enterica serovar abortusovis. J of Bacteriol, 186:4568-4574. 2. Borriello G., De Carlo E., Iovane G., Capuano F. (2010). Genetic characterization of Salmonella strains isolated from water buffalo calves with diarrhoea. 9th World Buffalo Congress, Buenos Aires, Argentina. 3. Chiu C.H., Ou J.T. (1996). Rapid identification of salmonella serovars in fecies by specific detection of virulence genes, invA and spvC, by an enrichment broth culture-multiplex PCR combination assay. J Clin Microbiol, 34:2619-2622. 4. Dionisi A.M., Feliciti E., Ocwzarek S., Arena S., Benedetti I., Lucarelli C., Luzzi I., Scavia G., Minelli F., Ciaravino G., Marziano M.L., Caprioli A., e i Laboratori rete Enter-net Italia (2011). Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità, 24 (1). EN- TER-NET: sorveglianza delle infezioni trasmesse da alimenti e acqua. Rapporto dell’attività 2007-2009. 5. Drahovska H., Mikasova E., Szemes T., Ficek A., Sasik M., Majtan V., Turna J. (2007). Variability in occurrence of multiple prophage genes in Salmonella typhimurium strains isolated in Slovack Republic. FEMS Microbiol Lett, 270:237-244. 6. Haneda T., Ishii Y., Shimizu H., Ohshima K., Iida N., Danbara H., Okada N. (2012). Salmonella type III effector SpvC, a phosphothreonine lyase, contributes to reduction in inflammatory response during intestinal phase of infection. Cellular Microbiology, 14(4), 485–499. 7. Mikasova E., Drahovska H., Szemes T., Kuchta T., Karpiskova R., Sasik M., Turna J. (2005). Characterization of Salmonella enterica serovar typhimurium strains of veterinary origin by molecular typing methods. Vet Microbiol, 109:113-120. 8. Popoff M. Y., Le Minor L. (2007). Schema di KauffmannWhite. Antigenic formulas of the Salmonella serovars. WHO. 9th Edition. 85 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 DISTRIBUZIONE DELLE VARIANTI ALLELICHE DELLA CITOTOSSINA SUBTILASI IN CEPPI DI ESCHERICHIA COLI PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA DI ORIGINE UMANA E OVINA E CARATTERIZZAZIONE DELL’ISOLA DI PATOGENICITÀ CHE CONTIENE L’ALLELE SUBAB2 Michelacci V.*[1], Tozzoli R.[1], Martinez R.[2], Marziano M.L.[1], Scheutz F.[3], Caprioli A.[1], Morabito S.[1] Keywords: Escherichia coli, Citotossina subtilasi, SubAB Istituto Superiore di Sanità ~ Roma, [2]Universidad de Extremadura ~ Càceres, [3]Statens Serum Institut ~ Copenhagen [1] SUMMARY: Subtilase cytotoxin is produced by Verocytotoxinproducing E. coli (VTEC) lacking the LEE locus and is encoded by two allelic variants: subAB1 and subAB2. We report the full characterization of the pathogenicity island vehiculating the subAB2 variant and investigated the distribution of the two variants in LEE-negative VTEC isolated from human cases of diarrhea and from healthy sheep. A strong prevalence of subAB2 was observed in both human and ovine strains, suggesting a role for this cytotoxin in causing disease and the possible role of sheep as reservoir of SubAB-producing VTEC. Treated Vector Kit” (Stratagene). I cloni della genoteca contenenti la parte centrale della PAi contenente i geni subAB2 sono stati identificati per ibridazione con sonde geniche corrispondenti ai geni subAB. Le regioni fiancheggianti sono state identificate per chromosome walking utilizzando i primers indicati in figura 1. Ricerca degli alleli subAB1 e subAB2 dei geni tia e saa. La presenza dei geni subAB è stata analizzata utilizzando i primers universali RTsubABF/RTsubABR (1), che consentono l’amplificazione di entrambi gli alleli. Le due varianti subAB sono state identificate utilizzando il primer RTsubABR (1) in combinazione con SubAF (1) e subA_startF, rispettivamente specifici per gli alleli subAB1 e subAB2. La presenza dei geni saa (7) e tia (2) è stata esaminata come descritto in letteratura. INTRODUZIONE: La Subtilasi (SubAB) è una tossina di tipo AB5 prodotta da alcuni ceppi di Escherichia coli produttori di verocitotossina (VTEC). La SubAB è stata descritta per la prima volta in un ceppo VTEC O113, isolato nel corso di un episodio epidemico di sindrome emolitico uremica in Australia (1). In questo ceppo, i geni codificanti la SubAB (subAB1) sono localizzati su un grande plasmide, denominato pO113, in associazione al gene saa (1), codificante un’adesina autoagglutinante. Recentemente, è stata descritta una nuova variante della SubAB (subAB2) in due ceppi di E. coli non produttori di verocitotossina (2). In questi isolati, i geni codificanti la subtilasi sono localizzati nel cromosoma e veicolati da un’isola di patogenicità (PAI), parzialmente caratterizzata, in associazione con il gene tia, che codifica un determinante di invasione descritto in ceppi di E. coli enterotossigenici (ETEC) (3). I geni codificanti la SubAB sono stati fino ad oggi rilevati solo in ceppi VTEC che non possiedono il locus LEE (4, 5, 6), responsabile dell’induzione della caratteristica lesione “attaching and effacing”, con l’eccezione dei due ceppi di E. coli in cui è stata identificate la variante subAB2. Uno studio recente ha analizzato la distribuzione delle due varianti in ceppi VTEC di origine animale, ipotizzando una associazione di subAB1 con isolati di origine bovina e di subAB2 con ceppi isolati da piccoli ruminanti (6). In questo lavoro è descritta l’intera PAI che contiene la variante subAB2 nel ceppo di E. coli ED 32 in cui è stata identificata. E’ stata inoltre investigata la prevalenza delle due varianti alleliche in ceppi VTEC LEE-negativi isolati da casi umani di diarrea e da pecore sane. RISULTATI E CONCLUSIONI: Caratterizzazione del locus che contiene i geni codificanti la SubAB nel ceppo ED 32. La sequenza dell’isola genomica che contiene i geni subAB2 nel ceppo ED 32, in parte già descritta (2), è stata completata (figura 1). Questa regione genomica, qui denominata SubtilaseEncoding PAthogenicity Island (SE-PAI), si estende per circa 8 kb tra l’operone yjhATS, coinvolto nel metabolismo degli acidi sialici, ed il locus pheV_tRNA. La SE-PAI contiene, oltre i geni subAB2 e tia, il determinante genetico di una solfatasi, il gene shiA, il cui prodotto è coinvolto nell’attenuazione della risposta infiammatoria indotta da Shigella, ed un gene codificante un’integrasi, probabilmente responsabile della mobilizzazione della PAI. Identificazione e caratterizzazione del locus subAB in VTEC LEE-negativi isolati da casi umani di diarrea. Su 162 ceppi VTEC LEE-negativi di origine umana, 117 (72%) sono risultati positivi per la presenza dei geni subAB. Di questi, il 98,2% possedeva la subAB2 in associazione con il gene tia e mai con il gene saa. Le uniche eccezioni erano rappresentate da un ceppo di sierogruppo O181 per cui non è stato possibile tipizzare i geni subAB, cinque ceppi O91 risultati subAB2positivi e tia-negativi, ed un ceppo O91 positivo per la presenza di entrambe le varianti subAB, contemporaneamente positivo anche per la presenza di tia e saa (Tabella 1). MATERIALI E METODI: Ceppi Batterici. Il ceppo ED 32 è stato descritto in precedenza (2). La ricerca dei due alleli dei geni subAB è stata eseguita su un pannello di ceppi VTEC LEE-negativi, comprendente 162 ceppi isolati da casi umani di diarrea in Danimarca e 123 ceppi isolati da pecore sane in 4 allevamenti spagnoli. Identificazione e caratterizzazione del locus subAB in VTEC LEE-negativi isolati da ovini. Su 123 ceppi VTEC LEE-negativi di origine umana, 108 (87,8%) sono risultati positivi per la presenza dei geni subAB. Tutti gli isolati positivi possedevano l’allele subAB2, eccetto un ceppo O6 ed un O123, risultati non tipizzabili. La maggior parte dei ceppi positivi per la subAB2 (81,5%) ha dato esito positivo anche per la presenza del gene tia, mentre nessun ceppo ha dato risultato positivo per la presenza del gene saa (Tabella 2). Costruzione della genoteca fagica. Per la caratterizzazione della isola di patogenicità che veicola i geni subAB2 abbiamo costruito una genoteca fagica del ceppo ED 32 utilizzando il “Lambda ZAP II predigested EcoRI/CIAP86 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 in quelli ovini, suggerendo che la subtilasi possa avere un ruolo nella patogenesi delle infezioni causate da questi microrganismi e che la specie ovina possa costituire un importante serbatoio animale per questi ceppi. E’ interessante notare che la SE-PAI sembra essere il principale elemento genetico mobile che veicola i geni codificanti la subtilasi. Infatti la variante subAB2 era presente in più del 95% dei VTEC subAB-positivi analizzati in questo studio. Inoltre, nella maggior parte di questi, i geni subAB2 erano in associazione con tia. In tutti i ceppi analizzati finora, i geni subAB sono stati rilevati in associazione a geni codificanti fattori di virulenza potenzialmente coinvolti nel processo di colonizzazione dell’ospite. Infatti, entrambe le varianti subAB1 e subAB2 sono veicolate da elementi genetici mobili che ospitano geni codificanti fattori di adesione (saa), di invasione (tia) o coinvolti nella soppressione della risposta infiammatoria dell’ospite (shiA). Queste osservazioni suggeriscono che I ceppi VTEC LEE-negativi e subAB-positivi esprimano meccanismi di colonizzazione alternativi a quello “attaching and effacing” governato dai geni veicolati dal locus LEE. Conclusioni e prospettive. In questo lavoro descriviamo la sequenza completa del locus contenente i geni codificanti la variante subAB2, un’isola di patogenicità da noi denominata SE-PAI. Oltre ai geni subAB2 e tia (2), precedentemente descritti, questa PAI contiene un altro gene di virulenza, shiA, descritto in ceppi di Shigella, che codifica una proteina coinvolta nell’attenuazione della risposta infiammatoria dell’ospite. Nel cromosoma del ceppo in cui è stata descritta per la prima volta, la SE-PAI è integrata a valle del locus pheV-tRNA. Questo rappresenta un sito preferenziale d’integrazione di isole genomiche, incluso il locus LEE, in diversi sierogruppi VTEC. Questa osservazione suggerisce che i ceppi VTEC LEE-negativi e SE-PAI-positivi possano essere emersi a seguito della competizione tra le due isole genomiche per questo sito di integrazione. La presenza dei geni codificanti la subtilasi è stata studiata in un pannello di ceppi VTEC LEE-negativi isolati da casi di malattia nell’uomo e da pecore sane. Lo studio ha mostrato un’elevata positività per questi geni (72%) sia nei ceppi umani che Figura 1. Mappa della Subtilase-Encoding PAthogenicity Island (SE-PAI) Tabella 1. Sierogruppi dei ceppi di origine umana analizzati e caratteristiche del locus subAB Tabella 2. Sierogruppi dei ceppi isolati da pecore sane analizzati e caratteristiche del locus subAB BIBLIOGRAFIA: 1. Paton AW, Srimanote P et al. 2004. J Exp Med; 200:35-46. 2. Tozzoli R, Caprioli A. et al. 2010. J. Clin. Microbiol. 48:178-183. 3. Fleckenstein J. M., Kopecko D. J. et al. 1996. Infect. Immun. 64:2256-2265. 4. Buvens G, Lauwers S. et al. 2010. Eur. J. Clin. Microbiol. Infect. Dis. 29:1395-1399. 5. Irino K, Vieira MA. et al. 2010. J. Clin. Microbiol. 48:988-990. 6. Orden JA, Horcajo P. et al. 2011. Appl. Environ. Microbiol. 77:8259-8264. 7. Paton AW, Paton JC. 2002. J. Clin. Microbiol. 40:271-274. 87 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 DIAGNOSI DI ANTRACE CUTANEO NELL’UOMO TRASMESSO DA UN VETTORE DURANTE UN FOCOLAIO OVINO IN BASILICATA Pace L.*[1], Galella M.[2], De Stefano C.[4], Giangrossi L.[1], Quaranta V.[3], Bochicchio V.[2], Mercurio V.[1], Fasanella A.[1] Keywords: cuteneous anthrax, outbreak, vector 1. Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Puglia e Basilicata, Centro di Referenza Nazionale per l’Antrace ~ Foggia, 2. ASP Potenza - Dipartimento di Prevenzione, Sanità e Benessere Animale - Servizio Veterinario - Area A di Melfi ~ Potenza, [3] 4. Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Puglia e Basilicata, sezione di Potenza ~ Potenza, [4] 3. Ospedale San Carlo, U.O. di Malattie Infettive ~ Potenza [1] [2] SUMMARY: During an ovine anthrax outbreak in Basilicata, South Italy, the owner of a flock located about three kilometers from the flock hit by anthrax, developed skin lesions attributable to cutaneous anthrax. The DNA extracted from the human scabs confirmed anthrax and the MLVA with 15 VNTRs showed the same genotype found in the dead sheep. The sheep breeder had not had contact with the dead animals and claimed to have been stung by ‘gadflies’ (haematophagous biting flies). Poliximina (TSMP). Dopo 24 ore di incubazione a 37° C in aerobiosi, si è proceduto ad un esame morfologico delle colture ottenute ed al successivo esame microscopico previa colorazione di Gram delle colonie sospette. Test molecolari: Il DNA delle escare del paziente e quello delle colture batteriche è stato estratto mediante “DNeasy Blood &Tissue Kit (Qiagen)”. Successivamente è stata effettuata una PCR real time su tutti i campioni, utilizzando i primers specifici per cromosoma e plasmidi pXO1 e pXO2 di B.anthracis (5). I campioni risultati positivi in PCR sono stati genotipizzati mediante Multilocus Variable Tandem Repeat Analysis (MLVA) 15 loci (14). Infine i risultati della genotipizzazione sia del campione umano che di quello animale sono stati confrontati tra di loro per stabilire se ci fosse o meno una correlazione tra i due casi. INTRODUZIONE: In Italia l’antrace è una malattia endemica, a carattere sporadico e ad andamento stagionale con i focolai che tendono a verificarsi soprattutto durante i mesi estivi. Nell’uomo l’antrace cutaneo è la forma più frequente (95%) e la trasmissione è favorita dal contatto con animali infetti, con prodotti contaminati (pelle, lana, ossa, carne, sangue) o nel corso della macellazione di animali infetti. Meno frequenti sono l’antrace polmonare e quello gastrointestinale. Il sospetto di antrace cutaneo si basa principalmente sulle lesioni tipiche caratterizzate da escare, con o senza edema, e soprattutto un’anamnesi che conferma il contatto con fonti infette. RISULTATI E CONCLUSIONI: Colture batteriche: Le escare sono risultate batteriologicamente negative. La spiegazione è data dal fatto che il paziente era già da due giorni in terapia antibiotica. Le colonie isolate dal sangue ovino si presentavano morfologicamente non emolitiche, bianco-grigiastre e dense, riconducibili a quelle tipiche di B. antracis. Anche l’analisi microscopica ha confermato la presenza di bacilli Gram positivi. PCR real time: L’analisi PCR, utilizzando primers specifici per il cromosoma e i due plasmidi patogeni pXO1 e pXO2, eseguita sugli estratti di DNA delle colonie batteriche sospette e delle escare è risultata positiva per B.anthracis. Analisi MLVA: I risultati dell’analisi del genotipo mediante utilizzo del test MLVA su colonie isolate dagli animali e sul DNA estratto dal campione umano hanno confermato una omologia del 100%. Conclusioni: Uno degli aspetti più interessanti in questo lavoro è quello riguardante la fonte di infezione dell’uomo. Il paziente infatti ha dichiarato di non aver avuto alcun contatto con animali infetti e che le lesioni si sono sviluppate a seguito della puntura di un tafano, confermando l’ipotesi che i tafani possono trasmettere la malattia all’uomo. Per quanto riguarda gli esami di laboratorio, questi hanno confermato la difficoltà di isolare ceppi di B.anthracis dalle escare di pazienti in terapia antibiotica (13). Tuttavia va segnalato che è possibile fare diagnosi direttamente dal DNA estratto dalle lesioni cutanee. Discussioni: La Basilicata è considerata la regione italiana a più alto rischio di antrace (6,7,8). Nel 2011 in un’area di circa 50km2, compresa tra Basilicata e Campania, si sono verificati circa 30 focolai di antrace con oltre 60 animali morti e nessun caso umano. Nel corso di uno studio epidemiologico è stata avanzata l’ipotesi che gli insetti ematofagi, tipo tabanidi, possano aver contribuito alla diffusione della malattia (1,10,11). Recenti studi in aree ad alto rischio di antrace, hanno dimostrato la trasmissione della malattia da animale a uomo nel corso della macellazione di animali malati (2,3,4,9,12). L’ importanza di questo lavoro è quella di aver diagnosticato un’infezione da B.anthracis nell’uomo mediante l’utilizzo della PCR su MATERIALI E METODI: Focolaio animale: Tra il 22 e il 26 di agosto 2012 due pecore sono morte in un allevamento di Melfi (Pz). Le carcasse sono state inviate presso i laboratori dell’ Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Puglia e Basilicata (IZSPB), sede di Foggia per gli accertamenti diagnostici. Caso umano: Un giovane allevatore di 23 anni è stato ricoverato il 28 Agosto presso il reparto di malattie infettive dell’ospedale “San Carlo” di Potenza. Alla visita clinica sono state evidenziate all’arto superiore destro 5 lesioni papulo nodulari con area vescicolosa evoluta in escara necrotica introflessa, circondata da vescicole confluenti a contenuto torbido (Fig. 1 e 2). Durante l’anamnesi il paziente ha dichiarato che non vi erano stati casi di carbonchio nel suo gregge, che non era mai stato a contatto con animali infetti e che le escare si erano formate conseguentemente alla puntura di un “tafano” durante un percorso in auto in una zona adiacente l’area infetta. Il paziente è stato sottoposto a terapie antibiotiche con Ciprofloxacina 750mg ogni 12 ore per 5 giorni, poi 500mg per altri 5 giorni. E’ stato riscontrato un netto miglioramento delle lesioni già dopo 48 ore e il paziente è stato dimesso dopo 5 giorni dal ricovero ospedaliero con le lesioni in fase crostosa. Campioni animali: Nel corso dell’autopsia delle due pecore sono stati prelevati campioni di sangue. L’esame microscopico ha rilevato la presenza di bacilli Gram positivi. Campione umano: Presso i laboratori del Centro di Referenza Nazionale per L’Antrace dell’IZSPB sono state consegnate due biopsie di escare (1 cm x 0.5 cm) conservate in soluzione fisiologica sterile (Fig. 3). Ogni campione è stato suddiviso in due aliquote: la prima per le analisi batteriologiche e la seconda per i test biomolecolari. Test batteriologico: Per l’isolamento di B. anthracis è stato utilizzato il terreno semiselettivo Agar Trimethoprime-Sulfametossazolo88 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Fig. 2. Ingrandimento di una tipica lesione di antrace cutaneo. Viene messa in evidenza l’area vescicolosa con escara necrotica introflessa e leggero edema circostante Fig. 1. Lesioni carbonchiose presenti sul braccio destro di un paziente infettato attraverso la puntura di un insetto vettore Fig. 3. Biopsie di escare. in Italy. Journal of Clinical Microbiology, 7,3398-3401 7. Fasanella A et all. Antrax in red deer (Cervus elaphus), Italy [letter]. Emerg Infect Dis. Vol. 13, No.7 8. Fasanella A et all. Severe anthrax outbreaks in Italy in 2004: consideration on factors involved in the spread of infection. New Microbiologica 2010; 33(1):83-86 9. Fasanella A et all. Bangladesh anthrax outbreaks are probably caused by contaminated livestock feed. Epidemiol Infect. 2012 Jul 20: 1-8 10. Krinsky WL. Animal Desease Agents Trasmitted by Horse Flies and Deer Flies (Diptera: Tabanidae). Journal of Medical Entomology, Vol. 13, No. 3, 1976, pp.225-275. 11. Palazzo L et all. Recent Epidemic-Like Antrax Outbreaks in Italy: What are the probable causes? Open Journal of Veterinary Medicine, 2012, 2, 74-76 12. Popescu R et all. Two Cases of infection with B.anthracis. Romania, October 2011. Euro Surveill. 2011 Nov 10; 16(45). Pii:2008. 13. Stefos A et all. Cutaneous infection caused by B. anthracis in Larissa, Thessaly, Central Greece,July 2012 Eurosurveillance, Volume 17, Issue 32, 09 August 2012 14. Van Ert MN et all. Global genetic population structure of B.anthracis. PloS ONE. 2007;2(5):e461.doi:10.1371/journal. pone.0000461 DNA direttamente estratto dalle lesioni cutanee oltre ad aver confermato la trasmissione attraverso gli insetti vettori da animale a uomo. Questo lavoro è il risultato di una stretta collaborazione tra medici e veterinari ed è auspicabile che questo genere di collaborazioni si perfezionino. Tuttavia sarebbe opportuno, nel periodo in cui esplodono di focolai di antrace animale, che il settore medico attivi una maggiore attenzione verso le patologie dermatologiche con particolare riguardo a quelle ascrivibili a lesioni cutanee di antrace, inserendo tra i test di base anche quello PCR per antrace. BIBLIOGRAFIA: 1. Blackburn JK et all. Con-firmation of B.anthracis from Flesh-Eating Flies Collected during a West Texas Antrhrax Season. Journal of Wildlife Diseases, Vol. 46, No. 3, 2010, pp. 318-922 2. Chakraborty A et all. Antrax outbreaks in Bangladesh, 20092010. Am J Trop med Hyg. 2012 Apr; 86(4): 703-10 3. Chakraborty PP et all. Outbreak of cutaneus anthrax in a tribal village: a clinic-epidemiological study. J Assoc Physicians India. 2012 Feb;60:89-93 4. De Lalla F et all. Familial outbreak of agricultural anthrax in an area of northern Italy. Eur J Clin Microbiol Infect Dis. 1992 Sep; 11(9): 839-42. 5. Fasanella A et all. Detection of anthrax vaccine virulence factors by Polymerase Chain Reaction. Vaccine. 2001; 19:4214-4218. 6. Fasanella A et all. Molecular diversity among B.anthracis isolates Collaborazione tecnica: Tolve Francesco, Iatarola Michela 89 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 MALATTIA DA GRAFFIO DEL GATTO E BARTONELLOSI FELINA:UN’APPLICAZIONE PRATICA DEL CONCETTO DI “ONE MEDICINE” Prati P.[1], Vicari N.[1], Brunetti E.[2], Ferraioli G.[2], Sala G.[3], Marone P.[4], Fabbi M.*[1] Keywords: Bartonella henselae, Malattia da graffio del gatto, zoonosi Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna “B. Ubertini” Sezione Diagnostica di Pavia ~ Pavia, [2] Diagnostica Ecografica in Malattie Infettive, Dipartimento di Malattie Infettive, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo - Università di Pavia ~ Pavia, [3] Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna “B. Ubertini” Sezione Diagnostica di Binago ~ Binago-Varese, [4] Struttura Complessa di Virologia e Microbiologia, Dipartimento di Malattie Infettive, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo ~ Pavia [1] SUMMARY: We report the investigations on 74 cases of catscratch disease (CSD) and the results on 1,317 sera and 1,344 stray cats blood samples tested for Bartonella infection. A small group of domestic cats were also tested because belonging to patients affected by CSD. Atypical clinical manifestations were observed in 18/74 patients. Nine out of 11 domestic cats belonged to patients with CSD resulted infected by Bartonella henselae. 23.1% out of 1,317 stray cats sera resulted seropositive while 17% out of 1344 blood samples, resulted infected by B. henselae (15,5%) and B. clarridgeiae (1,5%). sulla base delle caratteristiche colturali, morfologiche (11) con conferma mediante PCR (6). Il rilevamento e l’identificazione di Bartonella sp. mediante PCR dai campioni clinici dei pazienti, dal sangue dei gatti e da isolati, è stato effettuato secondo Jensen et al., (7), mentre la distinzione tra B. henselae tipo I e II secondo il metodo di Bergmans et. al. sul gene rRNA 16S. (1). ll test di Immunofluorescenza indiretta è stato utilizzato per la ricerca anticorpale sia sui gatti che sui pazienti utilizzando un test commerciale (Daltec Instrument srl, Milano, Italia) con cut-off ≥ 1:64. INTRODUZIONE: La Malattia da graffio del gatto o Cat Scratch Disease (CSD) è una zoonosi causata principalmente da Bartonella henselae ed occasionalmente da Bartonella clarridgeiae (8). Sono noti due tipi di B. henseleae, il tipo I e il tipo II distinguibili con tecniche molecolari. I gatti sono il serbatoio naturale del microrganismo e le pulci giocano un ruolo importante nella trasmissione del batterio all’interno della popolazione felina. Gli animali si infettano durante il pasto di sangue delle pulci o per ingestione di pulci infette o delle loro feci. L’infezione da Bartonella nei gatti produce una batteriemia persistente che può durare fino a 24 mesi in assenza di segni clinici rilevabili (2). La trasmissione da gatto a uomo avviene di solito con il graffio o il morso. Negli Stati Uniti, la CSD è la causa più comune di linfoadenopatia cronica nei bambini e negli adolescenti (3). L’infezione provoca una particolare linfoadenite con microascessi circondati da cellule reticolo-istiocitarie ma talvolta si possono manifestare quadri clinici atipici con il coinvolgimento di diversi organi (10). Documentiamo i dati clinici ed epidemiologici di 74 casi di CSD in altrettanti pazienti e 11 gatti domestici ad essi strettamente correlati; riportiamo inoltre i risultati delle indagini eseguite su 1344 gatti di colonia di 3 diverse province del nord Italia per la ricerca di B. henselae tramite emocoltura e per la ricerca di anticorpi. RISULTATI E CONCLUSIONI: La CSD è stata confermata in 74 pazienti. Il contatto con i gatti domestici è stato documentato per 61 pazienti (82,4%). Solo un paziente su 74 era immunocompromesso. In tutti i pazienti la diagnosi è stata confermata dall’esame sierologico. L’esame ecografico evidenziava tipicamente una necrosi centrale con edema linfonodale (9). L’esame colturale da ago aspirato linfonodale ha dato sempre esito negativo mentre la PCR è risultata sempre positiva per B. henselae ed in particolare 6 sono risultate appartenere al tipo I e 3 al tipo II. Manifestazioni cliniche atipiche sono state osservate in 18/74 pazienti (24,3%) con quadri di eruzioni maculopapulari con linfoadenopatia ascellare, granulomi epatosplenici necrotizzanti, linfadenite ascellare associata a infezione vertebrale (L4-L5), papillite oculare, linfoadenopatia inguinale, adenopatia regionale associata a infiltrati polmonari bilaterali, ipertermia persistente. 9 degli 11 gatti (81,8%) appartenenti a pazienti con CSD sono risultati batteriemici, in particolare 6 per B. henselae tipo I e 3 per B. henselae tipo II a conferma della corrispondenza tra ceppo animale e umano. Il 17% delle 1.344 emocolture (228/1344) è risultato positivo ed in particolare il 15,5% per B. henselae e l’1,5% per B. clarridgeiae. Il 23,1% dei sieri (304/1317) possedeva anticorpi verso B.henselae. La genotipizzazione eseguita su 192 ceppi di B. henselae ha consentito di identificare 64 B. henselae tipo I (33 %), 88 B. henselae tipo II (47%), mentre 40 gatti (20%) sono risultati coinfettati da entrambi sottotipi. Di rilievo appaiono in questa indagine da un lato l’elevato numero di forme c.d. atipiche di CSD nei pazienti (24.3%) rispetto a quanto riportato in bibliografia (3), dall’altro si conferma l’ampia circolazione di Bartonella henselae nelle popolazioni feline in particolare in quelle di colonia. Non è stato possibile indagare tutti i gatti legati ai pazienti affetti da CSD, tuttavia, tra gli 11 gatti dei pazienti analizzati, 9 sono risultati batteriemici confermando la stretta correlazione tra gatto e uomo per questa zoonosi. MATERIALI E METODI: Sono stati valutati retrospettivamente i dati clinici e strumentali dei pazienti con diagnosi finale di CSD afferiti agli ambulatori del Dipartimento di Malattie Infettive IRCCS San Matteo di Pavia da ottobre 2005 a dicembre 2010. Nello stesso periodo sono stati testati presso la sezione Diagnostica di Pavia dell’IZSLER 11 gatti appartenenti ad altrettanti pazienti per i quali è stato possibile esaminare anche gli agoaspirati linfonodali mediante test di PCR ed esame colturale. Sono stati altresì esaminati 1344 gatti randagi tramite emocoltura e 1317 di questi per anticorpi verso B.henselae campionati nelle aree urbane delle province di Pavia, Bologna e Varese. Per le emocolture è stato utilizzato un terreno arricchito con il 5% di sangue di coniglio. L’identificazione degli isolati avveniva 90 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tra i gatti randagi in area urbana, il 23% è risultato sieropositivo e il 17% è risultato batteriemico a conferma che la risposta immunitaria nel gatto tende a coesistere con la batteriemia risultando tuttavia poco efficace a debellare l’infezione (6). L’approccio multidisciplinare intrapreso in questo lavoro appare un buon esempio di come la conoscenza, la diagnosi e il controllo e delle zoonosi passi attraverso la indispensabile collaborazione tra Medicina Umana e Medicina Veterinaria, concetto già espresso da Calvin Swabe che, fin dagli anni ’60, auspicava un’unica medicina (“One Medicine”) al servizio dell’uomo senza compartimentazioni (5,12,13). approach to global health education at the University of California, Davis. Prev Vet Med 2009;92:268-74. 6. Fabbi M, De-Giuli L, Tranquillo M, Bragoni R, Casiraghi M, Genchi C. Prevalence of Bartonella henselae in Italian stray cats: evaluation of serology to assess the risk of transmission of Bartonella to humans. J Clin Microbiol 2004;42, 264-8. 7. Jensen WA, Fall MZ, Rooney J, Kordick DL, Breitschwerdt EB. Rapid identification and differentiation of Bartonella species using a single-step PCR assay. J Clin Microbiol 2000;38:1717-22. 8. Lawson PA, Collins MD. Description of Bartonella clarridgeiae sp. nov. isolated from the cat of a patient with Bartonella henselae septicemia. Med Microbiol Lett 1996;5:64-73. 9. Margileth AM. Recent advances in diagnosis and treatment of cat scratch disease. Curr Infect Dis Rep 2000;2:141- 6. 10. Mogollon-Pasapera E, Otvos Jr L, Giordano A, Cassone M. Bartonella: emerging pathogen or emerging awareness? Int J Infect Dis 2009;13:3-8. 11. Regnery RL, Anderson BE, Clarridge 3rd JE, Rodriguez-Barradas MC, Jones DC, Carr J. H. Characterization of a Novel Rochalimaea Species, R. henselae sp. nov., Isolated from blood of a febrile, human immunodeficiency virus-positive patient. J Clin Microbiol 1992;30:265-74 12. Schwabe CW. Veterinary medicine and human health. Ed. Williams & Wilkins, Baltimore, 1984. 13. Zinnstag J, Schelling E, Wiss K, Bechir Mahamat M. Potential of cooperation between human and animal health to strengthen health systems. Lancet 2005; 366:2142-5. BIBLIOGRAFIA: 1. Bergmans AM, Schellekens JF, van Embden JD, Schouls LM. Predominance of two B. henselae variants among cat-scratch disease patients in the Netherlands. J Clin Microbiol 1996; 34:254-60. 2. Breitschwerdt EB. Feline bartonellosis and cat scratch disease. Vet Immunol Immunopathol 2008;123:167-71. 3. Carithers HA. Cat-scratch disease: an overview based on a study of 1200 patients. Am J Dis Child 1985;139:1124–33. 4. Chomel BB, Abbott RC, Kasten RW, Floyd-Hawkins KA, Kass PH, Glaser CA, Pedersen NC, Koehler JE. Bartonella henselae prevalence in domestic cats in California: risk factors and association between bacteremia and antibody titers. J Clin Microbiol 1995;33:2445-50. 5. Conrad PA, Mazet JA, Clifford D, Scott C, Wilkes M. Evolution of a trans disciplinary “One Medicine-One Health” 91 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 NANOBIOSENSORI E LAB-ON-CHIP: LA NUOVA FRONTIERA NELLA SICUREZZA ALIMENTARE Ricciardi C.[1] Keywords: nanobiosensori, lab-on-chip, cantilever Politecnico di Torino, Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia (DISAT) [1] SUMMARY: In the last years, nanobiosensors (such as cantilevers, nanowires, nanotubes, etc…) have shown the capability for sensitive, accurate and real-time detection of many potential sources of risk detrimental for food safety, such as pathogenic microorganisms and toxic hidden contaminants. Furthermore, such detectors can be integrated on microfluidic platforms, leading to compact and portable devices, thus suitable as Point-Of-Care diagnostics. Among nanobiosensors, mechanical resonators represent one of the most promising classes. di particolato) tramite successive sintesi e incisioni di sottilissimi strati metallici, semiconduttivi o isolanti. Le geometrie desiderate sono realizzate tramite un processo chiamato fotolitografia, una tecnica che permette di replicare la stessa struttura contemporaneamente su numerosi chip. Proprio questa caratteristica di poterne parallelizzare la produzione fa sì che il singolo micro/nano-dispositivo abbia un costo finale estremamente limitato, quantificabile in pochi centesimi di euro. Per poter interagire con biomolecole e cellule, la superficie dei cantilever deve essere attivata chimicamente. La procedura con cui si inseriscono gruppi funzionali su una superficie per modificarla chimicamente è chiamata funzionalizzazione. Nel nostro laboratorio, si procede con due passaggi: in primis, una silanizzazione (con il reagente APTES, amminopropil trietossisilano) permette la formazione di un SAM (Self Assembled Monolayer) che espone gruppi amminici, ai quali viene legato uno dei linker più comunemente usati in biologia, la glutaraldeide (GA). A questo punto il chip viene incubato con una soluzione contente una binding protein, tipicamente proteina G, per favorire la corretta orientazione dell’anticorpo, che funge da biorecettore. Il passaggio finale consiste in un’incubazione con la soluzione contenente il target di interesse, come normalmente avviene per un saggio ELISA diretto, non competitivo. Se posti in oscillazione, i cantilever vibrano con ampiezza massima quando eccitati alla propria frequenza di risonanza, un valore che nelle tipiche condizioni operative di un esperimento biologico dipende esclusivamente dalla massa dell’oscillatore. Quando l’analita target viene immobilizzato sulla superficie vibrante grazie al biorecettore, la massa del cantilever aumenta e quindi la frequenza diminuisce in modo direttamente proporzionale. La costante di questa proporzionalità è il rapporto tra la frequenza e la massa, e rappresenta la sensibilità del sistema. Da qui risulta chiaro il vantaggio nell’usare strutture micro/nanometriche (dotate di masse estremamente ridotte), fabbricate in materiali cristallini come il Si (adatto a risuonare ad alte frequenze grazie all’intrinseca alta rigidità). Sono stati mostrati in letteratura limiti sperimentali di rilevazione che vanno dai nanogrammi (10-9g) ai “picogrammi (1012g, la massa di un singolo batterio), fino alla singola molecola in casi limite di sistemi sempre più piccoli e sofisticati [3]. Un tipico apparato di misura è mostrato in Fig. 1: un attuatore piezoelettrico (4) è utilizzato per generare la vibrazione, un sistema di lettura a leva ottica (2,3) per monitorare l’ampiezza di oscillazione, un microscopio (1) per allineare correttamente il tutto, e una camera a vuoto per minimizzare gli attriti (5). INTRODUZIONE: L’applicazione delle Nanotecnologie alle “Scienze della Vita” è un campo d’interesse pressoché sconfinato. Il denominatore comune è l’idea che l’abilità nello sviluppare materiali e dispositivi in grado di interagire con il mondo bio su scala molecolare (cioè alla nanoscala) possa portare enormi vantaggi a livello di ricerca e di progresso tecnologico. I nanobiosensori rappresentano il perfetto connubio tra le nanotecnologie e la biologia: alle tecniche sempre più sofisticate di controllo della materia su scala nanometrica, si integrano infatti i recettori biochimici, selezionati da sistemi biologici per l’identificazione di specifiche molecole. Il risultato è un biosensore che, pur mantenendo la selettività tipica del riconoscimento anticorpo/antigene, è in grado di fornire un segnale anche per concentrazioni infinitesime di analita, potendo sfruttare gli effetti di localizzazione tipici della nanoscala. Simili dispositivi trovano estremo interesse nel campo della sicurezza alimentare, dove lo sviluppo di metodi rapidi e accurati è necessario per consentire ai laboratori pubblici e privati la possibilità di analizzare il massimo numero di campioni nel minor tempo possibile, rispondendo così alla necessità sempre più pressante di garantire ai consumatori cibi sicuri e controllati. I nanobiosensori si classificano in base al meccanismo di trasduzione, cioè a seconda di come viene rilevato l’avvenuto legame tra la molecola target e il biorecettore immobilizzato sulla superficie del dispositivo: di norma sono ottici [1], elettronici [2] o meccanici [3-7]. Grazie alle tecnologie provenienti dalla microelettronica è oggi possibile integrare i sensori su chip che contengono canali e camere di reazione miniaturizzate, consentendo di maneggiare automaticamente quantità estremamente piccole di reagenti e analiti , e quindi di risparmiare tempo, reagenti e manodopera specializzata. Questi dispositivi, detti Lab-On-Chip (LOC), consentono di replicare su scala micrometrica le tipiche reazioni biochimiche che un operatore svolge in provetta, localizzando su un’unica piattaforma di pochi centimetri operazioni quali estrazione, purificazione, incubazione, lavaggi, ecc… La presente relazione tratta nel dettaglio dei nanobiosensori a cantilever, travi micrometriche con un’estremità libera di oscillare che operano come nanobilance. RISULTATI E CONCLUSIONI: Negli ultimi anni, abbiamo sviluppato biosensori a cantilever per diversi target di interesse nella sicurezza alimentare. Batteri patogeni (in collaborazione con Università di - Torino): in Fig. 2 è riportato il numero di batteri medio su un array di cantilever, quantificato direttamente dalla variazione di frequenza. La metodica in soluzioni buffer (Ringer) mostra MATERIALI E METODI: I cantilever di silicio, come i microchip dei nostri computer, sono fabbricati in clean-room (camere climatiche in sovrapressione per minimizzare la presenza 92 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Figura 3 Figura 1 un’ottima sensibilità (singola cellula) e selettività nel riconoscimento del target (Salmonella) rispetto ad altri patogeni (E. Coli) [4]. Le più recenti misure mostrano invece una specificità non ancora ottimale in matrici complicate (carne). - Micotossine (in collaborazione con Università di Torino): in Fig. 3 è riportata la risposta di array di cantilever con anticorpi anti-aflatossine (AF), quando incubati con soluzioni contenenti diverse concentrazioni di AF (0-0,3-3-30 ppb). Oltre a mostrare un LOD inferiore ai limiti di legge (ppb), la metodica mostra una buona selettività verso le altre micotossine (Ocratossina A – OTA) [5]. -17β-estradiolo (in collaborazione con IZSPLVA): in Fig. 4 è riportata la risposta dei cantilever incubati con estratti di siero fortificato con concentrazioni crescenti di 17β-estradiolo. La metodica mostra un’altissima sensibilità (<20 ppt) e risultati analoghi sono stati recentemente ottenuti su matrici carnee. Oltre a questi casi, abbiamo recentemente iniziato a sviluppare con IZSPLVA una metodologia a base cantilever per l’identificazione di allergeni e PrPsc [6]. In parallelo, stiamo miniaturizzando la stazione di misura su un LOC che consente di monitorare in real-time il riconoscimento molecolare, consentendo una lettura in pochi minuti. Applicato alla identificazione di biomarker proteici, ha mostrato di essere efficace per concentrazioni minime relativamente alte (ppm) [7]. Figura 4 BIBLIOGRAFIA: [1] C.R. Taitt, G.P. Anderson, F.S. Ligler “Evanescent wave fluorescence biosensors” Biosensors and Bioelectronics 20 (2005) 2470-2487 [2] B.L. Allen, P.D. Kichambare, A. Star “Carbon Nanotube Field-Effect-Transistor-Based Biosensors” Advanced Materials 19 (2007) 1439–1451 [3] J.L. Arlett, E.B. Myers, M.L. Roukes “Comparative advantages of mechanical biosensors” Nature Nanotechnology 6 (2011) 203–215 [4] C. Ricciardi, G. Canavese, R. Castagna, G. Digregorio, I. Ferrante, S. L. Marasso, A. Ricci, V. Alessandria, K. Rantsiou, L. S. Cocolin “Online Portable Microcantilever Biosensors for Salmonella enterica Serotype Enteritidis Detection” Food Bioproc. Tech., 3 (2010) 956-960 [5] Ricciardi, C., Castagna, R., Ferrante, I., Frascella, F., Marasso, S.L., Ricci, A., Canavese, G., Lorè, A., Prelle, A., Gullino, L.M., Spadaro, D. “Development of a microcantileverbased immunosensing method for mycotoxin detection” Biosens. Bioelect., In Press DOI: 10.1016/j.bios.2012.07.029 [6] Meloni, D., Pitardi, D., Mazza, M., Castagna, R., Ferrante, I., Ricciardi, C., Bozzetta, E. “Seprion-coated microcantilever sensors for PrPSc detection” Prion 8 (2012) 94-95 [7] C. Ricciardi, G. Canavese, R. Castagna, I. Ferrante, A. Ricci, S. L. Marasso, L. Napione, F. Bussolino “ Integration of microfluidic and cantilever technology for biosensing application in liquid environment” Biosens. Bioelect., 26 (2010) 1565-1570 Figura 2 93 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 CONFRONTO DI MLST E MLVA PER LA CARATTERIZZAZIONE DI ISOLATI CLINICI ED ALIMENTARI DI LISTERIA MONOCYTOGENES. Parisi A.*[1], Miccolupo A.[1], Latorre L.[1], Bilei S.[2], Greco S.[2], Decastelli L.[3], Normanno G.[4], Santagada G.[1] Keywords: Listeria monocytogenes, Multi-Locus Sequence Typing, MLVA IZS Puglia e Basilicata ~ Putignano (BA), 2] IZS Lazio e Toscana ~ Roma, [3] IZS Piemonte Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino, [4] Università di Foggia ~ Foggia [1] SUMMARY: In this survey 713 Listeria monocytogenes isolates from foods (n=497) and human (n=216) were typed using MLVA and MLST. On the whole 94 MLVA profiles were identified. Single VNTRs showed Discriminatory Index ranging from 48.8 and 79.0 with a number of alleles ranging from 6 and 10. MLST identified 80 different STs. The two procedures showed good correlation, in many cases MLVA profiles corresponded to STs, although in others MLVA was more discriminant. In any case MLVA was able to predict Serotype and ST with good reliability. MATERIALI E METODI: Sono stati esaminati un totale di 713 ceppi provenienti da casi clinici (n=216) e di isolamento alimentare (n=497). Gli isolati appartenevano ai seguenti sierotipi: 1/2a (n=326), 1/2b (n=95), 1/2c (n=148), 3a (n=15), 3b (n=3), 4b/4e (n=122), 4c (n=2), 4d (n=2). Preliminarmente una selezione di 30 isolati rappresentativi delle principali linee genetiche venivano sottoposti ad uno screening utilizzando 13 diversi VNTR come precedentemente descritto (2,5). Quindi si effettuava una selezione dei VNTR in funzione della riproducibilità, stabilità e capacità di discriminazione. Un totale di 6 VNTR veniva ottimizzato per l’amplificazione in due distinte multiplex-PCR, quindi i prodotti di reazione venivano diluiti e miscelati in una mix contenente formammide e Genescan 600 Liz come ladder di peso molecolare. Le corse elettroforetiche erano eseguite mediante 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystems). I dati venivano analizzati mediante GeneMapper 4.0 (Applied Biosystems), i singoli alleli venivano normalizzati, importati in Bionumerics 6.5 (Applied Maths) ed utilizzati per l’analisi filogenetica. INTRODUZIONE: Listeria monocytogenes, l’agente causale della listeriosi, è un pericoloso microrganismo patogeno trasmesso da alimenti. Il controllo delle infezioni veicolate da alimenti richiede la standardizzazione di strumenti in grado di migliorare la conoscenza dell’epidemiologia dei microrganismi patogeni nei serbatoi animali così come negli stabilimenti di produzione alimentare al fine di programmare misure in grado di ridurre il rischio per il consumatore. In passato le speculazioni epidemiologiche si sono basate essenzialmente sulla sierotipizzazione, che è in grado di identificare 13 differenti sierotipi di L. monocytogenes. Oggi è disponibile un ventaglio di protocolli molecolari per la caratterizzazione di L. monocytogenes. Alcuni di questi si basano su tecniche di fingerprinting come la Pulsed Field Gel Electrophoresis (PFGE) (1), l’Amplified Fragment Length Polymorphism (AFLP) (4) e la Multi-Locus Variable number of tandem repeat Analysis (MLVA) (3), altri invece sulla sequenza di alcuni geni come la Multi-Locus Sequence Typing (MLST) (4) e la Multi-Virulence-Locus Sequence Typing (MVLST) (6). MLST analizza le variazioni nucleotidiche in sette loci selezionati tra geni housekeeping all’interno del cromosoma batterico. Sebbene MLST attualmente costituisca uno strumento tra i più efficaci per studi di epidemiologia globale delle popolazioni microbiche, esso presenta dei limiti legati alla complessità e ai costi della procedura. Pertanto sarebbe auspicabile definire degli schemi di tipizzazione alternativi, in grado di fornire risultati comparabili alla MLST ma con costi minori ed una maggiore processività. In una ricerca precedente nel nostro Istituto abbiamo confrontato MLST con AFLP con risultati incoraggianti circa la corrispondenza tra i due metodi (4). Poiché AFLP presenta comunque dei limiti legati alla riproducibilità interlaboratorio, in questa ricerca abbiamo standardizzato un protocollo MLVA. Esso consiste nell’amplificazione mediante PCR di particolari loci del cromosoma batterico sede di ripetizioni tandem (TRs) e nell’identificazione mediante elettroforesi del numero delle stesse. Si è proceduto inoltre ad una valutazione comparativa dei risultati ottenuti con MLST e MLVA su 713 ceppi di L. monocytogenes di isolamento clinico ed alimentare. RISULTATI E CONCLUSIONI: Complessivamente sono stati identificati 94 differenti profili allelici (MLVA). I singoli VNTR mostravano valori di Discriminatory Index di Simpson variabili tra 48.8 e 79.0 con un numero variabile di alleli compreso tra 6 e 10. I profili MLVA presentavano una buona correlazione con la appartenenza degli stipiti ai singoli sierotipi ed alle principali linee genetiche. Tutti gli isolati sono stati caratterizzati mediante MLST come precedentemente descritto (4). In totale i dati MLST identificavano 80 diversi ST (Fig. 1). Il confronto tra le due metodiche metteva in evidenza una ottima correlazione, in diversi casi il profilo MLVA corrispondeva perfettamente al ST mentre in altri, come ad esempio per il Complesso Clonale 9 (CC9), MLVA permetteva di identificare numerosi profili apparendo più discriminante di MLST (Fig. 2). In ogni caso i profili MLVA erano in grado, con una buona affidabilità, di predire il sierotipo e il ST degli isolati. Le nuove acquisizioni nel settore dell’epidemiologia molecolare di L. monocytogenes hanno consentito di formulare ipotesi circa l’organizzazione della popolazione di questo microrganismo, sulla sua evoluzione prettamente clonale che ha consentito la suddivisione di linee genetiche ben distinte, nonché sull’attitudine di certi genotipi a dare malattia nell’uomo o a colonizzare determinate nicchie ecologiche. La sierotipizzazione, che in passato ha rappresentato il sistema classico di riferimento, presenta dei limiti dal momento che oltre il 95% degli stipiti isolati da casi di listeriosi nell’uomo o da fonti alimentari appartengono ai sierotipi 1/2a, 1/2b, 1/2c e 4b. Negli ultimi anni, per la caratterizzazione genetica di L. monocytogenes, è stata utilizzata come metodo di 94 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 routine la Pulse Field Gel Electrophoresis (PFGE) anche se le difficoltà di riproducibilità di questa tecnica fanno ritenere che nel prossimo futuro i sistemi sequence-based (MLST, MLVST) rappresenteranno lo standard di riferimento. Purtroppo le problematiche legate alla complessità tecnica ed ai costi di esecuzione di queste ultime impongono la ricerca di sistemi diagnostici alternativi che siano allo stesso tempo rapidi, economici e facilmente standardizzabili. La tecnica di MLVA analizzata in questo studio riteniamo possa rappresentare un valido strumento diagnostico specialmente nello studio di situazioni epidemiologiche complesse, come possono essere gli stabilimenti di produzione, in cui spesso diverse popolazioni della stessa specie possono convivere e contaminare gli alimenti, ma soprattutto quando vi sia la necessità di collegare tra loro diversi episodi clinici o questi alle rispettive fonti di contaminazione. MLVA si distingue per la notevole processività e per i contenuti costi di ese- cuzione, peraltro la tecnica è facilmente standardizzabile e riproducibile tra i laboratori garantendo la possibilità di confrontare gli isolati con un sistema univoco di interpretazione. Non meno interessante è l’evidenza che MLVA dimostra una notevole capacità di discriminazione, consentendo di identificare diversi profili per alcuni gruppi di isolati risultati identici mediante MLST e non correlati epidemiologicamente. La disponibilità di tecniche di caratterizzazione efficienti ed economiche, come MLVA, potrà migliorare la conoscenza dell’epidemiologia di questo importante patogeno, soprattutto attraverso la condivisione delle esperienze tra laboratori e la creazione di appositi database. Ringrazimenti: Si ringraziano per la collaborazione tecnica D’Aprile D., Ridolfi D., Palladino C.P.. Lavoro finanziato dal Ministero della Salute (Ricerca Corrente IZSPB00/07) 95 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 (MLVA) to subtype a collection of Listeria monocytogenes. Int.J.Food Microbiol. 115:187-194. 4. Parisi, A., L. Latorre, G. Normanno, A. Miccolupo, R. Fraccalvieri, V. Lorusso, and G. Santagada. 2010. Amplified Fragment Length Polymorphism and Multi-Locus Sequence Typing for high-resolution genotyping of Listeria monocytogenes from foods and the environment. Food Microbiology 27:101-108. 5. Sperry, K. E., S. Kathariou, J. S. Edwards, and L. A. Wolf. 2008. Multiple-locus variable-number tandem-repeat analysis as a tool for subtyping Listeria monocytogenes strains. J.Clin Microbiol 46:1435-1450. 6. Zhang, W., B. M. Jayarao, and S. J. Knabel. 2004. Multivirulence-locus sequence typing of Listeria monocytogenes. Appl.Environ.Microbiol. 70:913-920. BIBLIOGRAFIA: 1. Brosch, R., M. Brett, B. Catimel, J. B. Luchansky, B. Ojeniyi, and J. Rocourt. 1996. Genomic fingerprinting of 80 strains from the WHO multicenter international typing study of listeria monocytogenes via pulsed-field gel electrophoresis (PFGE). Int.J.Food Microbiol. 32:343-355. 2. Lindstedt, B. A., W. Tham, M. L. nielsson-Tham, T. Vardund, S. Helmersson, and G. Kapperud. 2008. Multiplelocus variable-number tandem-repeats analysis of Listeria monocytogenes using multicolour capillary electrophoresis and comparison with pulsed-field gel electrophoresis typing. J.Microbiol Methods 72:141-148. 3. Murphy, M., D. Corcoran, J. F. Buckley, M. O’Mahony, P. Whyte, and S. Fanning. 2007. Development and application of Multiple-Locus Variable number of tandem repeat Analysis 96 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 VALIDAZIONE DI UN METODO REAL-TIME PCR SECONDO ISO16140:2003 PER LA DETERMINAZIONE DI CAMPYLOBACTER JEJUNI, COLI E LARI IN ALIMENTI REAL-TIME PCR FOR DETECTION OF CAMPYLOBACTER JEJUNI, COLI AND LARI IN FOODS: TEST VALIDATION ACCORDING TO ISO16140:2003 Vencia W.*[1], Bianchi D.M.[1], Galllina S.[1], Adriano D.[1], Civalleri N.[1], Mantoan P.[1], Radium P.[1], Gramaglia M.[1], Decastelli L.[1] Keywords: Campylobacter, ISO 16140:2003, Real -Time PCR 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, S.C. Controllo Alimenti e Igiene delle Produzioni, Turin, Italy ~ Torino [1] SUMMARY: Several countries with foodborne outbreaks (FBO) reporting systems documented significant increases in the incidence of diseases caused by microorganisms in food. The Laboratory Controllo Alimenti in IZS-PLV (Italy) led a study to validate a Campylobacter JCL Real-Time detection kit. The results obtained in the validation study defined the Limit of Detection at 4 CFU/ 25 g or ml of food sample; the results about relative accuracy, specificity and sensitivity were respectively 93%, 88%, 100% and the results of proficiency test were satisfactory. ne del DNA batterico e rilevazione dei geni target di Campylobacter JCL) da eseguire in un sistema chiuso semi-automatico (Stratagene MX3005P). Tutti i reagenti necessari per entrambe le fasi sono forniti dal kit. In accordo alla norma ISO16140:2003, la validazione è stata eseguita contro il metodo descritto nella norma di riferimento ISO 10272:2006 (3) valutando i seguenti parametri: Limite di Detection (LOD); Accuratezza Relativa; Specificità Relativa; Sensibilità Relativa; Livello di Identificazione Relativo (RDL); Inclusività e Esclusività. Il LOD è stato determinato a partire da una brodocoltura di C. jejuni ATCC 29428 pari a 0,5 McFarland (1,5*107 ufc/mL) dalla quale sono state preparate otto diluizioni scalari in base 10 in soluzione fisiologica, fino a una concentrazione teorica di circa 0,015 ufc/mL; dopo un’incubazione di 48 ore a 42 °C in microaerofilia, i campioni così pre-arricchiti sono stati testati mediante Real-Time PCR. Per la valutazione di Accuratezza Relativa, Specificità Relativa e Sensibilità Relativa sono stati testati 60 campioni sia con il metodo di rifermento che con quello alternativo (50% di campioni positivi, con tre livelli di contaminazione e 50% di campioni negativi). Al fine di determinare il RDL, con entrambi i metodi sono stati testati in totale 54 campioni ovvero 18 campioni per ciascuna delle seguenti specie batteriche: C. jejuni, C. coli, C. lari. Ciascuna specie è stata inoculata con due diversi livelli di contaminazione: il primo (n=6) pari al limite di rilevazione teorico (LOD), il secondo (n=6) tre volte superiore tale limite e una terza serie (n=6) rappresentata dal controllo negativo. La valutazione del parametro inclusività ha previsto l’utilizzo di 50 colture pure del microrganismo target: il livello di inoculo per ogni coltura è stato da 10 a 100 volte il RDL del metodo alternativo. Per determinare l’esclusività sono state analizzate 30 colture pure di microrganismi non- target (50% di Gram positivi e 50% di Gram negativi). Infine l’iter di validazione ha previsto l’organizzazione di uno studio interlaboratorio, al fine di determinare la variabilità dei risultati ottenuti in differenti laboratori analizzando campioni identici. Sono stati coinvolti 3 laboratori, ognuno di essi ha ricevuto 24 campioni ciechi, inoculati con tre livelli di contaminazione (8 campioni negativi, 8 campioni con un grado di contaminazione poco oltre il LOD e 8 campioni con un grado di contaminazione pari a 10 volte il LOD). Per la contaminazione dei campioni è stato utilizzato del materiale di riferimento (lenticules) fornite dalla Health Protection Agency (HPA) contenenti una coltura pura liofilizzata di C. jejuni. Le linee guida e i requisiti per lo studio interlaboratorio sono contenuti nell’allegato Annex H della ISO 16140:2003. INTRODUZIONE: La sorveglianza delle Malattie Trasmesse dagli Alimenti (MTA) attuata dagli Stati Membri della EU mette in risalto un aumento dell’incidenza di queste patologie. I principali agenti causali di tossinfezioni alimentari riportati in letteratura in EU sono rappresentati da Salmonella, Campylobacter, tossine batteriche e virus (1). Data la rapida evoluzione clinica delle tossinfezioni alimentari è necessaria un’azione tempestiva di tutte le figure professionali coinvolte nell’inchiesta epidemiologica. In particolare, la ricerca di microrganismi patogeni negli alimenti rappresenta una delle fasi principali per meglio definire un’evidenza forte di tossinfezione alimentare secondo le linee guida emanate da European Food Safety Authority (EFSA) (2). Nonostante l’impiego di metodi standardizzati, spesso l’isolamento e l’identificazione dell’agente causale avviene tardivamente, quando il focolaio si è già naturalmente risolto. Al fine di implementare i sistemi di sorveglianza esistenti e per garantire una terapia adeguata e efficace ai soggetti malati , è indispensabile identificare il microrganismo nel più breve tempo possibile. Per questo motivo si mira sempre più spesso alla validazione, in accordo alla norma ISO 16140:2003 (4), di metodi alternativi capaci di detectare l’agente causale di MTA più rapidamente rispetto ai metodi di riferimento. Questo studio riporta i risultati della validazione, secondo la norma ISO 16140, di un kit commerciale Real-Time PCR per la rilevazione di Campylobacter jejuni, coli e lari (JCL) in alimenti appartenenti alla categoria “Prodotti lattiero-caseari”. Tale kit era stato già stato validato presso lo stesso laboratorio per quanto concerne la categoria “Frutta e prodotti a base di vegetali” (5). MATERIALI E METODI: Nel periodo aprile-giugno 2012 presso il Laboratorio Controllo Alimenti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta è stato condotto l’iter di validazione di un kit commerciale Real-Time PCR per la rilevazione di Campylobacter jejuni, coli and lari (JCL) commercializzato da FOSS Italia (prodotto da AES CHEMUNEX). Il kit commerciale si compone di due fasi successive (estrazio97 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Discussione Quattro campioni contaminati con Campylobacter sono stati correttamente identificati dal metodo alternativo ma non da quello di riferimento. La discordanza potrebbe essere dovuta alla perdita di vitalità del ceppo o ad un diverso LOD tra i due metodi: tale parametro non è tuttavia specificato nella norma ISO. L’utilizzo del metodo Real-Time PCR validato in questo studio consente di emettere rapporti di prova in 48 ore per i campioni negativi; i campioni positivi al metodo alternativo devono comunque essere sottoposti alle procedure di isolamento al fine di confermare la vitalità e la conseguente patogenicità del ceppo. Tuttavia, in corso di MTA, la sola rilevazione del DNA del patogeno consentirebbe, insieme con sintomatologia riferibile e con un’eventuale positività anche dei campioni biologici dei pazienti, una risposta rapida e sufficiente in quanto supportata dall’evidenza epidemiologica descrittiva. In conclusione, poichè tutti i parametri esaminati hanno fornito valori soddisfacenti il metodo alternativo è stato validato con successo secondo quanto richiesto dalla norma ISO 16140:2003, e, a seguito del processo di accreditamento risulta indicato per l’analisi di prodotti lattiero caseari nell’ambito del controllo ufficiale degli alimenti. RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati ottenuti hanno consentito di individuare il LOD del metodo Real-Time PCR a 4 UFC/25 g o mL di alimento; la Figura 1 riassume i risultati relativi a Accuratezza, Specificità e Sensibilità Relativa. Tali parametri sono risultati rispettivamente pari a 93%, 88%, 100%. In 4 casi il metodo di riferimento colturale ISO 10272:2006 non ha permesso l’isolamento di C. jejuni mentre il metodo alternativo ha correttamente identificato i campioni. L’analisi statistica dei risultati relativi al RDL è stata effettuata per ogni livello e per ogni combinazione alimento/ceppo confrontando entrambi i metodi e applicando ai dati il Test esatto di Fisher per valutarne la significatività. Essendo p value=1, è possibile affermare che la probabilità che entrambi i metodi riescano a rilevare il livello di contaminazione inoculato o un campione negativo è pari al 100%. Le risultanze relative a inclusività, esclusività e allo studio interlaboratorio sono state soddisfacenti, confermando i risultati attesi. Il 100% dei ceppi target è stato identificato come positivo e il 100% dei ceppi non target è stato individuato come negativo dal metodo alternativo. Infine, dallo studio interlaboratorio sono emersi una sensibilità, un’accuratezza e una precisione del metodo pari al 100%. Figura 1: parametri ottenuti; intervallo di confidenza al 95% stuffs- Horizontal method for detection and enumeration of Campylobacter spp. 4.ISO 16140:2003, Microbiology of food and animal feeding stuffs – Protocol for the validation of alternative methods. 5.Nogarol C., Vencia W., Bianchi DM., Gallina S., Adriano A., Zuccon F., Decastelli L. Real.Time PCR for detection of Campylobacter jejuni, coli and lari in foods: test validation according to ISO 16140:2003. 4 July, 2012 Kazimierz Dolny, Poland EAVLD 2012. BIBLIOGRAFIA: 1.EFSA (European Food Safety Authority), 2011. EU summary report on zoonoses, zoonotic agents and food- borne outbreaks 2010 EFSA Journal 2012;10(3):2597. 2.EFSA (European Food Safety Authority), 2011. Updated technical specifications for harmonised reporting of food-borne outbreaks through the European Union reporting system in accordance with Directive 2003/99/EC. EFSA Journal, 9(4):2101, 24 pp. 3.ISO 10272:2006, Microbiology of food and animal feeding 98 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 OGM: SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN NUOVO METODO IN FAST PCR REAL-TIME PER LA QUANTIFICAZIONE DELL’EVENTO EH92-527-1 DI PATATA Madeo L.*[1], Pierboni E.[1], Curcio L.[1], Tovo G.[1], Rondini C.[1] Keywords: Potato, EH92-527-1, PCR Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia [1] il sistema associato alla penalty più bassa. Per entrambi i sistemi la sonda TaqMan® è stata marcata al 5’ con il 6-Fam e al 3’ con il Minor Groove Binder-Non Fluorescent Quencher (MGB-NFQ). Sono stati utilizzati anche i primers e la sonda validati per il gene endogeno UGPasi (primers UGP-af7, UGPar8, e sonda UGPMhmg-P) (5, 6). OTTIMIZZAZIONE PRIMERS E PROBE: Le prove sono state ottimizzate su piattaforma Applied Biosystems 7900HT Fast RealTime PCR System in volume finale di 20 μl con il seguente profilo di amplificazione: stage 1: 95°C 20’’, stage 2 (40 cicli) con il primo step da 1’’ a 95°C e il secondo step da 20’’ a 60°C. I primers sono stati ottimizzati testando 3 concentrazioni (150, 300, 900 nM) nelle 9 possibili combinazioni, mantenendo invariata la concentrazione di sonda a 250 nM. Stabilita la combinazione ottimale di primers sono state testate 6 concentrazioni di sonda (50, 100, 150, 200, 250, 300 nM). Per ogni combinazione sono stati allestiti 4 replicati. VALIDAZIONE DI FAST PCR REAL-TIME: Per la validazione delle prove qualitative di ciascun sistema sono stati determinati LOD (numero copie genomiche corrispondenti a un RSDr≤33%) sensibilità e specificità. Per la validazione del metodo quantitativo sono stati determinati LOQ (RSDr≤25%), precisione (RSDr= scarto tipo/media x 100), esattezza (bias%=m-μ/μx100, in cui m= media e μ=valore certificato), linearità (R2), efficienza di amplificazione (E%) e robustezza e incertezza di misura (dato non mostrato)(10). SUMMARY: Detection of target sequences along with plant species specific endogenous reference genes will help in developing reliable and precise PCR assays to cope with the increasing number of authorized GM potato events in EU. We present the development and validation of a new Fast Real-time PCR system that is both sensitive and time-saving for the detection and quantification of GM potato EH92-527-1. This procedure is based on STLS1, a single copy gene which can be used as a reliable endogenous reference system of S. tuberosum for quantification assays, instead of the UGPase, a multiple copy gene. INTRODUZIONE: Dall’immissione in commercio di Amflora, la prima patata GM prodotta da BASF, un’altra patata geneticamente modificata per la produzione di amilopectina pura, Amadea, sarà presumibilmente approvata per la coltivazione e la commercializzazione in Europa (1,2). Il crescente aumento degli eventi GM autorizzati nell’Unione Europea deve andare di pari passo con lo sviluppo di metodiche sempre più sensibili e accurate e che, allo stesso tempo risultino attuabili da tutti i Laboratori in tempi rapidi e a costo contenuto. Per garantire il rispetto della normativa vigente che regola l’etichettatura e la rintracciabilità dei prodotti contenenti patata GM, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche, inserito nella rete dei laboratori per il controllo ufficiale degli OGM, ha messo a punto e validato una nuova metodica quantitativa rapida in Fast PCR Real-time per il rilevamento e la quantificazione di Amflora (EH92-527-1, identificatore unico BPS25271-9). Un’altra innovazione nel presente lavoro è l’adozione di un sistema endogeno specie–specifico presente in singola copia nel genoma di patata, pertanto adatto ad analisi quantitative (9). RISULTATI E CONCLUSIONI: L’approccio iniziale era stato quello di ottimizzare in modalità Fast i sistemi endogeno UGPasi (UDP-glucosio pirofosforilasi) e target- specifico con i primers e sonda proposti da BASF (5,6,7). I risultati dell’ottimizzazione dei primers e della sonda per ciascun sistema sono mostrati in tab. 1. MATERIALI E METODI: Sono stati utilizzati sia materiali di riferimento certificati (MRC): farine di patata allo 0% e al 100% EH92527-1 (ERM), farine di mais e soia GM, DNA di cotone e di riso GM (AOCS), che tuberi di patata. ESTRAZIONE DEL DNA: Il DNA genomico è stato estratto utilizzando il DNeasy® MericonTM Food kit (Qiagen) il cui protocollo è stato modificato, inserendo un ulteriore passaggio per il legame del DNA alla colonnina, per incrementare la resa di estrazione (4). Gli estratti sono stati utilizzati tal quali, diluiti in acqua distillata sterile per la costruzione di curve di calibrazione, e/o miscelati allo scopo di ottenere livelli intermedi (0,1%; 1%; 10% EH92-527-1) per le prove quantitative. DISEGNO PRIMERS E PROBE: La specificità del sistema di targeting per il gene endogeno ST-LS1 (Solanum tuberosum gene with leaf/stem-specific expression, GenBank Acc. No. X04753) è stata ottenuta mediante l’algoritmo MegaBLAST disponibile su NCBI (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/) selezionando la porzione di sequenza del gene specifica di Solanum tuberosum che presenta bassa omologia solo con due specie vegetale di interesse (Solanum lycopersicum e Solanum pennellii). Il sistema evento specifico EH92-527-1 è stato disegnato sulla porzione di sequenza a cavallo tra il right border e il promotore Nos della cassetta (8). Utilizzando il software Primer Express 3.0 (Taqman MGB quantification) con i parametri di default è stato scelto per ciascun target Tab. 1 Ottimizzazione primers e sonda A parità di quantità di DNA bersaglio, è stata scelta la combinazione con il Ct medio e lo scarto tipo più bassi. Sebbene il sistema di primers e sonda dell’UGPasi funzioni in modo ottimale in modalità Fast e possa essere utilizzato nelle prove “qualitative” per testare l’amplificabilità del DNA estratto e la presenza della specie patata, i Ct ottenuti per tale sistema (tab.1) risultano notevolmente al di sotto del Ct atteso per un single copy gene. Come mostrato dai risultati dell’ottimizzazione in tab. 1, il Ct medio ottenuto per entrambi i sistemi (ST-LS1 e EH92-527-1) 99 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 è compreso tra il ciclo 22 e 23, mentre Il Ct medio ottenuto per il sistema UGPasi è notevolmente inferiore. Tali risultati suggeriscono che l’UGPasi è ripetuto nel genoma della patata. Tuttavia non conoscendo il numero di copie non è stato possibile determinare il LOD e il LOQ (analisi qualitative e quantitative) di tale sistema. Si è pertanto reso necessario ricorrere a un nuovo sistema endogeno specie-specifico (9), il gene ST-LS1, sulla cui sequenza è stato disegnato un sistema di detection basato su sonde TaqMan®. Allo stesso tempo, è stato disegnato un nuovo sistema EH92527-1-specifico basato sulla medesima chimica (6-Fam al 5’ e MGB-NFQ al 3’). I parametri ricavati dall’elaborazione statistica delle prove qualitative e quantitative per i due sistemi (endogeno ST-LS1 ed evento-specifico EH92-527-1) soddisfano i criteri di accettabilità (tab. 2) (10). BIBLIOGRAFIA: 1)Application for Authorisation of Amylopectin Potato AM04-1020 for Food and Feed Uses, Processing and Cultivation according to Regulation (EC) No 1829/2003. 2)Decisione 2010/135/UE. 3)Definition of Minimum Performance Requirements for Analytical Methods of GMO Testing -European Network of GMO Laboratories (ENGL) Version 13-10 2008 (http://gmo-crl. jrc.ec.europa.eu/guidancedocs.htm). 4)DNeasy® mericon Food Handbook- Qiagen Standard Protocol 2 g e 200 mg, 13-17. 5)Event-specific method for the quantification of event EH92527-1 potato using Real-time PCR- CRLVL09/05VP Community Reference laboratory for GM Food and Feed Protocol EH92527-1 potato. 6)Event-specific method for the quantification of event EH92527-1 potato using Real-time PCR- CRLVL09/05VR Community Reference laboratory for GM Food and Feed Validation Report EH92-527-1 potato. 7)GMO Detection Database Method, http://gmo-crl.jrc. ec.europa.eu/gmomethods/pcr/QT_ST_001.pdf 8)Hofvander P, Structure and DNA sequence of Insert and Flanking genomic region of Potato Event EH92-527-1 Amended Report BASF Plant Science GmbH (2005) 1-60. 9)Randhawa GJ and Singh M, Validation of ST-LS1 as an endogenous reference gene for detection of AmA1 and cry1ab genes in genetically modified potatoes using multiplex and real time PCR, Am J Potato Res (2009) 86:398-405. 10)Verification of analytical methods for GMO testing when implementing interlaboratory validated methods,ENGL 2011 (ISBN 978-92-79-19925-7). * Co-finanziato dal Fondo Sociale Europeo (FSE)-Programma Operativo Regionale (POR) Umbria FSE “Obiettivo Competitività Regionale e Occupazione” 2007-2013, dal titolo: “Patata biotech: sviluppo di metodi biomolecolari rapidi e innovativi per la tutela di prodotti alimentari tradizionali no OGM”. Tab. 2 Parametri di validazione in Fast PCR Real-time: qualitativa e quantitativa Il presente lavoro dimostra la validità delle metodiche qualitative e quantitative in Fast PCR Real-time basate sul sistema endogeno ST-LS1 applicate all’evento di Patata GM Amflora che, oltre ad essere sensibili e specifiche, presentano notevoli vantaggi legati alla riduzione dei tempi di risposta (dai 90-100 minuti dei metodi in standard, ai 35 minuti dei metodi in Fast) che si traducono, rispetto al metodo della BASF validato in Europa, in una riduzione dei costi legati all’operatore. Inoltre il protocollo di estrazione del DNA (dati di validazione non riportati) basato su kit commerciale (4) permette di ridurre notevolmente i tempi di esecuzione (da 4-6 ore dei protocolli in-house basati sul CTAB, a 2 ore) ed è risultato applicabile sia ai MRC che ad un’ampia gamma di matrici più o meno complesse (dal tubero di patata ai mangimi completi). In conclusione i risultati dimostrano che il sistema di targeting basato sul gene ST-LS1 può essere adottato come reference gene specie-specifico di patata ed in futuro applicato anche alla quantificazione di nuovi eventi di patata GM. 100 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 LA PROTEINA V DEL VIRUS LPMV (LA PIEDAD MICHOACAN MESSICO VIRUS) ANTAGONIZZA LA RISPOSTA DI TIPO I DELL’INTERFERONE LEGANDOSI ALLA PROTEINA STAT2 E PREVENENDONE LA TRASLOCAZIONE. Pisanelli G.*[1], Manicassamy B.[2], Laurent-rolle M.[2], Belicha-villanueva A.[2], Morrison J.[2], Iovane G.[3], Garcia-sastre A.[2] Keywords: La piedad michoacan mexico virus, interferon, STAT2 protein Dipartimanto di Patologia e Sanita animale, facoltà di Scienza biotecnologiche Università degli Studi Di Napoli Federico II ~ Napoli, [2] Department of Microbiology Mount Sinai School of Medicine New York ~ New York, [3] Dipartimanto di Patologia e Sanità Animale Facoltà di Madicina Veterinaria Università Degli Studi di Napoli Federico II ~ Napoli [1] SUMMARY: LPMV is the etiologic agent of “blue eye disease”, a disease endemic in Mexico, which mainly affects piglets and is characterized by meningoencephalitis and respiratory distress. The V protein, expressed by most Paramyxoviruses, evade the type I and type II IFN responses by targeting the signaling pathway. In this study we set out to determine if LPMV-V protein possesses IFN signaling antagonist activity, and to identify which signaling components if any are targeted by LPMV-V protein. We demonstrate that LPMV-V protein antagonizes type I but not type II IFN signaling by inhibiting STAT2. Our results indicate that the last 25 amino acids of LPMV-V protein bind endogenous STAT2 INTRODUZIONE: La Piedad Michoacan Messico Virus (LPMV) è un membro del genere rubulavirus all’interno della famiglia Paramyxoviridae. LPMV è l’agente eziologico della “malattia degli occhi blu”, una malattia endemica in Messico, che colpisce soprattutto i suinetti ed è caratterizzata da meningoencefalite e stress respiratorio (1, 2). La malattia si ripercuote anche nei suini adulti, provocando riduzione della fertilità e aborti nelle femmine,orchite ed epididimite nei maschi. la maggioranza dei virus della famiglia Paramixoviridae è in grado di eludere l’immunità innata mediata dall’ IFN di tipo I e di tipo II avendo come target principali i componenti del signaling pathway dell’ IFN. La proteina V, espressa dalla maggior parte dei Paramixovirus, è alla base di questa specifica attività antagonista del signaling pathway dell’IFN(3, 4). Fino ad ora, non ci sono dati che chiariscano il ruolo della proteina V del virus LPMV nell’inibire la risposta dell’ IFN. Così, in questo studio si è cercato di determinare se la proteina V possiede una attività antagonista del signaling pathway dell’IFN, e di individuare se e quali componenti del signaling pathway costituiscono il target della proteina V. I nostri risultati dimostrano che la proteina V antagonizza l’azione dell’IFN di tipo I, ma non l’azione dell’IFN di tipo II. In particolare inibisce il signaling pathway legandosi la proteina STAT2, un componente della cascata del signaling pathway dell’ IFN di tipo I. I nostri risultati indicano che gli ultimi 25 amminoacidi della proteina V sono importanti per il legame alla proteina STAT2 endogena, sia in presenza che in assenza di IFN, in cellule umane e di suino. Nonostante la proteina V non influenza i livelli delle proteine STAT1 e STAT2, tuttavia impedisce la fosforilazione di STAT1 e STAT2 risposte cellulari inibendo così la risposta mediata dell’ IFN di tipo I. MATERIALI E METODI: Le cellule utilizzate in questo lavoro, 293T, HeLa, PK-13 e PK-15 sono state coltivate in Dulbecco modified Eagle medium (Invitrogen) supplementato con 10% siero di vitello fetale (FCS), penicillina e streptomicina. Tutte le cellule sono state mantenute a 37 ° C in presenza di 5% CO2. Plasmidi: L’ORF della proteina V del virus Piedad Michoacan Mexico Virus, è stato amplificato con una RT-PCR partendo da RNA estratto dalle cellule infettate con il virus LPMV, e successivamente clonato nel plasmide pCAGGS, usando gli enzimi di restrizione XmaI e EcoriI, generando il plasmide, denominato pCAGGS-LPMV-V. Una versione del plasmide clonato, recante una sequenza HA è stato costruito inserendo una sequenza di emoagglutinina (HA), che codifica gli aminoacidi MYPYDVPDYA, a valle della proteina V, generando il plasmide, qui indicato come pCAGGS-LPMV-V-HA. Al fine di determinare le regioni di interazione tra LPMV-V e la proteina STAT2, sono stati generati tre vettori di espressione HA-tag recanti delezioni nella regione C-terminale, rispettivamente, di 25, 50 e 75 amminoacidi. Per valutare se la proteina V del virus LPMV fosse in grado di inibire la risposta dell’IFN di tipo I nel signaling pathway è stato effettuato un reporter assay transfettando cellule 293T con un plasmide recante il promotore dell’IRSE54 affiancato dal gene reporter firefly (pISRE54- firefly-luciferase) ed un plasmide esprimente il gene reporter renilla (pCAGGS-renilla-luciferase) insieme a plasmidi LPMV-V-HA, SV5-V-HA e NipahV-V-HA. 24 ore dopo la transfezione le cellule sono state trattate con IFN di tipo I. dopo 24 ore dal trattamento con IFN b le cellule sono state lisate con il buffer di lisi della kit promega dual luciferase reporter assay (cat no E2810) ed analizzate per valutare l’attività della luciferasi normalizzata con l’attività della renilla. Una simile strategia è stata utilizzata per valutare se la proteina V fosse in grado di inibire la risposta dell’IFN di tipo II mediante inattivazione del signaling pathway in quest caso utilizzando un gene reporter sotto il controllo delle sequenze GAS. L’analisi dell’espressione dei geni ISG15 ed MXA e stata effettuata mediante Real Time PCR. il test NDV-GFP e stato eseguito seguendo quanto descritto in letteratura. Per valutare se la proteina V fosse in grado di prevenire la traslocazione dal citoplasma al nucleo della proteina STAT2 è stato effetuato un esperimento di immunofluorescenza indiretta. L’analisi delle proteine è stata effettuata mediante western blot. L’analisi dell’interazione proteina-proteina è stata utilizzata utilizzando tecniche di co-immunoprecipitazione. RISULTATI E CONCLUSIONI: il saggio reporter luciferasi ISRE54 effettuato in cellule 293T mostra che la proteina V sopprime il signaling pathway dell’IFN di tipo I paragonabile alla proteina V- del virus Nipah e la proteina-V del virus SV5 utilizzati come controlli positivi. il GAS luciferasi reporter assay in cellule 293T mostra che LPMV V-proteina non ha la capacità di evadere la risposta di tipo II IFN. I risultati della qRT-PCR mostrano che l’espressione della proteina V ha portato i livelli di trascrizione ISG15 e MXA a 45 e 225 volte inferiore rispettivamente, paragonabili alle proteine NipahV-V e SV5-V proteine usate come controlli. La proteina V 101 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 è in inoltre in grado di recuperare la replicazione di NDV-GFP in presenza di IFN di tipo I in cellule PK-13. L’analisi mediante Western blot di lisati di cellule 293T, transfettate con i plasmidi di interesse, dimostrano che la proteina V (LPMV-V). L’analisi al microscopio confocale a scansione laser mostra che cellule trasfettate e poi trattate con IFN di tipo I si osserva una rilocalizzazione della proteina STAT2 dal citoplasma al nucleo. Questa traslocazione è preclusa quando le cellule sono state trasfettate con la proteina V del virus LPMV, che risulta essere paragonabile alla proteina V del virus Nipha usata come controllo. I risultati della coimmunoprecipitazione mostrano che la proteina V del virus LPMV interagisce con la proteina STAT2 a differenza della proteina V del virus nipah che si lega alle proteine STAT1 e STAT2 come dimostrato in letteratura. La co-immunoprecipitazione reciproca in cellule 293T con un anticorpo anti-STAT2 mostra che STAT2 lega la proteina-V. inoltre i test di Co-immunoprecipitazione sono stati ripetuti in cellule di origine suina PK-15. I risultati hanno confermato i dati ottenuti usando cellule umane (293T). In ulteriori esperimenti di co-immunoprecipitazione La proteina V si è dimostrata capace di legare anche la proteina STAT2 di topo mostrando una specificità per le proteine STAT2. Inoltre esperimenti di co-immunoprecipitazione mostrano che gli ultimi 25 amminoacidi della proteina V del Virus LPMV sono importanti per l’interazione con la proteina STAT2. Il saggio reporter luciferasi ISRE54 in cellule 293T mostra che le proteine recanti delezioni non sopprimono la ri- sposta dell’ IFN di tipo I in maniera paragonabile alla proteina V intera, utilizzata come controllo. In conclusione in questo studio abbiamo dimostrato che La proteina V, del virus LPMV mostra una attività anti INF di tipo I, bloccandone l’azione a livello del signaling pathway utilizzando come target specifico la proteina STAT2 proveniente da differenti specie animali mostrando allo stesso tempo specificità e plasticità. BIBLIOGRAFIA: 1. H. Ramıìrez-Mendoza, P. HernándezJáuregui, J. Reyes-Leyva, E. Zenteno, J. Moreno-López and S. Kennedy, Lesions in the reproductive tract of boars experimentally infected with porcine rubulavirus. J Comp Pathol, 117 (1996), p. 237. 2. Moreno-Lopez, J., Correa-Giron, P., Martinez, A. & Ericson, A. (1986). Characterization of a paramyxovirus isolated from the brain of a piglet in Mexico. Archives of Virology 91, 221-231. 3. Rodriguez, J. J., J. P. Parisien, and C. M. Horvath. 2002. Nipah virus V protein evades alpha and gamma interferons by preventing STAT1 and STAT2 activation and nuclear accumulation. J. Virol. 76:11476–11483. 4. Didcock, L., D. F. Young, S. Goodbourn, and R. E. Randall. 1999. The V protein of simian virus 5 inhibits interferon signalling by targeting STAT1 for proteasome-mediated degradation. J. Virol. 73:9928–9933. 102 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 CEPPI DEL VIRUS DELLA WEST NILE APPARTENENTI AL LINEAGE 2 ISOLATI IN UCCELLI SELVATICI IN SARDEGNA Savini G.*[1], Puggioni G.[2], Di Gennaro A.P.[1], Rossi R.[2], Di Francesco G.[1], Rocchigiani A.M.[2], Polci A.[1], Marini V.[1], Pinoni C.[1], Arru D.[2], Rolesu S.[2], Lorusso A.[1], Monaco F.[1] Keywords: West Nile Virus, Lineage 2, Wild Birds IZS G. Caporale ~ Teramo, [2]IZS Sardegna ~ Sassari [1] SUMMARY: Strains of West Nile viruses (WNV) belonging to lineage 2 were detected for the first time in a northern goshawk and two carrion crows in Sardinia. They were successfully propagated in cell culture systems. WNV particles were also visualized by immunohistochemistry in the brain of suckling mice infected with the goshawk brain homogenate. According to NS3 sequence analysis, the newly Sardinian isolates share high level of similarity with those of the 2011 Nord-Eastearn Italian isolates and the 2004 Hungarian isolate. INTRODUZIONE: Il virus della West Nile (WNV) e’ un virus ad RNA della famiglia Flaviviridae, genere Flavivirus. Il ciclo biologico in natura si perpetua attraverso la trasmissione tra le zanzare dei generi Culex, Aedes e Ochlerotatus che rappresentano i vettori e gli uccelli siano essi stanziali o migratori, selvatici e non che in genere ricoprono il ruolo di serbatoio ed amplificatore dell’infezione. Il cavallo e l’uomo possono infettarsi ma non sono in grado di trasmettere l’infezione. Sebbene il più delle volte l’infezione da WNV decorre in forma asintomatica, in alcuni casi può determinare forme cliniche anche letali. Del virus della West Nile sono stati descritti 8 lineages, di questi, i ceppi dei lineage 1 e 2 sono quelli piu’ diffusi. Storicamente, i due lineage hanno circolato in aree geografiche distinte: mentre il primo è stato isolato in Europa, Nord America, Nord Africa e Australia, il secondo, è stato isolato solo a Sud del continente Africano ed in Madagascar. Nel 2004, ceppi appartenenti al lineage 2 sono stati rilevati per la prima volta in Europa, in Ungheria e quindi nel biennio 2008-2009 in Austria. Dal 2010 stipiti di lineage 2 sono responsabili in Grecia di una grave epidemia di WND con numerosi casi umani talvolta letali. In Italia il lineage 2 è stato rilevato per la prima volta lo scorso anno in un paziente ricoverato all’ospedale di Ancona. Un caso ad esito mortale attribuito ad infezione da ceppo di lineage 2 è state inoltre segnalato ad Olbia nel 2011. Sempre lo scorso anno del ceppi di lineage 2 sono stati rilevati in zanzare catturate in provincia di Udine e negli organi di una tortora in provincia Treviso (1). Nel presente studio è descritto l’ isolamento e la analisi genomica di 3 stipiti di lineage 2 rilevati nell’Agosto 2012 in organi di due cornacchie (Corvus corone corone) ed un astore (Accipiter gentilis) originari delle provincie sarde rispettivamente di Olbia-Tempio, Medio/Campidano e Oristano. MATERIALI E METODI: Nell’ambito del piano nazionale di sorveglianza per WNV nella regionale Sardegna in accordo con quanto scritto nel provvedimento (Ordinanza 4 agosto 2011 «Norme sanitarie in materia di encefalomielite equina di tipo West Nile (West Nile Disease) e attivita’ di sorveglianza sul territorio nazionale». Modifica Allegato A «Procedure operative di intervento e flussi informativi nell’ambito del Piano di sorveglianza nazionale per l’encefalomielite di tipo West Nile - Anno 2012») del 13 luglio e pubblicato sulla GU del 10 settembre, che prevede la ricerca del WNV su tessuti di uccelli rinvenuti morti o abbattuti nell’ambito del piano di abbattimento controlla- to predisposto ed attuato dalla regione Sardegna, stipiti di WNV appartenenti al lineage 2 sono stati rilevati nei tessuti di due cornacchie ed un astore. La prima cornacchia (NRG19882) e’ stata abbattuta nei pressi di Olbia (OT) il 6 Agosto del 2012 mentre la seconda cornacchia (NRG20171) presso Sardara (VS) due giorni dopo. L’astore (NRG20168) e’ stato rinvenuto ad Usellus (OR) il 10 Agosto in gravi condizioni e portato presso un centro di recupero dove e’ morto poche ore dopo. Nessuno dei tre uccelli presentava sintomatologia nervosa. Nei laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale (IZS) della Sardegna e’ stata eseguita un’accurata necroscopia e sono stati campionati di porzioni di cervello, rene, milza e cuore. In una prima fase i tessuti sono stati esaminati per la presenza di WNV mediante il saggio di real time RT-PCR in accordo con quanto descritto da Eiden et al.(2). La real time sviluppata da Eiden et al. è una metocidica in grado di rilevare la presenza di ceppi appartenenti ai lineages 1 e 2. I campioni sono stati successivamente inviati all’Istituto G. Caporale di Teramo (ICT), laboratorio di riferimento OIE e Centro di Referenza Nazionale per la WND. Nei laboratori dell’ICT i campioni sono stati testati mediante una real time RT-PCR specifica per il lineage 1 (3) e una nested RT-PCR specifica per il lineage 2 (4). Dai tessuti è stato anche tentato l’isolamento virale classico mediante l’inoculo di C6/36 (Aedes albopictus) e cellule VERO (5). Inoltre, 50-100 µl del surnatante di omogenato di cervello dell’astore (NRG20168) sono stati inoculati per via intracerebrale in 16 topini neonati. Dopo sei giorni i topini hanno mostrato sintomatologia nervosa e sono stati sacrificati. Da ogni topino è stato prelevato il cervello che è stato quindi processato con metodiche immunoistochimiche (6) per rilevare la presenza di WNV. I prodotti di amplificazione ottenuti dai campioni esaminati mediante nested-PCR sono stati sequenziati. Le sequenze ottenute (frammento di 423 pb del gene che codifica per la NS3) sono state allineate con Seqman (DNAStar) con sequenze di riferimento disponibili in GenBank e convertite in sequenze proteiche. RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati ottenuti sono riassunti nella Tabella 1. L’esito positivo della RT-PCR effettuata presso l’IZS di Sassari, ha messo in moto precise procedure che hanno portato, in brevissimo tempo, alla conferma, identificazione e caratterizzazione genomica dei ceppi rilevati da parte dei laboratori dell’ICT. Le procedure diagnostiche messe in atto hanno permesso di confermare la presenza di ceppi di WNV appartenenti al lineage 2. Nel 2011 la Sardegna è stata colpita da una grave epidemia di WND che ha causato forme cliniche nei cavalli e nell’uomo. A parte il caso di Olbia, tutte le altre infezioni segnalate e diagnosticate sono state causate da ceppi appartenenti al lineage 1. Il caso di Olbia è stato l’unico caso associato ad infezione da ceppo di lineage 2. Queste prime osservazioni del 2012 confermano la presenza del lineage 2 in provincia di Olbia e testimoniano una rapida diffusione in tutto il territorio regionale del lineage 2. Il rilevamento in provincia di Olbia potrebbe inoltre far supporre che il ceppo entrato alla fine 103 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 della stagione scorsa si sia stabilito superando il periodo invernale e abbia ripreso a circolare all’inizio dell’attuale stagione. L’analisi genetica delle sequenze parziali della NS3 indica un elevato grado di similarità con le omologhe sequenze dei ceppi rilevati nel 2011 in Friuli e Veneto e con quelle dei ceppi isolati in Ungheria nel 2004 suggerendo una possibile origine comune di questi ceppi. In altre parole, i dati ottenuti in questo esercizio diagnostico indicherebbero un’origine comune tra i ceppi ungheresi ed italiani e una loro diffusione avvenuta con ogni probabilità attraverso gli uccelli migratori a corto raggio. Quando convertite in sequenze aminoacidiche, le sequenze proteiche ottenute evidenziano mutazioni missenso con sostituzione di un aminoacido nella sequenza proteica. Nei ceppi rilevati nella cornacchia e nell’astore l’acido glutammico (Q) è sostituito con un residuo di istidina (H) in posizione 245. Tutti i topini ino- culati hanno evidenziato sintomatologia nervosa al 5° giorno post inoculo. Abbondanti quantità di antigene virale sono state osservate nella quasi totalità dei neuroni, in particolar modo in quelli residenti nella corteccia cerebrale e nel cervelletto. L’immunoreattività per WNV è risultata tipicamente citoplasmatica e spesso d’aspetto granulare. Il presente lavoro conferma che il lineage 2 circola in Italia. E’ importante sottolineare che i due lineage di WNV (e verosimilmente anche USUV) circolino insieme nelle stessa aree geografiche consentendo potenzialmente fenomeni di ricombinazione che potrebbero influenzare epidemiologia, diagnosi, patogenesi e trasmissione di questi flavivirus. Nell’ottica della iniziativa One Word, One Health, la efficiente collaborazione di piu figure professionali e’ alla base per la prevenzione, studio e contenimento di importanti zoonosi. Risultati delle procedure molecolari adottate sui campioni dello studio. H, isitidina, Q acido glutammico. ND, non disponibile. Ct, ciclo threshold; CMR, cuore-milza-rene. BIBLIOGRAFIA: 1.Savini G, et al (2011). Evidence of West Nile virus lineage 2 circulation in Northern Italy. Vet Microb, 158: 267-273. 2.Eiden M, et al (2010). Two new real-time quantitative reverse transcription polymerase chain reaction assays with unique target sites for the specific and sensitive detection of lineages 1 and 2 West Nile virus strains. J Vet Diagn Invest, 22:748-753. 3.Lanciotti RS, et al (2000). Rapid detection of west nile virus from human clinical specimens, field-collected mosquitoes, and avian samples by a TaqMan reverse transcriptase-PCR assay. J ClinMicrob, 38: 4066-4071. 4.Chaskopoulou A, et al (2011). Evidence of enzootic circulation of West Nile virus (Nea Santa-Greece-2010, lineage 2), Greece, May to July 2011. Euro Surveill 16 pii: 19933. 5.Office International des Epizooties (OIE), 2008: Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals, OIE. Standards Commission (Eds), 6th edn. 6.Marruchella G, et al (2012). Infezione da virus West Nile: protocolli immunoistochimici a confronto nel modello murino. SIDILV 2012, Sorrento, Ottobre 2012. 104 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 INDAGINI VIROLOGICHE NEI CHIROTTERI IN NORD ITALIA Lelli D.*[1], Boniotti M.B.[1], Moreno A.[1], Lavazza A.[1], Papetti A.[1], Canelli E.[1], Bonilauri P.[1], Cordioli P.[1] Keywords: bats , viruses, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna - IZSLER ~ Brescia [1] SUMMARY: We investigated the circulation ofviruses in Italian bats. The survey was mainly targeted on the detection of lyssaviruses, coronaviruses and arboviruses but it was also addressed to searching for other, likely new, unknown or emergingviruses associated with bats. In total 112 carcasses and 44 faecal samples were analyzed. All samples resulted negative for arboviruses and lyssaviruses. Coronaviruses were found in 12 samples by RT-PCR. Ninenteen viral strains isolated in cell coltures were identified as Mammalian orthoreoviruses by electron microscopy and RT-PCR. INTRODUZIONE: Recentemente l’interesse per i chirotteri è aumentato notevolmente non solo per il ruolo fondamentale che rivestono per la salute degli ecosistemi e per il mantenimento della biodiversità, ma anche perché sono stati riconosciuti come importanti ospiti e reservoir di virus emergenti. Un numero cospicuo di nuovi virus o nuove varianti virali sono state isolate o identificate negli ultimi anni proprio nei pipistrelli, ma il loro coinvolgimento nel mantenimento e nella diffusione delle infezioni virali non è ancora chiaro. Lo studio di questi aspetti nei chirotteri è complicato dalla difficoltà nel reperire campioni idonei per gli esami virologici a causa delle loro abitudini notturne, dei rifugi poco accessibili e dalla difficile determinazione delle specie (1). Inoltre, la scelta del protocollo diagnostico da applicare ai campioni raccolti risulta difficoltosa a causa dell’enorme varietà di virus riportati in queste specie dalla bibliografia internazionale e dalla quasi assenza di studi simili in Italia. Questa indagine, finalizzata ad approfondire gli aspetti legati al ruolo dei chirotteri come reservoir di agenti virali, riporta i risultati di una indagine virologica condotta su pipistrelli in Nord Italia. A tale scopo è stato applicato un protocollo diagnostico basato sia su tecniche di biologia molecolare che di virologia classica rivolto principalmente alla ricerca di lyssaviruses, coronaviruses (CoVs) e arboviruses (arthropod-borneviruses), ma anche alla identificazione di virus appartenenti a generi non precedentemente sospettati, potenzialmente zoonosici o causa di malattia negli stessi pipistrelli. MATERIALI E METODI: Sono stati conferiti al Laboratorio di Virologia 112 carcasse di pipistrello rinvenuti morti e 44 campioni fecali. I campioni sono stati raccolti in Nord Italia, principalmente nel territorio di competenza dell’IZSLER, presso Centri Recupero Animali Selvatici (CRAS) o siti di rifugio conosciuti. I campioni di feci sono stati immediatamente processati per i successivi esami virologici. Le carcasse di pipistrello sono state sottoposte ad esame necroscopico nel corso del quale è stato eseguito il prelievo dei seguenti campioni: - encefalo; - pacchetto intestinale; - pool di visceri costituito da polmone, cuore, milza e fegato. Nella Tabella 1 è riportato l’elenco dei campioni esaminati suddivisi per specie. La ricerca di lyssaviruses è stata effettuata sui campioni di cervello allo scopo di escluderne la presenza prima di effettuare ulteriori analisi tramite immunofluorescenza. I campioni di feci e i campioni d’organo sono stati estratti in MEM antibiotato ed inoculati su monostrati cellulari Vero e Marc 145, quindi incubati a 37°C. Trascorsi 7 giorni, in assenza di effetto citopatico (ECP), il criolisato è stato reinoculato in monostrati freschi. Sono stati eseguiti in totale 3 passaggi. I campioni di visceri e di feci ed i sovranatanti delle colture cellulari con ECP sono stati analizzati mediante osservazione in Microscopia Elettronica (ME) incolorazione negativa previa ultracentrifugazione con Airfuge Backman. Per la ricerca simultanea di arboviruses, sono state utilizzate tre PCR di screening per il rilevamento di virus appartenenti ai generi Flavivirus, Alfavirus ed Orthobunyavirus (2, 3, 4). Per il rilevamento di CoVs è stata messa a punto una PCR pan-coronavirus disegnando primers degenerati che hanno come target un frammetto di 180 bp del gene della RNA polimerasi RNA dipendente (RdRp). L’amplificazione di un secondo frammento di 440 bp dello stesso gene è stata eseguita solo sui campioni positivi. Le sequenze ottenute sono state analizzate in BLAST e confrontate con quelle dei ceppi di riferimento ottenuti in GenBank. Gli alberi filogenetici sono stati costruiti con il programma MEGA 5.0 utilizzando il metodo della massima parsimonia. RISULTATI E CONCLUSIONI: L’esame necroscopico ha evidenziato, in numerosi soggetti, disidratazione e lesioni di tipo traumatico quali lacerazione del patagio, fratture ossee, emotorace ed emoperitoneo. Gli esami di laboratorio per la ricerca di lyssaviruses ed arboviruses hanno dato sempre esito negativo. Dodici campioni sono risultati positivi per CoVs, 9 da Pipistrellus Khulii (specie maggiormente rappresentata nello studio) uno da Hypsugo savii, uno da Nyctalus noctula e uno da un campione di cui la specie non è stata identificata. I prodotti della PCR sono stati sequenziati ed è stato costruito il relativo albero filogenetico (Figura 1). Delle 11 sequenze ottenute, 9 clasterizzano nel gruppo dei Betacoronavirus, sottogruppo C presentando elevata omologia con i due ceppi identificati in Spagna nel 2007 in Hypsugo savii e Eptesicus isabellinus. Le restanti due sequenze si localizzano all’interno del gruppo degli Alphacoronavirus e presentano la più elevata omologia con due virus identificati P. khulii e P. pipistrellus nel 2007 e 2008 in Spagna. Gli esami eseguiti in coltura cellulare hanno permesso di isolare 19 ceppi virali riferibili, tramite ME, a Reovirus. I successivi esami in PCR hanno confermato il risultato della ME identificando tutti gli isolati come Mammalian Orthoreovirus (MRV). Di questi 16 sono stati identificati come MRV tipo 3 mentre per 3 ceppi non è stato possibile individuare il sierotipo tramite Multiplex RT-PCR (6). La caratterizzazione molecolare de- 105 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 gli isolati è stata eseguita attraverso il sequenziamento parziale del gene L1 (416 bp) e completo del gene S1 (1416 bp). Gli alberi filogenetici sono riportati in figura 2 e 3. Nella tabella 2 è riportato l’elenco dei campioni positivi per MRV con l’indicazione della tipologia di campione, della specie e del numero di accesso Genbank assegnato alle sequenze. L’albero filogenetico del gene L1 mostra che 13 dei 19 MRV isolati formano un cluster omogeneo distinto, 4 ceppi formano un cluster insieme all’unica altra sequenza da pipistrello presente in Genbank recentemente identificata in Germania (7) ed i restanti 2 isolati si collocano in un ulteriore cluster insieme ad un virus isolato nel cane in Italia (8) e ad un ceppo suino individuato in Cina. Nell’albero filogenetico per il gene S1, tutti gli isolati di questo studio si collocano, secondo una precedente classificazione (9), all’interno del lineage 3 insieme al ceppo tedesco da pipistrello, al ceppo italiano di cane e a virus bovini e murini isolati negli anni 60’. Considerando la difficoltà nel valutare macroscopicamente le lesioni a carico degli organi interni, per via del congelamento e delle ridotte dimensioni degli animali, non è stato possibile stabilire una relazione causa-effetto tra morte dell’animale ed infezione virale. Una precedente indagine condotta in Italia riporta l’identificazione di BetaCov in Rhinolophus ferrumequinum (9). In questo studio AlphaCoV, BetaCoV e MRV sono stati identificati in differenti specie di pipistrelli a testimonianza che questi virus sono diffusi nei pipistrelli italiani. BIBLIOGRAFIA: 1. Calisher CH, Childs JE, Field HE, Holmes KV, Schountz T. 2006. Bats: important reservoir hosts of emergingviruses. Clin Microbiol Rev, 19:531-45. 2. Scaramozzino N, Crance JM, Jouan A, DeBriel DA, Stoll F, Garin D. 2001. Comparison of flavivirus universal primer pairs and development of a rapid, highly sensitive heminested reverse transcription-PCR assay for detection of flaviviruses targeted to a conserved region of the NS5 gene sequences. J Clin Microbiol, 39:1922-7. 3. Pfeffer M, Proebster B, Kinney RM, Kaaden .R. 1997. Genusspecific detection of alphaviruses by a semi-nested reverse transcription-polymerase chain reaction. Am J Trop Med Hyg, 57:709-18. 4. Kuno G, Mitchell CJ, Chang GJ, Smith GC. 1996. Detecting bunyaviruses of the Bunyamwera and California serogroups by a PCR technique. J Clin Microbiol, 3:1184–1188. 5. Lelli D, Moreno A, Lavazza A, Bresaola M, Canelli E, Boniotti MB, Cordioli P. 2012. Identification of Mammalian Orthoreo- virus Type 3 in Italian Bats. Zoon Publ Health, 2012 Aug 30. doi: 10.1111/zph.12001. Epub ahead of print. 6. Kohl C, Lesnik R, Brinkmann A, Ebinger A, Radonić A, Nitsche A, Mühldorfer K, Wibbelt G, Kurth A. 2012. Isolation and characterization of three Mammalian orthoreoviruses from European bats. PLoS One. 7:e43106. 7. Decaro N, Campolo M, Desario C, Ricci D, Camero M, Loirusso E, Elia G, Lavazza A, Martella V, Buonavoglia C. 2005. Virological and molecular characterization of a mammalian orthoreovirus type 3 strain isolated from a dog in Italy. Vet Microbiol, 109:19-27. 8. Kwon, HJ, Kim HH, Kim HH, Park JK, Son KY, Jung J, Lee WS, Cho KO, S. Park SJ, Kang MI. 2012: Detection and molecular characterization of porcine type 3 orthoreoviruses circulating in South Korea. Vet Microbiol 157:456-463. 9. Balboni A, Palladini A, Bogliani G, Battilani M. Detection of a virus related to betacoronaviruses in Italian greater horseshoe bats. 2011. Epidemiol Infect. 139:216-9. 106 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 107 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 SCHMALLENBERG VIRUS AS A PARADIGM OF THE EMERGENCE OF NEW VIRUSES Van Der Poel W.H.M.[1] Keywords: Schmallenberg virus, epizootic, sheep Central Veterinary Institute of Wageningen University and Research Centre, Lelystad, The Netherlands Centre, Lelystad, The Netherlands [1] Schmallenberg virus was discovered in November 2011, and named after the village in Germany where it was first detected in blood samples from a dairy herd (1). The provisionally named “Schmallenberg virus” is an enveloped, negative-sense, segmented, single-stranded RNA virus. It belongs to the Bunyaviridae family, within the Orthobunyavirus genus. Schmallenberg virus is related to the Simbu serogroup viruses, which also includes ruminant viruses like Shamonda, Akabane, Sathuperi, Douglas and Aino virus. Based on what is already known about the genetically related Simbu serogroup viruses, Schmallenberg virus affects domestic ruminants. At its first occurrence in dairy cattle in both Germany and The Netherlands Schmallenberg virus infections presented with fever and reduced milk yield, in the Netherlands also severe diarrhoea (2). In early December 2011, congenital malformations were reported in new-born lambs in the Netherlands, and Schmallenberg virus was detected in and isolated from the brain tissue. Thereafter the virus was also detected in malformed calves and goat kids.Gross pathology in malformed animals and stillbirths (calves, lambs, kids) included arthrogryposis, hydrocephaly, brachygnathia inferior, ankylosis, torticollis, scoliosis, hydranencephaly, hypoplasia of the central nervous system, porencephaly and subcutaneous oedema (3). The symptoms can be summarised as arthrogryposis and hydranencephaly syndrome (AHS). The spatial and temporal distribution suggests that the disease is first transmitted by insect vectors, in particular culicoides spp and then vertically in utero. The detection of SBV in midges (culicoides spp) in several countries supports this assumption. The emergence of Schmallenberg virus in Europe resulted in a rapid increase of malformations in new borne lambs and later on calves. In spring 2012 the numbers of cases started to decrease, first in sheep and then in cattle. By May 2012 Schmallenberg virus had affected farms in at least 8 countries in Western Europe, and although the epidemic curve seemed to come to an end by May 2012 a further spread over Europe still is likely (4). Schmallenberg virus clearly causes severe disease in ruminants and as a result economic losses which may be enhanced by trade restrictions. As the family of Bunyaviridae contains several important zoonoses, studies were performed to elucidate its zoonotic potential. In a rapid risk assessment in Dec 2011 it was concluded that human infections were unlikely but could not be excluded. Therefore both in the Netherlands and Germany serosurveys in the human population were performed. In the Netherlands 301 persons exposed to SBV, farmers and veterinarians, were tested and in North Rhine-Westphalia 60 cattle and sheep farmers were tested. None of the tested individuals showed antibody to SBV and it was concluded that there is no evidence for zoonotic infection (5). The “Schmallenberg virus experience” again has shown that the introduction of a completely new virus on the continent can encompass an important threat to animal health and public health. Moreover, continued changes in human and animal demography, coupled with environmental changes and changes within a virus itself make it likely that the trend for increased viral disease emergence will continue. Strategies to improve veterinary and public health protection with regard to emerging viruses have focused towards improved surveillance. Improved detection of viruses in reservoirs, early disease outbreak detection, or broadly based research to clarify important factors that favour (re-)emergence. In order to recognize and combat viral diseases, it is pivotal to understand the epidemiology of these infections. We need to know the virus, its vertebrate hosts and the methods of transmission between these hosts. This should be coupled with knowledge of spatio-temporal disease patterns together with changes over time. Together, these can be used to build a picture of the dynamic processes involved in virus transmission that can be used to account for observed disease patterns and ultimately to forecast spread and establishment into new areas.Longitudinal veterinary surveillance should include food producing animals as well as wildlife and also insect vectors should be considered. A main goal of infectious disease surveillance is the early detection of new emerging viruses. For this we will primarily be dependant of clinicians and laboratories testing field samples from potential reservoirs. Case reports will have to be generated and combined to early detect new emerging viruses. Electronic systems, preferably web-based, could be very helpful to achieve this. In addition, improved detection may also be achieved through use of syndromic approaches. Syndromic surveillance, which collects non-specific syndromes before diagnosis, has great advantages in promoting the early detection of new emerging diseases before disease confirmation. By combining syndromic surveillance with case report surveillance in online reporting systems, a sensitive early detection system for new emerging diseases could be build. Novel molecular methods, for example DNA microarrays and whole genome approaches offer unprecedented opportunities for rapid detection but these require significant optimisation and validation before they can be deployed broadly. Also due to costs limitations, the rapid detection of a new virus will only be feasible by employing the different molecular techniques, including microarray, (RT)-PCR and whole genome sequencing, in a sensible combination. By applying molecular approaches, positive detections of a lot of different viruses in a lot of different samples have been performed. However, it is much more difficult to proof causation. The agent should be present at high concentrations and seroconversion should be demonstrated. Confidence in a causal relationship between a candidate pathogen and a disease is enhanced by fulfilment of Kochs’ Postulates (i.e. demonstration of the presence of an agent in all cases of a disease and not in the absence of disease, replication of disease following ex vivo cultivation and introduction into a naïve host); however, this will not always be feasible. Apart from the fact that this can be extremely time-consuming, some viruses cannot be cultured and experimental infection can be extremely difficult. Prompt detection and instigation of control measures such as vaccination are crucial to prevent spread. Cloned antigens or attenuated vaccines can be modified into the appropriate antigenic 108 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 forms and in the case of arboviruses, approaches targeting replication in the arthropod vector, or the vectors themselves, may offer substantial benefit for control. However, the development of a safe and efficacious vaccine including its registration for use is very time-consuming. Moreover history has learned that it is extremely difficult to swiftly design a new reactive vaccination strategy, which means that in the first phase of every new epidemic we will have to rely on biocontainment and biosecurity measurements. National and International cooperation can be helpful to early identify new viruses and will be needed to develop innovative and rapid control strategies to combat emerging diseases. Therefore this should be stimulated as much as possible. Knowledge exchange and research networking should become a commonplace. In addition the One Health approach, involving inclusive collaborations between physicians, veterinarians and other health and environmental professionals, will be more and more important to combat emerging viral disease outbreaks. National authorities as well as international organisations like WHO, OIE, FAO and also ECDC therefore should actively support such cooperative initiatives to achieve an optimal response to new epizootics in Europe. BIBLIOGRAFIA: 1. Hoffmann B, Scheuch M, Höper D, Jungblut R, Holsteg M, Schirrmeier H, Eschbaumer M, Goller KV, Wernike K, Fischer M, Breithaupt A, Mettenleiter TC, Beer M (2012) Novel orthobunyavirus in Cattle, Europe, 2011. Emerg Infect Dis. 18: 469-472. 2. Muskens J, Smolenaars AJ, van der Poel WH, Mars MH, van Wuijckhuise L, Holzhauer M, van Weering H, Kock P (2012) Diarrhea and loss of production on Dutch dairy farms caused by the Schmallenberg virus. Tijdschr Diergeneeskd. 137:112-115. 3. Van den Brom R, Luttikholt SJ, Lievaart-Peterson K, Peperkamp NH, Mars MH, van der Poel WH, Vellema P (2012) Epizootic of ovine congenital malformations associated with Schmallenberg virus infection. Tijdschr Diergeneeskd. 137:106111. 4. Armin R.W. Elbers , Willie L.A. Loeffen, Sjaak Quak, Els de Boer-Luijtze, Arco N. van der Spek, Ruth Bouwstra, Riks Maas, Marcel A.H. Spierenburg, Eric P. de Kluijver, Gerdien van Schaik, Wim H.M. van der Poel (2012) Seroprevalence of Schmallenberg Virus Antibodies among Dairy Cattle, the Netherlands, Winter 2011–2012. Emerging Infectious Diseases 18:.. 5. Chantal Reusken, Cees van den Wijngaard, Paul van Beek, Martin Beer, Gert-Jan Godeke, Leslie Isken, Hans van den Kerkhof, Wilfrid van Pelt , Wim van der Poel, Johan Reimerink, Peter Schielen, Jonas Schmidt-Chanasit, Piet Vellema, Ankje de Vries, Inge Wouters and Marion Koopmans (2012) Public health response to an emerging arbovirus: the case of Schmallenberg virus (submitted for publication). 109 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ASSOCIAZIONE TRA POLIMORFISMI DEL GENE MHCIIB E RESISTENZA ALLA LATTOCOCCOSI NELLA TROTA IRIDEA (ONCORHYNCHUS MYKISS): RISULTATI PRELIMINARI Colussi S.*[1], Bertuzzi S.[1], Maniaci M.G.[1], Peletto S.[1], Modesto P.[1], Riina M.V.[1], Scanzio T.[1], Prearo M.[1], Acutis P.L.[1] Keywords: Lactococcosis, genetic resistance , rainbow trout Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino [1] SUMMARY: Genes within the major histocompatibility complex (MHC) are important for both innate and adaptative immunity in mammals; however, less is known regarding their contribution in teleost fish. We examined the involvement of MHCIIB gene in resistance to Lactococcus garvieae, the causative agent of lactococcosis, after rainbow trout exposure to naturally contaminated water. One haplotype was found only in surviving fish, confirming the role of MHCIIB in resistance to lactococcosis. Markers related to resistance could be used for molecular marker-assisted selective breeding in rainbow trout. INTRODUZIONE: La lattococcosi della trota (Oncorhynchus mykiss) è una streptococcosi di acqua calda, sostenuta da Lactococcus garvieae, che determina l’insorgenza di una patologia a carattere iperacuto-acuto di notevole impatto economico per la troticoltura. Al momento l’unica strategia di controllo della malattia è la profilassi mediante utilizzo di vaccini stabulogeni, da preferire al trattamento terapeutico che determina una rilevante immissione di antibiotici nell’ambiente incrementando così l’insorgenza di ceppi antibiotico resistenti. In alcune specie ittiche è stato individuato un coinvolgimento nella resistenza a patologie batteriche, quali aeromonosi e vibriosi, dei polimorfismi del gene MHCIIB, codificante per la catena beta delle molecole del sistema maggiore di istocompatibilità (MHC) di classe II (1, 5). Nella trota è stata descritta la sequenza genica di MHCIIB, ma ad oggi non è stata riportata alcuna indagine relativa al possibile coinvolgimento di questo locus nella modulazione della resistenza alla lattococcosi. Lo scopo del presente lavoro è stato pertanto studiare l’eventuale associazione dei polimorfismi rilevati nel gene MHCIIB con la resistenza alla malattia, effettuando uno studio caso-controllo basato su soggetti deceduti e sopravvissuti a seguito di esposizione ad acque naturalmente contaminate dal batterio. MATERIALI E METODI: 500 esemplari di trota iridea sono stati messi a dimora nel mese di luglio in tre vasche distinte; le vasche sono state alimentate con acqua superficiale proveniente dalla stessa fonte idrica che alimenta l’allevamento che ha ospitato la prova, con un flusso costante di circa 40 l/s; la temperatura per l’intero periodo estivo ha oscillato tra i 17°C e i 22°C, range ideale per lo sviluppo di L. garviae. Casi sono stati considerati i soggetti deceduti nel corso del periodo di esposizione naturale (luglio-ottobre), presentanti sintomatologia specifica, risultati positivi ad esame colturale per L. garvieae mediante prelievo dal rene (primo isolamento e isolamento su terreno selettivo Bile Esculin Agar e Slanetz Agar) e a seguito di caratterizzazione fenotipica e bio-molecolare del ceppo isolato (gallerie API 20 STREP, API ZYM, API 50 CH; PCR specie specifica). Controlli sono stati invece considerati i soggetti sopravvissuti all’infezione. Per l’analisi genetica, da ciascun soggetto deceduto e dai soggetti sopravvissuti all’infezione, è stato effettuato il prelievo della pinna adiposa sottoposta a congelamento –20°C: il DNA è stato estratto mediante il kit Pure LinkTM Genomic DNA Mini Kit (Invitrogen). È stato analizzato un frammento di 300 pb dell’esone II del gene MHCIIB codificante per il dominio ipervariabile ß1, dominio preposto all’interazione con l’antigene. I primer utilizzati sono stati descritti da Miller (2). La reazione PCR è stata condotta su un volume pari a 25 μl utilizzando Platinum® qPCR Supermix-UDG (Invitrogen) a cui sono stati aggiunti 300 nM di ciascun primer descritto e circa 50 ng di DNA. È stato utilizzato il seguente profilo termico: 50°C per 2’ e 95°C per 2’ seguiti da 35 cicli 94°C per 30”, 55°C per 1’, 72°C per 1’ ed estensione finale a 72°C di 7’. Si è successivamente proceduto al sequenziamento mediante l’utilizzo degli stessi primer di PCR e la chimica BigDye 1.1 (Applied Biosystems) utilizzando il sequenziatore 3130 (Applied Biosystems). L’allineamento delle sequenze è stato effettuato mediante il Software SeqMan (Lasergene). Per ciascun polimorfismo è stato calcolato l’equilibrio di Hardy-Weinberg; la definizione degli aplotipi ed il permutation test sono stati effettuati con il software PHASE v.2.1 (3, 4). Il test Chi-Quadro è stato eseguito con il software Epi6. Sono stati inoltre ricercati polimorfismi eventualmente presenti in motivi regolatori collocati a livello degli esoni, chiamati ESE (Esonic Splicing Enhancer) mediante Rescue-ESE Web Server. Lo studio della popolazione totale dei soggetti deceduti e sopravvissuti è al momento in corso, l’analisi qui presentata è relativa ad una sottopopolazione costituita da 39 campioni casuali appartenenti ai casi e 39 controlli ed i risultati ottenuti sono pertanto da ritenersi preliminari. RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono state identificate 38 sostituzioni nucleotidiche, 4 delle quali sinonime e 34 non sinonime; 35 siti di mutazione sono inoltre risultati dimorfi e 3 trimorfi. Per ciascuna di esse è stata calcolata la frequenza ed è stato valutato il rispetto dell’equilibrio di Hardy-Weinberg come riportato in tabella 1. Cinque alleli hanno mostrato una frequenza inferiore al 5 % ed 8 non sono risultati in equilibrio di HW, pertanto un totale di 13 alleli non è stato considerato nella definizione degli aplotipi. Sono stati descritti 57 aplotipi, solo 6 dei quali con una frequenza >0.05 (tabella 2): su di essi è stato effettuato lo studio di associazione. Il permutation test ha mostrato una differenza statisticamente significativa tra casi e controlli fornendo un valore di p <0.05 (p=0.01) indicante una diversità genetica delle due popolazioni prese in esame. Un solo aplotipo ha mostrato una diversa distribuzione delle frequenze statisticamente significativa tra casi e controlli calcolata mediante test esatto di Fisher (p= 0.001) ed è risultato associato a resistenza alla malattia. È stata inoltre condotta un’analisi valutando la presenza di significatività per ciascun allele costituente l’aplotipo: l’allele 132 ha presentato un valore 110 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 di p=0.049 al limite della significatività statistica. Esso, insieme agli alleli 130 e 131, codifica per l’aminoacido in posizione 44; in questo aplotipo ciò determina il passaggio dalla tripletta ttt a tag e quindi l’inserimento di un codone di stop che potrebbe generare un’alterazione nella capacità del recettore di interagire con l’antigene. Gli alleli 135-136-137, presenti in linkage, hanno mostrato un valore di p=0.006 quindi altamente significativo. L’allele 135 codifica per una mutazione sinonima (aa 45 I>I); le mutazioni sinonime possono talvolta avere un ruolo rilevante poiché appartenenti regioni ESE; in effetti questa mutazione sembra alterare un motivo regolatorio (A135GACT) agente come ESE. Gli alleli 136 e 137 codificano entrambi per l’aminoacido 46; nell’aplotipo descritto dalla tripletta gac si genera acc (D>T). La matrice di sostituzione aminoacidica presenta per questa sostituzione un valore pari a 0 che indica pertanto, dal punto di vista biologico, una sostituzione neutrale. Se la presente associazione sarà confermata nello studio sulla popolazione totale, l’aplotipo identificato sarà utilizzato quale marcatore per la selezione di soggetti da sottoporre a studio di challenge con differenti dosaggi di carica batterica; inoltre gli stessi soggetti saranno utilizzati quali riproduttori nel caso di sopravvivenza. Il gene MHCIIB si presenta quindi come possibile gene candidato da utilizzare nell’implementazione di piani di selezione assistita da marcatori per il controllo e l’eradicazione della lattococcosi. Tabella1: Frequenze e p-value HW relativi alle sostituzioni nucleotidiche rilevate 111 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tabella2: Aplotipi sui quali è stato condotto lo studio di associazione BIBLIOGRAFIA: 1. Langefors A., Lohm J., Grahn M., Andersen O. And Von Schantz T., 2001. Association between major histocompatibility complex class IIB alleles and resistance to Aeromonas salmonicida in Atlantic salmon. Proc R Soc Lond B, 268, 479-485. 2. Miller K.M., Withler R.E., and Beacham T.D., 1997. Molecular evolution at MHC genes in two populations of Chinook salmon Oncorhynchus tshawytscha. Molecular Ecology, 6: 937-954. 3. Stephens M, Smith N, and Donnelly P, 2001. A new statistical method for haplotype reconstruction from population data. American Journal of Human Genetics, 68: 978-989. 4. Stephens M, and Donnelly P, 2003. A comparison of Bayesian methods for haplotype reconstruction from population genotype data. American Journal of Human Genetics, 73: 11621169. 5. Xu T-J., Chen S-L., Ji X-S., Tian Y-S., 2008. MHC polymorphism and disease resistance to Vibrio anguillarum in 12 selective Japanese flounder (Paralichthys olivaceus) families. Fish and Shellfish Immunology, 25: 213-221. 112 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 IL REGISTRO TUMORI ANIMALI DELLA REGIONE CAMPANIA Degli Uberti B.*[1], Sarnelli P.[2], Caputo V.[3], Guarino A.[1], Mizzoni V.[4], Pompameo M.[3], D’Amore M.[1], Francese A.[1], Rosato G.[3] Keywords: V.A.M, WHO ICD-O, Registro Tumori Animali Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno – Portici ~ Portici, [2] Regione Campania settore veterinario ~ Napoli, [3] C.R.I.U.V. Centro Regionale Igiene Urbana Veterinaria ~ Napoli, [4] ASL NA 1 Centro Servizi Veterinari ~ Napoli [1] SUMMARY: The purpose of this paper is to set out how the oncological diagnoses carried out are collected into V.A.M. (Veterinary Activity Management) and show some of the cases of malignant neoplasia perfectly identified in the system and, therefore, placed in space and in time. Dogs and cats are considered “sentinel animals” (1, 2, 3) and an excellent model for cancer research, particularly with regard to environmental issues associated to cancers and an early warning for the shortest period of life. INTRODUZIONE: Con D.G.R. n.1940/2009 la Regione Campania ha istituito il Centro di Riferimento Regionale per l’igiene Urbana Veterinaria (CRIUV) (4). Questo nasce dalla collaborazione tra ASL NA 1 Centro, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno (IZSM) e Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Napoli Federico II, al fine della realizzazione di una struttura in grado di elaborare modelli di riferimento nel campo dell’Igiene Urbana. Con la D.G.R. n. 377/2011 il CRIUV è stato individuato quale sede del “Registro Tumori Animali (RTA) della Regione Campania”(5). La raccolta dati dei casi oncologici avviene per il tramite di una sezione di un software gestionale regionale, il Veterinary Activity Management (V.A.M.). Presso la ASL Napoli 1 Centro fin dal 2008, in concomitanza con l’emergenza rifiuti in Regione Campania ed il clamore mediatico suscitato dall’emergenza Diossina, si è attivato un servizio di “diagnostica necroscopica”, teso anche alla sorveglianza dei casi neoplastici. Contestualmente, con Progetto di Ricerca finanziato dal Ministero della Salute l’U.O. di Istopatologia (IZSM Portici), come responsabile del progetto, ha iniziato a valutare i criteri di raccolta epidemiologica dei prelievi di tessuto affetti da neoplasia. La raccolta dei dati epidemiologici del RTA avviene tramite il V.A.M., un sistema informativo gestionale delle attività sanitarie effettuate su cani, gatti e sinantropi dalle strutture pubbliche. Esso è integrato con la Banca Dati Regionale (BDR) Anagrafe Canina, dalla quale attinge in automatico i dati anagrafici degli animali. Tale sistema, inoltre, permette di ottenere dati riguardo la cartella clinica degli animali esaminati. Il V.A.M. prevede una sezione dedicata all’ ESAME ISTOLOGICO e, per quanto concerne l’RTA, si avvale di diagnosi espresse mediante utilizzo di un codice WHO seguito da un ICD-O. L’elaborazione di tali codici è scaturita dalla collaborazione del Centro di Referenza Nazionale per l’Oncologia Veterinaria (CEROVEC) con sede in Genova con tutti gli II.ZZ.SS. che, hanno accorpato le neoplasie riscontrate in Medicina Umana (secondo codici umani) e quelle tipicamente riconosciute in Medicina Veterinaria. Nel momento in cui, attraverso l’esame istologico, si pervenga ad una diagnosi oncologica, le informazioni inserite nel software vengono automaticamente inviate nell’ RTA, con tutti i dati necessari correlati all’animale ed alla provenienza dello stesso. MATERIALI E METODI: I prelievi di organi effettuati in sede di necroscopia sono stati inviati presso l’U.O. di Istopatologia di Portici in formalina tamponata al 10% e sottoposti a totale riduzione, processati, inclusi e tagliati in microsezioni (3-4µ) sottoposti a colorazione Ematossilina–Eosina e a colorazioni istochimiche ed immunoistochimiche per approfondire il quadro oncologico. RISULTATI E CONCLUSIONI: 3.1 Nel corso degli anni 2008, 2009 e 2010, uno studio preliminare della ASL NA 1 Centro sulle “cause di morte” degli animali, ha mostrato un’ incidenza piuttosto elevata di neoplasie maligne (All. 1, Grafico 1). Lo studio condotto negli anni 2010 e 2011 sul numero e tipo di neoplasie riscontrate con diagnosi istologica (WHO ICD-O) ha rilevato su 147 necroscopie (133 cani e 14 gatti) effettuate nel 2010, un numero totale di 49 casi oncologici (42 cani e 7 gatti), di cui 41 neoplasie maligne e 8 neoplasie benigne. Su 124 necroscopie effettuate nel 2011 (115 cani e 9 gatti) un numero totale di 38 casi oncologici (37 cani e 1 gatto), di cui 33 neoplasie maligne, 5 neoplasie benigne. (All. 1, Grafico 2). L’RTA in V.A.M. strutturato in varie pagine (All. 2, Fig. 1) permette di individuare spazio – temporalmente i casi oncologici. 3.2. Casi oncologici A titolo esemplificativo vengono riportati casi di necroscopia effettuati presso il CRIUV che, come molti altri risultano perfettamente rintracciabili dal punto di vista epidemiologico: CASO 1 All. 3 CANE DOGO ARGENTINO, FEMMINA STERILE di 5 ANNI; PADRONALE MC 968000003787302 LOC. VARCATURO (NA) proveniente da una zona considerata S.I.N. (Sito di Interesse Nazionale). Esame necroscopico Si riscontravano: notevole edema dell’arto posteriore destro, tumefazione ed ulcerazione della mammella inguinale destra, con presenza di noduli cutanei multipli ulcerati (Fig.7). In vari distretti corporei alla sezione si evidenziava un aspetto gelatinoso con gemizio di liquido. La mammella inguinale destra, parzialmente ulcerata, alla sezione mostrava un tessuto modificato bianco, traslucido, a tratti gelatinoso, con aree emorragiche (Fig.8). I muscoli mediali della coscia destra si presentavano atrofici e sostituiti da un tessuto compatto lardaceo con estensione dalla cute all’osso. Esame istologico eseguito su muscolo e mammella Metastasi presenti a livello epatico, splenico, cervicale. Diagnosi Morfologica: SARCOMA ISTIOCITICO ICD-O 9755/3 (Fig 9) ICD-O 9755/6 CASO 2 All. 4 CANE CORSO, MASCHIO di 2 anni; PADRONALE MC985121011231105 VIA VICINALE REGGENTE 47 Esame necroscopico Si evidenziava in addome versamento emorragico ed una neoformazione gastrica di 20 cm di diametro, colorito rosso scuro, 113 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 vascolarizzata e con aderenze agli organi adiacenti. La parete ispessita (circa 4-5 cm) della porzione del fondo, si mostrava completamente infiltrata da tessuto neoplastico di colorito bianco lardaceo (Figg.10 e 11). Esame istologico eseguito su Stomaco Diagnosi morfologica: LINFOMA NAS ICD-O 9530/3 (Fig 12) CASO 3 All. 5 CANE SCHNAUZER, FEMMINA di anni 12 circa, PADRONALE TATUAGGIO 1NA16069; VIA TITO ANGELINI NAPOLI . Esame necroscopico In addome presenza di abbondante versamento ematico. Presenza sulla superficie epatica di numerose neoformazioni di aspetto e dimensioni variabili (fino ai 4 cm di diametro) alcune rotondeggianti, altre irregolari con margini frastagliati, altre ancora ombelicate-crateriformi ( Fig 13), alla sezione biancastre, lardacee, sode. La parte mediana della milza si presentava profondamente alterata per la presenza di una neoformazione allungata (6,5 cm). (Fig.14) I reni mostravano superficie irregolare e formazioni di piccole dimensioni (pochi mm) (Fig. 15) disseminate anche nella corticale. Le ghiandole surrenali erano aumentate di volume (3 cm) ed il parenchima modificato da piccole nodosità . In cavità toracica i polmoni (Fig. 16) risultavano aumentati di volume con superficie irregolare e presenza diffusa di piccoli noduli bianchi (da miliariformi a 4 -5 mm di diametro), rilevati che alla sezione risultavano distribuiti in tutto il parenchima. Il cuore appariva globoso, con sfiancamento dei ventricoli; il miocardio mostrava variazioni della colorazione. I lembi valvolari mostravano ispessimento. Esame istologico eseguito su polmone, fegato, milza, surreni, cuore Diagnosi morfologica SARCOMA (sede primitiva sconosciuta) ICD-O 8800/3; ICD-O 8800/6 (Fig. 17). Si fa sempre più forte la necessità di valutare l’ambiente e lo studio delle neoplasie correlate, da qui la nascita dei Registri Tumori Umani e Animale in Regione Campania. Il Registro Tumori Animali elaborato nel V.A.M. appare un ottimo strumento per razionalizzare la raccolta dei dati oncologici in Medicina Veterinaria, attraverso il quale nel corso del tempo si potranno effettuare elaborazioni epidemiologiche ben strutturate sia per la possibilità di conoscere l’origine dell’animale (ambiente di vita, randagio o padronale, malattie presentate nell’arco della vita, alimentazione, ecc.) sia per la possibilità di utilizzare dei codici universalmente noti ed utilizzati in Medicina Umana. 114 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Fig. 1 : RTA nel Software V.A.M. 115 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1) Arnesen K, Gamlem H, Glattre E, Grøndalen J, Moe L, Nordstoga K: The Norwegian Canine Cancer Register 19901998. Report from the project “Cancer in the Dog”. EJCAP 2001, XI:159-169. 2) Dorn CR, Taylor DO, Schneider R, Hibbard HH, Klauber MR: Survey of animal neoplasms in Alameda and Contra Costa Counties, California. II. Cancer morbidity in dogs and cats from Alameda County. J Natl Cancer Inst 1968, 40:307-318. 3) Merlo DF, Rossi L, Pellegrino C, Ceppi M, Cardellino U, Capurro C, Ratto A, Sambucco PL, Sestito V, Tanara G, Bocchini V.Cancer incidence in pet dogs: findings of the Animal Tumor Registry of Genoa, Italy J Vet Intern Med. 2008 JulAug;22(4):976-84. 4) Regione Campania DGR n.1940 del 30.12.2009 Istituzione Centro di Riferimento Regionale per l’igiene Urbana Veterinaria (CRIUV). 5) Regione Campania DGR n. 377 del 4.8.2011 Piano Regionale Integrato (P.R.I.) 2011 - 2014 sulla sicurezza alimentare, il benessere e la sanita’ animale, la sanita’ vegetale. 116 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RCD1-PRA ATROFIA PROGRESSIVA DELLA RETINA Cutarelli A.*[1], Amoroso M.G.[1], Girardi S.[1], De Roma A.[1], Trio S.[2], Guarino A.[1], Galiero G.[1], Corrado F.[1] Keywords: Progressive Retinal Atrophy (PRA), Cone-Rod distrophy1 (RCD1), selezione Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (NA), [2]Libero Professionista ~ Napoli [1] SUMMARY: The Progressive Retinal Atrophy (PRA), is a collection of retina diseases very variables for age of onset generally in a breed-specific way. The disease has a specific phenotype and common in all dogs with both different breeds and varieties. In some breeds it was possible to identify the gene mutation responsible for an initial form of PRA, dysplasia cone-rod type 1, rcd-1. This work concerns the identification of the causal mutation of this disease, by the approach of the “candidate gene”. in order to avoid its transmission to the future generations. INTRODUZIONE: L’Atrofia Progressiva della Retina (PRA) fa parte delle malattie degenerative che alterano alcune strutture della retina, da cui dipende la funzione visiva, e che progrediscono fino alla parziale o completa cecità. Si conoscono più tipi di PRA (1) riferiti a diversi meccanismi di insorgenza a loro volta legati a componenti genetiche multiple (displasie dei fotorecettori che sono precocemente alterati o loro degenerazione in fasi successive della vita). Per questo motivo in rapporto alla razza la PRA può essere evidenziata con una visita oculistica, anche se effettuata da un medico veterinario particolarmente esperto, solo ad una certa età, quando ha determinato alterazioni osservabili sul fondo dell’occhio. In alcune razze canine si è riusciti a identificare la mutazione genica responsabile di una forma iniziale della PRA, la displasia conibastoncelli di tipo 1 (rcd-1, rod-cone dysplasia type 1). L’ereditarietà è autosomica recessiva, vale a dire si ammalano solo animali con due alleli del gene mutato. L’rcd-1 è rilevabile con esame oftalmologico a partire dal 4° mese di vita. Con l’analisi di biologia molecolare (2) è invece possibile rilevare a qualsiasi età se l’animale è geneticamente sano, se è un portatore eterozigote o se è omozigote per l’anomalia in questione (e se quindi verrà colpito dalla malattia). La rcd-1 si eredita in maniera recessiva ed è determinata da una mutazione puntiforme in cui una base G è sostituita con una A provocando un prematuro codone di stop nel residuo 49 dal terminale carbossilico della proteina (3). Generalmente i cani malati mostrano gravi deficit visivi sia durante il giorno che di notte. Esistono delle varianti a seconda dell’età di insorgenza. La malattia è progressivamente ingravescente e culmina nella cecità completa. MATERIALI E METODI: - Campionamento ed analisi morfologica I campioni sono stati raccolti per l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno durante manifestazioni canine organizzate dall’ Ente Nazionale per la Cinofilia d’Italia (ENCI) o inviati allo stes- so da liberi professionisti. - Estrazione del DNA e PCR IL DNA è stato estratto dai campioni in esame (200 mg) utilizzando il QIAamp DNA Mini kit (Qiagen). La PCR è stata preparata utilizzando 1-2 µg di DNA genomico e 0.4 µM di ciascuno dei seguenti primers (3-4): rcd-1 5’GAGTTTTCCCGTTTCCACGAA (forward) rcd-1 5’GCTTTCTTGGCTGTCGTCCTGTCCT (reverse) Le reazioni sono state predisposte in un volume totale di 100 µL contenente 50 mM KC1, 10mM Tris-HCl (pH8.3), 2.5 mM MgCl2, 10% DMSO, and 0.2 µL di ciascun dATP, dCTP, dGTP, dTTP, e 2.5 U Taq DNA Polymerase. Il profilo termico della PCR consiste in 30 cicli alle seguenti temperature: -1 minuto alla temperatura di annealing di 54°C -1 minuto alla temperatura di polimerizzazione di 72°C -1 minuto alla temperatura di denaturazione di 94°C Dopo i 30 cicli i campioni sono stati portati a 4°C nel termociclizzatore fino alla fase successiva. - Analisi elettroforetica I prodotti di PCR sono stati purificati mediante Qiaquick PCR purification Kit (Qiagen) e successivamente sottoposti a PCR di sequenziamento bi-direzionale utilizzando il kit di sequenziamento ABI PRISM Big Dye3.1 Terminator Cycle Sequencing Kit (Applied Biosystems) secondo le istruzioni contenute nel kit. Le sequenze sono state poi purificate del Dye terminator mediante DyeEX 2.0 spin kit (Qiagen) ed infine sottoposte ad elettroforesi capillare con lo strumento ABI Prism 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystems). Gli elettroferogrammi sono stati analizzati mediante software SeqScape v.2.5 (Applied Biosystem). Le sequenze ottenute dal gene candidato sono state analizzate ed allineate in BLAST (http:// blast.ncb.nlm.nih.org). RISULTATI E CONCLUSIONI: I cani affetti da rcd-1 presentano una mutazione al codone 807 del gene della sub unità del cGMP fosfodiesterasi (5). L’identificazione della mutazione causale di questa malattia, secondo l’approccio del “gene candidato”, potrebbe evitarne la trasmissione alle generazioni future e ridurre così in modo significativo il numero di cani malati negli allevamenti. Mutazione puntiforme nella base G sostituita con una A provocando un prematuro codone di stop in animali affetti da rcd-1 117 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Il presente studio ha confermato la prevalenza di questa mutazione nei cani rcd-1 affetti. Le analisi svolte hanno permesso di individuare con successo la malattia nei campioni analizzati. Questi dati preliminari permetteranno la messa a punto di un metodo di analisi genetica della rcd-1. Tale approccio permette di individuare cani malati molto prima che compaiano i sintomi clinici della malattia. I risultati attesi dalle strategie di allevamento utilizzando un’analisi genetica per la rcd-1 Gli allevatori possono individuare gli animali omozigoti sani, cani che non presentano nel loro patrimonio genetico alcuna copia del gene mutato, ed impiegarli nei programmi di accoppiamento. In questo modo, dopo diverse generazioni di selezione senza animali malati o portatori, gli allevatori potrebbero eliminare completamente il gene mutato dai loro allevamenti ed evitare così la trasmissione alle future generazioni (Fig.2). BIBLIOGRAFIA: 1) Hertil E., Bergstrom T., Kell U., Karlsstam L., et al. (2010).Retinal degeneration in nine Swedish Jämthund dogs. Veterinary Ophtalmology, 13: 110-116. 2) F. Sanger, S. Nicklen, and A. R. Coulson (1977). DNA sequencing with chain-terminating inhibitors, Proc Natl Acad Sci U S A., 74(12): 5463-5467. 3) Zangerl B., Goldestein O., Alisdair R.P., et al. (2006). Identical mutation in a novel retinal gene causes progressive rodcone degeneration in dogs and retinitis pigmentosa in humans. Genomics, 88: 551-563. 4) Sanger F, Coulson A.R. (1975). A rapid method for determining sequences in DNA by primed synthesis with DNA polymerase. J Mol Biol. May 25:94 3:441-448. 5) M L Suber, S J Pittler, N Qin, G C Wright, V Holcombe, R H Lee, C M Craft, R N Lolley, W Baehr, and R L Hurwitz (1993) Irish setter dogs affected with rod/cone dysplasia contain a nonsense mutation in the rod cGMP phosphodiesterase betasubunit gene. Proc. Natl. Acad. Sci. U S A., 90: 3968-3972. 118 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ISOLAMENTO E COLTIVAZIONE IN VITRO DI CONDROCITI ISOLATI DALLA CARTILAGINE AURICOLARE DI CAVALLO Barbaro K.*[1], Canonici F.[2], Fagiolo A.[1], Eleni C.[1], Zepparoni A.[1], Altigeri A.[1], Sittinieri S.[1], Cocumelli C.[1], Roncoroni C.[1], Amaddeo D.[1] Keywords: articular cartilage repair, auricolar elastic cartilage, horse Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana-Roma ~ Roma, [2] Clinica Veterinaria Equine Practice ~ Campagnano (Roma) [1] SUMMARY: Damaged articular cartilage has poor intrinsic regenerative capacity, due to its avascular nature. Autologous articular chondrocyte transplantation may cause further degeneration of the cartilage. An alternative approach for repair cartilage tissue is to utilize auricular elastic cartilage as a potential source of autologous chondrocyte. Auricular cartilage was harvested from the ear of a horse, isolated, and cultured on tissue culture flask. This work shown that during cultivation in vitro the proliferation capacity of chondrocyte culture decreases and cells surface increases. I condrociti coltivati in vitro, sono stati sottoposti a cambi di terreno di coltura ogni due giorni. Quando le cellule in coltura raggiungevano una confluenza dell’80% circa, venivano espanse (passaggio): effettuando un distacco enzimatico con soluzione di tripsina-EDTA (0,25%). La sospensione cellulare cosi ottenuta veniva contata e diluita in αMEM-10% FCS, quindi passata in fiaschetta di plastica da 75 cm2 e incubata alle condizioni di coltura suddette. I successivi passaggi venivano effettuati con lo stesso procedimento. I condrociti sono stati mantenuti in coltura fino al decimo passaggio. INTRODUZIONE: La cartilagine articolare è un tessuto avascolare contenente un solo tipo di cellule, i condrociti, ed un’abbondante sostanza intercellulare. Per questo motivo le lesioni a carico della cartilagine articolare adulta generalmente non sono in grado di riparare spontaneamente; per cui una lesione non correttamente trattata, può facilmente evolvere in una degenerazione di tipo artrosico. I diversi di trattamenti impiegati, basati su metodiche riparative, come condroabrasioni e perforazioni subcondrali, o su tecniche di ripristino, rappresentate dall’inoculo di staminali mesenchimali da midollo osseo o da tessuto adiposo, non si sono mostrati sempre efficaci, determinando, in alcuni casi, una riparazione del difetto con formazione di tessuto fibro-cartilagineo caratterizzato da minori caratteristiche biomeccaniche e funzionali (1). Lo sviluppo di un protocollo di isolamento ed amplificazione in vitro di condrociti, isolati da cartilagine auricolare, costituisce un importante risultato (3); è stato dimostrato infatti, che queste cellule sono in grado di de-differenziare in vitro (2,6) e produrre, quando introdotte in un sito di lesione articolare, cartilagine di tipo ialino che garantisce la normale capacità morfofunzionale del piano articolare (5). Valutazione della morfologia e della vitalità cellulare I condrociti isolati sono stati analizzati visivamente ogni giorno al microscopio ottico rovesciato (Nikon Eclipse TE2000-U), al fine di valutare, nel tempo, la velocità di accrescimento, e i cambiamenti morfologici della popolazione cellulare. MATERIALI E METODI: Isolamento di condrociti da cartilagine auricolare I condrociti sono stati isolati da cartilagine auricolare di cavalli reclutati al macello. Dopo l’accurata rimozione del pericondrio, è stato prelevato un frammento di circa 1 cm2 di cartilagine auricolare. Il tessuto così prelevato è stato sminuzzato e sottoposto a digestione enzimatica con una soluzione di collagenasi I (0,075%) (Gibco, USA) e 0,05% tripsina-EDTA (Gibco, USA) a 37 ° C effettuando prelievi a 1, 2 e 4h. Ad ogni prelievo il materiale è stato centrifugato a 1200g per 8 minuti ed il pellet lavato 3 volte con αMEM contenente FBS 10%. Le cellule ottenute sono state risospese in αMEM contenente FBS 10%, 100U/mL penicillina, 100 µg/mL di streptomicina e 8mL/mL di fungizone, seminate in fiaschette di plastica da 75 cm2 e fatte crescere incubando a 37°C al 5% di CO2. Le colture sono state osservate al microscopio ottico ogni giorno, al fine di valutarne i cambiamenti morfologici. Condizioni di crescita RISULTATI E CONCLUSIONI: Isolamento di condrociti Le popolazioni cellulari isolate dalle diverse digestioni enzimatiche a 1, 2 e 4h non mostravano differenze significative sia in termini di vitalità sia di numero. Le cellule isolate presentavano inizialmente, la morfologia tipica del condrocita maturo, ma mostravano la capacità di moltiplicarsi in modo rapido ed intenso per tutti i 10 passaggi eseguiti, caratteristica attribuibile alla capacità di de-differenziamento di tali cellule in vitro. Cambiamenti morfologici delle cellule Il loro aspetto in coltura, al primo passaggio, era piccolo e poligonale ed in alcune aree le cellule si mostravano sovrapposte in più strati; nei passaggi successivi, soprattutto al terzo ed al quarto, apparivano più grandi e distese mostrando così, come caratteristica morfologica, un fenotipo fibroblastoide indice di de-differenziamento (6); con l’aumentare dei passaggi si assisteva ad un decremento della densità cellulare e ad un cambiamento morfologico caratterizzato da un evidente aumento della superficie cellulare (Figura 1). Obiettivo principale di questo studio è stato quello di dimostrare la possibilità di isolare ed amplificare in vitro cellule cartilaginee dalla cartilagine auricolare (2,3). Questa fonte di condrociti rappresenta il vantaggio di essere facilmente accessibile, facilmente isolabile, presente in grandi quantità e con un alto potenziale replicativo. Il nostro obiettivo è stato, inoltre quello di valutare i cambiamenti progressivi che le cellule subiscono in vitro, con lo scopo di stabilire e definire in prospettiva il momento ottimale di utilizzo di tali cellule, prima che non siano più in grado di produrre cartilagine ialina a causa di un avanzato grado di de-differenziamento. I risultati incoraggianti relativi alla facilità di prelievo, alla velocità replicativa ed alle potenzialità terapeutiche, fanno della popolazione cellulare isolata un eccellente candidato nell’utilizzo della medicina rigenerativa applicato alla risoluzione delle 119 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 lesioni della cartilagine articolare (1,4). Lo step successivo sarà quello di ottimizzare un protocollo standard per l’isolamento, la coltivazione, la conservazione e la caratterizzazione in vitro dei condrociti isolati da cartilagine auricolare cosi da poterlo inserire in un protocollo terapeutico. Nel nostro studio la cartilagine auricolare è stata prelevata dal cavallo in quanto rappresenta un ottimo modello animale, soprattutto quello sportivo, per la frequente comparsa di fenomeni artritici di origine traumatica e quindi dell’esigenza di recupero funzionale delle articolazioni. La terapia cellulare con i condrociti isolati dalla cartilagine auricolare potrebbe costituire una valida alternativa alle terapie tradizionali (4) per il trattamento delle lesioni a carico della cartilagine articolare, non solo nel cavallo, ma anche in altri animali e nell’uomo. Condrociti auricolari coltivati in vitro BIBLIOGRAFIA: 1. PJ. Emans, M. Hulsbosch, GM. Wetzels, SK. Bulstra, R. Kuijer. 2005 Repair of osteochondral defects in rabbits with ectopically produced cartilage. Tissue Eng 11:1789–1792; 2. N. Isogai, H. Kusuhara, Y. Ikada, H. Ohtani, R. Jacquet, J.Hillyer, E. Lowder, WL. Landis. 2006 Comparison of different chondrocytes for use in tissue engineering of cartilage model structures. Tissue Eng 12:691-695; 3. GJ. Van Osch, EW. Mandl, H. Jahr, W. Koevoet, G. NolstTrenite, JA. Verhaar. 2004 Considerations on the use of ear chondrocytes as donor chondrocytes for cartilage tissue engineering. Biorheology 41:411-415; 4. El Sayed, A. Haisch, J.Thilo, U. Marzahn, A. Lohan, RD. Mueller, B. Kohl, W. Ertel, K. Stoelzel, G. Schulze-Tanzil. 2010 Heterotopic Autologous Chondrocyte Transplantation--A Realistic Approach to Support Articular Cartilage Repair?. Tissue Eng 16: 603-616; 5. G. Schulze-Tanzil. 2009 Activation and dedifferentiation of chondrocytes: implications in cartilage injury and repair. Ann Anat 191: 320 325; 6. W. Schuurman, D. Gawlitta, TJ. Klein, W. Hoope, MH. van Rijen, WJ. Dhert, PR. van Weeren, J. Malda. 2009 Zonal chondrocyte subpopulations reacquire zonespecific characteristics during in vitro redifferentiation. Am J Sports Med 37:97-99S. 120 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 POSTERS 121 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 122 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 STUDIO SULL’ORIGINE DELLA CONTAMINAZIONE DI SULFADIAZINA NEL MIELE Accurso D.*[1], Menotta S.[1], Fedrizzi G.[1] Keywords: Miele, Antibiotici, Sulfadiazina Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna ~ Bologna [1] SUMMARY: The bees’s diseases induce beekeeper to uncontrolled use of antibiotics. Occasionally the not justified antibiotics presence in honey occur. Fraudulent use of veterinary medicinal products is the most common practice but the origin of contamination is hard to find. This is the case where the presence in honey of Sulfadiazine (SDZ) is not proven by the beekeeper’s use. The investigation extends outside the beekeeping. The first hypothesis consider the contiguity relations with neighboring farms or livestock but finally the more probable hypothesis is the robbers bees’s activity on nearby hives. INTRODUZIONE: Le patologie che colpiscono le api spingono gli allevatori all’utilizzo illegale di antibiotici al di fuori del controllo veterinario. L’uso fraudolento di medicinali veterinari è pratica che comunemente si registra e talvolta è difficile risalire alle cause di contaminazione. È il caso di seguito riportato dove la presenza di Sulfadiazina (SDZ) non è giustificata dall’utilizzo deliberato dell’apicoltore. L’opera di indagine si sviluppa a partire dai periodi antecedenti alle prime analisi di laboratorio fino agli ultimi campionamenti. Non si distingue il tipico andamento di deplezione di eventuali residui di trattamento (1). L’origine della contaminazione è da ricercare al di fuori dell’azienda apistica. Le considerazioni iniziali vagliano la possibilità di contaminazione a causa delle relazioni di contiguità con aziende agricole e zootecniche vicine che fanno uso del principio attivo. Successivi campionamenti prelevati in specifiche postazioni avvaloreranno la tesi del saccheggio di arnie limitrofe contaminate. MATERIALI E METODI: Premessa - A marzo 2012 sono analizzati per conto di un’associazione di apicoltori 2 campioni di miele millefiori per ricerca Sulfamidici. La ricerca dimostra la presenza di SDZ in concentrazioni rispettivamente di 71,9 µg/ kg e 7,2 µg/kg. Non viene rilevata la presenza di altri Sulfamidici. Il veterinario dell’associazione informa il laboratorio dei particolari del campionamento ed illustra il caso. Indagine - Un grossista che produce e commercia miele registra in autocontrollo una positività in una partita di miele millefiori del 2011 proveniente da un lotto fornito da una associazione. L’associazione rintraccia la provenienza del miele e contatta il proprietario (apicoltore A) per le indagini del caso. • L’apicoltore A possiede 100 arnie suddivise in 4 postazioni di collina e 140 arnie suddivise in 4 postazioni in pianura. • Non sono utilizzati in azienda antibiotici o sulfamidici da più di 15 anni. Le raccolte delle annate precedenti sono risultate prive di antibiotici. L’apiario produce miele biologico. • Le analisi eseguite in autocontrollo sul miele di acacia e su quello di castagno prodotto quasi totalmente nelle postazioni di collina non rilevano presenza di SDZ. Il veterinario dell’associazione consiglia all’apicoltore A di conferire i campioni provenienti da due maturatori del 2011 all’IZSLER per identificare la postazione contaminata e la possibile origine. Vengono fatte le seguenti considerazioni e sottolineati i seguenti eventi: • Il miele contaminato proviene dalle postazioni di pianura. • Nel 2011 in una postazione di pianura si verifica un furto di 10 arnie appena posizionate. Il proprietario riferisce di altri furti del genere negli anni precedenti (4 arnie nel 2010). • Successivamente al furto del 2011 viene scoperta una nuova intrusione con 1 arnia rovesciata e un’altra con coperchio sollevato. Vengono rinvenute 2 bottiglie del tipo da conserva contenenti pochissimo materiale che sembra yogurt. Viene preparata una mappa delle attività agricole e di allevamento limitrofe. (Allegato 1) • Nelle vicinanze delle postazioni di pianura dell’apicoltore A sono presenti arnie di altri tre apicoltori (B, C e D). • Sono presenti allevamenti di galline ovaiole, cavalli, pecore e vacche da latte ed un incubatoio di uova SPF. Vengono considerate le prime ipotesi: • una manomissione delle arnie con possibile sostituzione di favi o altri componenti durante una delle intrusioni; • un saccheggio delle arnie vicine da parte delle api dell’apicoltore A; • le api potrebbero rifornirsi di acqua o trasportare particelle contaminate dalle aziende vicine. Nel frattempo l’apicoltore A conferisce all’IZSLER 2 fogli di cera vergini con lotti di produzione differenti (2010 e 2011), 4 favi prelevati dalle arnie in pianura delle 4 diverse postazioni e dai quali proveniva il miele prodotto nel 2011 e altri 2 campioni di miele del 2011 (1 acacia e 1 castagno). Uno dei 4 favi fa registrare una concentrazione di 57,5 µg/kg di SDZ. Viene evidenziata la postazione presumibilmente contaminata dal SDZ e dove era avvenuto l’ultimo caso di intrusione. Vengono conferiti campioni di miele delle arnie manomesse sia dai favi di melario che dai favi di nido. Vengono conferite anche le 2 bottiglie rinvenute. Su tali campioni non vengono trovate concentrazioni di SDZ quantificabili. All’interno delle 2 bottiglie non viene ritrovata SDZ. Viene campionata ciascuna arnia presente nel sito sospetto raccogliendo il miele dai favi di nido e di melario. Viene campionata anche la propoli. Il miele ricavato dalla smielatura precedente al sopralluogo e raccolto nei maturatori sarà campionato successivamente. Nello schema sono evidenziate in rosso con sfumature decrescenti in base alla concentrazione le arnie dove viene rilevata la presenza di SDZ. Nel melario dell’arnia n° 12 sono presenti 65,2 µg/kg mentre nel nido 38,6 µg/kg; nel nido dell’arnia n° 20 sono presenti 100,3 µg/kg. Le concentrazioni dell’arnia n° 7 sono di 8,5 µg/kg nel nido mentre quelle dell’arnia n° 27 sono di 7,5 µg/kg nel nido. Concentrazioni in tracce inferiori al LOQ del metodo sono rilevate nel nido delle arnie n° 1, 13, 17 e 22. L’arnia n° 17 presenta concentrazioni di SDZ inferiori al limite di quantificazione (LOQ 5 µg/kg) anche nel miele prelevato dai favi del melario. (Allegato 2) 123 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 I prelievi del miele raccolto prima del sopralluogo e conservato nei maturatori vengono eseguiti in agosto 2012 suddividendo ciascuno dei 3 maturatori utilizzati tra superficie e fondo del maturatore e campionando i 2 diversi strati. È stata riscontrata la presenza di SDZ in concentrazioni di 16 µg/kg, 30 µg/kg, 40 µg/kg e 96 µg/kg rispettivamente dai campioni superficiale e profondo del primo maturatore e superficiale e profondo del secondo maturatore. I campioni del terzo maturatore non presentavano residui di SDZ. A settembre l’apicoltore A conferisce altri campioni di miele prodotti nelle arnie della postazione contaminata e 2 campioni di miele acquistato anonimamente dall’apicoltore B (hobbista) e posto regolarmente in commercio. Le analisi risolvono definitivamente il caso riportando concentrazioni di SDZ nei campioni dell’apicoltore B tra i 7000 e i 12000 µg/kg. Determinazioni analitiche Le determinazioni di Sulfamidici sono effettuate mediate cromatografia liquida abbinata alla spettrometria di massa (LCMS/MS) (2). Il metodo analitico prevede un LOQ di 5 µg/kg. Disposizione delle postazioni di pianura dell’apicoltore A Disposizione delle arnie nella postazione sospetta RISULTATI E CONCLUSIONI: Il miele della raccolta 2011 dell’apicoltore A risulta contaminato da SDZ. Le prime indagini dimostrano l’assenza di sostanze farmacologicamente attive o prodotti medicinali in azienda e comprovano il non utilizzo degli stessi da almeno 15 anni. La postazione contaminata sembra essere una di quelle poste in pianura. Nelle vicinanze di questa postazione sono presenti aziende agricole, aziende zootecniche e postazioni di altri apicoltori. La contaminazione del miele avviene tutt’ora poiché nei campioni effettuati a ridosso dell’ultima smielatura è rilevabile la presenza di SDZ. Le arnie che in occasione di un’intrusione vengono trovate in disordine non fanno registrare presenza di SDZ. Viene vagliata l’ipotesi della possibilità che le api si riforniscano di acqua in siti altamente contaminati o che saccheggino arnie di altri apicoltori a loro volta contaminati da SDZ. Alcune arnie “pulite” sono state spostate come “sentinelle” presso le postazioni più a rischio. Infine le analisi sul miele prodotto da un apicoltore nelle vicinanze documentano la presenza di SDZ in concentrazioni elevate e avvalorano la tesi che si tratti verosimilmente di saccheggio delle arnie contaminate dell’apicoltore B da parte delle api dell’apicoltore A. Le azioni intraprese dagli organi di controllo infine sono ancora in atto per limitare i rischi connessi al consumo di miele contaminato da SDZ e salvaguardare l’attività degli apicoltori presenti nella zona. BIBLIOGRAFIA: 1. Posyniak A., Bladek T., Jazdzewski K., Bober A., Mitrowska K., Zmudzki J., Pohorecka K., 2011: “The depletion of sulfonamide residues in honey after experimental treatment of honeybee (Apis mellifera L.) colonies” Journal of Apicultural Science, 55(2) 169-175. 2. Thompson T.S, Noot K.N 2005: “Determination of sulfonamides in honey by liquid chromatography–tandem mass spectrometry” Analitical Chimica Acta 551, 168-176. 124 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 L’IMMUNITA’ INNATA NELLA BUFALA MEDITERRANEA: STUDIO SUL RUOLO DEI RECETTORI TOLL-LIKE 2, 4 E 9 NEI CONFRONTI DI MYCOBACTERIUM BOVIS Alfano F.*[1], Peletto S.[3], Lucibelli M.G.[1], Borriello G.[1], Tarantino M.[2], Pasquali P.[2], Guarino A.[1], Acutis P.L.[3], Galiero G.[1] Keywords: tubercolosi, Bubalus bubalis, SNP Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (Napoli), [2] Istituto Superiore di Sanità ~ Roma, [3] Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino [1] SUMMARY: Toll-like receptors are membrane proteins that play a key role in innate immunity, by recognizing pathogens and subsequently activating appropriate responses. Pathogens express several signal molecules, known as pathogenassociated molecular patterns (PAMPs), which are essential for survival and pathogenicity. Recognition of PAMPs triggers an array of anti-microbial immune responses through the induction of various inflammatory cytokines. The objective of this work was to perform a case-control study to characterize the distribution of polymorphisms in three candidate genes (toll-like receptor 2, toll-like receptor 4, toll-like receptor 9) related to the immune function and to test their role as potential risk factors for tuberculosis infection in water buffalo (Bubalus bubalis). The statistical analysis demonstrated significant differences in allelic frequencies between cases and controls, indicating an association between infection and three polymorphisms. INTRODUZIONE: L’immunità innata svolge un ruolo essenziale nella difesa dell’ospite da microrganismi patogeni, entrando in azione subito dopo l’inizio dell’infezione. A differenza dell’immunità acquisita, non fornisce una risposta specifica, ma si attiva per la distruzione dei patogeni in seguito al riconoscimento di specifici PAMPs (Pathogen Associated Molecular Patterns), strutture molecolari conservate e tipiche di microrganismi patogeni (1, 2). Tale riconoscimento avviene grazie ad un sofisticato sistema di recettori, i recettori Toll-like (TLRs). Il legame tra il TLR e il suo ligando determina un segnale a cascata all’interno della cellula che produce un aumento dei fattori di trascrizione nucleare, responsabile a sua volta della produzione di specifiche citochine coinvolte nell’attivazione della risposta immunitaria (8). Si è visto che mutazioni nelle sequenze nucleotidiche che codificano per queste proteine sono spesso responsabili di variazioni nella risposta verso i patogeni (3, 5, 6). Negli allevamenti bufalini della Campania sono presenti ancora diverse importanti patologie infettive, come la tubercolosi, per cui il bufalo può rappresentare un ottimo modello animale nel quale condurre studi sull’immunità innata. Gli obiettivi di questo lavoro sono stati: determinare l’eventuale presenza di polimorfismi genetici nei geni toll-like receptors del bufalo (Bubalus bubalis) ed analizzare la potenziale associazione di questi con la suscettibilità/resistenza genetica alla tubercolosi mediante studi caso-controllo. Sono stati selezionati tre geni oggetto del nostro studio: tlr2 (recettore del peptidoglicano e lipoproteine), tlr4 (recettore LPS) e tlr9 (recettore di DNA batterico/non self). dagli stessi allevamenti dei casi. L’età minima dei controlli era di cinque anni, in modo da selezionare animali esposti al micobatterio, ma risultati sempre negativi al test. Il DNA è stato estratto con il kit QIAamp DNA mini kit (QIAGEN, Hilden, Germany). Il disegno dei primer per l’amplificazione dell’intera coding sequence dei tre geni da analizzare è stato effettuato con il programma “Primer3”. Per ogni toll-like receptor sono state generate le coppie di primer riportate nella tabella 1. Gli ampliconi sono stati sequenziati bidirezionalmente utilizzando il kit Big Dye Terminator cycle sequencing kit v.1.1, Applied Biosystems e lo strumento per elettroforesi capillare ABI Prism 310 Applied Biosystems. Le sequenze ottenute sono state confrontate fra loro e con sequenze di riferimento presenti in GenBank (tlr2: HM756161; tlr4: HM469969; tlr9: HQ242778). L’allineamento delle sequenze e l’identificazione dei polimorfismi è stato effettuato utilizzando i software SEQMAN (DNASTAR Inc) e Bioedit (Tom Hall). Si è proceduto, successivamente alla ricostruzione degli aplotipi mediante il programma PHASE (8). La distribuzione degli alleli e degli aplotipi rilevati è stata analizzata mediante uno studio caso-controllo, al fine di verificare eventuali correlazioni significative con la malattia tubercolare. MATERIALI E METODI: I campioni analizzati derivano da 174 animali provenienti da 22 allevamenti presenti nella regione Campania, di cui 54 risultati positivi all’esame batteriologico per la ricerca del Mycobacterium bovis (casi) e 120 risultati negativi al test intradermico (controlli) e provenienti 125 Tabella 1. Elenco dei primer utilizzati per l’amplificazione della sequenza codificante dei geni tlr 2, 4 e 9. XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISULTATI E CONCLUSIONI: L’analisi effettuata sulle sequenze dei geni dei tlrs bufalini ha permesso di identificare 18 nuovi SNP (single nucleotide polymorphism) nel tlr2 (Tab. 2) e 9 SNP nel tlr4 (Tab. 3) tutti non presenti in banca dati (GenBank HM756161; HM469969). Nel tlr9 non sono stati rilevati polimorfismi. Lo studio caso-controllo effettuato sui polimorfismi identificati nei due geni ha evidenziato la presenza di associazione per tre di questi con l’infezione tubercolare. Per quanto riguarda il tlr2 (Tab. 4), al locus polimorfico 381 A>G, il genotipo GG è risultato associato alla suscettibilità alla malattia (O.R. 52,25 I.C. 6,75 + 404,57), mentre il il genotipo eterozigote AG è risultato associato alla resistenza alla tubercolosi (O.R. 0,06 I.C. 0,01 + 0,25). Nel locus polimorfico 2064 T>C il genotipo TT è risultato associato alla suscettibilità alla malattia (O.R. 48,5 I.C. 10,88 + 216,26), mentre il genotipo omozigote opposto CC (O.R. 0,04 I.C. 0,01 + 0,13), è risultato associati alla resistenza alla tubercolosi, costituendo un fattore protettivo nei confronti di tale patologia. La ricostruzione aplotipica eseguita (Tab. 5), che determina la combinazione degli alleli sul singolo cromosoma, ha messo in evidenza la presenza di un aplotipo di tlr2 associato alla resistenza alla patologia. Nel tlr4 (Tab. 6) il genotipo CC del locus polimorfico 672 A>C è risultato associato alla resistenza alla tubercolosi (O.R. 0,28 I.C. 0,10 + 0,76), ma in questo caso nessuno degli aplotipi ottenuti ha mostrato un’associazione significativa (Tab. 7). Un aspetto interessante risiede nel fatto che tutti gli SNP per cui l’analisi statistico-epidemiologica ha verificato un’associazione alla malattia siano SNP sinonimi. Sebbene questo tipo di mutazioni non impattino di norma sulla suscettibilità/resistenza alla malattia, essendo ininfluenti sulla composizione aminoacidica della proteina codificata, diversi studi (4, 7) hanno dimostrato che anche questi polimorfismi possono avere effetti su alcuni dei più importanti processi che regolano la sintesi delle proteine e di conseguenza sul fenotipo. Ad oggi si stima siano circa 50 le malattie umane causate del tutto o in parte da mutazioni sinonime, ma è stato dimostrato anche un loro ruolo nella resistenza ad alcune patologie. Per quanto riguarda i meccanismi in cui queste mutazioni sono coinvolte, si è visto che possono interferire con la sintesi proteica, essendo alcune triplette tradotte preferenzialmente, lo splicing, la stabilità dell’mRNA, l’affinità per le proteine regolatrici. Un’ipotesi alternativa al coinvolgimento diretto di queste mutazioni potrebbe essere che esse siano in linkage con altre mutazioni funzionali nei tlr, non ancora identificate. I dati riportati in questo studio indicano che i polimorfismi dei geni convolti nella risposta immunitaria alla tubercolosi nel bufalo (Bubalus bubalis), possono avere un ruolo nella risposta dell’ospite a questa patologia. Altri studi saranno necessari per comprendere il meccanismo d’azione dei polimorfismi identificati. 126 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 127 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 128 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1. Adams LG, Templeton JW. (1998). Genetic resistance to bacterial diseases of animals. Rev Sci Tech. 17(1):200-219. 2. Capparelli R, Alfano F, Amoroso MG, Borriello G, Fenizia D, Bianco A, Roperto S, Roperto F, Iannelli D. (2007). 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Antibodies against bovine T-lymphocyte antigens CD4, CD8 and WC1 (γ/δ) were tested by flow cytometry in 36 different aged buffalo calves. T-cell subpopulations are present in buffalo calves at levels comparable with veal calves and the subsets proportions of youngest calves resulted remarkably different from the older ones. The neutrophil: lymphocytes ratio resulted halved at 5 months of age INTRODUZIONE: La risposta immunitaria acquisita si basa su meccanismi legati all’intervento di numerose popolazioni cellulari, in particolare le sottopopolazioni linfocitarie (14). Nella specie bovina il ruolo dei linfociti e le differenze esistenti tra vitelli e soggetti adulti sono state ampiamente descritte (1, 3, 7, 9, 11, 12). Nella specie bufalina, invece, sono disponibili pochi dati sui meccanismi della risposta immunitaria (4), nonostante i numerosi studi svolti sulle dinamiche metaboliche ed ormonali di questa specie (2, 15). Inoltre, i dati relativi alle sottopopolazioni linfocitarie si riferiscono soprattutto alle osservazioni su bufali adulti affetti da patologie (5). Con questo studio, pertanto, si intende valutare le variazioni che si verificano durante la maturazione del sistema immunitario nelle principali sottopopolazioni linfocitarie, CD4, CD8 e WC1 (γ/δ), nei vitelli bufalini durante i primi 5 mesi di vita. MATERIALI E METODI: In tre aziende bufaline, a tipologia intensiva, sono stati selezionati 12 vitelli per ciascuna. I campioni di sangue periferico sono stati prelevati dalla vena giugulare a 8, 22, 35 giorni di vita e successivamente ogni mese fino a 5 mesi di età in provette con K3-EDTA. L’esame emocromocitometrico è stato eseguito con un contaglobuli automatico Cell-Dyn 3700 (ABBOTT - 12 parametri) per la valutazione della conta leucocitaria (neutrofili e linfociti). L’analisi delle sottopopolazioni linfocitarie CD4, CD8, e WC1 (γ/δ) espresse in percentuale, è stata realizzata con citofluorimetro FACSCalibur (Becton Dickinson), utilizzando anticorpi monoclonali verso antigeni bovini CD4 (CACT138A), CD8 (CACT80C) e WC1 (IL-A29) forniti da VMRD (Pullmann, WA-USA). I risultati sono espressi in percentuale di cellule positive per ciascun antigene di superficie. I dati sono stati elaborati con il pacchetto statistico SPSS/PC confrontando i dati analitici con l’età dei soggetti. RISULTATI E CONCLUSIONI: In questo studio, il numero assoluto dei leucociti (x103/μl) è aumentato in base al progredire dell’età con differenze significative tra i soggetti più giovani e quelli più maturi (tab. 1). Nella specie bovina, durante la prima settimana di vita, i neutrofili sono i leucociti più numerosi mentre, già dopo due settimane, l’aumento dei linfociti inverte questo assetto, fino al terzo mese di vita, quando rappresentano la popolazione leucocitaria dominante (8, 13). Anche nella specie bufalina, i vitelli nascono con un numero inferiore di linfociti rispetto ai neutrofili e le variazioni percentuali della conta leucocitaria, dalla nascita ad un mese di vita, sono state studiate (6). In accordo con studi condotti sui vitelli bovini (8), il rapporto neutrofili/linfociti, nei vitelli bufalini, all’inizio dello studio era 1.3 (8 giorni) e alla fine era 0.6 (5 mesi) (tab. 2). L’analisi citofluorimetrica ha evidenziato che la percentuale media di linfociti CD4 aumenta in modo significativo durante il primo mese (da 8 a 22 giorni) e dal terzo al quinto mese di vita (da 90 a 150 giorni) (tab. 3). In accordo con quanto già descritto nei vitelli bovini (7), le percentuali di CD4, nei vitelli bufalini, sono comprese in un range da 7% a 36%, raggiungendo un livello medio del 20% all’età di 4 mesi. Poiché questo dato resta invariato anche nel successivo prelievo (5 mesi di età), si potrebbe supporre che questo periodo rappresenti il raggiungimento della maturazione delle popolazioni linfocitarie nella specie bufalina. Similmente, nella specie bovina, la maturazione del sistema immunitario è osservata intorno ai 5-6 mesi di età mentre i linfociti T, CD4, CD8 e WC1 (γ/δ), raggiungono livelli stabili a 8 mesi di età (5). Al contrario, durante lo studio, i linfociti T, CD8, mostrano un range che oscilla da 5% a 75% (tab. 3), differentemente dal range più ridotto, osservato nei vitelli bovini (7). Per quanto riguarda le sottopopolazioni WC1 (γ/δ), per tutto lo studio si osserva un range da 13% a 79% con i valori percentuali più bassi nel quarto e nel quinto mese di età come per i CD8 (tab. 3). Infatti, nella prima settimana di vita, nei vitelli bufalini, le sottopopolazioni WC1 (γ/δ) rappresentano più del 60% dei linfociti T, riducendosi progressivamente alla metà nell’ultimo prelievo (5 mesi di vita), con differenze significative, così come nei vitelli bovini (7). Lo studio rappresenta un’indagine preliminare sugli stadi di maturazione immunitaria della specie bufalina. Per ottenere dati più completi, ulteriori indagini su vitelli e bufali adulti dovrebbero comprendere periodi di campionamento più estesi. Tab. 1. Valori medi assoluti dei leucociti, relativamente ai giorni di età, in 36 vitelli bufalini (contaglobuli automatico Cell-Dyn 3700). 130 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tab 2. Valori medi del rapporto neutrofili/linfociti, relativamente all’età, in 36 vitelli bufalini. Tab. 3. Valori medi delle percentuali relative delle sottopopolazioni linfocitarie CD4, CD8, WC1, relativamente all’età, in 36 vitelli bufalini. BIBLIOGRAFIA: 1. Ayoub I.A., Yang T.J. 1996. Age dependent changes in peripheral blood lymphocyte subpopulations in cattle: a longitudinal study. Dev. Comp. Immunol. 20, 353-363. 8. Kramer J. 2000. Normal haematology of cattle, sheep, and goats. In: Feldman BF, Zinkl JG, Jain NC (Eds.), Schalm’s Veterinary Hematology, 5th ed. Blackwell Publishing, Philadelphia, pp. 1075-1084. 2. Campanile G., Baruselli P.S., Vecchio D., Prandi A., Neglia G., Carvalho N.A., Sales J.N., Gasparrini B., D’Occhio M.J. 2010. Growth, metabolic status and ovarian function in buffalo (Bubalus bubalis) heifers fed a low energy or high energy diet. Anim. Reprod. Sci. 122: 74-81 9. Kulberg S., Boysen P., Storset A.K. 2004. 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Various blocking reagents (br) were tested to optimize the ELISA: BSA, goat serum, gelatin, skim milk (SM). Without antigen, positive sera showed high OD values at 405 nm (0.754 to 1.660) with all br but SM, that reduced significantly the OD (0.173) increasing the specificity and allowing to evaluate the antibody response. Vaccino INTRODUZIONE: La Yersiniosi (Bocca rossa), patologia batterica, sostenuta da Yersinia ruckeri(Y.r.), colpisce la trota iridea (Oncorhynchus mykiss) in allevamento, causando forti perdite economiche (8). La vaccinazione nei confronti di Y.r. è utile per la protezione dall’infezione e per contrastare il diffondersi della malattia; inoltre evita l’utilizzo di antibiotici, con benefici per la salubrità dei prodotti ittici e per la qualità dell’ambiente. In questo studio, la vaccinazione è stata condotta per via orale, al fine di evitare agli animali lo stress conseguente alla manipolazione, inevitabile, in caso di vaccinazione per immersione. L’Enzyme-Linked Immunosorbent Assay (ELISA) è una tecnica sierologica utile per rilevare anticorpi specifici, ma il suo utilizzo nella siero-diagnosi in ittiopatologia è problematica a causa della bassa specificità, dovuta a reazioni non specifiche anticorpo/antigene, che provocano un alto valore di fondo misurato in densità ottica (OD). (5) Gli anticorpi dei pesci, immunoglobuline complesse che tendono a legarsi in modo aspecifico(3,4,6,7), appartengono ad un’unica classe riconducibile, sulla base del peso molecolare, alle IgM dei mammiferi(2). Dalla letteratura si evince che, per prevenire la formazione di legami aspecifici, è efficace l’impiego di vari saturanti; tra quelli disponibili, sono stati considerati: albumina bovina (BSA), siero di capra, gelatina, skim milk (SM). (8,5) Il presente studio descrive la messa a punto di un test ELISA indiretto per valutare la produzione anticorpale specifica in trote iridee stabulate in vasca, sottoposte a vaccinazione per via orale, contro la Y.r. i-ELISA Produzione dell’antigene: MATERIALI E METODI: Pesci Lo studio è stato effettuato su 9 gruppi sperimentali (7 con vaccino orale contro la Yr, 2 di controllo), ciascuno composto da 40 esemplari di trote iridee, stabulati in vasche di vetroresina alimentate da acqua di sorgente (11,2 °C). Dopo la messa a punto dell’ELISA sono stati testati 85 campioni ematici (vaccinati e controlli) prelevati a 5 e 6 settimane post-vaccinazione. I sieri ottenuti (2000 rpm, 10’)(8), sono stati conservati a -20 °C. L’antigene vaccinale, costituito da cellule di Y. r. inattivate con aldeide formica (FKC) liofilizzate e micro incapsulate, è stato ottenuto dalla brodocoltura di un ceppo di campo in Tris buffered salin(TBS) (22°C ; pH 7.2), (1,2x109 UFC/ml) (D.O. 610nm=1,019). La vaccinazione di richiamo è stata eseguita per via orale su trote (peso medio 30 gr), già vaccinate con vaccino del commercio a 5 gr (per immersione), con il vaccino miscelato al mangime, somministrato per 10 giorni (+5, - 5, +5) Sono state utilizzate cellule di Y. r. ottenute da brodocoltura in TBS (48h, 22 °C) centrifugate a 2000 rpm, 15’, lavate con PBS e utilizzate a D.O. 620nm pari a 1 (1X 109 cellule /ml)(8). Metodo I Sono stati utilizzati 10 sieri positivi di trote infette da yersiniosi , e 10 sieri negativi di trote sane e mai vaccinate. Come controlli + e - sono stati utilizzati rispettivamente: sieri iperimmuni di trote inoculate 3 volte per via i.p. e sieri di trote sane e mai vaccinate. I sieri sono stati testati con e senza antigene (pozzetti con PBS). L’ ELISA è stata approntata secondo quanto descritto in letteratura (1,8): 1. Attivare i pozzetti Ag+ della piastra ELISA (PolysorpNUNC) con 100 µl di poli-L-lisina 0,001 % in tampone carbonato-bicarbonato 0.1M, pH 9,6 (1h t.a.) 2. Distribuire 100 µl/ pozzetto Ag+ di antigene Y.r . (1h t.a) 3. Fissare con 50 µl/pozzetto Ag+ di glutaraldeide 0,05% in PBS (20’t.a) 4. Aggiungere 100 µl/pozzetto( Ag+ e Ag-) di BSA 2% in PBS (O/N 4°C) 5. 3 lavaggi con high salt wash buffer (HSWB) 6. Distribuire 100 µl/pozzetto dei sieri diluiti 1/10 in PBS 0,1% Tween 20 (T20) (1h t.a) 7. 100 µl/pozzetto di anticorpo monoclonale anti Ig di trota 1/33 in PBS 0,1% T 20(1h t.a.) 8. 100 µl/pozzetto di anticorpo policlonale biotilinato anti Ig di topo (1/2000 in PBS 0,1% T 20) (1h t.a.) 9. 100 µl/pozzetto di streptavidina-fosfatasi (1/2000 in PBS 0,1% T 20)(37°C 1h) 10. 5 lavaggi con HSWB 11. 100 µl/pozzetto di pNPP (1 mg/ml tampone glicina 0,1 M Ph 10,4 12. Lettura (405 nm a 30’). Tra 1- 2 ; 3 - 4 : 3 lavaggi con LSWB, tra 6 - 7 ; 8 – 9 : 5 lavaggi con HSWB 132 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Metodo II E’ stato eseguito secondo il Metodo I (1,8) modificato al punto 4 (utilizzo di siero di capra 5% in LSWB 200µl/pozzetto e integrato da Kim e al. (2007)). Per il blocco aspecifico, sono stati utilizzati, in prove diverse: siero di capra (Sigma) 5% in LSWB; gelatina (Wako)1%in LSWB, skim milk 5% in PBS (Wako)(5). E’ stata eseguita una prova aggiuntiva con siero di capra +gelatina (Volpatti, comunicazione personale): post coating, dopo la fissazione, con 200 μl/pozzetto gelatina 1% in LSWB (3 ore t.a), lavaggio 3 volte con HSWB e post-coating con 200 μl/pozzetto siero di capra 5%(O/N t.a.) Per entrambi i metodi, si è utilizzato un valore soglia di riferimento pari a D.O. 0,2 (8). L’elaborazione statistica dei risultati ottenuti è stata fatta mediante i test statistici di Wilcoxon ( p-value 0,05). RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati ottenuti con il metodo ELISA hanno evidenziato nei sieri negativi, l’assenza di legami aspecifici sia in presenza, sia in assenza di antigene, in tutte le prove con i saturanti. L’analisi dei sieri positivi ha mostrato il persistere di reazioni aspecifiche, in assenza di antigene, presumibilmente per i legami aspecifici delle IgM dei pesci, in presenza di tutti i saturanti, ad eccezione dello skim milk (SM). I valori medi ottenuti, in DO a 405 nm, sono stati : BSA (0.754), siero di capra (SC)(1,660); gelatina (GEL)(1,556), siero di capra + gelatina(1,044), mentre sono diminuiti significativamente con l’uso di SM (DO: 0,173) (Fig.1). Il test statistico di Wilcoxon ha evidenziato i seguenti valori di T di e p-value nel confronto tra SM e gli altri reagenti: BSA vs SM= T: 36 , P: 0,006; SC vs SM=T: 78, p: 0,001; GEL vs SM e GEL+SC vs SM =T: 28, p: 0,009; ( p-value tutti inferiori a 0,05), dimostrando la significatività dei risultati. E’ stato dimostrato come l’uso di SM sia utile nel prevenire in maniera significativa la presenza di legami aspecifici delle IgM dei pesci, riducendo il valore di fondo, senza ridurre la capacità di legame specifico. L’analisi dei sieri effettuata mediante ELISA con SM sui sieri a 5, 6 settimane post vaccinazione orale, ha permesso di determinare il numero dei positivi e negativi(Tab1), evidenziando una risposta anticorpale specifica nei confronti di Y.r. Questo metodo potrebbe essere utilizzato per valutare l’efficacia dei vaccini somministrati, attraverso l’ induzione di una risposta immunitaria(Fig 2,3). In particolare, si intende segnalare il risultato ottenuto con l’uso di SM, che si ritiene significativo per la siero-diagnosi in ittiopatologia, che potrebbe risultare un valido supporto alla ricerca nel settore della vaccinazione nelle specie ittiche di allevamento. Fig.1 Valori medi di DO dei sieri + e - / Ag+ e Ag- Fig. 2 Valori medi della DO con Ag+ e Ag- / sieri + e - a 5 settimane p.v. 133 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Fig. 3 Valori medi della DO con Ag+ e Ag- / sieri + e - a 6 settimane p.v. Tabella 1 : Risultati dei sieri esaminati con ELISA : prelievo a 5 e 6 settimane p.v. orale BIBLIOGRAFIA: 1) Bakopoulos V. et al. (1997) Qualitative differences in the immune response of rabbit, mouse and sea bass, D. labrax, to P. damsela subsp. piscicida, the causative agent of fish Pasteurellosis. Fish Shellfish Immunol, 7: 161-174 5)Kim W. S. et al. (2007) Non- specific adsorption of fish immunoglobulin M (IgM) to blocking reagents on ELISA plate wells. Dis. Aquat. Org , 78: 55-59. 2) Denzin N. and StaaK C. (2000) Fish immunoglobulin, A Sero - diagnostician’s Perspective. Bull. Eur. Ass. 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(2006).Valutazione della risposta anticorpale e della protezione indotta da un vaccino per immersione anti Yersinia ruckeri in trota iridea (Oncorhynchus mykiss) – Ittiopatologia , 3: 21-31. 134 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 INDAGINE PRELIMINARE SULLA PRESENZA DI COXIELLA BURNETII IN CAMPIONI DI LATTE D’ASINE ALLEVATE IN CAMPANIA. Auriemma C.*[1], Lucibelli M.G.[1], Bove F.[1], Gallo A.[1], De Carlo E.[2], Martucciello A.[2], Corrado F.[1], Guarino A.[1], Galiero G.[1] Keywords: donkeys’ milk, C. burnetii, PCR [1] Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Napoli, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del MezzogiornoSezione Diagnostica di Salerno Centro di Referenza Nazionale sull’igiene e le tecnologie dell’allevamento e delle produzioni bufaline ~ Salerno [2] SUMMARY: Coxiella burnetii is the causative agent of acute and chronic Q fever in humans and abortions and unfertility in animals. Dairy cattle, sheep, and goats are the major reservoirs of the pathogen, there are no date on its presence in donkey farms. Our study was to assess the prevalence of C. burnetii in milk samples from donkey herds in the Campania region by molecular methods. 4 of 38 analized samples resulted PCR-positive. Amplicon sequencing confirmed the presence of C. burnetii in these samples. Further studies are necessary to define role and diffusion of this pathogen in donkey population. INTRODUZIONE: La febbre Q è una zoonosi causata da Coxiella burnetii, un piccolo batterio intracellulare obbligato Gram- negativo diffuso in tutto il mondo.Descritta per la prima volta in Australia (1) e in seguito riconosciuta in molti paesi, tra cui l’Italia, dove le prime segnalazioni risalgono al 1944-45 (2).C. burnetii può infettare una grande varietà di animali, tra cui ruminanti, cani, gatti, primati, roditori selvatici, rettili, anfibi, uccelli, pesci e zecche(3).Bovini,ovini e caprini rappresentano i principali reservoir di infezione e sono quindi tra le principali fonti di infezione per l’uomo, che può contrarre la malattia mediante inalazione di particelle infette, per contatto diretto con animali infetti, o con i prodotti del loro concepimento.La trasmissione aerea rappresenta la principale via di infezione anche per gli animali i quali sono spesso cronicamente infetti ma quasi sempre asintomatici.L’eliminazione di C. burnetii nell’ambiente può avvenire tramite feci,urine,secreto vaginale,liquido amniotico,latte e colostro(4).Anche se la via alimentare attraverso il latte e i suoi derivati è ritenuta di scarso rilievo epidemiologico,alcuni dati di prevalenza sulla presenza di C. burnetii nel latte crudo pone interrogativi di sanità pubblica alla luce anche del diffondersi sia del consumo diretto di latte crudo non trattato termicamente sia della produzione di formaggi con latte crudo non pasteurizzato.Attualmente non esistono in letteratura dati sulla diffusione del patogeno negli allevamenti asinini.Nell’ultimo decennio tuttavia l’interesse nei confronti di questa specie è notevolmente aumentato in virtù delle proprietà benefiche del suo latte che ha una composizione e delle caratteristiche organolettiche abbastanza simili al latte umano.L’utilizzo infatti del latte d’asina a fini alimentari nelle intolleranze al latte vaccino, come nutraceutico in età pediatrica e geriatrica,sembra trovare numerosi sostenitori.Attualmente in Italia,la Sicilia è la regione che conta il maggior numero di allevamenti asinini, molti dei quali proiettati alla produzione di latte.Il rinnovato interesse nei confronti dell’allevamento asinino ha senza dubbio portato ad un “risveglio scientifico” sull’argomento. Scarsi e frammentari sono i dati inerenti ai principali patogeni che potrebbero infettare gli asini; dati disponibili in letteratura riguardano solo la ricerca di E. coli O157(5),di Brucella spp. (6),di B. abortus,(7) e di Burkholderia mallei(8).L’infezione di C. burnetii non è stata mai riportata nella specie asinina. Lo scopo di questo studio è stato dunque di determinare l’eventuale presenza di C. burnetii mediante tecniche di biologia molecolare (PCR e sequenziamento)in campioni di latte non pasteurizzato prelevati in aziende della regione Campania.L’infezione attraverso il latte commerciale appare infatti piuttosto improbabile a causa dei processi di pasteurizzazione, ma l’ingestione di latte crudo potrebbe rappresentare un’importante fonte di contaminazione per l’uomo.La possibilità di vendere latte crudo, data dalla vigente normativa, ha spinto molti produttori ad utilizzare questa tipologia di vendita sia per fini commerciali sia per non modificare le naturali proprietà del prodotto, per cui si è ritenuto interessante valutare le eventuali implicazioni della presenza di C. burnetii nella popolazione asinina per la sicurezza alimentare. MATERIALI E METODI: Nell’anno 2011 sono stati prelevati,con frequenze differenti,un totale di 38 campioni di latte di asina non pasteurizzato in tre aziende campane tutte a produzione di latte per uso alimentare. Le aziende testate (A,B,C) avevano una consistenza diversa (80,180 e 30 capi rispettivamente),non avevano presentato mai sintomatologie particolari riferibili a C. burnetii.Le asine testate vivevano in promiscuità con altri animali.La mungitura veniva effettuata nel rispetto delle norme igieniche previste(Reg. CE 852 /2004,853/2004).I campioni di latte d’asina sottoposti prima ad analisi microbiologica, sono stati inviati all’IZSM di Portici e testati per la ricerca di C. burnetii mediante una single-tube nested PCR. Il DNA genomico totale è stato estratto mediante l’utilizzo del NucleoSpin Food kit (Macherey-Nagel).La reazione di amplificazione è stata condotta secondo il protocollo proposto da Parisi et al.(9)che utilizzava due coppie di primer(Tab.1). Gli amplificati della lunghezza attesa (203bp) sono stati visualizzati mediante elettroforesi automatizzata(Qiaxcel,Qiagen).I prodotti amplificati sono stati purificati e sequenziati bi-direzionalmente mediante il kit Big Dye Terminator cycle sequencing kit v. 3.1(Applied Biosystems).I campioni sequenziati sono stati analizzati mediante elettroforesi capillare (3130 Genetic Analyzer, Applied Biosystems). Le sequenze sono state allineate con quelle depositate in GenBank mediante BioEdit software e metodo di allineamento CLUSTAL W. 135 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISULTATI E CONCLUSIONI: Nei 38 campioni di latte il grado di contaminazione microbiologico è risultato essere sempre contenuto. Il DNA estratto è stato amplificato mediante una singletube PCR nested per la detection di C. burnetii. Di tutti i campioni analizzati, 2 appartenenti all’ azienda A e 2 all’ azienda B, sono risultati positivi per il gene IS111 di C. burnetii(fig.1).Il sequenziamento dell’amplicone IS111 ha mostrato un’identità del 96% con la sequenza depositata in GenBank (JN966901). I bassi livelli di contaminazione microbica riscontrati confermano i dati presenti in letteratura per il latte d’asina, che generalmente presenta livelli di contaminazione estremamente contenuti, rapportabili alla naturale presenza di sostanze antimicrobiche e all’altissima quantità di lisozima (10).Il livello di prevalenza di C. burnetii osservato dall’analisi molecolare (10.5%), lascerebbe prefigurare invece un possibile ruolo dell’asina quale serbatoio di infezione. Le positività riscontrate sono tuttavia da valutare con cautela in quanto il numero dei campioni non è ancora sufficientemente significativo, trattandosi di una casistica limitata a 3 aziende. La coesistenza poi in tutte le aziende di diverse specie animali, potrebbe costituire un rischio sostanziale di diffusione del patogeno tra gli animali. Trattandosi di dati preliminari, rimane dunque da indagare in maniera approfondita l’effettivo ruolo che C. burnetii potrebbe avere nella specie asinina. A fronte delle positività riscontrate nelle aziende testate, questo studio rappresenta comunque il primo report sulla diretta identificazione di C.burnetii mediante PCR in campioni di latte di asina. Pertanto ulteriori studi sono necessari per chiarire l’epidemiologia e la patogenesi della febbre Q nell’asina e la possibile virulenza di ceppi di C. burnetii in questa specie, visto il ruolo che questo alimento sta recentemente assumendo non solo nell’alimentazione umana, ma anche nell’industria farmaceutica e nell’industria dei cosmetici. Canali: (M)marker 50-800 bp(QIAgen);(1,2)campioni di latte positivi azienda A;(3,7)campioni di latte positivi azienda B;(4-6) campioni di latte negativi azienda C;(8)bianco estrazione ;(9)controllo negativo;(10)controllo positivo per C. burnetii Fig.1: Detection del gene IS111 di C.burnetii mediante single- tube nested PCR. BIBLIOGRAFIA: 1.Derrick E.H. (1937) “Q” fever,new fever entity: clinical features,diagnosis and laboratory investigation. Med J Aust,2:281–299 2.Caporale G.,Mirri A.,Rosati T.(1953)La Febbre “Q” quale zoonosi.Atti Soc Ital Sci Vet,7:13-96 3.Angelakis E, Raoult D (2010)“Q Fever” Vet Microbiol,140:297-309 4.Berri M,Rousset E,Hechard C,Champion Jl,Dufour P,Russo P,Rodolakis A(2005)“Progression of Q fever and Coxiella burnetii shedding in milk after an outbreak of enzootic abortion in a goat herd” Vet Rec 156: 548-549. 5.Pritchard GC,Smith R,Ellis-Iversen J,Cheasty T,Willishaw GA.Verocytotoxigenic Escherichia coli O157 in animals on public amenity premises in England and Wales,1997 to 2007.Vet Rec.2009;164:545-549 6.Abo-Shehada MN.Seroprevalence of Brucella species in equids in Jordan.Vet Rec.2009;165:267-268 7.Elsalam Abdalla M, Hassaballa Abdalla S, Elzaki R.Prevalence of Brucella abortus Antibodies in Donkeys in Gaderef State of Eastern Sudan Tropentag,September 14-16,2010,Zurich “World Food System A Contribution from Europe” 8.Mota RA,da Fonseca Oliveira AAF,Pinheiro Junior JW,Silva LBG,BritoMF.,Rabelo SSA.Glanders in donkeys(equus asinus)in the state of Pernambuco,Brazil:a case report.Brazilian Journal of Microbiology.2010,49:146-149 9.Parisi A,Fraccalvieri R,Cafiero M,Miccolupo A,Padalino I,Montagna C,Capuano F,Sottili R(2006)“Diagnosis of Coxiella burnetii-related abortion in Italian domestic ruminants using single-tube nested PCR” Vet Microbiol 118: 101-106 10.Xiao-Ying Zhang,Liang Zhao,Lu Jiang, Mao-Lin Dong,FaZheng Ren,(2008)The antimicrobial activity of donkey milk and its microflora changes during storage Food Control.19,1191-1197. 136 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 STUDIO DEL GENOTIPO DELLA PROTEINA PRIONICA NELLA POPOLAZIONE OVINA NAZIONALE IN FUNZIONE DELLA RESISTENZA GENETICA ALLE EST Baldinelli F.*[1], Ciaravino G.[1], Scavia G.[1], Fazzi P.[1], Chiappini B.[1], Vaccari G.[1] Keywords: scrapie, genetic susceptibility, surveillance [1] Istituto Superiore di Sanità ~ Roma SUMMARY: Sheep susceptibility to scrapie is mainly under the control of the host’s prion protein (PrP) gene. Polymorphisms of the PrP have been associated with different levels of susceptibility. A nation-wide survey to estimate the frequencies of the PrP genotypes in the Italian ovine population has been conducted, yearly, between 2008 and 2010. No significant changes in the frequencies of the main resistant/susceptible genotypes were found. The frequencies of the polymorphisms at the entire PrP sequence are also provided for the main Italian breeds. INTRODUZIONE: La scrapie è una malattia infettiva degli ovi-caprini appartenente al gruppo delle Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili (EST), il cui evento patogenetico risiede nella trasformazione della proteina prionica (PrP) codificata dall’ospite nell’isoforma patologica responsabile dei processi degenerativi. Negli ovini, il gene codificante la PrP presenta numerosi siti polimorfici che danno origine a varianti alleliche associate a differenti gradi di suscettibilità. I polimorfismi più rilevanti sono quelli ai codoni 136, 154 e 171, dai quali derivano l’allele ancestrale ARQ che in Italia è associato a massima suscettibilità alla malattia (1, 2, 3), l’allele ARR associato a massima resistenza e gli alleli VRQ, AHQ, ARH, associati a livelli intermedi di suscettibilità. Altri polimorfismi, derivanti da mutazioni ad altri codoni, hanno dimostrato di modulare la suscettibilità d’ospite alla scrapie. Nella razza Sarda gli alleli AT137RQ e ARQK176 sono stati associati a resistenza mentre altri, quali ad esempio AF141RQ, pur non essendo del tutto protettivi conferiscono minore suscettibilità alla malattia rispetto ad ARQ (1, 2). L’Unione Europea (UE) ha indirizzato i piani di controllo della scrapie nei Paesi Membri, tramite la realizzazione di programmi annuali di sorveglianza e selezione genetica degli ovini, volti a ridurre la proporzione di soggetti suscettibili e incrementare la quota di quelli resistenti. In Italia i piani sono predisposti a livello regionale. L’adesione è obbligatoria dal 2005 ma solo per i greggi ad elevato merito genetico. Ciò ha comportato differenze nella tempistica di attuazione della selezione genetica. Per valutare lo stato di resistenza alle EST del patrimonio ovino, ciascuno Stato Membro ha l’obbligo di eseguire annualmente uno studio campionario per determinare le frequenze genotipiche della popolazione ai codoni 136, 141, 154, 171 (Reg. 999/2001/CE). Obiettivo del presente lavoro era descrivere le frequenze genotipiche della PrP nella popolazione ovina e per singola razza, stimate in Italia attraverso il campione annuale negli anni 2008, 2009 e 2010. Si è voluto inoltre confrontare le stime ottenute per ciascun anno per valutare l’esistenza di un spostamento delle frequenze verso una maggior resistenza della popolazione. A tal fine la valutazione ha considerato sia la determinazione del genotipo ai soli codoni 136, 141, 154, 171 che, per ciascuna razza, a sequenza completa. MATERIALI E METODI: Lo studio ha avuto per oggetto la popolazione nazionale ovina adulta e il campionamento è stato dimensionato secondo quanto indicato dal Reg. 999/2001/ CE per i Paesi con popolazione superiore a 750000 animali (N=600). Per ciascun anno il campione è stato stratificato sulla base delle consistenze regionali e per razza. A tal fine sono stati utilizzati i dati delle consistenze regionali presenti in BDN dell’Anagrafe Zootecnica e le informazioni appositamente fornite dalle Regioni, sulle frequenze per razza della popolazione ovina regionale. La numerosità campionaria assegnata a ciascuna Regione ha compreso anche una quota aggiuntiva di ovini di razza non pura (meticci). La dimensione campionaria prevista era pari a 720, 670 e 666 rispettivamente per il 2008, 2009 e 2010. I campioni di sangue sono stati analizzati presso l’Istituto Superiore di Sanità con sequenziamento completo della regione codificante la PrP con metodo di Sanger. Le frequenze genotipiche della popolazione generale ai 4 codoni sono state ottenute attraverso una stima pesata che ha permesso di riproporzionare il contributo effettivo di ciascuna Regione sulla base di quanto previsto nel disegno del campione. Nelle razze ovine, la stima delle frequenze genotipiche a sequenza completa è stata eseguita sul totale dei campioni consegnati nei tre anni. Le frequenze genotipiche annuali ottenute sono state confrontate con il test del χ2. RISULTATI E CONCLUSIONI: I campioni analizzati per la determinazione del genotipo PrP sono stati 604 nel 2008, 600 nel 2009 e 613 nel 2010. I campioni provenivano da 1415 allevamenti, con un numero medio di 1,2 campioni per allevamento (range 1-10). Le frequenze genotipiche e alleliche della PrP ai codoni 136, 141, 154 nella popolazione generale sono riportate in tabella 1 e in tabella 2. Complessivamente non sono state osservate variazioni significative nelle frequenze genotipiche e alleliche nei tre anni considerati. L’allele ARR, associato a resistenza, risultava largamente presente sia in condizioni di eterozigosi che di omozigosi, assicurando un buon livello di protezione per la popolazione ovina mentre l’allele ARQ è risultato il più frequente in termini assoluti e in eterozigosi con l’ARR costituisce il genotipo maggiormente rappresentato. Il sequenziamento completo del gene codificante la PrP ha confermato l’allele ARQwt, che rappresenta il target genotipico dal ceppo di scrapie classica circolante in Italia (4, 5), quale il più frequente nella maggior parte delle razze italiane. Seguono ARR e, con frequenze di molto inferiori, tutti gli altri alleli riscontrati. Fanno eccezione le razze Merinizzata e Bagnolese dove la frequenza di ARR supera quella di ARQwt (tabella 3). I polimorfismi diversi di quelli ai codoni 136, 141, 154 e 171 si presentavano in ciascuna razza con frequenze variabili comprese tra il 3.0% (Bagnolese) e il 7,9% (Sarda). In quest’ultima 137 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 risultava non trascurabile la frequenza delle mutazioni protettive ARQK176 (4.0%) e AT137RQ (2.5%). È stato stimato che per controllare efficacemente la diffusione della scrapie in Italia non è necessaria la totale eliminazione di ARQwt dalla popolazione ma è indispensabile una sua sostanziale diminuzione (6); i nostri risultati mostrano che la sua frequenza continua ad essere elevata esponendo la popolazione italiana ad un elavato rischio di malattia. Effettivamente i programmi di selezione genetica mutuati dalla EU prevedono, per gli allevamenti aderenti, la selezione negativa contro l’allele VRQ, poco rappresentato nella popolazione italiana, e solo dopo alcuni anni dall’adesione contro l’allele ARQ. In conclusione, dai nostri dati non risulta un’evoluzione genetica della popolazione ovina nazionale verso genotipi PrP di resistenza ovvero un aumento della frequenza dell’allele di resistenza ARR. Questo risultato è in accordo con l’andamento endemico della scrapie riscontrato nel nostro Paese (7). La sua diffusione in Italia, infatti, non sembra per ora risentire di un effetto della selezione genetica. La conoscenza della frequenza nelle razze italiane dei polimorfismi in codoni diversi da 136, 141, 154 e 171 offrirebbe la possibilità di disegnare strategie selettive specifiche per ciascuna razza, ugualmente efficaci ma capaci di tutelare maggiormente la variabilità genetica. Ciò avrebbe il duplice vantaggio di consentire agli allevatori l’uso ai fini riproduttivi di una quota maggiore di arieti e di mantenere nella popolazione una più ampia variabilità genotipica, che rappresenta sia un valore zootecnico che una buona difesa da eventuali ceppi di scrapie di nuova emersione o circolanti altrove. BIBLIOGRAFIA: 1. Vaccari G et al-2007. Prion protein alleles showing a protective effect on the susceptibility of sheep to scrapie and bovine spongiform encephalopathy. J. Virol. 81: 7306-7309 2. Vaccari G et al–2009. Protective effect of the AT137RQ and ARQK176 PrP alleles against classical scrapie in Sarda breed sheep, Vet. Res. 40: 19 3. Cosseddu GM et al–2007. Advances in scrapie research. Rev. sci. tech. Off. int. Epiz. 26(3): 657-668 4. Di Bari MA et al-2008. The bank vole (Myodes glareolus) as a sensitive bioassay for sheep scrapie. Journal of General Virology Dec;89(Pt 12):2975-85 5. Romolo N et al-2003. Molecular Analysis of Cases of Italian Sheep Scrapie and Comparison with Cases of Bovine Spongiform Encephalopathy (BSE) and Experimental BSE in Sheep. Journal of Clinical Microbiology Sept. 2003, p. 4127–4133 6. Baldinelli F et al. Classical scrapie control in Italy: which selective breeding strategies will work? European Scientific Conference on Applied Infectious Disease Epidemiology, Lisbon, Portugal, 11-13 November 2010. Abstract book p 77 7. CE- Report, Health And Consumers Directorate-General 2007. Report on the monitoring and testing of ruminants for the presence of TSE in the EU 138 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RESIDUI DI CHINOLONI NEL LATTE DELLE AZIENDE PIEMONTESI: RISULTATI DI UNA SURVEY CONDOTTA NEL 2012 Barbaro A.*[1], Chiavacci L.[1], Travaglio S.[1], Vitale N.[1], Parisani V.[1], Palma A.[2], Abete M.C.[2], Gili M.[2] Keywords: Quinolones, Milk, Survey [1] S.S. Osservatorio Epidemiologico, I.Z.S. del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ TORINO, S.C. Controllo Chimico e Ambientale con annesso CREAA, I.Z.S. del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino [2] SUMMARY: According to EU legislation in veterinary medicine the use of quinolones is allowed only for few components and is defined by the EU MRL value. From March to June 2012 a survey was carried out on random samples of dairy herds to monitoring the presence of quinolones in milk in Piedmont region. Samples of 100 bulk milk were tested by HPLC-FLD. The method developed and validated in our laboratories according to Dec. 2002/657/EC criteria, allows the identification and quantitative determination of residues related to eight quinolones of veterinary interest. No analytes were found into samples. INTRODUZIONE: I chinoloni sono chemioterapici antibatterici caratterizzati da un ampio spettro d’azione, in quanto esplicano la loro attività nei confronti di batteri Gram positivi e Gram negativi (3). Il capostipite di questa famiglia è l’acido nalidissico, approvato per l’uso clinico nel 1965; ad esso hanno fatto seguito l’acido oxolinico e l’acido piromidico: essi costituiscono la prima generazione di questa famiglia di chemioterapici. L’introduzione di un atomo di fluoro in posizione R6 e di un gruppo piperazinico in posizione R7 ha dato origine alle generazioni successive di chinoloni, detti appunto fluorochinoloni. Lo spettro d’azione è tra i più ampi disponibili nell’ambito dei farmaci antibatterici con un’ottima cinetica ed un’efficace distribuzione tissutale e sistemica. I chinoloni stanno assumendo il ruolo di farmaci di elezione per il trattamento delle infezioni gravi da Gram negativi negli animali da allevamento: il loro impiego è diretto principalmente alle infezioni delle vie respiratorie, del tratto gastrointestinale ed urinario e delle mastiti (1). Il problema derivato da un utilizzo improprio di questa classe di farmaci è rappresentato dalla farmacoresistenza con ricadute dirette (animali) ed indirette (uomo) nonché dai residui che possono essere presenti nelle carni e negli alimenti di origine animale che l’industria alimentare propone ai consumatori con i noti effetti negativi di accumulo. Per questo motivo l’EMEA si è espressa più volte con proprie Reflection Paper (4) sull’utilizzo dei chinoloni negli animali produttori di alimenti, e ha indotto il Ministero della Salute a pubblicare una nota in cui si richiede ai produttori di farmaci veterinari di intraprendere misure in grado di limitare la diffusione delle resistenze. Attualmente in medicina veterinaria è ammesso l’utilizzo solo di determinati principi attivi appartenenti a questa classe, per alcuni dei quali la UE ha definito i valori di LMR per le varie specie animali (Reg. CE 37/2010) a seconda della matrice. La Commissione Europea, in ottemperanza alla Direttiva 96/23/ CE, richiede il monitoraggio sia per i principi attivi della classe per cui sono già fissati valori di limiti massimi di residui (LMR) sia per quelli per i quali valori di LMR non sono stati definiti. Il Piano Nazionale Residui (PNR) indica come metodo di prova per la ricerca di chinolonici nel latte il metodo microbiolo- gico. Tuttavia i test di screening microbiologici disponibili in commercio e ancor oggi ampiamente utilizzati per la ricerca di antibiotici non comprendono nel loro campo di applicazione contemporaneamente tutti i chinoloni di interesse veterinario o non raggiungono i limiti di prestazione analitica richiesti dalla Commissione Europea. Per questo motivo, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (IZS PLV) avvalendosi anche di un finanziamento regionale dedicato, ha validato e accreditato un metodo multiresiduo quantitativo per la ricerca di chinoloni nel latte a livelli conformi alla normativa vigente, da utilizzare nell’ambito di controlli ufficiali. Obiettivo principale di questo lavoro, attraverso l’impiego di tale metodica su campioni di latte di massa, è stato valutare l’eventuale presenza di residui di chinoloni nelle aziende da latte della regione Piemonte. MATERIALI E METODI: Per valutare la presenza di residui di chinoloni nelle aziende da latte è stata condotta una survey sul territorio della regione Piemonte, nel periodo temporale marzo - giugno 2012 Dal sistema di Anagrafe Regionale Veterinaria (ARVET) sono state estratte 100 aziende da latte (Figura 1) con campionamento casuale stratificato per allocazione proporzionale a livello di ASL. La numerosità campionaria è stata calcolata considerando una prevalenza attesa del 4,5% ed un errore del 4% ed un livello di confidenza del 95%. La popolazione target era costituita da allevamenti da latte con più di 10 capi. In ciascuna azienda è stato prelevato, senza applicazione di vincolo sanitario, un campione di latte di massa costituito da 4 aliquote di almeno 50 ml di prodotto. L’attività di prelievo campioni è stata effettuata dai Servizi Veterinari delle AA.SS.LL. del Piemonte; le analisi sono state eseguite dal laboratorio Ricerca Residui dell’IZS PLV con un metodo HPLC-FLD multiresiduo quantitativo, validato e accreditato, utilizzabile sia per analisi di screening che di conferma. Tale metodo permette l’identificazione e la determinazione quantitativa di residui di otto chinolonici impiegati in veterinaria (acido nalidissico, acido oxolinico, flumechina, ciprofloxacina, enrofloxacina, norfloxacina, danofloxacina e difloxacina). L’identificazione dell’analita, in accordo ai requisiti della Dec. 2002/657/ EC (2), è basata sul confronto tra il segnale dell’analita nel campione e in una soluzione di standard certificato, relativamente al tempo di ritenzione cromatografico e al matching degli spettri di emissione in fluorescenza e di assorbimento UV. La qualità del risultato è assicurata mediante: 1) utilizzo in ogni seduta analitica di un controllo fortificato, i cui risultati sono monitorati tramite carte di controllo tipo Shewart; 2) verifiche periodiche dell’accuratezza e ripetibilità mediante controlli di qualità in doppio su campioni fortificati; 3) partecipazione a circuiti di proficiency test. Il metodo è idoneo a dosare concentrazioni di analita comprese tra 15 ÷ 60 μg/Kg per la danofloxacina e 25 ÷ 200 μg/Kg per gli altri analiti nella matrice latte. 139 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Figura 1: Distribuzione delle aziende campionate RISULTATI E CONCLUSIONI: Tutti i campioni previsti (N=100) dal piano sono stati prelevati e sottoposti ad analisi (tabella 1): per ciascun chinolone ricercato i risultati sono sempre stati inferiori al limite di rilevazione. I risultati ottenuti hanno evidenziato che in nessuna delle aziende da latte campionate sono stati rilevati residui di chinoloni. Si può affermare che, a livello regionale, il problema se presente, dovrebbe interessare non più del 4,5% delle aziende. Lo scenario delineato da questa survey mostra verosimilmente un utilizzo appropriato di chinoloni nella maggioranza delle aziende da latte piemontesi. Per il futuro sarebbe interessante utilizzare una metodologia risk based applicata in un contesto “freedom from event”, che consideri alcuni fattori quali stagionalità, dimensione dell’azienda, età degli animali, tipo di stabulazione, che possano aumentare la probabilità di individuare la presenza di residui. Un risultato favorevole certificherebbe l’assenza di residui di chinoloni nelle aziende da latte a garanzia delle produzioni alimentari e quindi del consumatore. BIBLIOGRAFIA: 1) Adams H. R. (1999). Farmacologia e terapeutica veterinaria. Seconda ed. E.M.S.I., Beretta C., Roma (Italy) 2) Decisione 2002/657/CE: Decisione della Commissione del 12 agosto 2002 che attua la direttiva 96/23/CE del Consiglio relativa al rendimento dei metodi analitici e all’interpretazione dei risultati. G.U.C.E. L 221/8, 2002 3) Dougherty T. J., Beaulieu D., Barrett J. F. (2001). D.D.T. 6:529 4) http://www.ema.europa.eu Tabella1: N. campioni previsto ed effettuato 140 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISULTATI DEL PROGRAMMA COMUNITARIO DI MONITORAGGIO PER LISTERIA MONOCYTOGENES IN ALIMENTI PRONTI AL CONSUMO NELLA CITTA’ DI GENOVA NEL 2011 Barbaro A.*[1], Galleggiante Crisafulli A.[1], Rubini D.[2], Gennari M.[2], Teneggi M.E.[2], Bavetta S.[3], Chiavacci L.[1] Keywords: Listeria monocytogenes, Ready-to-eat food, Survey S.S. Osservatorio Epidemiologico, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino, [2] S.S. Sezione Genova, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Genova, [3] Azienda Sanitaria Locale 3 “Genovese” ~ Genova [1] SUMMARY: According to Decision EU 678/2010, all member state shall carry out a coordinated monitoring programme to assess the prevalence of L. monocytogenes in three ready-to-eat food categories (soft cheeses and semi soft, fishery products and meat products subjected to heat treatment). The paper reported the results related to Genoa, one of the 12 Italian cities selected. 114 samples were collected, the pathogen was found in smoked fish (9/58; 15.5%) and cheese (2/28; 7.1%) while all meat products were negative. INTRODUZIONE: Listeria monocytogenes è un batterio ubiquitario, ampiamente diffuso nell’ambiente, responsabile di una patologia chiamata listeriosi, causata dall’ingestione di cibi contaminati (5). I soggetti più a rischio sono gli immunocompromessi, donne in gravidanza, bambini e anziani. Le caratteristiche intrinseche del batterio gli consentono di sopravvivere a temperature di refrigerazione e di resistere nell’ambiente grazie alla capacità di formare biofilm sulle superfici e utensili di lavoro (4). Gli alimenti più a rischio di contaminazione sono quelli pronti al consumo (ready to eat-RTE) conservati a temperatura di refrigerazione (7). Tra questi, il Report EFSA 2009 riporta come matrici maggiormente contaminate i formaggi molli e semimolli (1.1% di positività), i prodotti della pesca (1.0% di positività) e i prodotti a base di carne sottoposti a trattamento termico (0.3% di positività) (2). Tra i prodotti della pesca, il salmone affumicato risulta essere quello maggiormente contaminato ed è considerato una potenziale fonte d’infezione per l’uomo (8). La contaminazione può avvenire in tutte le fasi del processo produttivo e si moltiplica anche durante il periodo di conservazione in frigoriferi domestici e di rivendite al dettaglio che non sempre mantengono le temperature raccomandate dai produttori (6). Partendo da tale contesto e considerando il potenziale rischio di L. monocytogenes nel pesce affumicato, nei formaggi molli e semimolli e nei prodotti a base di carne sottoposti a trattamento termico, la Commissione Europea, con la Decisione CE 678 del 5 novembre 2010 ha istituito, per l’anno 2011, una survey per valutare la presenza di L. monocytogenes sul territorio comunitario nelle tre tipologie di alimenti RTE considerate più a rischio. MATERIALI E METODI: Le caratteristiche e le finalità della survey sono specificate dal piano che definisce anche le categorie di alimenti da sottoporre a campionamento, le modalità di campionamento e le analisi da effettuare. Alla città di Genova sono stati attribuiti 112 campioni di alimenti RTE da prelevare presso esercizi di vendita al dettaglio (minimarket, discount, supermercati e ipermercati) selezionati casualmente e inseriti in un sistema informativo ad hoc. I campioni sono stati prelevati dall’Azienda Sanitaria Locale 3 di Genova da luglio 2011 a novembre 2011. Le categorie di prodotti da campionare erano rappresentati da formaggi a pasta molle o semimolle (N=28), prodotti a base di carne sottoposti a trattamento termico da consumare freddi (N=28) e pesce affumicato (N=56). Nell’ambito di tale programma, i compiti dell’IZS erano quelli di accertare l’idoneità dei campioni conferiti dall’ASL, eseguire le prove, trasferirne i risultati nel SIPSA (Sistema Informativo per i Programmi di controllo in Sicurezza Alimentare) e inviare al Laboratorio Nazionale di Riferimento (IZS Abruzzo e Molise) gli eventuali ceppi isolati. Tutti i campioni pervenuti sono stati sottoposti contestualmente ad analisi qualitativa in 25 g (metodica ISO 11290-1) e quantitativa (metodica ISO 11290-2) per la ricerca ed il conteggio di L. monocytogenes, alla data di scadenza riportata in etichetta, ad esclusione del pesce affumicato. Per questa matrice, infatti, il numero complessivo di campioni da analizzare (N=56) doveva essere ricavato da 28 partite poiché il piano prevedeva due campioni da destinare all’analisi entro 24 ore dall’arrivo in laboratorio e alla data di scadenza. Inoltre sul campione analizzato all’arrivo in laboratorio sono state effettuate le misurazioni di pH e Aw, poiché anche tali parametri influenzano la proliferazione di L. monocytogenes (3). RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono stati prelevati e analizzati 114 campioni, 2 in più rispetto a quelli previsti dal piano per la categoria pesce affumicato (tabella 1). Le temperature di trasporto registrate all’arrivo del campione in laboratorio rientravano nell’intervallo richiesto ovvero tra 2°C e 8°C. Per quanto riguarda i campioni in attesa di essere esaminati al termine del periodo di shelf-life, la temperatura di conservazione era compresa tra 2°C e 4°C. Nei campioni di pesce affumicato all’arrivo in laboratorio il pH ha fornito risultati compresi tra 5.7 e 6.2; l’Aw tra 0.90 e 0.97. Tali risultati confermano tale alimento come “terreno favorevole alla crescita di L. monocytogenes” in accordo al reg. CE 2073/2005 e ss.mm.ii. I 28 prodotti a base di carne sono risultati sempre conformi ad entrambe le analisi . Due campioni su 28 (7,1%) di formaggio sono risultati non conformi all’analisi qualitativa. Per quanto riguarda i campioni di salmone affumicato: dei 58 campioni analizzati 9 (15,5%) sono risultati positivi solo all’analisi qualitativa. Questi risultati confermano quelli ottenuti in altri studi di prevalenza (1, 9) e mostrano che il consumatore è stato esposto ad un potenziale rischio visto che il prelievo dei campioni è stato effettuato in commercializzazione. Tuttavia poiché l’analisi quantitativa in tutti i campioni ha mostrato conteggi sempre inferiori a 100 UFC/g, il problema trat- 141 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 tandosi di alimenti RTE, può essere ridimensionato. Va considerato inoltre che il reg. CE 2073/05 e ss.mm.ii. stabilisce che l’analisi qualitativa è riservata ai campioni, per i quali il produttore, sia in grado di dimostrare all’Autorità competente, mediante specifici studi di shelf life e challenge test, che il proprio prodotto immesso nel circuito di commercializzazione non supererà 100 UFC/g nel periodo di conservabilità. In assenza di tale documentazione i campioni devono, invece, essere analizzati con il metodo qualitativo. L’impostazione dello studio ha permesso di valutare tutti i campioni di pesce affumicato analizzati, con entrambi i metodi, all’arrivo in laboratorio e alla fine della shelf life. A tal fine si riportano i risultati delle analisi qualitative relativi alle 29 partite corrispondenti a 58 campioni: - 22 conformi in entrambi i momenti; - 2 non conformi in entrambi i momenti; - 4 non conformi solo alla fine della shelf life; - 1 non conforme solo all’arrivo in laboratorio. Tali risultati aprono ad una riflessione di fondamentale importanza ovvero quali garanzie i produttori di alimenti RTE classificabili come terreno favorevole alla crescita di L. monocytogenes offrono al consumatore? Per i campioni del presente piano non è stato possibile acquisire tali informazioni all’atto del campionamento e i risultati favorevoli delle analisi quantitative mostrano verosimilmente che le partite campionate non abbiano rappresentato un pericolo concreto per il consumatore. Purtroppo nella fase di prelievo del campione l’impossibilità di acquisire le informazioni circa le garanzie offerte dal produttore, si pensi ai prodotti importati, rappresenta una criticità che pregiudica l’efficienza del’intero sistema di controlli; si ricorda infatti che tali dati sono fondamentali per definire il tipo di analisi da eseguire in laboratorio e la scelta dei provvedimenti da adottare in caso di risultato non conforme. Tabella 1: frequenze di prelievo per tipo campione BIBLIOGRAFIA: 1) Di Pinto A., Novello L., Montemurro F., Bonerba E., Tantillo G.(2010). Occurrence of Listeria monocytogenes in ready to eat foods from supermarkets in southern Italy. New Microbiologica, 33:249-252. 2) European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents and Food-borne Outbreaks in 2009; EFSA Journal 2011; 9(3):2090. [378pp.] doi:10.2903/j. efsa.2011.2090. 3) Jay M. James, Loessner J. Martin, Golden A. David, (2005) Microbiologia degli alimenti, Springer. 4) Kalmokoff M.L., Austin J.W.X., Wan D., Sanders G., Banerjee S., Farber J.M. (2001). Adsorption, attachment and biofilm formation among isolates of Listeria monocytogenes using model conditions. Journal of Applied Microbiology, 91: 725–734. 5) Mead P.S., Dunne E.F., Graves L., Wiedmann M., Patrick M., Hunter S., Salei E., Mostashari F., Craig A., Mshar P., Bannerman T., Sauders B.D., Hayes P., Dewittw., Sparling P., Griffin P., Morse D., Slutsker L., Swaminathan B.(2006). Nationwide outbreak of listeriosis due to contaminated meat. Epidemiol. Infect. 134, 744-751. 6) Murru N., Mormile A., Barile M., Pezone G. Ricerca di L. monocytogenes in alimenti e frigoriferi di case di cura. A.I.V.I online Giugno 2011, vol. 1 n. 0. 7) Nuvolosi R., Pedonese F., D’Ascenzi C., Rindi S. (2006). La valutazione del rischio da Listeria monocytogenes in alimenti pronti al consumo. Annali Fac. Med. Vet. LIX. 8) Rørvik L.M. (2000) “Listeria monocytogenes in the smoked salmon industry”. Int. J. Food Microbiol., 62, 183-190. 9) Uyttendaele M., Busschaert P., Valero A., Geeraerd A.H., Vermeulen A., Jacxsens L., Goh K.K., De Loy A., Van Impe J.F., Devlieghere F. (2009). Prevalence and challenge tests of Listeria monocytogenes in Belgian produced and retailed mayonnaise-based deli-salads, cooked meat products and smoked fish between 2005 and 2007. Int. J. Food Microbiol. 133, 94-104. 142 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 DIAGNOSTICA VIROLOGICA DI PRRS: STUDIO COMPARATIVO TRA METODICHE BIOMOLECOLARI CLASSICHE E INNOVATIVE CON CAMPIONI OTTENUTI DA UN’INFEZIONE SPERIMENTALE Belfanti I.*[1], Mondin A.[2], Drigo M.[2], De Mateo Aznar M.[1], Bortoletto G.[2], Nardelli S.[1], Ceglie L.[1] Keywords: PRRS, PCR, validazione metodi 1ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELLE VENEZIE, STRUTTURA COMPLESSA 5 – SANITA’ E BENESSERE ANIMALE ~ LEGNARO, [2] 2UNIVERSITA’ DI PADOVA, DIPARTIMENTO DI MEDICINA ANIMALE, PRODUZIONI E SALUTE ~ LEGNARO [1] SUMMARY: Porcine reproductive and respiratory syndrome (PRRS) is reported as the most important disease currently affecting the pig industry worldwide. A comparative evaluation of 4 different molecular methods (RTPCR end-point and Real-time) on samples collected during an experimental infection trial was performed. TaqMan probe systems may be inefficient in detecting mutant viruses because of their genetic variability leading to a diagnostic failure. In-house assays can be easily adapted to new circulating strains being more flexible than commercial kits if they are not constantly updated. INTRODUZIONE: Il virus della PRRS va ascritto fra i più importanti agenti patogeni dell’allevamento suino, a livello degli apparati riproduttivo e respiratorio, tanto da essere inserito nei monitoraggi diagnostici a livello aziendale. Metodi elettivi per la diagnosi virologica sono l’isolamento su colture cellulari (colture primarie di macrofagi alveolari) e tecniche di biologia molecolare. La difficoltà pratica nel reperire cellule idonee in termini di sensibilità e di sterilità da utilizzare nelle prove di isolamento virale rende l’approccio molecolare basato su PCR (end-point e Real time) quello maggiormente impiegato per motivi di rapidità e semplicità dei metodi. Per evidenziare vantaggi e svantaggi di ciascun metodo, è necessario eseguire un’approfondita validazione su gruppi di campioni raccolti in condizioni controllate, per la determinazione della sensibilità (Se) e specificità (Sp) diagnostiche. Il virus della PRRS è caratterizzato da marcata instabilità genetica dei ceppi, fattore che spiega l’ampia variabilità dei virus e la frequente reintroduzione di stipiti riassortiti in allevamenti già infetti, con effetto di una nuova ricomparsa della malattia (3). Varie tipologie di PCR, convenzionali e Real time (con o senza sonda), sono ora disponibili, sia di tipo commerciale che in-house. Scopo del lavoro è stato comparare 4 metodi biomolecolari con campioni raccolti durante un’ infezione sperimentale con un ceppo europeo di PRRS a concentrazione nota, per determinarne le performance analitiche e diagnostiche. MATERIALI E METODI: L’infezione sperimentale è stata condotta all’interno di un’azienda suinicola da riproduzione a ciclo chiuso (azienda A), su 12 scrofette negative per anticorpi contro PRRSV (età 3-4 settimane) e provenienti da un’azienda certificata e storicamente indenne da questa infezione (azienda B). Nell’azienda B 5 animali appartenenti allo stesso gruppo introdotto nell’azienda A sono stati mantenuti come controllo negativo per la validazione. Per la prova, 12 scrofette sieronegative sono state contemporaneamente inoculate per via intramuscolare e nasale impiegando il ceppo virale di PRRS europeo normalmente circolante nell’azienda A, preventivamente titolato (concentrazione virale di 3x107 copie/ml), quindi sottoposte a prelievi longitudinali dal giorno 0 al giorno 76 p.i.; durante la sperimentazione gli animali sono stati stabulati in un unico box e in una stanza dedicata. Due delle 12 scrofette sono state sacrificate al giorno 10 e 35 p.i., per creare uno stock di materiale diagnostico necessario alla validazione di prove virologiche. In totale sono stati ottenuti 528 tra campioni di sangue, tamponi nasali, salivari e da prelievo di goccia di sangue dalla vena auricolare, che sono quindi stati estratti con i kit High Pure Viral RNA e High Pure RNA Isolation Kit (Roche Diagnostics), previa aggiunta di un controllo interno (IC), per la determinazione di falsi negativi. L’RNA è stato amplificato seguendo 4 protocolli diversi: RT-PCR convenzionale (A), RT-PCR in Real time con SybrGreen (B), con sonde specifiche in-house (C), e un un kit di One Step RT-PCR Real time di tipo commerciale (D), tutti aventi come bersaglio un frammento dell’ORF 7. Gli strumenti utilizzati sono il termociclatore classico ABI 9700 per A, il 7900HT FAST Real time PCR system per D, entrambi di Life Technologies, il LightCycler480 (Roche) per i protocolli in-house B e C. Per ciascun metodo, sono stati definiti i parametri di Se analitica, allestendo diluizioni seriali in base 10 delle matrici biologiche in esame a titolo noto, di Sp analitica (inclusività ed esclusività) e della ripetibilità within run and between days. Inoltre, sulla base degli esiti ottenuti, dal confronto tra i metodi e le matrici, è stato possibile definire le relative Se e Sp diagnostiche. La procedura di validazione rappresenta una parte di quanto stabilito nei capitoli 1.1.4/5 dell’ OIE Terrestrial Manual 2010. L’analisi di Se e Sp tra i metodi di PCR è stata condotta con il software SPSS for Windows (Rl. 12.0.1. 2001, Chicago:SPSS inc.), mettendo alternativamente le PCR come gold standard e confrontando quindi le altre. La concordanza è stata valutata calcolando il valore K di Cohen. RISULTATI E CONCLUSIONI: I 528 campioni prelevati durante l’infezione sperimentale e i 20 controlli negativi sono stati saggiati con i diversi metodi sopra descritti, eccetto che con il kit commerciale (D) che non riconosceva il ceppo di campo utilizzato. Riguardo la RT-PCR classica, le positività sono state attribuite a seconda dell’intensità della banda. Per quanto riguarda i risultati della Real time RT-PCR in-house con sonda, invece, le positività sono state categorizzate da “pos” a “pos+++” in funzione di range di Ct rilevati. Nelle tabelle allegate da 1 a 4, sono riportati i valori di Se e Sp relative e di concordanza calcolati sugli esiti delle 4 prove prese in considerazione, suddivisi per le 4 matrici diagnostiche esaminate (sangue, vena giugulare – sangue, tampone da vena auricolare – tampone basale – tampone orale). Le analisi biomolecolari effettuate con i campioni di organo in diluizione hanno evidenziato il fallimento dei protocolli di Real time PCR con sonde TaqMan, dovuto all’imprevedibile mutazione del ceppo PRRSV storico circolante nell’azienda. A fronte 143 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 di ciò, il protocollo in-house è stato riveduto con l’introduzione di una sonda supplementare ridisegnata ad hoc per il ceppo mutante. Diversamente non è stato possibile fare per il kit commerciale. Dal raffronto delle prove di Se analitica e diagnostica dei protocolli esaminati è stata osservata una leggera differenza di Se analitica del protocollo Real time rispetto alla RT-PCR classica (2), attribuibile al diverso volume di RNA estratto introdotto nella miscela di reazione (10 volte inferiore per la Real time); questa diversità si rende più evidente in termini di Se diagnostica, dove il protocollo di Real time risulta penalizzato nelle fasi iniziali e finali di viremia. Dal confronto dei risultati di Se analitica tra i metodi di RT-PCR classica e Real-time in-house con sonda emerge come essa risulti in entrambi i casi molto elevata, soprattutto considerando la lettura in HighSensitivity, nel caso della Real time. Un terzo dato è rappresentato dall’opportunità di poter monitorare il processo di PCR tramite l’inclusione di un IC universale che ha consentito di evidenziare alcune situazioni di inibizione e quindi esiti falsamente negativi (1). Questo studio comparativo ha permesso di osservare il parziale fallimento del kit commerciale analizzato (D), non tanto dal punto di vista della Se analitica con i ceppi di riferimento che faceva prevedere ottimi risultati anche su campo, quanto per la mancata capacità di rilevazione del ceppo impiegato nella sperimentazione, dimostrando la necessità di un continuo aggiornamento delle sequenze delle sonde impiegate rispetto alla situazione epidemiologica. La possibilità di una maggiore libertà d’azione nel protocollo C mostra la maggiore flessibilità ed adattamento alle esigenze del territorio da parte dei metodi in-house con sonde, rispetto all’impiego di kit commerciali. Quanto successo porta all’importante considerazione che l’adozione di kit commerciali già ottimizzati e validati dalle ditte fornitrici deve comunque prevedere una fase di riesame preliminare alla messa in routine nel laboratorio, con particolare attenzione agli stipiti circolanti sul territorio di competenza, per prevenire casi di falsa negatività, conseguenti ad una ridotta sensibilità diagnostica. 144 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1) Hoffmann B., Depner K., Schirrmeier H. & Beer M. 2006 “A universal heterologous internal control system for duplex real-time RT-PCR assays used in a detection system for pestiviruses” J. Virol. Met.136, 200–209 2) Persia D., Pacciarini M.L., Cordioli P., Sala G., 2001 “Evaluation of Three RT-PCR Assays for the Detection of Porcine and Respiratory Syndrome Virus in Diagnostic Samples.” Proceedings of the 10th International Symposium of Veterinary Laboratory Diagnosticians and OIE Seminar on Biotechnology, 440-441 3) Toplak I, Rihtarič D, Hostnik P, Grom J, Stukelj M, Valenčak Z. 2012 “Identification of a genetically diverse sequence of porcine reproductive and respiratory syndrome virus in Slovenia and the impact on the sensitivity of four molecular tests.” J Virol Methods. Jan;179 (1):51-6. 145 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE PRODUTTIVE E DEI PARAMETRI EMATOLOGICI IN POLLI DA CARNE ALIMENTATI CON DIETE INTEGRATE CON VERBASCOSIDE Bergagna S.[1], Dezzutto D.[1], Mellia E.[1], Salcedo W.[2], De Marco M.[2], Forneris G.[2], Corino C.[3], Gennero M.S.*[1], Schiavone A.[2] Keywords: broiler chicken, growth performance, verbascoside [1] Istituto Zooprofilattico Sperimentale PLV ~ Torino, Dipartimento di Scienze Veterinarie. Università di Torino ~ Torino, [3] Dipartimento di Scienze e Tecnologie Veterinarie per la Sicurezza Alimentare. Università di Milano ~ Milano [2] SUMMARY: The objective of the present study was to evaluate the effects of dietary verbascoside (VB) on growth performances and blood traits in broiler chicken. Optimizing the feed conversion ratio is crucial for efficiency in poultry production. Feed conversion ratio was affected by VB supplementation and final body weight resulted numerically higher in the treated groups. VB modulated protein metabolism and at the higher dosage negatively affected H/L ratio. INTRODUZIONE: L’impiego di antibiotici come additivi promotori di crescita in ambito zootecnico ha consentito, a partire dagli anni 50, un notevole miglioramento dell’efficienza delle produzioni contribuendo al miglioramento del benessere degli animali di allevamento. Tuttavia l’Europa, dato il rischio di propagazione di ceppi batterici resistenti, ha bandito l’uso di tali sostanze come additivi destinati all’alimentazione animale (Reg. CE 1831/2003) determinando serie ripercussioni sulle performance di crescita, in particolare nell’industria del pollame. Nel corso degli anni, diversi studi scientifici hanno dimostrato l’efficacia di sostanze naturali, con effetto antimicrobico, più sicure per l’ambiente (3). In particolare, le piante rappresentano la maggior risorsa per l’estrazione di principi attivi utili per la produzione di farmaci. Questi composti, confrontati con gli antibiotici sintetici, risultano meno tossici e privi di residui dannosi per l’ambiente e sono considerati ideali promotori di crescita nelle diete per animali (4). Hernandez et al. (6), infatti, hanno dimostrato come gli estratti derivati da Salvia officinalis, Thymus vulgaris e Rosmarinus officinalis favoriscano la digeribilità del mangime nei broiler, migliorandone le performance produttive (5). I fenilpropanoidi glicosidi (PPG) sono un importante gruppo di sostanze chimiche estratte dalle piante. E’ noto che i PPG, come altri polifenoli vegetali, siano potenti antiossidanti (12). Tra questi, il verbascoside, si è rivelato essere utile nella prevenzione dello stress ossidativo grazie alle sue proprietà antitumorali, antivirali, antinfiammatorie, antibatteriche, antiossidanti, epatoprotettive e “scavenger” dei radicali liberi (9). In ambito veterinario, le proprietà antiossidanti di tale sostanza sono state dimostrate negli ovini (1) prima dello svezzamento e nei suini (2) svezzati. Obiettivo di questo lavoro è stato quello di valutare l’effetto dell’integrazione con verbascoside in diete per broiler, analizzando alcuni parametri ematologici e le performance produttive. MATERIALI E METODI: 28 broiler maschi sani (Ross 508), selezionati per assenza di segni clinici visibili, sono stati suddivisi casualmente in 3 gruppi sulla base della dieta somministrata: gruppo C (controllo, alimentato con dieta basale); gruppo BV (dieta basale + 2,5 mg verbascoside/kg dieta); gruppo AV (dieta basale + 5 mg verbascoside/kg dieta). Il verbascoside è stato ottenuto da un estratto di foglie di Verbenaceae (Lippia spp.). I broiler sono stati allevati per 35 giorni, dal giorno 1 al giorno 35. A partire dal giorno 14 sono stati registrati su base settimanale l’incremento ponderale e il consumo di alimento, per il calcolo dell’indice di conversione alimentare (ICA). Al giorno 34 sono stati effettuati i prelievi ematici per la valutazione delle concentrazioni sieriche di proteine totali, aspartato transaminasi (AST), alanina amino transferasi (ALT) e acido urico utilizzando un fotometro per chimica clinica (Screen Master Touch, Hospitex Diagnostics). La separazione delle proteine sieriche (albumina e α, β, γ globuline) mediante elettroforesi su gel di agarosio è stata effettuata con Hydrasis (Sebia). È stata inoltre eseguita la conta eritrocitaria e leucocitaria e calcolato il rapporto eterofili/linfociti (E/L) su sangue intero. Infine, la concentrazione sierica dell’α1 glicoproteina acida (μg/ml) è stata misurata per immunodiffusione radiale tramite kit commerciale (Cardiotech Services, Inc.) e la concentrazione di lisozima (μg/ml), misurando l’alone di inibizione della crescita di Micrococcus lysodeikticus incluso in gel di agar (11). I dati sono stati sottoposti ad analisi della varianza utilizzando il trattamento alimentare come fonte di variazione. Il confronto fra i gruppi di studio è stato ottenuto con il test di Dunnett. RISULTATI E CONCLUSIONI: Il presente studio è stato finalizzato alla valutazione dell’effetto sulle performance di crescita e su alcuni parametri ematologici dell’integrazione con verbascoside nella dieta di polli da carne. Studi precedenti (7-8) hanno dimostrato un miglioramento delle prestazioni produttive in broiler alimentati con mangimi arricchiti con sostanze antiossidanti. Alcuni ricercatori suggeriscono che l’effetto positivo delle piante medicinali sia collegato alla presenza di composti bioattivi che potrebbero influenzare l’assunzione di alimento e la secrezione di succhi gastrointestinali, migliorando la digestione e i processi di assorbimento, con conseguente incremento ponderale. I risultati ottenuti dalla sperimentazione in oggetto sono presentati nella Tabella 1. Durante il periodo 14-35 giorni l’ICA dei gruppi trattati ha mostrato valori significativamente inferiori rispetto al controllo, in accordo con Javed et al. (7). Al contrario il peso della carcassa non è stato influenzato dall’integrazione con antiossidanti naturali, come dimostrato anche da Ocak et al. (10). L’ottimizzazione dell’ICA è fondamentale per migliorare l’efficienza produttiva soprattutto in un periodo di crisi per il settore mangimistico. I gruppi BV e AV mostrano bassi livelli serici di proteine totali (P<0.001), albumina (P<0.001) e α globuline (P< 0.01) rispetto al gruppo C. Il gruppo AV inoltre mostra valori più bassi di β e γ globuline (P< 0.05) e valori di E/L maggiori rispetto al gruppo di controllo (P< 0.01). I valori di ALT del 146 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 gruppo AV sono tendenzialmente differenti rispetto al gruppo C (P= 0.051). Il VB, quindi, sembra modulare il metabolismo proteico e ad alti dosaggi potrebbe influenzare negativamente il rapporto E/L. In conclusione, l’integrazione della dieta con verbascoside migliora le performance di crescita nel pollo da carne, tuttavia meritano di essere approfonditi gli effetti di tale integrazione su parametri mebolici degli animali. Tabella 1 - Performance produttive e parametri ematologici in broiler alimentati con diete integrate con verbascoside (n=8) (media ± ds). Confronto tra gruppo C (gruppo di controllo), gruppo BV (dieta basale + 2,5 mg verbascoside/kg dieta) e gruppo AV (dieta basale + 5 mg verbascoside/kg dieta). * Indica una differenza quando il trattamento viene confrontato con il controllo ( t-test di Dunnet, P < 0.05) BIBLIOGRAFIA: 1. Casamassima, D., Palazzo, M., Presutti, T., Colella, G.E. (2009). Productive performances, plasmatic oxidative status and some blood parameters in suckling lambs supplemented with verbascoside. In Proceedings of the ASPA XVIII Congress, 668. 2. Corino, C., Rossi, R., Musella, M., Cannata, S., Pastorelli, G. (2007). Growth performance and oxidative status in piglets supplemented with verbascoside and teupolioside. In: Proceedings of the ASPA XVII Congress, 292-294. 3. Fulton, R.M., Nersessian, B.N., Reed, W.M. (2002). Prevention of Salmonella enteritidis infection in commercial ducklings by oral chicken egg-derived antibody alone or in combination with probiotics. Poultry Science 81: 34-40. 4. Hashemi, S.R., Zulkifli, I., Hai Bejo, M., Farida, A., Somchit, M.N. (2008). Acute toxicity study and phytochemical screening of selected herbal aqueous extract in broiler chickens. International Journal of Pharmacology 4: 352-360. 5. Hashemi, S.R., Davoodi, H. (2010). Phytogenics as new class of feed additive in poultry industry. Journal of Animal and Veterinary Advances 9: 2955-2304. 6. Hernandez, F., Madrid, J., Garcia, V., Orengo, J., Megias, M.D. (2004). Influence of two plant extracts on broiler performance, digestibility, and digestive organ size. Poultry Science 83: 169-174. 7. Javed, M., Durrani, F.R., Hafeez A, Khan R., Ahmad, I. (2006) . Extract of plant mixture on carcass quality of broiler chicks. ARPN Journal of Agricultural and Biological Science 1: 115-121. 8. Khaligh, F., Sadeghi, G., Karimi, A., Vaziry, A. (2011). Evaluation of different medicinal plants blends in diet for broiler chickens. Journal of Medicinal Plants Research 5: 1971-1977. 9. Korkina, L.G. (2007). Phenylpropanoids as naturally occurring antioxidants: from plant defense to human health. Cellular and Molecular Biology 53: 15-25. 10. Ocak, N., Erener, G., Burak, F.A., Sungu, M., Altop, A., Ozmen, A. (2008). Performance of broilers fed diets supplemented with dry peppermint (Mentha piperita L.) or thyme (Thymus vulgaris L.) leaves as growth promoter source. Czech Journal of Animal Science 53: 169-175. 11. Osserman, E. F., Lawlor, D. P. (1996). Serum and urinary lysozyme (muramidase) in monocytic and monomyelocytic leukaemia. Journal of Experimental Medicine 124: 921-925. 12. Paola, R.D.I., Oteri G., Mazzon, E., Crisafulli, C., Galuppo, M., Dal Toso, R., Pressi, G. Cordasco, G., Cuzzocrea, S. (2011). Effects of verbascoside, biotechnologically purified by Syringa vulgaris plant cell cultures, in a rodent model of periodontitis. Journal of Pharmacy and Pharmacology 63: 707-717. 147 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DEL GENERE SALMONELLA IN UN FOCOLAIO DI TOSSINFEZIONE ALIMENTARE Bertasi B.*[1], D’Amico S.[1], Tilola M.[1], Ferrari M.[1], Panteghini C.[1], D’Incau M.[1], Finazzi G.[1], Daminelli P.[1], Bonomini A.[2], Pedroni P.[2], Losio M.N.[1] Keywords: Salmonella, PFGE, Riboprinter Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna ~ Brescia, [2] Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda ~ Brescia [1] SUMMARY: The transmission of Salmonella to humans mainly occurs through the ingestion of animal origin contaminated food. Salmonella infections are, in most industrialized countries, a major cause of foodborne humans illness. First aim of this work was to assess the existence of a correlation between the Salmonella strains isolated from patients and those isolated from food, through two molecular techniques (PFGE and Ribotyping). Moreover, we have compared the discriminative power and the consequent usefulness in cases food-borne of these two molecular techniques. INTRODUZIONE: La trasmissione di Salmonella all’uomo avviene principalmente attraverso l’ingestione di alimenti di origine animale contaminati. Le infezioni da Salmonella rappresentano in Italia, come negli altri paesi industrializzati, una delle principali cause di malattia a trasmissione alimentare nell’uomo (1). Secondo il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle malattie (ECDC) e l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), nel 2007 sono stati registrati 151.995 casi di salmonellosi nell’uomo in UE, che corrisponde ad un’incidenza di 31,1 casi su 100.000 abitanti (2). La Comunità Europea ha emanato la Direttiva 2003/99/ CE che indica le Salmonelle quali agenti zoonotici da sottoporre a sorveglianza sanitaria (3). Inoltre, con il Regolamento (CE) n. 1441/2007 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari viene stabilito l’obbligo dell’assenza di Salmonella in 25 gr nella carne macinata e nei preparati a base di carne destinati ad essere consumati crudi, su 5 unità campionarie (4). I metodi fenotipici di identificazione e caratterizzazione, stabiliti nelle metodiche ISO previste dalla legislazione, non risultano però sufficienti a stabilire le reali correlazioni tra intossicazione e causa; a tal proposito, negli ultimi anni, si è cercato di mettere a punto metodiche molecolari di caratterizzazione più discriminanti quali la ribotipizzazione e la PFGE. Il presente lavoro intende effettuare una caratterizzazione genotipica di vari ceppi di Salmonella isolati in seguito ad un focolaio tossinfettivo verificatosi nell’estate 2012 in provincia di Brescia. Da alcuni ospiti di una casa di cura per anziani, ricoverati presso l’ospedale di competenza in seguito a gastroenterite acuta, sono stati isolati ceppi di Salmonella; successivamente, dalle informazioni raccolte relative alla dieta seguita, è stato individuato come possibile fonte infettiva un salume di origine industriale. In seguito poi ad ispezione presso l’azienda produttrice sono stati effettuati diversi campionamenti sia ambientali che dei prodotti, alcuni dei quali risultati positivi al medesimo patogeno. L’obiettivo di questo studio è stato innanzitutto valutare l’esistenza di una correlazione tra i ceppi di Salmonella isolati dai pazienti e quelli isolati dall’alimento tramite l’utilizzo delle due tecniche molecolari sopracitate e confrontarne il potere discriminante e la conseguente utilità in casi di tossinfezione alimentare. MATERIALI E METODI: Dai 5 pazienti colpiti dalla tossinfezione sono stati isolati 7 ceppi di Salmonella presso il laboratorio di analisi dell’ospedale di Manerbio (BS). Tutti i 10 campioni ambientali sono risultati negativi allo screening in PCR Real-Time, mentre dei 2 prodotti campionati, ipoteticamente imputati come fonte epidemiologica, solo 1 è risultato positivo e da questo, presso il laboratorio di microbiologia degli alimenti dell’IZSLER di Brescia, utilizzando la metodica ISO 6579:2002 – Cor1:2004 e l’ AnnexD/ISO 579:2007, sono stati isolati 5 ceppi di Salmonella. Quest’ultimi sono stati identificati mediante sierotipizzazione e caratterizzati utilizzando due metodiche molecolari, l’elettroforesi in campo pulsato (PFGE) e la Ribotipizzazione automatica. La subtipizzazione mediante PFGE è stata eseguita in accordo con il protocollo PulseNet, impiegando XbaI come enzima di restrizione. L’analisi dei pulsotipi ottenuti è stata effettuata utilizzando il software Bionumerics, impostando il coefficiente di Dice per calcolare i valori di similarità e l’algoritmo UPMGA, con 1% di tolleranza e 1% di ottimizzazione, per ottenere il dendrogramma. I pulsotipi che differivano per almeno una banda sono stati considerati come distinti. I profili di PFGE ottenuti sono stati confrontati con quelli del database disponibile in modo tale da riuscire ad attribuirne il nome, in accordo con la nomenclatura definita dal sistema PulseNet Europa. La ribotipizzazione è stata eseguita tramite strumento RiboPrinter DuPont di Qualicon (5) che ha permesso, oltre all’identificazione, la caratterizzazione batterica attraverso il confronto dei pattern ottenuti tramite digestione enzimatica del frammento genico 16S rRNA. L’assegnazione ai diversi ribogruppi viene subordinata ad una valutazione automatica di similarità pari almeno al 95%. La sospensione batterica in buffer è stata inattivata termicamente e successivamente sottoposta a digestione enzimatica con enzima PVUII (in accordo alle indicazioni del produttore) , corsa elettroforetica, trasferimento su membrana ed ibridazione con una sonda specifica per l’rRNA. Il segnale emesso, catturato da una macchina fotografica, è stato rielaborato automaticamente dal software dello strumento in un report. I risultati ottenuti sono stati elaborati anche mediante software Bionumerics 6.6 per la realizzazione di dendrogrammi di similarità impostando il coefficiente di Pierce. RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati dei campioni analizzati dimostrano che la fonte di contaminazione è da attribuire alla materia prima piuttosto che al processo di lavorazione; i tamponi ambientali sono infatti risultati tutti negativi, mentre ceppi di Salmonella sono stati isolati dal solo salame risultato positivo alla PCR. L’analisi mediante PFGE delle Salmonelle isolate dall’alimento considerato potenziale fonte epidemiologica e di quelle isolate dai pazienti interessati dalla tossinfezione ha portato all’individuazione di 4 diversi pulsotipi di Salmonella di origine alimentare e 4 di origine umana, di cui 2 comuni (similarità pari al 100%) e pertanto correlabili alla tossinfezione. L’isolato 148 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 di S.Bovismorbificans risulta presente nell’alimento ed in 4 pazienti su 5; inoltre, 2 pazienti sono infettati da 2 diversi ceppi di Salmonella. Infine, il ceppo di S.Derby, isolato a febbraio 2012 da un salame proveniente dalla medesima azienda coinvolta nella tossinfezione di luglio, non risulta correlato ad alcuno di questi ultimi ceppi, indicando una diversa origine di contaminazione (Fig.1). L’analisi mediante Ribotipizzazione automatica ha portato ad un risultato analogo per quanto concerne la diffusa contaminazione da parte di S.Bovismorbificans nei pazienti e la sua associazione alla tossinfezione; anche con questa tecnica gli stessi 2 pazienti dimostrano una duplice infezione da Salmonella. Analogamente il salame risulta contaminato da 4 tipi di Sal- monella, distribuiti in 4 ribogruppi, tra i quali rientrano sia isolati umani che alimentari, dimostrando ulteriormente l’associazione tra l’alimento sospetto e l’infezione dei pazienti (Fig.2). In conclusione tale lavoro ha dimostrato l’importanza dell’utilizzo delle metodiche molecolari di subtipizzazione in casi di focolai tossinfettivi stabilendone le effettive associazioni. Infine, la PFGE ha permesso di suddividere il ribogruppo 346-S-6 (che include 4 isolati) in 2 diversi pulsotipi (uno in cui sono raggruppati gli isolati di origine umana ed uno quelli alimentari) simili tra loro per l’82.3 %; questo evidenzia il maggiore potere discriminante della PFGE, tecnica che analizza l’intero genoma batterico, rispetto alla ribotipizzazione, che si focalizza sul solo 16S rDNA. Fig.1 Dendrogramma dei pulsotipi ottenuti dall’analisi in PFGE, utilizzando l’enzima XbaI, dei ceppi di Salmonella isolati dal salame imputato come fonte della tossinfezione e dai pazienti colpiti da gastroenterite. Fig.2 Dendrogramma dei profili ottenuti dalla ribotipizzazione automatica dei ceppi di Salmonella isolati dal salame imputato come fonte della tossinfezione e dai pazienti colpiti da gastroenterite. BIBLIOGRAFIA: 1. Istituto Superiore di Sanità. (2005) Infezioni da Salmonella: diagnostica, epidemiologia e sorveglianza. Rapporti ISTISAN 05/27 – ISSN 1123-3117 2. The Community Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses and Zoonotic Agents in the European Union in 2007. (2009) The EFSA Journal , 223. 3. Direttiva 2003/99/CE del 17 novembre 2003 sulle misure di sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici. G.U.C.E. 12.12.2003, L. 325, 31-37. 4. Regolamento (CE) n. 1441/2007 del 5 dicembre 2007 che modifica il Regolamento (CE) n. 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari. G.U.C.E. 07.12.2007, L. 322/12, 1-18. 5. De Cesare A., Manfreda G. 2005. Impiego del riboprinter per la caratterizzazione molecolare rapida dei batteri. 149 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 MONITORAGGIO DI VIBRIO SPP. IN MOLLUSCHI EDULI LAMELLIBRANCHI E ACQUA DI MARE Bertasi B.*[1], Galuppini E.[1], Consoli M.[1], Fusini F.[1], Pavoni E.[1], Saetti F.[1], Rubini S.[1], Daminelli P.[1], Finazzi G.[1], Losio M.N.[1] Keywords: Vibrio spp, molluschi eduli lamellibranchi, acqua di mare IZSLER ~ Brescia [1] SUMMARY: The aim of this work was to confirm, by Polymerase chain reaction (PCR), the samples of seawater and clams positive with cultural methods, in order to evaluate the presence of Vibrio cholera, Vibrio parahaemolyticus and Vibrio vulnificus in cosatal areas adjacent to the Po outfall. INTRODUZIONE: Tra i prodotti della pesca, indubbiamente i molluschi eduli lamellibranchi sono quelli più esposti a possibili contaminazioni di tipo microbiologico e biotossicologico. Nella maggioranza dei casi, sono organismi scavatori sessili o sedentari, che si nutrono di piccole particelle alimentari presenti nell’acqua o nei sedimenti mediante un meccanismo di filtrazione Durante questa intensa attività di filtrazione essi trattengono infatti nel loro organismo, più precisamente nell’epatopancreas, non solo il plancton necessario per nutrirsi, ma anche batteri e virus eventualmente presenti nell’ambiente. I molluschi eduli lamellibranchi sono implicati da sempre nella trasmissione di malattie gastroenteriche di diversa gravità come febbri tifoidi e colera. Fra i patogeni autoctoni dell’ambiente marino un ruolo primario nelle patologie dovute al consumo di molluschi è svolto dai microrganismi appartenenti alla famiglia delle Vibrionaceae (2). Tale famiglia comprende 5 generi differenti, tutti Gram negativi, ossidasi positivi, di forma lineare o curvata, mobili e asporigni. Il genere Vibrio, preso in considerazione in questo lavoro, comprende specie patogene, non patogene e opportuniste per l’uomo. Tra le specie patogene le più rappresentative sono: V. colerae, V. parahemolyticus e V. vulnificus . I Vibrio hanno una lunghezza di 2-3 µm, una larghezza di 0.5-0.8 µm; sono mobili grazie alla presenza di un flagello polare ed hanno una particolare caratteristica fase di quiescenza che gli permette di modificarsi in particolari condizioni avverse pur mantenendo la loro patogenicità. V. cholerae: I sierogruppi si differenziano in base all’antigene somatico O (O1; non-O1; non-O139). In correlazione alla loro patogenicità vi è la produzione di tossine da parte di alcuni di questi sierotipi, in particolare O1 e O139 che producono 2 citotossine: CTXA e CTXB. Invece i ceppi non-O1 e non-O139 producono enterotossine termostabili codificate dai geni stn/sto(3). V. parahaemolyticus: ToxR è il gene specie-specifico che viene ricercato per l’identificazione di V. parahaemolyticus; oltre a questo, i ceppi aventi i geni codificanti per la tossina termostable direct hemolysin (tdh) e/o la tossina tdh-related-hemolysin (trh) sono patogeni per l’uomo. V. vulnificus: Vvh è il gene target in PCR per l’emolisina/citolisina prodotta da questo microrganismo. Il seguente lavoro è stato eseguito all’interno di un progetto di ricerca campionando molluschi eduli lamellibranchi ed acqua di mare al fine di avere un’indicazione sull’incidenza dei vari tipi di Vibrio nelle zone limitrofe al delta del Po (Sacca di Goro, Lidi Ferraresi). MATERIALI E METODI: In totale, da marzo ad agosto 2012, sono stati analizzati in PCR 103 campioni cresciuti in coltura microbiologica, (326 erano negativi) di cui 43 acque di mare e 60 molluschi (Tapes semidecussatus). La preparazione, la semina nei terreni di coltura e la tipizzazione dei campioni, sono state eseguite nella sezione di Ferrara secondo le indicazioni descritte nei metodi di prova interni dell’IZSLER, mentre la PCR sulle patine colturali dei medesimi è stata effettuata nella sede IZSLER di Brescia. Estrazione del DNA genomico da colture batteriche: Questo metodo, comune per tutti i campioni è composto da differenti fasi: 1) sospensione delle colonie batteriche in 1 ml di acqua sterile, 2) centrifugazione a 15.000 x g per 5 minuti, 3) sospensione del pellet in 1 ml di acqua e ripetizione della centrifugazione, 4) sospensione del pellet in 200 µl di acqua sterile ed incubazione a 100°C per 10 minuti, 5) centrifugazione per 1 minuto a 15.000 x g. Identificazione di V. cholerae in colture batteriche mediante PCR I campioni destinati all’identificazione di V. cholerae tossigeno (ceppi O1 e O139) sono stati analizzati mediante PCR specifica per l’identificazione del gene ctxAB codificante per l’enterotossina colerica CTX (frammento A e frammento B); i primer CTXABFOR: 5’-TGA AAT AAA GCA GTC AGG TG-3’ e CTXABREV: 5’-GTG ATT CTG CAC ACA AAT CAG-3’ hanno dato una banda attesa di 779 bp con una reazione di 35 cicli ed annealing a 60°C per 1 minuto. Poiché alcuni ceppi (non-O1/non-O139) che non codificano per l’enterotossina colerica CTX, sono in grado comunque di indurre fenomeni colera-simili, è stata effettuata un’ulteriore analisi tramite PCR dei geni stn/sto che codificano per le enterotossine termostabili. I primer 67F: 5’-TCG CAT TTA GCC AAA CAG TAG AAA -3’ e 194R: 5’-GTC GGA TTG CAA CAT ATT TCG C-3’ danno una banda di 172 bp con una reazione di 35 cicli ed annealing a 55°C per 1 minuto. Identificazione di V. parahaemolyticus patogeno in colture batteriche mediante PCR I campioni destinati all’identificazione di V. parahaemolyticus sono stati analizzati mediante PCR del gene Tox-R. I primer toxRf: 5’GTC TTC TGA CGC AAT CGT TG-3’ e toxRr: 5’-ATA CGA GTG GTT GCT GTC ATG-3’ danno una banda di 368 bp con una reazione di 20 cicli ed annealing a 63°C per 1 minuto e 30 secondi. In seguito, solo i campioni positivi per questo gene specie specifico sono stati sottoposti ad analisi per la rilevazione dei geni codificanti per le tossine TDH (banda attesa 269 bp) e TRH (banda attesa 500 bp), che consentono di identificare ceppi patogeni per l’uomo. I primer TDHFOR: 5’-GTA AAG GTC TCT GAC TTT TGG AC -3’, TDHREV: 5’- TGG AAT AGA ACC TTC ATC TTC ACC-3’, TRHFOR: 5’-TTC GCT TCG ATA TTT TCA GTA TCT -3’ e TRHREV: 5’-CAT AAC AAA CAT ATG CCC ATT TCC-3’ sono stati impiegati in due distinte PCR con 30 cicli ciascuna ed un annealing di 58°C per 1 minuto. Identificazione di V. vulnificus in colture batteriche mediante PCR I campioni destinati all’identificazione di V. vulnificus sono stati analizzati mediante PCR del gene vvha; i primer VV1: 5’-CCT ATC GGG GCA GTG GCT -3’ e VV2: 5’- CCA GCC GTT AAC CGA ACC-3’danno una banda di 383 bp con una reazione di 35 cicli ed 150 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 annealing a 55°C per 1 minuto. RISULTATI E CONCLUSIONI: Non tutti i 103 campioni sono stati analizzati in parallelo per le tre specie (Fig.1). La richiesta di conferma degli esami colturali è stata differente da specie a specie e quindi il totale delle analisi in PCR è variato a seconda degli esami eseguiti presso i laboratori di Ferrara; alcuni campioni sono risultati doppiamente contaminati. Per V.cholerae sono stati analizzati 36 campioni, per V. parahaemolyticus 82 e per il V. vulnificus 5. Nelle tabelle 1 e 2 sono riportati i risultati ottenuti nel lavoro. Nessun campione è stato confermato in PCR per V. vulnificus. Da letteratura emerge come tali microrganismi siano stati trovati nell’ambiente marino sia liberi che associati con lo zooplancton; possono quindi frequentemente essere isolati dall’acqua di mare e dai prodotti della pesca (4); infatti anche nei risultati ottenuti, è emerso che i Vibrio sono presenti sia nei campioni di molluschi che nell’acqua di mare e dimostrano di essere dei batteri autoctoni. I risultati delle tipizzazioni microbiologiche dei batteri sono stati sempre confermati in PCR; inoltre, è stato possibile approfondire la tossigenicità dei ceppi isolati. Infatti, dei 5 campioni positivi per V. cholerae, 2 sono risultati tossigenici (ctxAB), mentre 3 non producevano tossina colerica, ma erano comunque patogeni per l’uomo (stn/sto). Anche per quanto riguarda V. parahaemolyticus, 76 degli 82 campioni cresciuti in coltura sono stati confermati in PCR. Di questi, 9 sono risultati codificanti per tossine patogene (tdh/trh). L’assenza di V. vulnificus è probabilmente dovuta al basso numero di campioni presi in considerazione ed alla minor diffusione dello stesso nel mare Adriatico, durante il periodo primavera-estate (1). In totale, il 9,5% dei campioni analizzati è risultato essere patogeno per l’uomo (Fig.2) e questo dato induce a considerare quanto sia necessario un’implementazione dei piani di monitoraggio in aree ad elevata attività di miticoltura. Figura 1 Figura 2 Tabella 2 Tabella 1 BIBLIOGRAFIA: 1)Baffone W, Tarsi R, Pane L, Campana R, Repetto B, Mariottini GL, Pruzzo C. Detection of free-living and plankton-bound vibrios in coastal waters of the Adriatic Sea (Italy) and study of their pathogenicity-associated properties. Environ Microbiol. 2006 Jul;8:1299-305. 2)Croci L., Suffredini E. 2003. Rischio microbiologico associato al consumo di prodotti ittici, Ann. Ist. Superiore della Sanità; Vol39; 35-45 3)Di Pinto A., Ciccarese G., Tantillo G., Catalano D., Forte V.T. 2005. A Collagenase-Targeted Multiplex PCR Assay for Identification of Vibrio alginolyticus, Vibrio cholerae, and Vibrio parahaemolyticus. Journal of Food Protection, Vol.68, No.1; 150153 4)Lipp EK. Rose JB. Therole of seafood in foodborne desease in United States of America. Rev Sci Tech 1997 Vol16; 620640. 151 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 UTILIZZO DI BIOSENSORI PER LA DIAGNOSI RAPIDA DI MALATTIE IN TEMPO REALE Biagetti M.*[1], Cuccioloni M.[2], Sebastiani C.[1], Angeletti M.[2] Keywords: diagnosi, biosensori, circovirus Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia, Scuola di Bioscienze e Biotecnologie - Università degli Studi di Camerino ~ Camerino [1] [2] SUMMARY: The purpose of this work is the development of a “on-site” biosensor capable of detecting the presence of PCV2 virus directly from blood withdrawals in pig farms INTRODUZIONE: Lo scopo di questo lavoro è quello di valutare l’applicabilità di un biosensore ottico per la diagnosi rapida di una malattia virale dei suini sostenuta dal circovirus (PCV2). Clinicamente l’infezione nel suino, è associata alla cosidetta sindrome multisistemica del deperimento post-svezzamento (PMWS) descritta per la prima volta in Canada (1) e successivamente in altre parti del mondo. Le manifestazioni patologiche della malattia sono riconducibili a forme enteriche, riproduttive, respiratorie, e di deperimento post-svezzamento. La malattia è una tra le principali cause di perdita economica nell’industria suinicola. Il principio dei biosensori si basa sul fenomeno della risonanza plasmonica di superficie che permette l’osservazione in tempo reale dell’interazione di legame tra un analita in soluzione ed un ligando immobilizzato sulla superficie del biosensore stesso (2). I biosensori a DNA (o genosensori) sono basati sull’appaiamento di catene di DNA complementari monoelica e sono in continuo sviluppo con la finalità di realizzare dei rapidi e semplici test per la diagnosi di malattie. In questo lavoro sono state immobilizzate sul biosensore, due tipi di sonde, una a ssDNA ed una chimerica a ssDNA/ LNA. Gli LNA sono una classe di biopolimeri di sintesi analoghi degli oligonucleotidi di DNA. L’inserimento di oligonucleotidi di LNA in una sonda ne incrementa l’affinità per il suo filamento complementare nonché la stabilità del duplex risultante, rispetto ai tradizionali oligonucleotidi a DNA o RNA. Questa caratteristica aumenta la sensibilità e la specificità degli oligonucleotidi LNA e li rende ideali per la rilevazione di piccolissime quantità di DNA o RNA (3) MATERIALI E METODI: Il protocollo utilizzato prevede l’estrazione dell’acido nucleico dal campione, l’amplificazione della sequenza bersaglio tramite PCR seguita da un’unica rivelazione su biosensore. La sequenza dell’amplificato è stata utilizzata per disegnare la sonda utilizzata in questi studi a cui è stato aggiunto uno spacer di 5 adenine all’estremità 5’ con la prima adenina coniugata con biotina (Biotina–AAAAA–CACCAGACTCCCGCT). Nel nostro studio sono state comparate due tipi di superfici sensibili, rispettivamente ottenute immobilizzando una sonda a ssDNA ed una a ssDNA/LNA. Sulla superficie del biosensore è stata immobilizzata la strepavidina tramite la procedura standard via EDC/NHS, successivamente la sonda di ssDNA o la sonda chimerica DNA/LNA biotinilate vengono aggiunte al monolayer di streptavidina, e le fasi di associazione tra i binding partner vengono monitorate fino all’equilibrio. Per la verifica della selettività dell’apparato sono stati utilizzati 7 DNA amplificati (A1 – A7) estratti da organi e/o sieri di suini risultati positivi al PCV2, inoltre sono stati testati gli stessi DNA estratti non amplificati. Nel caso di DNA amplificati, il dsDNA è stato precedentemente denaturato a ssDNA in modo da permettere l’ ibridizzazione con la sonda complementare immobilizzata sul biosensore. Il campione di dsDNA è stato sottoposto ad una fase di denaturazione a 95°C per 5 min seguita da incubazione a 52°C per 1 min con un leggero eccesso di un corto frammento oligonucleotidico (10-30 basi) complementare al terminale 3’ dell’amplificato e che non si sovrappone con la sequenza complementare alla sonda. Tale legame previene il ri-appaiamento dei filamenti di DNA prima del contatto con la sonda sulla superficie. Dopo ogni utilizzo, la superficie del biosensore derivatizzata con i due tipi di sonde è stata rigenerata tramite lavaggio con PBS (ssDNA) o con PBS-T (ssDNA/ LNA). Come controllo negativo, è stato aggiunto alla superficie del biosensore un campione di ssDNA non complementare senza ottenere alcuna risposta apprezzabile. RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati ottenuti tramite superfici funzionalizzate con sonde ssDNA e ssDNA/LNA su campioni amplificati (A1 – A7) sono riportati in fig.1. Nonostante l’ottima specificità mostrata da entrambe le superfici (campioni di DNA non complementare producono risposte trascurabili in entrambi i casi), risulta evidente la maggiore sensibilità della sonda ssDNA/LNA (a parità di concentrazione, la risposta per ogni singolo campione aggiunto è almeno tre volte superiore). Analogamente, i risultati ottenuti analizzando campioni di DNA non amplificato, estratto direttamente da campioni di campo positivi, hanno evidenziato che il biosensore derivatizzato con la sonda ssDNA non è in grado di rilevare alcun segnale significativo (dati non mostrati), mentre con il biosensore derivatizzato con la sonda ssDNA/LNA è in grado di rilevare segnali apprezzabili sugli stessi campioni(fig.2). I risultati indicano che sia la sonda a ssDNA che, in particolare, quella a ssDNA/LNA conferiscano una buona sensibilità ed un’ottima specificità al biosensore nei confronti di campioni di DNA amplificato. La sonda ssDNA/LNA ha una sensibilità maggiore che consente al biosensore di rilevare, anche se con sensibilità e specificità inferiori, la presenza di DNA virale anche in campioni non amplificati. In questo caso la sensibilità può essere in funzione della carica virale del campione. Grazie alla elevata sensibilità della sonda ssDNA/LNA e alla capacità di rilevazione in tempo reale, il biosensore può fornire risposte rapide sulla presenza/assenza del virus dopo semplici procedure di trattamento del campione atte a liberare il DNA virale. Infatti, fine ultimo del presente lavoro è quello di eseguire l’analisi direttamente in allevamento collegando il biosensore ad un PC portatile senza la fase di amplificazione del DNA estratto. Questo è possibile utilizzando dei metodi di estrazione in allevamento tipo shock termico o l’utilizzo di catrine FTA-like cards. 152 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Fig. 1: Ibridizzazione di campioni amplificati (A1 – A7) con la sonda ssDNA (Box A) e con la sonda ssDNA/LNA (Box B) Fig. 2: Ibridizzazione di campioni non pre-amplificati con la la sonda ssDNA/LNA BIBLIOGRAFIA: 1) Ellis J, Hassard L, Clark E, Harding J, Allan G, Willson P, Strokkape J, Martin K, McNeilly F, Meehan B, Todd D, Haines D. (1998). Isolation of circovirus from lesions of pigs with postweaning multisystemic wasting syndrome. Can Vet J. 39; 44-51. 2) Piliarik M., Vaisocherova H., Homala J. (2009). Surface Plasmon resonance biosensing. Methods Mol.Biol. 503, 65-88. 3) D’Agata R., Spoto G. (2012) Atrificial DNA and surface Plasmon resonance. Artificial DNA:PNA&XNA 3:2, 45-52. 153 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 INDIVIDUAZIONE IN PIEMONTE DI UN FOCOLAIO DI BESNOITIOSI IN BOVINI PROVENIENTI DALLA FRANCIA. Biolatti P.G.*[2], Valentini L.[1], Militerno G.[3], Bassi P.[3], Gennero M.S.[2], Bergagna S.[2], Zanet S.[4], Ferroglio E.[4], Scaglione F.E.[4], Bollo E.[4] Keywords: Besnoitia besnoiti, PCR, Piemonte [1] Libero Professionista ~ Torino, Istituto Zooprofiliattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, Italia ~ Torino, [3] Università di Bologna, Facoltà di Medicina Veterinaria, Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Italia ~ Bologna, [4] Università degli Studi di Torino, Facoltà di Medicina Veterinaria, Torino, Italia ~ Torino [2] SUMMARY: Besnoitiosis is an emerging protozoan disease of cattle. In Italy, autochthonous born and bred cattle have been previously diagnosed as infected. A clinical case of besnoitiosis in Piemont (Northwestern Italy), in an imported Charolais beef calf from Gap-Barcellonette (France), and the subsequent molecular and serological confirmatory tests are described. The presence of specific antibodies was confirmed by indirect ELISA both in the symptomatic animal, and in 12 animals from the same herd. PCR detected B. besnoiti DNA in skin and testis of the infected cattle. al termine dell’amplificazione, a 72°C per 5 min; sono inoltre stati aggiunti controlli positivi ottenuti da un soggetto con infezione conosciuta e controlli negativi. Sette μl di prodotto della PCR sono stati analizzati in elettroforesi a 110 V in tampone 1× Tris-Boric-EDTA su gel di agarosio 2% e successivamente osservati alla luce UV dopo colorazione con 1x Gelstain (Società Italiana Chimici, Roma, Italy). Dodici bovini asintomatici, dello stesso allevamento, sono stati invece sottoposti a test tramite ELISA indiretto per la presenza di anticorpi-anti B. besnoiti. INTRODUZIONE: La besnoitiosi bovina è una patologia protozoaria, sostenuta da Besnoitia besnoiti (4). Il coccidio si localizza principalmente a livello di cute, membrane mucose, testicoli, congiuntiva e a livello delle cellule endoteliali dei grossi vasi (3). In fase acuta, l’infezione si manifesta tramite generale scadimento delle condizioni corporee, febbre, inappetenza, iperemia della cute, orchite e diminuzione delle produzioni. In fase cronica invece i sintomi più comunemente riscontrati sono: scleroderma, ipercheratosi, alopecia, necrosi dell’epidermide, ispessimento e lichenificazione diffusi della cute, atrofia e indurimento dei testicoli, orchite necrotizzante, papule su congiuntiva e mucose genitali (2). Originariamente descritta in Francia, è oggi considerata una malattia europea emergente (EFSA, 2010) considerati i numerosi casi autoctoni in Portogallo, Spagna, Germania e Italia. RISULTATI E CONCLUSIONI: Il protocollo di PCR utilizzato ha confermato la presenza di B. besnoiti nella cute e nel parenchima testicolare del soggetto sintomatico. I campioni di sangue e la milza dello stesso animale hanno dato esito negativo. Tutti gli animali provenienti dal medesimo allevamento sono risultati positivi al test ELISA indiretto. Questo caso sintomatico riscontato in un vitello di origine francese è probabilmente riconducibile a un’infezione contratta in Francia ma riscontrata in un allevamento all’ingrasso piemontese, e fornisce un dato importante per monitorare l’espansione della patologia in Italia e in Europa. Inoltre, conferma l’attendibilità diagnostica della PCR su cute e parenchima testicolare. Vanno invece riconsiderati il sangue e la milza come campioni attendibili per la diagnosi clinica. La PCR utilizzata va anche riconsiderata dal punto di vista strettamente epidemiologico perché amplifica una porzione di gene (ITS1) altamente conservata e sulla quale non è possibile effettuare analisi filogenetiche tali da discriminare l’origine geografica dell’infezione stessa (1). MATERIALI E METODI: Da un bovino maschio di 6 mesi, di razza Charolais, proveniente da Gap (Francia), che presentava febbre elevata oltre 41°C, congiuntivite, scolo nasale sieroso, cute ispessita e orchite necrotizzante bilaterale sono stati prelevati in sede di macellazione milza, sangue intero, cute e parenchima testicolare. Su tutti i tessuti sono state eseguite indagini biomolecolari tramite metodica PCR (1). Il DNA è stato estratto dai tessuti tramite kit (MACHEREY-NAGEL, Düren, Germany). Il templato è stato utilizzato per l’amplificazione con termociclatore (Gene Amp PCR System 2400, Perkin Elmer, Waltham, MA 02451, USA) utilizzando specifici primers come indicato da Cortes et al. (1). La PCR è stata eseguita in un volume finale di 25 μl, dei quali 2 μl di templato di DNA estratto dai campioni, 1,5 μM di ciascun primer e 12,5 μl di HotStarTaq® Master Mix (Qiagen, Hilden, Germany). L’amplificazione è stata eseguita alle seguenti condizioni: 30 sec a 94°C, 30 sec a 65,5°C e 2 min a 72°C per 30 cicli. I campioni sono stati precedentemente incubati a 94°C per 3 min e, BIBLIOGRAFIA: 1) Cortes HC, Reis Y, Waap H, Vidal R, Soares H, Marques I, Pereira da Fonseca I, Fazendeiro I, Ferreira ML, Caeiro V, Shkap V, Hemphill A, Leitão A. 2006. Isolation of Besnoitia besnoiti from infected cattle in Portugal.Vet Parasitol 141: 226-233. 2) Gentile A, Militerno G, Schares G, Nanni A, Testoni S, Bassi P, Gollnick NS. 2012. Evidence for bovine besnoitiosis being endemic in Italy-first in vitro isolation of Besnoitia besnoiti from cattle born in Italy. Vet Parasitol 184: 108-115. 3) Majzoub M, Breuer W, Gollnick NS, Rostaher A, Schares G, Hermanns W. 2010. Ein Ausbruch von Besnoitiose bei Rindern in Deutschland: pathomorphologische, ultrastrukturelle und molekularbiologische Untersuchungen. Wien Tierärztl Mschr 97: 9–15. 4) Pols JW. 1960. Studies on bovine besnoitiosis with special reference to the aetiology. J Vet Res 28: 265-356. 154 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI E. COLI O157 NELLA SPIANATA DI CERVO E SALSICCIA DI CERVO STAGIONATA Bogdanova T.*[1], Bichi G.[2], Casati D.[1], Bilei S.[1], Deni D.[1], De Santis P.[1], Gori R.[1], Falorni B.[1] Keywords: E. coli VTEC, venison sausages, challenge test Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana ~ Roma, [2] Servizio Veterinario ASL 8 Arezzo ~ Arezzo [1] SUMMARY: The aim of this paper is to describe a microbiological challenge test conducted at a Tuscan facility in order to evaluate the dynamic behavior of E. coli O157 in two cured venison sausages. The laboratory analyzes were performed throughout the whole manufacturing process. The laboratory results are described and considerations are made about insurance of food safety of the cured venison sausages. INTRODUZIONE: Nell’estate del 2011, contemporaneamente all’importante episodio tossinfettivo che ha coinvolto vari paesi europei, da consumo di germi di soia contaminati con E. coli O:104 H4, è stata attivata una seconda allerta comunitaria a seguito di una positività per E. coli O:27 vtx 1 e 2 positivi ed eae negativo (1), a partire da un salame di cervo prodotto presso uno stabilimento toscano, prelevato nel corso dell’attività di vigilanza in un mercato locale austriaco. A seguito di questo secondo episodio, l’Istituto ha ricevuto numerosi campioni ufficiali di carne di cervo congelata di provenienza polacca, commercializzata da un fornitore olandese e destinata alla trasformazione in prodotti di salumeria. Nello stesso tempo il Servizio Veterinario della ASL 8 di Arezzo ha eseguito campionamenti presso lo stabilimento interessato di 3 differenti salumi: Salsiccia, Salame e Spianata di cervo tutti sottoposti ai test biomolecolari per E. coli VTEC. A seguito degli esiti positivi per E. coli appartenenti ai sierogruppi O:104 e O:26 nel salame di cervo e per la presenza sia nel salame che nella spianata dei fattori di patogenicità vtx2 ed eae, è stata considerata l’opportunità di valutare, mediante challenge test, l’eventuale persistenza di E. coli VTEC nei prodotti di salumeria derivati. Obiettivo principale ottenere, attraverso un challenge test (3), dati relativi al comportamento di Escherichia coli O157, lungo il processo produttivo di 2 dei prodotti di salumeria della Ditta toscana, coinvolta nel episodio tossinfettivo. Il challenge test di valutazione del potenziale di crescita (δ) è uno studio sulla valutazione dello sviluppo di un microrganismo in alimenti artificialmente contaminati e mantenuti nelle condizioni prevedibili, realisticamente ottenibili nella ordinaria produzione. Il potenziale di crescita (δ) è la differenza tra il log10 delle ufc/g alla fine del test e il log10 delle ufc/g all’inizio del test. MATERIALI E METODI: Sono stati selezionati 2 prodotti: Salsiccia e Spianata, sulla base delle specifiche dei processi produttivi e dei valori aw e pH rilevati in campioni di prodotto finito, prelevati durante la produzione ordinaria. Tutte le fasi di lavorazione sono state eseguite secondo il processo produttivo originale, presso il salumificio. L’impasto è stato diviso in due parti uguali di 100 kg ciascuna. Una metà dell’impasto destinata alla produzione dei lotti contaminati, lotto 1C Salsiccia e lotto 2C Spianata, è stata addizionata direttamente nell’impastatrice con 1 L di sospensione di E. coli O157. All’altra metà destinata alla produzione dei lotti non contaminati, lotto 1 Salsiccia e lotto 2 Spianata, è stata aggiunta lo stesso volume di soluzione fisiologica (SF) impiegata per la contaminazione dei precedenti lotti. L’impasto dei lotti 1C e 2C è stato inoculato con una miscela di 3 differenti ceppi di E. coli O157, di cui uno proveniente dalla nostra ceppoteca ed altri due, isolati da analoghi prodotti di salumeria. Tutti i tre ceppi sono stati testati per la presenza di fattori di patogenicità, con metodi molecolari, con i seguenti risultati: 1. Ceppo n. 1 di campo – vtx1 assente; vtx2 assente; eae assente 2. Ceppo n. 2 di campo – vtx1 assente; vtx2 assente; eae presente 3. Ceppo n. 3 (ceppoteca IZSLT MR DIG 125) – vtx1 assente; vtx2 assente; eae presente Per ciascuno dei ceppi è stato determinato, attraverso una ripetuta titolazione della sospensione batterica in Brain Heart Infusion broth (BHI) nel corso dell’incubazione a 37°C, il tempo di raggiungimento della fase stazionaria durante la quale i batteri coltivati si trovano nello stesso stato fisiologico. Successivamente, i ceppi sono stati trapiantati in BHI ed incubati a 25°C, al fine di adattali alla temperatura più vicina a quella dell’ambiente di produzione. La mattina del giorno della sperimentazione, dalla miscela delle 3 brodocolture, titolata a 6,8x108 ufc/g, è stato preparato l’inoculo utilizzando 10 ml del brodo e 990 ml di SF. L’inoculo, al titolo di 6,8x106 ufc/g, è stato aggiunto ai 100 kg di impasto, destinato alla produzione di 15 kg di Salsiccia e di 85 kg di Spianata. Al termine della sperimentazione le attrezzature e gli utensili sono stati lavati e quindi disinfettati con Virkon alla concentrazione consigliata dalla ditta produttrice, ripetendo la procedura altre 2 volte a distanza di 12 ore. Dopo ogni seduta di disinfezione sono stati effettuati prelievi con spugnette delle superfici delle attrezzature utilizzate, per la ricerca di E. coli O157. La medesima frequenza e tipologia di campionamento è stata adottata per tutti i lotti con prelievi eseguiti lungo tutto il processo produttivo fino al giorno della possibile vendita, da personale del Servizio Veterinario e dell’Istituto. Tutti i campioni erano costituiti di 3 unità campionarie (u.c.). Durante lo studio sono stati prelevati: 42 u.c. di Salsiccia, 48 u.c. di Spianata e 27 campioni ambientali. Tutti i campioni sono stati sottoposti a prove microbiologiche accreditate ad eccezione della Numerazione di E. coli O157: - Carica microbica totale a 30°- ISO 4833 –2003; - E. coli ß-glucuronidasi positivi– ISO 16649-2: 2001; - Enterobacteriaceae- ISO 21528-2: 2004 - Lattococchi- metodo interno - Lattobacilli- metodo interno mentre solo in quelli contaminati: E. coli O157- ISO 16654: 2001 e Numerazione di E. coli O157 su Sorbitol MacConkey agar (SMAC). La determinazione dei fattori di patogenicità vtx1, vtx2 e eae, nei ceppi E. coli O157 selezionati per l’inoculo è stata eseguita con il metodo PCR (Metodo interno accreditato). Sono stati inoltre misurati: - pH - ISO 2917: 1999, metodo potenziometrico, strumento da banco Hanna Instruments HI 122 - - Attività dell’acqua libera aw – ISO 21807: 2004, metodo capacitivo, strumento da banco HygroLab 3 155 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Per lo studio sono state utilizzate le mediane utilizzata dei valori ottenuti per lo stesso parametro sulle 3 u.c.. RISULTATI E CONCLUSIONI: Gli esami condotti sulle superfici delle attrezzature sono risultati costantemente negativi ad eccezione di un campione prelevato nell’insaccatrice dopo la seconda disinfezione, positivo allo screening immuno-enzimatico ma negativo alla conferma colturale. Tutti i dati ottenuti sui due lotti di ciascun prodotto, uno non contaminato e l’altro contaminato, sia per quanto riguarda le conte batteriche che i valori aw e pH sono risultati tra loro comparabili. I risultati analitici ottenuti dalla Salsiccia lotto 1C sono riportati nella Tabella 1, Allegato 1, quelli dalla Spianata lotto 2C nella Tabella 2, Allegato 2, mentre negli Allegati 3 e 4 sono riportati graficamente gli andamenti batterici rilevati nel corso dello studio. Il potenziale di crescita δ, di E. coli O157 nella Salsiccia dopo 10 giorni dalla produzione è risultato -3,06 log10, nella Spianata dopo 32 giorni -1,17 log10, con un aw finale di 0,812 e 0,944 ri- spettivamente. Conoscendo il valore δ è possibile calcolare la massima concentrazione iniziale accettabile di E. coli O157 perché non risulti rilevabile al termine del processo produttivo. I risultati ottenuti consentono di affermare che il processo produttivo della Salsiccia è in grado di assicurare la qualità batteriologica del prodotto finito, mentre lo stesso non può essere affermato per la Spianata. Avendo però il produttore, dichiarato di vendere la Salsiccia anche a partire dal 5° giorno, l’affermazione precedente non è più valida con un δ = -1,28. Considerato la possibilità di impiego di carni naturalmente contaminate nella preparazione della Salsiccia, è fortemente consigliato il rispetto del tempo massimo di asciugatura previsto prima della vendita, ovvero 10 giorni. Per quanto riguarda la Spianata, i risultati analitici non soddisfacenti, impongono una significativa modificazione del processo di lavorazione ai fini di aumentare il livello di sicurezza del prodotto finito agendo per esempio sui fattori che influiscono sull’aw. Fig.1 Salsiccia contaminata Fig.2 Spianata contaminata BIBLIOGRAFIA: 1. Caprioli A., Conedera G., Lucangeli C. (2005). Escherichia coli O157 e altri E. coli Enteroemorraggici.: Trattato sulle infezioni e tossinfezioni alimentari, Rondinelli E.G, Fabbi M, Marone P. (Eds). Pavia: Selecta Medica. 2. Annie Beaufort, Marie Cornu, Hélène Bergis, Anne-Laure Lardeux, Bertrand Lobbard, (2008) Documento tecnico di orientamento per gli studi sulla vita commerciale degli alimenti pronti al consumo inerenti alla Listeria monocytogenes 3. Notermans S, Veld P, Wijtzes T, Mead GC. 1993. A user’s guide to microbiological challenge testing for ensuring the safety and stability of food products. Food Microbiol 10(2):145-57. 156 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 INFEZIONE SPERIMENTALE CON MYCOBACTERIUM CAPRAE NEL BOVINO: STUDIO DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA CON SAGGI DIAGNOSTICI TRADIZIONALI Boniotti M.[1], Busi C.*[1], Sabelli C.[1], Zanoni M.[1], Alborali G.[1], Archetti I.[1], Lombardi G.[1], Martinelli N.[1], Tagliabue S.[1], Gelmetti D.[1], Gibelli L.R.[1], Amadori M.[1], Pacciarini M.[1] Keywords: bovine tuberculosis, M. caprae, IZSLER ~ Brescia [1] SUMMARY: M. caprae was originally classified as M. tuberculosis sub. caprae but it was later recognized as a new species (1). From a genetic point of view strains of M. caprae are distinguishable from other members of the Mycobacterium tuberculosis complex (MtbC) thanks to a combination of genetic polymorphisms and characteristic deletions (2). However, bovine tuberculosis caused by M. bovis and M. caprae appears very similar for all aspects relating to the course of infection and the type of lesions. To date there are no studies that have been proposed to identify possible differences in the reactivity of the animals to traditional tests associated to different immune response against M. bovis and M. caprae. INTRODUZIONE: Il gruppo Mycobacterium tuberculosis complex (MtbC) è attualmente costituito dalle seguenti specie: M. tuberculosis, M. africanum tipo I e tipo II, M. microti e M. bovis a cui si sono aggiunte M. canetti, M. pinnipedi e M. caprae. Il M. caprae, inizialmente classificato come M. tuberculosis sub. caprae, e strettamente associato all’infezione nelle capre in Spagna, è stato in seguito riconosciuto come specie nuova (1). Dal punto di vista genetico, i ceppi di M. caprae sono distinguibili dagli altri membri del MtbC grazie ad una combinazione di polimorfismi genici e delezioni di specifiche regioni genomiche (2). In particolare, l’assenza della regione RD4 differenzia M. bovis da M. caprae. Inoltre, i ceppi di M. caprae sono caratterizzati da spoligotipi caratteristici e dal punto di vista biochimico si distinguono per la loro sensibilità alla pirazinamide. Attualmente, numerosi isolati sono stati descritti in molti paesi Europei. In Italia M. caprae causa il 10% dei focolai da tubercolosi bovina. Nonostante le diversità genetiche, biochimiche ed epidemiologiche, la tubercolosi bovina (TB) causata da M. bovis e M. caprae appare molto simile per tutti gli aspetti che riguardano l’andamento dell’infezione e la tipologia delle lesioni. Tuttavia non esiste ad oggi uno studio sistematico comparativo eseguito al fine di evidenziare possibili differenze nelle infezioni causate da M. bovis e da M. caprae. I test tradizionalmente utilizzati in vivo per rilevare animali infetti da TB o per seguire l’andamento dell’infezione sono la prova intradermica singola e/o comparativa (IDT) ed il test del g-interferon (g-INF), entrambi basati sul meccanismo di risposta immunitaria cellulo-mediata. Lo scopo di questo lavoro è quello di acquisire informazioni sull’andamento della risposta cellulo-mediata ed umorale nel corso delle infezioni con M. caprae per poter individuare le possibili differenze nella reattività degli animali nei confronti di M. bovis e M. caprae nei test tradizionali. MATERIALI E METODI: Animali ed infezione con M. caprae: sono stati selezionati 20 bovini maschi della razza Frisona di età compresa tra 10-24 mesi. Gli animali selezionati per lo studio, e provenienti da un’azienda UI da tubercolosi, sono risultati negativi al test g-INF una settimana prima dell’infezione. Dieci animali sono stati infettati per via endotracheale con M. caprae mentre 10 animali sono stati utilizzati come controlli negativi. L’infezione è stata effettuata con un ceppo di M. caprae alla concentrazione di 5x103 ufc in 2 ml totali, ed è durata in totale 45 settimane. In particolare: 6 animali infetti e 6 animali controllo sono stati sottoposti ad eutanasia entro la 29° settimana di infezione (gruppo 1); i 4 animali infetti rimanenti sono stati reinfettati alla 30° settimana con lo stesso ceppo di M. caprae alla concentrazione di 5x105 ufc e 4 controlli sono stati mantenuti in parallelo (gruppo 2). Lo studio degli aspetti clinici e patologici della TB è stato effettuato per tutto il corso dell’infezione sperimentale. L’andamento dell’infezione è stato effettuato tramite test intradermico, g-interferon ed esame sierologico. Il Test intradermico di tipo comparativo è stato eseguito ad intervalli di 42 giorni (settimana n°5-14-25-41 post infezione). Per il Test g-interferon sono stati raccolti campioni di sangue da tutti gli animali una volta alla settimana o ogni due settimane. Questi campioni sono stati analizzati sia con il kit Bovigam, che utilizza tubercoline australiane, ma anche stimolando con tubercoline italiane e con gli antigeni ricombinanti (AR) ESAT6 e CFP10. Il Test sierologico è stato eseguito con un saggio ELISA indiretta home-made che utilizza gli antigeni ricombinanti MPB70, MPB83, ESAT6 e CFP10 e le tubercoline PPD-B e PPD-A. Esame necroscopico e isolamento colturale: Tre animali (519, 522 e 543) sono stati sottoposti ad eutanasia dopo 17 settimane dall’infezione e altri 3 (510, 534 e 535) dopo 28 settimane. Gli organi sono stati esaminati per la ricerca e localizzazione delle lesioni macroscopiche e sezionati per l’esame istologico e la colorazione di ZN per valutare la presenza e la quantità di bacilli. I campioni sono stati inoltre testati in parallelo con la PCR IS6110 per l’identificazione di MtbC, ed è stato eseguito l’isolamento colturale come analisi di conferma per la presenza di M. caprae. RISULTATI E CONCLUSIONI: Nelle tabelle 1 e 2 sono riassunti i risultati dei test diagnostici tradizionali in vivo e postmortem. La dose infettante utilizzata nel primo gruppo (5x103 ufc), non è risultata sufficiente per causare un’evoluzione a livello organico dell’infezione. Infatti, dopo 17/28 settimane dall’infezione nessuno dei 6 animali del 1° gruppo presentava lesioni macroscopiche e solo in un caso si è ottenuto l’isolamento. Tuttavia 4 animali hanno sviluppato una risposta immunitaria sia di tipo cellulo-mediata che di tipo umorale come rilevato dai test in vivo. Tre animali del gruppo 1 sono risultati positivi alla 1° e 2° IDT ma negativi alla 3°, mettendo in evidenza una desensibilizzazione alle tubercoline in seguito a inoculazioni ripetute come già riportato da altri autori (3). Questo fenomeno è ancor più evidente negli animali del 2°gruppo che pur avendo ricevuto una seconda dose di infezione e avendo sviluppato lesioni macroscopiche, risultano comunque negativi all’IDT. Per quanto riguarda il test g-INF, 4 animali del gruppo 1 hanno mostrato una risposta positiva nel test Bovigam dalla 3° settimana post-infezione fino al termine del trattamento. Gli animali del secondo gruppo hanno mostrato una positività al test g-INF dopo la quinta settimana dopo la reinfezione. Le tubercoline 157 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 italiane si sono dimostrate più sensibili di quelle australiane. In alcuni animali si è osservata un’elevata reattività verso le tubercoline aviari che, in certi casi, potrebbero aver coperto la reattività verso le tubercoline bovine. L’ipotesi più probabile è che gli animali siano stati esposti a micobatteri ambientali e che questa sensibilizzazione abbia portato a sviluppare cross-reattività verso antigeni presenti nella tubercolina aviare. Tuttavia non possiamo escludere che questo comportamento sia invece una peculiarità del M. caprae. Gli antigeni ricombinanti, più specifici, sono risultati utili per chiarire queste situazioni mostrando una reattività più specifica contro il M. caprae. I risultati ottenuti con la sierologia ricalcano quelli osservati con il test g-INF. Infatti, gli animali positivi al g-INF sono reattivi anche al test ELISA ma solo dopo l’effetto booster dell’IDT; gli animali del gruppo 2 sono tutti positivi, ma anche in questo caso, solo dopo 2 settimane dal test intradermico. Dopo la soppressione degli animali sono state eseguite le analisi post-mortem. L’esame necroscopico ha permesso di individuare lesioni solamente in due animali appartenenti al gruppo 2, mentre l’esame istologico dei linfonodi è risultato positivo in 2 animali del gruppo 1, che risultavano positivi anche a g-INF e IDT, e in tutti gli animali del gruppo 2; la PCR sui linfonodi concorda essenzialmente con i risultati dell’esame istologico. Inoltre, l’isolamento colturale di M. caprae è stato ottenuto in un solo animale del gruppo 1 e in tutti e 4 gli animali del gruppo 2. Riassumendo, l’infezione causata da M. caprae ha provocato l’insorgere di una risposta immunitaria specifica in 8 animali su 10. Non sempre i test diagnostici classici hanno dato esiti positivi o facilmente interpretabili. Ulteriori approfondimenti sono necessari per determinare se i risultati ottenuti sono caratteristici nel caso di infezioni da M. caprae. Tabella 1. Risultati test diagnostici tradizionali Gruppo 1 Tabella 2. Risultati test diagnostici tradizionali Gruppo 2 BIBLIOGRAFIA: 1. Aranaz A., Cousins D., Dominguez L., (2003) Elevation of Mycobacterium tuberculosis subsp. Caprae Aranaz et al. 1999 to species rank as Mycobacterium caprae comb. Nov., sp. nov. Int. J. Syst. Evol. Microbiol. 53:1785-1789. 2. Brosch R., Gordon S. V., Marmiesse M., Brodin P., Buchrieser C., Eiglmeier K., Garnier T., Gutierrez C., Hewinson G., Kremer K., Parsons L. M., Pym A. S., Samper S., van Soolin- gen D., and Cole S. T. (2002). A new evolutionary scenario for the Mycobacterium tuberculosis complex. Proc. Natl. Acad. Sci. USA. 99:3684-3689. 3. Palmer MV, Waters WR, hacker TC, Greenwald R, Esfandiari J, Lyashchenko KP, (2006). Effects of different tuberculin skin-testing regimens on gamma interferon and antibody responses in cattle experimentally infected with Mycobacterium bovis. Clin. Vaccine Immunol. 13:387-94. 158 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 EPIDEMIOLOGIA DELL’INFEZIONE DA CAMPYLOBACTER JEJUNI IN ALLEVAMENTI BOVINI DELLA LOMBARDIA Borella L.[1], Bianchini V.[1], Benedetti V.[1], Santoro E.[1], Invernizzi E.[2], Miccolupo A.[3], Parisi A.[3], Luini M.*[1] Keywords: Campylobacter jejuni, MLST, Dairy cattle [1] IZSLER - Sezione di Lodi ~ Lodi, A.S.L. della Provincia di Lodi ~ Lodi, [3] IZS Puglia e Basilicata - Sezione di Putignano ~ Putignano (Bari) [2] SUMMARY: Campylobacter is widely known as one of the most frequent causes of acute bacterial gastroenteritis in humans worldwide. We investigated the prevalence of Campylobacter jejuni in cattle and their environment from 4 dairies of an area of the Po Valley and the genetic diversity of strains collected using Multi-Locus Sequence Typing (MLST). In total 56 strains of C. jejuni were isolated, with differences in the prevalence between the 4 farms and the sources. Among the cattle isolates we found 5 different clonal complexes (CC) with a predominance of CC-21, sequence type ST-19. MLST data revealed genetically distinct lineages between cattle and pigeons, of which CC-179 was the most common isolated. This suggested that pigeons probably don’t play a role in transmitting C. jejuni to cattle. Moreover CC-21, 48, 61, 206, isolated from cows and bulk milk, were also reported among human cases, indicating that cattle and their products may have a significant role as sources or transmission routes for human campylobacter infections. In a pigeon we found the human-associated CC-45, suggesting that this host may be an environmental reservoir for human disease. INTRODUZIONE: Secondo i dati EFSA, Campylobacter spp. sono la più comune causa di infezioni a veicolo alimentare nell’UE, con oltre 200000 casi nel 2010, dei quali il 93.4% causato da Campylobacter jejuni (1). C. jejuni è diffuso in natura: colonizza frequentemente il tratto gastrointestinale di molti animali domestici e selvatici, generalmente senza evidenti segni di malattia, ed è isolabile da diverse matrici ambientali, inclusi terreno ed acque (2). L’EFSA evidenzia che anche il latte bovino e i prodotti lattiero-caseari non pastorizzati possono essere contaminati da C. jejuni, rappresentando una fonte di contagio per l’uomo (1). In linea con questi dati, una nostra precedente indagine ha evidenziato la presenza di C. jejuni nel latte di massa del 12% degli allevamenti del lodigiano. Obiettivo del lavoro è stato studiare la diffusione di C. jejuni in alcune aziende di bovine da latte della Lombardia ed eseguire l’analisi MLST degli isolati, allo scopo di approfondire le conoscenze sull’epidemiologia delle infezioni da C. jejuni e comprendere la natura della contaminazione del latte di massa. MATERIALI E METODI: CAMPIONI - Sono state selezionate 4 aziende localizzate in Pianura Padana, denominate A, B, C, D. Sono stati analizzati 251 campioni: 108 feci bovine, 80 intestini di colombo, 32 latti di massa, 19 acque di abbeverata e 4 feci di cani. Nell’azienda D erano allevati anche suini, dei quali sono stati prelevati 8 pool di feci. ESAMI COLTURALI - Per l’isolamento i campioni sono stati inoculati in terreno Bolton in proporzione 1:10. Dopo 48 ore di incubazione a 42°C, 0.1 ml di brodo sono stati trapiantati sui terreni Skirrow e mCCD agar attraverso una membrana di 0.45 µm. Dopo ulteriori 48 ore di incubazione a 42°C in microaerofilia (GENbag microaer. BioMérieux), le colonie riferibili a Campylobacter spp. sono state sottoposte a colorazione di Gram ed identificate con PCR specifica. PCR - Il DNA, estratto da colonie risospese in 1 ml di PBS e da 1 ml di terreno Bolton con il kit DNeasy Blood & Tissue (Qiagen), è stato sottoposto ad una multiplex-PCR specifica per C. jejuni e C. coli (3). MLST - I ceppi di C. jejuni sono stati genotipizzati tramite MLST (4). L’assegnazione dei sequence types (ST) ed il raggruppamento in clonal complexes (CC) sono stati eseguiti con il database MLST (http://pubmlst.org). RISULTATI E CONCLUSIONI: ESAMI COLTURALI - Nelle 4 aziende C. jejuni è stato riscontrato ripetutamente nel latte di massa con 3, 4, 3 e 1 ceppi isolati rispettivamente negli allevamenti A, B, C, D. La prevalenza nelle feci bovine è stata del 26.2%. Dei 27 ceppi isolati, 10 provengono dall’azienda A (28.6%), 1 dalla B (5.9%), 2 dalla C (8%) e 14 dalla D (46.7%). Relativamente agli intestini di colombo (20 per stalla), è emersa una prevalenza totale del 17.5% (15% nelle stalle A e B, 5% nella C e 35% nella D). Solo nella prima azienda si è evidenziata una positività nell’acqua, con 4 ceppi isolati. Dei rimanenti campioni (4 feci di cane prelevate nell’azienda A e 8 pool di feci suine raccolte presso la stalla D) nessuno ha dato esito colturale positivo. (Tab.1) PCR - 219 campioni sono stati analizzati sia batteriologicamente che con PCR da Bolton, rilevando una maggior prevalenza di positivi all’esame molecolare. La prevalenza di campioni positivi per C. jejuni alla PCR rispetto all’esame batteriologico è stata 54.2% (13/24) verso 45.8% (11/24) nel latte di massa; 46.1% (31/89) verso 30.3% (27/89) nelle feci bovine; 20% (16/80) verso 17.5% (14/80) negli intestini di colombo. Nell’azienda D la PCR ha anche evidenziato 2 feci bovine positive contemporaneamente per C. jejuni e C. coli. Solo in 2 aziende (A e D) si è registrato un dato positivo alla PCR nei campioni di acqua, con una prevalenza totale del 33.3% (5/15) rispetto al 26.7% (4/15) di positivi all’esame colturale. I campioni di feci di cane hanno dato esito negativo anche alla PCR, mentre delle feci suine, tutte negative in coltura, il 75% (6/8) è risultato positivo in PCR per C. coli, in associazione a C. jejuni in un caso. MLST - Dei 56 ceppi di C. jejuni, 45 sono stati sottoposti a MLST, evidenziando 8 CC. I 9 ceppi isolati dal latte di massa appartengono a 3 CC, di cui 2 (21 e 48) riscontrati in 2 aziende e 1 (403) isolato in una sola stalla. La genotipizzazione degli isolati da feci bovine (21 ceppi) ha rilevato la presenza di 5 CC (21, 48, 61, 206, 42). Tutti sono stati dimostrati in un solo allevamento tranne CC-21, riscontrato in 2 aziende. Dei 13 ceppi isolati dai colombi, tutti appartengono al CC-179 eccetto 1, isolato nell’azienda A e classificato come CC-45. Infine, i 2 ceppi isolati dall’acqua rientrano nel CC-21 e CC-179. (Tab.1) DISCUSSIONE - L’analisi MLST ha evidenziato ST appartenenti a 5 diversi CC circolanti tra le bovine, di cui CC-21, 42 e 61 segnalati in letteratura come i genotipi maggiormente associati alla specie bovina (5). Il genotipo predominante è risultato CC-21 ST-19, isolato in 16 campioni su 21 (76.2%). La genotipizzazione degli isolati dal latte di massa ha evidenziato ST appartenenti a 3 CC: 21, 48 e 403. Mentre nell’azienda A i genotipi isolati dal latte sono risultati presenti contemporane- 159 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 amente nelle feci bovine, nelle altre stalle sono risultati di tipo diverso. Questo conferma come la presenza di C. jejuni nel latte di massa possa essere frutto di occasionale contaminazione fecale della mammella durante la mungitura. È anche documentato che una contaminazione persistente del latte può avvenire per effetto di infezione mammaria (6). Nei colombi si è registrata una netta predominanza di genotipi appartenenti a CC-179, riscontrato nel 92.3% dei casi (12/13), distribuiti fra ST-220 (4), ST-2209 (6) e ST-447 (2). Questi dati confermano quanto riportato da Ogden et al. (7), secondo cui CC-179 è caratteristico di colombi e gabbiani, avvalorando l’ipotesi che i colombi non siano un veicolo di diffusione di C. jejuni per la popolazione bovina. Un solo colombo è risultato portatore di un diverso genotipo: CC-45 ST-45, comunemente isolato anche in caso di gastroenterite umana (8), suggerendo che questa specie possa essere un potenziale serbatoio ambientale. Analogamente CC-21, 48, 61 e 206, isolati dalle feci bovine e dal latte di massa, rientrano tra i più frequentemente associati a patologia umana (8), pertanto carni bovine e latte crudo contaminati possono rappresentare un fattore di rischio per l’infezione nell’uomo. Saranno necessarie ulteriori indagini su un maggior numero di campioni bovini e di altre specie animali promiscue presenti in azienda, con particolare riferimento ai volatili. FINANZIAMENTO - Ricerche eseguite nell’ambito del progetto “PRO.ZOO”, finanziato dalla DG Agricoltura della Regione Lombardia. TAB. 1. Risultati colturali e MLST di C. jejuni per fonte di isolamento e azienda di provenienza: numero di campioni positivi sul totale degli esaminati, percentuale di positività e genotipi MLST. BIBLIOGRAFIA: 1 EFSA Journal 2012; 10(3):2597 2 Moore J, Corcoran D, Dooley J, Fanning S, Lucey B, Matsuda M, McDowell D, Mégraud F, Millar B, O’Mahony R, O’Riordan L, O’Rourke M, Rao J, Rooney P, Sails A, Whyte P. 2005. Campylobacter. Vet Res 36:351-82 3 Person S, Olsen K. 2005. Multiplex PCR for identification of Campylobacter coli and Campylobacter jejuni from pure cultures and directly on stool samples. J Med Microbiol 54:1043-47 4 Dingle K, Colles F, Wareing D, Ure R, Fox A, Bolton F, Bootsma H, Willems R, Urwin R, Maiden M. 2001. Multilocus sequence typing system for Campylobacter jejuni. J Clin Microbiol 39:14–23 5 Kwan P, Birtles A, Bolton F, French N, Robinson S, Newbold L, Upton M, Fox A. 2008. Longitudinal Study of the Molecular Epidemiology of Campylobacter jejuni in Cattle on Dairy Farms. Appl Environ Microbiol 74:3626–33 6 Luini M, Benedetti V, Piccinini R, Vezzoli F. 2009. Casi di infezione mammaria da Campylobacter jejuni nel bovino. Large Animal Rev 15:51-4 7 Ogden I, Dallas J, MacRae M, Rotariu O, Reay K, Leitch M, Thomson A, Sheppard S, Maiden M, Forbes K, Strachan N. 2009. Campylobacter excreted into the environment by animal sources: prevalence, concentration shed, and host association. Foodborne Pathog Dis 6:1161-70 8 Colles F, Jones K, Harding R, Maiden M. 2003. Genetic Diversity of Campylobacter jejuni Isolates from Farm Animals and the Farm Environment. Appl Environ Microbiol 69:7409-13 160 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ATTIVITA’ DI CONTROLLO NEL SUD E NELLE ISOLE NEI MANGIMI AD USO ZOOTECNICO PER LA RICERCA DI PROTEINE ANIMALI TRASFORMATE (ANNI 2006-2012) Bove D.*[1], Schiavo M.[2], Chiappini B.[3], Mancuso M.R.[4], Vodret B.[4], Di Taranto A.[5], Serio F.[2], Morelli L.[3], De Vita R.[1], Palermo P.[1], Capuano F.[1], Guarino A.[1] Keywords: proteine animali trasformate, mangimi, vigilanza Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ PORTICI (NA), [2] Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia ~ PALERMO, [3] Istituto Superiore di Sanità ~ Roma, [4] Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna ~ Sassari, [5] Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e Basilicata ~ FOGGIA [1] SUMMARY: A total of nr° 6.123 feedstuff samples collected, between 2006-2012, in Sicilia, Sardegna, Campania, Calabria, Puglia and Basilicata, were tested for the presence of constituents of animal origin. All laboratories utilised for the screening the official microscopic method. All samples analyzed were found negative. The results show the efficiency of regional control programmes, preventing any illegal circulation and contamination of meat meals in animal feeds. Analysis were carried out using validated methods and in according with EN ISO IEC 17025:2005. INTRODUZIONE: Sebbene il ridimensionamento dell’epidemia di Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE) rappresenti un indiscutibile successo, rimane alta l’attenzione delle autorità competenti per lo studio delle misure necessarie a tenere sotto controllo gli alimenti per animali. Infatti, la diffusione di tale patologia, è legata al consumo di farine di carne contaminate da prioni. Il “divieto di somministrazione di prodotti di origine animale”, secondo quanto disposto dal Regolamento (CE) 999/2001 (4) è ancora cogente con le deroghe specifiche previste dai successivi regolamenti. Tale strumento permette di garantire che la BSE non venga reintrodotta nelle specie sensibili. Le raccomandazioni indicano la necessità di organizzare programmi di controllo che permettano un’analisi del rischio, di mantenere un’attiva collaborazione tra le varie autorità competenti e di implementare il flusso informativo. In campo nazionale, il Piano Nazionale Alimentazione Animale PNAA (3) ha dedicato già da anni, un capitolo della programmazione ai controlli volti alla verifica del rispetto dei divieti d’utilizzo delle proteine animali trasformate: l’assenza delle irregolarità riscontrate in tale ambito ha portato alla riduzione dei campioni destinati alla vigilanza e al potenziamento della sorveglianza epidemiologica necessaria ad una analisi del rischio. In questo lavoro si riportano i risultati relativi ai controlli effettuati negli anni 2006-2012, nelle regioni Sicilia, Sardegna, Campania, Calabria, Puglia e Basilicata dagli Istituti Zooprofilattici Sperimentali competenti per territorio, allo scopo di fornire una visione sullo stato dell’arte nelle aree in esame. MATERIALI E METODI: Per il controllo ufficiale degli alimenti per animali viene utilizzato il metodo microscopico secondo quanto previsto dal Reg.(CE) n° 152/2009 della Commissione del 27 gennaio 2009 allegato VI (5), che dal 26/08/2009 ha sostituito il D.M. 30 Settembre 1999 (1) e dalle Linee guida (2). Il metodo microscopico utilizzato per l’identificazione dei costituenti di origine animale presenti nel mangime e per il riconoscimento della classe di appartenenza è un metodo qualitativo. Il risultato viene espresso in termini di presenza/ assenza. Le analisi, sono state effettuate dagli Istituti Zooprofilattici Sperimentali della Sicilia, Sardegna, Mezzogiorno e Puglia-Basilicata. I laboratori hanno effettuato l’attività analitica in conformità ai requisiti gestionali e tecnici della norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005 (6). In particolare, sono stati presi in considerazione, quali elementi determinanti per l’assicurazione di qualità dei dati, i requisiti relativi ai seguenti punti della norma: • competenza del personale (5.2); • idoneità delle postazioni di lavoro e delle condizioni ambientali (5.3); • idoneità dei metodi di prova e loro validazione (5.4) • gestione delle apparecchiature (5.5); • idoneità delle procedure per la manipolazione dei campioni sottoposti alle prove (5.8); • criteri utilizzati per assicurare la qualità dei risultati di prova (5.9); • modalità di presentazione dei risultati prova (5.10). RISULTATI E CONCLUSIONI: I dati esaminati sono relativi al numero totale di mangimi analizzati dal 01/01/06 al 30/06/2012, campionati in ottemperanza al piano nazionale o prelevati in attività extra-piano. In Figura 1 è rappresentata la distribuzione dei campionamenti effettuati con la suddivisione dei rispettivi II.ZZ.SS. di provenienza. Sono stati esaminati nel periodo 2006-2012 nelle regioni del Sud Italia e nelle Isole, un totale di 6.123 mangimi, di cui il 63% destinati ai ruminanti ed il 37% destinato ai non ruminanti (Grafico 1). I campioni analizzati con il metodo ufficiale sono risultati tutti negativi per l’assenza di proteine animali trasformate. I dati relativi alle due classi (ruminanti e non ruminanti) sono stati ripartiti nelle relative sottoclassi: ogni sottoclasse è correlata alla tipologia di mangime campionato (Tabella 1 e Tabella 2). Nelle tabelle sono inoltre indicate le percentuali rispetto al totale delle diverse tipologie di mangimi. Nel Grafico 2 è riportata la distribuzione percentuale dei controlli effettuati divisi per tipologia di luogo di prelievo (allevamento, mangimificio, rivendita mangimi, altro (PIF, mezzi di trasporto,ecc.)). I risultati esaminati confermano l’effettiva applicazione del divieto nell’utilizzo delle farine animali nelle regioni indicate. Restano comunque ancora poco attenzionati, i mangimi aziendali e i prelievi in mangiatoia: senza abbassare la vigilanza sui prodotti industriali, sarebbe auspicabile verificare che non ci sia una miscelazione scorretta in mangiatoia per prevenire il rischio della contaminazione crociata. L’efficienza dell’attività di controllo svolta nelle varie Regioni del Sud e delle Isole, con l’incremento dei campionamenti nell’ambito dell’attività extra-piano, mostrano grande attenzione da parte dei Servizi preposti per la prevenzione delle Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili (EST). Qualche commento merita inoltre il metodo ufficiale di analisi che è, ancora oggi, il metodo più semplice e più preciso (sensibilità inferiore allo 0,1%), come risulta 161 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 dai test di verifica annuali (Ring Test CReAA). L’identificazione delle specie resta il punto critico del processo analitico: l’ipotesi di reintroduzione delle proteine animali trasformate di non ruminanti nell’acquacoltura e il loro divieto per ruminanti ed erbivori, comporterà probabilmente la necessità di affiancare al metodo microscopico, il metodo molecolare come indagine aggiuntiva ufficiale per l’identificazione delle proteine di origine animale. La conformità alla norma UNI CEI EN ISO/ IEC 17025:2005 ha garantito l’adeguatezza degli standard operativi a quanto previsto dalla normativa in vigore, in termini di applicazione di procedure gestionali relative a campioni, documentazione e strumentazione e procedure operative relative alle modalità di registrazione e di conservazione dei campioni, reagenti e apparecchiature. 162 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: [1] Decreto ministeriale 30/09/99 (Ministero delle politiche agricole e Forestali): “Metodo analitico per la determinazione dei costituenti di origine animale nell’ambito del controllo ufficiale degli alimenti per animali”. GURI n.118 del 23/5/00 e successive modifiche. [2] Linee guida per l’analisi microscopica dei costituenti di origine animale negli alimenti per animali – Maggio 2007. [3] Piano nazionale di controllo ufficiale sull’alimentazione degli animali (PNAA in vigore). [4] Reg. CE n. 999/2001 e succ. modifiche del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22-05-2001 recante disposizioni per la prevenzione, il controllo e l’eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili. GUCE 31/5/01. [5] Reg.(CE) n° 152/2009 della Commissione del 27 gennaio 2009 -allegato VI. [6] UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005. 163 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 INDAGINE PRELIMINARE SULLA DIFFUSIONE DELL’ARTRITE ENCEFALITE VIRALE CAPRINA (CAEV) IN FRIULI VENEZIA GIULIA Bregoli M.[1], Di Giusto T.*[1], Passera A.[1], Cocchi M.[1], Palei M.[2], Menegoz A.[3], Furlan D.[4], Conedera G.[5] Keywords: CAEV, monitoraggio, ELISA Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Udine, [2] Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia ~ Udine, [3] Associazione Allevatori Friuli Venezia Giulia ~ Codroipo (UD), [4] ERSA-Agenzia Regionale per lo Sviluppo Rurale ~ Udine, [5] Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Pordenone [1] SUMMARY: Caprine arthritis-encephalitis (CAE) is an important retroviral disease causing economic losses in dairy goat herds. A serological survey was first implemented in the Friuli Venezia Giulia Region in 2011 in order to obtain preliminary data on seroprevalence to be evaluated in the perspective of a health control program. Results showed a high prevalence of infection within goat herds (80,7% positive herds and 44,5% positive heads). Therefore, next aim to be considered in the case of a control program should be seroprevalence decrease by means of serological monitoring to detect infected animals, along with management prevention strategies. INTRODUZIONE: L’artrite encefalite virale caprina (CAEV) rappresenta una delle problematiche sanitarie più importanti che interessano il settore caprino. L’agente eziologico appartiene alla famiglia Retroviridae, genere Lentivirus (small ruminant lentivirus - SRLV). Le principali vie di trasmissione sono l’ingestione di colostro e latte infetto e il contatto diretto attraverso le vie respiratorie (2). L’infezione ha carattere di persistenza negli animali che possono risultare portatori asintomatici sieropositivi. Le forme cliniche, seppur non frequenti e riscontrabili anche dopo lunghi periodi di latenza, sono generalmente rappresentate da artriti non suppurative, mastiti, encefaliti, polmoniti e deperimento. La CAEV determina importanti conseguenze di tipo economico con perdite legate alla riduzione della produzione di latte, calo delle difese immunitarie e conseguente predisposizione a patologie di irruzione secondaria, mortalità nei soggetti giovani e limitazioni commerciali (2, 6, 8). La diagnosi precoce attraverso metodi sierologici è fondamentale per il controllo e la prevenzione delle infezioni da lentivirus negli ovicaprini (9). Alla conoscenza dello stato immunitario devono necessariamente conseguire delle misure di prevenzione indirizzate al contenimento della diffusione del virus in allevamento (ad esempio separazione netta tra soggetti sieropositivi e sieronegativi, allontanamento del capretto dalla madre dopo la nascita, somministrazione controllata del colostro, mungitura in tempi separati) (2,8,9). Il patrimonio caprino in Friuli Venezia Giulia risulta costituito da 252 allevamenti con 4209 capi. Nel 2011 è stato implementato un primo piano di monitoraggio sostenuto dall’ERSA (Agenzia Regionale per lo Sviluppo Rurale), con l’obiettivo di ottenere informazioni preliminari sul livello di diffusione della malattia negli allevamenti caprini da latte della Regione e acquisire quindi elementi utili per valutare opportunità e modalità di attivazione di un piano di risanamento. MATERIALI E METODI: Il monitoraggio ha interessato 26 aziende rappresentative del sistema produttivo regionale, ca- ratterizzate da dimensioni comprese tra 10-150 capi (media dimensioni: 46 capi), costituendo il 30% dei capi presenti in Regione. Il campionamento è stato realizzato tra i mesi di luglio e novembre e i prelievi sono stati effettuati da veterinari libero professionisti su soggetti di almeno 6 mesi di età. E’ stata predisposta una scheda anamnestica specifica per raccogliere informazioni sugli allevamenti e sui capi. Tutti i sieri sono stati analizzati con l’utilizzo di un metodo ELISA di tipo indiretto (secondo il Manual of Diagnostic Tests and Vaccines for Terrestrial Animals, OIE 6°ed. 2008, Cap. 2.7.3/4). Il test di screening utilizzato è il “Maedi-Visna/CAEV/ antibody test kit” (Idexx). La sensibilità e la specificità del metodo dichiarate sono rispettivamente del 100% e 99%. RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono stati esaminati complessivamente 1214 capi presenti nelle 26 aziende prese in considerazione, la cui distribuzione per dimensione è illustrata in fig.n.1. Sono risultati positivi alla ricerca di anticorpi nei confronti della CAEV rispettivamente il 44,5% (540/1214) dei capi e l’80,7% (21/26) delle aziende esaminate (tab.n.1). L’elevata diffusione dell’infezione nelle aziende sottoposte a monitoraggio è evidenziata dal fatto che nel 42,3% delle aziende (11/26), erano positivi oltre il 70% dei capi esaminati (fig.n.2). I risultati sono assimilabili ad esperienze precedenti in Italia e all’estero in occasione di primi screening sierologici, in cui è stata riscontrata una prevalenza di capi sieropositivi elevata (3,5,7,8). Confrontando la distribuzione delle aziende positive e negative in funzione delle dimensioni delle stesse, emerge la quasi totale positività delle aziende di piccole dimensioni (fig.n.3); queste, in ragione del numero limitato di animali, hanno la possibilità di risanare in tempi brevi. D’altro canto, alcuni studi hanno evidenziato come il numero di capi rappresenti un fattore di rischio d’infezione (4). Alcuni allevamenti di dimensioni medio-grandi hanno già risanato su propria iniziativa o sono prossimi al risanamento (uno di grosse dimensioni presentava solamente un capo positivo). Il contatto con gli ovini viene considerato tra i fattori di rischio di introduzione della CAEV negli allevamenti (4); tra le aziende campionate solamente una presenta caratteristiche di promiscuità. Per diffondere tra gli allevatori la conoscenza delle caratteristiche della malattia e le possibilità di diagnosi e prevenzione sono stati organizzati degli incontri informativi ed è stato predisposto un opuscolo divulgativo. Nell’ambito delle esperienze maturate in altre realtà territoriali in diversi paesi europei e in alcune province italiane (es. Asti, Bolzano, Trento, Varese), dove sono stati implementati piani di controllo, il primo obiettivo è stato in generale la 164 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 determinazione della prevalenza dell’infezione. L’obiettivo successivo è stato la riduzione della prevalenza puntando progressivamente all’eradicazione attraverso schemi con diversi livelli di azione in funzione della prevalenza raggiunta (3,5,7,9,10). Considerando questi elementi, si reputa opportuno e possi- bile realizzare un piano volontario di controllo della malattia anche in Friuli Venezia Giulia, basato sul monitoraggio sierologico di tutti gli allevamenti, classificazione delle aziende in base al loro status nei confronti della malattia, gestione dei fattori di rischio con l’adozione di adeguate misure di profilassi e controllo delle movimentazioni. Figura 1: distribuzione degli allevamenti campionati in funzione della dimensione aziendale Tabella 1: Risultati del monitoraggio sierologico Figura 2: distribuzione delle aziende in funzione della percentuale di capi positivi Figura 3: distribuzione delle aziende positive e negative in base alla dimensione 165 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1. Barquero N., Arjona A., Domenech A., Toural C., de Las Heras A., Fernandèz-Garayzabal J.F., Ruiz-Santa Quiteuira J.A., Gomez-Lucia E. 2012 “Diagnostic performance of PCR and ELISA on blood and milk samples and serological survey for small ruminant lentiviruses in central Spain” Veterinary Record 2. Blacklaws B.A., Berriatua E., Torsteinsdottir S., Watt N.J., de Andres D., Klein D., Harkiss G.D. 2004 “Transmission of small ruminant lentiviruses” Veterinary Microbiology 101; 199208 3. Boldetti C. 2003 “Piano di eradicazione volontario dell’Artrite-Encefalite Caprina in provincia di Varese risultati dall’indagine sierologica” Articoli Osservatorio 6(4): 4-7 4. Brulisauer F., Vogt H.R., Perler L., Rufenact J. 2005 “Risk factors for the infection of Swiss goat herds with small ruminant lentivirus: a case control study” Veterinary Record 157; 229-233 5. Gufler H., Gasteiner J., Lombardo D., Stifter E., Krassnig R., Baumgartner 2007 “Serological study of small ruminant lentivirus in goats in Italy” Small Ruminant Research 73; 1169-173 6. Litner G., Krifucks O., Weisblit L., Lavy Y., Bernstein S., Merin U. 2010 “The effects of caprine arthritis encephalitis virus infection on production in goats” The Veterinary Journal 183; 328-331 7. Lombardo D., Rabini M., Trevisiol K. 2004 “Profilassi della artrite-encefalite caprina nella Provincia Autonoma di Bolzano: risultati preliminari” Atti VI Congresso Nazionale SIDiLV, 79-80 8. Minghetti G., Pecile A., Bianchini M., Gatti F. 2005 “Piano di risanamento contro l’artrite-encefalite caprina” Terra Trentina 9; 31-33 9. Reina R., Berriatua E., Lujàn E., Juste R., Sànchez A., de Andres D., Amorena B. 2012 “Prevention strategies against small ruminant lentiviruses: an update”, The Veterinary Journal 10. Synge B.A., Ritchie S.M. 2012 “Elimination of small ruminant lentivirus infection from sheep flocks and goat herds aided by health schemes in Great Britain” Veterinary Record 166 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 IMPIEGO DI COLORANTI IN ACQUACOLTURA: L’ASTAXANTINA Brizio P.[1], Prearo M.*[1], Elia A.C.[3], Scanzio T.[1], Pavoletti E.[1], Pacini N.[3], Benedetto A.[1], Gasco L.[2], Dorr A.M.[3], Righetti M.[1], Squadrone S.[1], Abete M.C.[1] Keywords: Astaxantina, Muscolo, Trota iridea Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino, [2] Facoltà di Agraria ~ Torino, [3] Dipartimento di Biologia Cellulare e Ambientale ~ Perugia [1] SUMMARY: Fish offer on the market is driven through consumer demand and one of the most appreciated qualities in salmonoid is the typical red to pink flesh colour. These fishes cannot synthesize carotenoids as astaxanthin de novo but they have the capability to accumulate these pigments at specific sites in their muscles. For this reason, are added to fish feed. Data from astaxanthin trial have not underlined a correlation between colourants residue in trout muscle and administration time; however, it has shown a best accumulation when administrated through the feed twice a day. INTRODUZIONE: La produzione di trota iridea (Oncorhynchus mykiss) è strettamente connessa alla risposta del mercato. Una delle qualità più importanti per il consumatore risulta spesso essere il colore del prodotto al quale è interessato; in particolare nei salmonoidi un colorito rosato uniforme è tradizionalmente considerato indice di alta qualità; tuttavia essi, così come molte altre specie di animali, non sono in grado di sintetizzare de novo i carotenoidi, sostanze capaci di conferire tale colorazione, e per tale motivo devono ottenerli dalla dieta. L’astaxantina, disponibile in forma sintetica, viene quindi addittivata al mangime completo per i pesci d’allevamento intensivo entro i limiti previsti dalla normativa vigente (1), corrispondenti a 100 mg/kg se somministrata da sola e 75 mg/kg se in associazione alla cantaxantina. I pesci hanno la capacità di trasportare e depositare questi pigmenti in siti specifici dei loro muscoli. Molti studi hanno dimostrato che l’astaxantina si deposita in maniera più efficiente della cantaxantina nel muscolo della trota iridea. Al fine di appurare questa capacità è stato approntato un protocollo sperimentale avente come specie target la trota iridea ed è stata ottimizzata una metodica analitica per determinare il residuo di questo esogeno nel muscolo del pesce. MATERIALI E METODI: La sperimentazione è stata condotta presso il Centro Ittiogenico di Carmagnola (TO) della Facoltà di Agraria di Torino. Un numero adeguato di esemplari di trota iridea è stato suddiviso in vasche a flusso continuo di acqua e acclimatato per 5 giorni. I pesci sono stati quindi alimentati per 56 giorni all’1% bw day-1 con mangimi prodotti sperimentalmente presso lo stesso centro, contenenti la dose prestabilita di astaxantina (75 mg/kg), una o due volte al giorno. I pesci a cui è stato somministrato lo stesso mangime, ma senza gli additivi, sono stati usati come controllo. I campionamenti sono stati effettuati ogni 2 settimane prelevando 5 esemplari per ognuna delle vasche e avendo cura di non somministrare il cibo il giorno prima del campionamento. La concentrazione di additivo somministrata attraverso il mangime è stata determinata utilizzando il metodo descritto da Page et al. (2) modificato; nella pratica il mangime, dopo aver subito un’idrolisi enzimatica, viene estratto con una opportuna miscela di solventi organici (metanolo e diclorometano). La determinazione della concentrazione di astaxantina nel muscolo ha invece richiesto una fase più approfondita di sviluppo del metodo che si è conclusa con una modifica la metodo di Baker et al. (3). Gli estratti di ambedue le matrici sono stati analizzati mediante cromatografia liquida ad alte prestazioni accoppiata alla spettrometria di massa tandem (HPLC-MS/MS); nella fattispecie il rivelatore adottato è un triplo quadrupolo. La separazione cromatografica è avvenuta grazie ad una colonna Phenomenex Synergi Polar RP 80A, 150 x 2,0 mm, ad un flusso di 0,5 mL/ min ed utilizzando come fasi mobili acqua e acetonitrile in gradiente. In base ai dati forniti dalla letteratura ed in seguito a preliminari prove sperimentali, si è scelto di utilizzare come sorgente di ionizzazione l’APCI (Atmospheric Pressure Chemical Ionization) in modalità ioni positivi. RISULTATI E CONCLUSIONI: Lo sviluppo del metodo sperimentale per l’estrazione dal muscolo ha richiesto un impegno considerevole volto alla ricerca del miglior compromesso tra estrazione degli analiti e purificazione dalla matrice; per quanto concerne il mangime, infatti, la tecnica si basa su una semplice solubilizzazione degli additivi in esso presenti e idrolisi del principio attivo dal carrier (acido dimetil-succinico). Il muscolo invece si presenta come una matrice complessa in quanto ricco di lipidi; se, come nel nostro caso, l’analita di interesse è particolarmente lipofilo, la scelta del sovente di estrazione risulta cardinale. Inoltre esso si caratterizza per i legami che instaura con i complessi acto-miosinici, determinando la necessità di ricorrere a tecniche di omogeneizzazione spinta in slurry per liberarne il maggior quantitativo possibile. Una volta ottimizzata la fase preparativa si è cercato di isolare cromatograficamente la molecola dagli interferenti ricorrendo ad una cromatografia in gradiente: anche in questo caso sono state effettuate diverse considerazioni in merito ed il compromesso migliore tra durata dell‘analisi strumentale, sensibilità e risoluzione dei picchi è risultata essere quella presentata nella sezione “materiali e metodi”. Al fine di quantificare il residuo di additivo nel muscolo è stata costruita una retta positivizzando della matrice negativa con opportuni quantitativi dello standard ed interpolando l’area del picco corrispondente all’analita a ciascun livello di concentrazione; sono stati ritenuti accettabili i coefficienti di correlazione maggiori di 0,900. La concentrazione media di astaxantina, somministrata una sola volta al giorno, è passata da 2,21 mg/kg di tessuto umido dopo 15 giorni di trattamento a 3,11 mg/kg dopo 60 giorni, con un incremento di 0,9 mg/kg, pari al 41%. Quando invece lo stesso quantitativo è stato razionato in due pasti l’accumulo è passato da 1,70 mg/Kg a 3,69 mg/Kg con un incremento di ben 1,99 mg/kg, pari al 117%. I dati ottenuti sono in accordo con quanto trovato da Choubert et al. nel 2009 (4). Considerando le interazioni tra l’astaxantina ed il muscolo è plausibile supporre che una somministrazione graduale dell’additivo ne consenta una maggiore facilità di distribuzione e ancoraggio, palesata nella maggiore efficacia di accumulo nel muscolo. 167 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1. Regolamento (CE) n. 828/2007 della Commissione, del 13 luglio 2007, concernente l’autorizzazione permanente e l’autorizzazione provvisoria di taluni additivi negli alimenti per animali. 2. Page G.I., Davies S.J.; 2006; Tissue astaxanthin and canthaxanthin distribution in rainbow trout (Oncorhynchus mykiss) and Atlantic salmon (Salmo salar); Comparative Biochemestry and Physiology, Part A; 143, 125-132. 3. Baker R.T.M., Pfeiffer A.-M., Schöner F.-J., Smith-Lemmon L.; 2002; Pigmenting efficacy of astaxanthin and canthaxanthin in fresh-water reared Atlantic salmon, Salmo salar; Animal Feed Science and Technology; 99, 97-106. 4. Choubert G., Cravedi J.P., Laurentie M.; 2009; Effect of alternate distribution of astaxanthin on rainbow trout (Oncorhynchus mykiss) muscle pigmentation; Aquaculture; 286, 100-104J. 5. Řehulka; 2007; Influence of astaxanthin on growth rate, condition, and some blood indices of rainbow trout, Oncorhynchus mykiss”; Aquaculture; 272, 140-145. 168 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ASPARAGOPSIS TAXIFORMIS: UNA NUOVA TERAPIA ANTI-LEISHMANIA? Bruno F.*[1], Castelli G.[1], Piazza M.[1], Reale S.[1], Lupo T.[1], Migliazzo A.[1], Armeli Minicante S.[2], Genovese G.[3], Vitale F.[1] Keywords: Leishmania infantum, Asparagopsis taxiformis, Pentadecane C.Re.Na.L.- Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia ~ Palermo, Department of Environmental Sciences, University Ca’ Foscari Venice, ~ Venezia, [3] Department of Life Sciences - Botany, University of Messina, ~ Messina [1] [2] SUMMARY: Marine macroalgae produces a wide variety of remarkable natural compounds, usually referred as bioactive metabolites. Asparagopsis taxiformis is a red alga from the Strait of Messina (Italy) and in the Mediterranean Sea, that produces chemicals that have potent biological effects . Numerous natural products, including halogenated compounds, methanes, ketones, acetates and acrylated were described as produced by the genus Asparagopsis. Natural compounds revealed antiprotozoal activity against Leishmania, parasite which cause a variety of diseases, known as Leishmaniasis. Leishmaniasis is a vectorborne disease caused by obligate intramacrophage protozoan parasite of the genus Leishmania and its incidence is increasing in non-endemic areas due to changing patterns of international travel and to population migration; it is a disease with a worldwide distribution, especially in many tropical and sub-tropical countries, affecting both humans and animals. The aim of this study was to analyze the toxicity of algal compounds against in vitro Leishmania infantum cultivation in a novel RPMY-PY medium. The authors role out a number of experiments demonstrating the toxicity of some chemical extract from the Asparagopsis taxiformis. 1x106 Leishmania infantum promastigotes were plated into 25 cm2 flasks containing medium supplementing with FCS (10%) and treated with scalar concentration of compounds. The percentage of apoptotic Leishmania was determinate by morphological examination using a fluorescence microscope after ethidium bromide and acridine orange staining. Among compound analyzed, Pentadecane, Heptadecanoic Acid and the synergy between Linoleic Acid and Linolenic Acid have showed an interesting activity against promastigotes in vitro cultivation, revealing such algae as a great source of natural antiprotozoal products. INTRODUZIONE: Nell’ultimo decennio è notevolmente aumentato l’interesse verso organismi marini quali possibili agenti farmacologici e tra questi l’alga rossa Asparagopsis taxiformis, che rappresenta uno dei candidati più promettenti per la sua capacità di produrre sostanze chimiche, dotate di attività biologica e, più in particolare, anti-parassitaria (1,2). Come riportato in letteratura, l’estratto crudo di Asparagopsis taxiformis è in grado di esercitare in vitro effetti citotossici sulla Leishmania, parassita emoflagellato responsabile di un’antropo-zoonosi (definita “leishmaniosi”) trasmessa da vettore e diffusa in oltre 80 Paesi nel mondo (3). Con il presente lavoro, ci si propone di valutare l’azione leishmanicida, sia di estratto crudo di Asparagopsis taxiformis che dei singoli principi attivi presenti nell’alga, su colture di Leishmania infantum MON1/IPT1. L’attività anti-Leishmania dell’estratto grezzo di Asparagopsis taxiformis è stata recentemente descritta da Genovese (2009) in “The Mediterranean red alga Asparagopsis: a source of compounds against Leishmania” (2), su colture di Leishmania donovani. I risultati descritti costituiscono il background scientifico per le ulteriori valutazioni condotte nel presente studio ed inerenti l’analisi in vitro anti-Leishmania dell’Asparagopsis taxiformis. MATERIALI E METODI: Fiasche da 25 cm2, contenenti 5 ml di terreno di coltura RPMI-PY, sono state inoculate con 4x106/ ml promastigoti e trattate con concentrazioni seriali sia dell’estratto grezzo che dei singoli composti algali di Asparagopsis taxiformis. Dopo 48 ore di trattamento a 24°C, si è proceduto alla valutazione della percentuale di vitalità delle Leishmanie, tramite conteggio in camera di bϋrker, e rispetto alla coltura di controllo rappresentativa del 100% di vitalità. L’effetto apoptotico esercitato dai composti algali sul ceppo di Leishmania infantum MON1/IPT1 è stato stimato morfologicamente tramite visualizzazione al microscopio a fluorescenza e dopo colorazione con bromuro di etidio ed arancio di acridina. Inoltre, il ciclo cellulare della Leishmania è stato valutato citofluorimetricamente dopo colorazione con ioduro di propidio. L’azione specie-specifica del composto più attivo, rappresentato dal pentadecano, è stata valutata anche in colture di Leishmania panamensis appartenenti al sottogenere Vianna. L’azione del pentadecano è stata analizzata in colture di Leishmania infantum MON/IPT1 in forma amastigote, ottenute dopo incubazione per dieci giorni a 37°C in terreno di crescita RPMI-PY. Infine, per valutare l’azione citotossica dei composti analizzati, è stato effettuato un saggio di vitalità MTT su linee cellulari immortalizzate MDCK e DH82. RISULTATI E CONCLUSIONI: L’estratto grezzo di Asparagopsis taxiformis ha mostrato in vitro una potente attività citotossica nei confronti di Leishmania infantum, determinando alla concentrazione di 40 μg/ml, il 100% di apoptosi cellulare, e una dose letale mediana (LD50) di 25 μg/ml (Figura 1). Fra i composti algali saggiati, l’acido eptadecanoico, il co-trattamento con acido linolenico-linoleico e il pentadecano hanno evidenziato la maggiore attività anti-parassitaria (Figura 2). In particolare, una LD50 di 75 µM di pentadecano è stata riscontrata in coltura di Leishmania infantum così come verso Leishmania panamensis, suggerendo una possibile attività biocida verso differenti specie di Leishmania (Figura 3). Nel dettaglio, dopo 48 ore di trattamento con pentadecano, è stata osservata azione tossica anche in colture di Leishmania infantum in forma amastigote; quest’ultima, a differenza della forma promastigote, è considerata la forma infettante in grado di determinare la lisi della sua cellula-target, il macrofago. Mediante citofluorimetria, dopo 48 ore di trattamento con pentadecano, è stata osservata l’inibizione del ciclo cellulare del parassita in G1, determinando un picco di fluorescenza inferiore rispetto alle cellule non apoptotiche (Figura 4). Infine, cellule macrofagiche canine immortalizzate DH82, dopo trattamento con pentadecano, hanno mostrato una vitalità cellulare maggiore rispetto al valore cut-off (60%), che consente di definire tale principio attivo potenzialmente non tossico (Figura 5). Come riportato recentemente in letteratura, con il presente studio viene confermato il ruolo biocida anti-Leishmania di estratti grezzi di alga rossa Asparagopsis taxiformis e di alcuni dei principi attivi contenuti in essa. Inoltre, 169 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 i risultati qui riportati evidenziano la necessità di ulteriori approfondimenti per una più accurata valutazione delle potenziali applicazioni terapeutiche dell’Asparagopsis taxiformis, quale possibile risorsa naturale antiprotozoaria sia in campo umano che veterinario. Tra i principi attivi algali, il pentadecano può essere considerato un “lead compound”, economico e di facile reperimento, che potrebbe mirare a costituire una nuova terapia, contro la grave antropo-zoonosi di nome leishmaniosi. Curva di vitalità della Leishmania infantum, trattata per 48 ore con concentrazioni seriali dell‘ estratto grezzo di Asparagopsis taxiformis. *= p < 0,05; **= p < 0.01; ***= p < 0,001 Curve di vitalità della Leishmania infantum, trattata per 48 ore con concentrazioni seriali di Acido Eptadecano, co-trattamento Acido Linolenico e Linoleico e Pentadecano. **= p < 0.01; ***= p < 0,001. Curva di vitalità delle Leishmania panamensis, trattate per 48 ore con concentrazioni seriali di Pentadecano. *= p < 0,001. 170 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Effetto del Pentadecano sul ciclo cellulare delle Leishmanie. Nel controllo sono riportate le aree dell’istogramma relative alle cellule in fase G1, S e G2M. A= indica l’area dove si trovano le cellule in fase sub-G1 cioè con un quantitativo di DNA inferiore a quello tipico presente in G1. Le cellule in fase sub-G1 sono in genere cellule in apoptosi. Curva di vitalità delle cellule macrofagiche canine, DH82, ottenuta tramite saggio MTT. Le cellule sono state trattate con concentrazioni seriali di Pentadecano.*= p < 0,001. BIBLIOGRAFIA: (1) Tüney Ü, Çadirci BH, Ünal D, Sukatar A. (2006). Antimicrobial activities of the extracts of marine algae from the coast of Urla (Üzmir, Turkey) Turk J Biol.;30:171–175. (2) Genovese G, Faggio C, Gugliandolo C, Torre A, Spanò A, Morabito M, Maugeri TL. (2012). In vitro evaluation of antibacterial activity of Asparagopsis taxiformis from the Straits of Messina against pathogens relevant in aquaculture. Mar Environ Res. Feb;73:1-6 (3) Giuseppa Genovese, Laura Tedone, Mark T. Hamann, and Marina Morabito. (2009). The Mediterranean Red Alga Asparagopsis: A Source of Compounds against Leishmania. Mar Drugs. September; 7(3): 361–366. 171 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISCHIO DI TRASMISSIONE DI VIBRIO PATOGENI LEGATO AL CONSUMO DI CROSTACEI NELLA REGIONE VENETO Caburlotto G.*[1], Fasolato L.[3], Antonetti P.[2], Rahman M.S.[3], Zambon M.[1], Manfrin A.[1] Keywords: Vibrio spp, crustaceans, Istituto Zooprofilattico Sperimentale Delle Venezie ~ Legnaro, [2] Servizio Veterinario Ulss12 Veneziana, [3] Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione, Università degli Studi di Padova ~ Padova [1] SUMMARY: Vibrios are widely distributed bacteria that colonize marine and estuarine habitats. Three main pathogenic species for humans, V. cholerae, V. vulnificus and V. parahaemolyticus, are commonly transmitted via undercooked or raw seafood products, and are responsible of acute gastroenteritis (1). In Italy detailed investigations have not yet been conducted on vibrios in crustaceans. Our group has investigated the presence of pathogenic Vibrio and their virulence factors in crustaceans frequently eaten in our region. In the study we isolated 102 strains of V.parahaemolyticus , none of them was toxigenic. However this does not exclude the possibility of exposure to pathogenic strains. INTRODUZIONE: I prodotti della pesca sono un’importante fonte di approvvigionamento proteica per le popolazioni di tutto il mondo, ma spesso sono responsabili di infezioni alimentari. Esistono specifiche direttive europee e nazionali, tranne per le Vibrionaceae per le quali sono in vigore alcune raccomandazioni da parte dell’Autorità di Vigilanza EFTA (98/03/COL). Il genere Vibrio è ampiamente diffuso negli ambienti estuarini e marini. Comprende tre specie principali patogene per l’uomo: V.cholerae, V.vulnificus e V.parahaemolyticus, comunemente trasmessi attraverso il consumo di prodotti poco cotti o completamente crudi e responsabili di acute gastroenteriti e setticemia. Epidemie di vibriosi sono riportate soprattutto in Giappone, Cina. Nonostante il diffondersi di ristoranti orientali e l’aumentata abitudine di mangiare prodotti crudi, in Europa esistono pochi dati sull’incidenza di tali patogeni. Solo di recente ci sono stati casi clinici di V.cholerae non-O1/non-O139 e V.parahaemolyticus (2,3). In tale ricerca si è voluto indagare sulla presenza di Vibrio patogeni per l’uomo in crostacei commercializzati nella nostra regione. I dati raccolti e l’eventuale presenza dei geni di patogenicità possono essere quindi utilizzati per esprimere le prime ipotesi sul rischio alimentare. Una valutazione della circolazione dei genotipi prevalenti e un monitoraggio completo delle differenti specie di Vibrio spp. potrebbero individuare le fonti di contaminazione principali e le differenti potenzialità di rischio nelle tipologie di prodotti considerati (es locale vs importazione; effetto della stagione, refrigerazione vs congelamento, specie di crostaceo). MATERIALI E METODI: I campioni sono stati forniti dal servizio veterinario dell’Ulss 12 Veneziana e provenivano dal Mercato Ittico All’Ingrosso di Venezia, che commercializza prodotti locali e importati. Sono stati raccolti freschi, congelati o come prodotto decongelato. I crostacei prevalentemente pervenuti sono: gamberetti (Palaemon spp.), gamberi grigi (Crangon crangon) , cannocchie (Squilla mantis), scampi (Nephrops norvegicus), granchi (Carcinus aestuarii) . Per ogni campione sono stati preparati due pool di 25 g ciascuno. Si è provveduto ad un pre-arricchimento e incubato a 37°C per 6 ore (18 ore per un prodotto congelato) poi è seguita la semina in terreni selettivi quali il TCBS e il CHROMagar™ Vibrio. Per gli isolati sono state allestite prove biochimiche. Nel corso del progetto si è messo a punto un protocollo per la quantificazione di V.parahaemolyticus, essendo risultata la specie patogena Vibrio più frequente. Tale protocollo comprendeva il metodo del Most Probable Number. I tubi che presentano crescita poi vengono testati per PCR utilizzando il gene toxR. Per la preparazione del DNA genomico si è utilizzato il QIAMP® DNA Mini kit. Per la ricerca dei Vibrio patogeni si sono utilizzati primers specifici rispettivamente per i marcatori tlh e toxR del V. parahaemolyticus, prVC del V. cholerae, hly del V. vulnificus. Sono stati poi investigati i geni per i fattori classici di virulenza di Vibrio parahaemolyticus: TDH (thermostable haemolysin), TRH (thermostable related haemolysin). Si è ottimizzato inoltre un protocollo di PCR per alcuni nuovi geni associati alla virulenza in V. parahaemolyticus (4). Per una completa identificazione molecolare dei Vibrio circolanti, è stata sviluppata una metodica MLSA (4) basata sull’analisi di sequenza di 4 geni housekeeping (gyrB, pyrH, recA, atpA). Al fine di descrivere nel dettaglio le relazioni filogenetiche tra gli isolati, sono stati sequenziati anche i geni di 16 ceppi di riferimento e sono state incluse nell’analisi le sequenze di 12 ceppi di Vibrio spp. e un Photobacterium profundum (outgroup) scaricate dal database NCBI. RISULTATI E CONCLUSIONI: Nel corso del 2011 e 2012 sono stati analizzati 80 campioni di crostacei provenienti prevalentemente dal Nord Adriatico, comprendendo la zona di Chioggia, la Laguna di Venezia, il Delta del Po (Goro). Nello studio sono stati inclusi anche campioni (scampi) provenienti dal Basso Adriatico e dall’Oceano Atlantico. Utilizzando i terreni selettivi TCBS e CHROMagar™ Vibrio e le prove biochimiche sono stati isolati circa 310 ceppi sospetti Vibrio spp. Di questi, 140 sono stati identificati come V. alginolyticus, 102 come V.parahaemolyticus, utilizzando il gene tlh e toxR. Questi ultimi stati analizzati per i geni di virulenza e nessuno di essi è risultato tossigeno. E’ stato ottimizzato il protocollo di PCR per altri nuovi geni associati alla virulenza di V.parahaemoliticus (4). Di recente si è investigato sulla potenziale patogenicità di ceppi tdh e trh negativi di V.parahaemolyticus isolati da pazienti affetti da severe gastroenteriti (4). Le analisi relative alla presenza di tali geni sono attualmente in corso. Dall’analisi qualitativa 23 campioni risultano positivi per V. parahaemolyticus, di questi 17 derivano da prodotto fresco e 6 derivano da prodotto congelato. L’analisi quantitativa è stata messa a punto solo successivamente e condotta su una totalità di 55 campioni di cui 12 mostrano un valore di MPN > 3 cellule di V. parahaemolyticus per grammo di prodotto. Per quanto riguarda la conferma molecolare della specie di appartenenza, sono stati analizzati fino ad oggi 109 ceppi di Vibrionaceae mediante MLSA, effettuando un controllo in parallelo con le morfologie prevalenti rilevate in piastra per 172 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ciascun campione di crostaceo esaminato. Di questi, 91 sono ascrivibili al genere Vibrio. L’analisi filogenetica del concatenamero ottenuto dall’analisi di sequenza dei 4 geni housekeeping è riportato in Figura 1. Si può osservare come lo schema MLSA proposto sia in grado di discriminare a livello di specie e di poterle correlare ai ceppi di riferimento (Type strains). Sono presenti 5 cluster principali costituiti da V. parahaemolyticus (n° 39), V. alginolyticus (n° 16), V. diabolicus (n° 8), V. harveyi group (n° 7) e V. anguillarum (n° 3) ed altre specie meno rappresentate o di difficile attribuzione. L’unica specie ascrivibile al gruppo di specie definite come “Higher risk Vibrios” è data da V. parahaemolyticus. Risulta interessante evidenziare come ceppi isolati dal medesimo campione presentino una spiccata variabilità genetica e che sia possibile discriminare con la sola analisi MLSA isolati provenienti da campioni differenti. Concludendo, al presente non emerge un evidente rischio di trasmissione di vibriosi da consumo di crostacei dal momento che, nonostante si rilevi la presenza di V.parahaemolyticus, nessun ceppo esaminato risulta portatore dei fattori classici di virulenza. Solo l’analisi completa dei nuovi geni sarà in grado di fornire informazioni sul reale rischio di vibriosi. L’analisi quantitativa rivela la presenza di V.parahaemolyticus prevalentemente nel prodotto fresco, ciò a conferma che i cicli di congelamento rendono critica la sopravvivenza di alcune specie di batteri, preservando dal potenziale rischio di infezione. Al contrario, emerge che V.alginolyticus costituisce la specie prevalente sia nel prodotto fresco che in quello congelato, adattandosi meglio a condizioni di stress ed essendo più ampiamente distribuita nell’ambiente marino. BIBLIOGRAFIA: 1) Austin (2010). Vibrios as causal agents of zoonoses. Vet Microbiol.; 140(3-4):310-7 2) Daniels N.A., Ray B., Easton A., Marano N., Kahn E., Mc Shan A.L., et al. (2000). Emergence of a new V. parahaemolyticus serotype in raw oyster - A prevention quandary. J.A.M.A. 284: 1541-45. 3) Ottaviani D, Leoni F, Rocchegiani E, Santarelli S, Masini L, Di Trani V, Canonico C, Pianetti A, Tega L, Carraturo A. Prevalence and virulence properties of non-O1 non-O139 Vibrio cholerae strains from seafood and clinical samples collected in Italy. Int J Food Microbiol. 2009 Jun 1;132(1):47-53. Epub 2009 Mar 31. 4) Makino K., Kenshiro O., Kurokawa K., Yokoyama K., Uda T., Tagomori K., Iijima Y., Najima M., Nakano M., Yamashita A., Kubota Y., Kimura S., Yasunaga T., Honda T., Shinagawa H., Hattori M., Iida T. (2003). Genome sequence of Vibrio parahemolyticus: a pathogenic mechanism distinct from that of V.cholerae. The Lancet.361: 743-749. 5) González-Escalona N., Martinez-Urtaza J., Romero J, Espejo R. T., Jaykus L-A, and DePaola A. (2008). Determination of Molecular Phylogenetics of Vibrio parahaemolyticus Strains by Multilocus Sequence Typing J. Bacteriol. vol. 190 2831-2840 173 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 DETERMINAZIONE DI MACRO E MICROELEMENTI ESSENZIALI E NON ESSENZIALI NEL PLASMA DI TESTUDO HERMANNI MEDIANTE ICP-MS Cannavacciuolo A.*[2], Isani G.[1], Menotta S.[2], Carpenè E.[1], Di Girolamo N.[3], Ferlizza E.[1], Fedrizzi G.[2] Keywords: macro e microelementi, Testudo hermanni sp., ICP-MS Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna ~ Bologna, [2] Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, Reparto Chimico degli alimenti - Bologna ~ Bologna, [3] Medico Veterinario libero professionista ~ Roma [1] SUMMARY: Testudo hermanni is present only in southern Europe and it is the only native tortoise in Italy. Aim of this study was to provide baseline data concerning element concentrations in plasma of Testudo hermanni sp. (n=35), analysed by ICP-MS technique. Our attention focused on tortoises, because there are no references data on elemental concentrations in plasma of T. hermanni. These data could be useful also for investigating metal pollution, which is one of the main threats acting against the conservation of reptiles; in addition, some reptiles have been identified as good bioindicators of pollution in their environments (1, 5, 6, 8). INTRODUZIONE: L’interesse scientifico è stato rivolto a tartarughe terrestri appartenenti al genere Testudo. Queste testuggini sono inserite nella Convenzione di Washington (CITES, Appendice II). Data l’estrema carenza di dati bibliografici riguardanti le concentrazioni ed il metabolismo di macro e micro elementi nelle tartarughe terrestri italiane, in questo studio è stata determinata la concentrazione di macro elementi essenziali (Na, K, Ca, Mg), micro elementi essenziali (Fe, Zn, Cu, Mn, Se, Cr e Ni) ed elementi non essenziali (Sr, Ba, Pb, As, Hg, Cd) nel plasma di 35 esemplari di T. hermanni. La determinazione analitica ha visto l’impiego di una tecnica che consente la determinazione di elementi a bassissima concentrazione e che coniuga una sorgente di ioni come la ionizzazione chimica a plasma (ICP), con uno spettrometro di massa ad elevata sensibilità e selettività. MATERIALI E METODI: ANIMALI Sono stati inclusi in questo studio 35 esemplari sani appartenenti al genere Testudo hermanni sp, di ambo i sessi (14 maschi, 21 femmine), di età compresa tra i 6 e i 35 anni e di peso compreso fra 466 e 2192 grammi tenuti in cattività in condizioni di semilibertà e all’aperto. I prelievi di sangue sono stati eseguiti in due differenti periodi critici per questi animali: nel post-letargo (primavera) e prima dell’ibernazione invernale (autunno). Gli esemplari scelti sono stati sottoposti a visita medica, sono stati rilevati i dati biometrici e sono state annotate le informazioni anamnestiche. I prelievi ematici sono stati eseguiti da plesso cervicale, vena giugulare o entrambi i siti per il medesimo esemplare. È stata prelevata una quantità di sangue compresa fra il 5 e l’8% del peso corporeo, che per i rettili corrisponde al 10% del volume ematico totale (7). DETERMINAZIONI ANALITICHE Gli elementi (macro e micro elementi) essenziali e non essenziali, determinati analiticamente nel plasma di Testudo Hermanni sp sono stati: Na, K, Ca, Mg, Mn, Fe, Zn, Cu, Se, Sr, Ni, Ba, Cr, Pb, As, Hg, Cd. Per la determinazione dei vari elementi, i campioni di plasma sono stati sottoposti a digestione ad umido con applicazione di calore, mediante digestore aperto tipo Digi-Prep (SCP-Science). La mineralizzazione è stata eseguita attraverso un attacco acido con HNO3 a 75ºC per 12 ore. La determinazione strumentale è stata eseguita mediante spettrometria di massa con sorgente al plasma (ICP-MS) modello 7700 Agilent Technologies interfacciato ad un autocampionatore modello ASX-500 Series. Le concentrazioni dei vari elementi sono espresse in mg/l per Na, K, Ca, Mg e µg/l per gli altri. Il limite di quantificazione (LOQ) per ciascun elemento era: 2 µg/l (Pb, Cd), 5 µg/l (Fe, Zn, Cu, Se, Sr, Ni, Ba, Cr, As, Hg, ) e 1 mg/l (Na, K, Ca, Mg) ANALISI STATISTICA È stata condotta un’analisi statistica preliminare dei dati grazie al programma MedCalc®. Si è provveduto ad eseguire una prima analisi descrittiva dei dati attraverso la valutazione di media, deviazione standard, minimo e massimo e mediana. Successivamente si è valutata la normalità per ciascun parametro, utilizzando il test D’Agostino-Pearson. Il calcolo degli intervalli di riferimento è stato eseguito sui valori minimi e massimi, poiché la quasi totalità degli elementi analizzati rientrava negli intervalli di normalità. Il confronto tra sessi e tra il campionamento primaverile e quello autunnale è stato condotto mediante il test t di Student. E’ stata considerata significativa una probabilità P <0,05. RISULTATI E CONCLUSIONI: Le concentrazioni degli elementi analizzati nel plasma di T. hermanni sono riportate in Tabella 1. I macro elementi Na, K, Ca, Mg, sono presenti in concentrazioni alcuni ordini di grandezza superiori rispetto agli altri elementi analizzati. In particolare, la concentrazione media di Na (2015 mg/L) è in accordo con quanto riscontrato da Flint et al., (2010) in tartarughe acquatiche. Fe, Zn e Cu risultano essere i più abbondanti tra i micro elementi essenziali, in accordo con le loro importanti funzioni biochimiche; gli altri micro elementi essenziali con funzioni biochimiche più limitate sono presenti in concentrazioni inferiori. Per quanto riguarda i micro elementi non essenziali come Cd, Hg, Pb e As le concentrazioni plasmatiche risultano inferiori al limite di quantificazione. La mancanza di dati bibliografici a proposito dei valori basali nel plasma e del metabolismo dei vari elementi rende difficile il confronto. I dati riportati in letteratura (1, 3, 4) riguardano molto spesso cheloni acquatici, le cui condizioni biologiche ed ecologiche sono molto differenti da quelle terrestri così come l’esposizione a fonti di inquinamento. In ogni caso, almeno per quanto riguarda gli elementi tossici, possiamo ipotizzare che gli esemplari oggetto di questo studio vivano in ambienti non contaminati da Cd, Hg, Pb e As. 174 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Per quanto riguarda le fonti di variabilità, non si sono riscontrate differenze significative legate al sesso, mentre sono state trovate differenze dovute al periodo di campionamento; in particolare, una diminuzione di Fe e Mg nel periodo primaverile rispetto a quello autunnale e un aumento di Ca, K, Zn e Na in quello primaverile rispetto al campionamento autunnale. Concentrazioni di Zn più elevate in maggio rispetto ad ottobre sono state riportate anche in esemplari di T. hermanni alimentate con diete a diverso contenuto di metalli (2). Le differenze stagionali potrebbero essere correlate all’emoconcentrazione che precede il letargo. È stato effettuato infine un confronto tra metodiche (ICP-MS/ tecnica potenziometrica con analizzatore automatico Olympus AU400) nella determinazione del Na e del K. Le concentrazioni medie sono risultate essere lievemente maggiori nella determinazione mediante ICP-MS rispetto a alla tecnica potenziometrica Olympus impiegata nelle analisi biochimiche sia in campo umano che veterinario. Le due metodiche risultano dunque correlate tra loro nella determinazione dei macro elementi essenziali (Na e K). BIBLIOGRAFIA: 1) Andreani G., Santoro M., Cottignoli S., Fabbri M., Carpenè E., Isani G. (2008). Metal distribution and metallothionein in loggerhead (Carretta carretta) and green (Chelonia mydas) sea turtles. Science of the Total Environment. 390(1):287-94 2) Brunetti S. (2008) Livelli plasmatici di Zn in esemplari di Testudo hermanni alimentati con diete a diversa concentrazione di Zn. Tesi di Laurea in Medicina Veterinaria, Università di Bologna. 3) Flint M., Moton J. M., Limpus J. C., Patterson-Kane C. J., Murray P. J., Millis P.C. (2010). Development and application of biochemical and haematological reference intervals to identify unhealthy green sea turtles (Chelonia mydas). The Veterinary Journal 185: 299-304 4) Ley-Quinonez C., Zavala-Norzagaray A., Espinosa-Carreon T. L., Peckham H., Marquez-Herrera C., Campos-Villegas L., Anguirre A. (2011). Baseline Heavy metals and metalloid values in blood af Loggerhead turtles (Carretta Carretta) from Baja California Sur, Mexico. Marine Pollution Bulletin 62: 2580. 5) Loumbourdis NS. (1997). Heavy metal concentration in a lizard, Agana stellio, compared in urban, high atitude and agricultural, low altitude areas of North Greece. Bulletin of Environmental Contaminant Toxicology 58: 945-952 6) Marinez- Lopez E., Sousa A.R., Maria.Majioca P., GomezRamirez P., Guilhermino L., A.J. Garcia-Fernandez A. J. (2010). Blood §-ALAD, lead and Cadmium concentrations in spur-thighed tortoise (Testudo graeca) from southeastern Spain and Northen Africa. Ecotoxicology 19: 670- 677. 7) Redrobe S., MacDonald J.(1999). Sample collaction and clinical pathology of reptiles. Veterinary Clinics of North America: Exotic animal practice. 3 (2): 709-730. 8) Riggio M., Scudiero R., Borrelli L.,De Stasio R., Filosa S. (2002). Analisi del contenuto di “metalli traccia” e dei meccanismi molecolari che ne controllano l’omeostasi in Anfibi e Rettili del Parco del Maltese. I vertebrati ectotermi del parco Regionale del Maltese. pp. 139 -147 175 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 DIAGNOSI DI INFEZIONE DA MORBILLIVIRUS NEI CETACEI MEDIANTE MICROSCOPIA ELETTRONICA, ISOLAMENTO SU COLTURE CELLULARI E METODI BIOMOLECOLARI Cardeti G.[1], Cersini A.*[1], Puccica S.[1], Antognetti V.[1], Cittadini M.[1], Dante G.[1], Amaddeo D.[1] Keywords: Morbillivirus, cetacei, diagnosi virologica Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana ~ Roma [1] SUMMARY: Specimens from two cetacean species (Stenella coeruleoalba and Tursiops truncates) found stranded were investigated for the research of viral agents. Paramyxovirus-like particles were observed at transmission electron microscopy in swabs and gut; two end point PCR protocols revealed the presence of Morbillivirus in swab, brain, lung and gut homogenates and in the cryolisate of an inoculated cell line. Sequencing analysis are in progress to characterize the identified strains. INTRODUZIONE: Da circa 25 anni i Morbillivirus sono considerati importanti agenti patogeni dei cetacei (1). La prima grave epidemia fu registrata nel mar Mediterraneo tra il 1990 ed il 1992, causata da un agente virale fino ad allora sconosciuto, il Dolphin Morbillivirus (DMV) (2). Tra il 2005 ed il 2007 un’epidemia simile, a più bassa mortalità, è stata registrata nei mari spagnoli in globicefali (Globicephala melas) e stenelle (Stenella coeruleoalba); il virus responsabile si è dimostrato geneticamente correlato al ceppo DMV isolato 15 anni prima nella stessa area (2). Infezione da morbillivirus è stata recentemente evidenziata in cetacei spiaggiati sulle coste mediterranee francesi (3), in stenelle sulla costa spagnola (4) ed in stenella e balenottera (Balaenoptera physalus) spiaggiate sulla costa tirrenica italiana (5). Il presente lavoro riporta i risultati preliminari di indagini di laboratorio condotte su cetacei piaggiati, al fine di rilevare la presenza di agenti virali mediante l’impiego di microscopia elettronica, colture cellulari e metodi biomolecolari. MATERIALI E METODI: Cinquantaquattro campioni prelevati post mortem da 17 cetacei, 15 stenelle (Stenella coeruleoalba) e 2 tursiopi (Tursiops truncatus), sono stati sottoposti ad indagini virologiche mediante microscopia elettronica, colture cellulari e PCR. Complessivamente sono stati esaminati 17 campioni di encefalo, 17 di polmone, 10 di tampone sfiatatoio, 7 di tampone faringeo e 3 di intestino. Osservazione al TEM. Per l’osservazione al microscopio elettronico a trasmissione (TEM), sono stati utilizzati 20 campioni omogenati in acqua ultrapura e processati secondo quanto descritto in Biel, 1999 (6) (Tab. 1). Inoculo di colture cellulari. Per l’isolamento virale i 54 omogenati di organo e tamponi, sono stati inoculati su due linee cellulari: linfociti di marmoset (B95a) in quanto sensibili ai morbillivirus e cellule di rene di scimmia (Vero) per l’evidenziazione di altri possibili agenti virali (7). Dopo due passaggi ciechi, ciascun criolisato da B95a è stato sottoposto ad analisi biomolecolare come di seguito descritto. Analisi Biomolecolare La PCR specifica per il genere Morbillivirus e la PCR specifica per DMV sono state eseguite sia su tutti gli omogenati di organo e tamponi che sui relativi passaggi colturali. Estrazione dell’RNA e sintesi del cDNA. L’RNA totale è stato estratto sia dagli omogenati d’organo e tamponi che dai relativi passaggi colturali utilizzando il QIAamp® Viral RNA Kit (Qiagen). Trenta µl di RNA totale sono stati quindi retrotrascritti mediante l’impiego dell’High Capacity cDNA Reverse Transcription Kit (Applied Biosystems). PCR per il genere Morbillivirus. La PCR per il genere Morbillivirus selezionata dalla letteratura (8), è stata riadattata modificando la composizione della master mix: 0,2mM dNTP, 0,5µM per entrambi i primer, 5µl 10X Buffer (Invitrogen), 1,5mM MgCl2 (Invitrogen), 0,001% Triton X-100, 0,2mg/ ml BSA, 5µl di stampo a cDNA, 0,5µl di 5U/µl Platinum® TaqDNA Polymerase (Invitrogen) ed H2O-DEPC fino ad un volume finale di 50 µl. L’amplificazione eseguita con l’apparecchio Gene Amp® PCR System 9700 (Applied Biosystems) è stata corretta impostando un ciclo di 7’ a 94°C, seguito da 40 cicli composti ciascuno da 1’a 94°C, 1’a 54°C , 1’a 72°C ed infine 7’a 72°C. PCR specifica per Dolphin Morbillivirus (DMV). La PCR per DMV selezionata dalla letteratura (9) e rilevante una porzione di 173bp posta all’estremità 3’ del gene N specifica per DMV, è stata riadattata modificando la composizione della master mix: 0,2mM dNTP, 0,4µM per i primer, 5µl 10X Buffer (Invitrogen), 5µl di stampo a cDNA, 2mM MgCl2 (Invitrogen), 0,001% Triton X-100, 0,2mg/ml BSA, 5µl di cDNA, 0,5 µl di 5U/µl Platinum® Taq DNA Polymerse (Invitrogen) e H2O-DEPC fino ad un volume finale di 50 µl. L’amplificazione eseguita sempre con Gene Amp® PCR System 9700, è stata effettuata come da letteratura: 10’ a 94°C, 40 cicli composti da 1’a 94°C, 1’a 62°C, 1’ a 72°C seguiti da 10’ a 72°C. Costruzione dei controlli positivi per le due PCR. Per la costruzione dei controlli positivi delle due PCR, gli amplificati specifici per Morbillivirus e DMV, dopo purificazione, sono stati clonati in pCRII-TOPO vector (TOPO TA Cloning® Dual Promoter kit, Invitrogen) e quindi usati per trasformare le cellule competenti ONE SHOT TOP10 (Invitrogen, Life Technologies, Carlsbad, CA, USA). RISULTATI E CONCLUSIONI: Particelle paramyxoviruslike sono state osservate al TEM in n.6 campioni (Fig.1). Tale positività è stata confermata mediante PCR. Nessun effetto citopatico è stato riscontrato sulle due linee cellulari inoculate. Tredici criolisati del secondo passaggio su B95a sono risultati positivi in PCR per Morbillivirus genere e/o DMV (Tab. 1). In ambedue le PCR, l’organo più frequentemente risultato positivo è l’encefalo, seguito dal polmone; l’intestino è sempre risultato positivo. Le colture cellulari inoculate con campioni provenienti da 10 soggetti sono risultate positive in PCR, nonostante l’assenza di effetto citopatico (ECP). Secondo quanto riportato in letteratura (8), la PCR Morbillivirus genere è più sensibile, mentre la PCR DMV è più specifica. Per questo motivo abbiamo considerato positivi i campioni che reagivano ad una e/o entrambe le PCR eseguite. Sono in corso prove di sequenziamento per caratterizzare gli amplificati ottenuti con le due PCR. 176 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Figura 1: particelle paramyxovirus-like (barretta = 100 nm) Tabella 1: Tabella 1: Risultati delle indagini virologiche eseguite su differenti campioni da cetacei spiaggiati BIBLIOGRAFIA: 1. Van Bressem et al. (2009). Emerging infectious diseases in cetaceans worldwide and the possible role of environmental stressors. Diseases of Aquatic Organisms 86: 143-157. 2. Raga J.-A. et al. (2008). Dolphin Morbillivirus Epizootic Resurgence, Mediterranean Sea. Emerging Infectious Diseases 14: 471-473. 3. Keck, N. et al. (2010). Resurgence of Morbillivirus infection in Mediterranean dolphins off the French coast. Veterinary Record 166: 654-655. 4. Soto, S. et al. (2011). Post-epizootic chronic dolphin morbillivirus infection in Mediterranean striped dolphins Stenella coeruleoalba. Diseases of Aquatic Organisms 96: 187-194. 5. Di Guardo, G. et al. (2011). Morbilliviral encephalitis in a striped dolphin Stenella coeruleoalba calf from Italy. Disea- ses of Aquatic Organisms 95: 247-251. 6. Biel S.S., Gelderblom H.R. (1999). Electron microscopy of viruses. In: Virus Culture– A Practical Approach (ed. by A.J. Cann), pp.111-147. Oxford University Press, Oxford, England. 7. Di Guardo G. et al. (1995). Post mortem investigations on cetaceans stranded on the coasts of Italy from 1990 to 1993. Veterinary Record 136: 439-442. 8. Frisk A.L. et al. (1999) Detection of distemper nucleoprotein RNA by reverse transcription-PCR using seru, whole blood, and cerebrospinal fluid from dogs with distemper. Clin Microbiol. 37: 3634-3643. 9. Grant R. J. et al. (2009). Real-time RT-PCR assays for the rapid and differential detection of dolphin and porpoise morbilliviruses. Journal of Virological Methods 156: 117-123. 177 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 FOCOLAIO DI RINOTRACHEITE INFETTIVA BOVINA IN ALLEVAMENTO VACCINATO ALL’INGRASSO Caruso C.*[1], Rosamilia A.[1], Biolatti P.G.[3], Malerba M.[2], Lotti R.[3], Rutigliano B.[3], Peletto S.[1], Angiolillo S.[1], Biosa T.[1], Trisorio S.[1], Acutis P.L.[1], Masoero L.[1] Keywords: IBR, BoHV-1, bovine Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’ Aosta ~ Torino, [2] ASL Cuneo 2 ~ Cuneo, [3] 1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’ Aosta ~ Cuneo [1] SUMMARY: Cases of infectious bovine rhinotracheitis have recently been observed in vaccinated feedlot calves in Ceresole d’Alba, Piedmont, a few days after their introduction into the herd. To investigate the cause of this outbreak, four samples of lung tissues among 15 dead subjects were collected and BoHV-1 was isolated. Feedlot owners maintain that vaccination against IBR is an essential component both to prevent clinical signs and to reduce economical losses. However, vaccines do not completely prevent disease occurrence by themselves, and should be used in conjunction with good management practices. INTRODUZIONE: L’allevamento intensivo del vitellone da carne è una realtà molto diffusa in Piemonte dove sono presenti i cosiddetti centri d’ingrasso che importano ristalli bovini provenienti dall’estero (1) ; tale tipologia di allevamento presenta diverse problematiche di benessere animale, che possono ripercuotersi sullo “status sanitario” dei soggetti. Vengono sviluppati programmi di prevenzione sanitaria più o meno perfezionati, con trattamenti vaccinali mirati alla prevenzione delle più insidiose patologie legate all’allevamento intensivo tra cui l’IBR. Sebbene gli allevatori adottino numerosi accorgimenti gestionali, alimentari, profilattici e terapeutici, l’incidenza di questa patologia rimane un problema serio (2). In questo lavoro viene descritto un focolaio di IBR in un allevamento bovino all’ingrasso situato a Ceresole d’Alba (Cuneo). L’azienda è formata da 7 capannoni denominati A, B, C, (stalle di sosta), D, E, F (stalle da ingrasso) e G (infermeria), più un paddock per lo svezzamento. Ogni stalla ospita in media 120 animali. I ristalli bovini provengono quasi totalmente dalla Francia e dopo un viaggio di diverse ore, vengono scaricati nelle strutture A, B, C. All’arrivo gli animali hanno un età compresa tra i 100 ed i 180 giorni. In queste strutture gli animali vengono ripartiti in gruppi di circa 20-25 animali per ogni box, nei quali trascorrono un periodo di quarantena. Dopo tale periodo, i bovini vengono spostati nei box delle strutture D, E, F. Gli animali permangono nel centro di ingrasso non meno di 7 mesi e vengono macellati ad un età media di 21-22 mesi. Tutti gli animali vengono sottoposti a vaccinazione per M. haemolytica., virus respiratorio sinciziale (VRSB), parainfleunza (PI3), diarrea virale (BVD) e rinotracheite (BoHV-1) con successivo richiamo. Nel mese di Ottobre 2011, 3 partite di 18 animali ciascuna, 54 animali in totale, introdotti da circa 45 giorni, (età 7 mesi c.a. e peso vivo 270 Kg c.a.) hanno manifestato segni clinici riferibili a sintomatologia respiratoria. Tutti gli animali hanno subito una profilassi vaccinale, secondo il piano aziendale, dopo due giorni dall’arrivo. Nello specifico sono stati utilizzati un vaccino inattivato contro le infezioni respiratorie da M. haemolytica congiuntamente ad un vaccino polivalente costituito da una componente inattivata liquida contenente ceppi dei virus della rinotracheite infettiva bovina (IBR), della parainfluenza 3 (PI3), del virus della diarrea virale bovina / malattia delle mucose (BVD/MD) e del virus respiratorio sinciziale bovino (BRSV). Il richiamo è stato effettuato tre settimane dopo con vaccino IBR marker deleto gE e tK più vaccino contenente virus vivo attenuato respiratorio sinciziale del bovino (VRSB). Venti giorni dopo il richiamo, i soggetti hanno cominciato a mostrare sintomi quali dispnea, tosse, fame d’aria, inappetenza, scolo nasale di tipo mucoso e ipertermia. Dopo 6 giorni dalla comparsa dei primi sintomi è avvenuto il primo decesso; in totale sono deceduti 15 animali. Presso i laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta è stato condotto l’esame necroscopico ed eseguite le opportune indagini batteriologiche, virologiche e biomolecolari per ricerca di agenti patogeni respiratori, in particolare BoHV-1. MATERIALI E METODI: ISOLAMENTO VIRALE I campioni di tessuto polmonare sono stati tritati ed estratti in MEM EARLE antibiotato 5x. La sospensione è stata successivamente chiarificata mediante centrifugazione a 3500 rpm per 30 minuti a +4°C. Il surnatante è stato inoculato su monostrati di cellule MDBK (Madin – Darby Bovine Kidney) coltivati su piastre da 24 pozzetti e incubati a 37°C in presenza del 5% CO2. Le colture cellulari sono state osservate quotidianamente per evidenziare la comparsa di effetto citopatico su monostrato infettato (ECP). L’ identificazione virale è avvenuta mediante allestimento di chamber - slides con infezione a monostrato fissate in etanolo freddo. Successivamente le chamber slides sono state colorate con anticorpo monoclonale FITC specifico anti BoHV-1 (EUROCLONE) e incubate per 30 minuti in camera umida a 37°C. I vetrini sono stati lavati in PBS e osservati al microscopio a fluorescenza. END POINT PCR PER RICERCA GENOMA BoHV-1 La presenza di genoma virale di BoHV-1 nel campione è stata determinata mediante allestimento di PCR end point rivolta verso il gene della glicoproteina gB utilizzando mix e primers specifici riportati in tabella 1.Il DNA totale è stato estratto da 25 mg di polmone utilizzando il kit PureLink Genomic DNA (Invitrogen) seguendo le istruzioni della casa produttrice. I frammenti genomici prodotti sono stati sottoposti ad elettroforesi su gel di agarosio 2% e visualizzati mediante transilluminatore GEL - DOC (Bio-Rad Laboratories), dopo colorazione con GelGreen Nucleic Acid Stain (Invitrogen). Gli ampliconi sono stati purificati e sottoposti a sequenziamento diretto utilizzando il kit ABI PRISM BigDye Terminator v1.1 ed un sequenziatore automatico ABI 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystems, USA). L’allineamento delle sequenze è stato effettuato usando il software SeqMan (DNASTAR) e confrontate con le sequenze presenti nel database GenBank utilizzando BLAST. 178 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tab.1 RISULTATI E CONCLUSIONI: L’esame anatomopatologico ha rilevato gravi lesioni polmonari, con presenza di polmonite ai lobi apicali, medi e porzioni dei diaframmatici, vaste aree di epatizzazione rossa polmonare e tracheite necrotico difteroide (Figura .1, 2, 3 ). Le indagini virologiche effettuate hanno permesso l’isolamento di BoHV-1, in tutti e 4 i campioni processati, dopo 72 ore di incubazione su MDBK e la successiva identificazione mediante immunofluorescenza con anticorpo monoclonale. Le PCR effettuata sul tessuto polmonare di quattro animali è risultata positiva con bande di amplificazione del peso molecolare atteso (Figura 4). Il sequenziamento degli amplificati e successiva analisi con BLAST delle sequenze ottenute hanno evidenziato un’identità del 100% con le sequenze del gene UL27 che codifica per la glicoproteina B dello stipite Cooper di BoHV-1 (acc.no. AJ004801). Pur rappresentando un efficiente strumento di controllo del- la malattia, sia come contenimento della sintomatologia, sia per evitare la diffusione delle particelle virali, la vaccinazione dovrebbe essere usata contestualmente a buone pratiche di allevamento.(3) La durata temporale del trasporto dalle zone di origine a quelle di ingrasso, lo stress generato dal repentino cambio dell’alimentazione, lo stress indotto dalle variazioni climatiche (temperatura ed umidità), il mescolamento di animali provenienti da zone sanitarie differenti e l’elevata concentrazione di animali in spazi ridotti e poco areati, possono aver determinato il fallimento del programma vaccinale con conseguente riattivazione di infezione latente e manifestazione clinica della malattia in condizioni di stress.(4) Nella pratica dell’ allevamento intensivo gli stressors non possono essere completamente eliminati, per cui risulta particolarmente importante allestire protocolli terapeutici efficaci congiuntamente a buone pratiche manageriali e misure di biosicurezza. 179 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1) Van Donkersgoed J, Babiuk LA. Diagnosing and managing the respiratory form of infectious bovine rhinotracheitis. Vet Med 1991;1:86-94. 2) ANABORAPI, Associazone italiana allevatori del bovino di razza piemontese, 2012: L’ allevamento del bovino piemontese (dal sito www.anaborapi.it). 3) Pastoret P.P., Thiry E., Brochier B., Derboven G. e Vindevo- gel H.(1984)- The role of latency in the epizootiology of infectious bovine rhinotracheitis in latent herpes virus infections in veterinary medicine. Ed. Wittmann G., Gaskell R.M. And Rzira H.J., Martinus Hijhoff Publisher, Dordrecht, pp 221-227 4) Wentink G.H., Van Oirschot J.T., e Verhoeff J., (1993) Risk of infection with bovine herpesvirus 1 (BHV1): a review, Vet Quart, 15: 30-33 180 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 PROCEDURA DI ESTRAZIONE DEL DNA DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. PARATUBERCOLOSIS DA FORMAGGI DI PECORA Casalinuovo F.*[1], Ciambrone L.[1], Musarella R.[1], Allevato F.[1], Corea M.[1], Gentile M.[1], Guarino A.[2] Keywords: Map, formaggi, PCR Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno Sezione di Catanzaro ~ Catanzaro, [2] Direzione Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici [1] SUMMARY: We described a procedure of the Mycobacterium avium subsp. paratubercolosis DNA extraction from handmade sheep cheese containing raw milk.This procedure can be used in the execution of the Real Time PCR method for the singling of the infection of dairy products by Mycobacterium. As regards the traditional method of the cultural isolation, the Real Time PCR represents an easiest and faster method in both application and execution time. INTRODUZIONE: La Paratubercolosi è una malattia infettiva e contagiosa che colpisce in particolare i ruminanti domestici e selvatici. Descritta per la prima volta nel 1895 (4) è nota anche come malattia di Johne (Johne’s Disease), mentre Il ruolo eziologico di Mycobaterium avium subs. paratuberculosis (Map) fu definito con certezza nel 1912 (7). L’attenzione verso questa malattia è in continuo aumento a causa dei danni economici che può provocare negli allevamenti bovini ed ovicaprini, ma anche per il possibile ruolo che il Map potrebbe svolgere in alcune patologie dell’uomo, nel quale il contagio si verifica in seguito all’ingestione di alimenti e acqua contaminati. La diagnosi della malattia è basata sull’isolamento colturale del Map dagli animali infetti e dai prodotti alimentari sospetti. Tuttavia, questo metodo risulta particolarmente indaginoso nell’esecuzione e richiede tempi lunghi di incubazione, non sempre compatibili con l’esigenza di disporre di metodi rapidi, specifici e di facile esecuzione per l’individuazione di Map soprattutto negli alimenti ed in particolare nei prodotti lattiero caseari, dove il Map può essere presente in quantità molto limitate. I metodi di biologia molecolare assommano i requisiti di affidabilità, praticità e ridotti tempi di esecuzione, e se associati a valide procedure di estrazione del DNA costituiscono un valido strumento diagnostico,. Con il presente lavoro viene descritto un efficace protocollo di estrazione del DNA di Map da matrici di formaggio di pecora a pasta semidura da utilizzare nell’esecuzione del metodo di prova Real Time PCR e provato in condizioni assolutamente naturali su prodotti contaminati normalmente presenti in commercio. MATERIALI E METODI: Sono stati utilizzati 36 diversi campioni di formaggio di pecora a latte crudo, di stagionatura compresa tra i 15 e i 21 giorni, prodotti secondo il sistema tradizionale di caseificazione di trattamento del latte a temperature non superiori a 50 °C. I formaggi erano stati ottenuti per trasformazione diretta del latte ovino prodotto in altrettanti allevamenti distribuiti sul territorio calabrese, dove la prevalenza apparente della Paratubercolosi ovina è del 15,8% (2). Da ciascun campione sono stati prelevati 50 gr. di formaggio, privi dello strato esterno e sottoposto ad omogeneizzazione mediante stomacher miscelatore (stomacher 400 circulator) alla velocità di 230 rpm per 30 sec. (5). Successivamente ad 1g di omogenato sono state aggiunte 100 mg di biglie di vetro (diametro 150-112µm - Sigma) e si dato inizio al processo di estrazione mediante l’utilizzo di un kit presente in commercio (QIAmp DNA mini kit, - Qiagen). Al campione sono stati quindi aggiunti 180 µl di buffer ATL fornito dal kit. Per ottenere la lisi cellulare il campione è stato successivamente sottoposto a 3 cicli di 45 s a 4 Hz all’interno del FAST PREP; il sovranatante è stato prelevato e trasferito in un tubo da 1.5 ml, nel quale sono stati aggiunti 20µl di proteinasi k e 5 µl di controllo interno (EPC EXTRACTION), presente nel kit amplificazione utilizzato (Adiavet òParatb Real Time - Adiagene) e quindi incubato a 56° C per 1 h, procedendo successivamente per come previsto dal QIAmp DNA mini kit . Occorre sottolineare come il campo di applicazione del kit di amplificazione (Adiavet òParatb Real Time - Adiagene) non contempla i formaggi ma è stato testato e quindi indicato per feci bovine, ovine e caprine, latte e tessuti (1, 3, 6,). Il kit è provvisto di due controlli interni: 1. EPC EXTRACTION, che viene aggiunto durante la fase di estrazione e serve a verificare l’intero processo di estrazione e l’assenza di inibitori 2. EPC AMPLIFICATION,che viene aggiunto nella master mix ed ha la funzione di controllare l’assenza di inibitori di amplificazione. Pertanto vengono utilizzate quattro coppie di primers e due sonde, una marcata con il fluorocromo FAM che è specifico per M. Paratubercolosis (IS900) l’altra marcata con il fluorocromo VIC specifica per la rilevazione dei controlli di estrazione e/o amplificazione. La fase di termociclizzazione ( termociclatore Biorad CFX96 Real Time) è stata impostata con il seguente profilo: • 1 ciclo a 50 °C per 2 minuti • 1 ciclo a 95 °C per 10 min • 45 cicli a 95 °C per 30 sec, 60 C per 1 min RISULTATI E CONCLUSIONI: Attraverso l’applicazione della procedura descritta, il DNA di Map è stato rilevato in 5 campioni di formaggio sui 36 analizzati (13,8%). Successivamente sui campioni positivi sono state avviate prove di isolamento batteriologico tuttora in corso e finalizzate a confermare la reale presenza e la vitalità di Map nei campioni dove è stato rilevato il DNA. La procedura di estrazione utilizzata si è quindi dimostrata molto efficace nel rilevare la contaminazione da Map dei prodotti alimentari considerati, in particolare se si tiene conto che i campioni di formaggio analizzati sono stati reperiti dal commercio con il criterio della casualità ed in assenza di qualsiasi tipo di informazione circa lo stato sanitario degli animali appartenenti alle rispettive aziende di produzione, ed in particolare verso l’infezione paratubercolare. Nelle tabelle sono riportati i dati relativi ad una sessione lavorativa, molto significativa in quanto oltre ai formaggi sono stati contemporaneamente processati anche le diverse matrici biologiche per le quali il kit è testato, vale a dire un campione di latte, un campione di feci 181 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tabella n.1:Valori di C(t) per sonda FAM di tutti i campioni analizzati Tabella n.2:Valori di C(t) per sonda VIC di tutti i campioni analizzati 182 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 caprine ed un reperto di mucosa intestinale proveniente da un animale infetto da paratubercolosi clinicamente in atto e confermata con l’isolamento di Map. In tutte le suddette matrici, latte, feci e mucosa intestinale, è stato rilevato il DNA di Map, analogamente a quanto riscontrato sui 5 campioni di formaggio. Inoltre, i valori riportati nelle tabelle dimostrano la validita’ della procedura d’ estrazione in quanto tutti i campioni presentano un C(t), ossia un numero di ciclo in cui la fluorescenza emessa dal fluoroforo è massima. Si può pertanto concludere che il kit di amplificazione utilizzato, pur non indicato per i formaggi di pecora, è risultato efficace anche per questa tipologia di matrice e può quindi essere allo scopo utilizzato. I dati disponibili circa la diffusione della Paratubercolosi sul territorio nazionale sono ancora insufficienti e soprattutto diversi a secondo delle realtà territoriali dove sono finora sono stati condotti studi epidemiologici. Di certo la malattia rappresenta un serio problema sanitario per il comparto ovicaprino italiano, con le immaginabili conseguenze che possono derivare per il settore caseario ed in particolare per la produzione dei formaggi di pecora a latte crudo. La disponibilità di procedure e metodiche innovative utili ad evidenziare livelli di contaminazione da Map in questi prodotti, può senz’altro contribuire ad un’attività di controllo più rapida ed efficace. BIBLIOGRAFIA: 1.Blanchard B., Versmisse Y. and Chevallier B. (2008): Detection of Mycobacterium avium subsp. Paratubercolosis in bovine feces and milk using Adiapure extraction kit and Real Time Adiavet PCR Kit. 47h annual conference of AAVL, 7-10 july 2008. 2.Casalinuovo F., Musarella R., Corea M., Mungo V., Guarino A., (2011): Infezione da Mycobacterium avium subsp. paraubercolosis negli ovini e il rischio di contaminazione del latte.. Atti Convegno VI Workshop di Epidemiologia Veterinaria, Orvieto 1-2 Dicembre 2011, pag. 65-66 3.Couquet C., Chatonnet S., Fremont A., Rebeyroles L., Versmisse Y., Blanchard B. (2005): Evaluation of real time PCR of pooled fecal samples for detection of Mycobacterium paratuberculosis in cattle. 8th International Colloquium on Paratuberculosis The Royal Veterinary and Agricoltural University Copenhagen, Denmark August 14-17, 2005, pag.100 4.Johne, H., Frothingham, L., 1895, Ein eigenthümlicher Fall von Tuberculose beim Rind. Deutsche Zeitschrift f. Thiermed. u. vergl. Pathologie XXV, 438-454. 5.John Ikonomopoulos, Ivo Pavlik, Milan Bartos, Petra Svastova, Wuhib Yayo Ayele, Petr Roubal, John Lukas, Nigel Cook , Maria Gazouli (2005). Detection of Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis in Retail Cheeses from Greece and the Czech Republic.. Appl. Environ. Microbiol. December 2005 vol. 71 no. 12 8934-8936. 6.Nathalie Veillon-Vassallo, (201): Les animaux atteints de paratubercolose advantage dépistés avec les nouveaux procédés PCR. Le Point Vétérinaire, Mars 2011 / N° 313, pag. 64-67. 7.Twort FW, Ingram GLY: 1912, A method for isolating and cultivating Mycobacterium enteritidis chronicae pseudotuberculosae bovis, Johne, and some experiments on the preparation of a diagnostic vaccine for pseudotuberculous enteritis of bovines. Vet J 68:353–365. 183 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 MONITORAGGIO DEI GRANDI ROGHI INCONTROLLATI DI RIFIUTI IN REGIONE CAMPANIA Cavallo S.*[1], Esposito M.[2], Pellicanò R.[1], Colarusso G.[1], Rosato G.[3], Guarino A.[2], Caligiuri V.[2], Baldi L.[2], Sarnelli P.[3] Keywords: Roghi, Diossina, Campania ORSA - Osservatorio regionale Sicurezza Alimentare c/o IZSM Portici ~ Portici (NA), [2] Istituto Zooprofilattico Sperimentale del mezzogiorno di Portici ~ Portici (NA), [3] Regione Campania, AGC20 Assistenza Sanitaria, Settore Veterinario ~ Napoli [1] SUMMARY: A lot of sample were collected during the dioxin’s emergency in 2008 in Campania. The analysis have revealed the fingerprint of dioxins: the milk contamination was caused by the smoke of the trash fires. In order to protect human health since 2009, the Regional Department of Public Health in collaboration with ORSA has developed an extraordinary monitoring plan on the contamination effects originated by trash fires. INTRODUZIONE: Durante l’emergenza diossina verificatasi nel 2008 nella regione Campania, particolarmente nella zona del basso casertano, è stato implementato un piano straordinario detto Piano Unione Europea; sono stati esaminati più di 1000 campioni per la ricerca di diossine e PCB diossina simile, costituiti da latte di massa e da alimento ad uso zootecnico (Tab. 1). La grande mole di dati permise di effettuare la caratterizzazione del fingerprint della contaminazione ambientale e di dimostrare che i roghi incontrollati di rifiuti rappresentavano le fonti (spot) di contaminazione più probabili nell’area (1). Contemporaneamente l’ARPA Campania ha denunciato alcuni superamenti dei limiti di legge per diossine e PCB/dl in campioni di suolo prelevati nei cosiddetti buffer delineati a seguito di Non Conformità rilevate negli alimenti. Chiusa l’emergenza, l’Osservatorio Regionale Sicurezza Alimentare (ORSA), di concerto con il Settore Veterinario della Regione Campania, ha intrapreso un’attività di monitoraggio sui maggiori roghi incontrollati di rifiuti o depositi di rifiuti, utilizzando i principi contenuti nel “Piano di Sorveglianza sulla contaminazione da diossine in Campania” DGR 2235/2007 (2). Fig. 1. Esempio di buffer realizzato in caso di rogo Tabella 1. Distribuzione dei campioni per PCDD/F e PCB/dl in Campania per il Piano Unione Europea MATERIALI E METODI: Le notizie relative a roghi sono raccolte attraverso articoli pubblicati dai maggiori siti di informazione nazionale e locale. Dopo verifica delle informazioni per definire la tipologia del materiale combusto, si procede all’individuazione precisa della località in cui si è verificato il rogo rilevando le coordinate geografiche. A partire dal centro del rogo si realizza un buffer circolare con raggio di 3 km all’interno del quale si selezionano le aziende zootecniche presenti (Fig. 1). La carina così realizzata e l’elenco delle aziende è trasmesso con nota del Settore Veterinario alle AASSLL e alle sezioni provinciali ARPAC competenti territorialmente. I Servizi Veterinari effettuano quindi i sopralluoghi e gli eventuali prelievi, in base all’analisi del rischio. RISULTATI E CONCLUSIONI: Dal 2009 al 2012 sono stati processati dall’ORSA 13 grandi roghi di rifiuti abbandonati, discariche o depositi di materiale plastico in diverse zone della Campania più 1 caso di contaminazione ambientale segnalato da ARPAC con superamenti dei limiti di diossine e PCB/dl in campioni di suolo(Fig. 2). Lo studio dei roghi è ormai un processo standardizzato, tant’è che a Giugno 2012 il Settore Veterinario lo ha reso Ufficiale con la nota “Procedure operative in caso di segnalazione di roghi” (3). Lo scopo è quello di “automatizzare e rendere più tempestivi gli interventi di prevenzione”, stabilire quanto prima un “tavolo di concertazione allargato con tutte le Autorità coinvolte nel controllo del territorio, al fine di definire delle procedure codificate”, offrire un supporto operativo coordinato nella gestione dei roghi di rifiuti che rappresentano una emergenza dal punto di vista ambientale e sociale, prevenire le eventuali Non Conformità della catena alimentare garantendo al consumatore la Sicurezza Alimentare. 184 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Fig. 2. Distribuzione dei grandi roghi processati dall’ORSA BIBLIOGRAFIA: (1) Neugebauer F, Esposito M, Opel M, Päpke O, Gallo P, Cavallo S, Colarusso G, D’Ambrosio R, Sarnelli P, Baldi L, Iovane G, Serpe L. “The Italian Buffalo Milk Case – Results and Discussion of PCDD/F- and dl-PCB Analysis in Milk, Feeding Stuff and Soil Samples from Campania, Italy”, International Symposium Dioxin 2009, 23-29 agosto2009, Bejing, China (2) Regione Campania - Giunta Regionale - Seduta del 21 dicembre 2007 - Deliberazione N.2235 - Area Generale di Coor- dinamento N. 20 - Assistenza Sanitaria – N. 11 - Sviluppo Attività Settore Primario – N. 5 - Ecologia, Tutela dell’Ambiente, Disinquinamento, Protezione Civile - Approvazione del Piano di Sorveglianza sulla contaminazione da diossine in Campania. BURC n°2 del 14 Gennaio 2008 (3) Regione Campania, AGC20 Settore 02 Assistenza Sanitaria - Settore Veterinario. Nota prot. 2012.0470768 del 19/06/2012 ad oggetto “Procedure operative in caso di segnalazione di roghi” 185 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 MONITORAGGIO SULLA PRESENZA DI CADMIO E PIOMBO NELLE CARNI EQUINE MACELLATE NELLA REGIONE PUGLIA DAL 2010 AL 2012 Chiaravalle A.*[1], Pompa C.[1], Miedico O.[1], Tarallo M.[1] Keywords: carni equine, ICP/MS, metalli pesanti Istituto Zooprofilattico Sperimentale Puglia e Basilicata ~ Foggia [1] SUMMARY: A monitoring study on the presence of Cadmium (Cd) and Lead (Pb) in horsemeat slaughtered in the Apulian Region from 2010 to 2012 was carried out. The analysis were performed using an Official method (UNI EN 15763:2010), based on the use of the Inductively Coupled Plasma Mass Spectrometry. The amount of Cd was compared with the law limits concentrations according to the Reg. CE 1881/2006. INTRODUZIONE: Il controllo ufficiale sui prodotti alimentari attuato dagli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (II.ZZ.SS) contribuisce in maniera significativa alla salvaguardia e alla tutela della salute del consumatore. Il Piano Nazionale Residui (PNR) si propone di effettuare tali controlli su una vasta gamma di prodotti alimentari destinati al consumo umano. Rientra tra gli scopi del Piano la ricerca di elementi chimici contaminanti, in particolar modo Cadmio (Cd) e Piombo (Pb), in matrici alimentari che rivestono un ruolo importante nell’alimentazione umana. Il presente lavoro svolto presso l’IZS-Puglia e Basilicata mostra i risultati ottenuti nell’ambito di tale piano di monitoraggio sullo stato di contaminazione da Cd e Pb in campioni di carne equina prelevati nella regione Puglia tra il 2010 e il I semestre 2012. MATERIALI E METODI: Campioni analizzati: per il presente studio di monitoraggio sono stati presi i risultati relativi a 274 determinazioni di Cd e 163 di Pb, distribuite nei 2 anni e mezzo secondo quanto riportato in Tabella 1. La maggior parte dei campioni considerati ha origine nazionale, solo una piccola percentuale (circa il 2%) proviene da paesi esteri (Polonia, Romania, Francia e Spagna). Tutti i campioni di muscolo esaminati appartengono a esemplari di equini di età compresa tra 2 e 4 anni circa. Preparazione del campione: la determinazione dei due metalli pesanti è stata effettuata con un metodo analitico normato (UNI EN 15763:2010) e accreditato, che prevede la mineralizzazione acida in microonde e la successiva determinazione strumentale mediante Spettrometria di Massa al Plasma Induttivamente Accoppiato (ICP-MS). L’aliquota destinata all’analisi (circa 500 g), opportunamente separata da eventuali parti lipidiche in eccesso, viene omogeneizzata mediante omogeneizzatore a lame; una parte di essa (circa 1,0 g) viene pesata su bilancia analitica e mineralizzata in forno a microonde con 6 ml di Acido Nitrico (HNO3) e 2 ml di Perossido di Idrogeno (H2O2), entrambi di grado Ultra-Puro. La soluzione acida così ottenuta viene diluita ad un volume noto (50,0 ml). Determinazione Strumentale: previo controllo delle performances strumentali(1), la soluzione analitica viene sottoposta a determinazione strumentale mediante un ICP-MS, Modello Elan DRC II della PerkinElmer. La determinazione strumentale di Cd e Pb è stata eseguita mediante taratura esterna, con standard acquosi acidificati al 2% di HNO3, con range di taratura da 0,50 ng/ml a 50,0 ng/ml. Gli isotopi considerati sono il Cd-111 e il Pb-208. Come standard interno è usata una miscela acida di Bismuto (per il Pb) e di Rodio (per il Cd), additivata on line mediante miscelatore. Per assicurare la qualità del dato analitico, contestualmente ai campioni viene mineralizzato anche un Materiale di Riferimento Certificato (NIST - 1577b Bovine Liver). Ciascun campione di carne equina è analizzato in doppio, con ripetibilità minima accettabile del 5%. RISULTATI E CONCLUSIONI: Nella Tabella 1 sono riassunti i risultati del monitoraggio sulla contaminazione da Cd e Pb nel muscolo equino. Per entrambi i metalli sono riportati, in base all’anno di prelievo, il numero di campioni analizzati, il numero delle non conformità, la media (in mg/kg), insieme ad altre statistiche descrittive. Tabella 1: Statistiche descrittive del tenore di Cd e Pb nel muscolo equino, negli anni 2010 – I semestre 2012 Si precisa che per il calcolo della media, nel caso di concentrazioni inferiori al Limite di Quantificazione (LOQ) si è considerato il valore pari a LOQ/2. Per la matrice in esame solo il Cd è regolamentato (Reg. CE 1881/2006 e s.m.i.), per il quale è ammesso un limite massimo di 0,20 mg/kg sul peso fresco. Per il Pb, poichè non è definito alcun limite massimo nella matrice muscolo equino, è stato considerato come valore soglia di riferimento il limite massimo consentito in matrici similari, come muscolo bovino, suino, ovino e pollame. Per il Cd è stata registrata solo una non conformità, su un campione prelevato nel 2010 nel Comune di Supersano (ASL di Lecce, Distretto di Maglie); inoltre, la media delle concentrazioni riscontrate è abbondantemente al di sotto del limite massimo consentito, per tutti e tre i periodi considerati. Se si esclude l’unico campione positivo, i valori massimi riscontrati si mantengono sempre al di sotto del limite di legge. Inoltre, nel corso degli ultimi 30 mesi, 186 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 il livello di contaminazione da Cd è rimasto pressoché stabile. Parallelamente, il numero dei campioni con esito sfavorevole di Pb (con un valore soglia ragionevolmente equiparato a quello di matrici similari) è molto più consistente rispetto al Cd (con un incidenza del 31% nel 2010, 12% e 14% nel 2011 e 2012). Inoltre, i valori medi delle concentrazioni sono alquanto elevati, passando dai 0,14 mg/kg del 2010, ai 0,081 e 0,087 mg/kg dei periodi successivi. Tale evidente peculiarità negativa dell’anno 2010 trova una ragionevole spiegazione statistica nel ridotto numero di campioni analizzati, poiché in 3 campioni è stato riscontrato un livello di Pb molto elevato (superiore a 1,0 mg/ kg). Infatti, se si escludono questi “outliers” la media diviene pari a 0,083 mg/kg, del tutto comparabile ai valori degli anni successivi. Inoltre, sulla base della contemporanea determinazione dei 2 metalli su tutti i campioni di muscolo equino del I semestre 2012, è stata costruito il grafico [Concentrazione Pb] vs [Concentrazione Cd]: non si denota nessun andamento di correlazione che leghi il bioaccumulo del primo metallo con il secondo. La numerosità alquanto elevata dei campioni permette, infine, di cogliere differenze dovute alla provenienza dei campioni: sono state distinte, infatti, 6 aree geografiche corrispondenti ai distretti di competenza delle ASL a cui è affidato il campionamento delle matrici in questione. Il Grafico 1 mostra i valori di Cd e di Pb mediati su tutto il periodo preso in esame. Da esso sembrerebbe che i campioni prelevati nella provincia di Lecce mostrino un tenore medio di Cd e Pb lievemente superiore a quello delle altre zone pugliesi, che sono abbastanza omogenee tra loro. Tuttavia, per dimostrare l’attendibilità statistica di tale assunto occorre collezionare altri dati nel corso degli anni avvenire. Grafico 1: Tenori medi (2010-2012) di Cd e Pb (espressi in mg/kg) nei campioni di muscolo equino prelevati nelle province pugliesi. BIBLIOGRAFIA: 1. Cubadda F., Inductively coupled Plasma-Mass Spectrometry for the Determination of Element and Element Species in Food: a Review, Journal of AOAC International (2004), Vol.87 (32) 2. Bozzo G., Ceci E., Pinto P., Determinazione di cadmio nel muscolo, nel fegato e nel rene di equini macellati nella provincia di Bari. 3. Nordic Council of Minister (2003) – Cadmium Review: Human exposure and Health Effects. January 14-15. 187 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 VALUTAZIONE DELLA PREVALENZA DI ESCHERICHIA COLI VTEC IN CARCASSE E FECI DI BOVINI MACELLATI IN UMBRIA. Cibotti S.[1], Ercoli L.*[1], Farneti S.[1], Zicavo A.[1], Mencaroni G.[1], Scuota S.[1] Keywords: E. coli VTEC, Real time PCR, bovino Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia [1] SUMMARY: Verocytotoxin- producing Escherichia coli (VTEC) are widely documented as causing a broad range of conditions in human beings, from asymptomatic infection to bloody diarrhoea with haemolytic-uraemic syndrome. Ruminants are generally healthy carriers of VTEC, and cattle are considered to be the main reservoir of infection for humans. The presence of VTEC in cattle faeces represents a potential source of contamination of the food chain. Aim of this study was to evaluate the E. coli VTEC prevalence in faeces and carcasses of 250 bovine slaughtered in Umbria between March 2011 and April 2012. INTRODUZIONE: Le infezioni causate da stipiti di Escherichia coli produttori di verocitotossine (VTEC) sono associate a un ampio spettro di patologie nell’uomo, da diarrea non complicata a colite emorragica (HC) fino alla sindrome emolitico-uremica (HUS) caratterizzata da insufficienza renale acuta. La severità dell’infezione e la bassa dose infettante, rendono tali microrganismi particolarmente temibili soprattutto in bambini, anziani e soggetti immunocompromessi. In Europa (7) i sierotipi VTEC responsabili della maggioranza dei casi di malattia sono O157, O26, O103, O111 e O145 definiti come altamente patogeni nell’uomo a causa della presenza concomitante dei geni vtx, deputati alla produzione di verocitotossine, e del gene eae codificante per i fattori di adesione. Numerosi studi evidenziano la specie bovina come principale reservoir di E. coli VTEC (2, 3, 4). Durante la macellazione, la contaminazione delle carcasse con il contenuto fecale di animali infetti può rappresentare un fattore di rischio per la trasmissione dell’infezione all’uomo. I dati relativi alla prevalenza di E. coli VTEC risultano essere influenzati da alcuni fattori quali la sensibilità e la specificità dei metodi analitici impiegati, nonché dalle procedure di campionamento utilizzate. L’utilizzo di metodiche molecolari consente di effettuare uno screening rapido per la rilevazione di ceppi potenzialmente patogeni per l’uomo. Scopo del lavoro è stato quello di valutare la prevalenza di E. coli VTEC con l’ausilio di tali metodi molecolari in carcasse e nel contenuto intestinale di bovini macellati nella Regione Umbria. MATERIALI E METODI: Il numero dei campioni (250) è stato determinato considerando una prevalenza del 20% (dati di letteratura), un errore stimato del 5% e un livello di confidenza del 95%. Il prelievo sulle carcasse è stato effettuato mediante l’impiego di spugne sterili preinumidite, secondo quanto previsto dal Capitolo 3 del Regolamento CE 1441/2007 (1). Dagli stessi bovini è stato prelevato il contenuto cecale al momento dell’eviscerazione. Le feci e le spugne sono state refrigerate e analizzate entro 24 h dal prelievo. Le spugne sono state arricchite in 90 ml di Acqua Peptona- ta Tamponata (Pronadisa- Sassone) e incubate per 16-18 h a 37°C ± 1°C, mentre le feci (5 g) sono state diluite in rapporto 1:10 p/v in brodo mTSB (BioKar Diagnostics) e incubate per 16-18 h a 37°C ± 1°C. Sui brodi di arricchimento è stata effettuata l’estrazione del DNA: per le spugne tramite bollitura, per le feci mediante l’utilizzo di kit commerciali (DNeasy Blood and Tissue kit, QIAGEN). Sul DNA estratto è stata effettuata la ricerca dei geni di patogenicità(vtx1, vtx2, eae) tramite Realtime PCR e sui brodi risultati positivi (contemporanea presenza dei geni vtx1 e/o vtx2 ed eae) è stata eseguita l’ulteriore analisi, volta a evidenziare i geni codificanti per l’antigene somatico dei 5 principali sierogruppi di E.coli VTEC considerati. Le sequenze dei primer e delle sonde utilizzate sono quelle previste dalla ISO/TS 13136:2011(E). Sulle brodocolture risultate positive per i fattori di patogenicità e per almeno un sierogruppo è stata effettuata un’immunoseparazione magnetica (Dynabeads®, Invitrogen) seguita da semina su CT-SMAC (BioKar Diagnostics) e/o su un terreno selettivo e differenziale (6). RISULTATI E CONCLUSIONI: Nei Grafici 1 e 2 sono riportati i risultati della Real Time PCR per i fattori di patogenicità effettuata sui brodi di arricchimento rispettivamente delle carcasse e delle feci. Dei 250 campioni di carcasse, 217 (86,8%) sono risultati negativi. Nel 5,6% (14/250) delle brodocolture erano presenti tutti e tre i geni di patogenicità, mentre nel 7,6% (19/250) delle brodocolture il gene eae era associato a uno dei geni codificanti la verocitotossina (vtx1 o vtx2). Dei 250 campioni di feci, 177 (70,8%) sono risultati negativi. Il 14,8% (37/250) risultava positivo per tutti e tre i geni di patogenicità, mentre nel 14,4% (36/250) delle brodocolture si è evidenziato il gene eae associato ad uno dei geni codificanti la verocitotossina (vtx1 o vtx2). I Grafici 3 e 4 mostrano i risultati della successiva analisi molecolare volta all’identificazione dei sierogruppi correlati ai campioni positivi per eae e per vtx1 e/o vtx2, rispettivamente nelle carcasse e nelle feci. Dal grafico 3 si evince che i geni sierogruppo-specifici ritrovati nelle carcasse sono quelli codificanti i sierogruppi O157 (45.45 %), O26 (33.3%), O103 (6.0%) e O145 (3.0%). Nei campioni di feci (Grafico 4) si evidenziano i geni di tutti e cinque i sierogruppi e precisamente: O157 (52.1%), O26 e O103 (30.1%), O145 (6.8%) e O111 (1.4%). Alcuni campioni sono risultati positivi contemporaneamente per la presenza di più geni sierogruppo-specifici, mentre, in altri casi, a fronte di una positività per i geni di patogenicità eae, vtx1 e/o vtx2, non si è riscontrata corrispondenza con nessuno dei cinque sierogruppi testati. L’isolamento sui terreni selettivi si è ottenuto nel 30.2% (32/106) del totale dei campioni risultati positivi; va pertanto ri- 188 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 levato che l’isolamento degli stipiti di VTEC evidenziati con metodi biomolecolari risulta spesso problematico (5), nonostante l’applicazione di metodiche di immuno-separazione specifica per sierogruppo. Ciò può essere imputato alla presenza di una cospicua flora microbica contaminante, al basso livello di contaminazione da parte dei VTEC o al fatto che la Real Time PCR rileva anche il DNA di batteri non vitali, che conseguentemente non è possibile isolare. La conferma dei geni di patogenicità, effettuata sui ceppi isolati, è risultata positiva in 11 ceppi di O157 isolati da feci e in 4 ceppi di O157 isolati da carcasse, mentre negli altri sierogruppi isolati la ricerca dei fattori di patogenicità non ha evidenziato le caratteristiche dei ceppi STEC altamente patogeni. Il mancato riscontro, nei ceppi isolati, dei geni di patogenicità osservati nelle rispettive brodocolture, può essere attribuito alla distribuzione di questi geni in cellule batteriche diverse, oppure alla presenza di altri sierogruppi altamente patogeni per l’uomo, che non vengono evidenziati con il metodo impiegato nel presente lavoro. Questi dati inducono a stimare una prevalenza di E. coli STEC del 4.4% nelle feci e del 1.6% nelle carcasse, prevalenza ascrivibile esclusivamente a O157. La disponibilità di terreni selettivi e differenziali per l’isolamento degli altri E. coli VTEC può aumentare il successo della fase di isolamento, per una più puntuale stima del rischio. I dati ottenuti inducono comunque a mantenere alta l’attenzione su una scrupolosa osservanza delle buone pratiche di macellazione, al fine di evitare la contaminazione delle carcasse e, conseguentemente, degli alimenti da esse derivati, specialmente di quelli destinati a essere consumati crudi o poco cotti. 189 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1. Anon 2007 Regolamento CE 1441/200. GU Unione Europea L322, 12-29. 2. Bonardi S., Maggi E., Pizzin G., Morabito S. Caprioli A. (2001). Faecal carriage of Verocytotoxin-producing Escherichia coli O157 and carcass con¬tamination in cattle at slaughter in northern Italy. Int J Food Microbiol, 66: 47-53. 3. Caprioli A., Conendera G., Lucangeli C. (2005). Escherichia coli O157 e altri E. coli Enteroemorraggici. In: Trattato sulle infezioni e tossinfezioni alimentari, Rondinelli E.G, Fabbi M, Marone P. (Eds). Pavia: Selecta Medica. 4. Caprioli A., Morabito S., Brugère H., Oswald E. (2005). Enterohaemorrhagic Escherichia coli : emerging issues on virulence and modes of transmission . Vet. Res. 36.:289-311. 5. Hussein H.S., Bollinger L.M.(2008). Influence of selective media on successful detection of Shiga Toxin- producing Escherichia coli in food, faecal, and environmental samples. Foodborn Pathogens and Disease : 227-224 6. Posse´, B., De Zutter, L., Heyndrickx, M. and Herman, L. (2007b).Novel differential and confirmation plating media or Shigatoxin producing E. coli serotypes O26, O103, O111, O145 and sorbitol positive and negative O157. FEMS Letters in Microbiology, in press. 7. SCIENTIFIC REPORT OF EFSA - Technical specifications for the monitoring and reporting of verotoxigenic Escherichia coli (VTEC) on animals and food (VTEC surveys on animals and food). European Food Safety Authority (EFSA), Parma, Italy. EFSA Journal 2009: 7(11):1366 190 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 DETERMINAZIONE QUANTITATIVA MEDIANTE HPLC-MS/MS DI PERFLUOROOTTANO SULFONATO (PFOS) E ACIDO PERFLUOROOTTANOICO (PFOA) IN CEREALI Ciccotelli V.[1], Gili M.[1], Brizio P.[1], Podda M.*[1], Abete M.C.[1] Keywords: PFOS, PFOA, Cereals IZS PLV - Centro di Referenza Nazionale per la Sorveglianza ed il Controllo degli Alimenti per Animali ~ Torino [1] SUMMARY: PFOS and PFOA are resistant to hydrolysis, photolysis and microbial degradation. They have been extensively used in many industry sectors, but they can cause adverse effects on metabolic and neuroendocrine systems of man and animals. In 2009 they were reported as “Persistent Organic Pollutant”. The data, currently available in literature, are not sufficient to understand the actual level of human exposure. The purpose of this investigation is the development and the validation of a LC-MS/MS method for the detection of PFOS and PFOA in some cereals, that will be exploited to perform a monitoring. INTRODUZIONE: Il perfluoroottano sulfonato (PFOS) e l’acido perfluoroottanoico (PFOA) appartengono all’ampia famiglia delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAs), sono costituite da uno scheletro di atomi di C (da 4 a 14), lineare o ramificato, a cui sono legati atomi di F. Queste molecole sono particolarmente resistenti all’idrolisi, alla fotolisi e alla degradazione microbica, per questo vengono usate in molti settori industriali: dalla preparazione di emulsionanti e tensioattivi, alla pulizia di tappeti, si ritrovano persino in alcuni insetticidi; il PFOA è utilizzato per produrre il politetrafluoroetilene (PTFE) [5]. Il loro elevato sfruttamento ne ha provocato un’ampia diffusione nell’ambiente, al punto che nel 2009 vengono segnalati come “Persistent Organic Pollutant” nello “United Nations Enviromenmental Programme” [1]. Studi sugli effetti dell’esposizione a PFOS, effettuati attraverso l’analisi di fegato e siero di diverse specie di mammiferi, hanno dimostrato: effetti negativi sul metabolismo dei lipidi, diminuzione del colesterolo nel siero, attivazione dei recettori nucleari, inibizione dei processi di comunicazione intercellulare, ritardo nella maturazione dei polmoni, interferenze nelle bioenergetiche mitocondriali, ed infine effetti neuroendocrini [4]. Il PFOA viene assorbito facilmente e la sua eliminazione dipende dai meccanismi di trasporto attivi delle varie specie. Presenta una moderata tossicità acuta per il fegato, infatti è stato verificato l’aumento dell’incidenza dei tumori in tale organo nel ratto, in seguito ad esposizione a PFOA [2]. I PFAs sono stati ritrovati in diverse aree geografiche del Mondo, in particolare in acque di superficie, di scarico, nell’aria, in cibi preconfezionati e in alcune specie di pesce. I dati attualmente presenti in letteratura non sono sufficienti per comprendere l’effettivo livello di esposizione dell’uomo e degli animali. Con l’intento di arginare questa lacuna analitica, è stato sviluppato e validato un metodo in LC-MS/MS per la determinazione di PFOS e PFOA in diversi tipi di cereali, il metodo verrà utilizzato per eseguire un monitoraggio in campioni prelevati in zone diverse della provincia di Biella. La scelta della matrice è ricaduta sui cereali, in seguito alla dimostrazione scientifica del passaggio degli analiti dal terreno a vegetali come mais, avena e grano, essendo questi i componenti principali con cui vengono nutriti gli animali d’allevamento, e da cui vengono ricavate altre derrate alimentari destinate all’uomo [8]. MATERIALI E METODI: La preparativa del campione, macinato finemente, consiste in un primo trattamento con idrossido di sodio 200 mM per avere gli analiti nella forma neutra, quindi si aggiunge metanolo e si lascia in agitazione per 30 minuti. Si centrifuga per 10 minuti, quindi si preleva il surnatante e si riportano gli analiti nella forma protonata, aggiungendo acido cloridrico 4 M. Si diluisce la fase organica in 12 mL di acqua ultrapura (U.P.) Si procede con la fase di purificazione, per la quale si utilizzano delle colonnine SPE Oasis Wax. Gli analiti vengono eluiti con 1 mL di metanolo al 2% di ammoniaca. L’estratto si porta a secco in corrente di azoto a 60°C e si risospende in 100 μL di fase mobile alle condizioni iniziali del metodo cromatografico. I campioni vengono analizzati con un HPLC Agilent 1100, si utilizza una colonna a fase inversa. Le fasi mobili sono: una soluzione 20 mM di acetato d’ammonio in metanolo (A) e una soluzione 20 mM di acetato d’ammonio in acqua U.P. (B), il gradiente impostato è riportato nella tabella 1. Tabella 1. Condizioni Cromatografiche del metodo. Il sistema cromatografico è interfacciato, tramite un’ESI impostata in modalità di ioni negativi, ad uno spettrometro di massa Applied Biosystems API 4000 avente come analizzatore un triplo quadrupolo. I parametri generali sono riportati nella tabella 2, invece le SRM (selected reaction monitoring) nella tabella 3. 191 Tabella 2. Condizioni dello SM. XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tabella 3. SRM ottimizzate. Le transizioni riportate per prime nella tabelle 3, sono quelle scelte per effettuare i calcoli di quantificazione, poiché sono risultate quale miglior compromesso tra una bassa interferenza e un’elevata intensità di segnale. La validazione del metodo si basa sul Regolamento CE 882/2004 [7] e nella progettazione dei livelli di concentrazione è stato tenuto conto di quanto riportato nella Raccomandazione 2010/161/UE [6]. È stato deciso di sottoporre alle prove di validazione solo la matrice mais, previa verifica che questa sia adatta per la quantificazione degli analiti contenuti anche negli altri tipi di cereali. I parametri di validazione studiati sono: • Linearità: è stata costruita una retta in solvente ed è stata sottoposta ad analisi strumentale; lo stesso procedimento è stato seguito per la linearità in matrice, ma drogando delle aliquote di mais. • Limite di rivelazione (LOD) e Limite di quantificazione (LOQ): sono stati calcolati utilizzando i dati della seconda seduta analitica, preparata per il calcolo dell’esattezza. • Esattezza: in tre sessioni distinte, sono stati preparati 6 replicati per ogni livello di concentrazione e sono stati quantificati usando una retta in matrice, costituita dagli stessi 4 livelli, preparata in doppio lo stesso giorno. • Precisione e Ripetibilità: sono state ottenute eseguendo un test di Analisi della Varianza (ANOVA) sulle prove eseguite per determinare l’esattezza. • Applicabilità: sono state fortificate 6 matrici diverse al secondo punto della retta, e i campioni sono stati quantificati con una retta in matrice mais. È stato verificato che l’esattezza percentuale rientrasse nell’intervallo 85-115%. • Specificità: sono stati analizzati 20 campioni rappresentativi delle matrici incluse nel metodo ed è stata verificata l’assenza di interferenti significativi nell’intorno di tolleranza massima accettata, per i tempi di ritenzione relativi degli analiti, rispetto ad un campione fortificato. RISULTATI E CONCLUSIONI: Per rendere la comprensione più chiara ed immediata si è deciso di riportare i risultati della validazione nella tabella 4. Tabella 4. Valori dei parametri di validazione del metodo. Il metodo sviluppato verrà utilizzato per svolgere un monitoraggio di campioni di cereali, provenienti da diverse zone del Biellese. Successivamente si adatterà la metodica al muscolo di al- cune specie ittiche di acqua dolce, e si procederà con un supplemento di validazione. Terminato questo lavoro, si inizierà un secondo monitoraggio, avente per oggetto la stessa matrice [3]. 192 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: [1] E.D. van Asselt, R.P.J.J. Rietra, P.F.A.M. Römkens, H.J. van Fels-Klerx; (2011); “Perfluorooctane sulphonate (PFOS) throughout the food production chain”; Food Chemistry, 128, 1-6; [2] European Food Safety Authority; (2008); “Opinion of the Scientific Panel on Contaminants in the Food chain on Perfluorooctane sulfonate (PFOS), perfluorooctanoic acid (PFOA) and their salts”; EFSA Journal, 653, 1-131; [3] European Food Safety Authority; (2012); “Perfluoroalkylated substances in food: occurance and dietary exposure”; EFSA Journal, 10 (6): 2743, 1-55; [4] Hagenaars, D. Knapen, I. J. Meyer, K. Van der Ven, P. Hoff, W. De Coen; (2008); “Toxicity evaluation of perfluorooctane sulfonate (PFOS) in the liver of common carp (Cyprinus carpio); Aquatic Toxicology, 88, 155-163; [5] M. Minoia, E. Leoni, C. Sottani, G. Biomonti, S. Signorini, M. Imbriani; (2008);“Interferenti endocrini: PFOS e PFOA”; G Ital Med Lav Erg, 30:4, 309-323; [6] Raccomandazione 2010/161/UE; [7] Regolamento 882/2004/CE; [8] T. Stahl, J. Heyn, H. Thiele, J. Hüther, K. Failing, S. Georgii, H. Brunn; “Carryover of Perfluorooctanoic Acid (PFOA) and Perfluorooctane Sulfonate (PFOS) from soil to plants”; Archives of Environmental Contamination and Toxicology, 57 (2009), 289-298. 193 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI CONTAMINANTI ORGANICI PERSISTENTI IN MATRICI ALIMENTARI DI ORIGINE ANIMALE Clausi M.T.[1], Santoro A.[1], Fusco G.[2], Ferrante M.C.*[1] Keywords: Organochlorine compounds, Bivalves, Sheep milk Università di Napoli Federico II ~ Napoli, [ Istituto Zooprofilattico del mezzogiorno - Sezione di Portici ~ Portici [1] 2] SUMMARY: Several PCBs and OCPs in soft tissues of two bivalve species and sheep milk from the province of Caserta, were investigated using a GC-ECD. Arguably, differences in accumulation profiles of the analysed pollutants may be explained by different distributions of OCs in the abiotic environmental components of the analysed species habitat. Various measured pollutants emerge as hazardous contaminants in the aquatic and terrestrial ecosystems and thus their surveillance is still recommended. INTRODUZIONE: I pesticidi organoclorurati (POC) ed i bifenilipoliclorurati (PCB) sono contaminanti organici persistenti ampiamente presenti nell’ambiente che, a causa della loro elevata liposolubilità e scarsa degradabilità, tendono ad accumularsi nei sedimenti e negli organismi viventi dove si depositano nei tessuti ricchi di grassi. L’esposizione a lungo termine a POC e PCB è stata correlata a gravi danni a carico del sistema nervoso con effetti anche di tipo comportamentale, del sistema endocrino, riproduttivo ed immunitario (3). La maggiore fonte di esposizione per l’uomo è rappresentata dagli alimenti, in particolare quelli di origine animale. Infatti, se l’esposizione accidentale od occupazionale riveste carattere di eccezionalità e riguarda solo una fetta limitata di popolazione, quella umana giornaliera deriva in media per il 90% dall’assunzione di alimenti contaminati con un importante ruolo rivestito dai prodotti ittici e dai grassi animali (5). I molluschi bivalvi sono considerati eccellenti “biomonitors”. Essi sono organismi sedentari, con una ampia distribuzione geografica e capaci di concentrare OC in virtù della loro capacità di filtrare grandi volumi di acqua e rimuovere particelle in sospensione. Le concentrazioni rilevate nei loro tessuti riflettono quindi in maniera fedele il grado di contaminazione ambientale consentendo di effettuare una analisi spaziale e temporale delle variazioni degli OC negli ecosistemi acquatici (6). Anche le specie produttrici di latte che vivono in un ambiente inquinato possono accumulare OC (1), che, per le già descritte proprietà lipofiliche, sono inizialmente depositati nei tessuti ricchi di grassi e poi escreti attraverso il latte che può rappresentare un importante indicatore biologico di contaminazione. Nella presente ricerca sono stati valutati i livelli di OC in alcune matrici alimentari di origine animale quali il latte di pecora e i tessuti edibili di cannolicchi (Razor clam) e di mitili (Mytilus galloprovincialis) prelevati in una area della regione Campania ad alto impatto ambientale allo scopo di monitorare il livello attuale di contaminazione e fare una stima del rischio per il consumatore. Infine è stata eseguita per i bivalvi una analisi preliminare con l’obiettivo di correlare i livelli degli OC (ad azione immunomodulatrice) con il grado di infezione da agenti batterici o virali. MATERIALI E METODI: Gli esemplari di bivalvi sono stati prelevati lungo la costa di Castelvolturno (Ce) tra maggio e luglio 2009 (le cozze a circa 5 km dalla costa e ad una profondità di 5mt mentre i cannolicchi sono stati raccolti a mano a pochi metri dalla riva sabbiosa); i campioni di latte sono stati prelevati in allevamenti allo stato brado della provincia di Caserta tra giugno 2011 e febbraio 2012. Per quanto attiene alla prima tipologia di campioni, le parti edibili sono state raccolte per formare la singola unità statistica del peso di circa 100 g. Il campione di cozze e di cannolicchi era costituito rispettivamente da 40 e 15 unità. Per quanto concerne la seconda matrice esaminata, 10ml di latte prodotto da ogni animale costituiva la singola unità campionaria (n=30). Ciascuna matrice è stata omogeneizzata e conservata a -20 °C fino al momento dell’analisi chimica mirata alla ricerca quali-quantitativa di: esaclorobenzene (HCB), Dieldrin, p,p’-DDT, 1,1’-dichloro-2,2’-bis(4-chlorophenyl) ethylene (p,p’-DDE), 1,1’-dichloro-2,2’-bis-(4-chlorophenyl)ethane (p,p’-DDD) e 20 PCB – IUPAC nos. 28, 52, 66, 74, 99, 101, 105, 118, 128, 138, 146, 153, 170, 177, 180, 183, 187, 196, 194, e 201 . L’estrazione dei grassi con etere di petrolio/acetone è stata seguita da una purificazione tramite ripartizione n-esano/acetonitrile, e da una successiva cromatografia di adsorbimento su Florisil per separare gli analiti di interesse in 3 frazioni. L’analisi è stata effettuata mediante gas cromatografia capillare con detector a cattura di elettroni (63Ni ECD). L’identificazione degli analiti è stata realizzata per confronto con i tempi di ritenzione degli standard di riferimento e, in alcuni casi, con successiva conferma attraverso GC-MS. La determinazione quantitativa è stata effettuata col metodo dello standard interno. Le concentrazioni sono state espresse in ng/g di grasso estratto. RISULTATI E CONCLUSIONI: Nei molluschi bivalvi come nel campione di latte, le più alte concentrazioni sono risultate essere quelle dei PCB (con valori medi di 422.19 ng g-1 e 399.33 ng g-1 di grasso rispettivamente per le cozze ed i cannolicchi) seguite da ΣDDT, Dieldrin e HCB (Fig. 1). In particolare, la somma dei congeneri target (IUPAC nos. 101, 118, 138 e 153) rappresentano il 66% ed il 56% della concentrazione totale dei PCB (PCB) riferito rispettivamente alle cozze e ai cannolicchi. Tra i PCB indicatori il congenere 153 ed il 118 risultano essere quelli maggiormente presenti rispettivamente nelle cozze (media di 97.13 ng g-1) e nei cannolicchi (media di 70.40 ng g-1). Per quanto concerne i pesticidi esaminati, il p,p’-DDT è stato riscontrato nella maggior parte dei campioni di cannolicchi (80%) e nel 55% delle cozze mentre il p,p’-DDE, suo principale metabolita, è risultato essere tra i POC il più frequentemente rilevato in entrambe le specie, con livelli medi di 86.67 ng g-1 e 30.27 ng g-1 e una percentuale di unità campionarie contaminate del 100% rispettivamente nei cannolicchi e nei mitili. Per quanto concerne i PCB nella matrice latte, oltre la metà degli analiti sono risultati presenti nell’80% circa delle unità campionarie con una netta prevalenza dei congeneri PCB 28, 138, 153, 180. La molecola riscontrata con maggiore frequenza è stata il PCB 180 (90%). Il valore medio della sommatoria dei 194 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 PCB target è risultato essere di 99.1 ng g-1 di grasso, mentre quello relativo alla SPCB corrispondeva a 183.6 ng g-1 di grasso. Il POC rilevato ai più alti livelli residuali è stato l’HCB (valore medio 24.9 ng g-1) seguito dal DDE (valore medio 20 ng g-1) e dal Dieldrin (valore medio 8.9 ng g-1) (Fig. 2). Inoltre, è stata effettuata una valutazione tra i livelli di contaminazione da OC e il livello di infezione da virus alimentari e Escherichia coli di alcuni dei bivalvi esaminati. L’analisi esplorativa preliminare dei dati effettuata considerando le usuali statistiche descrittive suggerisce l’esistenza di una correlazione positiva tra la concentrazione di entrambi i gruppi di composti e gli agenti infettivi. I risultati evidenziano differenti profili di accumulo degli inqui- nanti analizzati nelle specie esposte influenzati dalla specifica distribuzione dei singoli composti clororganici nelle componenti abiotiche dei diversi habitat. I livelli dei pesticidi nei molluschi come nel latte risultano essere sempre inferiori ai LMR stabiliti (2), mentre la concentrazione somma dei PCB target eccede, spesso nel caso dei bivalvi, il limite tuttora raccomandato dalla CE (4). I risultati suggeriscono che i PCB ed i POC sono tuttora presenti negli ecosistemi dell’area nord-ovest della regione Campania e che il consumo delle matrici alimentari di origine animale analizzate e soprattutto dei molluschi bivalvi, particolarmente diffuso nella regione, può rappresentare un rischio per la sicurezza del consumatore. 195 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1) Bulut, S., Akkaya, L., Gök, V., Konuk, M., 2011. Organochlorine pesticide (OCP) residues in cow’s, buffalo’s, and sheep’s milk from Afyonkarahisar region, Turkey. Environ Monit Assess. 81(1-4), 555-62. 4) EU Commission Decision 1999/788/EC, 1999 (3 December). Protective Measures with Regard to Contamination by Dioxins of Certain Products of Porcine and Poultry Origin Intended for Human or Animal Consumption. G.U. EU-L 310/62, 04/12/1999. 2) Decreto del Ministro della Salute 27 agosto 2004: Prodotti fitosanitari: limiti massimi di residui delle sostanze attive nei prodotti destinati all’alimentazione. GU N°184, 09/08/2005. 5) Fattore, E., Fanelli, R., Dellatte, E., Turrini, A., di Domenico, A. 2008. Assessment of the dietary exposure to non-dioxin-like PCBs of the Italian general population. Chemosphere 73(1 Suppl), S278–283. 3) El-Shahawi, M.S., Hamza, A., Bashammakh, A.S., Al-Saggaf, W.T., 2010. An overview on the accumulation, distribution, transformations, toxicity and analytical methods for the monitoring of persistent organic pollutants. Talanta 80(5), 1587–1597. 6) Ferrante, M.C., Cirillo, T., Naso, B., Clausi, M.T., Lucisano, A., Amodio Cocchieri, R., 2007. Polychlorinated biphenyls and organochlorine pesticides in seafood from the Gulf of Naples (Italy). Journal of Food Protection 70 (3), 706–715. 196 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ISOLAMENTO DI SALMONELLA ENTERICA SUBSP. HOUTENAE DA DRAGO BARBUTO (POGONA VITTICEPS, AHL 1926) Cocchi M.*[1], Di Giusto T.[1], Minorello C.[2], Bellese A.[3], Deotto S.[1], Vascellari M.[2] Keywords: Salmonellosis, Pogona vitticeps, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Udine, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Legnaro, [3] Libero professionista ~ Spinea [1] [2] SUMMARY: Captive reptiles are commonly identified as reservoirs of Salmonella spp. and the number of reports about reptileassociated human salmonellosis is increasing. Bearded dragon (Pogona vitticeps, Ahl 1926), an australian lizard, is very popular as exotic pet. Aim of this study was to describe an episode of Salmonellosis caused by Salmonella enterica subsp. houtenae in two bearded dragons. INTRODUZIONE: In Italia sono allevati più di un milione di alternative pets, da compagnia o da mostra; di questi, nel 2002 circa 60.000 erano rettili (4). Da un punto di vista della sanità pubblica, l’allevamento di queste specie animali assume notevole importanza poiché riconosciuti serbatoi naturali di un’ampia varietà di sierotipi di Salmonella (5). L’aumento della diffusione dei rettili come pets ha coinciso, infatti, con l’incremento delle infezioni umane associate a diversi sierotipi di Salmonella: in Canada e negli Stati Uniti, nel 2008, la percentuale di casi di salmonellosi umana associata a contatto con rettili oscillava tra il 5 e l’11% di tutti i casi riscontrati (7). Pogona (P.) vitticeps (Ahl 1926), conosciuto come drago barbuto (Bearded Dragon), è un Sauro della famiglia Agamidae, originario della parte orientale dell’Australia centrale. Il presente lavoro illustra l’isolamento e l’identificazione di Salmonella enterica subsp. houtenae (Gr. “V” 44:z4, z23:-) da due soggetti di drago barbuto provenienti da un terrario pubblico. MATERIALI E METODI: Due draghi barbuti, deceduti a distanza di un mese circa l’uno dall’altro, sono stati sottoposti ad esame necroscopico. In base alle lesioni evidenziate sono stati allestiti esami batteriologici e la ricerca di Salmonella spp. Inoltre, sono stati eseguiti accertamenti istologici e parassitologici. Esame batteriologico. Da entrambi i soggetti, è stato allestito l’esame batteriologico colturale dal fegato e dall’intestino utilizzando terreni solidi e brodocolture, incubati per 24 ± 3 ore a 30 ± 2°C, in appropriata atmosfera. Tutti i terreni sono stati forniti dal Centro Servizi alla Produzione (CSP) presso l’IZSVe (Legnaro, Padova). L’identificazione delle colonie è stata effettuata con sistemi biochimici miniaturizzati. Ricerca di Salmonella spp. In entrambi i soggetti è stata allestita partendo da fegato e da intestino secondo la norma ISO 6579:2002, Amd 1:2007. Le colonie sospette sono state inviate al Centro di Referenza Nazionale per le Salmonellosi (Legnaro PD) per la tipizzazione sierologica. Tipizzazione sierologica di Salmonella. I ceppi sono stati sottoposti a sierotipizzazione tradizionale secondo lo schema Kauffmann-White, quindi sono state eseguite le prove biochimiche in macrometodo per la differenziazione di subspecie. Test di sensibilità agli antimicrobici. I ceppi di Salmonella spp. identificati in corso di esame batteriologico, sono stati sottoposti a test di sensibilità agli antimicrobici usando il metodo dell’agar diffusione, in accordo con le linee guida del Clinical and Laboratory Standards Institute (2). I principi attivi e la concentrazione del dischetto sono quelle indicate dalle linee guida. Gli isolati sono stati classificati in sensibile (S), intermedio (I), resistente (R). Esame parassitologico. Per entrambi i sauri, è stato effettuato un esame al microscopio ottico, a fresco, a partire da materiale fecale. Esame istologico. Campioni di piccolo e grosso intestino dal primo soggetto e di fegato dal secondo soggetto, sono stati prelevati in sede necroscopica, immediatamente fissati in formalina tamponata al 10% e routinariamente processati per l’allestimento dei preparati istologici colorati con ematossilina ed eosina. RISULTATI E CONCLUSIONI: Esame necroscopico. La necroscopia nel primo soggetto ha evidenziato enterite catarrale a carico del tratto prossimale e distale del piccolo intestino e lesioni necrotico-emorragiche sul grosso intestino. Epatomegalia di grado lieve. Nel secondo soggetto erano presenti enterite catarrale e alterazioni degenerative del parenchima epatico. Esame batteriologico. Gli esiti degli esami batteriologici sono riassunti in tabella 1.Tipizzazione degli isolati. I ceppi isolati sono risultati ascrivibili a Salmonella enterica subsp. houtenae (Gr. “V” 44:z4,z23:-). Test di sensibilità agli antimicrobici. I risultati ottenuti sono sintetizzati in tabella 2. Ricerca Salmonella spp. Nel primo soggetto è stata riscontrata la presenza di Salmonella spp in fegato e intestino, mentre nel secondo soggetto è stata identificata solo dall’intestino. Esame parassitologico. Dal primo soggetto è stata rilevata la presenza di Strongili gastro-intestinali in bassa carica. Esame istologico. L’osservazione al microscopio ottico ha evidenziato nel primo soggetto necrosi diffusa della mucosa enterica in tutti i tratti esaminati, associata ad infiltrazione linfoplasmocitaria della lamina propria. Nel piccolo intestino sono stati evidenziati inoltre elementi parassitari vermiformi. Nel fegato del secondo soggetto è stata evidenziata moderata e diffusa steatosi epatica con multifocale necrosi dei singoli epatociti associata a multifocale infiltrazione linfoplasmocitaria e di eterofili nei sinusoidi epatici e nel parenchima epatico. Come si evince dalla tabella, i ceppi testati presentavano resistenza a spiramicina e streptomicina e un profilo intermedio al sulfisoxazolo, in accordo con il profilo di sensibilità agli antibiotici riportato da Ebani e coll.(3) I rettili sono serbatoi naturali, generalmente asintomatici, di Salmonella spp, ospitando nel tratto intestinale diverse serovar, anche contemporaneamente (1). Negli animali sani, Salmonella spp non è in grado di attraversare la barriera intestinale per l’assenza di tessuto epiteliale associato ai follicoli linfatici (importante nella patogenesi delle salmonellosi nei mammiferi) e per l’incapacità del microrganismo di esprimere, alle temperature corporee dei poichilotermi, i fattori di virulenza responsabili di adesione, invasione, moltiplicazione intracellulare e sopravvivenza alla fagocitosi (7, 9). In presenza di fattori predisponenti, quali l’ingestione di alimenti contaminati, l’elevata densità di animali, la scarsa 197 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 igiene, concomitanti malattie infettive, parassitosi o traumi, i rettili possono manifestare patologia (9). Nel nostro caso, infatti, i soggetti, recentemente accasati, presentavano una pregressa condizione di defedamento che, unita allo stress da trasporto e da cambio d’ambiente ha probabilmente creato le condizioni ottimali per lo sviluppo di salmonellosi, caratterizzata anatomo-patologicamente da enterite e degenerazione epatica. E. coli, C. perfringens e Candida glabrata, isolati in bassa ca- rica, si ritrovano, normalmente nella flora microbica intestinale dei rettili sani (3, 7). Le lucertole costituiscono un serbatoio importante di numerose serovar di Salmonella spp, dalle quali l’uomo può contrarre malattia (8). Nell’allevamento e nella manipolazione di questi pets, una buona gestione dell’animale e l’adozione di misure igienico-sanitarie appropriate hanno il fine di ridurre lo stress e le condizioni predisponenti all’instaurarsi di patologia/escrezione del patogeno. BIBLIOGRAFIA: 1) Chiodini R.J., Sundberg J.P. (1981). Salmonellosis in reptiles: a review. Am. J. Epidemiology. 113: 494-499. 2) CLSI. Performance Standards for Antimicrobial Disk and Dilution Susceptibility Tests for Bacteria Isolated From Animals; Approved Standard – 3th Edition. M31-A3. 3) Ebani V.V., Cerri D., Fratini F., Meille N., Valentini P., Andreani E. (2005) Salmonella enterica isolates from faeces of domestic reptiles and a study of their antimicrobial in vitro -sensitivity. Research in Veterinary Science 78: 117-121. 4) http://www.salute.gov.it/dettaglio/pdPrimoPiano. jsp?id=124&sub=1&lang=it 5) M.A. Mitchell and S.M. Shane (2001). Salmonella in reptiles. Seminars in Avian and Exotic Pet Medicine, Vol 10, No 1 (January), 1: 25-35 6) S. Nardoni, R. Papini, G.M. Marcucci, F. Mancianti (2008). Survey on the fungal flora of the cloaca of healthy pet reptiles. Revue Méd. Vét 159, 3: 159-165. 7) Pasmans F, Blahak S., Martel A., Pantchev N. (2008). Introducing reptiles into a captive collection. The role of the veterinarian. The Veterinary Journal 175: 53–68. 8) Pasmans F., Martel A., Boyen F., Vandekerchove D., Wybo I., Van Immerseel F., Heyndrickx M., Collard J.M., Ducatelle R., Haesebrouck F.(2005). Characterization of Salmonella isolates from captive lizards. Veterinary Microbiology 110 : 285–291. 9) Pasmans F., Van Immerseel F., Van den Broeck W., Bottreau E., Velge P., Ducatelle R. and Haesebrouck F.(2003). Interactions of Salmonella enterica subsp. enterica serovar Muenchen with intestinal explants of the turtle Trachemys scripta scripta. J. Comp. Path. Vol.128: 119-12. 198 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ANALISI QUANTITATIVA E TOSSINOGENOTIPIZZAZIONE IN CEPPI DI CLOSTRIDIUM PERFRINGENS ISOLATI DAL CONTENUTO INTESTINALE DI BOVINI SANI Cocchi M.*[1], Clapiz L.[1], Di Giusto T.[1], De Stefano P.[2], Deotto S.[1], Bacchin C.[3], Bregoli M.[1], [3] Keywords: C. perfringens, healthy cows, Istituto Zooprofilatico Sperimentale delle Venezie ~ Udine, [2] Libero professionista ~ Udine, [3] Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Treviso [1] SUMMARY: In bovine, Clostridium (C.) perfringens can cause enterotoxaemia and the hemorrhagic bowel syndrome, both characterized by common clinical and pathological features. They are mediated by stressful breeding conditions. To confirm the suspicion of clostridiosis, a quantitative analysis and the toxinotyping of the isolates are necessary. The cut-off number and the role played by the different toxynotypes are still under debate. The aims of this study were to quantify (UFC/g) and to toxinotype C. perfringens isolates in faeces obtained from healthy cows. INTRODUZIONE: C. perfringens è un bacillo Gram positivo, sporigeno, anaerobio, ossigeno tollerante, normalmente presente nell’ambiente e nel tratto intestinale di uomini e animali. In base alla produzione di una o più delle 4 maggiori tossine (α, β, ε e )׆, è classificato in tossinotipi (A, B, C, D ed E), ad ognuno dei quali è associata patologia nelle differenti specie animali. C. perfringens può produrre due ulteriori tossine: l’enterotossina (codificata dal gene cpe), responsabile di patologia gastroenterica nell’uomo e associata solitamente al tipo A e la tossina β2, scoperta nel 1997 in suinetti affetti da enterite necrotica (2,6). La tossina β2 è codificata dal gene cpb2 di cui sono state descritte due varianti alleliche: la variante consensus (cpb2con) e la variante atipica (cpb2aty) (3). La presenza della variante consensus e la sua espressione in corso di patologia enterica sono dimostrate nella diarrea emorragica del suinetto e nella tiflocolite da tipo A nel cavallo (1). Nel bovino, C. perfringens causa enterotossiemia nel vitello e la sindrome dell’intestino emorragico nel bovino adulto. Entrambe sono patologie condizionate, solitamente caratterizzate da morte improvvisa ed enterite emorragica, elevata moltiplicazione del microrganismo nel lume intestinale con rilascio di tossine. Infatti, studi recenti condotti sul contenuto del piccolo intestino in bovini con patologia indicano una carica di C. perfringens pari a 106 – 108 UFC/ml e il tossinotipo maggiormente identificato è il tipo A (non enterotossigeno). Ulteriori studi hanno evidenziato un’azione sinergica fra la tossina α e β2 nella patogenesi delle lesioni enteriche del bovino (8,9), identificando la variante allelica cpb2aty, espressa in un’elevata percentuale dei casi (4). Nei soggetti sani, invece, lo studio batteriologico quantitativo varia nei diversi studi considerati (8), non permettendo un’accurata valutazione del valore di cut-off, utile ai fini dell’interpretazione del dato in corso di patologia. Scopo del presente lavoro è stato quello di quantificare in feci di bovine da latte non affette da patologia enterica e non sottoposte a trattamento antimicrobico, i ceppi di C. perfringens isolati, sottoponendoli inoltre a tossinogenotipizzazione. MATERIALI E METODI: Analisi batteriologica quantitativa. 57 campioni di feci di bovine da latte, provenienti da 13 allevamenti sono stati sottoposti a valutazione quantitativa di C. perfringens. Per ogni allevamento sono stati prelevati 3-5 campioni. Il prelie- vo è stato eseguito direttamente dall’ampolla rettale e trasportato al laboratorio in un contenitore sterile, a temperatura di refrigerazione e in atmosfera anaerobia. L’analisi è stata condotta entro 3-4 ore dal prelievo, inoculando il campione in Soluzione Triptone (ST), mantenendo un rapporto 1:10 (feci:terreno). Successivamente sono state eseguite le diluizioni in base 10 in ST e ogni diluizione inoculata in Egg Yolk-Free Tryptone Sulfite Cycloserine (TSC-EY: Perfringens Agar Base- Oxoid addizionato con Selective Supplement TSC - Oxoid), Le piastre sono state incubate overnight a 37°C ±1°C in anaerobiosi, ottenuta con buste AnaeroGenTM (Oxoid). Da ogni piastra, 5 colonie sospette o tutte se meno di 5, sono state sottoposte a conferma biochimica utilizzando le seguenti prove: semina in Agar Sangue, Lattosio-Gelatina, Mobilità-Nitrati e crescita su Egg Yolk Agar. Tutti i terreni sono stati forniti dal Centro Servizi alla Produzione, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie. Analisi genotipica – 46 ceppi sono stati sottoposti a tossinogenotipizzazione secondo quanto descritto da Yoo et al. e Garmory et al (5,12). I ceppi cpb2+ sono inoltre stati sottoposti a determinazione della presenza della variante allelica, secondo Jost et al. (3). RISULTATI E CONCLUSIONI: Analisi batteriologica quantitativa. In tabella 1 è indicato il numero di campioni presenti per ogni concentrazione di microrganismo ottenuta, espressa come UFC/g. In generale, 41/57 (72%) dei campioni esaminati presentavano una carica di C. perfringens pari o minore a 101 UFC/g, in accordo con quanto descritto da Tschirdewahn et al. (11). La concentrazione di C. perfringens in soggetti sani è influenzato dalla tipologia di allevamento, dalla differente composizione quali-quantitativa della razione somministrata, oltre che da altri fattori quali l’età dei soggetti e l’ attitudine funzionale. Infatti, Manteca et al. (8), riportano nel 19% di vitelli non affetti da patologia enterica concentrazioni del microrganismo pari a 104105 UFC/g di contenuto intestinale (valore medio). Analisi genotipica. Tutti i ceppi appartengono al tossinotipo A. 2/46 (4.3%) presentano inoltre il gene dell’enterotossina e 24/46 (52.1%) sono cpb2+. Fra questi ultimi, 5/24 (21 %) appartengono alla variante consensus mentre 19/24 (79%) appartengono alla variante atipica. I risultati ottenuti sono schematizzati in tabella 2 e 3.Nel presente studio il 4.3% dei ceppi risulta enterotossigeno, risultato in accordo con quanto descritto da altri autori (10). L’importanza di questi ceppi è dovuta all’isolamento in episodi di tossinfezione alimentare nell’uomo. Nel bovino sano, inoltre, si sottolinea la presenza di ceppi cpb2aty dato in accordo con Jost et al. (3), ma non con quanto riportato da Lebrun et al. (6), i quali descrivono entrambi gli alleli in isolati da bovino sano. Successivi studi sono comunque necessari per chiarire se la moltiplicazione del microrganismo coinvolga, durante gli episodi di clostridiosi bovina, tutti i tossinotipi presenti o sia limitata ad un unico tossinotipo o ad un unico clone come nelle clostridiosi del pollo (7). 199 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1. Bueschel D.M., Jost B.H., Billington S.J., Trinh H.T., Songer J.G. (2003): “Prevalence of cpb2, encoding beta2 toxin, in Clostridium perfringens field isolates: correlation of genotype with phenotype”. Vet Microbiol., 94, 121-129. 2. Gibert M., Jolivet-Reynaud C., Popoff M.R. (1997): “Beta2 toxin, a novel toxin produced by Clostridium perfringens”. Gene 203, 65-73. 3. Jost, B.H., Billington S.J., Trinh H.T., Bueschel D.M., Songer J.G., 2005. Atypical cpb2 genes, encoding beta2 toxin in Clostridium perfringens isolates of non-porcine origin. Infect. Immunol. 73: 652-656. 4. Kircanski J., Parreira V.R., Whiteside S., Yanlong P., Prescott J. F. (2012). The majority of atypical cpb2 genes in Clostridium perfringens isolates of different domestic animal origin are expressed” Vet Microbiol . Article in press 5. Garmory S., Chanter N., French N.P., Bueschel D., Songer J.G., Titball R.W. (2000). “Occurrence of Clostridium perfringens β2-toxin amongst animals, determined using genotyping and subtyping PCR assays”; Epidemiol. Infect. 6. Lebrun M., Filee P., Mousset B., Desmecht D., Galleni M., Mainil J.G., Linden A (2007): “The expression of Clostridium perfringens consensus beta 2 toxin is associated with bovine enterotoxemia syndrome”. Vet. Microbiol. 120, 151-157. 7. Lebrun M., Mainil J.G., Linden A (2010): “Cattle enterotoxaemia and Clostridium perfringens: description, diagnosis and prophylaxis”. Veterinary Record 167, 13-22. 8. Manteca C., Daube G., Pirson V., Limbourg B., Kaeckenbeeck A., Mainil J.G. (2001).”Bacterial intestinal flora associated with enterotoxaemia in Belgian Blue calves”. Vet. Microbiol. Jul 3;81(1):21-32. 9. Manteca C., Daube G., Jauniaux T., Linden A., Pirson V., Detilleux J., Ginter A., Coppe P., Kaeckenbeeck A., Mainil J.G. (2002): “A role for the Clostridium perfringens beta2 toxin in bovine enterotoxaemia?” Vet Microbiol., 86 (3):191202. 10. Songer J.G.(2010): “Clostridia as agents of zoonotic disease”. Vet. Microbiol. 140, 399-404. 11. Tschirdewahn B., Notermans S.,.Wernars K and Untermann F. (1991). “The presence of enterotoxigenic Clostridium perfringens strains in faeces of various animals”. Int J of Food Microbiol Nov;14(2):175-8. 12. Yoo H. S., Lee S. U., Park K. Y., and Park Y., H. (1997): “Molecular Typing and Epidemiological Survey of Prevalence of Clostridium perfringens Types by Multiplex PCR”. J. Clin Microbiol. 35:1, 228-232. 200 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 C’ERA UNA VOLTA IL QUADERNO DEL TECNICO: UN’ESPERIENZA DI DEMATERIALIZZAZIONE Colangeli P.[1], Ruggieri E.[1], Mercante M.T.[1], Ricci L.*[1] Keywords: Attività Diagnostica, Dematerializzazione, Sistemi Informativi Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale” ~ Teramo [1] SUMMARY: Since the early nineties the Institute “G. Caporale” has employed a supporting information system to the diagnostic activity named SILAB, that traces out the whole procedure from the arrival of the sample to the test report. The analysis of processes began in 2009 with the aim of removing all the paper support used to record raw data (register, technical notebook, worksheet, etc.) as well as testing reports. This paper reports a critical description of the process implemented and the results achieved so far. INTRODUZIONE: L’Istituto G. Caporale (ICT), sin dal 1995 ha ottenuto l’accreditamento dei propri laboratori di prova[3, 4, 6]) e utilizza dai primi anni ’90 un Sistema Informativo di laboratorio (SILAB)[2], per supportare l’intero processo di registrazione dei campioni, dalla richiesta del cliente all’invio del rapporto di prova. Per la registrazione dei dati grezzi i reparti utilizzavano supporti diversi: schemi, quaderni del tecnico, fogli di lavoro, dati prodotti da apparecchiature. Tutta questa documentazione tecnica, era mantenuta conservata e archiviata in maniera controllata. Inoltre erano conservati, allegati nei Registri di accettazione, tutti i documenti di accompagnamento del campione. Il progetto di dematerializzazione, avviato nel 2009, si è posto l’obiettivo di ridurre/eliminare a monte la produzione di documenti cartacei, processo iniziato oltre 10 anni fa con l’utilizzo dei rapporti di prova[5] prodotti sotto forma di file con firma digitale e inviati per e-mail ai destinatari. Questa modalità ha quasi del tutto eliminato la stampa del cartaceo che, attualmente, è prodotta in meno del 6% dei casi(Grafico 1). Grafico 1: Andamento negli anni delle due modalità di invio dei Rapporti di prova (in percentuale) MATERIALI E METODI: Il processo di revisione e dematerializzazione ha riguardato: •I documenti di accompagnamento del campione (la richiesta del veterinario, il cartellino del prodotto, la modulistica di accompagnamento campioni, i verbali dei campioni ufficiali, ecc.). Le informazioni ivi riportate sono, nella maggioranza dei casi, inserite nel SILAB manualmente, quindi la loro gestione è “costosa” oltre ad essere fonte di errori. Sono state studiate 2 soluzioni per ridurre questa fase del processo: a) la cooperazione applicativa tramite Web-Services. Questa modalità è attiva sia tra SILAB e il Sistema Sanità Animale (SANAN) sia tra SILAB e il Sistema Nazionale per la Sicurezza Alimentare (SINVSA) in modo da acquisire automaticamente i dati del prelievo; b) è in fase di test la funzionalità su Web che permette al cliente veterinario di effettuare la richiesta di analisi direttamente nel SILAB. Si tratta tuttavia di casistiche ancora di uso limitato, negli altri casi, tutti i documenti che accompagnano i campioni vengono digitalizzati. Nella fase di accettazione dei campioni viene stampata l’etichetta con codice a barre (con il Numero di Registro Generale - NRG), apposta sulla prima pagina del documento e sui campioni (Figura 1). In maniera asincrona, in fase di scansione, un apposito programma, tramite lettura dell’etichetta, salva i documenti in singoli file inseriti automaticamente nel Database e disponibili da SILAB. •Modifiche all’organizzazione dell’Accettazione L’Accettazione attualmente si svolge su più “sportelli abilitati“ dei 201 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 quali solo uno è di “front-office”. I campioni vengono controllati ed etichettati come anche i documenti di accompagnamento e la ricevuta da consegnare al cliente. Operando in questo modo è stato eliminato il Registro cartaceo di accettazione. •Eliminazione dei fogli di lavoro La distribuzione dei campioni ai singoli reparti veniva accompagnata dal “foglio di lavoro” stampato e pinzato insieme al campione da esaminare, con il dettaglio delle prove richieste. Nel corso del 2010 questo sistema è stato sostituito dalla visualizzazione di una lista complessiva riportante i campioni accettati e le prove richieste da utilizzare per il controllo in reparto dei campioni. •Schemi di reparto I reparti diagnostici effettuano ogni anno circa 1.300 prove. Per registrare i dati grezzi ottenuti durante le fasi di esecuzione della prova vengono utilizzati schemi associati alle procedure. Lo schema digitale riporta le indicazioni relative alla revisione, al Responsabile dell’approvazione e tutte le revisioni vengono salvate e conservate. Oltre a raccogliere i “dati grezzi”, lo schema digitale permette la registrazione del risultato finale della prova direttamente sul SILAB in modo da evitare doppi inserimenti manuali di dati e conseguenti verifiche. Figura 1: esempi di modelli di accompagnamento con etichetta 202 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISULTATI E CONCLUSIONI: Gli schemi grafici sono stati sviluppati per le esigenze dei reparti di Sierologia e Virologia (Figura 2). Si accede allo schema direttamente dall’applicazione SILAB. Dopo l’esecuzione della prova è sufficiente modificare solo i risultati diversi dal valore di default proposto, operazione semplificata dall’utilizzo di schermi touch-screen. I dati riportati nello schema vengono verificati e salvati nel Database insieme all’immagine dello schema in formato pdf immodificabile. In caso di errori, è possibile correggerli e sottoporre i dati ad una nuova validazione; in automatico, si riproduce il file pdf e si modificano i risultati nel SILAB. Gli schemi non grafici sono numerosi e più complessi rispetto a quelli grafici. Per questo motivo si è preferito realizzare un applicativo (Sistema Informativo Schemi Diagnostici – SISD) che permettesse oltre alla registrazione dei dati d’uso, anche il disegno e la gestione dello schema direttamente da parte del personale del laboratorio, che opera disegnando autonomamente lo schema tramite la composizione di elementi di base predefiniti. Nel corpo dello schema si registrano, in sequenza, le diverse fasi operative. Ogni fase può essere dichiarata obbligatoria e può essere comune a tutti i campioni gestiti da quello schema o ripetuta per ogni campione (Figura 3). La fase conclusiva della prova permette l’inserimento del risultato finale e degli ulteriori campi che devono essere riportati nel SILAB al fine dell’emissione del rapporto di prova. L’applicativo SISD è quindi un programma autonomo, che può essere utilizzato anche indipendentemente dal SILAB pur rappresentandone un’estensione e adoperando lo stesso Database. DISCUSSIONE La riorganizzazione delle modalità di gestione del processo diagnostico ha prodotto evidenti vantaggi: permette una maggiore sicurezza nell’identificazione del campione e, una lettura semplificata degli identificativi tramite lettori di codici a barre. Il sistema di etichettatura garantisce l’immediata rintracciabilità di tutti i documenti legati al campione e la disponibilità di dati grezzi. È stato quindi possibile eliminare completamente il Registro cartaceo di accettazione e i diversi supporti cartacei precedentemente utilizzati con una riduzione delle registrazioni da parte degli operatori, minori errori di digitazione migliorando la qualità dei dati. Il sistema di registrazione dei dati grezzi con modalità completamente digitali è stato verificato per la prima volta nel corso dell’ultima visita di riaccreditamento di Accredia (novembre 2011) dimostrandosi adeguato alle attività e all’avanguardia rispetto ad altre soluzioni adottate finora. Figura 2: maschera di SILAB che riproduce lo schema per l’Immunofluorescenza 203 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Figura 3: inserimento dati nello schema; nell’esempio ci sono 2 campioni i cui dati sono riportati in 2 fogli distinti per Identificativo Campione. BIBLIOGRAFIA: 1. IZS TE AQ SOP010 TITOLO: Gestione dell’archiviazione, IZS TE B4.3 SOP007 TITOLO: Archiviazione registri sanitari documento i2010 eGovernment Action Plan http://ec.europa. eu/information_society/eeurope/i2010/index_en.htm 2. Ricerca Finalizzata 1998: MSRFTE0298 Sistema informativo dei laboratori 3. Decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 pubblicato in G.U. del 16 maggio 2005, n. 112 - S.O. n. 93 “Codice dell’amministrazione digitale” aggiornato dal D.Lgs. n. 159 del 4 aprile 2006 pubblicatoin G.U. del 29 aprile 2006, n. 99 – S.O. n. 105 4. Quality assurance in veterinary diagnostic laboratories Caporale V., Nannini D., Ricci L. 1998 Rev Sci Tech, 17(2), 459-468 5. La gestione elettronica dei referti diagnostici. L’esperienza dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise Colangeli P. 2006 Iged.it, 15(4), 69-74 6. Il percorso verso la qualità Nannini D., Ricci L., Caporale V. 1998 De Qualitate, 7(3), 61-68 204 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 PIANO DI MONITORAGGIO DELLA REGIONE CAMPANIA SUI REQUISITI MICROBIOLOGICI DEI PASTI DI ORIGINE ANIMALE SOMMINISTRATI NELLA RISTORAZIONE PUBBLICA E COLLETTIVA: ANALISI PRELIMINARE DEI RISULTATI Colarusso G.*[1], Giannoni A.[2], Peirce E.[1], Pellicanò R.[1], Cavallo S.[1], Caligiuri V.[1], Baldi L.[3] Keywords: ristorazione, criteri microbiologici, monitoraggio ORSA - Osservatorio Regionale Sicurezza Alimentare c/o IZSM Portici (NA) ~ Portici, [2] Assessorato alla Sanità della Regione Campania -Settore Veterinario- ~ Napoli, [3] Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici [1] SUMMARY: A monitoring was conducted to evaluate the microbiological quality of the most consumed meals in Campania region. Cold gastronomy products, cooked warm-served products, and cooked cold-served products were tested for bacterial contamination. Throughout the regional monitoring, 379 samples were examined for total counts of aerobic bacteria, counts of indicator organisms and pathogen). The aim of this study was to evaluate the microbiological quality of foodstuff and gastronomic preparations. INTRODUZIONE: La somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è regolata dalla legge 287 del 25/08/91. Per somministrazione s’intende “ la vendita per il consumo sul posto, che comprende tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all’uopo attrezzati”. Il mercato della ristorazione viene in sostanza suddiviso in due macroaree (PRI 2011-14): • la ristorazione pubblica che comprende quelle attività di produzione e somministrazione effettuate negli esercizi pubblici tipo “A”, “B” e “C” ex L. 287/91 (ad esempio ristoranti, bar, pizzerie etc. etc.); • la ristorazione collettiva che comprende quelle attività di produzione e somministrazione in grado di fornire un gran numero di pasti a un gran numero di persone nello stesso momento o in un tempo relativamente breve in rapporto al numero di utenti ( ad esempio ristorazione aziendale, ristorazione scolastica,cat ering,ristorazione socio-sanitaria etc.). La vocazione turistica della Campania e le mutate tendenze comportamentali degli ultimi anni, che inducono sempre più spesso l’utenza a consumare pasti al di fuori della propria dimora, rendono tale settore della filiera alimentare particolarmente Strategico in Campania. Le operazioni a cui sono sottoposti gli alimenti durante la preparazione de pasti (cottura,trasporto e somministrazione) aumentano il rischio di contaminazione da parte di germi patogeni con conseguenze che si potrebbero ripercuotere su un gran numero di consumatori. Questo rende indispensabile un controllo costante, eseguito seguendo le procedure riportate nel Piano regionale Integrato dei Controllo 2011-2014. Il monitoraggio è svolto allo scopo di verificare il rispetto dei requisiti microbiologici è degli ingredienti, dei pasti pronti preparati e degli alimenti somministrati negli esercizi di ristorazione pubblica e collettiva. MATERIALI E METODI: I campioni sono stati prelevati dai medici del servizio veterinario delle AASSLL della regione Campania nel periodo da ottobre 2011 a giugno 2012. La distribuzione del campionamento per ciascuna ASL è omogenea nel tempo in quanto si prelevano un numero di campioni fisso per mese. Per ogni campione è stata richiesta la determinazione di un solo parametro tra i seguenti: § Listeria monocytogenes in alimenti pronti che costituiscono terreno favorevole alla crescita. § di L. monocytogenes diversi da quelli destinati ai lattanti e a fini medici speciali. § Salmonella in prodotti elencati nel Reg. CE 2073/05. § Salmonella in prodotti non compresi nel Reg. CE 2073/05. § E. coli O157:H7 in prodotti vari. § Enterobatteriacee in prodotti elencati nel Reg. CE 2073/05. § E.coli in prodotti elencati nel Reg. CE 2073/05. § Bacillus cereus. § Anaerobi solfito riduttori. In taluni casi sono state effettuate alcune ricerche analitiche al di fuori di quelle indicate nel Piano, ciò è avvenuto solo quando all’atto del campionamento sono state sospettate condizioni di rischio particolari. RISULTATI E CONCLUSIONI: Nel periodo di riferimento sono stati raccolti 379 campioni. Questi sono stati consegnati ai laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ed analizzati con i metodi ISO. In particolare sono stati analizzati 130 campioni nella ristorazione pubblica nessuno dei quali è risultato non conforme rispetto ai parametri microbiologici normati(tabella 1). Nella ristorazione collettiva sono stati, invece, raccolti 249 campioni ,risultati, anche in questo caso, tutti conformi rispetto alle indicazioni legislative (tabella 2). Solo in un campione di carne cotta è risultata la presenza del Clostridium perfringens in quantità degna di nota; molto probabilmente si è trattato di una contaminazione pregressa dovuta a scarsa igiene nella manipolazione dell’alimento. Le matrici campionate sono varie, ma come si evince nel grafico 1 e 2 c’è una netta prevalenza di preparazione gastronomiche pronte al consumo e dei prodotti a base di carne cotti sia negli esercizi di ristorazione pubblica che collettiva. In conclusione si può affermare che la qualità igienico-sanitaria delle matrici oggetto di studio può esser considerata complessivamente molto soddisfacente se si fa riferimento ai parametri normativi. Sebbene possa essere considerata ristretta una ricerca che prevede la determinazione di un unico parametro microbiologico per campione è d’obbligo ricordare che tale scelta è stata dettata dalla volontà di condurre un “monitoraggio”sulla qualità degli alimenti prodotti in questo ambito e non una sorveglianza puntuale che avrebbe comportato un maggior numero di ricerche per campione. Tale attività, sebbene auspicabile, non collima con le necessità del controllo ufficiale che 205 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 deve garantire sicurezza e salubrità in molti campi contemporaneamente e che, per questo motivo, lavora sulla base dei principi di analisi del rischio. Dall’analisi dei dati emerge la necessità di un aggiornamento legislativo in materia di sicurezza alimentare degli alimenti somministrati nella ristorazione; persistono nell’attuale normativa vuoti nell’indicazione di limiti microbiologici per i diversi alimenti pertanto le autorità competenti ed i laboratori di riferimento si attengono ai soli dati presenti in letteratura in assenza di un riferimento di legge solido. 206 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1. Piano regionale Integrato dei controlli ufficiali in materia di alimenti, mangimi, sanità e benessere animale,sanità delle piante 2011-2014 2. Legge 287 del 25/08/91 3. Cenci Goga, B., Ortensi, R., Bartocci, E., Codega De Oliveira, A., Clementi, F., & Vizzani, A., 2005. Effect of the implementation of HACCP on the microbiological quality of meals at a university restaurant. Foodborne Pathogens and Disease, vol. 2 n°2 4. Nadja G. Santana, Rogeria C.C. Almeida,, Jeane S. Ferreira, Paulo F. Almeida “Microbiological quality and safety of meals served to children and adoption of good manufacturing practices in public school catering in Brazil” Food Control 20 (2009) 255–261 207 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ANALISI DELLA VARIABILITA’ DEL GENE NOD2/CARD15 QUALE MARCATORE DI RESISTENZA/SUSCETTIBILITA’ ALLA PARATUBERCOLOSI BOVINA NELLA RAZZA FRISONA Colussi S.*[1], Bertuzzi S.[1], Peletto S.[1], Modesto P.[1], Dondo A.[1], Giorgi I.[1], Goria M.[1], Romano A.[1], Gennero M.S.[1], Bergagna S.[1], Bozzetta E.[1], Varello K.[1], Chiavacci L.[1], Vitale N.[1], Acutis P.L.[1] Keywords: Paratubercolosi, Gene NOD2/CARD15, Variabilità genetica Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino [1] SUMMARY: Johne’s disease is a chronic enteritis of domestic ruminants caused by Mycobacterium avium ssp. paratuberculosis (MAP). It determines a financial damage for cattle industry and poses a public health risk as MAP has been linked to human Chron’s disease. Genetic factors are reported to be involved in susceptibility to MAP infection and marker assisted selection could help to obtain resistant populations. In this work, a survey on Friesian cattle was carried out to assess the genetic variability of the NOD2/CARD15 gene in order to create a marker set to be subsequently analyzed in a case-control study. INTRODUZIONE: La paratubercolosi bovina o malattia di Johne, causata da Mycobacterium avium spp. paratuberculosis (MAP), è una patologia diffusa a livello mondiale, associata a gravi perdite economiche per l’industria zootecnica. Oltre a ciò essa sembra rappresentare un importante rischio per la salute poiché si ipotizza un’associazione tra MAP e Malattia di Crohn, una patologia dell’uomo che colpisce l’intestino e la cui incidenza è in aumento. Non esistono vaccini, né terapie efficaci, l’unico sistema di controllo al momento in uso si basa sull’implementazione di piani di gestione sanitaria; ciò risulta comunque complesso a seguito di una bassa specificità che caratterizza i test diagnostici disponibili, associata in particolare alla capacità di rilevare le forme subcliniche. È noto come la suscettibilità all’infezione da MAP sia in parte determinata da fattori genetici pertanto l’individuazione di geni target che possano essere utilizzati quali marcatori in piani di selezione, può facilitare la gestione della malattia creando una popolazione di bovini resistenti. NOD2/CARD15 (Caspase Recruitment Domain 15) rappresenta un promettente gene candidato: alleli e aplotipi descritti in questo gene nell’uomo e nel bovino sono stati infatti associati a suscettibilità/resistenza al morbo di Chron e alla paratubercolosi (1, 3, 4). Questo gene codifica per un recettore intracellulare impegnato nel riconoscimento del patogeno e nell’attivazione del fattore nucleare kB legato alla formazione dei granulomi e all’attivazione dell’apoptosi. Scopo del presente lavoro è stato analizzarne la variabilità genetica mediante una survey su bovini di razza Frisona e procedere con un’analisi funzionale in silico dei polimorfismi rilevati, al fine di predirne il ruolo biologico. Ciò per ottenere un panel di polimorfismi da utilizzare in un studio caso-controllo su animali di focolaio, al momento in corso, al fine di stabilire eventuali associazioni tra il gene e la suscettibilità/resistenza alla malattia. MATERIALI E METODI: Il DNA è stato estratto mediante il kit Pure LinkTM Genomic DNA Mini Kit (Invitrogen) da 13 campioni di sangue appartenenti a bovini di razza Frisona, provenienti da allevamenti diversi, non imparentati tra loro, di differente età e con una ratio tra i sessi di 1:1. Il gene NOD2/CARD15 è costituito da 12 esoni, analizzati me- diante 18 reazioni di PCR (2). La PCR è stata condotta su un volume di reazione pari a 25 ml mediante utilizzo di Platinum® qPCR Supermix-UDG (Invitrogen), con aggiunta dei primer suddetti [300 nM] in PCR singole. La quantità di DNA utilizzata è stata pari a 50-60 ng/ml. L’amplificato è stato sottoposto a sequenziamento diretto utilizzando i primer della reazione di PCR e la chimica BigDye 3.1 (Applied Biosystems). Le sequenze forward e reverse di ciascun campione sono state allineate mediante il Software SeqMan (Lasergene) con il quale è stato creato un consensus analizzato poi mediante il programma BLAST (Basic Local Alignment Search Tool). I consensus ottenuti sono stati allineati alle sequenze di riferimento mediante allineamento multiplo utilizzando il programma Clustal V fornito dal Software MegAlign (Lasergene). Come sequenze di riferimento sono state utilizzate sia la sequenza sulla quale sono stati disegnati i primer, riportante la somma degli esoni (Bovine Reference Sequence GenBank accession number AH03658), sia quella depositata da Taylor (7) riportante la somma delle sequenze codificanti (CDS) utilizzata come riferimento nei differenti lavori bibliografici considerati (Bovine Reference Sequence GenBank accession number AY518737); ciò poiché ciascun amplificato prodotto con i primer descritti, consta dell’intera CDS e di parziali regioni regolatrici fiancheggianti. Per ciascun polimorfismo è stato calcolato l’equilibrio di HardyWeinberg e mediante il software PHASE v.2.1 (6) sono stati definiti gli aplotipi. I polimorfismi presenti nella regione del promotore sono stati indagati con il software TFSEARCH v. 1.3 per individuare eventuali punti di interazione con siti di legame per fattori di trascrizione creati o soppressi dalla presenza della mutazione. E’ stata effettuata un’analisi con il software UTRScan per rilevare l’eventuale presenza di siti polimorfici all’interno di motivi consensus. RISULTATI E CONCLUSIONI: L’analisi della variabilità genetica ha dato i seguenti risultati: gli esoni 1, 2, 7, 8 e 9 non sono risultati polimorfi (l’amplificato ottenuto da ciascuna PCR è costituito dalla CDS e da parziali regioni regolatrici fiancheggianti). Gli SNPs rilevati negli altri esoni e le relative collocazioni, frequenze e p-value per la verifica del rispetto dell’equilibrio di Herdy-Weinberg sono riportati in tabella 1: la dicitura riportata in tabella E3(-7) indica un sito 7 basi a monte dell’inizio della regione codificante dell’esone 3 e analogamente E10(+106) indica un sito posto 106 basi a valle dell’esone 10. Tutti gli SNPs riscontrati sono risultati in equilibrio di HardyWeinberg. In tabella 2 sono riportati gli aplotipi rilevati e le frequenze ad essi relative. Tre mutazioni riportate hanno dato luogo a sostituzioni aminoacidiche non sinonime: 773 g>a determina la sostituzione 208 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 aa 258 R>H; 2984 c>g, aa 995 T>S e la mutazione 3020 a>t, aa1007 Q>L; quest’ultima precedentemente riportata in bibliografia ed associata a suscettibilità alla malattia secondo alcuni studi e non associata secondo altri (3, 4). La matrice di sostituzione aminoacidica per proteine intracellulari riporta per le prime due sostituzioni il valore 0 indicante una sostituzione neutrale, mentre la mutazione aa 1007 Q>L è risultata sfavorevole. La mutazione 1194 c>t, anch’essa precedentemente descritta, dà luogo alla sostituzione sinonima S>S all’aminoacido 398. Per quanto concerne invece le regioni regolatrici a livello intronico, il polimorfismo E4(-37) t>c appartiene al motivo regolatorio ACCATGG; E3(-7) g>a, E10(+106) ed E11(-15) analizzati con TFSearch hanno mostrato invece l’alterazione di siti putativi di interazione con fattori di trascrizione. La mutazione in E3(-7) genera un sito putativo per il fattore di trascrizione C/ EBP coinvolto nel differenziamento e funzionalità macrofagica. Analogamente E10(+106) crea un sito di interazione per i fattori GATA1 e 2, importanti nella regolazione della fagocitosi; nel caso di E11(-15) viene invece alterato un sito interazione con GATA 3 anch’esso coinvolto nella regolazione dei meccanismi di fagocitosi. Mutazioni all’interno della regione 3’ UTR sono state indagate con il software UTRScan ed alcune risultano far parte di motivi consensus che possono alterare la stabilità dei trascritti primari: 4648 c>a appartiene infatti alla regione CTCCCTCCATTC e 5098 c>t a ATTTGCT. I risultati ottenuti relativi al ruolo funzionale dei polimorfismi, associati alla frequenza allelica dell’allele minore (MAF>0.05) e al rispetto dell’equilibrio di HW, saranno utilizzati per costituire un pannello di marcatori da indagare in uno studio caso-controllo su bovini di razza Frisona, attraverso la messa a punto di tecniche di genotipizzazione ad alta resa quali il pirosequenziamento. Tabella 1: Descrizione degli SNPs, frequenze e p-value H-W ad essi relative Tabella 2: Descrizione degli aplotipi rilevati e frequenze ad essi relative 209 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1. Behr M.A. and Schurr E., 2006. Mycobacteria in Chron’s disease: a persistent hypothesis. Inflamm Bowel Dis, 12: 10001004. 2. Pant S.D., Schenkel F.S., Baca I. L., Sharma B.S., and Karrow N.A., 2007. Identification of single nucleotide polymorphisms in bovine CARD 15 and their associations with health and production traits in Canadian Holsteins. BMC Genomics 8:421 3. Pinedo P.J., Buergelt C.D., Donovan G.A., Melendez P., Morel L., Wu R., Langaee T.Y., Rae D. O., 2009. Association between CARD15/NOD2 gene polymorphisms and paratuberculosis infection in cattle. Vet Microbiol 134: 346-352. 4. Ruiz-Larranaga O., Garrido J.M., Iriondo M., Manzano C., Molina E., Koets A. P., Rutten V. P. M. G., Juste R.A., and Estonba A., 2010. Genetic association between NOD2 polymorphisms and infection by Mycobacterium avium ssp. Paratuberculosis in Holstein-Friesian cattle. Animal Genetics, 41: 652-655. 5. Stephens M., and Donnelly P., 2003. A comparison of Bayesian methods for haplotype reconstruction from population genotype data. American Journal of Human Genetics, 73: 11621169. 6. Taylor K., Taylor J.F., White S. N., Womack J.E., 2006. Identification of genetic variation and putative regulatory region in bovine CARD 15. Mammalian Genome, 17: 892-901. 210 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 DIVERSITA’ GENETICA DEL MTDNA D-LOOP MITOCONDRIALE IN BUBALUS BUBALIS Corrado F.*[1], Girardi S.[1], Cutarelli A.[1], De Roma A.[1], Coletta A.[2], Guarino A.[1], Galiero G.[1] Keywords: mtDNA D-loop, Murrah, Bufalypso Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (NA), [2] Associazione Nazionale Allevatori Specie Bufalina ~ Caserta [1] SUMMARY: The origins of the domestic water buffalo remain contentious. This study aimed to characterize the genetic structure of different buffalo breeds by using DNA sequence variation in mtDNA control region D-loop. It is the most variable portion of the mammalian mtDNA genome making it useful for studies of genetic variability among populations and phylogenetic analysis. The clustering used for the 4 populations analyzed (Bufalypso, Murrah, Mediterranean from Italy and Turkey) confirmed low genetic distance values between Bufalypso and Murrah, and between Italian and turkey buffalo. INTRODUZIONE: I bufali appartengono alla classe Mammiferi, ordine Artiodattili, sottordine Ruminanti, famiglia Bovidi, sottofamiglia Bovini, genere Bubalus specie bubalis. Si distinguono due sottogeneri: bufalo asiatico e bufalo africano. Il primo (Bubalus bubalis detto anche water buffalo) è diffuso nell’India orientale e settentrionale, mentre il secondo (Syncerus caffer) è diffuso nell’Africa occidentale, centrale ed orientale (1-2). A tutt’oggi le origini del bufalo domestico sono controverse. Pertanto, al fine di capirne meglio le origini, abbiamo sequenziato il gene mitocondriale D-loop (3) di 54 campioni in rappresentanza di quattro popolazioni di razze di bufalo (Bufalypso, Murrah, e razza mediterranea proveniente dall’Italia e dalla Turchia). Lo scopo di questo studio è stato quello di caratterizzare la struttura genetica delle diverse razze di bufalo utilizzando le variazioni delle sequenze del DNA nella regione del gene mitocondriale D-loop. Questo è la parte più variabile del DNA mitocondriale dei mammiferi ed è pertanto molto utile per studi di variabilità genetica tra le popolazioni e per l’analisi filogenetica. Cockrill WR 1974 FAO MATERIALI E METODI: - Campionamento ed analisi morfologica Sono stati analizzati 54 campioni di sangue di bufalo di cui 20 appartenenti alla razza di bufalo mediterraneo provenienti dalla Campania, 22 bufali mediterranei provenienti dalla Turchia, 10 Bufalypso (bufali provenienti dalla Colombia) e due bufali Murrah provenienti dalla India. Tutti i campioni sono inviati all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno dall’ANASB (Associazione Nazionale Allevatori Specie Bufalina) tranne i due campioni di bufalo Murrah estrapolati dal comparison test dei bufali inviato dall’ ISAG 2010 (International Society and the International Foundation for Animal Genetics). 211 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 - Estrazione del DNA e PCR IL DNA è stato estratto dal sangue mediante il “QIamp DNA miniKIT” (Qiagen). Il DNA mitocondriale D-loop è stato amplificato mediante i primers indicati in tabella 1. Tabella 1. Primers impiegati per la PCR e il sequenziamento Buff2A 5’-CATGCATGATAGTACATAGTA-3’ Buff2B 5’-GAGATGGCCCTGAAGAAAGAAC-3’ Buff3A 5’- GTACATAGCACATTTAAGAC -3’ La mix di reazione (50µL) includeva: 25µL di Master Mix 2x (Applera), 1µL di ogni primer (10µM), 18µL di acqua DNAse/ RNAse free e 100 ng del DNA estratto. Il profilo termico di reazione era il seguente: 1° step di denaturazione di 15 min a 95°C, 35 cicli di: 30 sec a 94°C, 30 sec a 55°C, e 45 sec a 72°C, uno step di elongazione finale di 5 min a 72°C. I prodotti di PCR sono stati visualizzati su un gel di agarosio al 2% e successivamente sottoposti a sequenziamento. - PCR di sequenziamento e BLAST I prodotti di PCR sono stati purificati mediante Qiaquick PCR purification Kit (Qiagen) e successivamente sottoposti a PCR di sequenziamento bi-direzionale utilizzando il kit di sequenziamento ABI PRISM Big Dye3.1 Terminator Cycle Sequencing Kit (Applied Biosystems) secondo le istruzioni contenute nel kit. Le sequenze sono state poi purificate del Dye terminator mediante DyeEX 2.0 spin kit (Qiagen) ed infine sottoposte ad elettroforesi capillare con lo strumento ABI Prism 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystems). Gli Elettroferogrammi sono stati analizzati mediante software SeqScape v.2.5 (Applied Biosystem). Le sequenze ottenute sono state analizzate attraverso il BLAST (http://blast.ncbi.nlm.nih.org). RISULTATI E CONCLUSIONI: Le analisi delle sequenze del mtDNA D-loop hanno mostrato una differenziazione genetica tra le 4 popolazioni di bufali in esame. I metodi che utilizzano la distanza genetica (Tabella 1) per costruire l’albero filogenetico di un set di unità tassonomiche sfruttano particolari algoritmi, detti di clustering. Il “clustering” utilizzato per le 4 popolazioni in esame, ha mostrato una vicinanza genetica tra il bufalo mediterraneo italiano e quello turco, confermando un ancestore comune, mentre la vicinanza genetica tra Bufalypso e Murrah: mostra un miscuglio genetico e una differenziazione minima tra le popolazioni, forse perché alcune di esse erano le razze di origine della maggior parte degli animali nelle diverse aree geografiche Fig.1. Distanze Matrice delle distanze dA (divergenza del nucleotide D-loop tra le popolazioni) tra le 4 popolazioni di water buffalo Albero filogenetico (metodo Neighbor-Joining) basato sulla sequenza nucleotidica di una parte del gene D-loop . I valori di confidenza sono stati stabiliti con l’opzione bootstrapping. Il D-loop canis è stata impiegato come outgroup. JQ 320003.1 -Bubalus bubalis haplotype UP_19 D-loop 212 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 La regione mtDNA D-loop è la porzione del genoma mitocondriale più variabile ed è comunemente variabile a livello intraspecifico, rendendolo pertanto molto utile per studiare la variabilità genetica tra popolazioni, come eseguito in questo studio. Ulteriori indagini, già in corso, vertono sullo studio di variabilità genetica all’interno della specie Bubalus bubalis, utilizzando una regione del gene mitocondriale per la citocromo b, in quanto la variazione intraspecifica della cyt b è minore rispetto a quella interspecifica e questo fornisce la chiave che permetterà la differenziazione della specie (4). BIBLIOGRAFIA: 1) Chen Y.C. & Li X.H. (1989) New evidence of the origin and domestication of the Chinese swamp buffalo (Bubalus bubalis). Buffalo Journal 1, 51–5. 2) Cockrill WR, Mahadeven P (1974) The buffaloes of Latin America. In: The Husbandry and Health of the Domestic Buffalo (ed. by Cockrill WR), pp. 676–707. FAO, Rome. 3)Kierstein G., Vallinoto M., Silva A., Schneider M.P., Iannuzzi L. & Brenig B. (2004) Analysis of mitochondrial D-loop region casts new light on domestic water buffalo (Bubalus bubalis) phylogeny. Molecular Phylogenetics Evolution 30, 308–24. 4) Lau C.H., Yusoff K., Tan S.G. & Yamada Y. (1995) A PCR cycle sequencing protocol for population mitochondrial cytochrome b analysis. BioTechniques 18, 262±5. 213 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ANISAKIS SPP. IN SPECIE ITTICHE MARINE DI INTERESSE COMMERCIALE NELLA REGIONE SICILIA: DIFFUSIONE E CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI GENOTIPI RICOMBINANTI Costa A.*[1], Martuscelli L.[1], Pisano P.[1], Roccuzzo E.[1], Sciortino S.[1], Di Noto A.M.[1] Keywords: Anisakis spp., PCR-RFLP, hybrid genotype IZS Sicilia ~ Palermo [1] SUMMARY: The aim of the present work was to investigate, using RFLP genetic, the occurrence and species variability of Anisakis larvae collected in different commercial fish species at different sites off the Sicilian coasts. 250 Anisakis larvae were identified by PCR-RFLP on the basis of the diagnostic restriction banding patterns.These were identified as belonging to A. pegreffii (88.4%), A. simplex s.s.(4.8%) and A. physeteris (2.0%).12 specimens(4.8%) showed the profile corresponding to recombinant genotype between A. pegreffii and A. simplex s.s.: DNA sequencing confirmed the two heterozygote position of the polymorphism in 4 individuals. INTRODUZIONE: Forme larvali di anisakidi nematodi del genere Anisakis (Dujardin 1845) si ritrovano comunemente nei visceri e nella muscolatura di diverse specie di pesci e cefalopodi marini (12): infezioni umane accidentali possono verificarsi in seguito al consumo di pesci parassitati crudi o poco cotti e la conseguente malattia, anisakiasi, è ben documentata da diversi autori, anche in Sicilia (4). Recenti lavori evidenziano l’importanza della corretta identificazione dei nematodi anisakidi allo scopo anche di approfondire la conoscenza sulla loro tassonomia, ecologia, epidemiologia e per la diagnosi ed il controllo nell’ambito della sicurezza alimentare dei prodotti della pesca (9,10). Negli ultimi venti anni l’applicazione di metodi molecolari quali, in particolare, di marcatori molecolari basati su PCR-RFLP nella regione genomica nucleare ITS-1,5.8 S e ITS-2 (7), ha permesso una più precisa identificazione delle nove specie di Anisakis attualmente descritte e, nel contempo, di riscontrare genotipi eterozigoti tra A. simplex sensu stricto (s.s.) e A. pegreffii. Scopo del presente lavoro è stato quello di effettuare un’indagine, mediante PCR-RFLP, sulla diffusione di larve di Anisakis spp in alcune specie ittiche di interesse commerciale, già note come ospiti intermedi, campionate in diversi siti lungo le coste della regione Sicilia. MATERIALI E METODI: Forme larvali L3 di nematodi anisakidi sono state raccolte, mediante osservazione visiva e stereomicroscopio della cavità viscerale e dei muscoli, da 7 differenti specie di teleostei (Tab 1) campionati nel periodo gennaio 2010 - primo semestre 2012, in diversi siti della regione Sicilia. I campioni di teleostei attenzionati, appartenenti a specie ittiche già note per la presenza di Anisakis, provenivano da mercati ittici o direttamente da imbarcazioni per la pesca, di varie zone lungo le coste siciliane, trasportati entro 24 ore e conservati a temperatura di refrigerazione. Un totale di 250 larve, identificate morfologicamente al microscopio ottico come appartenenti al genere Anisakis -Tipo I e Tipo II sensu Berland (2)- e conservate in etanolo 70%, sono state sottoposte ad identificazione molecolare mediante PCR-RFLP. Dopo estrazione e amplificazione del DNA (6), per la restrizione enzimatica sono stati utilizzati due enzimi di restrizione (HhaI, HinfI) per l’identificazione di specie di Anisakis (7): i prodotti di digestione sono stati rivelati tramite elettroforesi su gel di agarosio al 2% con SYBR Safe, aggiungendo un controllo positivo e il ladder 100 e visualizzati tramite acquisitore d’immagine Gel Doc. I profili di restrizione ottenuti sono stati letti mediante le chiavi riportate in bibliografia (7). I campioni che presentavano un pattern di restrizione eterozigote tra A. simplex s.s. e A. pegreffii con l’enzima HinfI (Fig 1) sono stati sottoposti a sequenziamento delle intere regioni ITS, per la conferma della presenza della doppia posizione eterozigote(1). Le reazioni di sequenza sono state condotte con l’impiego del kit Applied Biosystems versione 3.1; i frammenti di PCR amplificati sono stati passati su colonnine G50 (GE Healthcare), denaturati e analizzati tramite sequenziatore automatico ABI Prism 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystems). Gli elettroferogrammi risultanti sono stati analizzati mediante software “Sequencing Analysis 5.2” e le sequenze nucleotidiche corrispondenti inserite in WU-BLAST e allineate con le sequenze di riferimento di A. simplex s.s.e A. pegreffii presenti in GeneBank. 214 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISULTATI E CONCLUSIONI: La metodica di PCR-RFLP, sulla base dei tipici profili di restrizione ottenuti con l’enzima di restrizione HinfI (7), ha permesso di identificare le larve del genere Anisakis Tipo I come appartenenti alla specie A. pegreffii (88.4%), A. simplex s.s.(4.8%) e al genotipo ricombinante descritto in letteratura (1) che mostra tipicamente 4 frammenti corrispondenti a tutte le bande di restrizione osservate in A. simplex s.s ed in A. pegreffii (Fig 1). Tale pattern eterozigote A. pegreffii/A. simplex s.s. in particolare è stato osservato in 12 larve (4 da spatola, 3 da alici, 2 da suro e 1 rispettivamente da sgombro, nasello e rana pescatrice)(Tab 1). Il sequenziamento genico delle regioni ITS ha evidenziato che 2 forme larvali (da spatola) presentavano l’eterozigosi C/T in prima posizione e T nella seconda mentre 6 larve mostravano C in entrambe le posizioni: in quest’ultimo caso il pattern eterozigote è probabilmente dovuto ad incompleta digestione del DNA amplificato. L’analisi dell’elettroferogramma (Fig 2) ha confermato la presenza di entrambe le posizioni eterozigoti (C/T) in 4 larve (1 da alice, 1 da sgombro e 2 da suro) evidenziandone l’identità ibrida: tali forme larvali provenivano da campioni ittici prelevati lungo le coste meridionali della Sicilia. Larve di A. pegreffii sono state isolate da tutte le specie ittiche esaminate mentre la specie A. simplex s.s. è stata identificata solo in campioni di sgombro catturati lungo le coste occidentali e del sud della Sicilia.Riguardo le larve morfologicamente riferibili al Tipo II, queste sono state identificate come A. physeteris (2.0%) e provenivano da campioni di pesce pescati nello stretto di Messina. I risultati da noi ottenuti aggiungono ulteriori dati riguardo le specie di Anisakis presenti nei nostri mari nonché agli aspetti ecologici ed epidemiologici di tali parassiti. A. pegreffii, specie isolata in diversi casi di anisakiasi umana in Italia, è la specie dominante nel Mar Mediterraneo, in diverse specie ittiche pe- lagiche e demersali,che riconosce come ospiti definitivi varie specie di delfini (9). A. simplex s.s. è la specie prevalente nelle coste nord-est dell’Atlantico ed è occasionalmente presente nelle acque del Mediterraneo occidentale a seguito della migrazione di specie ittiche pelagiche dall’Atlantico al Mar di Alboran (10) e si ritrova in S. scombrus nei mari delle coste nord africane (8). E’ inoltre nota la presenza di A. physeteris nel Mar Mediterraneo, che riconosce come ospite definitivo il capodoglio (Physeter macrocephalus), mammifero marino presente nelle acque dello Stretto di Messina. Il nostro studio inoltre aggiunge nuovi dati sul riscontro di larve di genotipi ricombinanti di Anisakis nel Mar Mediterraneo. Dati bibliografici mostrano che il pattern ibrido A. pegreffii/A. simplex s.s. è stato identificato in forme larvali di Anisakis raccolte da campioni ittici provenienti da diverse zone del Mar Mediterraneo (1,3,5,8,11). BIBLIOGRAFIA: 1.Abollo E., Paggi L, Pascual S., D’Amelio S. (2003) Occurrence of recombinant genotype of Anisakis simplex s.s. and Anisakis pegreffii (Nematoda: Anisakidae) in an area of sympatry Infect. Genet. Evol 3,175-181 2.Berland B.(1961) Nematodes from some Norwegian marine fishes Sarsia 2:1-50 3.Burzacca F., Antonini S., D’Amelio S., Cavallero S., Angeletti M., Favia G. (2012) SOIPA XXVII Abstracts Mappe parassitologiche 18:171-2 4.Cancrini G., Magro G. , Giannone G.(1997) 1st case of extra-gastrointestinal anisakiasis in a human diagnosed in Italy Parassitologia 39 (1);13-17 5.Cavallero S., Ligas A., Bruschi F., D’Amelio S. (2012) Molecular identification of Anisakis spp from fishes collected in the Tyrrhenian Sea (NW Mediterranean) Vet Parasitol 187:563566 215 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 6.Sciortino S., Palumbo P., Reale S., Macrì D., Costa A.(2009) Applicazione della PCR-RFLP per l’identificazione di specie di larve di Anisakis isolate da prodotti della pesca Atti XI Congresso Nazionale S.I.Di.L.V :66-67 7.D‘Amelio S., Mathiopoulos K.D., Santos C.P., Pugachev O.N.,Webb S.C.,Picanço M., Paggi L.(2000) Genetic markers in ribosomal DNA for the identification of members of the genus Anisakis (Nematoda: Ascaridoidea) defined by polymerase-chainreaction-based restriction fragment length polymorphism Int J Parasitol 30:223-26 8.Farjallah S., Slimane B.B.,Busi M., Paggi L., Amor N., Blel H., Said K.,D’Amelio S.(2008) Occurrence and molecular identification of Anisakis spp from the North African coasts of Mediterranean Sea Parasitol Res 102(3);371-9 9.Mattiucci S., Abaunza P., Ramadori L., Nascetti G.(2004) Genetic identification of Anisakis larvae in European hake from Atlantic and Mediterranean waters for stock recognition J Fish Biol 65:495-510 10.Mattiucci S. Nascetti G. (2008) Advances and trends in the molecular systematics of anisakid nematodes, with implications for their evolutionary ecology and host-parasite co-evolutionary processes Adv Parasitol 66:47-148 11.Meloni M., Angelucci G., Merella P., Siddi R., Deiana C., Orrù G, Salati F.(2011) Molecular characterization of Anisakis larvae from fish caught off Sardinia J Parasitol 97;908-14 12. Orecchia P., Paggi L., Mattiucci S., Di Cave D., Catalini N. (1989) Infestazione da larve di Anisakis simplex e Anisakis physeteris in specie ittiche dei mari italiani Parassitologia 31:37-43 216 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 FIORITURE ALGALI DI ALEXANDRIUM SPP IN IMPIANTI DI MITICOLTURA DELLA REGIONE SICILIA: RISCHI PER LA TOSSICITA’ DA PSP (PARALYTIC SHELLFISH POISON) Costa A.*[1], Giacobbe M.G.[3], Cangemi E.[2], Penna A.[4], Borzì S.[2], Alio V.[1], Nicastro L.[1], Rabito A.[5] Keywords: P.S.P. algal toxins, toxic phytoplankton monitoring, sanitary control IZS Sicilia ~ Palermo, [2] IAMC ~ Messina, [3] IAMC ~ Messina, [4] Dip Scenze Biomolecolari Sez Biol Ambientale ~ Urbino, [5] ARPA ~ Siracusa [1] SUMMARY: One of the main problems in such regions worldwide is the increased frequency of HABs (Harmful Algal Blooms), including blooms of toxic dinoflagellates, such as several Alexandrium species producing potent neurotoxins (saxitoxins and/or gonyautoxins). Bloom impact on aquaculture may be dramatic, with economic consequences and risks for human health. Recent toxic blooms of Alexandrium spp (Dinophyceae), A. minutum and first records of A. catenella, are reported in an Ionian bay of Sicily, the Syracuse harbour, hosting shellfish aquaculture practices. INTRODUZIONE: Il problema delle fioriture algali tossiche (HAB) e della presenza delle tossine algali nei molluschi ha assunto negli ultimi decenni grande rilevanza dal punto di vista economico nonchè igienico-sanitario. Ciò è dovuto, probabilmente, al flusso commerciale internazionale dei molluschi che vengono posti in zone di stabulazione, oppure veicolati dal traffico navale (1). La presenza di tossine nei molluschi bivalvi oltre i limiti stabiliti dalla normativa vigente, ne comporta il divieto di raccolta e di commercializzazione ai fini della tutela della salute pubblica. E’ noto che i molluschi bivalvi vivi possono concentrare pericolose tossine, prodotte da varie specie microalgali, e pervenire così all’uomo a seguito del loro consumo, anche dopo cottura. In particolare, la tossina PSP (Paralyzing Shellfish Poison) responsabile di sindromi neurotossiche e rappresentata dalla saxitossina e dai suoi analoghi, è prodotta da microalghe come i dinoflagellati Alexandrium (A. minutum, A. tamarense, A. catenella) e Gymnodinium (G. catenatum), con ampia distribuzione geografica e presenti in varie zone del mar Mediterraneo (4,5). La presenza di alghe tossiche per PSP (A. minutum) è riportata già da alcuni anni anche nelle acque del Porto di Siracusa (2,8) presso il quale sono ubicati degli impianti di miticoltura, classificati come acque “zona B”. Precedenti nostri lavori riportano nel contempo la positività per tossina PSP nei mitili (Mytilus galloprovincialis) con concentrazioni di saxitossina superiori al limite di legge (2), e contemporanea presenza di specie tossiche (A. minutum) nelle acque della stessa zona (2,5). In questo lavoro vengono riferiti episodi di recenti fioriture algali da Alexandrium spp nelle acque della stessa zona riportando per la prima volta la presenza di A. catenella. MATERIALI E METODI: Lo studio di microalghe tossiche da noi effettuato nelle acque del Porto di Siracusa ha previsto l’applicazione di tecniche di biologia molecolare, come valido supporto al monitoraggio di specie tossiche e problematiche HAB, in accoppiamento alle metodiche tradizionali di microscopia per lo studio morfologico. In particolare tale studio includeva: 1) identificazione di specie tossiche come Alexandrium spp. in base alle caratteristiche morfologiche osservate al microscopio ottico; 2) identificazione e conferma della specie bersaglio mediante tecnica PCR quantitativa Real Time; 3) studio di tossinogenicità delle colture di Alexandrium e ricerca della tossicità per i molluschi (studio attualmente in corso) Estrazione del DNA e amplificazione. I campioni di acqua (10 ml) sono stati centrifugati a 4000 g x 15 min a T.a. per ottenere il pellet cellulare: da questo è stato estratto il DNA mediante DNeasy Plant Mini kit (Qiagen). La prima identificazione molecolare, effettuata mediante PCR utilizzando primers specifici e amplificando la zona ITS-5.8S rDNA (3), ha permesso la rapida conferma dell’identità di diversi specie tossiche sospette quali A. minutum e A. catenella. La metodica PCR è descritta in Penna et al (7). La presenza di cellule di A. catenella nei campioni delle retinate è stata confermata per la prima volta in questa area mediante l’amplificazione della regione 5.8S-ITS. Nel contempo è stata effettuata mensilmente la determinazione di biotossine algali PSP sui campioni di mitili, campionati nella stessa zona, mediante metodo biologico ufficiale AOAC 959.08. RISULTATI E CONCLUSIONI: Lo studio del plancton marino costiero è di primaria importanza ai fini di una corretta gestione delle risorse ambientali, specialmente in aree interessate da attività umane con ricadute di tipo socio-economico sul territorio. Gli ambienti confinati come baie, lagune, porti e mari interni, hanno un ruolo predominante, tra le diverse tipologie di aree costiere, in quanto spesso sono siti idonei ad attività di pesca ed acquicoltura e, allo stesso tempo, proprio a causa delle loro caratteristiche di segregazione con scarsa circolazione e ricambio delle acque, sono sede di fenomeni eutrofici/distrofici come i bloom algali, che possono causare danni all’ecosistema ed alla sua produttività. A questo si possono aggiungere problemi di tipo sanitario se i bloom sono causati da specie produttrici di tossine, con possibili danni diretti agli stock ittici e/o con l’accumulo di tossine lungo la catena alimentare, per es. attraverso i mitili, fino all’uomo. La zona del Porto di Siracusa rappresenta come l’area siciliana più idonea allo studio, in termini di area più a rischio a causa della presenza di varie specie fitoplanctoniche produttrici di Harmful Algal Blooms (HAB). Questo sito confinato, che ospita la coltivazione di mitili, è fra l’altro soggetto all’insorgenza ricorrenti fioriture tossiche o nocive di A. minutum e di altre specie tossiche di Dinoflagellate, fioriture che si verificano ogni primavera, con una densità massima di 106 cell/l (4). Riguardo i risultati ottenuti, la ricerca di tossine algali PSP effettuata sui campioni di mitili mediante mouse test ha dato esito negativo. L’analisi del fitoplancton ha invece permesso di evidenziare la presenza di una nuova specie di alga tossica appartenente al genere Alexandrium, A. catenella, per la 217 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 prima volta riscontrata nelle acque di questa località mediterranea (Fig 1). Si ipotizza una recente introduzione della specie nella nostra regione, poiché i dati ottenuti da precedenti monitoraggi del fitoplancton tossico mediante indagini microscopiche e molecolari non avevano mostrato la presenza di A. catenella nelle acque del porto di Siracusa, o in altre località siciliane. Il problema delle alghe tossiche e delle ricorrenti fioriture in varie zone delle coste italiane, sedi di impianti di molluschicoltura, è da tempo noto (1): il conseguente rischio sanitario è soggetto a continua attenzione grazie alle attuali normative comunitarie e nazionali che impongono monitoraggi sistematici di acqua e MBV per rilevare rispettivamente l’eventuale presenza di plancton tossico e di biotossine nelle aree di produzione, nonché provvedimenti di rapida chiusura delle aree di pesca quando accumulate a livelli superiori ai limiti di legge. Riteniamo opportuno nei periodi riconosciuti da anni più a “rischio fioritura”, quali la primavera ed inizio estate, tenuto conto anche delle temperature della nostra regione, intensificare le analisi per la ricerca di tossine PSP nei molluschi d’allevamento, al fine di controllare e limitare l’impatto pesante di queste fioriture sulla salute pubblica e sulla molluschicoltura. (Ricerca finanziata IZI-2008-1139874) dal Ministero della Salute- RF- BIBLIOGRAFIA: 1.Ade P. , Funari E., Poletti R. Il rischio sanitario associato alle tossine di alghe marine (2003) Ann Ist Sup Sanità 39 (1):53-68. 2.Costa A., Di Noto A.M. ,Russo Alesi E.M., Alio V. , Milandri A., Pompei M. , Poletti R. Giacobbe M.G. , Caracappa S. (2007) Presenza di biotossine algali del tipo PSP (Paralytic Shellfish Poison ) in mitili allevati nel porto grande di Siracusa, Sicilia Atti LXI Convegno Nazionale SISVeT; 375-376 3.L. Galluzzi, A. Penna, E. Bertozzini, M.G. Giacobbe, M. Vila, E. Garcés, S. Prioli, M. Magnani (2005) Development of a qualitative PCR method for the Alexandrium spp. (Dinophyceae) detection in contaminated mussels (Mytilus galloprovincialis). Harmful Algae 4:973-983. 4. Giacobbe M.G., M. Maso’, A. Milandri, A. Penna, R. Poletti. (2006) Plankton toxicity and shellfish contamination by phycotoxins in a new Mediterranean locality. In: Proceedings of the 5th International Conference on Molluscan Shellfish Safety, (Eds K.Henshilwood, B. Deegan, T. McMahon, C. Cusack, S. Keaveney, J. Silke,, M. O’ Cinneide, D. Lyons, P.Hess). Marine Institute, Rinville, Oranmore, Galway, Ireland, p.206-214 5.A. Milandri, M. Cangini, A. Costa, M.G. Giacobbe, R. Poletti, M. Pompei, E. Riccardi, S. Rubini, S. Virgilio, S. Pigozzi (2008) Caratterizzazione delle tossine PSP (Paralytic Shellfish Poisoning) in mitili raccolti in differenti aree marine italiane Biol. Mar. Mediterr. 2008, 15(1), 38-41 6.Penna A., S. Fraga, M. Masò, M.G, Giacobbe, I. Bravo, E. Garcés, M. Vila, E. Bertozzini, F. Andreoni, A. Lugliè,C. Vernesi. (2008) Phylogenetic relationships among the Mediterranean Alexandrium (Dinophyceae) species based on sequence of 5.8S gene and Internal Transcript Spacers of the rRNA operon. European Journal of Phycology. 43: 163-178. 7. Penna A., Bertozzini E., Battocchi C., Galluzzi L., Giacobbe M.G., Vila M., Garcès E., Lugliè A., Magnani M. (2007) Monitoring of HAB species in the Mediterranean Sea through molecular methods. Journal of Plankton Research, 29 (1): 19-38. 8.Vila M., Giacobbe M.G., Masó M., Gangemi E, Penna A., Sampedro N., Azzaro F., Camp J., Galluzzi L. (2005) A comparative study on recurrent blooms of Alexandrium minutum in two Mediterranean harbours. Harmful Algae, 4: 673-695. 218 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 ISOLAMENTO DI MICROSPORUM COOKEI DA ESEMPLARI DI SCOIATTOLO GRIGIO E SCOIATTOLO ROSSO IN UMBRIA Crotti S.[1], Agnetti F.*[1], Tentellini M.[1], Sebastianelli M.[1], Danesi P.[2], Marini C.[1], Papa P.[1], Paoloni D.[3] Keywords: scoiattolo grigio, scoiattolo rosso, Microsporum cookei IZS Umbria e Marche ~ Perugia, IZS delle Venezie ~ Legnaro (PD), [3] DBCA, Università degli Studi ~ Perugia [1] [2] SUMMARY: Eastern grey squirrel is an invasive alien species in Europe. Its introduction is causing a dramatic decline of the native red squirrel. Its presence as well as determines some health threats to the autochthonous species, represents a potential risk for the human health. In Umbria a management plan involving trapping and euthanasia of the grey squirrel is carrying out. In order to evaluate the two Sciurids healthy, a sampling protocol including a mycological survey has been applied. Microsporum cookei, a geophilic dermatophyte, was isolated and identified from red and grey squirrels. Collezione campioni: ad oggi le indagini micologiche sono state condotte su 35 campioni così suddivisi: • 26 da scoiattolo grigio, rappresentati da peli e unghie, raccolti immediatamente dopo l’eutanasia, eseguita tramite inalazione in camera ermetica saturata con CO2. • 9 da scoiattolo rosso, rappresentati solo da peli raccolti durante la fase di procedura di manipolazione in vivo. Il materiale biologico è stato conservato in contenitori di plastica sterili a temperatura ambiente fino al momento della semina. INTRODUZIONE: Lo scoiattolo grigio Sciurus carolinensis Gmelin, 1788 è una specie di origine nord-americana, introdotta e divenuta invasiva in Europa, dove è presente in Inghilterra, Irlanda e Italia. Esso tramite il processo di esclusione competitiva determina la scomparsa della specie autoctona, lo scoiattolo comune europeo (o rosso) Sciurus vulgaris Linnaeus, 1758. Inoltre lo scoiattolo grigio rappresenta una minaccia per l’intera biocenosi forestale e, potenzialmente, anche per talune attività antropiche. In Inghilterra uno dei principali fattori di estinzione e sostituzione della specie autoctona è rappresentato dalla veicolazione da parte della specie aliena del Poxvirus (6); mentre sono, ad oggi, sconosciuti eventuali impatti sanitari sia su altre specie selvatiche che sull’uomo, considerate le abitudini sinantropiche del taxon alloctono. In Umbria, la specie è presente dai primi anni del 2000 nell’area urbana e peri-urbana della città di Perugia e si trova attualmente in una fase di forte espansione sia numerica che spaziale (5). Per tentare di arginarne la diffusione è in atto un Piano di Controllo Regionale che prevede la cattura e la conseguente soppressione eutanasica di individui di scoiattolo grigio. Sulla base dell’attività gestionale, si è avviata una ricerca su entrambi gli sciuridi al fine di valutarne lo stato sanitario e le conseguenti eventuali implicazioni legate alla sanità pubblica. Uno dei campi di indagine è rappresentato dalla ricerca, da campioni di peli ed unghie, di dermatofiti. Per quest’ultimi si è proceduto anche ad identificazione molecolare, tramite sequenziamento, per confermare quanto emerso dall’osservazione macro e microscopica. Ricerca e identificazione dei dermatofitiTecnica morfologica: peli e/o unghie sono stati seminati su terreno colturale Dermasel Agar base addizionato con supplemento selettivo (Cloramfenicolo e Cycloheximide) Oxoid ® e incubati a 25°C in atmosfera normale per 4-6 settimane, procedendo, per le letture delle piastre, come descritto da Lewis et al. (1975) (4). Successivamente le colonie sono state sottoposte ad osservazione macro e microscopica (microscopio ottico 40X, 100X). Tecnica molecolare: il Dna delle colonie è stato estratto da coltura di 10 gg, amplificato mediante primers ITS1/ITS2 e successivamente sequenziato. Il sequenziamento è stato allineato mediante programma Clustal W (7) e le sequenze comparate con quelle presenti nel MycoBank database (http://www.mycobank.org). MATERIALI E METODI: Tra Novembre 2011 e Luglio 2012 sono stati catturati 49 scoiattoli grigi (poi soppressi) e 11 scoiattoli rossi (rilasciati dopo raccolta di campioni biologi e dati biometrici e marcatura individuale) in 4 diverse aree di trappolamento, tutte ricadenti all’interno del Sito di Importanza Comunitaria IT5210021 Monte Malbe (Perugia). Sono state inoltre raccolte 17 carcasse in seguito ad investimenti stradali: 8 individui appartenenti alla specie alloctona e 9 a quella autoctona. Tutti gli esemplari sono stati sottoposti ad indagine necroscopica, durante la quale sono stati effettuati anche i prelievi per le successive indagini di laboratorio. RISULTATI E CONCLUSIONI: 4 campioni, ovvero l’11,4% del totale, sono risultati positivi per Microsporum cookei. Le colonie di questo dermatofita geofilo sono cresciute su Dermasel in un tempo medio di 12 gg (da un minimo di 6 ad un massimo di 24 gg). Esse presentavano la superficie (recto) di colore rosa chiaro e aspetto polveroso e il fondo (verso) caratterizzato da bande concentriche di colore rosso-bruno, tendenzialmente più chiare in periferia. La forma delle colonie è risultata circolare con margini frastagliati. Microscopicamente è stato possibile osservare numerosi macroconidi di forma ellittica, a parete spessa e multisettati (da 3 a 7 setti) (Foto 1 e Foto 2). Il sequenziamento ha mostrato alta similarità con le sequenze di Artroderma cajetani, ovvero la forma teleomorfa di Microsporum cookei confermando dunque l’identificazione morfologica. In nessun caso la presenza del dermatofita era associata a lesioni evidenti della cute. Le 4 positività sono riferibili ad individui trappolati, nello specifico 3 di queste sono state rilevate in Sciurus vulgaris ed una in Sciurus carolinensis. Dal punto di vista spaziale gli individui positivi per il dermatofita si localizzano in due diverse aree di cattura (ciascuna con 2 individui) distanti tra loro circa 2,5 km. Entrambi i siti di trappolamento sono caratterizzati da vegetazione forestale. 219 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 L’identificazione morfologica del dermatofita si è basata sulle seguenti caratteristiche: - velocità di crescita moderata su terreno selettivo che inibisce lo sviluppo di contaminanti; - aspetto macro-microscopico della colonia. L’utilizzo di strumenti diagnostici avanzati, come il sequenziamento, è stato indispensabile per confermare quanto emerso dalle ricerche di laboratorio tradizionali, attribuendo maggior valore scientifico al dato osservato, anche considerando la complessa tassonomia dei taxa in oggetto. Microsporum cookei è stato descritto per la prima volta da Ajello nel 1959 (1) ed isolato in campioni di suolo provenienti da diverse aree degli Stati Uniti d’America. Successivamente la sua presenza è stata osservata a scala globale, sia su campioni di suolo che su specie animali in presenza di lesioni cutanee (2). In Italia Caffara e Scagliarini segnalano il suo primo isolamento sullo scoiattolo grigio nel 1999 (3). Microsporum cookei, nonostante sia un dermatofita geofilo, non di frequente isolamento in corso di affezioni cutanee, tuttavia si ritrova anche sul mantello di specie domestiche e selvatiche (prevalentemente roditori) e può potenzialmente infettare l’uomo ed essere responsabile di forme di Tinea. Considerando la distribuzione di Sciurus carolinensis in Umbria, legata ad ambienti fortemente antropizzati (oltreché naturali e semi-naturali) compresi parchi e giardini, possiamo affermare che l’interfaccia di contatto tra la specie alloctona e l’uomo sia molto ampia. Per tale motivo e per le caratteristiche etologiche dello scoiattolo grigio (adattabile e molto confidente) si ritiene di fondamentale importanza, per la tutela della salute pubblica, continuare ad indagare taluni aspetti sanitari legati alla presenza dello sciuride alloctono. Tra questi, i dermatofiti sembrerebbero rivestire al momento una delle criticità maggiormente significative nel breve e medio periodo. Foto 1. Colonia di M. cookei su Dermasel Agar: verso (a) Foto 1. Colonia di M. cookei su Dermasel Agar: recto (b) 220 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Foto 2. Macroconidi di M. cookei (microscopio ottico, 100x) BIBLIOGRAFIA: 1) Ajello L. - 1959. A new Microsporum and its occurrence on man and animals. Mycologia 1959; 51: 69-76. 2) Badillet G. - 1991. Dermatophyties et Dermatophytes. Atlas Clinique et Biologique, 3rd edn. VARIA, Paris. 1991: 190-191. 3) Caffara M., Scagliarini A. - 1999. Study of diseases of the grey squirrel (Sciurus carolinensis) in Italy. First isolation of the dermatophyte Microsporum cookei. Medical Micology 1999, 37: 75-77. 4) Lewis E., Hoff G.L., Bigler W.J., Jefferies M.B. - 1975. Public health and the urban grey squirrel: micology. Journal of Wildlife diseases, 1975, 11: 502-504. 5) Paoloni D., Minciarelli L., Croce M., Sergiacomi U., Ver- cillo F., Ragni B. - 2012. A contribute to biodiversity: Eastern grey squirrel management approach for the conservation of red squirrel in Umbria (Central Italy). 6) Thomas K., Tompkins D.M., Sainsbury A.W., Wood A.R., Dalziel R., Nettleton P. F., McInnes C.J. - 2003. A novel poxvirus lethal to red squirrels (Sciurus vulgaris). Journal of General Virology 2003, 84: 3337–3341. 7) Thompson J.D., Higgins D.G., Gibson T.J. - 1994. CLUSTAL W: improving the sensitivity of progressive multiple sequence alignment through sequence weighting, position-specific gap penalties and weight matrix choice. Nucleic Acids Research, 1994, Vol. 22, No. 22 :4673-4680. 221 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 OGM: MESSA A PUNTO E VALIDAZIONE DI UN SISTEMA MULTI-SCREENING IN FAST PCR REAL-TIME PER LA RILEVAZIONE DI DIVERSE SPECIE VEGETALI Curcio L.*[1], Pierboni E.[1], Madeo L.[1], Tovo G.[1], Rondini C.[1] Keywords: PCR, FAST, MULTI-SCREENING Istituto Zooprofilatico Sperimentale dell’ Umbria e delle Marche ~ Perugia [1] SUMMARY: The official laboratories verify compliance with labelling legislation of EU and Italian laws. A multi-screening system detects any possible unauthorized transgenic feeds and foods. In this paper we show setting up and application of Fast Real-Time PCR, tested on GM soya, maize, rice and potato certified reference materials, on a multi-screening system that detects 5 targets: P35S, PAT, NPTII, CP4-EPSPS and CTP2-CP4EPSPS. This analytical method providing a powerful analytical tool for cost but especially for time reduction: only 30 minutes vs. 1 hour and 30 minutes. INTRODUZIONE: Per effettuare i controlli necessari alla rilevazione di un qualunque elemento transgenico in mangimi ed alimenti, i laboratori hanno la necessità di ricorrere ad un sistema rapido che consenta la messa in evidenza di OGM sia autorizzati dalla legislazione vigente che non autorizzati. Un metodo di multi-screening consente di rilevare contemporaneamente da differenti specie vegetali (quali mais, soia, riso, patata, ecc.) diversi OGM. Il sistema presenta altri vantaggi: restringe il campo di indagine nel processo analitico, riduce ulteriormente i costi, ma soprattutto abbrevia i tempi di risposta dato che l’analisi in Fast PCR Real Time ha una durata di 30 minuti. Il Laboratorio ha messo a punto e validato in Fast PCR Real Time questo metodo con cinque bersagli: promotore 35S del virus del mosaico del cavolfiore (P35S), terminatore NOS del gene nopalina sintasi di Agrobacterium tumefaciens (T-NOS), gene pat, derivato da Streptomyces viridochromogenes (PAT), gene nptII, derivato da Escherichia coli (NPTII), gene cp4-epsps derivato dal ceppo CP4 di Agrobacterium tumefaciens (CP4-EPSPS) ed infine il costrutto ctp-cp4epsps, derivato dalla congiunzione della sequenza codificante per il peptide segnale CTP (chloroplast transit peptide), derivato da Arabidopsis thaliana e la sequenza epsps derivata dal ceppo CP4 di Agrobacterium tumefaciens (CTP2-CP4EPSPS) (1,7,8). In particolare, in fase di messa a punto per il costrutto CTP2-CP4EPSPS sono stati presi in esame dei primers e delle sonde in bibliografia affinchè non inficiassero il risultato con dei falsi negativi per il peptide di transito dei cloroplasti (2). MATERIALI E METODI: MATERIALI DI RIFERIMENTO CERTIFICATI (MRC): farine di soia contenenti diverse percentuali di soia GM RR (ERM) e farina GM MON89788 (AOCS), infine DNA di soia GM A2704-12 (AOCS); farine di mais contenenti varie percentuali di mais MON810, Bt176, GA21, MON863, DAS1507, NK603, MIR604, DAS59122 (ERM) e DNA di mais GM T25 (AOCS); farine di patata EH92-527-1 (ERM); ed infine DNA di riso GM LL62 (AOCS). ESTRAZIONE DAI MRC: l’estrazione del DNA dalle farine di soia e mais è stata eseguita con metodica CTAB e purificazione mediante kit commerciale QIAamp DNA Mini Kit (Qiagen), mentre per l’estrazione dalla farina di patata si è adoperato un metodo interno con kit commerciale DNeasy mericon Food (Qiagen). Il DNA estratto è stato quantificato fotometricamente (3). L’assenza di inibitori di PCR è stata testata tramite “Fast Monitor Run” ovvero una PCR taxonspecifica eseguita sul DNA tal quale e sul diluito 1:4. OLIGONUCLEOTIDI (PRIMER) E SONDE (PROBE): le sequenze per la rilevazione del target P35S sono state testate quelle del metodo normato (5); mentre, per i costrutti specifici PAT, NPTII, CP4-EPSPS si riferiscono a quelle testate nel corso della Ricerca Corrente** (1,7). Per la rilevazione del costrutto CTP2-CP4EPSPS sono stati messi a confronto quelli utilizzati nella R.C./2007 con delle sequenze oggetto di uno studio scientifico (2). MESSA A PUNTO METODO: l’ottimizzazione della concentrazione dei primers si è ottenuta testando tre diverse concentrazioni di primers combinate tra loro, ogni combinazione è stata verificata in quadruplice copia; la combinazione migliore è stata individuata in base al Ct più basso, un basso scarto tipo ed un alto ∆Rn. L’ottimizzazione della concentrazione della probe si è ottenuta testando in quadruplice copia 6 diverse concentrazioni crescenti (50nM, 100nM, 150nM, 200nM, 250nM, 300nM). METODI FAST PCR REAL-TIME: tutte le prove sono state ottimizzate su piattaforma Applied Biosystems ABI 7900HT, utilizzando una concentrazione finale di 1x TaqMan® Universal FAST PCR Master Mix in un volume di 20 µL e adottando il seguente profilo di amplificazione: stage 1 a 95°C per 20 secondi, stage 2 composto dal primo step a 95°C per 1 secondo e dal secondo step a 60°C per 20 secondi, ripetuto per 40 cicli (4). VALIDAZIONE IN PCR REAL-TIME: per la validazione del metodo qualitativo si è calcolato il LOD ed è stata testata la sensibilità, la specificità e la robustezza (6). LOD: sono state allestite 8 diluizioni a numero di copie decrescenti di DNA bersaglio di MRC ad alta percentuale transgenica. Per ciascuna diluizione sono stati saggiati 10 replicati in modalità Standard PCR Real-time, l’esperimento è stato ripetuto due volte per un totale di 20 dati sperimentali. SENSIBILITÀ E SPECIFICITÀ: sono stati testati per ogni metodo 10 campioni contenenti il DNA bersaglio e 10 campioni non contenenti il DNA bersaglio, scelti tra i MRC. ROBUSTEZZA: è stata allestita la stessa prova su MRC per ogni target da validare sia su ABI 7900HT che StepOne Plus PCR Real-time. RISULTATI E CONCLUSIONI: Il costrutto genico CTP2CP4EPSPS è stato ottimizzato con entrambe le sequenze nucleotidiche a disposizione. I primers e la probe utilizzati nella R.C./2007 hanno dato origine a falsi negativi. In particolare, non sono in grado di amplificare il bersaglio nel mais GM NK603. Il problema non si presenta con gli oligonucleotidi e la sonda dello studio di Grhomann L. et al. (1) ottimizzati come descritto nella messa a punto del metodo. Per ogni singolo elemento genetico sono state definite la concentrazione ottimale dei primers e della sonda come riportato nella tabella 1. 222 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tabella 1. Risultati dell’ottimizzazione dei primers e della probe. Si è proceduto così alla validazione per l’esecuzione di prove qualitative. La tabella 2 riporta il numero di copie genomiche del LOD, in relazione ad ogni singolo evento. Tabella 2. LOD ottenuti per ogni singolo evento genetico. Nella prova di verifica dei parametri di specificità e sensibilità, si sono riscontrati amplificati in MRC che avrebbero dovuto dare esito negativo al target testato. È stata evidenziata la presenza della specie vegetale soia nei seguenti mais GM: MON810, GA21 e DAS1507. Tuttavia, avendo questi MRC mostrato Ct >40 sono considerati non rilevati. Nella verifica della soia GM MON89788 si è riscontrata una contaminazione per il P 35S e CP4-EPSPS, che dalla tipizzazione ha dato esito positivo per soia GM RR. Terminate le prove di verifica della contaminazione, la sensibilità e la specificità sono risultate del 100% per ogni me- todo. Dalle prove di robustezza, il risultato ottenuto su entrambe le apparecchiature non ha mai superato il criterio di accettabilità. Attualmente, grazie al sistema multi-screening, il Laboratorio è in grado di identificare ed orientare verso la successiva tipizzazione, gli eventi GM riportati in tabella 3. L’innovazione nei confronti di una PCR Real-Time standard risiede maggiormente nella tempistica della reazione, dato che avviene in circa 30 minuti contro circa 1ora e 30 minuti. Per il futuro si vorrebbe proporre la metodica validata all’accreditamento ed aumentare il numero dei target. Tabella 3. Combinazioni positività al multi-screening. 223 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1) Alexander TW, et al. J. of Biotechnology 112:255-266 (2004). “Use of quantitative real time and conventional PCR to assess the stability of the cp4 epsps transgene from Roundup Ready® canola in the intestinal, ruminal, and fecal contents of sheep” 2) Grhomann L. et al. J Agric Food Chem. 57:8913-8920 (2009). “Collaborative trial validation studies of real-time PCR based GMO screening methods for detection of the bar gene and the ctp2-cp4epsps construct”. 3) ISO 21571:2005 (Annex A.3 e B.1). 4) Real-Time PCR Systems, Applied Biosystems 7900HT Fast Real-Time PCR System and 733/7500 Real-Time PCR Systems “Chemistry Guide”. 5) UNI EN ISO 21570:2006 (Annex B.1). 6) Verification of analytical methods for GMO testing when complementing interlaboratory validated methods, ENGL 2011 (ISBN 978-92-79-19925-7). 7) Waiblinger H.U. et al. Anal Bioanal Chem (2009). “A pratical approach to screen for authorised and unauthorised genetically modified plants”. 8) Waiblinger H.U. et al.- Eur Food Res Technol. 226:12211228 (2008). “Validation and collaborative study of a P35S and T-nos duplex real-time PCR screening method to detect genetically modified organisms in food products”. * Ricerca Corrente MINSAL IZSUM 2010 - Ampliamento ed evoluzione della filiera analitica relativa agli OGM: messa a punto e validazione di prove in Fast PCR Real-Time per la rilevazione e la quantificazione di organismi transgenici non ancora e/o recentemente approvati in Europa. ** Ricerca Corrente MINSAL IZSLT (CROGM) 2007 –– Sviluppo ed applicazione di sistemi analitici per l’analisi del rischio e per il controllo ufficiale degli OGM. 224 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 OGM: STUDIO DEI COSTRUTTI T-NOS E CTP2-CP4EPSPS NELLA MESSA A PUNTO E VALIDAZIONE DI UN SISTEMA PCR REAL TIME MULTI-SCREENING Curcio L.*[1], Pierboni E.[1], Madeo L.[1], Tovo G.[1], Rondini C.[1] Keywords: PCR, GMO, MULTI-SCREENING Istituto Zooprofilatico Sperimentale dell’ Umbria e delle Marche ~ Perugia [1] SUMMARY: Detection any possible unauthorized transgenic feeds and foods is the mission of the official laboratories that verify compliance with labelling legislation of Italy. In this paper we show setting up and application of Real-Time PCR, tested on GM soya, maize, rice and potato certified reference materials, on a multi-screening system that detects 6 targets: P35S, T-NOS, PAT, NPTII, CP4-EPSPS and CTP2CP4EPSPS. It is very important method to identify unauthorized GMOs whereas the lack of event-specific methods and reference materials. INTRODUZIONE: Per effettuare i controlli necessari alla rilevazione di OGM in mangimi ed alimenti, i laboratori hanno la necessità di ricorrere ad un sistema che consenta la rapida messa in evidenza di qualunque elemento transgenico, sia presente tra gli OGM autorizzati dalla legislazione vigente che tra i non autorizzati. Il metodo multi-screening consente di rilevare contemporaneamente da differenti specie vegetali (quali mais, soia, riso, patata, ecc.) diversi OGM. Il sistema presenta altri vantaggi: restringe il campo di indagine nel processo analitico e riduce ulteriormente i costi ed i tempi di risposta. Tale metodo, nel corso della R.C./2007** è stato messo a punto e validato in PCR Real Time con sei target: promotore 35S del virus del mosaico del cavolfiore (P35S), terminatore NOS del gene nopalina sintasi di Agrobacterium tumefaciens (T-NOS), gene pat, derivato da Streptomyces viridochromogenes (PAT), gene nptII, derivato da Escherichia coli (NPTII), gene cp4-epsps derivato dal ceppo CP4 di Agrobacterium tumefaciens (CP4-EPSPS) ed infine il costrutto ctp-cp4epsps, derivato dalla congiunzione della sequenza codificante per il peptide segnale CTP (chloroplast transit peptide), derivato da Arabidopsis thaliana e la sequenza epsps derivata dal ceppo CP4 di Agrobacterium tumefaciens (CTP2-CP4EPSPS) (1,2,7,8). In fase di messa a punto, per gli elementi genetici T-NOS e CTP2-CP4EPSPS sono state prese in esame sequenze differenti di primers e sonde (1,2,7,8) che permettessero di ottenere un metodo uniforme, nel caso del gene terminatore nopalina sintasi, e che non inficiassero il risultato con dei falsi negativi per il peptide di transito dei cloroplasti. MATERIALI E METODI: MATERIALI DI RIFERIMENTO CERTIFICATI (MRC): farine di soia contenenti diverse percentuali di soia GM MON-40-3-2 (ERM), farina GM MON89788 e DNA di soia GM A2704-12 (AOCS); farine di mais contenenti varie percentuali di mais MON810, Bt176, GA21, MON863, DAS1507, NK603, MIR604, DAS59122 (ERM) e DNA di mais GM T25 (AOCS); farine di patata EH92-527-1 (ERM); ed infine DNA di riso GM LL62 (AOCS). ESTRAZIONE DAI MRC: l’estrazione del DNA dalle farine di soia e mais è stata eseguita con metodica CTAB e purificazione mediante kit commerciale QIAamp DNA Mini Kit (Qiagen), mentre per l’estrazione dalla farina di patata si è adoperato un metodo interno con kit commerciale DNeasy mericon Food (Qiagen). Il DNA estratto è stato quantificato fotometricamente (3); l’assenza di inibitori di PCR è stata testata tramite “Fast Monitor Run”, ovvero una PCR taxon-specifica eseguita sul DNA tal quale e sul diluito 1:4. OLIGONUCLEOTIDI (PRIMER) E SONDE (PROBE): per la rilevazione del target P35S sono state utilizzate le sequenze citate nel metodo normato (5), mentre, per il PAT, NPTII, CP4-EPSPS si riferivano a quelle testate nel corso della R.C./2007** (1,7). Per i geni T-NOS e CTP2-CP4EPSPS le sequenze utilizzate nel corso della R.C./2007** (1,7) sono state messe a confronto con delle altre oggetto di studio in due differenti pubblicazioni scientifiche (2,8). MESSA A PUNTO METODO: l’ottimizzazione della concentrazione dei primers si è ottenuta testando 3 diverse concentrazioni di primers combinate tra loro, ogni combinazione è stata verificata in quadruplice copia; la combinazione migliore è stata individuata in base al Ct più basso, un basso scarto tipo ed un alto ∆Rn. L’ottimizzazione della concentrazione della probe si è ottenuta testando in quadruplice copia 6 diverse concentrazioni crescenti (50nM,100nM,150nM,200nM, 250nM,300nM). METODI PCR REAL-TIME: tutte le prove sono state ottimizzate su piattaforma Applied Biosystems ABI 7900HT, utilizzando una concentrazione 1x di TaqMan® Universal PCR Master Mix in un volume finale di 20 µL. Il profilo di amplificazione adottato è: stage 1 a 50°C per 2 minuti, stage 2 a 95°C per 10, stage 3 composto da uno step a 95°C di 15 secondi ed un secondo step a 60°C per 1 minuto, ripetuto per 50 cicli (4). VALIDAZIONE IN PCR REAL-TIME: per la validazione del metodo qualitativo si è calcolato il LOD ed è stata testata la sensibilità, la specificità e la robustezza (6). LOD: sono state allestite 8 diluizioni a numero di copie decrescenti di DNA bersaglio di MRC ad alta percentuale transgenica. Per ciascuna diluizione sono stati saggiati 10 replicati in modalità Standard PCR Real-time, l’esperimento è stato ripetuto due volte per un totale di 20 dati sperimentali. SENSIBILITÀ E SPECIFICITÀ: sono stati testati per ogni metodo 10 campioni contenenti il DNA bersaglio e 10 campioni non contenenti il DNA bersaglio, scelti tra i MRC. ROBUSTEZZA: è stata allestita la stessa prova su MRC per ogni target da validare sia su ABI 7900HT che StepOne Plus PCR Real-time. RISULTATI E CONCLUSIONI: Il sistema T-NOS della R.C./2007** si differenziava nell’allestimento dagli altri bersagli, pertanto per uniformare le modalità operative, si sono stati testati i primers e la sonda dello studio di Waiblinger H.U, et al. (8) con una variazione: 5 concentrazioni diverse combinate tra loro da 600nM a 1000nM, per un totale di 22 combinazioni, lasciando inalterate le modalità di preparazione. Tutte sono state amplificate. Il costrutto genico CTP2-CP4EPSPS della R.C./2007** nella 225 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 prova di specificità e sensibilità, ha dato origine a falsi negativi. In particolare, non viene amplificato il bersaglio nel mais GM NK603. Il problema non si presenta con i primers e la sonda dello studio di Grhomann L. et al. (2) ottimizzati come descritto nella messa a punto del metodo. Per ogni singolo elemento genetico è stata definita la concentrazione ottimale dei primers e della sonda (Tab. 1). La tabella 2 riporta il numero di copie genomiche del LOD per ogni singolo target. Tabella 3. Combinazioni positività al multi-screening. Tabella 1. Risultati dell’ottimizzazione dei primer e della probe. Tabella 2. LOD ottenuti per ogni singolo costrutto e media Ct. Nella prova di verifica dei parametri di specificità e sensibilità, si sono riscontrati amplificati in MRC che avrebbero dovuto dare esito negativo al target testato. È stata evidenziata la presenza della specie vegetale soia nei seguenti mais GM: MON810, GA21 e DAS1507. Tuttavia, avendo questi MRC mostrato Ct >40 sono considerati non rilevati. Nella verifica della soia GM MON89788 si è riscontrata una contaminazione per il P 35S, T-NOS e CP4-EPSPS, che dalla tipizzazione ha dato esito positivo per soia GM MON 40-3-2. Terminate le prove di contaminazione, la sensibilità e la specificità sono risultate del 100% per ogni metodo. Dalle prove di robustezza, il risultato ottenuto non ha mai superato il criterio di accettabilità. Grazie al sistema multi-screening, si è in grado di identificare ed orientare verso la successiva tipizzazione, gli eventi GM riportati in tabella 3. Nell’immediato futuro l’obiettivo principale del Laboratorio è proporre la metodica validata all’accreditamento; in seguito riuscire a validare la stessa in modalità Fast, non solo per tutti i sei target oggetto di questo studio, ma contestualmente di riuscire ad inserirne altri. BIBLIOGRAFIA: 1) Alexander TW, et al. J. of Biot 112:255-266 (2004). “Use of quantitative real time and conventional PCR to assess the stability of the cp4 epsps transgene from Roundup Ready® canola in the intestinal, ruminal, and fecal contents of sheep” 2) Grhomann L. et al. J Agric Food Chem. 57:8913-8920 (2009). “Collaborative trial validation studies of real-time PCR based GMO screening methods for detection of the bar gene and the ctp2-cp4epsps construct”. 3) ISO 21571:2005. 4) Real-Time PCR Systems, Applied Biosystems 7900HT Fast Real-Time PCR System and 733/7500 Real-Time PCR Systems “Chemistry Guide”. 5) UNI EN ISO 21570:2006. 6) Verification of analytical methods for GMO testing when complementing interlaboratory validated methods, ENGL 2011 (ISBN 978-92-79-19925-7). 7) Waiblinger H.U. et al. Anal Bioanal Chem (2009). “A pratical approach to screen for authorised and unauthorised genetically modified plants”. 8) Waiblinger H.U. et al.- Eur Food Res Technol. 226:12211228 (2008). “Validation and collaborative study of a P35S and T-nos duplex real-time PCR screening method to detect genetically modified organisms in food products”. * Ricerca Corrente MINSAL IZSUM 2010 - Ampliamento ed evoluzione della filiera analitica relativa agli OGM: messa a punto e validazione di prove in Fast PCR Real-Time per la rilevazione e la quantificazione di organismi transgenici non ancora e/o recentemente approvati in Europa. ** Ricerca Corrente MINSAL IZSLT (CROGM) 2007 –– Sviluppo ed applicazione di sistemi analitici per l’analisi del rischio e per il controllo ufficiale degli OGM. 226 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 STUDIO DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN TOPI VACCINATI CON BRUCELLA MELITENSIS REV1: PARTE 1 – APPROFONDIMENTI SULLA RISPOSTA INNATA Curina G.[1], Montagnoli C.[2], Paternesi B.[1], Severi G.[1], Forti K.[1], Rizzo G.[1], Cagiola M.*[1] Keywords: Brucella melitensis REV1, Flow Cytometric, Innate immune response Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia, [2] Università degli Studi di Perugia ~ Perugia [1] SUMMARY: Sheep brucellosis, a zoonosis mainly due to Brucella melitensis (biovar 1, 2 or 3), remains widespread world-wide. It is responsible for genital disorders and abortions in sheep and also a source of significant economic losses. The aim of this first part of the study was to investigate the innate immune response induced in mouse Balb-c vaccinated with a live B. melitensis REV1 vaccine produced in bioreactor (1) in order to develop innovative vaccine and diagnostic test DIVA. INTRODUZIONE: Le malattie provocate da Brucella hanno una notevole importanza sia dal punto di vista sanitario, in quanto causano zoonosi, sia da un punto di vista economico, a seguito dei frequenti aborti ed infertilità che provocano nei piccoli ruminanti. Nelle zone endemiche dei paesi del Mediterraneo, la profilassi immunitaria con vaccino vivo attenuato REV1 risulta ancora oggi l’unico strumento valido per controllare l’infezione negli ovini e caprini. L’unico risvolto negativo nell’impiego di tale presidio immunizzante è che induce una produzione di anticorpi non facilmente distinguibili, con test impiegati routinariamente nei laboratori, da quelli prodotti dagli animali infetti. Questo è infatti il motivo principale che limita l’utilizzo del vaccino REV1 nei paesi in cui sono in corso piani di eradicazione basati su test sierologici e sull’abbattimento degli animali ad essi risultati positivi. Scopo di questa prima parte della nostra indagine è stato approfondire, mediante la tecnica citofluorimetrica, le conoscenze in merito all’interazione tra tale agente microbico e le cellule immunitarie, al fine di sviluppare nuovi presidi immunizzanti e test diagnostici DIVA (Differentiating Infected from Vaccinated Animals). MATERIALI E METODI: Animali e modello sperimentale Sono stati utilizzati 80 topi Balb-c femmina (20-30 gr) di 6 settimane di età, suddivisi in 4 gruppi, ciascuno composto da 20 animali di cui n° 5 animali infettati per via intraperitoneale con 1*106 C.F.U. (2) e n° 3 animali usati come controllo (inoculati con 0,5 ml di S.F). Gli animali sono stati abbattuti a 24h(1), 48h(2), 72h(3) e 7(4), 14(5), 21(6), 30(7), 60(8), 90(8), 120(9) giorni dopo l’inoculazione sperimentale (DPI) del vaccino. Allestimento vaccino REV1 Il ceppo batterico impiegato per l’allestimento del vaccino è stato fornito dall’INRA, Nouzilly. I batteri sono stati risospesi in PBS (pH 6.8) e coltivati in Trypticase Soy Agar supplementati con 0,5%(v/v) di siero equino sterile. La coltura vaccinale è stata ottenuta su 20 litri di terreno liquido in fermentatore impiegando la tecnica del U.S. Department of Agriculture (1). Preparazione campioni per analisi citofluorimetrica Le diverse popolazioni cellulari ottenute da ogni campione di milza sono state poste ad incubare a temperatura controllata (+ 4°C), alla concentrazione di 1*106 cellule, con anticorpi monoclonali primari PE anti-mouse F4/80-Pan Macrophage marker (eBioscience), PE anti-mouse N.K. 1.1 (eBioscience), primari PE anti-mouse CD11c (Serotec) come marcatore delle cellule dendritiche; (PE-Cy5) anti-mouse CD62L (eBioscience) come marcatore della selectina 62L; FITC rat anti-mouse CD80 (Serotec) come marcatore della molecola costimolatoria B7-1; PECy5 Anti-mouse CD86 (eBioscience) come marcatore della molecola costimolatoria B7-2. Analisi in citometria a flusso I campioni allestiti sono stati processati usando lo strumento FACSCalibur (BD), equipaggiato con un laser BLUE 488 nm. Il settaggio dello strumento è stato ottimizzato utilizzando le CALIBRITErmTM 3 (BD Biosciences). I dati fluorimetrici sono stati analizzati utilizzando il software CellQuest Pro (Becton Dickinson Immunocytometry Systems) e Kaluza 1.1 Beckman Coulter. La distinzione delle diverse popolazioni cellulari è stata effettuata attraverso l’analisi morfologica utilizzando i parametri di Forward e Scatter caratteristici. RISULTATI E CONCLUSIONI: I dati ottenuti dallo studio fenotipico delle popolazioni cellulari coinvolte nella risposta immunitaria innata hanno evidenziato un netto aumento nel tempo dei macrofagi (f4/80) a partire dalle 48 ore dopo la vaccinazione (Fig. 1B). Infatti, si assiste non solo ad una loro espansione clonale ma anche ad una attivazione, questo in relazione alla loro funzione di cellule presentanti l’antigene (APC). La massima variazione percentuale si ha a 14 DPI (Fig. 1A) mentre la massima attivazione si ha tra 24 e 48 ore dopo la vaccinazione (Fig. 1B). Il ruolo svolto dall’immunità aspecifica nel corso dell’infezione è stato evidenziato anche dall’espansione clonale delle cellule Natural Killer a 48h dopo la vaccinazione raggiungendo il picco massimo a 72 ore (Fig. 2). I dati ottenuti dall’analisi delle cellule dendritiche, (MHCII/ CD11c) che svolgono anche esse un importante ruolo nella presentazione degli antigeni ai linfociti T, sono stati illustrati in Fig. 3A. Tali cellule vanno incontro ad un’espansione clonale nei primi 21 giorni per tornare gradualmente ai livelli basali 90 giorni dopo la vaccinazione. I dati relativi all’intensità di fluorescenza dimostrano anche una loro attivazione proprio in concomitanza della loro espansione (Fig. 3B). Un altro marcatore molto importante studiato è stato la L-selectina (CD62L), una proteina di superficie utilizzata dai linfociti T naïve per migrare verso i siti d’infezione (Fig. 4). Analizzando i dati, si assiste ad una sua attivazione già nei primi giorni dopo la vaccinazione, dimostrando un ruolo fondamentale nell’attivazione e nel reclutamento degli stessi. La proliferazione e la differenziazione dei linfociti T naïve è stata evidenziata mediante lo studio delle molecole espresse dalle APC, come il B7-1 (CD80) e il B7-2 (CD86) che legandosi al CD28 trasmettono all’interno dei linfociti T un segnale che amplifica la sopravvivenza, la produzione di citochine e la differenziazione dei linfociti T naïve in linfociti effettori e di memoria. Dall’analisi dei dati si evince che la percentuale di cellule che esprimono il recettore B7-1 e B7-2 è significativamente aumentata già 2 giorni dopo la vaccinazione (Fig. 5A e B). 227 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Dall’analisi dei dati ottenuti nel presente lavoro, è emerso che il vaccino REV1 allestito nel nostro laboratorio, espleta una stimolazione di tutte le cellule immunocompetenti coinvolte nella risposta immunitaria innata. Infatti, è stata dimostrata l’attivazione dei macrofagi (Fig. 1A e B) e delle NK (Fig. 2) con il loro aumento soprattutto nelle prime fasi della vaccinazione. Quest’ultime, producendo una citochina (IFN-gamma), stimolano ulteriormente l’attivazione dei macrofagi, garantendo una prima importante difesa, in attesa di uno sviluppo della risposta immunitaria specifica (2). Inoltre è stata dimostrata la capacità da parte dei macrofagi attivati di secernere importanti citochine in grado di attivare le cellule endoteliali a secernere selectine (Fig. 4), ligandi delle integrine e chemochine (3, 4). Relativamente ai linfociti T e B naïve la loro attivazione è stata dimostrata mediante la presenza di molecole definite costimolatorie. Tali molecole, sono rappresentate da una coppia di proteine tra loro correlate, denominate B7-1 (CD80) e B7-2 (CD86) espresse sulle cellule dendritiche e sui macrofagi attivati. Analizzando i grafici relativi ai marcatori CD80 e CD86 (Fig. 5A e B) si è visto proprio come queste due molecole siano presenti sulle APC già dalle primissime ore dopo la vaccinazione rimarcando la loro funzione di cellule attivanti i linfociti. I dati ottenuti da questa preliminare indagine possono rappresentare le basi per studi più approfonditi al fine di sviluppare presidi immunizzanti innovativi da impiegare contro la brucellosi ovi-caprina. Fig.1: Variazione nel tempo della popolazione dei macrofagi f4/80+ (A) e cinetica dei macrofagi (f4/80) (B) 228 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Fig.2: Cinetica delle NK Fig. 3: Cinetica delle cellule dendritiche APC (A) e cinetica di attivazione delle cellule presentanti l’antigene (B) Fig. 4: Cinetica della L- selectina (CD62L) 229 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Fig. 5: Variazione nel tempo dell’espressione del CD80 (A) e variazione nel tempo dell’espressione del CD86 (B) BIBLIOGRAFIA: 1. G.G. Alton, L.M. Jones, R.B. Angus, J.M. Verger “ Techniques for brucellosis laboratory “ 1988 INRA, Paris. 2. Chrysanthi Paranavitana, Elzbieta Zelazowska, Mina Izadjoo, David Hoover - Interferon-g associated cytokines and chemokines produced by spleen cells from Brucella-immune mice. Cytokine 30 (2005) 86-92. 3. Lapaque N, Moriyon I, Moreno E, Gorvel JP: Brucella lipolysaccharide acts as a virulence factor.Current Opinion in Microbiology 2005,8:60-66. 4. B. Raupach, S. HE Kaufmann “Immune responses to intracellular bacteria” 2001, Current Opinion Immunology, 13, 417-428 230 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 STUDIO DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN TOPI VACCINATI CON BRUCELLA MELITENSIS REV1: PARTE 2 – APPROFONDIMENTI SULLA RISPOSTA ACQUISITA Curina G.[1], Montagnoli C.[2], Paternesi B.[1], Severi G.[1], Forti K.[1], Rizzo G.[1], Cagiola M.*[1] Keywords: Brucella melitensis REV1, Flow cytometric, cellular specific immune response Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia, [2] Università degli Studi di Perugia ~ Perugia [1] SUMMARY: The live Brucella melitensis REV1 strain is currently considered as the best vaccine available for the control of sheep and goats brucellosis, especially when used at the standard dose. In a previous study we investigate about innate immune response induced in mice balb-c vaccinated with a live B. melitensis REV1 vaccine produced in bioreactor. In this second part of the study we investigated the cellular specific immune response induced in mice Balb-c vaccinated with REV1 strain. This further investigation was carried out as improvement of the previous study showed in the first part. INTRODUZIONE: La brucellosi rappresenta, ad oggi, una delle più importanti malattie sia per il carattere zoonosico che per gli aspetti economici. Nel precedente lavoro sono stati valutati gli aspetti relativi alla risposta immunitaria innata in topi vaccinati con il REV1. Scopo del presente studio, è invece quello di indagare in merito alla risposta immunitaria acquisita, restando valide tutte le considerazioni presenti nell’introduzione del precedente lavoro. MATERIALI E METODI: Animali e modello sperimentale Sono stati utilizzati 80 topi Balb-c femmina (20-30 gr) di 6 settimane di età, suddivisi in 4 gruppi, ciascuno composto da 20 animali di cui n° 5 animali infettati per via intraperitoneale con 1*106 C.F.U. (2) e n° 3 animali usati come controllo (inoculati con 0,5 ml di S.F). Gli animali sono stati abbattuti a 24h(1), 48h(2), 72h(3) e 7(4), 14(5), 21(6), 30(7), 60(8), 90(8), 120(9) giorni dopo l’inoculazione sperimentale (DPI) del vaccino. Allestimento vaccino REV1 Il ceppo batterico impiegato per l’allestimento del vaccino è stato fornito dall’INRA, Nouzilly. I batteri sono stati risospesi in PBS (pH 6.8) e coltivati in Trypticase Soy Agar supplementati con 0,5 (v/v) di siero equino sterile. La coltura vaccinale è stata ottenuta su 20 litri di terreno liquido in fermentatore impiegando la tecnica del U.S. Department of Agriculture (1). Preparazione campioni per analisi citofluorimetrica Le diverse popolazioni cellulari ottenute da ogni campione di milza, sono state poste ad incubare a temperatura controllata (+ 4°C), alla concentrazione di 1*106 cellule, con anticorpi monoclonali primari PE anti-mouse CD152 (CTLA4) (eBioscience) come marcatore dei linfociti CD4+ e CD8+ recentemente attivati; FITC anti-mouse CD45RB (BD Pharmingen) come marcatore delle cellule della memoria; PE rat anti-mouse CD45RA (BD Pharmingen) come marcatore delle cellule naïve; PE anti-mouse/human CD45R (eBioscience) come marcatore dei linfociti B; anti-mouse Foxp3 (eBioscience) come marcatore del fattore di trascrizione espresso dai linfociti T regolatori. Analisi in citometria a flusso I campioni allestiti sono stati processati usando lo strumento FACSCalibur (BD), equipaggiato con un laser BLUE 488 nm. RISULTATI E CONCLUSIONI: I dati ottenuti relativi ai CD3 sono illustrati in Fig. 1A. E’ stata riscontrata un’attivazione in graduale aumento già dai primi giorni dopo la vaccinazione per poi avere un picco massimo a 21 giorni. Dal trentesimo giorno si assiste ad un ritorno verso valori del gruppo di controllo. E’ stata rilevata la stimolazione dei linfociti naïve CD3+ e la loro differenziazione in CD4+CD8- e CD4-CD8+. I linfociti CD4+ hanno mostrato un’attivazione progressiva fino a 7 DPI per poi rimanere costanti per tutta la durata della prova. Invece i linfociti CD8+ hanno mostrato un andamento fluttuante nel tempo (Fig. 1B). Analizzando i dati ottenuti dai linfociti T della memoria (Fig. 2) si evince chiaramente che il vaccino sviluppa memoria immunologica già dal 7° giorno e si mantiene attiva almeno fino a tre mesi. Questo è dimostrato dal fatto che si assiste ad un aumento esponenziale del recettore CD45RB, presente sulle cellule T di memoria, a discapito di una diminuzione progressiva dell’attivazione del recettore CD45RA, marcatore dei linfociti T naïve. Infine, l’analisi del marcatore CD45R, caratteristico dei linfociti B, ha messo in evidenza un loro aumento esponenziale a partire dal 2° giorno, a conferma del coinvolgimento della risposta immunitaria umorale nel processo infettivo (Fig. 3). Relativamente ai linfociti T regolatori è stata valutata l’attivazione del recettore Cytotoxic T-Lymphocyte Antigen 4 (CTLA-4 o CD152), espresso sui linfociti T CD4+ e CD8+ recentemente attivati, la cui funzione è quella di inibire l’attivazione della risposta T. Analizzando i dati ottenuti sull’espressione del CTLA-4 si nota come questo recettore inizia ad attivarsi al 7° giorno con un picco massimo 21 giorni dopo la vaccinazione (Fig. 4). Analizzando i dati, si assiste ad una quasi totale mancanza delle cellule regolatorie nelle fasi iniziali della vaccinazione. Solo dopo 28 giorni dall’inoculo del vaccino, si assiste ad un aumento importante nel numero dei linfociti T regolatori (Fig. 5A). Al fine di valutare la risposta delle cellule T regolatorie alla vaccinazione con REV1, è stato analizzato il FoxP3 (forkhead box P3), un fattore trascrizionale molto importante per la loro attivazione. Un incremento statisticamente significativo di tali cellule CD4+/CD25+/FoxP3+ è stato osservato 90 giorni dopo la vaccinazione (Fig. 5B). Dallo studio fenotipico delle cellule coinvolte nella risposta immunitaria al vaccino REV1, prodotto in bioreattore, è emerso un coinvolgimento delle cellule sia “innate” (vedi lavoro parte 1) che “adaptive”. Durante la sperimentazione non si 231 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 è registrata una variazione percentuale dei linfociti T CD3+ statisticamente significativa (dati non mostrati). Da un punto di vista dell’attivazione si assiste, invece, ad un graduale aumento già dalle prime ore dopo la vaccinazione (Fig. 1A). La popolazione linfocitaria CD4+ ha mantenuto valori piuttosto elevati per tutta la durata dell’esperimento, dimostrando un ruolo chiave nella protezione da B. melitensis ceppo REV1. Le cellule CD8+, invece, hanno presentato una partecipazione discontinua nella risposta immunitaria (Fig. 1B). L’andamento altalenante riscontrato in quest’ultima popolazione è stato forse determinato dal fatto che il ceppo variante S stimola prevalentemente una risposta di tipo Th1. Inoltre, sono stati valutati i linfociti T della memoria per verificare se il vaccino fosse in grado di sviluppare memoria immunologica, caratteristica essenziale per la protezione conferita dalla vaccinazione. Nel presente lavoro è stata evidenziata la comparsa di tali cellule. Infatti, i linfociti T con recettore CD45RB hanno mostrato un aumento esponenziale a par- tire da 7 giorni dalla vaccinazione, mantenendosi su valori alti per tutto il periodo dell’esperimento a discapito di una diminuzione progressiva del recettore CD45RA, marcatore dei linfociti T naïve (Fig. 2). Infine l’aumento esponenziale dei linfociti B (CD45R) conferma il loro coinvolgimento nelle fasi tardive della risposta immunitaria alla vaccinazione. A motivo di quanto sopra riportato risulta quanto mai importante programmare ulteriori esperimenti che permettano di studiare ed indagare il comportamento di tali cellule nel lungo periodo. I dati ottenuti da questo studio preliminare nel modello murino, impiegando la tecnica citofluorimetrica, hanno confermato e chiarito i meccanismi che si attivano nella risposta immunitaria cellulare ed umorale (4,5) a seguito dell’inoculazione del vaccino vivo attenuato REV1. L’implementazione di tali studi può essere determinante per lo sviluppo di nuovi presidi immunizzanti e test diagnostici innovativi in grado di individuare gli animali infetti da quelli vaccinati. Fig. 1: Cinetica dei linfociti T CD3+ (A) e cinetica dei linfociti CD4+/CD8+ (B) 232 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Fig. 2: Cinetica dei marcatori di linfociti T della memoria Fig. 3: Cinetica dei linfociti B Fig. 4: Cinetica del recettore CTLA-4 (CD152) 233 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Fig. 5: Cinetica dei linfociti T regolatori (A e B) BIBLIOGRAFIA: 1. G. G. Alton, L.M. Jones, R.B. Angus, J.M. Verger “ Techniques for brucellosis laboratory “ 1988 INRA, Paris 2. M.J. Grillo’, M.J. De Miguel, P.M. Munoz, C.M. Marìn and J.M. Plasco “Efficacy of several antibiotic combinations against Brucella melitensis Rev1 experimental infection in BALB/c mice” 2006 Journal of Antimicrobial Chemiotherapy 58, 622-626 3. B. Raupach, S. HE Kaufmann “Immune responses to intracellular bacteria” 2001, Current Opinion Immunology, 13, 417-428 4. M.E. Hamdy, S.M. El-Gibaly, A.M. Montasser “Comparision between immune responses and resistance induced in BALB/c mice vaccinated with RB51 and Rev1 vaccines and challenged with Brucella melitensis bv.3” 2002 Vet. Microbiol. 88, 85-94 5. G. Splitter, S. Oliveira, M. Carey, C. Miller, J. Ko, J. Covert “ T lymphocyte mediated protection against facultative intracellular bacteria” 1996, Vet. Immunology and Immunopatology, 54, 309-319 234 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 IMPORTANZA DI UNA CORRETTA IDENTIFICAZIONE TASSONOMICA DI STAFILOCOCCHI COAGULASI POSITIVI Currò V.[1], Piazza A.[1], Persichetti M.F.[1], Galluzzo P.[1], Caracappa S.[1] Keywords: , , Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Palermo [1] SUMMARY: Staphylococci are important opportunistic pathogens in most animal species. Among the most relevant species are the coagulase positive species Staphylococcus aureus and Staphylococcus pseudintermedius. Methicillin resistance has emerged as an important problem in both of these organisms, with significant concerns about animal and public health. Misidentification of S. aureus with S. pseudintermedius should be avoided in order to establish the best therapy and to avoid the onset of antimicrobial resistance. INTRODUZIONE: Il genere Staphylococcus comprende patogeni opportunisti di varia importanza in veterinaria. Gli stafilococchi più importanti da un punto di vista clinico sono gli stafilococchi coagulasi positivi S. aureus e i membri del gruppo S. intermedius in particolare S. pseudointermedius. S. intermedius è stato descritto per la prima volta nel 1976 (3), ma nel corso degli ultimi anni, si è creata confusione sulla classificazione tassonomica. Nel 2005 è stata descritta la nuova specie, S. pseudintermedius (1). Isolati in precedenza classificati come S. intermedius per le loro caratteristiche fenotipiche, sono stati riclassificati sulla base di tecniche di biologia molecolare, grazie alle quali isolati appartenenti al gruppo S. intermedius sono stati divisi in tre gruppi: S. intermedius, S. pseudintermedius e S. delphini (6). Questo ha chiarito che S.pseudintermedius e non S. intermedius è la specie del gruppo di S. intermedius (SIG), che colonizza e provoca infezioni in cani e gatti (4). S. pseudintermedius è un patogeno opportunista agente eziologico di infezioni della pelle e dell’orecchio, di altri tessuti e cavità corporee e di ferite post-operatorie (7) Una caratteristica degli stafilococchi è quella di divenire resistenti ai farmaci antimicrobici. L’acquisizione della resistenza alla meticillina è di particolare importanza sia in medicina umana che in veterinaria. S. pseudintermedius resistenti alla meticillina (MRSP), al pari dei noti MRSA sono stati descritti. Anche per gli MRSP la resistenza sarebbe dovuta alla presenza del gene mecA In passato gli isolati di S. pseudintermedius erano sensibili agli antibiotici beta lattamici, ma dal 2006 MRSP sono emersi come serio problema in medicina veterinaria (7). Gli MRSP rappresentano una minaccia per l’uomo e per gli animali poiché il loro trattamento in animali che ospitano MRSA possono portare a resistenze addizionali negli MRSA con un elevato rischio/potenziale zoonotico. MATERIALI E METODI: Tamponi sono stati effettuati da cani e gatti che presentavano disturbi ricorrenti (otite cronica, scolo nasale, dermatiti, fauciti o gengivostomatiti) presso laboratori privati. Il materiale prelevato è stato stoccato nel terreno di trasporto in condizioni di refrigerazione fino all’arrivo in laboratorio. Presso la sezione di Diagnostica dell’Area Palermo dell’Istituto Zooprofilattico “A. Mirri” di Palermo. Da ogni tampone è stata eseguita una coltura batterica su terreni positivi per ricercare stafilococchi coagulasi positivi (CPS). Le colonie sospette sono state caratterizzate mediante colorazione di Gram, test della catalasi e dell’ossidasi. Successivamente sono stati condotti saggi per la produzione di coagulasi e infine è stata effettuato il test APIStaph (Biomerieux). L’identificazione molecolare di specie è stata effettuata mediante l’amplificazione e il sequenziamento del gene 16S rDNA utilizzando primer universali. Le sequenze ottenute sono state confrontate con quelle presenti nel database BLAST. RISULTATI E CONCLUSIONI: Questo lavoro si inserisce nell’ambito di una ricerca mirata allo studio della diffusione di stafilococchi meticillino resistenti in animali domestici (cani e gatti). Nel periodo preso in esame (Febbraio Giugno 2012) sono stati sottoposti a esame microbiologico tamponi effettuati su circa 100 cani e circa 30 gatti. Gli isolati che mostravano le caratteristiche fenotipiche e biochimiche di S. aureus sono state ulteriormente caratterizzate. In questo modo sono stati isolati circa 25 ceppi di stafilococchi coagulasi positivi. Quattro di questi si sono rivelati essere meticillino resistenti. L’analisi biochimica condotta con API20 STAPH ha consentito di identificare gli isolati come S. aureus, sebbene la possibilità di identificazione non accurata sia stata suggerita nella fase di interpretazione del risultato (il software utilizzato suggerisce la possibilità di S. pseudointermedius se il campione è di origine veterinaria). L’analisi molecolare effettuata sui ceppi meticillino resistenti mediante l’amplificazione e il sequenziamento del gene 16S rRNA ha consentito, l’identificazione tassonomica come S. pseudointermedius. Il sequenziamento del gene 16S rDNA è stato condotto esclusivamente sui ceppi meticillino-resistenti, il che non esclude che altri ceppi da noi isolati durante questa indagine epidemiologica non debbano essere riclassificati Nelle analisi di routine l’identificazione della coagulasi è frequentemente usato come criterio per distinguere S. aureus dagli alti campioni di stafilococchi isolati da campioni animali. Questa semplice procedura di identificazione può portare all’errata classificazione tassonomica degli isolati (5). Una nuova tossina esfoliativa, EXI, simile alla tossina ETB di S. aureus, è stata recentemente riscontrata nel 23,3% degli isolati di S. pseudintermedius da cani affetti da pioderma (2). Nella diagnosi di routine acquisisce una notevole importanza la corretta identificazione dei ceppi poichè per le infezioni causate da MRSP infatti, come suggerito dall’European Medicine Agency (http://www.ema.europa.eu/docs/en_GB/document_library/Scientific_guideline/2011/02/WC500102017.pdf) sono preferibili trattamenti che non prevedano l’uso di molecole antimicrobiche. E’ auspicabile inoltre un’incremento della sorveglianz sulla diffusione e sulle resistenze degli MRSP e l’utilizzo di tecniche che consentano la corretta classificazione tassonomica. Studi clinici, epidemiologici e microbiologici, che coinvolgano la popolazione animale e l’interfaccia uomo-animale sono sempre più richiesti per chiarire il ruolo degli MRSA e degli MRSP, per comprendere l’entità della minaccia per la salute pubblica e per sviluppare efficaci misure di controllo e prevenzione. 235 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1. Devriese, L. A., Hermans, K., Baele, M. & Haesebrouck, F. (2009). Staphylococcus pseudintermedius versus Staphylococcus intermedius. Vet Microbiol, 133, 206-7. 2. Futagawa-Saito K., Ba-Thein W, Sakurai N.and Fukuyasu T. (2006) Prevalence of virulence factors in Staphylococcus intermedius isolates from dogs and pigeons BMC Veterinary Research 2:4 3. HAJEK, V. (1976) Staphylococcus intermedius, a new species isolated from animals. Int. J. Syst. Bacteriol, 26, 401-408 4. Perreten, V., Kadlec, K., Schwarz, S., Gronlund Andersson, U., Finn, M., Greko, C., Moodley, A., Kania, S. A., Frank, L. A., Bemis, D. A., Franco, A., Iurescia, M., Battisti, A., Duim, B., Wagenaar, J. A., Van Duijkeren, E., Weese, J. S., Fitzgerald, J. R., Rossano, A. & Guardabassi, L. (2010). Clonal spread of methicillin-resistant Staphylococcus pseudintermedius in Europe and North America: an international multicentre study. J Antimicrob Chemother, 65:1145-54 5. Riegel P., Jesel-Morel L., Laventie B., Boisset S., Vandenesh F., Prevost G., (2011) Coagulase-positive Staphylococcus pseudintermedius from animals causing human endocarditis. Int. J. Med. Microbiol. 301:237–239. 6. Sasaki, T., Kikuchi, K., Tanaka, Y., Takahashi, N., Kamata, S. & Hiramatsu, K. (2007). Reclassification of phenotypically identified Staphylococcus intermedius strains. J Clin Microbiol, 45, 2770-8. 7. Weese, J. S. & Van Duijkeren, E. (2010). Methicillin-resistant Staphylococcus aureus and Staphylococcus pseudintermedius in veterinary medicine. Vet Microbiol, 140, 418-29. 236 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN MODELLO PREDITTIVO PER STIMARE LA CRESCITA DI BACILLUS CEREUS DURANTE IL RAFFREDDAMENTO POST-PASTORIZZAZIONE DEL MASCARPONE Daminelli P.*[1], Cosciani Cunico E.[1], Fierro A.[2], Finazzi G.[1], Bertasi B.[1], Dalzini E.[1], Varisco G.[1] Keywords: Bacillus cereus, mascarpone, microbiologia predittiva IZSLER ~ BRESCIA, Centrale del latte di Brescia S.p.A. ~ Brescia [1] [2] SUMMARY: B. cereus is a spore forming gram-positive bacterium (1). There are numerous research reports on the prevalence of B. cereus in dairy products (2). Mascarpone is an unripened, soft spread cheese obtained from thermal-acidic coagulation of milk cream (3). The presence of spore-forming bacteria able to survive the heat treatments applied to milk cream during the manufacturing represents the most important problem (1). The objective of this work was to development and validation of a model to predict growth of B. cereus in mascarpone cheese during the post-pasteurization cooling process. INTRODUZIONE: B. cereus è un microrganismo gram-positivo, anaerobio facoltativo, in grado di produrre spore che sono insensibili a trattamenti termici di pastorizzazione, D92 = 96’, alle radiazioni, ai disinfettanti e ad ambienti fortemente acidi o alcalini (1). Numerosi studi, riportano la diffusione di B. cereus in prodotti caseari (2), in particolare, in quei prodotti sottoposti a pastorizzazione e successivo raffreddamento, come il mascarpone, che è un prodotto ottenuto da coagulazione termo-acida della crema di latte (3). La pastorizzazione, infatti, non garantisce l’abbattimento delle spore di B. cereus, che, in condizioni favorevoli, possono germinare in cellule vegetative in grado di produrre tossine altamente dannose per l’uomo (2). Nel 2005 EFSA ha emesso un parere scientifico in merito a B. cereus nei prodotti alimentari sottolineando come il controllo delle temperature e la creazione di un sistema basato sull’ analisi dei rischi rappresenti, ad oggi, la più importante strategia per la prevenzione e il contenimento dello sviluppo di Bacillus spp.. Negli ultimi dieci anni, sono state pubblicate le linee guida su come integrare modelli di microbiologia predittiva per la valutazione quantitativa del rischio microbiologico (MQRA) (4). Scopo del lavoro è stato, quindi, la costruzione e la validazione di un modello matematico, alimento specifico, in grado di valutare l’evoluzione del B. cereus durante la fase di raffreddamento post-pastorizzazione del mascarpone, in presenza quindi di un profilo termico dinamico. MATERIALI E METODI: Preparazione degli inoculi. Tre ceppi di B. cereus (ATCC® 11778TM, NCTC® 11143TM e D1_C06) sono stati separatamente rivitalizzati in brodo Brain Heart Infusion (BHI) (Oxoid, UK) a 30°C per 24 ore. Le sospensioni cellulari sono state conservate in frigorifero a 4°C per sette giorni e poi sottoposte a pastorizzazione per 30 minuti a 63°C. Le spore sono state centrifugate, titolate e diluite in soluzione fisiologica sterile al fine di realizzare una contaminazione del mascarpone pari a 2-3 log10cfu g-1. Sviluppo del modello predittivo Due lotti di mascarpone prodotti da un’industria locale sono stati utilizzati in questo esperimento. Per ogni lotto, novanta sacchetti contenenti 10 g di mascarpone sono stati separatamente inoculati con 0,1 ml di sospensione per ciascun ceppo B. cereus (campioni contaminati) o con 0,1 ml di acqua distillata (campioni di controllo). Tutti i campioni sono stati incubati a 12, 25, e 30°C (condizioni isotermiche). Per stabilire il disegno sperimentale (tempi di campionamento) è stato usato ComBase (www.combase.cc). Ad ogni intervallo di tempo sono stati prelevati due campioni di mascarpone sui quali è stata condotta la numerazione di B. cereus (ISO 7932:2004). All’inizio e alla fine di ogni periodo di incubazione, nei campioni di controllo sono state analizzate le modificazioni chimico-fisiche (pH e aw) e l’eventuale presenza di batteri lattici (LAB). Il tasso di crescita (rate) di B. cereus nel mascarpone è stato calcolato utilizzando il software DMfit basato su modello primario Baranyi (5). Come modello secondario è stato utilizzato il modello Ratkowsky (6), che relaziona la rate alla temperatura del substrato. Validazione del modello predittivo. A termine del processo di pastorizzazione, il mascarpone è stato confezionato a caldo in vaschette da 500 g cad; un totale di 42 confezioni di mascarpone sono state separatamente contaminate con B. cereus ATCC® 11778TM, NCTC® 11143TM e D1_C06 (livello di contaminazione pari a 2-3 log10cfu g-1). Le confezioni sono state poste all’interno della cella di raffreddamento dell’azienda che ha fornito il prodotto e ad intervalli di tempo definito è stata eseguita la numerazione di B. cereus. RISULTATI E CONCLUSIONI: Sviluppo del modello predittivo Al fine di valutare le caratteristiche intrinseche del mascarpone, all’inizio e alla fine di ciascun periodo di incubazione, sono stati analizzati quattro campioni di controllo (tabella 1). La concentrazione di lattobaclli è risultata essere inferiore a 1 log10cfu g-1. Le rate delle curve di crescita dei tre ceppi di B. cereus incubati nel mascarpone a tre diverse temperature, e i relativi parametri del modello primario, sono riportate in tabella 2. Nel grafico in figura 1 è riportata la radice quadrata della rate in funzione della temperatura. Mettendo in relazione la radice quadrata delle rate sperimentali con le temperature di conservazione dell’alimento, si ottiene l’equazione 1, che descrive il modello secondario alimento specifico, generato dagli stessi dati e l’errore standard del modello (7). Il coefficiente di correlazione (R2) del modello è risultato essere pari a 0.99. Eq1 örate=0,022*Temp-0,09 ± 0,006 Integrando il profilo termico dinamico della cella di raffreddamento, con l’equazione che descrive il modello secondario, si ottiene il grafico riportato in figura 2, che rappresenta il comportamento predetto di B. cereus durante il raffreddamento del mascarpone. Validazione del modello predittivo 237 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Il modello predittivo è risultato safe, la concentrazione batterica predetta è risultata sempre maggiore rispetto a quella osservata con uno scarto medio di 0.8 log10cfu g-1 (figura 3). Uno degli obiettivi più importanti della microbiologia predittiva sin dalla fine degli anni 1990 è stato lo studio del comportamento dei patogeni di maggior interesse alimentare in situ, cioè, nell’alimento stesso, invece che in vitro, ossia, in terreni sintetici di coltura (8). La costruzione di modelli predittivi, e la loro validazione negli alimenti, offrono un importante aiuto al fine di migliorare la precisione e il valore dei modelli, in modo che essi possano fornire previsioni realistiche, senza essere necessariamente ‘fail-safe’. Nel presente lavoro, è stato creato un modello sperimentale in grado di prevedere lo sviluppo di B. cereus in condizioni dinamiche. Il modello sviluppato, anche se generato con un numero esiguo di variabili (tre temperature) descrive l’andamento di B. cereus nel mascarpone in modo soddisfacente (R2=0.99). Confrontando i dati del challenge test con il modello sperimentale (fig. 3) si può affermare che esso genera una safe prediction. Tabella 1: valori di pH e aw del mascarpone incubato a 12, 25 e 30°C. Tabella 2: descrizione del ceppo, del lotto, della temperatura e dei parametri statistici del modello (fit), SE e R2. Figura 1: örate di ceppi di B. cereus a diverse temperature 238 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Figura 2: concentrazione predetta di B. cereus (▬) durante il raffreddamento (- -) del mascarpone Figura 3: concentrazione osservata (■) e concentrazione predetta di B. cereus (▬) durante il raffreddamento (- -) del mascarpone BIBLIOGRAFIA: 1. Shaheen, R., Svensson, B., Andersson, M.A., Christiansson, A., Salkinoja-Salonen, M.S., 2010. Persistence strategies of Bacillus cereus spores isolated from dairy silo tanks. Food Microbiol. 27, 347-55. 2. Stenfors Arnesen, L.P., Fagerlund, A., Granum, P.E., 2008. From soil to gut: Bacillus cereus and its food poisoning toxins. FEMS Microbiol. Rev. 32, 579–606. 3. Anonymous, 1998. Mascarpone cheese. Definition of specificity, composition, characteristics. Norma Italiana UNI 10710. Italian Institute for Standardization (U.N.I.). 4. EFSA, 2005. Opinion of the scientific panel on biological hazards on Bacillus cereus another Bacillus spp in foodstuffs. EFSA J. 175, 1-48. 5. Baranyi, J., & Roberts, T. A. (1994). A dynamic approach to predicting bacterial growth in food. Int. J. Food Microbiol. 23, 277–294. 6. Ratkowsky, D.A., Olley, J., McMeekin, T.A., Ball, A., 1982. Relationship between temperature and growth rate of bacterial cultures. J.Bacteriol. 149, 1-5. 7. Pin, C., Sutherland, J.P., Baranyi, J., 1999. Validating predictive models of food spoilage organisms. J. Appl. Microbiol. 87, 491-499. 8. Ross, T., McMeekin, T.A., 2003. Modeling microbial growth within food safety risk assessments. Risk Analysis 23, 179–197. 239 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 DEFINIZIONE DEI LIVELLI DI ALCUNI PARAMETRI DI IMMUNITÀ INNATA NELLA SPECIE BUFALINA De Carlo E.*[1], Martucciello A.[1], Schiavo L.[1], Vecchio R.[1], Palermo P.[2], Guarino A.[2], Amadori M.[3] Keywords: benessere animale, bufalo, immunità innata I.Z.S.M., Centro di Referenza Nazionale sull’igiene e le tecnologie dell’allevamento e delle produzioni bufaline ~ Salerno, [2] I.Z.S. Mezzogiorno ~ Portici, [3]I.Z.S.L.E.R. ~ Brescia [1] SUMMARY: For the buffalo the drive to improve productivity has led to an objective increase in the risk of full-blown pathologies and/or serious metabolic dysfunctions. Some laboratory tests can depict the immune status of the individuals, thereby indicating their predisposition to developing diseases that are conditioned by stressful events of whatever kind. INTRODUZIONE: L’incremento delle performance produttive comporta anche per i bufali un aumento del rischio di patologie conclamate o di gravi disfunzioni metaboliche. Al fine di fornire un accertamento del livello di benessere sarebbe necessario un approccio combinato multidisciplinare, basato su competenze di clinica, zootecnia, etologia e immuno-biochimica, che consentano non solo di verificare e controllare lo stato di benessere, ma anche di prevenire lo stato di stress e mantenere in piena efficienza le capacità adattative dei soggetti. In tal senso rivestono un ruolo di fondamentale importanza le indagini di laboratorio atte a rivelare lo stato immunitario dei soggetti in modo da conoscerne la predisposizione a sviluppare malattie condizionate da eventi stressanti di qualsivoglia natura. MATERIALI E METODI: In due aziende bufaline, una a conduzione estensiva e l’altra intensiva, sono stati effettuati prelievi ematici in bufale a inizio e a fine lattazione e in asciutta, manze e vitelli nei periodi estivo e autunno/invernale. Sono stati effettuati, altresì, prelievi in soggetti malati ( vitelli con diarrea e bufale che hanno presentato aborto), nonché in soggetti sani conviventi in gruppi con elevata carica microbica ambientale (Salmonella spp. e E. coli). I parametri di immunologia clinica indagati sono: complemento emolitico (via alternativa), lisozima, battericidia sierica ed aptoglobina. Il metodo di dosaggio dell’aptoglobina si basa sulla differenza di attività perossidasica in ambiente acido della emoglobina libera e di quella legata all’aptoglobina. L’attività perossidasica della emoglobina legata è direttamente proporzionale alla quantità di aptoglobina presente nel campione. I sieri in esame sono stati analizzati impiegando il kit Phase Haptoglobin Colorimetric Assay (Tridelta Development, Ireland). La titolazione semiquantitativa del complemento emolitico si basa sulla quantificazione dell’attività litica del siero nei confronti delle emazie di coniglio (3). I sieri vengono diluiti con una sospensione di globuli rossi di coniglio ed incubati. Segue centrifugazione e recupero del surnatante con lettura a λ 550 nm. Il lisozima presente nei campioni è stato titolato mettendo a contatto il siero con il Micrococcus lysodeikticus incorporato in un gel di agar e valutando l’alone di lisi del microrganismo attorno al pozzetto di deposizione del campione (4). La concentrazione di lisozima, è proporzionale al diametro dell’anello di chiarificazione osservabile attorno al pozzetto e viene stabilita in base ad una curva standard ottenuta a seguito della incubazione di concentrazioni note di lisozima. Per la determinazione della battericidia sierica, il siero viene messo a contatto con una quantità nota di E. coli. La valutazione della capacità da parte del siero di inibire la crescita del germe viene stabilita in base alla variazione della torbidità dei pozzetti di coltura in presenza e in assenza del campione in esame, attraverso la lettura spettrofotometrica della loro densità ottica (2). RISULTATI E CONCLUSIONI: Tutti i parametri indagati sono applicabili con successo alla specie bufalina al fine di valutare lo stato di immunità innata, ciò confortato anche dai dati sui soggetti malati, da cui si evince che in corso di malattia i valori oscillano significativamente. Infatti la valutazione degli esami eseguiti su animali malati (fig.1) evidenzia consumo di complemento, aumento dei livelli di aptoglobina, e un abbassamento della percentuale di battericidia (fig.5). I livelli di complemento emolitico (fig.2) sono risultati abbastanza uniformi per categoria, con valori differenti tra allevamento estensivo ed intensivo, laddove nell’estensivo, soprattutto nei vitelli, il complemento mostra valori medi molto più elevati. Dalla valutazione dei valori medi di lisozima risulta che i livelli di questo enzima nella specie bufalina sono compresi tra quelli dei bovini da carne e delle lattifere (1). Inoltre, in tutte le categorie zootecniche si evince che il parametro lisozima ha valori più bassi nell’allevamento intensivo e nella stagione invernale (fig.3). I valori medi del parametro aptoglobina (fig.4) risentono della stagionalità. In particolare le categorie asciutta, manze ed inizio lattazione presentano valori più alti nella stagione invernale. I parametri valutati sono risultati influenzabili dalla stagione del prelievo data l’origine tropicale della specie. A tale condizione di fondo corrispondono assetti differenziati dei parametri di immunologia clinica, da valutare con attenzione. In particolare, l’aptoglobina ha valori molto variabili tra le stagioni, mentre la battericidia sembra essere il parametro meno influenzato. L’aptoglobina presenta due distinte peculiarità rispetto alla specie bovina: valori medi molto più elevati e una produzione più elevata in asciutta rispetto alla lattazione. Quest’ultimo elemento ricorda in sostanza quanto avviene nella capra, dove la risposta positiva di fase acuta (aptoglobina) si associa a infiammazione e chetosi in gravidanza e si riduce dopo il parto (5). In sostanza, aptoglobina potrebbe avere nel bufalo ruoli e funzioni diversificate in funzione delle diverse caratteristiche di specie e di diverse strategie di adattamento all’ambiente. Oltre a giocare un ruolo probabilmente importante nell’adattamento ai comuni ambienti di allevamento, aptoglobina mantiene comunque nel bufalo una funzione di “reporter system” degli eventi di malattia. E’ auspicabile che la problematica degli elevati valori medi di aptoglobina possa essere affrontata in futuro anche in un adeguato modello in vitro, utilizzando epatociti di bufala in coltura in presenza di concentrazioni controllate di diverse citochine infiammatorie e di cortisolo. L’andamento dei parametri di immunologia clinica nei vitelli merita un’ulteriore riflessione. Colpisce soprattutto la co-variazione combinata verso l’alto dei valori di aptoglobina e complemento, che raggiungono i massimi valori nella stagione estiva e in allevamenti estensivi. 240 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Pertanto, le ben note difficoltà di adattamento all’ambiente di tali animali in presenza di ricoveri inadeguati nella stagione invernale (evenienza più frequente di solito negli allevamenti di tipo estensivo) potrebbero correlarsi ad una ridotta espressione dei parametri di immunologia clinica oggetto di studio. Sembra pertanto che talune funzioni del sistema immunitario innato del bufalo si esprimano in condizioni ambientali favorevoli a livelli ben superiori di quelli osservati nel bovino, il che potrebbe indicare un maggiore stato reattivo del comparto monocitario-macrofagico. L’andamento di tali parametri nei vitelli è comunque bifasico: lo stato reattivo di cui sopra tende a decadere nella stagione invernale, mentre in soggetti malati si assiste a ulteriori forti decrementi dei valori medi di complemento e battericidia sierica, cui si associano invece incrementi della risposta in aptoglobina. Ovvero, in soggetti malati i criteri interpretativi dei parametri di immunità innata sono fondamentalmente simili a quelli in uso per la specie bovina. La criticità assai maggiore della stagione invernale rispetto a quella estiva è in perfetto accordo con gli standard sanitari e produttivi della specie bufalina. I valori riscontrati per tutti i parametri di cui sopra possono costituire il fondamento per l’elaborazione di valori di riferimento propri della specie, differenziabili anche per categoria zootecnica, nonché di valori di cut-off per ciascun parametro analizzato che indichi situazioni a rischio per l’insorgenza di patologie condizionate. Figura 1. Mean values of the immunological parameters in healthy and sick individuals. Figura 2. Haemolytic complement levels. Figura 3. Lysozyme levels. 241 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Figura 4. Haptoglobin levels. Figura 5. Bactericidal levels. BIBLIOGRAFIA: 1. Amadori M., Archetti I., Frasnelli M., Bagni M., Olzi E., Caronna G., Lanteri M., 1997, An immunological approach to the evaluation of welfare in Holstein Frisian cattle. J. Vet. Med. B 44, 321-327. 2. Amadori M., Archetti I.L., Mondelli M.M., Fazia M., 2002, La valutazione del benessere animale. Quaderni Fondazione Iniziative Zooprofilattiche e Zootecniche, volume 51, 51-54. 3. Barta V., Barta O. Testing of Hemolitic Complement and its components. In: Barta O. ed. 1993, Vet Cl Imm Lab, bar-Lab, Blacksburg, USA. 4. Osserman E.F., Lawlor D.P., 1966. Serum and urinary Lysozyme (murimidase) in monocytic and monomylociticleukemia. J Exp Med; 124:921-952. 5. Trevisi, E., D’Angelo, A., Gaviraghi, A., Noé, L., Bertoni G., 2005. Blood inflammatory indices in goats around kidding. Italian Journal of Animal Science. 4 (suppl. 2), 404. 242 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI PCV2 NEI SUINI SELVATICI E DOMESTICI IN SARDEGNA Dei Giudici S.*[1], D’Avino C.[1], Salaris A.A.[1], Sulas A.[1], Madrau M.P.[1], Sanna M.L.[1], Oggiano A.[1] Keywords: Porcine Circovirus Type II, Phylogenetic analysis, Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna ~ Sassari [1] SUMMARY: The aim of this work is to establish the genetic characteristics of Porcine Circovirus Type II (PCV2) strains circulating in Sardinian swine. The molecular characterization was done on 20 positive samples collected among swine samples from all over the island. The viral DNA extracted from tissues was detected by Real time PCR. The results were compared with those previously obtained from wild boars and have showed that the predominant genotype in Sardinia is PCV2b and there are no differences between PCV2 strains circulating in swine and wild boars. INTRODUZIONE: Il circovirus suino Tipo 2 (PCV2) è responsabile, da solo e/o in associazione con altri patogeni, di diverse sindromi patologiche che colpiscono i suini e i cinghiali, indicate con il termine generico di Porcine Circovirus Disease (PCVD), ed è causa di ingenti danni economici e sanitari. PCV2 è diffuso in tutti i paesi a suinicoltura avanzata e nella quasi totalità degli allevamenti europei è presente positività sierologica. Il virus appartiene alla famiglia Circoviridae, genere Circovirus, ha un diametro di circa 17-22 nm, simmetria icosaedrica ed è privo di envelope; il genoma è costituito da ssDNA circolare con polarità ambisenso di 1.767-1.768 kb e contiene tre principali ORF. La proteina Cap è la maggiore proteina strutturale espressa dall’ORF2 ed è la responsabile dell’alta variabilità antigenica del virus, uno dei fattori a cui è dovuta la difficoltà di controllo delle patologie associate al PCV2 (1). Attualmente si distinguono tre genotipi differenti di PCV2: PCV2a suddiviso in cinque cluster (2A, 2B, 2C, 2D e 2E), PCV2b suddiviso in tre cluster (1 A, 1B ed 1C) e PCV2c di cui si conoscono solo tre ceppi isolati in Danimarca (3). Il nostro gruppo ha di recente tipizzato alcuni isolati rinvenuti in cinghiali sardi (3), ma non esistono informazioni sulle caratteristiche dei ceppi circolanti nei suini in Sardegna o in Italia. Lo scopo del presente lavoro è stato quello di analizzare le sequenze genomiche di alcuni ceppi di PCV2 ottenuti dai suini e confrontarle con quelle precedentemente ottenute dai cinghiali per evidenziare eventuali differenze filogenetiche fra gli stipiti. MATERIALI E METODI: Sono stati esaminati campioni di tessuto, milza o linfonodi, prelevati da 124 suini. I campioni sono stati scelti fra quelli, provenienti da tutta l’isola, recapitati presso l’Istituto Zooprofilattico per attività correlate al piano di eradicazione della peste suina africana negli anni 2011 e 2012; non vi erano informazioni sull’eventuale presenza di patologie legate al PCV2. I campioni di cinghiali, analizzati in precedenza (3), erano stati raccolti durante la campagna venatoria e di riduzione della popolazione effettuata nel centro-nord dell’isola negli anni 20092012. L’estrazione del DNA genomico è stata eseguita con il Kit High Pure PCR Template Preparation (Roche) su omogenati d’organo al 10% in PBS. La ricerca del genoma di PCV2 è stata condotta mediante Real Time PCR, come precedentemente descritto (4). In tutte le reazioni è stato inserito un controllo positivo, costituito da un isolato di campo, che è stato sequenziato insieme ai campioni positivi (KPCV2). Per la reazione di sequenza è stata amplificata una porzione dell’ORF2 di 481 bp compresa fra i primers PMWS150 e PMWS1443 secondo quanto descritto in precedenti lavori (5). 20 amplificati positivi, indicati con la sigla S1-S20, di cui si riportano le caratteristiche nella tabella 1, sono stati purificati con il kit Wizard SV Gel and PCR Clean-Up (Promega), secondo le istruzioni della ditta e sottoposti a sequenziamento diretto utilizzando BigDye terminator® v1.1 Cycle Sequencing Kit e lo strumento 3500 Genetic Analyzer (Applied Biosystems, CA, USA). Le sequenze ottenute sono state inviate in banca dati (Blastn) per verificare la corretta identificazione ed allineate mediante il software ClustalW con sequenze di riferimento e con quelle di 15 cinghiali precedentemente ottenute. Le sequenze prelevate dalle banche dati sono state scelte in base all’anno, al paese di isolamento ed allo stato sanitario (sconosciuto, clinicamente sano o affetto da PCVD). L’analisi filogenetica è stata effettuata utilizzando il metodo Neighbor-Joining (NJ) con il modello Kimura 2-parametri ed il software MEGA (versione 5.1). L’analisi statistica è stata condotta con il metodo Bootstrap su 1000 replicati. RISULTATI E CONCLUSIONI: Dei 120 campioni di suino analizzati, 98 sono risultati positivi per la ricerca del PCV2 in real time PCR (81,6%). Le sequenze parziali della proteina Cap, ottenute da 20 amplificati hanno mostrato una similarità del 92100% fra di loro e del 87-100% con quelle dei cinghiali. La figura 1 mostra l’albero filogenetico ottenuto dalla comparazione delle sequenze con quelle riportate in banca dati. E’ possibile osservare come il genotipo prevalente nei suini domestici e selvatici in Sardegna sia il PCV2b (34/35 campioni). 17 suini e 14 cinghiali appartengono al sottotipo 1A/B e 3 suini al sottotipo 1C. Un solo campione, un cinghiale, appartiene al genotipo PCV2a, sottotipo 2E. I campioni clusterizzano insieme a ceppi di riferimento isolati in tutto il mondo in anni differenti ed indipendentemente dallo stato sanitario degli animali. Infatti è noto che non esiste un legame fra le caratteristiche genetiche dei ceppi isolati e la presenza dei sintomi clinici ascrivibili alle patologie correlate al PCV2. Invece è stata dimostrata con studi retrospettivi l’esistenza di uno shift genetico fra il PCV2a ed il PCV2b associato alla comparsa delle PCVD in tutto il mondo fra gli anni 90 e 2000 (6). I nostri dati sembrerebbero confermare che, come accaduto in altri paesi, il genotipo 2a sia stato quasi completamente sostituito dal 2b. Non si evidenziano differenze sostanziali fra i ceppi circolanti nelle due specie, suino e cinghiale, né relazioni con l’area geografica di provenienza, con l’eccezione dei campioni S4, S17 ed S20 appartenenti al sottotipo 1C del PCV2b che provengono da due allevamenti diversi situati nel comune di Alà dei Sardi. Questi ceppi appartengono ad un cluster formato quasi esclusivamente da isolati cinesi. Lavori recenti riferiscono che si tratti 243 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 del sottotipo prevalente in Cina negli anni 2009-2010 mentre dal 2001 al 2008 il principale sottotipo era rappresentato da 1A/B (7). Gli isolati di ciascun genotipo di PCV2 possiedono un motivo specifico fortemente conservato, localizzato fra gli aminoacidi 86 e 91 (86-SNPRSV-91) della proteina capsidica che è stato associato alla virulenza di PCV2b. Il sottotipo PCV2b1C presenta una mutazione (R in L) in posizione 89 rispetto al PCV2b-1A/B che potrebbe influenzare la sua patogenicità, la quale andrà ulteriormente indagata. Sarebbe interessante ve- dere se anche in Sardegna questo sottotipo in futuro tenderà a prevalere su quello 1A/B. In Europa sono stati segnalati solo due ceppi appartenenti a questo cluster, uno olandese ed uno tedesco, e a nostra conoscenza questa è la prima segnalazione in Italia. I nostri risultati indicano che, a parte il cluster 1C, non vi sia differenza fra i ceppi circolanti fra i suini e i cinghiali. Estendere l’analisi ad un maggior numero di campioni su un’area più vasta del nostro territorio, potrà permettere di confermare e integrare i risultati ottenuti. Tabella 1: caratteristiche dei campioni di suini e cinghiali tipizzati in questo studio, distinti per comune, specie, anno di isolamento e genotipo 244 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Figura 1. Albero filogenetico NJ ottenuto dal confronto delle sequenze parziali del gene codificante per la proteina Cap del PCV2 dei ceppi sardi con quelle presenti in banca dati. I simboli rossi indicano i campioni analizzati. Cerchio: suini; triangolo: cinghiali; quadrato: controllo positivo. La sigla accanto ai ceppi di referenza indica lo stato sanitario. U: unknow, H: healty. Nessuna sigla: animale con PCVD. BIBLIOGRAFIA: 1. Nawagitgul P., Morozov I., Bolin S.R., Harms P.A., Sorden S.D., Paul P.S., (2000). Open reading frame 2 of porcine circovirus type 2 encodes a major capside protein. J. Gen. Virol. 81: 2281-228. 2. Segalés L., Olvera A., Grau-Roma L. et al., (2008) PCV2 genotype and nomenclature. Veterinary Record 162, 867-868 3. Dei Giudici S., Angioi P., Manca A.F., Vidili M.L., Zinellu S., Oggiano A. (2011) Caratterizzazione molecolare dei ceppi di PCV2 circolanti nei cinghiali in Sardegna. Atti SIDILV, p.203-204 4. Yu S., Opriessnig T., Kitikoo P.,.Nilubol D, Halbur P. G., Thacker E. (2007).Porcine Circovirus type 2 (PCV2) distribution and replication in tissues and immune cells in early infected pigs. Veterinary Immunology and Immunopathology 115 261-272 5. Meehan BM., McNeilly F., McNair I., Walker I., Ellis JA., Krakowka S., Allan GM. (2001) Isolation and characterization of porcine circovirus 2 from cases of sow abortion and porcine dermatitis and nephropathy syndrome. Archives of Virology 2001; 146(4): 835-42. 6. Dupont K., Nielsen E.O., Baekbo P., Laersen L.E. (2008) Genomic analysis of PCV2 isolates from Danish archives and a current PMWS case-control study supports a shift in genotype with time. Australian Veterinary Journal 128, 56-64. 7. Cai L, Ni J, Xia Y, Zi Z, Ning K, Qiu P, Li X, Wang B, Liu Q, Hu D, Yu X, Zhou Z, Zhai X, Han X, Tian K. (2012) Identification of an emerging recombinant cluster in porcine circovirus type 2.Virus Res. Apr;165(1):95102 245 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI ALCUNI CEPPI DI PARVOVIRUS CANINO CIRCOLANTI IN SARDEGNA Dei Giudici S.*[1], Cubeddu T.[2], Giagu A.[3], Rocca S.[3], Cadalanu R.[5], Balzano F.[3], Oggiano A.[4] Keywords: Canine Parvovirus, Phylogenetic analysis, Biovetlab S.r.l.; Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna ~ Sassari, [2] Biovetlab S.r.l.; Dipartimento di Medicina Veterinaria (UNISS) ~ Sassari, [3] Dipartimento di Medicina Veterinaria (UNISS) ~ Sassari, [4] Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna ~ Sassari, [5] Biovetlab S.r.l. ~ Sassari [1] SUMMARY: 48 samples from dogs and cats living in the area of Sassari, Sardinia, were tested by PCR for the detection of canine parvovirus (CPV). 13 dogs were found positive. The sequence analysis of the gene coding for the VP2 protein revealed the presence of punctiform nucleotide mutations, some of which result in aminoacid substitution. 11 amino acid substitutions were detected, four of which in informative sites (297, 300, 305 and 426). The phylogenetic analysis, has allowed to further characterize our samples and showed that in northern Sardinia all currently known strains of CPV are circulating. INTRODUZIONE: Alla fine degli anni 1970 venne identificata una variante del virus della Panleucopenia Felina (FPV) con attività patogena nei cani. Il nuovo virus, designato Parvovirus Canino tipo-2 (CPV-2), per distinguerlo dal CPV-1 precedentemente descritto, causò nei cani di tutto il mondo un’epidemia di gastroenteriti emorragiche fatali e miocarditi subacute (5). Dal punto di vista tassonomico, venne classificato nel genere Parvovirus insieme al FPV, al virus dell’enterite del visone (MEV) ed al parvovirus del procione (RPV). I Parvovirus sono virus piccoli (diametro 25nm), privi di envelope, che infettano vertebrati e insetti. Il virione è costituito da un capside sferico, contenente ssDNA lineare di circa 5000 nucleotidi. Il genoma del parvovirus codifica per due proteine non strutturali (NS1 ed NS2) e per due proteine strutturali (VP1 e VP2) originate per splicing differenziale (5). La replicazione virale avviene nel nucleo di cellule in rapida divisione. Le differenze tra FPV e CPV-2 consistono nella sostituzione di sei/sette aminoacidi, localizzati principalmente nella porzione della VP2 che interagisce con il recettore per la transferrina delle cellule dell’ospite (TfR). Negli anni 80 sono comparse due varianti antigeniche del virus (CPV-2a e CPV-2b) con sostituzioni aminoacidiche a carico dei residui 267 e 498 della VP2. Nel 2000 è stata rilevata una nuova variante, denominata CPV-2c (1), caratterizzata da una mutazione nell’aminoacido 426 (3,4) che risulta essere acido glutammico invece dell’asparagina o dell’acido aspartico presenti in CPV-2a e CPV-2b (1,6). Infine un’ulteriore variazione è stata riscontrata nel residuo 297 (Serina in Alanina) di alcuni ceppi, che sono stati designati New CPV-2a e New CPV-2b (2). In Sardegna sembra non ci siano informazioni riguardanti le caratteristiche dei parvovirus presenti nella popolazione canina e felina; ci è sembrato quindi interessante caratterizzare i ceppi circolanti nell’isola attraverso amplificazione e sequenziamento di una porzione della proteina VP2. MATERIALI E METODI: Sono stati esaminati 10 campioni di feci provenienti da cani con sintomatologia compatibile con infezione da Parvovirus, 29 campioni di intestino di cane e 9 campioni di intestino di gatto. Gli intestini sono stati prelevati durante le ne- croscopie da animali morti per trauma o cause naturali e sono stati sottoposti ad esame istopatologico. I campioni provenivano da animali residenti a Sassari o nell’hinterland. La ricerca del genoma di CPV è stata condotta mediante PCR, utilizzando i primer Hfor/Hrev che amplificano una porzione di 611 bp della proteina VP2 che comprende residui aminoacidici significativi per la caratterizzazione del virus (1). Il DNA totale è stato purificato utilizzando kit della Qiagen, l’amplificazione è stata effettuata nelle condizioni indicate in precedenti lavori (1). In tutte le reazioni è stato inserito un controllo positivo (campione 6), acquistato presso la ditta B.V. European Veterinary Laboratory (EVL, ND) e sequenziato insieme ai campioni positivi. I prodotti di PCR sono stati purificati da gel utilizzando il QIAquick Gel Extraction Kit (QIAGENTM) e sottoposti a sequenziamento diretto utilizzando BigDye terminator® v1.1 Cycle Sequencing Kit e lo strumento 3500 Genetic Analyzer (Applied Biosystems, CA, USA). L’allineamento delle sequenze con quelle di riferimento e la traduzione in proteina è stato ottenuto mediante il software Bioedit. L’analisi filogenetica è stata effettuata utilizzando il metodo Neighbor-Joining con il modello Kimura 2 parametri ed il software MEGA (7). L’analisi statistica è stata condotta con il metodo Bootstrap su 1000 replicati. RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono risultati positivi al Parvovirus canino 5 campioni di feci e 8 di intestino di cane. Il sequenziamento ha rivelato la presenza di diverse mutazioni nucleotidiche puntiformi alcune delle quali determinano sostituzione aminoacidica. In particolare sono state rilevate 11 sostituzioni di aminoacidi rispetto al ceppo CPV-2 (M38245), 4 delle quali in siti informativi (Tabella 1). Come si può osservare le differenze maggiori si trovano nel codone 426 e caratterizzano la variante antigenica. Altre 2 mutazioni aminoacidiche informative secondo i software di analisi, sono presenti nel campione 23I relativamente agli aminoacidi 371 (A in G) e 418 (I in T), tali variazioni non compaiono in altre sequenze da noi ottenute, né in quelle depositate in banca dati. Si potrebbe quindi trattare di una nuova variante. L’analisi filogenetica dei campioni, ottenuta dal confronto con ceppi provenienti da tutto il mondo, ha permesso di classificarli come New CPV-2a (campioni 1F, 2F, 10I, 13I, 33I, 39I e 42I), New CPV-2b (campioni 3F, 5F, 9I, 23I,) e CPV-2c (campioni 4F e 11I) (Figura 1). L’esame istopatologico dell’intestino ha messo in evidenza lesioni di diverso grado riconducibili a forme di enterite cronica. In particolare i campioni 10I, 33I, 39I e 42I presentavono enterite linfoplasmocitaria da lieve a moderata; il campione 13I risultava autolitico e mostrava iperplasia delle placche del Peyer; nel campione 23I era presente linfoadenite emorragica e nel campione 11 si osservava enterite cronica e necrotico-emorragica con necrosi centrale delle placche del Peyer. Il campione 9I merita un discorso a parte, l’analisi della sequenza ha mostrato una omolo- 246 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 gia del 100% con due ceppi vaccinali e con due isolati di campo (Figura 1). Poichè proveniva da un cane di 6 mesi ed all’esame istopatologico non erano presenti segni di enterite, è possibile che si tratti di un ceppo vaccinale. In conclusione in Sardegna sembrerebbero presenti esclusivamente le varianti antigeniche più recenti, con una maggiore diffusione del New CPV-2a (7 positivi su 13), seguito dal New CPV 2b (4 positivi su 13), mentre CPV-2c sembrerebbe meno diffuso (2 positivi su 13). La presenza delle tre varianti non sembra essere correlata al periodo di campionamento, infatti i campioni dall’1 al 5 risalgono agli anni 2005-2009, mentre tutti gli altri sono stati raccolti negli anni 2011-2012. Allo stato attuale non possiamo fare una stima della reale distribuzione dei ceppi di CPV nell’isola, in quanto il campionamento è limitato alla sola area di Sassari. Vista la mancanza di dati per la Sardegna, e considerando le implicazioni di carattere sanitario della patologia, ci riserviamo di aumentare il numero di campioni e di ampliare l’area di campionamento. Tabella 1. Sostituzioni aminoacidiche rilevate nei campioni analizzati rispetto al ceppo di riferimento del parvovirus canino (CPV-2 M38245), al virus della Panleucopenia felina(FPV M38246) e alle varianti antigeniche CPV-2a, CPV-2b, CPV-2c, NewCPV-2a e New CPV-2b. F: feci; I: intestino. 247 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Figura 1. Albero filogenetico ottenuto dal confronto delle sequenze di un tratto di 611bp del gene codificante per la proteina VP2 del CPV ottenute dai nostri campioni con quelle presenti in banca dati del National Center for Biotechnology Information (NCBIhttp://www.ncbi.nlm.nih.gov). I simboli rossi indicano i campioni da noi sequenziati. Cerchio: feci; quadrato: intestino; rombo: controllo positivo. BIBLIOGRAFIA: 1. Buonavoglia, C., Martella, V., Pratelli, A., Tempesta, M., Cavalli, A., Buonavoglia,D., Bozzo, G., Elia, G., Decaro, N., Carmichael, L.E., 2001. Evidence for evolution of canine parvovirus type-2 in Italy. J. Gen. Virol. 82, 1555–1560. 2. Decaro, N., Martella, V., Desario, C., Bellacicco, A.L., Camero, M., Manna, L., d’Aloja, D., Buonavoglia, C., 2006. First detection of canine parvovirus type 2c in pups with haemorrhagic enteritis in Spain. J. Vet. Med. B Infect. Dis. Vet. Public Health 53, 468–472. 3. Decaro, N., Elia, G., Martella, V., Campolo, M., Desario, C., Camero, M., Cirone, F., Lorusso, E., Lucente, M.S., Narcisi, D., Scalia, P., Buonavoglia, C., 2006b. Characterisation of the canine parvovirus type 2 variants using minor groove binder probe technology. J. Virol. Methods 133, 92–99. 4. Decaro, N., Desario, C., Addie, D.D., Martella, V., Vieira, M.J., Elia, G., Zicola, A., Davis, C., Thompson, G., Thiry, E., Truyen, U., Buonavoglia, C., 2007a. Molecular epidemiology of canine parvovirus, Europe. Emerg. Infect. Dis. 13, 1222–1224. 5. Decaro, N., Buonavoglia, C., 2012. Canine parvovirus—A review of epidemiological and diagnostic aspects, with emphasis on type 2c. Vet Microbiol 155, 1–12 6. Perez R., Bianchi P., Calleros L., Francia L., Hernandez M., Maya L., Panzera Y., Sosa K., Zoller S., 2012. Recent spreading of a divergent canine parvovirus type 2a (CPV-2a) strain in a CPV-2c homogenous population. Vet Microbiol 155, 214–219 7. Tamura K, Peterson D, Peterson N, Stecher G, Nei M, and Kumar S (2011) MEGA5: Molecular Evolutionary Genetics Analysis using Maximum Likelihood, Evolutionary Distance, and Maximum Parsimony Methods. Molecular Biology and Evolution 28: 2731-2739. 248 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 OSSERVAZIONI PRELIMINARI SU ISOLAMENTI DI ESCHERICHIA COLI PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINE IN PIEMONTE IN UNGULATI SELVATICI D’Errico V.*[1], Giorgi I.[1], Perosino M.[1], Sant S.[1], Grattarola C.[1], Mei D.[1], Perruchon M.[1], Di Gregorio V.[1], Goria M.[1], Radaelli C.[1], Chiavacci L.[1], Dondo A.[1], Zoppi S.[1] Keywords: wild ungulates, E. coli O157, E.coli O145 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino [1] SUMMARY: The presence of Shiga toxin-producing E. coli in wildlife is not easily controllable and only few studies were conducted to establish their epidemiological role in maintenance and transmission to livestock. In this preliminary study conducted in Piedmont Region, low positivity for serogroups O157 (wildboar, 2,6%) and O145 (wild ruminants, 2,2%) limited to specific areas were detected. Furthe studies have to be conducted to establish the role of wildlife in these areas and to assess the risk that wildlife-carried strains could be transferred to human. INTRODUZIONE: Escherichia coli è un batterio Gram negativo, appartenente alla famiglia delle Enterobacteriaceae, generalmente conosciuto come normale saprofita dell’intestino dell’uomo e degli animali, ma alcuni sierogruppi, provvisti del gene eae, sono in grado di causare, nell’uomo, patologie estremamente gravi come la colite emorragica e la sindrome emolitico-uremico (SEU). Oltre a O157 e al più recente O104 (1), altri sierogruppi sono stati comunemente associati ad episodi di SEU nell’uomo: O26, O103, O111 e O145 (8) e le indagini epidemiologiche condotte hanno evidenziato un ruolo attivo degli animali zootecnici (4), in particolare del bovino (3,6,7,9), mentre informazioni sul coinvolgimento dei selvatici nell’epidemiologia degli STEC sono piuttosto scarse (5, 10). A livello nazionale, e in particolare nel Trentino Alto Adige, sono stati segnalati casi sporadici di E. coli O157 produttore di Verocitotossine in caprioli e cervi (2). La Regione Piemonte, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, nel 2010 ha rivisto e integrato il Piano di Controllo Sanitario della Fauna Selvatica già previsto dal DPR 607/96, includendo, tra gli altri enterobatteri patogeni la ricerca di STEC nelle feci di ungulati selvatici (ruminanti selvatici e suidi). Questo report rappresenta la prima segnalazione di STEC negli ungulati selvatici in Piemonte. MATERIALI E METODI: Sono stati raccolti complessivamente 173 campioni di feci (Gennaio 2011- Agosto 2012), di cui 38 prelevati da cinghiali (22%) e 135 da ruminanti selvatici (78%). 1 g di feci sono state risospese in 9 ml di acqua peptonata tamponata (BPW) e incubate a 37°C in aerofilia per 18 ore. Successivamente 1 ml di brodocoltura è stato sottoposto ad immunomagnetoseparazione (IMS) e successiva semina su CT-SMAC per l’isolamento selettivo di O157 (ISO/TC34/SC9/ WG), e in parallelo un’aliquota da 500 µl di brodocoltura inattivata a 95°C per 45 minuti, è stata sottoposta a PCR realtime. Il DNA è stato estratto utilizzando il kit ChargeSwitch gDNA mini bacterial (Life Technologies); le determinazioni per la presenza dei fattori di patogenicità (stx1, stx2, eae) e per l’identificazione del sierogruppo (O157, O111, O26, O145, O103) sono state condotte in realtime PCR con metodo TaqMan; le sequenze di primers e sonde sono riportate in Annex E di ISO/ TS 13 136 :2011 (E) (ISO/T/SC9/WG). Le piastre di CT-SMAC sono state incubate a 37 °C per 1824 ore. Le colonie sospette sorbitolo negative di colore giallo sono state sottoposte a conferma mediante PCR real time, utilizzando la metodica descritta in precedenza. In aggiunta alla ricerca sistematica di O157, in caso di positività in PCR della brodo coltura per altro sierogruppo, 1 ml di brodo coltura è stato sottoposto a IMS con biglie specifiche, e successivamente il campione è stato seminato su terreno cromogeno messo a punto da Possè et al. (11). Anche in questo caso, eventuali colonie sospette sono state sottoposte a conferma mediante PCR real time. RISULTATI E CONCLUSIONI: Per quanto riguarda i ruminanti selvatici la ricerca specifica di O157 sia in PCR real time, sia all’esame colturale ha dato esito negativo su tutti i 135 campioni esaminati. La PCR real time ha tuttavia evidenziato positività per eae e vtx2, come indicato in tabella 1, oltre alla presenza di positività per altri sierogruppi. Tre ruminanti selvatici sono infatti risultati positivi al sierogruppo O145, confermato anche mediante isolamento batteriologico. Di questi tre campioni, due erano stati prelevati rispettivamente da un daino (eae+/vtx1-/vtx2-) e da un capriolo (eae-/vtx1-/vtx2+), provenienti dallo stesso areale di caccia, nel Novarese. Il campionamento non è stato contestuale, ma differito di sei mesi, per cui è ipotizzabile che ci sia una fonte comune e continua d’infezione, probabilmente correlata alla forte vocazione zootecnica della zone. Il terzo campione proveniva da un capriolo (eae+/vtx1-/vtx2+) trovato morto nella zona di Verbania. Per quanto riguarda i cinghiali, la ricerca specifica di O157 ha dato esito positivo per un campione (eae+/vtx1-/vtx2+) su 38, proveniente da un animale prelevato nella zona di Perosa Argentina (Torino). La PCR real time ha evidenziato, anche nel caso dei cinghiali, positività per eae e vtx2, come indicato in tabella 2. Questi risultati preliminari consentono di supporre che, anche nella nostra regione, gli ungulati selvatici possano rivestire un ruolo significativo nel mantenimento e nella trasmissione di STEC non solo agli animali domestici ma potenzialmente anche all’uomo, specie se si considerano la abituali pratiche di eviscerazione della selvaggina cacciata. E’ inoltre interessante, e sicuramente sarà argomento di ulteriori approfondimenti, il riscontro di positività legato ad uno specifico contesto geografico, che fa supporre quindi la presenza di cluster d’infezione nell’area ticinese in provincia di Novara. I risultati del presente lavoro confermano quindi l’importanza strategica delle indagini messe in atto sui selvatici presenti sul nostro territorio regionale per monitorare la presenza e la distribuzione di STEC. 249 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tabella 1: esiti PCR (eae, vtx1 e 2) su feci di ruminanti selvatici Tabella 2: esiti PCR (eae, vtx1 e 2) su feci di cinghiale 250 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1.Buvens G, Pierard D, 2012. Infections with verotoxinproducing Escherichia coli O157:H7 and other serotypes, including the outbreak strain O104:H4. Acta Clin Belg 67(1):7-12 2.Conedera G., Bregoli M., Iob L., Pasolli C., Bellino M., Morabito S., Bozzoli R. (2004a). Primi isolamenti di Escherichia coli O157 in ruminanti selvatici in Italia. In: Proceedings IV Workshop nazionale Enter-net Italia - Sistema di sorveglianza delle infezioni enteriche, 39, Roma, 25-26 novembre. 3.Cray W.C. 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Vet Microbiol, 98(3-4): 323-328. 8.Mainil J.C., Daube G. (2005). Verotoxigenic Escherichia coli from animals, humans and foods: who’s who? J Appl Microbiol, 98(6): 1332-1344. 9.Martin A, Beutin L. Characteristics of Shiga toxin-producing Escherichia coli from meat and milk products of different origins and association with food producing animals as main contamination sources. Int J Food Microbiol. 2011 Mar 15;146(1):99104. Epub 2011 Mar 2. 10.Mora A, López C, Dhabi G, López-Beceiro AM, Fidalgo LE, Díaz EA, Martínez-Carrasco C, Mamani R, Herrera A, Blanco JE, Blanco M, Blanco J. Seropathotypes, Phylogroups, Stx subtypes, and intimin types of wildlife-carried, shiga toxin-producing escherichia coli strains with the same characteristics as human-pathogenic isolates. Appl Environ Microbiol. 2012 Apr;78(8):2578-85. Epub 2012 Feb 3. 11.Possé B, De Zutter L, Heyndrickx M, Herman L, 2008. Novel differential and confirmation pltaing media for Shiga toxinproducing Escherichia coli serotypes O26, O103, O111, O145 and sorbitol-positive and negative O157. FEMS Microbiol Lett. 282(1):124-31 251 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RICERCA DI CALICIVIRUS E VIRUS DELL’EPATITE E IN SUINI CON DIARREA Di Bartolo I.*[1], Angeloni G.[1], Tofani S.[1], Ponterio E.[1], Maione E.[2], Marrone R.[2], Cortesi M.L.[2], Ostanello F.[3], Ruggeri F.M.[1] Keywords: Hepatitis E, Caliciviridae, suino 1Dip. Sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare, Istituto Superiore di Sanità ~ Roma, [2] 2 Dip. di Scienze Zootecniche e Ispezione Alimenti (DISCIZIA) Facoltà di Medicina Veterinaria Università degli Studi di Napoli Federico II; ~ Napoli, [3] Dip. di Scienze mediche veterinarie, Università di Bologna ~ Ozzano Emilia (BO) [1] SUMMARY: Sapovirus (SaV) and norovirus (NoV) can infect both human and animals. Direct zoonotic transmission appears to be rare, however human and swine strains are correlated. In this study, wide presence of SaV, exhibiting high genetic variability, was confirmed in pigs affected with diarrhea. None of the porcine samples was positive for NoV. Samples were also investigated for Hepatitis E virus (HEV) that is an emerging zoonotic disease. This study confirms wide spread of HEV RNA in swine. Nucleotide sequences confirm that the strains belong to genotype 3, also identified in human cases in Italy. INTRODUZIONE: Norovirus (NoV) e sapovirus (SaV) sono virus a RNA monocatenario appartenenti alla famiglia Caliciviridae. NoV e SaV rappresentano la seconda causa di ricovero ospedaliero per gastroenterite (GE) pediatrica e, i NoV da soli, sono responsabili di oltre il 50% delle epidemie di GE nell’adulto. NoV e SaV infettano anche alcuni animali domestici, in particolare suini e bovini, che potrebbero essere potenziali serbatoi di infezione per l’uomo. Anche se la trasmissione di ceppi di NoV suino, vicini geneticamente ai ceppi umani, e di ceppi di SaV non è stata dimostrata, il loro potenziale zoonotico non può essere escluso in considerazione del numero limitato di studi ad oggi condotti. L’Epatite E è una malattia infettiva con caratteristiche cliniche di epatite acuta causata da un virus a RNA (HEV), classificato nella famiglia Hepeviridae. Il genoma è costituito da 3 ORFs con organizzazione simile a quella dei NoV. Nei paesi in via di sviluppo, la malattia si manifesta con episodi epidemici associati al consumo di acqua contaminata. Casi sporadici di origine autoctona sono stati descritti anche in numerosi paesi industrializzati, Italia compresa. A partire dal 1997, ceppi suini di HEV sono stati identificati in suini (SwHEV) clinicamente sani nei diversi continenti e casi umani di Epatite E sono stati correlati con il consumo di carne o organi crudi o poco cotti di suino, cinghiale e cervo. Queste e altre evidenze, quali la vicinanza genetica tra ceppi umani e suini, portano a considerare HEV un agente di zoonosi. Numerose indagini condotte nel nostro laboratorio, su campioni prelevati da popolazioni di suini clinicamente sani appartenenti a varie classi di età, hanno dimostrato l’elevata diffusione di HEV in Italia, anche in animali adulti prossimi alla macellazione. Il presente lavoro ha valutato la prevalenza di calicivirus e del virus dell’Epatite E in suini di diverse fasce di età affetti da diarrea, provenienti da allevamenti dell’Emilia Romagna e dalla Basilicata. MATERIALI E METODI: Nei primi 6 mesi del 2012 sono stati esaminati 81 campioni di feci prelevati da altrettanti suini di 3 classi d’età (3-10; 10-30 e 30-90 giorni di vita), affetti da diarrea. I campioni sono stati raccolti in 2 allevamenti in Emilia Romagna e da un allevamento nella provincia di Potenza. L’RNA virale è stato estratto da sospensioni fecali al 10% (in acqua) utilizzando il kit Qiamp-Viral RNA (Qiagen) e analizzato mediante trascrizione inversa e PCR (RT-PCR), a cui è seguita, per HEV, una nested-PCR. Per la ricerca del genoma dei calicivirus è stata utilizzata la coppia di primer p289-290, che appaia in una regione della RdRp conservata e amplifica un frammento di 319 bp per NoV e di 331 bp per i SaV (2). Per i campioni negativi, è stata effettuata una seconda RT-PCR specifica per NoV del suino con i primer PNV7-PNV8, che amplificano 211 bp della RdRp. Per la ricerca del genoma di HEV, sono state utilizzate due coppie di primers degenerati, HE40-HE044 per la prima PCR e HE110-041 per la nested-PCR, che amplificano 400 bp nel gene ORF2 del capside virale (3). Gli amplificati ottenuti sono stati sequenziati e le sequenze sono state utilizzate per studi filogenetici mediante il software Bionumerics (maximum parsimony tree, Applied Maths, Belgium). RISULTATI E CONCLUSIONI: Il genoma di HEV è stato messo in evidenza in 31 degli 81 campioni fecali esaminati (38,3%). Sono risultati positivi per calicivirus 5/81 campioni (6,2%) (Tab. 1) e l’analisi delle sequenze ha rivelato che si trattava di SaV (Fig. 1). Quattro di questi ceppi appartenevano al genotipo GIX e un solo campione al GX. I ceppi GIX mostravano identità nucleotidica tra il 70% e il 100%, e due campioni provenienti dallo stesso allevamento risultavano identici. Ceppi di SaV del genotipo GIX sono stati precedentemente identificati in Italia nel 2006 in animali asintomatici (4); tuttavia, pur appartenendo allo stesso genotipo, essi mostravano identità nucleotidica dell’81%. Il genotipo GX non era ancora stato identificato in Italia, pur essendo già stato descritto in suini con diarrea in altri paesi Europei. Nessuna positività per calicivirus è stata evidenziata nell’allevamento di Potenza e nessun campione è risultato positivo all’RTPCR specifica per i NoV suini. In linea con quanto riportato in letteratura, i 5 campioni positivi per calicivirus provenivano tutti da animali tra 30 e 90 giorni di vita. Il genoma di HEV è stato rilevato in 31 campioni provenienti da animali di tutte le fasce di età, con prevalenza più alta (45,4%) nella fascia di età 10-30 giorni (Tab. 1). I 16 campioni positivi per HEV sequenziati appartenevano a diversi sottotipi del genotipo 3: 10 al sottotipo h, 1 al sottotipo c, e 5 al sottotipo f. Non è risultata correlazione tra le fasce d’età e il sottotipo identificato, mentre sembrava esistere un’associazione geografica con la distribuzione dei sottotipi: il sottotipo h è stato identificato solo in un allevamento dell’Emilia Romagna, mentre il sottotipo f era l’unico identificato nell’allevamento di Potenza. I risultati ottenuti confermano la diffusione dei SaV nei suini di 30-90 giorni di vita. La prevalenza osservata (8,6%) è di poco superiore a quella riscontrata (6,8%) in un precedente lavoro da noi condotto su suini asintomatici (4). Ciò potrebbe suggerire un possibile ruolo, come co-fattore, delle infezioni da SaV nell’insorgenza di diarree nelle fasi di svezzamento, potenziando l’azione di altri agenti eziologici. L’analisi di sequenza ha confermato l’assenza di ceppi di SaV di genotipo III, che è stato il primo genotipo di SaV identificato ed è tuttora considerato il prototipo dei ceppi suini. I 252 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 genotipi di SaV identificati in questo studio, così come nel precedente studio del 2006 (4), sono molteplici, e alcuni di essi sono considerati vicini geneticamente ai ceppi umani, sebbene mai identificati nell’uomo. L’assenza di positività per NoV (che presenta prevalenze molto basse nei suini) potrebbe essere spiegata dal ridotto numero di campioni analizzati. E’ stata confermata l’elevata diffusione di HEV in Italia. La prevalenza osservata del 38,3% è paragonabile con quella ottenuta in lavori precedenti da noi condotti (1) su animali asintomatici (circa 40%). Come riportato in diversi studi, HEV non appare associato all’insorgenza di diarrea. Negli animali esaminati, la causa della diarrea non è stata chiarita e l’eventuale presenza di altri agenti eziologici batterici o virali responsabili di enterite sarà oggetto di studi successivi. Va sottolineato che nessun animale è risultato contemporaneamente positivo per SaV e HEV. Inoltre, l’analisi di sequenza dei campioni positivi per HEV ha evidenziato un’ampia variabilità dei sottotipi del genotipo 3 circolanti nei 3 allevamenti analizzati (Fig. 2). I ceppi suini identificati in questo studio appartenenti al g3 sottotipo h sono i più vicini ai ceppi umani identificati in Italia, mostrando con questi un’identità nucleotidica del 91%. In futuro, verranno condotte analisi di sequenza in regioni più ampie del genoma, così da valutare la possibile emersione di ceppi suini vicini ai ceppi umani e possibilmente dotati di maggiore capacità di trasmissione zoonotica. Tabella 1. Risultati delle RT-PCR per HEV e per calicivirus condotte sui campioni di feci di suino, divisi per fasce di età. Figura 1. Albero filogenetico in cui sono stati inclusi ceppi di SaV suini appartenenti a diversi genotipi. I ceppi suini italiani identificati sono indicati (con dot neri e stella per distinguere i due allevamenti di provenienza). 253 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Figura 2. Albero filogenetico in cui sono stati inclusi gruppi rappresentativi dei ceppi suini di HEV appartenenti a diversi genotipi, inclusi diversi sottotipi g3. I ceppi suini italiani identificati sono indicati (dot e stelle neri). BIBLIOGRAFIA: 1. Di Bartolo I, Diez-Valcarce M, Vasickova P, Kralik P, Hernandez M, Angeloni G, Ostanello F, Bouwknegt M, RodríguezLázaro D, Pavlik I, Ruggeri FM. 2012. Hepatitis e virus in pork production chain in Czech republic, Italy, and Spain, 2010. Emerg Infect Dis. 18:1282-9. 2. Li K, Zhuang H, Zhu W, Ruan B, Jiang J, Li S, Zhai Q, Yao Z, Tang R, Chen Y.1999. A preliminary study on hepatitis E virus antibody IgG and IgM for the diagnosis of acute hepatitis E. Zhonghua Nei Ke Za Zhi 38:733-6. 3. Mizuo H, Suzuki K, Takikawa Y, Sugai Y, Tokita H, Akahane Y, Itoh K, Gotanda Y, Takahashi M, Nishizawa T, Okamoto H. 2002. Polyphyletic strains of hepatitis E virus are responsible for sporadic cases of acute hepatitis in Japan. J Clin Microbiol. 40:3209-18. 4. Reuter G, Zimsek-Mijovski J, Poljsak-Prijatelj M, Di Bartolo I, Ruggeri FM, Kantala T, Maunula L, Kiss I, Kecskeméti S, Halaihel N, Buesa J, Johnsen C, Hjulsager CK, Larsen LE, Koopmans M, Böttiger B. 2010. Incidence, diversity, and molecular epidemiology of sapoviruses in swine across Europe. J Clin Microbiol. 48:363-8. 254 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 EFFETTO DELL’EMOLISI SULLA QUANTIFICAZIONE DELLE PRINCIPALI SIEROPROTEINE DEL SUINO Di Martino G.*[1], Stefani A.L.[1], Gagliazzo L.[1], Gabai G.[2], Signor F.[3], Bonfanti L.[1] Keywords: emolisi, sieroproteine, suino [1] Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Legnaro (PD), Università di Padova, Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione ~ Legnaro (PD), [3] ULSS 3 di Bassano, Dipartimento di Prevenzione ~ Bassano (VI) [2] SUMMARY: Swine erythrocyte fragility is likely to produce a variable degree of haemolysis during blood sampling and free haemoglobin may unexpectedly affect the analytes quantification. The aim of this work was to determine the cut-off thresholds to consider some seroproteins as acceptable. To this end, we induced steady levels of physical haemolysis in 3 aliquots from 30 unhaemolytic sera and evaluated its effect on analytes quantification. To determine haemolysis level we compared a visual estimation (score 0 to 3) to haemolysis index (analytical), with optimal correlation at level 0-1-2. INTRODUZIONE: La specie suina risulta fisiologicamente caratterizzata da una fragilità eritrocitaria circa doppia rispetto alle altre specie domestiche (1). Tale fragilità genera molto facilmente fenomeni di emolisi sia in corso di prelievi ematici, sia in risposta a condizioni di stress (2). Ne deriva che, anche nelle migliori condizioni e in presenza di personale qualificato, le fasi di prelievo/trasporto e conservazione rappresentano un notevole punto critico per l’idoneità dei campioni (3), con percentuali di marcatamente emolitici fino al 7-8% (3, 4). Dati non pubblicati evidenziano percentuali anche molto maggiori (oltre il 20%) tra fine svezzamento e inizio ingrasso. La diffusione di emoglobina libera nel siero e, più in generale, l’emolisi possono interferire in modo variabile con la determinazione di diversi parametri ematologici, attraverso interazione chimica o impedenza ottica. Il fenomeno è segnalato dalle Ditte produttrici di kit commerciali ed è stato oggetto di approfondimenti in medicina umana, ambito in cui la quota di campioni emolitici si attesta normalmente attorno al 3,3% (5). Sono invece ancora molto limitati gli studi specifici in campo veterinario, in particolare in relazione alle proteine di fase acuta, di crescente interesse nella valutazione del benessere animale. Aptoglobina sierica (HP), Proteina C reattiva (CRP) e frazioni globuliniche sono infatti considerate nella specie suina non solo marker precoci dell’insorgenza di patologie (esprimibili come flogosi subclinica), ma anche indicatori di condizioni di allevamento non adeguate (6). Risulta fondamentale, nei contesti di ricerca ove sono impiegate, sia mantenere una numerosità campionaria predefinita riducendo al minimo le perdite, sia garantire l’affidabilità della loro quantificazione. L’obiettivo di questo lavoro è quindi la definizione di soglie cut-off oltre le quali l’emolisi altera in modo significativo la quantificazione di HP, CRP, albumina e globuline. Inoltre è stata effettuata una verifica di quanto siano correlabili la routinaria valutazione visiva (attribuzione di un punteggio da 0 a 3) e quella analitica, (quantificazione di un indice di emolisi che riflette la concentrazione di emoglobina libera). MATERIALI E METODI: In sede di macellazione, a 30 suini scelti casualmente è stato prelevato un campione ematico ripartito in 4 aliquote (A,B,C,D). I campioni sono stati trasportati a 4°C al laboratorio e centrifugati a 2400xg per 10 minuti a 20°C. Su ciascuna delle aliquote B,C e D è stata indotta fisicamente emolisi in modo progressivo così da raggiungere rispettivamente un punteggio visivo di 1, 2 e 3 (attraverso confronto con una scala colorimetrica di riferimento). I sieri sono poi stati stoccati a -20°C fino al momento dell’analisi. La concentrazione di HP sierica è stata determinata attraverso kit commerciale ELISA (Phase Haptoglobin, Tridelta Develpoment Ltd, Maynooth, County Kildare, Irlanda). La concentrazione di CRP sierica è stata determinata mediante kit ELISA (Phase Porcine CRP, Tridelta Development Ltd). La percentuale delle frazioni proteiche è stata determinata attraverso elettroforesi semiautomatizzata (Hydrasis LC, SEBIA, EVRY Cedex, Francia) su gel di agarosio allo 0,8% (Hydragel 30 Protein, SEBIA, EVRY Cedex, Francia). Per determinare la concentrazione di albumina e globuline le proteine totali del siero sono state quantificate con analizzatore automatizzato (Cobas C501, ROCHE, Basel, Svizzera) attraverso kit colorimetrico con reagente di Biureto (TP, ROCHE, Basel, Svizzera). L’indice di emolisi è stato determinato mediante utilizzo della metodica SI2 (Serum Index Gen. 2, Roche) applicata al Cobas C501. Per valutare la corrispondenza tra metodo visivo e analitico è stata applicata una determinazione di cut-off attraverso analisi con curve ROC. Per valutare la significatività delle differenze nella quantificazione dei diversi parametri analitici in relazione ai livelli di emolisi è stato applicato il test di Friedman. Infine è stato applicato il test di Wilcoxon per i confronti a coppie tra livelli di emolisi. RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati di distribuzione dei valori di punteggio visivo in relazione all’indice di emolisi sono indicati in Fig.1. L’analisi attraverso curve ROC conferma una corrispondenza ottimale tra i due metodi per livelli 0-1 (cut off stimato: 36mg/dL con sensibilità 100%, specificità 100%) e 1-2 (cut off stimato: 72 mg/dL con sensibilità 100%, specificità 96,7%) di emolisi, mentre si evidenzia una certa sovrapposizione per livelli 2-3 tra 127 mg/dL (sensibilità 100%, specificità 70%) e 177 mg/dL (sensibilità 80%, specificità 100%). Questi dati confermano l’affidabilità della valutazione visiva effettuata da personale tecnico adeguatamente formato. I risultati della correlazione tra livelli crescenti di emolisi e quantificazione delle diverse sieroproteine sono indicati in Tab.1. L’analisi statistica ha permesso di evidenziare come il fenomeno di emolisi abbia un effetto variabile in base al grado e al diverso analita. La CRP non ne risulta influenzata: l’interferenza da emolisi negli immunodosaggi viene infatti riportata meno frequentemente rispetto ai dosaggi fotometrici (7); la valutazione delle sieroproteine viene invece influenzata anche da livelli lievi di emolisi, con particolare riferimento alle α e β2-globuline. E’ descritto anche in medicina umana come, durante l’elettroforesi, i complessi emoglobina-HP e l’emoglobina libera diffondano proprio a livello di queste bande proteiche (5). Le 255 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 albumine hanno evidenziato una sottostima proporzionale al livello di emolisi: questo dato è in accordo con gli studi di medicina umana, che tuttavia non sempre hanno rilevato variazioni significative (8). Le variazioni delle frazioni proteiche non proporzionalmente correlabili al grado di emolisi possono essere giustificate dalla presenza di bande diffuse in seguito all’elettroforesi dei campioni emolitici, che rendono meno semplice e netta la separazione delle frazioni stesse. Inoltre l’aumento reale di alcune frazioni elettroforetiche legato all’emoglobina potrebbe spiegare il decremento apparente delle altre frazioni, ma comunque non si verifica in quantità tale da determinare una variazione significativa delle proteine totali. In letteratura i dati relativi alla specie suina sono molto limitati; Petersen et al. (9) confrontano 30 campioni non emolitici con 30 emolizzati in vivo, evidenziando un decremento significativo della HP nel gruppo emolizzato. In questo lavoro abbiamo al contrario evidenziato come l’HP subisca un incremento significativo, ma solo per livelli molto elevati di emolisi. Studi di medicina umana riconoscono nella diminuzione dell’HP un marker di emolisi in vivo dovuto alla formazione di complessi HP-emoglobina, ma non segnalano questo effetto in vitro, poichè questi sono eliminati per captazione monocito-macrofagica (5). In conclusione questo studio ha evidenziato la complessità dell’interferenza dell’emolisi anche in campo veterinario, ma ha permesso di identificare per diversi parametri dei cut-off di idoneità, con un interessante risvolto pratico. 256 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1 Oyewale J.O. (1992). Changes in osmotic resistance of erythrocytes of cattle, pigs, rats and rabbits during variations in temperature and pH. J. Vet. Med. 39, 98-104. 2 Adenkola A.Y., Ayo J.O., Sackey A.K.B., Adelaiye A..B. (2010). Erythrocyte osmotic fragility of pigs administered ascorbic acid and transported by road for short-term duration during the harmattan season. African J. Biotech. 9, 226-233. 3 Rota Nodari S., Archetti I., Guerra P., Candotti P. (2009) Intervalli di riferimento di alcuni parametri biochimici in scrofe. In: “Atti della società Italiana di Patologia ed Allevamento dei Suini”. XXXV Meeting annuale, Modena, 12-13 marzo 2009. 4 Di Martino G., Stefani A., Gottardo F., Scollo A., Schiavon E., Capello K., Bonfanti L. (2011). Effetto dell’età e del sesso in alcuni parametric ematici correlate allo stress in suini pesanti in fase di ingrasso. In: “Atti della società Italiana di Patologia ed Allevamento dei Suini”. XXXVII Meeting annuale, Piacenza, 24-25 Marzo 2011. 5 Lippi G., Blanckaert N., Bonini P., Green S., Kitchen S., Palicka V., Vassault A.J., Plebani M. (2008), Haemolysis: an overview of the leading cause of unsuitable specimens in clinical laboratories. Clin. Chem. Lab. Med. 46, 764-72. 6 Kaneko J.J. (2008). “Clinical biochemistry of domestic animals”. 6th ed. Academic Press, San Diego, California. 7 Selby C., Interference in immunoassay (1999). Ann. Clin. Bioch. 36, 704-21. 8 Lippi G., Salvagno G.L., Montagnana M., Brocco G, Guidi G.C. (2008). Influence of hemolysis on routine clinical chemistry testing. Clin. Chem. Lab. Med. 44, 311-316 9 Petersen H.H., Nielsen J.P., Jensen A.L., Heegaard P.M.H. (2001). Evaluation of an enzyme linked immunosorbent assay (ELISA) for determination of porcine haptoglobin. J. Vet. Med. A 48, 513-523. 257 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RILEVAMENTO DI E. COLI E COLIFORMI IN ACQUE MINERALI NATURALI IMBOTTIGLIATE MEDIANTE METODO INNOVATIVO Di Pasquale S.*[1], De Medici D.[1] Keywords: Metodo rapido, Acque Minerali, E. coli e coliformi [1] Istituto Superiore di Sanità ~ Roma SUMMARY: The bottled natural mineral water can be a potential health hazard to consumers, if contaminated with E.coli and/or coliforms or other pathogenic bacteria and not detected by routine analyzes to the source, after bottling, during storage, and distribution. In this study, an innovative method, able to determine the parameters of E.coli and coliforms in bottled mineral water using a new chromogenic medium RAPID’E.coli2 agar, has been validated. The method was sensitive, specific, accurate, easy to perform, and may be used as a valid substitute of the reference methods. INTRODUZIONE: Negli ultimi dieci anni c’è stato un incremento globale della domanda mondiale di acqua minerale imbottigliata e dati relativi al 2010 evidenziano un consumo di circa 148 miliardi di litri ed il maggior consumatore a livello mondiale risulta l’Italia (186 litri/anno pro capite), seguita da Germania (160 litri/anno pro capite), Messico (149 litri/anno pro capite), Turchia (126 litri/anno pro capite) e Francia (115 litri/anno pro capite). Nel 2011 nel nostro paese, sono state imbottigliate circa 12.200 milioni di litri di acqua minerale, registrando un fatturato pari a 2.240 milioni di euro; per questa ragione le autorità sanitarie mostrano un grande interesse in termini di rischi associati con il consumo di acqua minerale e adottano norme in materia, che hanno l’obiettivo prioritario di: proteggere la salute del consumatore, evitare che i consumatori siano ingannati e assicurare la lealtà delle operazioni commerciali. Tali norme come, il DLvo 8/10/2011 n. 176 con cui è stata recepita recentemente la Direttiva 2009/54/CE del 18/06/2009, il DM del 12/10/1992 n.542, la Cir.del Min. della San. n.17 del 13/9/1991 e il successivo DM del 13/1/1993 (2), indicano i requisiti minimi di purezza delle acque minerali ed i metodi microbiologici di riferimento per la ricerca degli indicatori di contaminazione fecale. Nelle acque minerali gli indicatori ricercati sono gli E.coli ed i coliformi, che attraverso la tecnica delle membrane filtranti, vengono concentrati e con l’uso di terreni di coltura selettivi e prove di conferma, vengono isolati ed identificati. Negli ultimi decenni, al fine di ridurre i tempi di analisi ed i costi per prove di conferma, sono stati sviluppati metodi di analisi innovativi per la ricerca degli E.coli e coliformi fecali. Molto interessante è stato l’utilizzo di nuovi terreni di coltura cromogeni, che per mezzo di molecole fluorofore e cromofore, riescono a determinare i batteri per la presenza di particolari enzimi che sfruttano l’attività β-galattosidasica e β-glucuronidasica. Obiettivo dello studio, è stato la validazione di un metodo innovativo in grado di determinare i parametri di E.coli e coliformi nelle acque minerali imbottigliate, senza effettuare prove di conferma o di identificazione biochimiche delle colonie sospette o difficilmente interpretabili. Tale metodo, impiegava un nuovo terreno cromogeno RAPID’E.coli2 agar, che veniva sottoposto ad un’unica temperatura di incubazione di 37°C per 24 ore. Nell’ambito del processo di validazione, il metodo innovativo è stato confrontato sia con il metodo microbiologico specifico per le acque minerali come riportato nella Cir. del Min. della San. n.17 del 13/9/1991 e nel DM del 13/1/1993, sia con il me- todo ISO 9308-1 (4), impiegato per la ricerca di E.coli e batteri coliformi nell’acqua per il consumo umano come previsto dal DLgs. 31/2001, al fine della valutazione dell’efficacia ed efficienza del metodo ISO anche per le acque minerali, e non solo per le acque destinate al consumo umano come riportato nel campo di applicazione. MATERIALI E METODI: Nell’ambito del processo di validazione (3) sono stati determinati i seguenti parametri: inclusività ed esclusività, limite di quantificazione, sensibilità, specificità e accuratezza. Per gli studi di inclusività ed esclusività sono stati utilizzati 4 ceppi di E.coli, 10 ceppi di coliformi e 35 ceppi di patogeni non target. La semina dei microrganismi è stata effettuata sul terreno cromogeno (terreno RAPID’E.coli2 agar), e sui terreni previsti dai metodi di riferimento. Per quanto riguarda il LOD, per ciascun gruppo di microrganismi, E.coli e coliformi, sono state contaminate 12 bottiglie da 1,5 litri di acqua minerale, 3 delle quali con una concentrazione compresa tra 100-1000 ufc/250ml, 3 bottiglie con una concentrazione compresa tra 10-100 ufc/250ml, 3 bottiglie con una concentrazione compresa tra 1-10 ufc/250ml e le ultime 3 bottiglie non contaminate, utilizzate come controllo negativo. Successivamente si è proceduto con la filtrazione su membrana di 18 aliquote prelevate da ciascun campione costituito da 3 bottiglie. Sei aliquote sono state seminate sul terreno cromogeno, 6 sui terreni indicati dalla Circ. Min. n°17 e le ultime 6 sono state seminate sui terreni indicati dal metodo ISO. I parametri di accuratezza, precisione e sensibilità, sono stati valutati, per ciascun gruppo di microrganismi (E.coli e coliformi) su 30 campioni: 10 campioni sono stati contaminati con la brodo-coltura di lavoro con una concentrazione di batteri che corrispondeva al livello di contaminazione superiore a 10 volte il LOD, 10 campioni sono stati contaminati con una concentrazione di batteri che corrispondeva al livello di contaminazione prossime al LOD e 10 campioni utilizzati come controlli negativi. Anche in questo caso, lo studio ha previsto le filtrazioni dei campioni su membrana, con conseguente semina sul terreno cromogeno e sui terreni previsti dai metodi di riferimento. RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati relativi ad inclusività ed esclusività hanno mostrano che, i 4 ceppi di E.coli utilizzati, sono stati rilevati con il metodo RAPID’E.Coli2 producendo colonie tipiche di colore viola ottenute dall’attività β-galattosidasica e β-glucuronidasica, quest’ultima esclusiva dell’E.coli. I 10 diversi ceppi di coliformi, analizzati con il terreno cromogeno, hanno presentato invece una tipica colorazione verde delle colonie, dovuta alla sola attività enzimatica della β-galattosidasi. Tra i 33 ceppi di microrganismi non target presi in considerazione, 16 non hanno determinato la crescita di colonie tipiche sul terreno cromogeno RAPID’E.coli2 agar, 15 ceppi batterici sul medesimo terreno hanno mostrato colonie bianche non caratteristiche per l’assenza dei due enzimi. Infin, 2 ceppi di Shigella sonneii sul terreno cromogeno hanno presentato colonie viola. 258 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Dai dati ottenuti per il LOD si evince che, il metodo innovativo è stato in grado di rilevare anche poche cellule batteriche di E.coli e di coliformi in 250 ml di acqua minerale calcolato su sei replicati; dati equivalenti sono stati ottenuti con i due metodi di riferimento sia per E.coli che per i coliformi. I risultati, ottenuti hanno evidenziato che il metodo innovativo nei riguardi degli E.coli e dei coliformi era sensibile, specifico e accurato. Infine, dallo studio di valutazione dell’efficacia e dell’efficienza del metodo ISO i risultati ottenuti, hanno mostrato una equivalenza con i dati raggiunti con il metodo di riferimento per le acque minerali. In Conclusione è stato dimostrato che il metodo innovativo RAPID’E.Coli2, che prevede l’impiego di un terreno cromogeno per la ricerca di E.coli e coliformi, è sensibile, specifico e accurato, semplice da utilizzare e poco costoso con una sola eccezione per la specie Shigella sonnei che ha sviluppato colonie viola tipiche dell’E.coli; quindi un eventuale presenza di questo microrganismo nelle acque minerali potrebbe indicare risultati falsi positivi ma va sottolineato che, pur non appartenendo al genere E.coli tale microrganismo è comunque di origine fecale. Il metodo innovativo è stato quindi validato, sia nei confronti del metodo riportato nella Cir. Min. n°17 sia nei riguardi del metodo ISO. L’utilizzo del terreno cromogeno (RAPID’E.Coli2 agar) ha permesso di discriminare con un’unica incubazione a 37°C per 24 ore le colonie di E.coli e di coliformi, quindi potrebbe essere utilizzato come valido sostituto dei metodi di riferimento citati, in quanto non prevede prove di conferma o di identificazione biochimiche di colonie sospette o difficilmente interpretabili come previsto dai metodi di riferimento. In conclusione, le acque minerali naturali imbottigliate possono costituire un potenziale pericolo per la salute dei consumatori, se contaminate da E.coli e/o coliformi o da altri batteri patogeni e non rilevati dalle analisi routinarie effettuate alla sorgente, dopo l’imbottigliamento e durante lo stoccaggio presso i depositi degli stabilimenti, e della distribuzione ma anche presso i punti vendita. BIBLIOGRAFIA: 1) DM del 12 /11/1992, n. 542 Regolamento recante i criteri di valutazione delle caratteristiche delle acque minerali naturali. 2) DM del 13/1/1993: “Metodi di analisi per la valutazione delle caratteristiche microbiologiche e di composizione delle acque minerali naturali e molalità per i relativi prelevamenti dei campioni. 3) EN ISO 16140:2005, “Microbiology of food animal feeding stuff-protocol for the validation of alternative methods”. 4) UNI EN ISO 9308-1 Qualità dell’acqua. Ricerca ed enumerazione di E. coli e batteri coliformi. Metodo di filtrazione su membrana 259 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 STUDIO SU ALCUNI NEMATODI GASTROINTESTINALI (SPIRURIDA) DEI RAPACI DIURNI (FALCONIFORMES AND ACCIPITRIFORMES) E NOTTURNI (STRIGIFORMES) IN CALABRIA: DIVERSITÀ, SPECIFICITÀ ED EFFETTO PATOGENO Di Prisco F.[1], D’Alessio N.[1], Degli Uberti B.[1], Guarino A.[1], Veneziano V.[1], Troisi S.[2], Santoro M.*[3] Keywords: nematodi gastrointestinali, spirurida, rapaci Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sezione di Avellino ~ Portici (NA), [2] Istituto Gestione Della Fauna Onlus ~ Napoli, [3] Università Sapienza di Roma, Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sezione di Parassitologia ~ Roma [1] SUMMARY: Nematodes belonging to Order Spirurida are the most important endoparasites reported in raptors regarding both diversity and pathological effects. Here we studied the diversity, specificity and pathological changes by gastrointestinal spirurid nematodes in birds of prey and owls from Calabria, Southern Italy. A total of 13 spirurid species were found in 257 raptors including 135 birds of prey and 122 owls. Just a single helminth species (Synhimantus laticeps) was common to both birds of prey and owls suggesting different alimentary habits between the 2 raptor groups. Pathological changes including petechial haemorrhages, ulcers and necrosis were the most common lesions associated to Cheilospirura falconis, Dispharynx falconis, D. nasuta, Parachordatortilis mathewossianae, Physaloptera alata, P. mexicana, Procyrnea leptoptera, P. mansioni, Synhimantus affinis, S. laticeps, and S. robertdollfusi INTRODUZIONE: I nematodi dell’Ordine Spirurida sono considerati tra i più importanti endoparassiti degli uccelli rapaci sia per quanto concerne la diversità di specie che per la loro azione patogena (1, 2, 3). In letteratura esistono poche informazioni riguardo la loro specificità nell’ambito di una popolazione di rapaci (4), mentre ancora meno si conosce riguardo gli effetti e le lesioni che tale gruppo di nematodi è in grado di determinare. In questo lavoro riportiamo la diversità, la specificità e le lesioni causate dai nematodi dell’Ordine Spirurida nei rapaci diurni e notturni della Calabria. MATERIALI E METODI: Per questo studio sono stati esaminati un totale di 257 uccelli rapaci (135 rapaci diurni Accipitriformese e Falconiformes e 122 rapaci notturni Strigiformes), deceduti per differenti cause durante il periodo compreso tra gennaio del 2000 e dicembre del 2011 e raccolti nel Centro di Recupero Animali Selvatici di Rende, in provincia di Cosenza. I rapaci esaminati appartenevano a 11 diverse specie: 35 poiane (Buteo buteo), 20 sparvieri (Accipiter nisus), 21 falchi pecchiaioli (Pernis apivorus), 17 falchi di palude (Circus aeruginosus), 25 gheppi (Falco tinnunculus), 17 falchi pellegrini (Falco peregrinus), 30 civette (Athene noctua), 31 allocchi (Strix aluco), 41 barbagianni (Tyto alba), 10 gufi comuni (Asio otus), e 10 assioli (Otus scops). Durante l’esame anatomo patologico l’intero tratto digestivo (esofago, stomaco e intestino) è stato esaminato per la ricerca di endoparassiti. Gli elminti rinvenuti sono stati contati, preparati ed identificati secondo i protocolli e le tecniche usate da Krone (5). Un campione per ogni specie di parassita identificato è stato depositato nel “U.S. National Parasite Collection Beltsville. Campioni di tessuti su cui furono osservate lesioni macroscopiche o la presenza di nematodi furono prelevati per gli esami istopatologici al fine di valutare se tali lesioni fossero associate in qualche modo ai parassiti presenti. RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono stati identificati un totale di 12 specie di spiruridi (10 nei rapaci diurni e 3 nei rapaci notturni). Prevalenza e intensità d’infezione per ciascuna specie di rapace esaminato sono presentate nelle Tabelle 1 e 2. La specificità per l’ospite per ciascuna delle specie parassitarie identificate è illustrata in Tabella 3. Delle 12 specie di spiruridi identificati, solamente Synhimantus laticeps fu comune ai due gruppi di rapaci esaminati (diurni e notturni). Lesioni del tratto digestivo, consistenti prevalentemente in petecchie emorragiche, ulcere e lesioni necrotiche, furono associate alla presenza di Cheilospirura falconis, Dispharynx falconis, D. nasuta, Parachordatortilis mathewossianae, Physaloptera alata, P. mexicana, Procyrnea leptoptera, P. mansioni, Synhimantus affinis, S. laticeps, e S. robertdollfusi. Lo spettro alimentare e la capacità di selezionare le prede da parte dell’ospite vengono considerati tra i più importanti fattori che influenzano la fauna parassitaria dello stesso ospite. Le specie parassitarie qui identificate utilizzano come ospiti intermedi una grande varietà di insetti. Tuttavia ogni genere parassitario preferisce determinati gruppi di insetti da cui si può dedurre le abitudini alimentari dell’ospite. Per esempio, membri del genere Dispharynx e P. mathevossianae usano isopodi; membri del genere Physaloptera spp. usano coleotteri, dermatteri, dictiotteri e ortotteri; mentre i membri del genere Procyrnea usano ortotteri; membri del genere Synhimantus usano dermatteri, isopodi, e odonati (6). I risultati qui ottenuti suggeriscono un più ampio spettro alimentare per lo meno per quanto concerne la predazione su insetti, da parte dei rapaci diurni rispetto a quelli notturni. Questo è un aspetto importante soprattutto se si considera che i rapaci notturni si alimentano prevalentemente di insetti e roditori. La presenza di una singola specie in comune ai due gruppi di rapaci (S. laticeps; tra l’altro presente con scarsa prevalenza e intensità nei rapaci notturni rispetto ai rapaci diurni) conferma le differenze dei costumi alimentari tra i due gruppi esaminati consistente in un range di prede molto più ristretto nei rapaci notturni. L’azione dei parassiti sullo stato di salute dei rapaci è ancora un argomento molto dibattuto. Gli elminti possono giocare un ruolo patogeno importante soprattutto quando combinati con fattori stressanti. Tuttavia è stato visto come infestazioni parassitarie possano direttamente influenzare negativamente le performance di volo o di caccia predisponendo per esempio a traumi secondari. La maggioranza degli animali esaminati durante questo studio aveva lesioni traumatiche, ma se le infezioni parassitarie abbiano contribuito o meno a tali lesione rimane difficile da stabilire. 260 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tabella 1. Prevalenza (P) e Intensità media (In) dell’infezione da nematodi spiruridi identificati in 6 specie di rapaci diurni in Calabria Tabella 2. Prevalenza (P) e Intensità media (In) dell’infezione da nematodi spiruridi identificati in 5 specie di rapaci diurni in Calabria 261 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tabella 3. Classificazione dei nematodi spiruridi rinvenuti nei rapaci diurni e notturni della Calabria secondo la specificità dell’ospite; “specialista”: riportato come parassita adulto in una singola specie di rapace; “generalista in rapaci”, riportato come parassita adulto in almeno due specie di rapaci”; “generalista in altri uccelli”, riportato come parassita adulto in altri uccelli diversi dai rapaci BIBLIOGRAFIA: 1) Santoro M, Kinsella JM, Galiero G, degli Uberti B, Aznar FJ (2012) Helminth community structure in birds of prey (Accipitriformes and Falconiformes) in southern Italy. Journal of Parasitolology 98: 22-29. 2) Santoro M, Tripepi M, Kinsella JM, Panebianco A, Mattiucci S (2010) Helminth infestation in birds of prey (Accipitriformes and Falconiformes) in southern Italy. Veterinary Journal 186: 119-122. 3) Mutafchiev Y, Santoro M, Georgiev BB (2010) Parachordatortilis n. g. (Nematoda: Spirurida: Acuariidae), with a redescription of P. mathevossianae (Petrov & Chertkova, 1950) n. comb., a parasite of Falco tinnunculus L. (Aves: Falconiformes). Systematic Parasitology 76: 191-197. 4) Sanmartín ML, Alvarez A, Barreiro G, Leiro J (2004) Helminth fauna of falconiform and strigiform birds of prey in Galicia, northwest Spain. Parasitology Research 92: 255-263. 5) Krone O (2007) Endoparasites. In: Bird DM, Bildstein KL editors. Raptor, research and management techniques. Surrey: Hancock House Publishers. pp. 318–328. 6) Anderson RC (2000) Nematode parasites of vertebrates: Their development and transmission. Wallingford: CABI Publishing. 650 p. 262 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 AGENTI MASTIDOGENI DEL BOVINO IN VALLE D’AOSTA: RISULTATI DEL PIANO DI MONITORAGGIO CONDOTTO NEL TRIENNIO 2009-2011 Domenis L.*[1], Doglione L.[1], Orusa R.[1], Gallina S.[1], Bianchi D.M.[1], Vevey M.[2], Vitale N.[1], Dezzutto D.[1], Gennero S.[1], Bergagna S.[1] Keywords: mastitis pathogens, bovine, Aosta Valley Region Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino, ANABORAVA (Associazione Nazionale Allevatori Bovini Razza Valdostana) ~ Gressan (AO) [1] [2] SUMMARY: We report the results of control program against bovine mastitis pathogens performed in Aosta Valley Region during the period 2009-2011. The prevalence of positive herds for Streptococcus agalactiae decreased (from 28.8 % to 18.2 %) while for Staphylococcus aureus remained almost the same (from 39.1 % to 38.5 %). About environmental pathogens we registered the prevalence of staphylococci coagulase negative and streptococci (especially Streptococcus uberis and Streptococcus disgalactiae). All the strains were resistant to cloxacillin, one of the most used antimicrobial drug in the mastitis’ therapy. INTRODUZIONE: “Le mastiti costano molto all’allevatore. A seconda della frequenza e della gravità le mastiti possono comportare perdite di reddito fino a oltre 20.000 euro in un allevamento di soli 100 capi in lattazione” 1. Questo titolo, che introduce un articolo pubblicato nel 2006 da Daprà et al., descrive con una formula sintetica ma efficace il danno economico provocato dalle infezioni mammarie nelle bovine da latte. Come è noto, la mammella bovina può essere colonizzata, per fattori legati sia all’animale sia alle condizioni di allevamento e mungitura, da batteri contagiosi (Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus) e batteri ambientali od opportunisti (streptococchi, coliformi, stafilococchi coagulasi negativi) oltre che da microrganismi meno comuni come Pseudomonas aeruginosa, Nocardia spp., lieviti e alghe. Premesso che le mastiti sub-cliniche, proprio per la loro scarsa evidenza sintomatica, provocano i maggiori danni in stalla, le perdite economiche legate alle infezioni mammarie nella bovina da latte si concretizzano come segue: riduzione della produzione lattea, effetti negativi sulla composizione del latte (diminuzione grasso e proteine, difficoltà di caseificazione), perdita (ovvero scarto) del latte con residui di antibiotici nel caso di terapia, eliminazione prematura (o decesso in caso di mastiti gravi) di animali in produzione, costo di interventi e farmaci veterinari, rischio per la salute pubblica (Staphylococcus aureus può essere produttore di enterotossine così come ceppi bovini di Streptococcus agalactiae, seppur sporadicamente, possono infettare l’uomo). Alla luce di queste considerazioni, dalla fine degli anni novanta è attivo in Valle d’Aosta un piano di lotta alla mastite bovina, promosso dall’Anaborava (Associazione Nazionale Allevatori Bovini Razza Valdostana) in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, presso i cui laboratori sono stati condotti gli esami batteriologici per la ricerca dei principali agenti mastidogeni. MATERIALI E METODI: Nel 2009 sono stati esaminati 963 allevamenti (per un totale di 12429 capi), nel 2010 808 allevamenti (9710 capi) e nel 2011 764 allevamenti (10507 capi). Il latte individuale (pool proveniente dai quattro quarti mammari) dei capi in produzione è stato sottoposto ad esame batteriologico mediante i seguenti terreni di coltura (non selettivi e selettivi): AS (Agar Sangue), BPR – RPF (Baird Parker - Rabbit Plasma Fibrinogen), TKT (Tallium Kristalviolette Tossin) e AG (Agar Gassner). L’identificazione dei ceppi mastidogeni contagiosi (Staphylococcus aureus e Streptococcus agalactiae) e ambientali (Staphylococcus spp. Streptococcus spp., Escherichia coli, Pseudomonas spp. ecc.) è stata confermata, in caso di dubbio e a seconda del germe in causa, mediante sieroagglutinazione, CAMP test, prove biochimiche (Sistemi API Biomerieux) e biomolecolari (sequenziazione del gene 16 S rRNA), condotte secondo metodiche di routine. I dati raccolti sono stati elaborati con il software SAS@ 9.2 e per i patogeni Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus è stata calcolata la prevalenza a livello regionale e di allevamento. RISULTATI E CONCLUSIONI: a) Streptococcus agalactiae: 2009: prevalenza di aziende positive pari a 28.8 % (269 su 958) con una prevalenza media intrallevamento pari a 28.2 %. Prevalenza di capi positivi nella popolazione bovina testata: 12 %. 2010: prevalenza di aziende positive pari a 20.7 % (166 aziende su 804) con una prevalenza media intrallevamento pari a 27.8 %. Prevalenza di capi positivi nella popolazione bovina testata: 12.5 %. 2011: prevalenza di aziende positive pari a 18.2 % (139 aziende su 763) con una prevalenza media intrallevamento pari a 27.9 %. Prevalenza di capi positivi nella popolazione bovina testata: 6.5 %. b) Staphylococcus aureus: 2009: prevalenza di aziende positive pari a 39.1 % (377 aziende su 963) con una prevalenza media intrallevamento pari a 32.4 %. Prevalenza di capi positivi nella popolazione bovina testata: 16 %. 2010: prevalenza di aziende positive pari a 32.7 % (263 aziende su 807) con una prevalenza media intrallevamento pari a 29.8 %. Prevalenza di capi positivi nella popolazione bovina testata: 18 %. 2011: prevalenza di aziende positive pari a 38.5 % (293 aziende su 761) con una prevalenza media intrallevamento pari a 28.7 %. Prevalenza di capi positivi sulla popolazione bovina testata: 16.7 %. In Tabella 1 è riportata la distribuzione delle classi di prevalenza intraaziendale di Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus registrate nel triennio. c) Mastidogeni ambientali: in Tabella 2 viene riportato l’elenco dei mastidogeni ambientali con le relative prevalenze registrate nel triennio 263 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Per quanto riguarda Streptococcus agalactiae, agente della mastite contagiosa, i risultati rivelano una tendenza favorevole, con una diminuzione delle aziende positive statisticamente significativa (Test di trend Cochran-Armitage = 4.9 p <.0001), a testimonianza di una corretta applicazione delle misure di profilassi (separazione dei soggetti infetti, terapia antibiotica in asciutta e riforma degli animali con infezioni croniche). Una prevalenza di allevamenti infetti pari circa il 18 % rimane rilevante se confrontata con quella dei paesi più “virtuosi” (ad es. 6.1% nel 2009 in Danimarca 2; infezione pressochè eradicata nelle Fiandre-Belgio 3) anche se rimane comunque in linea con i dati registrati in numerosi stati dell’area occidentale (ad es. in USA, 11% nel 1991 in Alberta e 47% nel 1985 nel Vermont 4, 56% nel 1992 nell’Ohio 5; 29% nel 2006 in Brandeburgo, Germania 6). Per quanto riguarda Staphylococcus aureus la prevalenza di allevamenti infetti e di capi positivi è rimasta pressochè invariata nel triennio (test di trend = 0.47, p<0.67 non significativo); a commento di questo dato, come riferito dalla bibliografia 7, si sottolinea come le infezioni mammarie da Staphylocoocus aureus siano di difficile controllo sia per il fatto che i ceppi in causa sono frequentemente di origine ambientale sia per la particolare resistenza di questo germe (variabile a seconda del biotipo/ genotipo coinvolto) alle terapie antibiotiche convenzionali. In merito infine ai mastidogeni ambientali, stafilococchi coagulasi negativi e streptococchi (in particolare Streptococcus uberis e Streptococcus disgalactiae) risultano i germi principalmente coinvolti nell’eziologia delle infezioni mammarie non determinate da Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus. Il numero di stalle coinfettate da Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus è diminuito da 165 nel 2009 a 93 nel 2011; tra queste, analizzando un campione di 139 allevamenti che sono risultati infetti sia nel 2009 che nel 2010, solo 29 aziende erano dotate di mungitrice fissa mentre le restanti 110 si avvalevano di mungitrice mobile, strumento che pertanto dovrebbe essere ulteriormente valutato in future indagini come potenziale fattore di rischio per le infezioni da mastidogeni contagiosi. Infine, pressochè tutti i ceppi isolati, al di là di quelli specificamente multiresistenti alle più comuni molecole di antibiotici, sono risultati costantemente insensibili alla cloxacillina; analogamente a quanto segnalato da altri autori 6, anche in Valle d’Aosta la cloxacillina (da sola o in combinazione con altri antibiotici) appare dunque uno dei principi attivi più utilizzati, attualmente o nel passato, per la terapia antimastitica. Tabella 1: distribuzione delle classi di prevalenza intraaziendale di Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus nel triennio 2009-2011 (n= numero aziende). 264 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tabella 2: mastidogeni ambientali e relative prevalenze nel triennio 2009-2011 BIBLIOGRAFIA: 1. Daprà V., Piccinini R., Zecconi A. 2006. Le mastiti costano molto all’allevatore. L’informatore Agricolo, 2: 59-63. 2. Katholm J. 2010. Streptococcus agalactiae – an increasing problem in Scandinavia. Report from Denmark. The Nordic Dairy Association Commitee for Milk Quality symposium, Rebild, Denmark, 9 june 2010: 1-11. 3. Piepers S., De Meulemeester L., de Kruif A., Opsomer G., Barkema HW, De Vliegher S. 2007. Prevalence and distribution of mastitis pathogens in subclinically infected dairy cows in Flanders, Belgium. J Dairy Res, 74 (4): 478-83. 4. Keefe G. P. 1997. Streptococcus agalactiae mastitis: A re- view. Can Vet J, 38:429-437. 5. Bartlett P.C., Miller G.Y., Lance S.E., Hancock D.D., Heider L.E. 1992. Managerial risk factors of intramammary infection with Streptococcus agalactiae in dairy herds in Ohio. Am J Vet Res, 53(9): 1715-21. 6. Tenhagen B.A., Köster G., Wallmann J., Heuwieser W. 2006. Prevalence of mastitis pathogens and their resistance against antimicrobial agents in dairy cows in Brandeburg, Germany. J Dairy Sci, 89 (7): 2542-51. 7. Green M., Bradley A. 2004. Clinical Forum – Staphylococcus aureus mastitis in cattle. UK Vet, 9: 1-9. 265 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 CONFRONTO DI METODI MICROBIOLOGICI E BIOMOLECOLARI PER LA RICERCA DI ESCHERICHIA COLI O:157 DA FECI DI BOVINI MACELLATI IN UMBRIA. Ercoli L.*[1], Cibotti S.[1], Magistrali C.F.[1], Scuota S.[1], Tentellini M.[1], Cucco L.[1], Farneti S.[1] Keywords: E. coli STEC, PCR, feci Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia [1] SUMMARY: Verocytotoxin producing Escherichia coli O: 157 can cause serious illness in humans. Ruminants are generally healthy carriers of this microorganism, and cattle are considered to be the main reservoir of pathogenic E. coli O: 157. The presence of STEC in faeces cattle represents a potential source of contamination of the food chain. For this purpose, an analysis was made on the spread of E. coli O: 157 in the faeces of cattle slaughtered in Umbria, comparing the traditional method of isolation and biomolecular methods. INTRODUZIONE: Nel 1988 in Italia, è stato descritto il primo caso di infezione umana da Escherichia coli O:157 (2); da allora il gruppo degli E. coli produttori di shigatossine (STEC) ha assunto sempre maggiore rilevanza nell’ ambito della sicurezza alimentare, in quanto tali microrganismi sono in grado di provocare, specialmente nei pazienti pediatrici, una grave sintomatologia a livello enterico (CE) e sistemico (HUS e PPT). I ruminanti, in particolare i bovini, rivestono il ruolo principale di reservoir di STEC, eliminando generalmente nell’ambiente il microrganismo senza manifestare segni clinici. La trasmissione di STEC all’uomo può avvenire per contatto diretto con animali portatori o per diffusione da persona a persona per via oro-fecale. La presenza di E. coli STEC negli alimenti rappresenta tuttavia la causa principale di trasmissione all’uomo. Gli alimenti più frequentemente implicati negli episodi tossinfettivi sono il latte crudo e le carni bovine, come conseguenza di una contaminazione fecale di queste matrici durante la mungitura o durante la macellazione. Anche i vegetali possono essere contaminati da reflui zootecnici o in seguito a pratiche di fertirrigazione (3). Tutte queste possibili vie di trasmissione, associate alla bassa dose infettante che caratterizza E. coli STEC e alla loro buona capacità di sopravvivere in diverse condizioni ambientali, hanno reso questi patogeni oggetto di una crescente attenzione da parte delle autorità sanitarie (1, 6). A tale scopo si è inteso intraprendere un’analisi in merito alla diffusione di E. coli STEC O:157 in feci di bovini macellati in Umbria, mettendo a confronto il metodo di isolamento tradizionale con metodiche biomolecolari. MATERIALI E METODI: Da maggio 2011 ad aprile 2012, sono stati analizzati 250 campioni di contenuto cecale di bovini macellati presso quattro diversi impianti distribuiti sul territorio umbro. Le feci sono state refrigerate e analizzate entro 24 h dall’arrivo in laboratorio. Per l’analisi microbiologica si è seguita la procedura descritta dal manuale OIE (4): in breve, 5 grammi di feci sono stati prearricchiti con 45 ml di mTSB (BioKar Diagnostics), incubati a 37°C ± 1°C per 6h, sottoposti a immunoseparazione magnetica (Dynabeads®, Invitrogen) seguita da semina su terreno CT-SMAC (Biokar Diagnostics). Le colonie tipiche sono state sottoposte a identificazione biochimica e a siero-agglutinazione rapida mediante sieri del commercio (Statens Serum Institut – Copenhagen, DK). Per le analisi biomolecolari, dopo incubazione per 16-18 h a 37°C ± 1°C, si è proceduto all’estrazione del DNA dal brodo di prearricchimento mediante l’impiego di kit commerciali (DNeasy Blood and Tissue kit, QIAGEN). Sul templato sono state eseguite una Real-time PCR, tramite kit ADIAFOOD Detection System E. Coli O:157:H7 (AES Chemunex) e una multiplex PCR (5), volta a evidenziare la presenza di geni codificanti l’antigene somatico dei principali sierogruppi di E. coli STEC, fra cui O:157. Successivamente, sui ceppi isolati e ulteriormente confermati come E. coli O:157 in Real-time PCR, si è provveduto al rilevamento dei geni vtx1, vtx2 ed eae tramite multiplex PCR, per valutare l’eventuale appartenenza al gruppo di STEC classificati come altamente patogeni per l’uomo, conformemente a quanto indicato nella ISO/TS 13136:2011(E). RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati ottenuti con il metodo tradizionale e con i metodi biomolecolari sono riportati in Tabella 1. Il metodo microbiologico ha reso possibile l’isolamento di 31 (12.4 %) ceppi batterici negativi al test dell’ossidasi, identificati come Escherichia coli tramite test biochimici in micrometodo e positivi all’agglutinazione rapida con sieri anti E. coli O:157. Con i metodi biomolecolari impiegati nel presente lavoro, sono stati evidenziati i geni codificanti per E. coli O:157 in 82 campioni ( 32.8 %). Il confronto tra le due metodiche biomolecolari è riportato in Tabella 2: sono stati ottenuti risultati concordanti nel 92,8% dei casi, con 168 campioni negativi e 64 positivi; di questi ultimi, 22 (34,38%) si sono dimostrati positivi anche per i geni codificanti H:7. Ne consegue una percentuale di positività per il sierogruppo O:157, variabile dal 27,6% al 30,8%, a seconda del metodo biomolecolare impiegato. Sarebbe quindi opportuno uniformare i protocolli per gli esami biomolecolari al fine di ottenere risultati più omogenei per la ricerca di STEC da matrici complesse, come quelle fecali. Tale tipologia di campioni infatti non è tuttora inclusa nel campo di applicazione di procedure normate relative alla ricerca di STEC tramite metodi biomolecolari. Le percentuali di positività ottenute con i metodi biomolecolari appaiono notevolmente più alte rispetto a quelle ottenute con il metodo microbiologico; questo era comunque prevedibile, dato che i metodi biomolecolari permettono di rilevare nel campione anche il DNA batterico di microrganismi morti, stressati o comunque non vitali, che conseguentemente non è possibile isolare. L’immunoseparazione magnetica è quindi indispensabile per agevolare l’isolamento del microrganismo al fine di confermare la reale presenza di STEC nella matrice in esame e di consentire l’esecuzione di ulteriori esami volti a valutare caratteristiche genotipiche e fenotipiche del ceppo in questione, allo scopo di definirne la patogenicità. D’altra parte, dei 31 ceppi isolati con il metodo microbiologico e successivamente subcolturati e sottoposti a Real-time PCR, solo 20 (8% dei 250 campioni fecali sottoposti ad immunose- 266 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 parazione) si sono confermati come realmente appartenenti al sierogruppo O:157, a riprova del fatto che la identificazione basata solo su criteri fenotipici può dar luogo a falsi positivi dovuti a reazioni crociate. Sui 20 ceppi di E. coli O:157 isolati da campioni risultati positivi ad entrambi i metodi, è stata effettuata una multiplex PCR per la ricerca dei geni vtx1, vtx2 ed eae; di questi, 14 (5,6%) erano classificabili come STEC altamente patogeni per l’uomo, in quanto dotati sia del gene eae codificante per l’intimina sia di almeno uno dei due geni codificanti per la produzione di verocitotossine, o di entrambi. Pertanto, la prevalenza di E. coli O:157 altamente patogeni (5.6%) nelle feci bovine non si discosta significativamente da quella riportata da EFSA CDC (7); tuttavia tali batteri possono rappresentare un pericolo, anche nel territorio umbro, per la sicurezza sanitaria di tutti quegli alimenti, consumati crudi o poco cotti, potenzialmente oggetto di contaminazione fecale durante la produzione primaria o durante le fasi successive di lavorazione o di preparazione al consumo. In conclusione tale progetto ha permesso di implementare e confrontare diverse metodiche atte all’individuazione e alla sierotipizzazione di STEC O:157 e di gettare le basi per indagini epidemiologiche sulla diffusione di tali microrganismi nella realtà locale umbra. Tab. 1 – Confronto tra metodo microbiologico e metodi biomolecolari Tab. 2 – Confronto tra i due metodi biomolecolari BIBLIOGRAFIA: 1. Bonardi S, Maggi E, Pizzin G, Morabito S, Caprioli A; 2001. Faecal carriage of Verocytotoxin-producing Escherichia coli O157 and carcass contamination in cattle at slaughter in northern Italy. Int J Food Microbiol, 66: 47-53. 2. Caprioli A, Edefonti A, Bacchini M, Luzzi I, Rosmini F, Gianviti A, Matteucci M C, Pasquini P;1990. Isolation in Italy of a verotoxin-producing strain of Escherichia coli O:157 H:7 from a child with hemolytic-uraemic syndrome. Eur J Epidemiol, 6:102-104. 3. Caprioli A, Morabito S, Brugère H, Oswald E; 2005. Enterohaemorrhagic Escherichia coli: emerging issues on virulence and modes of transmission. Vet Res, 36:289-311. 4. Manuale OIE: http://www.oie.int. Manual of diagnostic tests and vaccines for terrestrial animals. OIE Terrestrial Manual,2008: 1294-1304. 5. Monday S R, Beisaw A, Feng P C H; 2007. Identification of Shiga toxigenic Escherichia coli seropathotypes A and B by multiplex PCR. Mol Cell Probes,21:308-311. 6. Scallan E, Hoekstra R M, Angulo F J, Tauxe R V, Widdowson M A, Roy S L, Jones J L, Griffin P M; 2011. Foodborne illness acquired in the United States-Major pathogens. Emerg Infect Dis, 17:7-15. 7. Scientific Report of EFSA and ECDC - The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents and Food-borne Outbreaks in 2010 EFSA Journal 2012;10(3):2597. 267 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 MONITORAGGIO DI PCDD/F E PCB-DIOSSINA SIMILI IN AZIENDE ZOOTECNICHE Esposito M.*[1], Serpe F.P.[1], Cavallo S.[2], Colarusso G.[2], Rosato G.[4], Neri B.[3], Ubaldi A.[3], Caligiuri V.[1], Rocca R.[2], Sarnelli P.[4], Guarino A.[1], Baldi L.[1] Keywords: diossine , PCB, latte Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici, Osservatorio Regionale sulla Sicurezza Alimentare ~ Portici, [3] Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle regioni Lazio e Toscana ~ Roma, [4] Servizio Veterinario - Regione Campania ~ Napoli [1] [2] SUMMARY: An area at high risk of contamination was identified in Campania (Italy), based on the processing of the results of the analysis of dioxins in food and environmental samples. The Regional Health Authorities have therefore prepared a plan for monitoring of farms, requiring milk and feed samples to determinate dioxins and PCBs content. In this work we present the results of analysis providing also an opportunity to examine trends of milk concentrations of PCDD/Fs and dioxin-like compounds (dl-PCBs) over time, as well as to examine level of contamination in different animal species. The results of the first year of monitoring show a decrease of general contamination respect of previous years, probably due to improved management of livestock activities. INTRODUZIONE: L’analisi dei dati sui livelli di diossine (PCDD/F) e PCB diossina simili (dl-PCB) in alimenti per l’uomo (latte) e per gli animali (fieno, insilato, ecc.) oltre che in matrici ambientali (suolo, acque) ha permesso di identificare in Campania, un’area localizzata tra fiume Volturno e Regi Lagni, ad alto rischio di contaminazione. L’origine di questi inquinanti organici persistenti è stata attribuita all’incenerimento incontrollato di rifiuti e a errate pratiche zootecniche con la conseguente contaminazione dell’alimento destinato agli animali e da qui al passaggio nel latte e nelle carni. L’analisi della distribuzione dei congeneri ha evidenziato come il profilo si discosti da un profilo tipico di contaminazione di origine industriale ma sia sovrapponibile piuttosto a quello caratteristico dell’incenerimento non corretto di rifiuti, fenomeno che rappresenta un’emergenza ambientale del territorio. Inoltre, la non corretta gestione degli alimenti zootecnici (produzione e stoccaggio) e la loro mancata tracciabilità sono da considerarsi importantissimi fattori determinanti dei livelli di contaminazione. In molti casi, gli esiti delle analisi su campioni prelevati negli stessi allevamenti, hanno evidenziato che il numero di alimenti zootecnici non conformi era esiguo rispetto al numero di non conformità riscontrate nei campioni di latte; questo ha fatto pensare che la contaminazione degli animali sia avvenuta attraverso un alimento diverso rispetto a quello presente al momento del prelievo. Questa ipotesi, seppure supportata dalle evidenze bibliografiche nelle quali si sottolinea che l’accumulo di diossine nel grasso animale avviene in tempi più o meno lunghi, spiega la difficoltà di risalire con certezza all’alimento contaminato anche perché spesso il campionamento dell’alimento zootecnico è stato effettuato molto tempo dopo il prelievo del latte. Tenendo conto di queste considerazioni e nell’ottica di tenere sotto controllo il territorio ai fini della tutela della salute dell’uomo e degli animali, la Regione Campania ha elaborato un Piano di Monitoraggio triennale sulla Contaminazione da Diossine e dl-PCB. In questo lavoro sono riportati i dati relativi a latte e alimento zootecnico prelevati nel primo anno di attività. MATERIALI E METODI: Campioni Sulla base della valutazione dei dati sanitari ed ambientali, sono state identificate 50 aziende zootecniche a vocazione lattifera in aree definite a rischio. Presso ciascuna di queste aziende sono stati prelevati un campione di latte di massa e, contestualmente, un campione di alimento destinato agli animali in lattazione. Successivamente, a distanza di circa sei mesi, presso le stesse aziende sono stati nuovamente prelevati un campione di latte e uno di alimento per animali così da monitorare l’andamento dei livelli di diossine e dl-PCB. Analisi chimiche Per la ricerca di PCDD/F e dl-PCB è stato stabilito un accordo di collaborazione scientifica con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle regioni Lazio e Toscana. Le analisi sono state effettuate con metodi validati e accreditati come previsto dalle normative comunitarie. Il campione di latte o di alimento è addizionato con standard marcati 13CPCDD/F e 13C-PCB e sottoposto a estrazione con solvente allo scopo di ottenere la componente lipidica. L’estratto è quindi purificato su colonna di silice acida e successivamente mediante un sistema automatizzato Power-Prep. Le due frazioni ottenute contengono separatamente PCDD/F e PCB diossina simili. La frazione dei PCB è ulteriormente purificata su colonna di Envi-Carb allo scopo di separare i PCB non diossina simili da quelli diossina simili. I due estratti finali ridotti a piccolo volume sono addizionati di uno standard di siringa e analizzati in HRGC/HRMS. RISULTATI E CONCLUSIONI: La prima fase del Piano di Monitoraggio è partita nel mese di luglio 2011 e si è conclusa nel gennaio 2012. Nelle 50 aziende selezionate sono stati prelevati 17 campioni di latte bovino, 28 di latte bufalino e 5 di latte ovino. Contestualmente sono stati prelevati gli alimenti destinati agli animali, costituiti per la maggior parte da fieno (21 campioni) e insilato di mais (22 campioni) che rappresentano la più diffusa forma di alimentazione nelle aziende zootecniche. La seconda fase del Piano si è svolta tra febbraio 2012 e giugno 2012; in questo periodo sono stati campionati nuovamente gli allevamenti selezionati, prelevando sia il latte che l’alimento. La distribuzione per specie dei campioni di latte ricalca la prima fase con alcune piccole variazioni riguardo l’alimento zootecnico, inoltre non è stato ricampionato un allevamento per cui i dati disponibili sono stati 49 su 50. La figura 1 illustra la localizzazione dei cinquanta allevamenti oggetto nello studio nella Regione Campania. L’aria maggiormente campionata corrisponde a quella dove nei precedenti 268 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Piani è stata rilevata la maggiore incidenza di non conformità. I risultati della prima fase del Piano di Monitoraggio sono riportati nelle tabelle 1 (latte) e 2 (alimento per animali). Per tutte le specie animali prese in esame, i livelli medi di PCDD/F e dl-PCB sono risultati inferiori ai limiti massimi consentiti dalla normativa comunitaria, tranne in un solo caso, un campione di latte ovino, con un tenore di PCDD/F superiore al limite massimo ammesso mentre solo in un campione di latte bufalino è stato superato il livello d’azione previsto per PCDD/F. In nessun campione di alimento per animali sono stati riscontrati livelli di PCDD/F e PCB superiori ai limiti massimi. Nel secondo semestre di attività del Piano di Monitoraggio non è stata riscontrata nessuna non conformità né per il latte né per l’alimento zootecnico. I livelli di azione, oltre i quali è necessario l’avvio di indagini per individuare la fonte di contaminazione, sono stati superati solo per PCDD/F in un campione di latte bufalino e per dl-PCB in un campione di latte ovino. Tutti i dati per i valori TEQ di PCDD/F e dl-PCB sono stati ottenuti mediante l’utilizzo dei nuovi TEF2005 che la raccomandazione 516/2011 e i Regolamenti UE 1259/2012 e 277/2012 hanno stabilito di dover usare. Questo, se da un lato impedisce un confronto immediato con i dati dei precedenti Piani di controllo, consente dall’altro, una prima elaborazione statistica (Figure 2 e 3) da cui è possibile evidenziare che i valori delle due classi di contaminanti sul totale dei campioni di latte diminuiscono dal primo al secondo semestre seppure in maniera statisticamente non significativa. Tuttavia questa diminuzione può essere considerata come un trend positivo che tra l’altro si trova in accordo con la recente relazione dell’EFSA sulla diminuzione della contaminazione da diossine e PCB negli alimenti con conseguente diminuzione dell’esposizione della popolazione. In conclusione, i risultati del primo anno del Piano di Monitoraggio Regionale costituiscono un importante segnale di ulteriore riduzione della contaminazione da diossine e dlPCB in Campania, in una zona che in passato ha evidenziato numerose irregolarità. L’adozione delle Buone Pratiche di Conduzione Agricola, nonché il controllo sul pieno rispetto del Regolamento n. 183/2005 sull’igiene dei mangimi da parte dei conduttori delle aziende zootecniche a vocazione lattifera, sono tra i più importanti fattori che hanno contribuito al miglioramento delle condizioni ambientali e alimentari. Ulteriori informazioni sull’andamento della contaminazione in Campania, in un’area caratterizzata da un elevato rischio ambientale, si otterranno con il prosieguo del Piano di Monitoraggio nei due anni successivi. 269 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 270 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: - Scientific Report of EFSA: Update of the monitoring of levels of dioxins and PCBs in food and feed. EFSA Journal 2012;10(7):2832 - Neugebauer F, Esposito M, Opel M, Päpke O, Gallo P, Cavallo S, Colarusso G, D’Ambrosio R, Sarnelli P, Baldi L, Iovane G, Serpe L Organohalogen Compounds 2009; 71: 1203-1208 271 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 GESTIONE DELLA CONFORMITA’ DEL DATO: PERCORSO E RISULTATI DELL’IZS UMBRIA E MARCHE Faccenda L.*[1], Olivieri E.[1], Biasini G.[1], Berretta C.[1], Tonazzini S.[1], Saccoccini R.[1], Mingolla A.[1] Keywords: flussi informativi, errori accettazioni, applicativi di supporto Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche ~ Perugia [1] SUMMARY: Informational debt on control plans that Istituto Zooprofilattico holds against other institutional entities has been evolving, from a simple manual data aggregation to complex computerized procedures. To ensure a correct data circulation it is necessary that all compulsory information are filled in the database from the moment of sample acceptance. Hence, we used a warning system that led to an immediate reduction in number of errors. This work presents the results achieved. INTRODUZIONE: Negli ultimi anni si è affermata anche negli Istituti Zooprofilattici l’esigenza di poter disporre di dati di attività in modo rapido e preciso. Questo vale sia per i flussi dati istituzionali relativi ai diversi piani per i quali è previsto un debito informativo ben definito, sia per l’attività analitica svolta negli altri ambiti (ricerche, progetti, ecc.). Dal 2005 presso il nostro Istituto, la gestione dei flussi è stata oggetto di studi ed attività dedicate che hanno coinvolto chi si occupa di reportistica, i sistemi informativi e le accettazioni in un percorso graduale, partito dalla formazione degli operatori delle accettazioni, con produzione di linee guida specifiche per ogni flusso (istituzionale e no), fino ad arrivare alla creazione di procedure applicative di supporto che li affiancassero nella routine quotidiana. Il presupposto di base è che, per avere dati corretti e subito fruibili, è necessario che, già al momento dell’accettazione del campione, vengano inseriti nel sistema informativo sanitario, tutte le informazioni necessarie, affinché la successiva attività di reportistica avvenga in modo veloce e preciso, senza dovere ancora intervenire sul dato con correzioni o aggiornamenti. In questo lavoro verranno presentati i risultati ottenuti dall’inizio del percorso fino ad oggi, valutando l’andamento della percentuale di errore dei principali flussi dati istituzionali: BSE, Scrapie, Blue Tongue, Risanamento, Malattia Vescicolare, Anemia Infettiva equina, fornendo un dato complessivo di Istituto e suddiviso per sezione accettante: sede centrale (Perugia) e sezioni periferiche (Ancona, Fermo, Macerata e Pesaro). In particolare, si metterà in evidenza la riduzione drastica della percentuale di errore, proprio in seguito all’attivazione delle procedure applicative di supporto e si rifletterà anche, più in generale, sul percorso effettuato fino ad oggi, sulle criticità riscontrate e sulle attività future. MATERIALI E METODI: Redazione delle linee guida per gli operatori delle accettazioni: le prime linee guida risalgono al 2005 e contenevano indicazioni per i principali piani nazionali che avevano flussi dati obbligatori con cadenze ravvicinate nel tempo (1), successivamente è stato ampliato il target, e oggi le linee guida prevedono istruzioni non solo per i piani istituzionali, ma anche per l’accettazione di campioni di ricerche o progetti interni all’Istituto. Si tratta di semplici indicazioni che spiegano all’operatore come popolare i campi del sistema informativo sanitario in dotazione al nostro Istituto: SIGLA (Sistema Informativo Gestione Laboratori). Sistemi di controllo automatico della conformità dei dati: Si tratta di una collezione di applicazioni di supporto in grado di operare, in modalità trasparente, sul dominio dei dati transazionali di SIGLA evidenziando, via posta elettronica, le eventuali difformità rilevate. I dati controllati sono quelli destinati ad alimentare il debito informativo e le segnalazioni sono trasmesse automaticamente al gestore del sistema, che opera funzioni di controllo, e all’utente che dovrà rimuovere l’errore. Il processo automatico interviene sui dati dopo l’accettazione controllando la conformità rispetto alle relative linee guida. La tempistica permette la rimozione degli errori prima della refertazione. In caso di inesattezze, l’operatore accettante, riceve una notifica puntuale che consente di intervenire dove necessario (2). Per verificare l’efficacia di tali procedure si è confrontata, per ogni flusso e per ogni sede accettante, la percentuale di errore rilevata nel periodo 2007 – 2012 (I semestre). Fa eccezione la malattia vescicolare per la quale il periodo considerato parte dal 2009. Per percentuale di errore si intende: il numero di accettazioni di un determinato flusso con almeno un errore / il totale delle accettazioni per quel flusso. L’errore viene conteggiato quando permane nella richiesta, anche dopo che sono stati inviati i messaggi di errore, non vengono considerati errori quelli che vengono corretti prima che la richiesta venga rapportata. RISULTATI E CONCLUSIONI: BSE La percentuale di errore complessiva, scesa drasticamente proprio con l’attivazione della messaggistica di errore (avvenuta ad aprile 2008), fino a tutto il 2011 continua a mantenersi intorno all’1% (Fig.1 e Tab.1). L’introduzione di un nuovo campo obbligatorio (il sesso dell’animale testato), a partire dall’1 gennaio 2012, fa aumentare notevolmente la percentuale di errore nel primo semestre dell’anno. Infatti circa il 70% degli errori riscontrati nel I semestre 2012 è appunto rappresentato dalla mancanza del dato relativo al sesso dell’animale. Anemia Infettiva Equina Rispetto al periodo 2008 – 2010, in cui la percentuale di errore era scesa al di sotto del 2%, nel 2011 si assiste all’aumento delle accettazioni errate, che coincide con l’introduzione di un nuovo parametro obbligatorio (la razza), a partire proprio dai primi mesi del 2011 (Fig.2 e Tab.2). Nel 2012 le percentuali di errore complessive scendono nuovamente, passando dall’89% del 2011 al 13%. Blue Tongue, Scrapie e Risanamento Per questi flussi dopo l’attivazione della messaggistica di errore le percentuali sono calate in maniera evidente, attestandosi intorno all’1% in quasi tutte le sedi accettanti (Fig.3-4-5 e Tab.3-4-5). Malattia Vescicolare 272 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Anche per questa malattia l’attivazione della procedura di supporto porta una riduzione della percentuale di errore che passa da circa il 30% al 10% nel 2011. I dati parziali del 2012 (primo semestre) evidenziano un ulteriore calo delle percentuali di errore che, se venissero mantenute fino alla fine dell’anno, renderebbero il flusso dati di questa malattia comparabile agli altri, con percentuali sotto il 2% (Fig.6 e Tab.6). Le percentuali di errore di tutti i flussi esaminati si mantengono su percentuali piuttosto basse, in particolare per 3 flussi su 6 negli ultimi tre anni sono al di sotto del 2%, valori comunque compatibili con le variabili aleatorie che possono aver influito in accettazione (turnover del personale, maggiore carico di lavoro concentrato in alcuni mesi, emergenze). La valutazione della tipologia di errore riscontrata per ogni flusso e la suddivisione per sede territoriale accettante, permette di individuare con precisione come e dove si presenta il problema, permettendo di intervenire con la formazione mirata agli operatori. Inoltre, questi dati hanno evidenziato che le accettazioni reagiscono decisamente meglio all’introduzione di flussi dati che partono ex novo, che al cambiamento di pochi campi in quelli consolidati da tempo. Nel contempo però non è inconsueto che un Centro di referenza modifichi il tracciato record e, per motivi vari per lo più legati a nuove norme legislative, trasformi in obbligatori dati che in precedenza erano facoltativi. Questo ci conduce alla riflessione che, quando si affronta un nuovo flusso dati e si producono le linee guida per le accettazioni, è meglio un data set più restrittivo (che magari contempli anche campi facoltativi) sin da subito, piuttosto che introdurre successivamente modifiche che portano confusione negli operatori. In conclusione, il percorso attivato dall’IZS Umbria e Marche mette in evidenza l’efficacia delle procedure applicative di supporto, che però devono essere applicate in un contesto preparato ad accoglierle con la giusta motivazione. Per questo motivo la formazione degli operatori delle accettazioni è fondamentale, così come il monitoraggio continuo delle loro attività. Non bisogna però dimenticare l’importanza del concetto di coerenza del dato, che deve essere recepita da tutti coloro che operano sul campione, dall’accettazione, all’analisi, fino alla refertazione. Proprio in questo contesto, nel nostro Istituto si è cominciato questo tipo di percorso, ormai consolidato per i piani istituzionali, anche per i progetti e le ricerche che, esattamente come altri flussi dati, hanno necessità di rendicontazioni precise e veloci. 273 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Flusso BSE e AIE 274 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Flusso BT e Scrapie 275 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Flusso Risanamento e MVS 276 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: 1.Faccenda L., Mingolla A., Biasini G., Donati D.,Duranti A., Isa C., Saccoccini R., Taylor J., Violetta N., Berretta C., 2009. Sistema di controllo automatico della conformità dei dati. Epivet 2009: V Workshop Nazionale di Epidemiologia Veterinaria . Torino, 10-11 dicembre 2009 2.Berretta C., Maresca C., Mingolla A., Saccoccini R., Scoccia E., Taylor J., Faccenda L. Scrapie, Anemia Infettiva Equina, Bovine Spongiform Encephalopathy, Bluetongue. Flussi dati dei campioni presso l’accettazione dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche: valutazione delle percentuali di errore negli anni 2007-2009.2011. Webzine Sanità Pubblica Veterinaria 65 277 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 VALUTAZIONE DEL BENESSERE ANIMALE NELL’ ALLEVAMENTO DEI VITELLI BUFALINI IN RELAZIONE ALLE TECNICHE DI SVEZZAMENTO E ALLA CORTISOLEMIA Fagiolo A.*[1], Ruggeri M.T.[1], Dionisi L.[1], Cavallina R.[1] Keywords: welfare; , buffalo calves; , cortisol Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle regioni Lazio e Toscana ~ Roma [1] SUMMARY: Buffalo calves serum cortisol was measured monthly until 5 months of age, according to different nursing techniques. Farm A used nurses, farm B fed milk replacer and farm C nursed by an automatic feeder. Farm A decreasing trend represents an evidence of copying with the environment and the management. Farm B shows a similar trend, but the cortisol level decreases later, after 2 months of age, when they are transferred in multiple boxes. Farm C cortisol increase at 2-3 months of age can be due to lack of space allowance and roughage introduction causing stressful competition among calves. INTRODUZIONE: Il benessere degli animali di interesse zootecnico viene notevolmente influenzato dai fattori connessi alle pratiche di allevamento. In ambito normativo, la tutela del benessere animale dei vitelli in allevamento si riferisce solo alla specie bovina (Dl.vo 331/98; Dl.vo 533/92; direttiva 2008/119/ CE), mentre la specie bufalina è inclusa nel Decreto L.vo 146/01 che definisce le norme minime per la protezione degli animali negli allevamenti. Precedenti studi hanno valutato gli aspetti relativi al benessere nel bufalo adulto (2, 3), mentre per i vitelli bufalini sono stati correlati alcuni aspetti di management con parametri fisiologici e comportamentali (1,4). Lo scopo di questo studio è la valutazione del benessere in vitelli bufalini appartenenti ad aziende caratterizzate da una diversa gestione per questa categoria e di cui è stato monitorato il livello della concentrazione di cortisolo durante i primi 5 mesi di vita. MATERIALI E METODI: Sono state selezionate tre aziende bufaline (A, B, C) che allevano i vitelli per la produzione di carne. Le informazioni sulle caratteristiche strutturali e gestionali delle aziende sono state acquisite mediante apposite schede. I vitelli dell’azienda A restano sotto la madre per cinque giorni, poi sono trasferiti in ampi box multipli in cui due volte al giorno viene introdotta una vacca nutrice e verso i due mesi di età iniziano ad assumere l’unifeed. Nell’azienda B, il periodo sotto la madre dura due giorni, dopodiché, per tre mesi, i vitelli sono ricoverati in box singoli senza possibilità di interagire con i conspecifici e allattati al secchio, con latte di bufala per le prime due settimane, poi con latte ricostituito, mangime da svezzamento e paglia. L’azienda C, dopo un giorno sotto la madre, alleva i vitelli in coppia in box (<1,5 m2/capo) passando gradualmente, entro il decimo giorno di vita, dal latte materno a quello ricostituito (secchio) e, dopo due settimane, mediante allattatrice automatica. Dall’8° settimana i vitelli hanno a disposizione anche alimenti solidi. Sono stati selezionati casualmente 12 vitelli per ciascuna azienda, nati nello stesso periodo, monitorati mensilmente, dalla nascita (una settimana di vita) fino a 5 mesi di età. I prelievi di sangue si sono effettuati dalla vena giugulare con sistema vacutainer in provette Plain (senza anticoagulante), inviate al laboratorio entro 24h a temperatura di refrigerazione. I dosaggi ormonali per cortisolo (Diasorin) sono stati effettuati con metodo radioimmunologico (RIA). RISULTATI E CONCLUSIONI: In tutte le aziende il primo prelievo risulta caratterizzato dai più alti livelli medi di cortisolemia ascrivibile ad eventi stressanti quali il parto, la separazione dalla madre e i cambiamenti ambientali (tab.1). In particolare, l’azienda A esprime il valore più alto, con differenze significative, ma nei successivi prelievi si osserva una regolare diminuzione della concentrazione del cortisolo come possibile segnale della capacità di adattamento degli animali all’ambiente e alle modifiche gestionali. Nell’azienda B l’andamento del cortisolo, dopo il primo prelievo, si rivela pressoché costante in tutti i soggetti nelle differenti categorie di età e privo di differenze significative. Infine nell’azienda C si verifica un aumento della cortisolemia, verso i 2 e 3 mesi di età, probabilmente a causa della carenza di spazio nei box e dell’introduzione della dieta solida che causano stress competitivi tra i vitelli. Tab. 1 Valori medi della concentrazione di cortisolo in 36 vitelli bufalini relativamente a tre differenti gestioni aziendali BIBLIOGRAFIA: 1. Campanile G., Taccone W., Palladino M., Di Meo C., Di Palo R. (1993). Influenza dell’età e del mese di prelievo su enzimi serici e quadro elettroforetico in vitelli bufalini nella fase di allattamento. Nota I. Atti III Convegno FeMeSPRum: 211-219. 2. Fagiolo A., Lai O., Alfieri L., Nardoni A., Cavallina R. (2004). Environmental factors and different managements that influence metabolic, endocrine and immune responses in water buffalo during lactation. Proc. 7th World Buffalo Congress ManilaPhilippines Vol. II: 24-26. 3. Grasso F., Napolitano F., De Rosa G., Quarantelli T., Serpe L. and Bordi A. (1999). Effect of pen size on behavioral, endocrine, and immune responses of water buffalo (Bubalus bubalis) calves. J. Anim. Sci.: 77(8): 2039-2046. 4. Napolitano F., De Rosa G., Grasso F., Pacelli C., Bordi A. (2004). Influence of space allowance on the welfare of weaned buffalo (Bubalus bubalis) calves. Livest. Prod. Sci. 86: 117-124. 278 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 MONITORING OF GROUPS A AND D AVIAN ROTAVIRUSES IN ITALIAN POULTRY FLOCKS Falcone E.*[2], Monini M.[2], Canelli E.[1], Lavazza A.[1], Ruggeri F.M.[2] Keywords: Avian Rotavirus, Rotavirus group, RT-PCR [1] Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna ~ Brescia, Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare. Istituto Superiore di Sanità ~ Roma [2] SUMMARY: Rotaviruses, the major etiological agents of enteric viral diseases in several mammalian and avian species, are classified into seven distinct groups (A-G), based on the antigenicity of the VP6 protein. In avian species, group A and group D rotaviruses are represented with high frequency, while the two putative rotavirus groups (F and G) are only occasionally described. In this study we investigated the distribution of avian rotaviruses from diseased avian species reared in Northern Italy, in the two predominant rotavirus groups (A and D). The results of this study give the basis for further genomic studies to better understand the characteristics of avian rotaviruses circulating in Italy. INTRODUZIONE: I rotavirus, tra i principali agenti eziologici di malattie enteriche virali negli individui giovani di molte specie aviarie, vengono distinti in sette elettroferogruppi (AG), sulla base della mobilità elettroforetica su gel di poliacrilamide degli 11 segmenti di RNA a doppio filamento, e in altrettanti siero gruppi (A-G) sulla base delle caratteristiche antigeniche della proteina capsidica VP6 (1). Nelle specie aviarie sono stati riscontrati con maggiore frequenza rotavirus appartenenti ai gruppi A e D, mentre solo occasionalmente sono stati identificati rotavirus aviari appartenenti ai gruppi F e G (1,4). Lo scopo di questo studio è stata la valutazione della distribuzione dei rotavirus aviari circolanti in Italia relativamente ai due gruppi antigenici (A e D) maggiormente diffusi tra queste specie, per l’acquisizione di dati epidemiologici sulla diversità e la variabilità nel tempo dei ceppi prevalenti. MATERIALI E METODI: Sono stati esaminati un totale di 102 campioni (feci e contenuti intestinali) risultati positivi per rotavirus alla microscopia elettronica. Tutti i campioni, rac- colti tra il 2006 e il 2010 e appartenenti a diverse specie aviarie (quaglia, pollo, faraona, tacchino, starna, fagiano), provenivano da allevamenti con focolai di enterite del Nord e del centro Italia. I campioni fecali e i contenuti intestinali sono stati sospesi al 10% vol/vol in ddH2O e conservati a -80°C. A partire da 140µl di ciascuna sospensione è stata effettuata l’estrazione dell’RNA virale usando un kit commerciale (QIAamp Viral RNA Kit; Qiagen, Hilden, Germany), seguendo le indicazioni fornite dal produttore. L’RNA virale è stato conservato a -80° fino all’analisi in RT-PCR. Tutti i campioni sono stati sottoposti ad RT-PCR per la identificazione dei rotavirus di gruppo A e di gruppo D, utilizzando le coppie di primers disegnati da Otto et al (4) sui geni codificanti per la proteina VP6 dei rispettivi gruppi (Tabella 1). La RT-PCR è stata eseguita in un formato “one-step”usando il kit commerciale QIAGEN OneStep RT-PCR (Qiagen, Hilden, Germany). Brevemente, 10 µl di RNA estratto sono stati miscelati con 1,5 µl di ciascun primer (20µM ), sottoposti ad una incubazione a 98°C per 5 minuti, per permettere la denaturazione del doppio filamento dell’RNA virale, e raffreddati immediatamente su ghiaccio. Successivamente è stata aggiunta la miscela di reazione, contenente: 10 µl di tampone 5X, 2 µl di enzyme mix, 2 µl di dNTP Mix (10mM ogni dNTP) e ddH2O fino ad un volume finale di 50 µl. Le condizioni di amplificazione prevedevano: 1 ciclo di retro trascrizione a 50°C per 30 min e 1 ciclo di attivazione della polimerasi a 95°C per 15 min, seguiti da 40 cicli di denaturazione a 94°C per 30 sec, annealing a 52°C per 1 min, estensione a 72°C per 1 min, ed estensione finale a 72°C per 7 min. I prodotti di PCR sono stati esaminati mediante su gel di agarosio al 2%, colorati con GelRed (6 µl in 100 ml di gel) e visualizzati al transilluminatore. Tabella 1: Primers utilizzati per l’RT-PCR sul gene VP6 di rotavirus di gruppo A e di gruppo D (4). 279 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISULTATI E CONCLUSIONI: L’analisi dei risultati delle RTPCR gruppo specifiche ha rivelato che il 51% dei rotavirus aviari presenti nei campioni esaminati conteneva rotavirus aviari appartenenti al gruppo A, il 70,6% al gruppo D e che il 30,4% rotavirus appartenenti ad entrambi i gruppi. Solo in 7 fra tutti i campioni esaminati, positivi per rotavirus alla microscopia elettronica, non è stato possibile individuare rotavirus aviari appartenenti al gruppo A e/o D (Tabella 2) Numerosi studi hanno messo in evidenza la presenza di rotavirus negli allevamenti di diverse specie aviarie. (2,5,6,7). In Italia, in particolare, la presenza di rotavirus in focolai di enterite della starna e del fagiano è stata evidenziata alla microscopia elettronica già dalla fine degli anni ’80 (3). Lo studio della circolazione dei ceppi di rotavirus aviari appartenenti ai diversi gruppi antigenici è uno strumento utile per l’acquisizione di dati epidemiologici e per comprendere meglio l’ecologia dei rotavirus aviari in natura. La RT-PCR gruppo-specifica utilizzata nel nostro studio, si è dimostrata una metodica affidabile per individuare i gruppi più comuni di rotavirus aviari circolanti in Italia nel periodo 2006-2010. L’indagine ha confermato i risultati di uno studio precedente, condotto mediante esame della mobilità elettroforetica su gel di poliacrilamide, su campioni fecali e di intestino prelevati in allevamenti della stessa zona, nel periodo 2000-2005 (3). Questo lavoro è parte integrante di un progetto che mira alla caratterizzazione dei ceppi di rotavirus aviari circolanti in Italia, per monitorare la diversità e la variabilità nel tempo dei ceppi prevalenti. In futuro, l’analisi dettagliata delle sequenze di rotavirus aviari contribuirà alla definizione di eventuali correlazioni con gli stipiti isolati nei mammiferi e alla eventuale individuazione di ceppi appartenenti a gruppi meno diffusi tra la popolazione aviaria. Tabella 2. Risultati della amplificazione in RT-PCR di regioni del gene VP6 per la classificazione dei rotavirus aviari win gruppo A e gruppo D. BIBLIOGRAFIA: 1. Estes, M.K., Kapikian, A.Z., 2007. Rotaviruses, in: Knipe, D.M., Howley, P.M., Griffin, M.A.., Lamb, R.A., Martin, M.A., Roizman, B., Straus, S.E. (Eds.), Fields Virology. 5th ed. Lippincott, Williams and Wilkins, Philadelphia, PA, pp. 1917– 1974. 2. McNulty, M.S., Todd D., Allan G.M., McFerran, J.B., Greene, J.A.. 1984 Epidemiology of rotavirus infection in broiler chickens: recognition of four serogroups. Arch Virol. 81(12):113-21. 3. Murgia, M.V., Cerioli M., Catelli, E., Lavazza, A., Istituto Superiore di Sanità Roma, 1-2 dicembre 2005 Riassunti. V° Workshop Nazionale Enter-net Italia Sistema di sorveglianza delle infezioni enteriche; Sorveglianza e prevenzione delle infezioni gastroenteriche. Caratterizzazione di rotavirus della starna (perdix perdix) e del fagiano (phasianus colchinus) identificati in corso di enterite. p.60. 4. Otto,P.H., Ahmed, M.U., Hotzel, H., Machnowska, P., Reetz, J., Roth, B., Trojnar, E., Johne, R. 2012 Detection of avian rotaviruses of groups A, D, F and G in diseased chickens and turkeys from Europe and Bangladesh. Vet Microbiol. Apr 23;156(1-2):8-15. 5. Otto, P., Liebler-Tenorio, E.M., Elschner, M., Reetz, J., Löhren, U., Diller, R., 2006. Detection of rotaviruses and intestinal lesions in broiler chicks from flocks with runting andstunting syndrome (RSS). Avian Dis. 50, 411–418. 6. Pantin-Jackwood, M.J., Spackman, E., Day, J.M., Rives, D., 2007. Periodic monitoring of commercial turkeys for enteric viruses indicates continuous presence of astrovirus and rotavirus on the farms. Avian Dis. 51, 674–680. 7. Reynolds, D.L., Saif, Y.M., Theil, K.W., 1987a. A survey of enteric viruses of turkey poults. Avian Dis. 31, 89–98. 280 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 EPIDEMIOLOGIA DELL’ANTRACE IN BANGLADESH E NEPAL Fasanella A.[1], Di Taranto P.*[1], Hossain M.[2], Shamsuddin M.[3], Joshi D.[4], Hugh - Jones M.[5] Keywords: ANTHRAX, BANGLADESH, NEPAL Istituto Zooprfilattico Sperimentale of Puglia and Basilicata, Anthrax Reference Institute of Italy, Foggia , Italy ~ Foggia, [2] Programme on Infectious Diseases & Vaccine Sciences, Health System & Infectious Disease Division, International Centre for Diarrheal Disease Research, Bangladesh (ICDDR,B), ~ Dhaka, [3] Community-based Dairy Veterinary Foundation, Department of Surgery & Obstetrics, Bangladesh Agricultural University ~ Mymensingh, [4] National Zoonoses and Hygiene Research Center of Kathmandu ~ Kathmandu, [5] Department of Environmental Sciences, Louisiana State University, Baton Rouge, ~ Baton Rouge [1] SUMMARY: The epidemiological investigation in several Asian countries is showing that in Bangladesh and Nepal the main source of anthrax infection is represented by contaminated feed. The CanSNP analysis indicated that all the genotype of Bacillus anthtacis belong to sublineage A.Br. 001/002 confirming that the strains circulating in Bangladesh are closely related to those circulating in China and other countries of south-west Asian. This is to conflict with those that are the historical relations between India and Bangladesh due that in India is predominant lineage Br. Austr. 94. INTRODUZIONE: L’antrace è una malattia infettiva non contagiosa che colpisce molte specie animali tra cui l’uomo, anche se sono i ruminanti domestici e selvatici i più sensibili alla malattia. L’agente batterico è Bacillus anthracis la cui principale caratteristica è quella di formare spore che possono sopravvivere in ambiente esterno per diversi decenni. La conoscenza della malattia, l’agente patogeno, la trasmissione, lo sviluppo di vaccino e soprattutto la comprensione che la rapida rimozione di carcasse infette dall’ambiente riduce il processo di produzione di spore, ha contribuito alla quasi scomparsa della malattia nei paesi industrializzati. Tuttavia essa rappresenta un problema sanitario molto importante molte aree del pianeta soprattutto nei paesi poveri o in via di sviluppo in cui la mancanza di un sistema sanitario efficiente in grado di prevenire o contrastare emergenze sanitarie favorisce la diffusione di infezioni, che evolvono a forma epidemica. I programmi di cooperazione internazionale rappresentano il mezzo più efficace di lotta alle malattie infettive in quanto il controllo nei paesi di origine garantisce di limitare la diffusione di pericolosi agenti in paesi in cui essi sono assenti. Il presente lavoro nasce da una collaborazione tra l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata (IZSPB) e le autorità sanitarie del Bangladesh e del Nepal, paesi nei quali l’antrace rappresenta un serio problema. Il Department of Livestock del Bangladesh dichiara che nel 2008 sono stati registrati ben 437 focolai animali mentre 2009 sono stati 449. Nel 2010, nell’arco di tre mesi, sono stati registrati 104 focolai animali a cui sono correlati ben 607 casi umani. Le cause di tanti casi umani sono da addebitare al fatto che una pratica diffusa è quella di macellare gli animali malati o in fase preagonica. In Nepal nel periodo intercorso tra il 1996 e il 1998 sono stati registrati 23 focolai di antrace animale in cui sono morti 137 animali. Non ci sono altre segnalazioni fino al 2010 dove sono stati registrati 9 focolai con 36 animali morti. Il National Zoonoses and Hygiene Research Center of Kathmandu non ha segnalato casi umani. Nel presente lavoro si focalizza l’attenzione sulle fonti di infezione e in particolare sui mangimi ed integratori destinati al bestiame dato che in una precedente indagine sul campo è stato evidenziato che il principale metodo di allevamento dei bovini è quello della stabulazione fissa (5). MATERIALI E METODI: L’International Centre for Diarrhoeal Disease Research of Dhaka ha raccolto e inviato a Foggia n. 10 campioni di mangime di circa 50 grammi ciascuno, prelevati in 5 diversi distretti del Bangladesh e rispettivamente: 4 campioni dal distretto di Shahazadpur, 3 campioni dal distretto di Faridpur, 1 campione da Santhia, 1 campione da Saratul e 1 da Ullapara. Il National Zoonoses and Hygiene Research Center of Kathmandu ha inviato 15 campioni di farina di ossa animali con un peso complessivo di circa 15 grammi, prelevati da differenti industrie mangimistiche in Nepal. Isolamento Per l’isolamento è stato utilizzato il metodo Ground Anthrax Bacillus Refined Isolation (5). Questo test, messo a punto nei laboratori del Centro di Referenza Nazionale per l’Antrace di Foggia, consente l’isolamento di B. anthracis da campioni ambientali a basso livello di contaminazione. Brevemente, 7.5 grammi di mangime di ognuno dei 10 campioni del Bangladesh sono stati addizionati a 22.5 ml di washing buffer (soluzione di acqua sterile distillata contenente 0.5% di Tween 20) e tenuti in agitazione continua per 30 minuti. La soluzione ottenuta è stata centrifugata a 2000 rpm per 5 minuti e il sopranatante è stato incubato a 64°C per 20 minuti. Dopo questa incubazione, 3 ml di sovranatante sono stati mescolati con 3 ml di Brodo Triptosio Fosfato contenente Fosfomicina ( 50 mg/ml). 1 ml della mix è stato seminato su piastre del terreno semiselettivo Agar Trimethoprime - Sulfametossazolo – Polimixina (TSMP Agar) contenente 5% di sangue ovino. Le piastre sono state incubate a 37°C per 24 ore in aerobiosi. Dopo l’incubazione si è proceduto ad un esame morfologico delle colture ottenute ed all’allestimento su vetrini di preparati per esame microscopico previa colorazione di Gram. Lo stesso protocollo è stato utilizzato per la lavorazione dei 15 campioni di mangime provenienti dal Nepal, i quali sono stati mescolati per l’ottenimento di un unico pool di circa 15 grammi. Estrazione del DNA e PCR Ogni colonia sospetta di B.anthracis è stata seminata su piastra di Agar sangue ovino 5% e successivamente incubata a 37°C per 24 ore. Dalle colonie è stato estratto il DNA utilizzando il DNAeasy Blood and Tissue kits (Qiagen) e seguendo il protocollo per i batteri Gram-positivi. Per l’identificazione è stata utilizzata una PCR con primers specifici per cromosoma, plasmide pXO1 e pXO2 di B. anthracis (4). 281 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Canonical Single Nucleotide Polymorphism (SNP) e MLVA La ricerca dei polimorfismi per i CanSNP’s è stata effettuata con 13 saggi di PCR per discriminazione allelica secondo quanto indicato da Van Ert et al. (6). E’ stata applicata una MLVA a 15 loci come descritto da Van Ert et al. (6). RISULTATI E CONCLUSIONI: B. anthracis è stato isolato in tre campioni di mangime proveniente dal Bangladesh e precisamente in quelli raccolti nei distretti di Faridpur, Saratul e Santhia. Anche la farina di ossa proveniente dal Nepal è risultata contaminata da spore di antrace. L’analisi dei Can SNP’s ha mostrato che tutti gli isolati appartengono al lignaggio maggiore A nel sottogruppo A Br. 001/002. Il test MLVA a 15 loci ha evidenziato che nel campione di mangime prelevato nel distretto di Faridpur vi era la contemporanea presenza di due differenti genotipi di B. anthracis che differivano tra loro nel locus pXO2 e nel locus vntr17. Uno dei due genotipi di Faridpur e gli altri provenienti dal Bangladesh e dalle farine di ossa animali del Nepal hanno mostrato un’omologia del 100%. I risultati presentati in questo lavoro sono preliminari di una indagine epidemiologica che sta riguardano diversi paesi asiatici e dalla quale sta emergendo che la principale fonte di infezione dell’antrace è rappresentata dai mangimi contaminati. L’aspetto particolare di questi risultati è che l’analisi CanSNP sta dimostrando che tutti i genotipi appartengono al sublineage A.Br. 001/002. Questo risultato indica i ceppi di B. anthracis circolanti in Bangladesh sono strettamente correlati a quelli circolanti in Cina e in altri paesi del sud-ovest asiatico paesi. Ciò sembra in contrasto con quelli che sono i rapporti storici e commerciali tra India e Bangladesh. Matt Van Ert et al (6) hanno indicato che in India è predominante lineage Br.Austr. 94. Tuttavia va sottolineato che tale lavoro è stato effettuato su un esiguo numero di ceppi. Un aspetto molto importante ai fini epidemiologici è la pratica diffusa in Bangladesh di macellare i ruminanti infetti in fase preagonica e di lavorane le pelli. I dati pubblicati sul “Trade Nosis indicano che l’Italia ha importato pelli e cuoio dal Bangladesh per un valore di circa 32 milioni di dollari nel 2009, di 42 milioni nel 2010 e di circa 58 milioni di dollari nel 2011 (2). Il Nepal ha esportato verso l’Italia un quantitativo in pelli (diverse da quelle per pellicceria) e cuoio per un valore di circa 2,5 milioni di dollari nel 2009, di circa 3,4 milioni di dollari nel 2010 e di circa 2,8 milioni di dollari nel 2011 (3). Le pelli, se provenienti da un animale infetto, potrebbero rappresentare un pericolo per l’uomo, basti pensare che nel 2008 in Inghilterra si è verificato il decesso di un musicista per inalazione di spore liberate dalla pelle del suo tamburo che aveva acquistato in Africa e realizzata con materiale proveniente da un animale infetto di carbonchio (1). BIBLIOGRAFIA: 1. Anaraki S, et al Investigations and control measures following a case of inhalation anthrax in East London in a drum maker and drummer. Euro Surveill. 2008 Dec 18;13(51). pii: 19076. 2. http://trade.nosis.com/it/Comex/Importazione-Esportazione/ Bangladesh/Raw-hides-skins-leather/BD/41 3. http://trade.nosis.com/it/Comex/Importazione-Esportazione/ Nepal/Raw-hides-skins-leather/NP/41 4. Fasanella A, et al. Detection of antrhax vaccine virulence factors by Polymerase Chain Reaction. Vaccine 2001; 19: 4214 – 4218. 5. Fasanella A, et al. Bangladesh anthrax outbreaks are probably caused by contaminated livestock feed. Epidemiol Infect. 2012 Jul 20:1-8. 6. Van Ert MN, et al. Global genetic population structure of Bacillus anthracis. PLoS ONE 2007; 2 : e461 282 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 VALUTAZIONE DEL RISCHIO ANISAKIASI NELLE PREPARAZIONI GASTRONOMICHE CONTENENTI PRODOTTI DELLA PESCA DESTINATI AD ESSERE CONSUMATI CRUDI: RISULTATI PRELIMINARI DI UN PIANO DI MONITORAGGIO DIPARTIMENTALE IN CAMPANIA MEDIANTE METODO DIGESTIVO Fraulo P.*[1], Morena C.[1], Costa A.[2], Guarino A.[3], Improta A.[4], De Carlo E.[1] Keywords: Anisakiasi, metodo digestivo, I.Z.S. Mezzogiorno ~ Salerno, [2] I.Z.S. Sicilia ~ Palermo, [3] I.Z.S. Mezzogiorno ~ Portici, [4]ASL ~ Salerno [1] SUMMARY: The authors have made, validated and accredited analytical method to be used for the official control of foodstuffs ready to eat at risk for Anisakiasis. The method uses a artificial digestion with magnetic stirrer heated. It proved to be suitable for the detection of live and dead larvae anisakidae in food preparations containing fish or cephalopods raw or almost raw. The method showed high levels of sensitivity and specificity and has been used as part of a monitoring plan proposed by the department ASL Salerno. Is confirmed the suitability of the method for use in official food control. INTRODUZIONE: Ogni anno in regione Campania sono numerose le segnalazioni sul riscontro di larve di anisakidi in preparazioni gastronomiche contenenti prodotti della pesca crudi e non sono rari i casi di anisakiasi nell’uomo. La normativa nazionale e comunitaria, già da tempo, ha introdotto, per i prodotti della pesca da consumarsi crudi, l’obbligo della “bonifica preventiva” mediante congelamento, avente lo scopo di uccidere i parassiti eventualmente sfuggiti all’esame visivo. Il riscontro di larve di parassiti vive, in prodotti ittici destinati ad essere consumati crudi o quasi crudi, pertanto, rivela la mancata o non efficace applicazione di tale obbligo, potendo configurare l’ipotesi di reato ai sensi della legislazione vigente. La messa a punto ed il relativo accreditamento di una metodica analitica in grado di rilevare la presenza (con elevata sensibilità e specificità, anche di una sola larva di parassita nei prodotti a rischio (prodotti ittici salati, marinati, affumicati o semplicemente preparati) e di distinguere la presenza di larve vive di parassiti dalle larve morte senza interferire sulla vitalità delle prime, ha consentito di programmare un piano di monitoraggio dipartimentale, in collaborazione con la ASL Salerno, finalizzata alla valutazione del rischio anisakiasi in tali prodotti nonché alla sensibilizzazione dell’OSA su tale problematica. MATERIALI E METODI: E’ stata messa a punto, validata ed accreditata una metodica analitica basata sulla tecnica della digestione artificiale in soluzione cloro-peptica, mantenuta sotto agitazione a 44-46°C per circa 30 minuti. La digestione artificiale è stata effettuata mediante l’ausilio di un agitatore magnetico riscaldato con termoregolatore a sonda. Il metodo è stato sperimentato sul muscolo di teleostei e di molluschi cefalopodi nonché su preparazioni alimentari contenenti prodotti della pesca, da consumarsi crudi o praticamente crudi con risultati soddisfacenti. Dopo la digestione, le larve presenti nella soluzione digerita, sono state evidenziate con l’osservazione visiva del sedimento raccolto in piastre di Petri, con l’ausilio di uno stereomicroscopio. Successivamente è stata effettuata la identificazione morfologica delle larve con osservazione microscopica microscopicamente, previa chiarificazione con Lattofenolo di Amman o con glicerina. La metodica è stata applicata ad un piano di monitoraggio dipartimentale che prevede la esecuzione di almeno n°6 campioni al mese, da effettuarsi in occasione di altrettante verifiche ispettive ufficiali, presso le strutture interessate (attività di preparazione, imprese di produzione e di distribuzione). Durante le verifiche ispettive sono oggetto di valutazione i requisiti strutturali e gestionali previsti dalla normativa vigente, mediante l’ausilio di una check-list e, se è disponibile il materiale, viene effettuato il campionamento mediante il prelievo di 4 o 5 aliquote, composte da una unità campionaria ciascuna, di almeno 50 grammi di prodotto. Quest’ultima viene esaminata totalmente in una o più sedute analitiche. Per far salvo il diritto alla difesa viene applicato l’art.223 del D.L.vo 28/07/1989 n.271. RISULTATI E CONCLUSIONI: Per la messa a punto del metodo sono state condotte circa 250 prove di cui circa 120 per la validazione. I campioni positivi sono stati contaminati artificialmente con una larva viva di Anisakis spp. ed una morta fissata in etanolo al 70%, quest’ultima fornita dal Centro di Referenza Nazionale per le Anisakiasi (C.Re.N.A). Tutte le larve introdotte artificialmente nelle diverse matrici sono state rilevate dal metodo, che ha riportato elevati livelli di performance (Sensibilità: 100%, Specificità 100%, Ripetibilità: 100%). La digestione artificiale non ha influito in alcun modo sulla vitalità delle larve immesse artificialmente nei campioni e tutte le larve vive introdotte, sono state recuperate ancora vive e vitali. Le larve morte, non fissate in etanolo e che avevano iniziato i processi di degradazione, sono state recuperate parzialmente digerite, a causa della degradazione della cuticola del parassita, che le conferisce la resistenza alla digestione cloropeptica. Ciò non inficia in alcun modo l’applicabilità della metodica in ambito di controllo ufficiale degli alimenti, in quanto l’obiettivo prioritario è l’isolamento di larve ancora vive e vitali. Durante la fase di messa a punto del metodo, inoltre, conducendo le prove su campioni di pesce intero ed analizzando anche i visceri, sono state isolate anche larve di altri anisakidi, tra cui il genere Contracaecum sp. più piccolo e delicato, rivelando la idoneità della metodica alla ricerca anche di altri anisakidi. E’ stato necessario aumentare i tempi di digestione a circa 45-60 minuti per i molluschi cefalopodi, in quanto il mantello è più difficile da digerire rispetto al muscolo dei teleostei. Il metodo ha superato la verifica di accreditamento dell’organismo ufficiale nel Gennaio 2012. Tale metodica è risultata, pertanto, indicata per l’impiego in ambito di controllo ufficiale e, l’elevata sensibilità e la capacità di non interferire sulla vitalità delle larve, la rende particolarmente idonea per rivelare il mancato rispetto dell’obbligo di bonifica delle materie prime. Per ridurre ulteriormente la probabilità di interferire sulla vitalità delle larve più piccole e delicate, sono in corso studi per la valutazione della riduzione della temperatura di digestione. Il 283 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 piano di monitoraggio dipartimentale, anche se ancora in una fase iniziale, sta mostrando risultati interessanti, con particolare riferimento alla ricaduta sugli operatori del settore, in termini di sensibilizzazione e formazione degli stessi sul rischio anisakiasi. Non sono, invece, ancora disponibili dati sufficienti per una analisi statistica. BIBLIOGRAFIA: 1. (G.J.Jackson, J.W.Bier, W.L.Playne, F.D. McClure, 1981) Recovery of Parasitic Nematodes from Fish by Digestion or Eluition. Applied and Environmental Microbiology. 41, n.4, p.912-914; 2. (Brent R.Dixon, 2006) Isolation and Identification of Anisakid Roundworm Larvae in Fish. OPFLP-2 Health Products and Food Branch Ottawa. Available at: http://www.ht-sc.gc.ca/ fn-an/res-rech/analy-meth/microbio-index_e.html; 3. (W.Huang, 1988) Anisakides et Anisakidoses humaines. Ann. Parasito. Hum. Comp. 63, n°3 pag.197-201. 4. (W.Huang, 1988) Anisakides et Anisakidoses humaines. Ann. Parasito. Hum. Comp. 63, n°2 pag.119-124. 5. (Smith J.W.et Wotten R. 1984) Parasitose des poissons par les larves du nematode Pseudoterranova. Fiches d’identification des maladies et parasites des poissons, crustaces et mollusques. Fiche n.7. 6. (Smith J.W.et Wotten R. 1984) Parasitose des poissons par les larves du nematode Anisakis. Fiches d’identification des maladies et parasites des poissons, crustaces et mollusques. Fiche n.8 7. (Smith J.W.et Wotten R. 1984) Parasitose des poissons par les larves du nematode Phocascaris/Contracecum. Fiches d’identification des maladies et parasites des poissons, crustaces et mollusques. Fiche n.9 8. (Berland B. 1991) Hysterothylacium aduncum (nematoda) in fish. ICES Identification leaflets for diseases and parasites of fish and shellfish. Leaflet n.44. 284 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 VALIDAZIONE DI DUE METODI DI PROVA IMMUNOENZIMATICI (ELISA) PER LA RICERCA DI ALLERGENI NEGLI ALIMENTI Gagliardi R.*[1], Biondi L.[1], Esposito M.[1], Guarino A.[1], Nava D.[1] Keywords: ELISA , ovoproteine, ß-lattoglobuline Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (NA) [1] SUMMARY: Allergens are substances that are normally harmless to most people, but can potentially cause adverse reactions in some people. These reactions range from mild symptoms to severe symptoms. Directive 2003/89/EC, implemented at national level by decree n. 114 of 02.08.2006 states, therefore, obliged to declare all ingredients on the label of food products. In this paper we report the results of the validation of two test methods ELISA immunoassays for the detection of β-lactoglobulin and Egg Protein INTRODUZIONE: Gli allergeni sono sostanze, generalmente di natura proteica, innocue per la maggior parte della popolazione, in grado però di indurre reazioni avverse in alcuni soggetti. Al fine di tutelare la loro salute, la Direttiva 2003/89/CE (1) obbliga i produttori a dichiarare in etichetta tutti gli ingredienti dei prodotti alimentari. Per verificare l’ottemperanza a quanto previsto da tale Normativa, con l’obiettivo finale di tutelare la salute dei cittadini, la Regione Campania ha inserito nel Piano Regionale Integrato dei controlli ufficiali in materia di Alimenti, Mangimi, Sanità e Benessere Animale, Sanità delle Piante (P.R.I.) 2011 – 2014 (4), uno specifico programma di monitoraggio per la ricerca negli alimenti di alcuni allergeni non dichiarati in etichetta, quali le ovoproteine e le β-lattoglobuline. Per la ricerca di tali sostanze, i metodi immunoenzimatici ELISA sono considerati metodi di riferimento (gold standard), in quanto in grado di rivelarne la presenza anche in tracce. In questo lavoro si riportano i risultati della validazione di due metodi di prova immunoenzimatici ELISA, per la ricerca delle ovoproteine e delle β –lattoglobuline. MATERIALI E METODI: Per la validazione dei metodi di prova sono state scelte diverse matrici alimentari tra quelle previste dal piano di monitoraggio: carne tritata bovina, salsiccia di suino, wurstel misto (suino, pollo, tacchino), omogeneizzato di pollo, carne in scatola, yogurt di soia, succo di arancia e prodotto di pasticceria (Tab. 1).I kit diagnostici immunoenzimatici utilizzati, entrambi prodotti dalla ditta R-Biopharm AG, sono di tipo “sandwich” diretto. La preparazione dei campioni e l’allestimento del saggio sono stati effettuati secondo le istruzioni della ditta produttrice: l’estrazione è stata attuata mediante tamponi di estrazione forniti dal kit, sulle matrici precedentemente omogeneizzate mediante stomacher (Lab System-Stomacher®80, Biomaster). Per la valutazione dei risultati è stato utilizzato il software RIDA®SOFT Win, fornito dal produttore del kit. I calcoli sono stati eseguiti impiegando la funzione di spline cubica. La lettura è stata effettuata a 450nm, mediante spettrofotometro Microplate Reader mod. 680, BIO-RAD. Per entrambi i metodi il campo di misura è dato dalla concentrazioni degli standards forniti dal kit, ovvero 0 ppm - 0,5 ppm - 1,5 ppm - 4,5 ppm e 13,5 ppm, dai quali si ottiene una curva standard di taratura. La lettura del Per la validazione del metodo di prova sono stati valutati i seguenti indici di prestazione: specificità, sensibilità, LOQ e robustezza. Per la verifica della specificità, per entrambi i metodi sono stati analizzati 20 campioni, costituiti da diverse matrici alimentari (Tab.1). Per l’analisi dei campioni sono stata seguite le procedure interne, elaborate secondo le istruzioni della ditta produttrice dei kit. Le prove sono state eseguite in doppio su tutti i campioni, estratti in un’unica seduta. Le concentrazioni finali sono state lette direttamente sulla curva standard. La sensibilità dei metodi è stata valutata analizzando i 20 campioni utilizzati per le prove di specificità, fortificati a 2 ppm con Materiale di Riferimento Certificato Fapas®, specifico per ogni allergene. Il calcolo del limite di quantificazione (LOQ) in ppm per entrambi i metodi è stato determinato in tampone, utilizzando specifico materiale di riferimento certificato Fapas® Test Material Specification Sheet. Tale materiale è stato, per entrambi i metodi, opportunamente sottoposto a diluizioni scalari. Il LOQ è stato fissato in 0,5 ppm, in quanto il programma per l’analisi dei dati fornito dalla ditta produttrice del kit consente di rilevare ma non quantificare valori intermedi tra lo standard 0 e 0,5 (Tab. 2- 3).Dalla diluizione corrispondente al LOQ sono state successivamente effettuate 19 repliche. Infine è stata determinata la robustezza dei metodi, intesa come l’affidabilità della procedura analitica rispetto alle variazioni nei parametri del metodo, mediante valutazione della performance dei kit al variare di + 5% del volume dei campioni e dell’enzima coniugato. 285 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISULTATI E CONCLUSIONI: Relativamente alla verifica della specificità, testata su 20 diverse matrici alimentari per ogni kit, dall’analisi dei risultati si evince perfetta concordanza tra risultati attesi ed ottenuti: pertanto la specificità di entrambi i kit è pari al 100%.Relativamente alla sensibilità dei metodi, in tutti i campioni esaminati per entrambi i metodi si è evidenziata la presenza dell’allergene ricercato e non si sono verificati effetti di inibizione da matrice; la verifica dei valori attesi ed ottenuti ha evidenziato una perfetta concordanza. La sensibilità dei kit è risultata pertanto del 100%.Relativamente al LOQ, fissato a 0,5 ppm, tutte le 19 repliche, effettuate dalla diluizione corrispondente al valore del LOQ stesso, hanno dato risultati sovrapponibili per entrambi i metodi.Relativamente alla robustezza, verificata durante le fasi di messa a punto dei metodi, non si sono notate differenze significative; pertanto i metodi possono considerarsi robusti. I risultati della validazione indicano che i metodi sviluppati sono adeguati alle esigenze del laboratorio, in grado di soddisfare lo scopo per il quale sono stati applicati. Inoltre, per le loro caratteristiche di robustezza e rapidità di esecuzione, risultano pratici e vantaggiosi dal punto di vista economico. L’utilizzo di metodiche validate ed accreditate, oltre che richiesto dalla Normativa vigente, è un ausilio al laboratorio nel superare le criticità insite nel settore della ricerca di allergeni alimentari, quali la mancanza di metodi ufficiali di controllo per i laboratori; l’utilizzo, in ogni sessione analitica, dei controlli negativo e positivo, in accordo alla ISO 17025 (5), garantisce inoltre la qualità dei risultati in ogni fase, rappresentando la necessaria garanzia nell’efficacia dei piani di monitoraggio Regionali, nonché nelle attività di controllo ufficiale, entrambi con l’obiettivo finale di tutelare la salute del consumatore. BIBLIOGRAFIA: 1)Direttiva 2003/89/CE del Parlamento Europeo del Consiglio del 10 novembre 2003 che modifica la direttiva 200/13/CE per quanto riguarda l’indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari. 2)Decreto Legislativo n.114 dell’8 febbraio 2006. Attuazione delle Direttive 2003/89/CE, 2004/77/CE e 2005/63/CE in materia di indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari. 3)Direttiva 2006/142/CE: Direttiva della Commissione, del 22 dicembre 2006, che modifica l’allegato III° bis della Direttiva 2000/13/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio concernente l’elenco degli ingredienti che devono essere citati in ogni caso sull’etichettatura dei prodotti alimentari. 4)Piano Regionale Integrato dei Controlli Ufficiali in materia di alimenti, mangimi, sanità e benessere animale e sanità delle piante (P.R.I.) 2011-2014 – DGRD 377/11. 5)UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005. Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura. 286 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 VALUTAZIONE DEL RISCHIO PER LA PRESENZA DI CONTAMINANTI CHIMICI NEL LATTE DI BUFALA DELLA CAMPANIA Gallo P.*[1], La Nucara R.[1], Salini M.[1], Haubr T.[1], De Crescenzo M.[1], Guadagnuolo G.[1], Rossini U.[1], Urbani V.[1], Maglio P.[1], Bianco R.[1], Guarino A.[1], Serpe L.[1] Keywords: latte di bufala , metalli pesanti, aflatossina M1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici [1] SUMMARY: In this project we present preliminary data regarding the contamination levels from aflatoxin M1, lead and cadmium in milk from buffalo herds in Campania, measured during 2011-2012. The following data have been produced and evaluated in the frame at a research project, funded by the Italian Health Ministry, in cooperation with others Istituti Zooprofilattici Sperimentali; the aim is to compare and evaluate possible health risk from consumption of raw milk from different species and Italian regions. INTRODUZIONE: La valutazione del rischio è uno dei pilastri della moderna politica per la sicurezza alimentare dell’Unione Europea. Negli ultimi anni, l’attenzione è focalizzata sull’analisi dei processi di filiera, per individuare, caratterizzare, eliminare o ridurre i possibili rischi chimici e microbiologici, e migliorare la sicurezza del prodotto finale. Inoltre, è aumentata l’attenzione alle conseguenze della contaminazione ambientale, quale causa imprevista per l’introduzione di rischi per il consumatore, soprattutto alla luce di recenti emergenze sanitarie. In Campania il latte di bufala è considerato un alimento di particolare rilevanza economica e sociale, per l’entità dell’allevamento bufalino e per tutte le attività produttive e terziarie che ne derivano. Pertanto, questo settore produttivo è stato incentivato, soprattutto dopo la recente emergenza diossine, attraverso la valorizzazione del latte di bufala dal punto di vista igienico-sanitario, implementando un piano di monitoraggio per la contaminazione chimica e microbiologica (Legge 3/2005 della Giunta della Regione Campania) (1). In questo progetto di ricerca sono stati valutati i risultati delle analisi eseguite nel 2011-2012 per la determinazione di aflatossina M1 (AFM1), piombo (Pb) e cadmio (Cd) nei campioni di latte bufalino prelevati in Campania, in applicazione della Legge 3/2005. Il lavoro si inserisce in un progetto di ricerca finanziato dal Ministero della Salute, in collaborazione con altri Istituti Zooprofilattici Sperimentali, per la valutazione igienicosanitaria, secondo lo schema risk-benefit, del latte crudo proveniente da diverse specie animali in diverse regioni italiane. Considerata la rilevanza dell’allevamento bufalino della Campania a livello nazionale ed internazionale, i risultati rappresentano il più ampio monitoraggio eseguito per la presenza di AFM1, Pb e Cd nel latte di bufala. MATERIALI E METODI: I campioni sono stati analizzati usando metodi di prova accreditati. Analisi di Aflatossina M1 - Per il metodo di screening qualitativo è stato usato il kit ELISA a competizione EuroClone, con analisi diretta del campione previa centrifugazione per separare il grasso; il limite di quantificazione (LOQ) = 0.004µg/kg . L’analisi di conferma quantitativa è stata eseguita in cromatografia HPLC su colonna Synergi Polar-RP 80 Å 250 ‘ 4.6 mm (Phenomenex) con rivelazione fluorimetrica, previa separazione del grasso, e purificazione su colonna di immunoaffinità AFM1 (Vicam). Il limite di quantificazione (LOQ) = 0.002 µg/kg. Analisi di Pb e Cd - Il metodo di prova si applica al latte di massa e termicamente trattato di mammiferi e si basa sulla determinazione del contenuto di cadmio e piombo mediante spettrofotometria di assorbimento atomico con fornetto di grafite THGA con correzione per effetto Zeemann, usando uno strumento Perkin Elmer Aanalyst 800, dopo mineralizzazione del campione eseguita per via umida mediante forno a microonde Ethos (Milestone, FKV). I risultati sono stati calcolati mediante standardizzazione esterna. I metodi di prova hanno limiti di quantificazione (LOQ) di 0.007 mg/kg (Pb) e 0.002 mg/kg (Cd). RISULTATI E CONCLUSIONI: Il numero di campioni analizzati e di quelli risultati contaminati è riportato nelle Tabelle 1, 2 e 3. Sono stati analizzati 213 campioni di latte per AFM1, di cui solo 3 positivi (1.4%), con livelli di contaminazione nell’intervallo 0.005 – 0.007 µg/kg, ben al di sotto del limite massimo a 0.025 µg/kg stabilito dalla legge comunitaria. Il risultato conferma quanto già emerso in precedenti studi circa la scarsa rilevanza della presenza di questa micotossina nel latte di bufala, a garanzia anche della salubrità dei prodotti lattierocaseari derivati, con particolare riferimento alla mozzarella di bufala campana. Dall’esame della Tabella 2, si osserva che 56 campioni di latte su 151 analizzati (37.1%) contengono piombo, con concentrazioni tra 0.005 – 0.019 µg/kg, inferiori al limite massimo a 0.020 µg/kg stabilito dalla legge comunitaria. I livelli di distribuzione del piombo nei campioni di latte analizzati sono rappresentati nell’istogramma in Figura 1. I dati in Tabella 3 indicano che nessuno dei 143 campioni di latte analizzati contiene cadmio; si noti che per questo metallo non sono stati fissati limiti massimi tollerabili dalla legislazione comunitaria e nazionale. Complessivamente, i dati dimostrano che il latte di bufala prodotto in Campania è conforme alla legislazione comunitaria per micotossine e metalli pesanti. Il contaminante chimico più frequentemente riscontrato è il piombo, presumibilmente perché questo metallo è ancora diffuso nell’ambiente agricolo e zootecnico o come conseguenza di attività industriali e manifatturiere. I dati 2012 sono relativi solo al primo semestre, durante il quale sono pervenuti al laboratorio un numero di campioni superiore a quelli analizzati nel 2011, pertanto i risultati sembrano descrivere più ampiamente i livelli di contaminazione presenti negli allevamenti. A tal riguardo, questo studio pone le basi per la valutazione dei livelli di piombo anche nella mozzarella di bufala e mista, sebbene non siano previsti limiti legali dalle leggi vigenti. Per quanto riguarda l’aflatossina M1, che deriva dal metabolismo di mangimi contaminati da aflatossine B e G, i bassi livelli di contaminazione potrebbero essere correlati al tipo di alimentazione della bufala campana. 287 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: (1) Legge della Giunta Regionale della Campania N.3 del 1 Febbraio 2005, BURC n.9 del 7 Febbraio 2005 288 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 DETERMINAZIONE DI MICROCISTINE IN INTEGRATORI A BASE DI ALGHE MEDIANTE LC/ESI-MS/MS IN TRAPPOLA IONICA Gallo P.*[1], Fabbrocino S.[1], Serpe L.[1], Guarino A.[1] Keywords: spettrometria di massa, microcistine, integratori alimentari Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (NA) [1] SUMMARY: Cyanotoxins are emerging pollutants produced by cyanobacteria in drinking waters. Microcystins (MCCs) are the most relevant group of cyanotoxins, because of their large presence and significant poisoning effects, both in humans and animals. Herein, we present a method based on ion trap LC/ESI-MS/ MS, for determination of microcystins in food supplements contaminated by cyanobacteria. A survey on some brands of food supplements from the Italian market was performed; MC-LR and other MCCs were detected in some samples containing Aphanizomenon, Spirulina and Chlorella as ingredients. INTRODUZIONE: Per molti contaminanti ambientali non esistono limiti massimi tollerabili, a causa della mancanza di adeguate informazioni riguardo la loro diffusione e tossicità. Fra queste sostanze vi sono le cianotossine, ovvero prodotti del metabolismo secondario dei cianobatteri, che crescono in acque dolci e salmastre in quasi tutte le parti del mondo (1,2). Le microcistine (MCCs) costituiscono il gruppo di cianotossine più comune e più studiato; questo interesse è dovuto alla loro elevata epatossicità e nefrotossicità; inoltre, è stato dimostrato che sono promotori tumorali (3). I generi di cianobatteri più comuni che producono MCCs sono Anabaena, Microcystis e Planktothrix, identificate in acque di superficie usate sia come fonti di acque potabili, sia negli impianti di aquacoltural farming per la produzione di integratori alimentari a base di alghe. Nonostante i potenziali rischi derivanti dall’esposizione alle cianotossine in prodotti contaminati, questi integratori alimentari non sono soggetti a controlli ai fini della sicurezza alimentare. Per l’analisi delle MCCs sono noti metodi di prova ELISA, dosaggi enzimatici con la fosfatasi e cromatografia liquida con rivelazione in spettrometria di massa (4,5,6). In questo lavoro è presentato un metodo multi-residuo per l’analisi delle MCCs mediante cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa tandem in trappola ionica (IT-LC/ESI-MS/MS). Il metodo è stato sviluppato, sono state valutate le sue prestazioni analitiche e quindi usato per l’analisi di alcuni campioni di integratori alimentari a base di alghe, acquistati in negozi di erboristeria, dove sono venduti come prodotti da banco. Non vi sono lavori precedentemente riportati per l’analisi di MCCs in integratori alimentari a base di alghe che si avvalgono di LC/ESIMS/MS in trappola ionica, una tecnica analitica affidabile in termini di specificità, identificazione, recupero, ripetibilità e riproducibilità. MATERIALI E METODI: Reattivi, materiali di riferimento e solventi La Microcistina-LR (MC-LR), Microcistina-YR (MC-YR), Microcistina-RR (MC-RR) Microcistina-des-Metil-RR (desMe-MC-RR) Microcistina-des-Metil-LR (desMe-MC-LR) sono state fornite dalla DHI Water and Environment (Danimarca); la Microcistina-LF (MC-LF) e la Microcistina-LW (MC-LW) sono prodotte dalla ditta ALEXIS (ALEXIS Corporation, Lausen, Switzerland) e sono state fornite dalla Vinci Biochem (Vinci, Italia). Tutti i materiali di riferimento sono puri per analisi. Le colonne ISOLUTE C18 (EC) SPE con 1 g di adsorbente sono di produzione della ditta Biotage (Uppsala, Sweden). I filtri da centrifuga Microsep 100K OMEGA con cut-off di 100 KDa sono di produzione della ditta PALL Life Science (Pall Corporation, Port Washington, NY, USA). Soluzioni Materiali di riferimento delle MCCs Per lo sviluppo dei metodi analitici sono state impiegate soluzioni di materiali di riferimento delle 5 microcistine MC-RR, MC-YR, MC-LR, MC-LW, MC-LF, e 2 analoghi desmetilati, ovvero desMe-MC-RR, e desMe-MC-LR. Campioni di integratori alimentari I prodotti utilizzati in questo studio contengono sia alghe propriamente dette, sia cianobatteri; su ogni confezione è indicato il dosaggio dell’alimento (quantità/die in termini di compresse oppure opercoli). Estrazione e clean-up dei campioni di integratori alimentari Il campione polverizzato in mortaio è stato pesato ed estratto con 0.1 % TFA 1/3 v/v metanolo/acqua MilliQ , sonicato e centrifugato. Il filtrato è stato raccolto e portato a volume di 20 mL con acqua MilliQ, e purificato su colonna SPE C18 (EC); l’eluato portato a secco sotto flusso d’azoto a 40°C, e sciolto in 0.5 mL di metanolo, poi analizzato in ITLC/ESI-MS/MS. In questo modo sono stati analizzati campioni bianchi, campioni fortificati ed i campioni di integratori alimentari riportati in Tabella 1. Apparecchiature Sistema per cromatografia liquida spettrometria di massa (LC-MS/MS) equipaggiato con pompe quaternarie Surveyor LC Plus Pumps, autocampionatore modello Surveyor Autosampler Plus, e spettrometro di massa Ion Trap modello LCQ Advantage con sorgente ionica electrospray (ESI) (Thermo Fisher). Colonna cromatografica Synergi-MAX-RP. Analisi LC/ESI-MS/MS in trappola ionica L’analisi in cromatografia liquida e spettrometria di massa tandem è stata eseguita caricando 50 µL di campione, in condizioni isocratiche ( Tabella 1), e modalità SRM (Selected Reaction Monitoring). 289 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Tabella 1. Condizioni strumentali in cromatografia liquida. Le condizioni strumentali per l’analisi ESI-MS/MS in trappola ionica sono riportate in Tabella 2. Tabella 2. Condizioni strumentali ESI-MS/MS in trappola ionica in modalità SRM. 290 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono stati analizzati 9 prodotti commerciali elencati in Tabella 3. Tabella 3. Risultati delle analisi di MCCs nei 9 campioni di integratori alimentari in IT-LC/ESI-MS/MS. I risultati sono riportati in ng/g. Per l’analisi quantitativa e qualitativa delle 7 microcistine in integratori alimentari, le prestazioni del metodo sono state valutate considerando diversi parametri: - la specificità, analizzando 20 campioni bianchi e verificando l’assenza di segnali interferenti; - l’esattezza, mediante prove di recupero eseguite al livello di fortificazione di 100 ng/g; i dati sono stati elaborati per calcolare esattezza, ripetibilità intra-die (su una sessione da 6 prove), riproducibilità inter-die (su due sessioni da 6 prove ciascuna eseguite in giorni differenti e da diversi analisti) (Tabella 4). Tabella 4. I parametri statistici calcolati al livello di fortificazione di 100 ng/g. La Figura 1A mostra i cromatogrammi SRM di uno standard in matrice delle 7 molecole analizzate, mentre nella Figura 1B sono mostrati i cromatogrammi SRM dei recuperi a 100 ng/g da integratore alimentare; per ogni molecola sono anche riportati i rispettivi spettri MS/MS. 291 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Confrontando il segnale dei materiali di riferimento preparati in solvente e quelli in matrice, è stato osservato un enhancement del segnale per MC-RR, MC-LR, MC-YR, desMe-MC-RR e desMe-MC-LR che consente di migliorare il rapporto segnale/rumore (S/N) e quindi la sensibilità dell’analisi. I risultati indicano che tutte le sostanze sono identificate univocamente con il criterio dei punti di identificazione, con almeno 3 ioni diagnostici (1 precursore e 2 ioni prodotto), mostrando un’alta selettività del metodo, sia nei campioni fortificati artificialmente che sui campioni risultati positivi. BIBLIOGRAFIA: (1) “The cyanotoxins”. In: Callow, J.A. (Ed.). Advances in Botanical Research, Vol. 27. Academic Press, London, p. 211-256, 1997. Carmichael W.W. (2) “The toxins of cyanobacteria”. Scientific American 270 :78-86., 1994. Carmichael W.W. (3) “Assessing potential health risks from microcystin toxins in blue-green algae dietary supplements”. Environmental Health Perspect. 2000 May;108(5):435-9. Gilroy DJ, Kauffman KW, Hall RA, Huang X, Chu FS. (4) “Characterisation of biotoxins produced by a cyanobacteria bloom in Lake Averno using two LC-MS-based techniques”. Ferranti P, Fabbrocino S, Cerulo MG, Bruno M, Serpe L, Gallo P. Food Addit Contam. 2008 Jul 22:1-8. (5) “Determination of cylindrospermopsin in freshwaters and fish tissue by liquid chromatography coupled to electrospray ion trap mass spectrometry”. Gallo P, Fabbrocino S, Cerulo MG, Ferranti P, Bruno M, Serpe L. Rapid Communication in Mass Spectrometry. 2009 Oct 30;23(20):3279-84. (6) “Liquid chromatography coupled to quadruple time-offlight tandem mass spectrometry for microcystin analysis in freshwaters: method performances and characterisation of a novel variant of microcystin-RR”. Ferranti P, Fabbrocino S, Nasi A, Caira S, Bruno M, Serpe L, Gallo P. Rapid Commun Mass Spectrom. 2009 May;23(9):1328-36. 292 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 METODO MULTI-RESIDUO PER LA DETERMINAZIONE DEGLI ANTI-INFIAMMATORI NON STEROIDEI IN MUSCOLO MEDIANTE LC/ESI-QTRAP-MS/MS Gallo P.*[1], Salini M.[1], Guadagnuolo G.[1], Danese V.[1], Guarino A.[1], Serpe L.[1] Keywords: spettrometria di massa, NSAID, muscolo Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (NA) [1] SUMMARY: A novel multi-residue method based on liquid chromatography coupled to tandem mass spectrometry was developed to determine 16 non steroidal anti-inflammatory drug residues and 2 metabolites (NSAIDs) in muscle tissue from different animal species. The method was developed to introduce this new monitoring activity in the Italian National Program for veterinary drug residue control; a hybrid triple quadrupole mass spectrometer was employed for determination and identification. The method was validated according to the Decision 2002/657/EC, then accredited and used for monitoring samples from all Italian regions. INTRODUZIONE: Gli anti-infiammatori non steroidei (NSAIDs) sono usati come farmaci veterinari per il trattamento di diverse specie animali, per la loro capacità di ridurre gli effetti degli stati infiammatori ed alcune patologie muscolo-scheletriche. Sono farmaci di categoria B, autorizzati in maniera specifica per alcune specie animali da reddito e per la produzione di alimenti. Dal punto di vista della struttura chimica, gli NSAIDs sono farmaci appartenenti a diverse classi di composti basici ed acidi. La loro somministrazione alle specie animali può avere effetti collaterali, soprattutto a livello epatico, e causare la presenza di residui nel latte e nei tessuti (muscolo, fegato, rene). La potenziale presenza di residui di NSAIDs negli alimenti è un rischio per la sicurezza alimentare, perché alcuni di questi farmaci causano anemia aplastica, patologie gastrointestinali e sono sospetti teratogeni e carcinogenici. La legislazione della Commissione Europea ha regolamentato l’uso degli NSAIDs e raccomandato agli Stati Membri di introdurre la loro ricerca nei piani di monitoraggio nazionali per il controllo dei residui di farmaci veterinari; il latte, il tessuto muscolare, il fegato, il rene e il plasma sono stati scelti come matrici da analizzare. Il nostro laboratorio è specializzato da anni per l’analisi multi-residuo degli NSAIDs, pertanto siamo stati incaricati dal Ministero della Salute di sviluppare un metodo di conferma anche nel tessuto muscolare, introdotto come nuova matrice per l’attività di controllo nel Piano Nazionale Residui (PNR) 2012. Il metodo è stato sviluppato per l’identificazione univoca ed analisi quantitativa di diclofenac (DCF), flunixina (FLU) e il suo metabolita 5-idrossi-flunixina (5OH-FLU), meloxicam (MLX), piroxicam (PIR), acido tolfenamico (TLF), acido mefenamico (MFN), acido meclofenamico (MCF), acido niflumico (NFL), naproxene (NPX), ketoprofene (KTP), ibuprofene (IBP), vedaprofene (VDP), carprofene (CPF), suxibutazone (SBZ), fenilbutazone (PBZ) e il suo metabolita ossifenbutazone (OBZ), flurbiprofene (FLB). La determinazione è stata eseguita mediante LC/ESI-QTRAP-MS/MS, usando uno spettrometro di massa ibrido in modalità MRM (multiple reaction monitoring) in polarità negativa e positiva, dopo separazione cromatografica su colonna a fase inversa. Il Regolamento UE 37/2010 (1) stabilisce limiti massimi di residuo (LMR) nel muscolo per DCF (5 µg/kg in suini e bovini), FLU (10 µg/kg, 20 µg/kg e 50 µg/kg in bovini, suini ed equidi rispettivamente), MLX (20 µg/kg), TLF (50 µg/kg in suini e bovini), VDP (50 µg/kg in equidi), CPF (500 µg/kg in equidi e bovini). Il metodo è stato validato per la conferma quantitativa secondo i requisiti previsti dalla Decisione 2002/657/ CE (2) , ed accreditato UNI EN ISO/IEC 17025:2005, poi utilizzato per l’analisi dei campioni provenienti dall’intero territorio nazionale. MATERIALI E METODI: I campioni di muscolo sono omogenati, estratti con 1 ml di acqua, 4 ml di etile acetato e 4 ml di acetonitrile; dopo sonicazione e centrifugazione, 5 ml di surnatante sono portati a secco, ridisciolti in fase mobile ed analizzati mediante LC/ESI-QTRAP-MS/MS, costituito da: − Sistema cromatografico HPLC Agilent 1200, (pompe ed autocampionatore) gestito dal software Analyst (Applied Biosystems/MDS-Sciex) − Sistema spettrometro di massa QTRAP 4000, dotato di sorgente TurboIonSpray e software di gestione ed elaborazione dei dati Analyst (Applied Biosystems/MDS-Sciex) − Colonna cromatografica MAX-RP, con particelle da 4 micron (Phenomenex). La cromatografia è eseguita in gradiente, con le fasi mobili acqua-0.1% acido acetico (A)/e acetonitrile contenente 0.1% acido acetico (B), ad un flusso di 1.0 ml/min, iniettando 2 microlitri L’analisi ESI-MS/MS è eseguita nelle seguenti condizioni sperimentali: − modalità MRM ioni positivi (+MRM) e ioni positivi (-MRM) − ionizzazione negativa per CPF, FBP, FLU, IBP, MCF, MFN, MLX, NPX, OBZ, PBZ, DCF, 5OH-FLU e PIR − ionizzazione positiva per NFL, SBZ, TLF e KTP Sono stati ottimizzati i seguenti parametri strumentali per le due transizioni MRM eseguite per ogni analita: - Q1 – Q3 : transizione MRM - DP : Declustering potential (V) - EP : Entrance potential (V) - CE : Collision energy (eV) - CXP : Collision cell exit potential (V) - Q : ione diagnostico per analisi quantitativa - q : ione diagnostico per analisi qualitativa Il calcolo della concentrazione di ciascun NSAID è effettuato per interpolazione della retta di regressione lineare ottenuta riportando in grafico l’area dei picchi cromatografici delle soluzioni di lavoro in matrice iniettate in HPLC in funzione delle loro concentrazioni. La presenza di un residuo di farmaco è confermata univocamente dai picchi cromatografici dei due ioni diagnostici (ione quantificatore, Q, e ion qualificatore, q) delle rispettive transizioni MRM, al tempo di ritenzione del corrispondente materiale di riferimento; i due ioni equivalgono a 3 IP, previsti per i farmaci di categoria B. RISULTATI E CONCLUSIONI: 293 Il metodo sviluppato con- XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 sente la separazione dei 18 NSAIDs analizzati, senza interferenze nei rispettivi cromatogrammi MRM. L’efficienza di separazione è ottimale per tutti i composti, con picchi cromatografici simmetrici. I risultati dello studio di validazione per quanto riguarda l’esattezza e la precisione del metodo sono riportati in Tabella 1, riferiti a tutte le sessioni analitiche e diversi livelli di fortificazione dei campioni. Tabella 1. Gli intervalli dei valori di esattezza (recupero %) e riproducibilità intra-laboratorio (RSD %) per le prove eseguite in muscolo a diversi livelli di fortificazione e sessioni analitiche. L’esattezza e precisione del metodo sono soddisfacenti e conformi sia ai requisiti della Decisione 2002/657/CE che alle prestazioni minime richieste per l’applicazione al controllo ufficiale del tessuto muscolare. Per ogni farmaco sono stati calcolati il limite di decisione (CCα,0) e la capacità di rivelazione (CCβ,0) al livello più basso rivelabile, nonché i corrispettivi valori per le sostanze per le quali è stabilito un LMR (CCα,LMR, e CCβ,LMR ); in particolare, il metodo consente di determinare alcuni NSAID a concentrazioni inferiori a 1 ng/g (FLB, NPX, MCF, MFN, 5OH-FLU), mostrando elevata sensibilità. Tabella 2. Limiti di decisione e capacità di rivelazione del metodo. 294 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 Il metodo sviluppato è stato accreditato e quindi utilizzato per eseguire le analisi dei campioni di muscolo di bovini, ovi-caprini, equidi, suini, volatili da cortile. Attualmente, il nostro laboratorio è l’unico in grado di garantire, nel network degli IIZZSS, la determinazione degli NSAIDs nel muscolo di animali, sia in applicazione del PNR che per il controllo di merci di importazione ed indagini giudiziarie. L’impiego di un rivelatore triplo quadrupolo ibrido, con una elevata velocità di acquisizione dati è fondamentale per l’analisi quantitativa e qualitativa di 18 sostanze contemporaneamente, e consente di eseguire un ampio monitoraggio dei farmaci usati. BIBLIOGRAFIA: (1) REGOLAMENTO (UE) N. 37/2010 DELLA COMMISSIONE del 22 dicembre 2009 concernente le sostanze farmacologicamente attive e la loro classificazione per quanto riguarda i limiti massimi di residui negli alimenti di origine animale, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea L 15, 1-72 (2) DECISIONE DELLA COMMISSIONE 2002/657/CE del 12 agosto 2002, che attua la direttiva 96/23/CE del Consiglio relativa al rendimento dei metodi analitici e all’interpretazione dei risultati, Gazzetta ufficiale delle Comunità Europee, L 221, 8-36 295 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 VALUTAZIONE DEI RISULTATI DELL’INTRADERMOTUBERCOLINIZZAZIONE (IDT) E DI DUE KIT ELISA GAMMA INTERFERON DISPONIBILI IN COMMERCIO, IN UN FOCOLAIO CONCLAMATO DI TUBERCOLOSI BUFALINA. Gamberale F.*[1], Barlozzari G.[1], Scaramella P.[1], Volpi C.[1], Maggiori F.[1], Saralli G.[1] Keywords: Mycobacterium bovis, Bufalo (Bubalus Bubalus), g-IFN/TBC IZS Lazio e Toscana ~ Roma [1] SUMMARY: The aim of the present study was to evaluate, through an explorative approach, the performances given on the field by the use of different gamma-IFN test kits based on different Tuberculine PPD in in an outbreak of tuberculosis in a buffalo farm in Latium region. The results obtained on the same samples using three different gamma–IFN tests were evaluated. INTRODUZIONE: Nella provincia di Frosinone si sono registrati, negli ultimi 5 anni, focolai di tubercolosi (TBC) a carattere recrudescente e persistente in alcune aziende bufaline. Le aziende in oggetto sottostanno al disciplinare per la denominazione di origine controllata della mozzarella di bufala Campana (1) e rivestono pertanto una notevole importanza ai fini dell’economia territoriale. La diagnosi in vita della TBC viene effettuata con la tecnica ufficialmente riconosciuta della intradermotubercolinizzazione (IDT) singola o comparativa. La IDT presenta tuttavia sensibilità e specificità variabili (2), pertanto, le normative di riferimento prevedono l’utilizzo del test gamma-interferon (g-IFN) come prova ancillare per accelerare le operazioni di risanamento in focolai già confermati/conclamati (3, 4). Data la scarsa bibliografia riguardante l’applicazione del test g-IFN per TBC nel bufalo, è stata condotta una indagine esplorativa in un focolaio confermato di TBC, su un numero limitato di capi, comparando i risultati ottenuti utilizzando due kit commerciali ELISA per la rilevazione del g-IFN prodotti da due ditte: Prionics ed ID-Vet. I campioni in esame sono stati sensibilizzati con tubercoline nazionali ed estere. MATERIALI E METODI: I 212 capi bufalini di un allevamento situato nel comune di Amaseno (FR), sede di un focolaio persistente di tubercolosi, sono stati sottoposti in parallelo a IDT e a prelievo di sangue per l’esecuzione del test del g-IFN nell’ambito del Piano di Eradicazione regionale (4). I campioni di sangue con litio eparina, raccolti in condizioni di sterilità, sono stati immediatamente trasportati in laboratorio. Ogni aliquota, distribuita in piastre da colture cellulari, è stata sottoposta a stimolazione con PBS (NIL) e tubercolina australiana bovina ed aviare (PPD australiane). Dopo 16 ore circa di incubazione a 37°C è stato raccolto il plasma e saggiato, in doppio, con test ELISA “Mycobacterium bovis Gamma Interferon Test Kit for Cattle Bovigam” PrionicsÒ. I 7 campioni che avevano dato esito positivo alla IDT (N=5) o al g-IFN (N=2) (gruppo I) sono stati prelevati nuovamente e saggiati in parallelo con Kit Prionics mediante stimolazione con PPD australiane e tubercolina ricombinante fornita dal Centro di Referenza Nazionale per la tubercolosi da M. bovis IZSLER, Sede di Brescia (PPD Brescia) e con un altro kit ELISA disponibile in commercio “ID Screen Ruminant g-IFN”, ID-VetÒ, previa stimolazione con PPD australiane e PPD Brescia e tubercoline spagnole CZVÒ (PPD spagnole). Dopo 42 giorni, nell’ambito del controllo ufficiale i 199 capi rima- sti in azienda sono stati sottoposti a IDT e test g-IFN Prionics. Solo su un gruppo di 45 capi (gruppo II) è stato possibile eseguire il test g-IFN Prionics con stimolazione di PPD australiane e di Brescia ed il test g-IFN ID-Vet previa stimolazione con PPD australiane, PPD Brescia e PPD spagnole, a scopo comparativo. RISULTATI E CONCLUSIONI: I gruppo: (N=7) 5 capi sono risultati positivi all’IDT e 2 capi, diversi dai precedenti, sono risultati positivi al test ELISA Prionics con PPD australiane. Il kit PrionicsÒ ha riconfermato i 2 campioni positivi della prima seduta, mentre in seguito alla stimolazione con PPD di Brescia, con lo stesso kit ELISA, è risultato positivo solo 1 campione dei precedenti. Il kit ID-VetÒ con PPD australiane e spagnole ha confermato i 2 campioni positivi al kit PrionicsÒ, mentre in presenza di stimolazione con PPD di Brescia ha evidenziato 3 campioni positivi, di cui 2 concordanti con il kit Prionics. Il terzo campione positivo rilevato proveniva da uno dei 5 bufali che avevano risposto positivamente alla IDT (Tab. 1) II gruppo: (N=45) Tutti i capi sono risultati negativi all’ IDT e al kit Prionics con entrambe le PPD. Il kit ID-Vet stimolato con PPD spagnole ha dato esito positivo in 2 capi mentre la stimolazione con PPD Brescia ha dato esito positivo in 1 solo capo, nel caso di stimolazione con tubercoline australiane i capi positivi sono stati 6. I capi positivi rilevati dal kit ID-Vet stimolato con le diverse tubercoline non hanno mostrato concordanza tra di loro eccetto nel caso di stimolazione con tubercolina australiana e spagnola dove è stato rilevato un capo positivo ad entrambe, pur con notevoli differenze di densità ottica (97% e 63%: soglia di positività >60%). (Tab. 2). I risultati ottenuti, come atteso, evidenziano la discordanza degli esiti dell’IDT e del g-IFN nel I gruppo (Tab. 1). Nel II gruppo possiamo osservare la concordanza degli esiti del kit Prionics con le PPD australiane e di Brescia. Comparando i risultati con quelli del kit ID-Vet notiamo una mancata concordanza degli esiti positivi (Valore K: non significativo) ed una discreta concordanza degli esiti negativi inter ed intra-kit. Il kit Id-Vet con PPD australiane e di Brescia ha fornito un maggior numero di esiti positivi (tab.2). Il risanamento degli allevamenti dalla TBC mediante l’applicazione di un protocollo basato sulla valutazione in parallelo degli esiti di IDT e g-IFN test, con conseguente eliminazione di capi positivi ad una delle due prove, rappresenta anche nella specie bufalina un prezioso strumento per accelerare le operazioni di risanamento attraverso la rimozione di un maggior numero di capi possibili infetti. L’indagine esplorativa condotta, seppur effettuata su un numero limitato di capi ed in assenza di un disegno di studio sistematico, tuttavia evidenzia una discordanza tra i gli esiti dei diversi g-IFN test saggiati. I risultati ottenuti suggeriscono la necessità di valutare attentamente le performance dei diversi kit e reagenti disponibili nell’ambito di protocolli di risanamento 296 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 degli allevamenti che assicurino da un lato la necessaria elevata sensibilità e dall’altro caratteristiche di specificità in grado di contenere il numero di falsi positivi. Ulteriori e necessari studi sono in corso, su un maggior numero di focolai, per valutare su campo le performance diagnostiche dei due kit g-IFN con le varie tubercoline in commercio. BIBLIOGRAFIA: 1-Decreto 10 maggio 1993- “Riconoscimento della denominazione di origine del formaggio Mozzarella di Bufala Campana”. G. U. n. 219 del 17 settembre 1993. 2-R. de la Rua-Domenech, A.T. Goodchild, H.M. Vordermeier, R.G. Hewinson, K.H. Christiansen, R.S. Clifton-Hadley., “Ante mortem diagnosis of tuberculosis in cattle: a review of tuberculin tests, g-interferon assay and other ancillary diagnostic tec- niques”. Research in Veterinary Science 81 (2006) 190-210. 3-Regolamento (CE) N.1226/2002, 8 luglio 2002 Gazz. Uff. delle Comunità europee 9 luglio 2002. 4- D.G.R. n 240 1 giugno 2012 “ Piani di eradicazione e sorveglianza nel territorio regionale delle malattie dei bovini, bufalini ed ovi-caprini oggetto di risanamento. Piano operativo 2012”. BURL n 23 Parte prima 21 giugno 2012. 297 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 L’IMPORTANZA DEL MONITORAGGIO DI LISTERIA Garofalo F.*[1], Pesce A.[1], Salzano C.[1], Cioffi B.[1], Romano M.[1], Guarino A.[1] Keywords: Listeria spp, food, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Caserta [1] SUMMARY: Aim of this study is to monitor the circulation of Listeria spp, that could be used as an alarm bell for the circulation of L. monocytogenes, since growing conditions and ways of transmission are considered overlapping. The study was conducted testing a total of 848 samples, mostly of typical local productions, such as mozzarella and ricotta cheese, milk and prepared meat. Moreover, a recent study has shown that the growth of L. monocytogenes can be inhibited by the growth of other Listeria non monocytogenes, thus leading to false negative results. INTRODUZIONE: Listeria monocytogenes è un batterio bastoncellare, Gram positivo, non sporigeno e ubiquitario. Il genere Listeria annovera sei specie: L. monocytogenes, L. ivanovii, L. innocua, L.seeligeri, L. welshimeri e L. grayi, delle quali è dimostrato che soltanto L. monocytogenes e L. ivanovii siano patogene per gli animali e che la sola L. monocytogenes sia patogena anche per l’uomo, di solito per via alimentare. Dal momento che L. monocytogenes è termolabile ma in grado di proliferare anche a temperature di refrigerazione, si può ritrovare in tutti gli alimenti consumati crudi o poco cotti o che, dopo cottura, hanno subito una successiva contaminazione. Nonostante la bassa incidenza, le listeriosi di origine alimentare sono caratterizzate da un alto tasso di mortalità nelle persone anziane e negli immunocompromessi, oltre che essere un serio rischio per il feto di donne in gravidanza (6). Se consideriamo inoltre l’evoluzione della crescita di Listeria spp. in un campione alimentare durante la fase di arricchimento, sono segnalate una complessa serie di interazioni quali: produzione di vari inibitori (2), competizione dovuta alla crescita di altri batteri (4), velocità di crescita differenti per le diverse specie di Listeria (5, 3, 7, 1, 2) e altre interazioni di matrice che possono influenzare negativamente il suo rilevamento in alcuni alimenti. Un recente studio ha inoltre dimostrato che in casi in cui il campione sia contaminato da diverse specie di Listeria, la crescita di L. monocytogenes può essere inibita per competitività, durante la fase di arricchimento, dando così dei falsi negativi o rendendo difficile un confronto con i dati clinici (9). Lo scopo di questo lavoro è di monitorare la circolazione di Listeria spp. in quanto la presenza di queste forme non patogene potrebbe essere utilizzata come campanello di allarme per la circolazione sul territorio anche di L. monocytogenes, considerato che le condizioni di crescita e le vie di trasmissione sono sovrapponibili. MATERIALI E METODI: La ricerca di Listeria monocytogenes è stata condotta, come disposto dal Reg. (CE) n° 2073/2005 e SMI per gli alimenti “Ready To Eat”, mediante la metodica UNI EN ISO 11290-1:2005. In breve, tale me- todica consiste in un doppio arricchimento in brodo selettivo Half Fraser (per 24 h a 30 °C) e in Fraser broth (per 48 h a 37 °C), seguiti dal passaggio in terreno selettivo di isolamento in piastra. Invece, per gli alimenti da consumarsi previa cottura, è stata utilizzata la metodica Most Probable Number (MPN) come disposto dalla legislazione italiana vigente (O.M. 7/12/93). Entrambe le metodiche evidenziano la crescita di tutte le Listerie, che vengono poi successivamente identificate mediante il CAMP test e test biochimici. Presso il nostro laboratorio è stata inoltre effettuata una identificazione con il Vitek 2® (Biomerieux). RISULTATI E CONCLUSIONI: Negli anni 2010, 2011 e nel primo semestre del 2012 sono stati analizzati un totale di 847 campioni per la ricerca di Listeria monocytogenes prevalentemente su mozzarella, latte, ricotta e carni lavorate. Di tutti i campioni analizzati abbiamo riscontrato 790 negativi, 23 positivi per L. monocytogenes regolarmente denunciati e 34 campioni positivi per Listeria spp (22 L. innocua e 12 L. welshimeri). Nelle matrici mozzarella, ricotta e latte è stata riscontrata una bassissima positività, relativa esclusivamente al riscontro di Listeria innocua in campioni di latte congelato e formaggio fresco ovino (grafico 1). Invece nelle preparazioni di carne quali insaccati freschi, salsicce e hamburger di bovino, di suino, di pollo e di tacchino le positività risultano essere più numerose (grafico 2). Osservando i dati Europei del RASSF (Rapid Alert System for Food and Feed) relativi agli anni 2010 e 2011, emerge che L. monocytogenes viene rilevata principalmente in prodotti quali salmone affumicato, formaggi erborinati e formaggi a base di latte crudo, matrici notoriamente imputate di possibile contaminazione. Nel nostro studio, invece, il dato di positività è nettamente prevalente nella matrice carni lavorate, dato ancor più interessante considerando che la maggior parte dei campioni da noi analizzati è costituita da formaggi a latte crudo, vista la tipicità delle produzioni locali (grafico 3). Dai nostri risultati, inoltre, si evince che la percentuale dei campioni risultati positivi per Listeria monocytogenes è del 3 %, valore quasi sovrapponibile al 4 % di positività osservata per le altre listerie (grafico 4), suggerendo una distribuzione ambientale similare. Quindi, considerando che le listerie non patogene potrebbero nascondere e/o inibire la crescita della L. monocytogenes dando falsi negativi, la nostra frequenza di isolamento potrebbe essere sottostimata. In bibliografia sono stati inoltre segnalati casi di listeriosi animale sostenuti anche da L. innocua (8); è dunque possibile che nei prossimi anni altre listerie quali L. ivanovii, L. seeligeri e L. innocua divengano dei patogeni emergenti. Pertanto sarebbe opportuno nei casi di positività per Listeria non monocytogenes effettuare ulteriori indagini nella filiera produttiva. 298 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 grafico 1 grafico 2 grafico 3 grafico 4 299 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 BIBLIOGRAFIA: (1) Beumer, R.R., Giffel, M.C., Anthonie, S.V.R., Cox, L.J., 1996. The effect of acriflavine and nalidixic acid on the growth of Listeria spp. in enrichment media. Food Microbiology 13, 137–148 (2) Cornu, M., Kalmokoff, M., Flandrois, J.P., 2002. Modelling the competitive growth of Listeria monocytogenes and Listeria innocua in enrichment broths. International Journal of Food Microbiology 73, 261–274 (3) Curiale, M.S., Lewus, C., 1994. Detection of Listeria monocytogenes in samples containing Listeria innocua. Journal of Food Protection 57, 1048–1051 (4) Dallas, H.L., Tran, T.T., Poindexter, C.E., Hitchins, A.D., 1991. Competition of food bacteria with Listeria monocytogenes during enrichment culture. Journal of Food Safety 11, 293–301 (5) Duh, Y.S., Schaffner, D.W., 1993. Modeling the effect of temperature on the growth rate and lag time of Listeria innocua and Listeria monocytogenes. Journal of Food Protection 56, 205–210 (6) Farber, J.M., Peterkin, P.I., 1991. Listeria monocytogenes, a food-borne pathogen. Microbiological Reviews 55, 476–511 (7) MacDonald, F., Sutherland, A.D., 1994. Important differences between the generation times of Listeria monocytogenes and Listeria innocua in two Listeria enrichment broths. Journal of Dairy Research 61, 433–436 (8) McLauchlin, J., Mitchell, R.T., Smerdon, W.J., Jewell, K., 2004. Listeria monocytogenes and listeriosis. A review of hazard characterization for use in microbiological risk assessment of foods. Int. J. Food Microbiol. 92, 15–33 (9) Nathalie Gnanou Besse a, Lena Barre a, Colin Buhariwalla b, Marie Léone Vignaud a, Elissa Khamissi a, Emilie Decourseulles a, Marjorie Nirsimloo a, Minyar Chelly a, Martin Kalmokoff bù The overgrowth of Listeria monocytogenes by other Listeria spp. in food samples undergoing enrichment cultivation has a nutritional basis International Journal of Food Microbiology 136 (2010) 345–351 300 XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012 CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI BRUCELLA ABORTUS E BRUCELLA MELITENSIS ISOLATI IN ITALIA MEDIANTE MLVA-16 LOCI E MULTICOLOR CAPILLARY ELECTROPHORESIS Garofolo G.*[1], Ancora M.[1], D’Emidio F.[1], Zilli K.[1], Cammà C.[1], Di Giannatale E.[1] Keywords: MLVA, Brucella, Italia Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G.Caporale” ~ Teramo [1] SUMMARY: Summary: The Multi Locus Variable-Number Tandem Repeat Analysis (MLVA) has been used to characterize the Brucella abortus and Brucella melitensis clones isolated in Italy in 2011. MLVA apply a joint strategy of amplification of Multiplex PCR and capillary electrophoresis technique able to separate individual DNA fragments. The development of a new, quick and inexpensive typing system showed an high discrimination capacity and it is a valuable tool in molecular epidemiology studies. INTRODUZIONE: Introduzione: L’agente eziologico della brucellosi è un batterio intracellulare Gram negativo, immobile, aerobio ed asporigeno appartenente al genere Brucella. Sebbene la malattia sia stata eradicata in molti paesi occidentali, la brucellosi rimane ancora endemica nel bacino del Mediterraneo ed in altre aree del mondo rappresentando una costante minaccia di reintroduzione della malattia anche in regioni riconosciute ufficialmente indenni da brucellosi causando notevoli perdite economiche a causa di aborto e infertilità del bestiame (1). La malattia può essere trasmessa all’uomo per contatto diretto con animali infetti o indirettamente mediante il consumo di prodotti lattiero-caseari contaminati. La conoscenza delle specie e biovarianti presenti in un Paese rappresenta un importante strumento epidemiologico in grado di individuare l’eventuale presenza di specie di nuova introduzione fornendo strumenti utili allo studio e necessari alla formulazione di strategie per l’eradicazione della brucellosi nelle popolazioni animali (2). La scarsa variabilità genetica (omologia DNA > 90%) è stata a lungo un problema nello sviluppo di strumenti molecolari. Negli ultimi anni il metodo Multi locus variable number tandem repeat (VNTR) analysis (MLVA-16) (3) si è imposto come utile strumento di discriminazione di ceppi Brucella grazie all’utilizzo di marcatori capaci di individuare mutazioni presenti nell’intero genoma e in grado di fornire informazioni utili ad approcci epidemiologici locali. Lo sviluppo di un sistema di analisi MLVA ad alta processività ci ha permesso di caratterizzare 222 ceppi Brucella isolati nel 2011 sull’intero territorio nazionale e di analizzarne la clusterizzazione su base molecolare. Queste informazioni permetteranno di seguire l’andamento epidemico della malattia sul territorio e di valutare l’origine dei singoli focolai, come anche le vie ed i tempi d’introduzione di ceppi esotici. MATERIALI E METODI: Materiali e Metodi: Per valutare la modifica allo schema MLVA-16 è stato analizzato in triplicato il DNA di 5 ceppi di riferimento di Brucella (NCTC) e 19 ceppi di campo isolati in Italia. La progettazione di PCR multiplex ha reso necessario ridisegnare i primers per i markers bruce04, bruce16, bruce21 e 06 al fine di evitare qualsiasi sovrapposizione di frammenti VNTR amplificati. I nuovi frammenti tandem repeat (TR) sono stati controllati mediante il programma online Tandem Repeat Finder 4,04 (http://tandem.bu.edu/trf/trf.submit.options. Primers html) per valutare la congruenza con i vecchi frammenti TR di genoma di Brucella melitensis 16M. I primers sono stati disegnati nelle nuove flanking regions di DNA satellite mediante il software Primer3plus (http://www.bioinformatics.nl/cgi-bin/primer3plus/primer3plus.cgi/primer3manager.cgi). Tutti i primers del pannello a 16 marcatori per la PCR-MLVA sono stati utilizzati in quattro reazioni PCR multiplex in un volume finale di 10μl. Per ridurre gli artefatti, sono state eseguite due multiplex con lo stesso profilo termico ma per 24 cicli di amplificazione. I prodotti amplificati sono stati diluiti 1:225 e con 0.25μl di LIZ 1200 e sottoposti a 3 corse in elettroforesi capillare mediante Abi Prism 3500 Genetic Analyzerand POP-7 (Applied Biosystems Inc.). Le dimensioni dei frammenti VNTR sono state calcolate mediante GeneMapper 4.1 (Applied Biosystems Inc.). I profili allelici sono stati confermati mediante sequenza diretta di ogni allele. Un totale di 88 ceppi Brucella melitensis e 135 ceppi Brucella abortus isolati in diversi focolai di brucellosi bovina e ovicaprina registrati in Italia nel 2011 sono stati tipizzati con la tecnica della MLVA-16 loci messa a punto come descritto sopra. RISULTATI E CONCLUSIONI: Risultati: L’analisi MLVA, relativa ai ceppi di campo analizzati, per i primi 8 loci del pannello detti anche minisatelliti e caratterizzati da frequenza di mutazione più bassa, è stata effettuata interrogando i dati sul database internazionale (http://mlva.u-psud.fr/brucella/) che ha permesso di suddividere i 222 ceppi analizzati in 12 cluster genetici maggiori di cui 5 propri di Brucella abortus e 7 di Brucella melitensis Tab.1. Di questi, solo 5 cluster genetici sono stati correttamente identificati nel database mentre i rimanenti 7 sono risultati nuovi. L’analisi MLVA 16-loci, integrando i dati ottenuti dai precedenti 8 loci con quelli dei rimanenti 8 loci denominati microsatelliti e dotati di un mag