Volume degli atti 2012 - Società Italiana di Diagnostica di

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Volume degli atti 2012 - Società Italiana di Diagnostica di
CASEIFICIO LA FENICE
Miele d’Angelo
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Via Marchesi, 26/D - 43126 Parma - Tel. 0521 290191 - Fax 0521 945334
e-mail: [email protected] - www.sidilv.org
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
ASSESSORATO AL TURISMO
Azienda Autonoma di Soggiorno di Sorrento - Sant’Agnello
Istituto Zooprofilattico
Sperimentale
del Mezzogiorno
SOCIETÀ ITALIANA DI DIAGNOSTICA DI LABORATORIO VETERINARIA
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V.
Sorrento (NA)
Hotel Conca Park
24 - 26 Ottobre 2012
VOLUME DEGLI ATTI
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Società Italiana
di Diagnostica di Laboratorio Veterinaria
XIV Congresso Nazionale
S.I.Di.L.V.
Sorrento (NA)
Hotel Conca Park
24-26 Ottobre 2012
VOLUME DEGLI ATTI
1
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Consiglio Direttivo S.I.Di.L.V.
Alfredo Caprioli, Presidente
Elena Bozzetta, Vice Presidente
Paolo Cordioli, Segretario
Antonio Fasanella, Tesoriere
Monica Cagiola, Membro
Giuseppe Arcangeli, Membro
Sergio Rosati, Membro
Gian Luca Autorino, Past President
Antonio Battisti, Revisore dei Conti
Fabrizio Vitale, Revisore dei Conti
Aldo Marongiu, Revisore dei Conti
Comitato Scientifico
Aniello Anastasio, Napoli
Loredana Baldi, Portici (NA)
Federico Capuano, Portici (NA)
Giovanna Fusco, Portici (NA)
Giorgio Galiero, Portici (NA)
Achille Guarino, Portici (NA)
Giuseppe Iovane, Napoli
Antonio Limone, Portici (NA)
Luigi Serpe, Portici (NA)
Il Consiglio Direttivo S.I.Di.L.V.
Comitato Organizzativo
Sergio Fenizia, Portici (NA)
Francesca Romano, Portici (NA)
Paolo Sarnelli, Napoli
Luciano Ranaldi, Portici (NA)
Domenico Mollica, Sorrento (NA)
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
Via Marchesi, 26/D - 43126 Parma
Tel. 0521 290191 - Fax 0521 945334
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Prefazione
Anche nel 2012 il Congresso Nazionale si svolge in una città del Sud, nella cornice affascinante e suggestiva della
città di Sorrento. Di questo dobbiamo ringraziare l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno e la
Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università Federico II di Napoli, che hanno reso possibile l’organizzazione
dell’evento. Anche gli Enti Locali hanno dimostrato grande attenzione per il nostro Congresso, concedendo il
loro patrocinio e supporto all’organizzazione: il Comune di Sorrento, e l’Azienda Autonoma di Soggiorno di
Sorrento-Sant’Agnello. Il nostro grazie va anche ai colleghi dell’Azienda Sanitaria Locale Napoli 3 Sud della Penisola Sorrentina
e della Giunta Regionale della Campania, Area Generale di Coordinamento, Assistenza Sanitaria, Settore
Veterinario, che hanno partecipato attivamente al Comitato Organizzativo del Congresso e hanno contribuito in
modo sostanziale a organizzare un ricco programma sociale, che darà modo ai congressisti di godere appieno
delle risorse culturali ed enogastronomiche di questo splendido angolo del nostro Paese.
Per quanto riguarda gli aspetti scientifici, gli esperti di levatura internazionale che hanno accolto l’invito a
partecipare tratteranno come di consueto argomenti di grande rilevanza e attualità: le infezioni da Schmallenberg
virus, emergenti tra i ruminanti in Europa, la patogenesi e specificità d’ospite delle infezioni da virus erpetici
nei ruminanti, le problematiche legate alla contaminazione dei molluschi con virus enterici e altri patogeni
emergenti, l’applicazione alla sicurezza alimentare di metodi di laboratorio innovativi basati su nanobiosensori.
Sono particolarmente lieto di annunciare che i contributi scientifici presentati al Congresso e pubblicati
in questo volume hanno raggiunto il numero record di 192 (nel 2010 a Genova furono 181). Questi
numeri testimoniano da soli il consolidamento dell’interesse della comunità scientifica nei confronti degli
eventi organizzati dalla nostra Società. I colleghi membri del Comitato Scientifico hanno dedicato grande
attenzione alla valutazione di questi lavori e alla selezione di quelli da destinare alla presentazione orale,
e per questo lavoro, condotto in tempi ristretti, li ringraziamo caldamente. Questa attenta selezione è un
aspetto dell’impegno preso dal Consiglio Direttivo a perseguire la crescita culturale della Società, anche
attraverso il riconoscimento della qualità dell’attività scientifica. Per incoraggiare i giovani ricercatori,
anche quest’anno saranno attribuiti riconoscimenti ai migliori lavori, selezionati con il nuovo meccanismo
presentato lo scorso anno. I due migliori lavori riceveranno un contributo per supportare la partecipazione di
un giovane autore al prossimo congresso della Europen Association of Veterinary Laboratory Diagnosticians
(EAVLD), la società scientifica europea a cui SIDiLV è affiliata, assieme alle analoghe associazioni di altri
Paesi europei. A tal proposito, devo ricordare con soddisfazione che, durante l’ultimo Congresso EAVLD,
il nostro Past President Gian Luca Autorino è stato eletto nel Consiglio Direttivo di questa società.
Continuando a perseguire l’obiettivo della crescita culturale di tutte le professionalità che operano nei
nostri Istituti, anche questa edizione comprende il Corso di Aggiornamento per tecnici di laboratorio, che
riguarderà sia gli aspetti organizzativi e gestionali delle attività analitiche che l’esecuzione di metodiche
diagnostiche di base proprie di un laboratorio di sanità pubblica veterinaria.
Nell’augurare a tutti i convenuti un proficuo lavoro e una piacevole permanenza, rivolgiamo un sincero
riconoscimento ed apprezzamento allo staff di M.V. Congressi che come sempre ha collaborato con efficienza
e professionalità alla realizzazione del nostro Congresso (realizzando anche il sistema di invio on-line dei
lavori e delle iscrizioni, molto apprezzato dai soci) agli sponsor del settore che hanno aderito numerosi
presentando la loro produzione e organizzando interessanti simposi satellite, agli sponsor parte del locale
tessuto produttivo agro-alimentare, che hanno contribuito alla realizzazione di un ricco programma sociale,
e ai Direttori degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali che, consentendo la larga partecipazione di numerosi
operatori, rendono possibile la continua crescita di questa Società.
Sorrento, 24 Ottobre 2012
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Alfredo Caprioli
Presidente S.I.Di.L.V.
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Il XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. si svolge
con il patrocinio di:
Comune di Sorrento e Assessorato al Turismo Regione Campania
Azienda Autonoma di Soggiorno di Sorrento-Sant’Agnello
Il Comitato Organizzatore del XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V.
è grato ai seguenti Enti ed Aziende per il fattivo contributo
alla realizzazione dell’evento:
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno
Università degli Studi di Napoli “Federico II”
ASL 3 Napoli Sud
Giunta Regionale della Campania, AGC, Assistenza Sanitaria, Settore
Veterinario
AGROLABO
BIO-RAD
FOSS ITALIA
ID-VET
KRENE
LIFE TECHNOLOGIES ITALIA
LSI by LIFE TECHNOLOGIES
MEDICAL SERVICE 2000
OXOID
PALL ITALIA
PROMEVET
QIAGEN
TECAN
ASSOCIAZIONE CUOCHI DELLA PENISOLA SORRENTINA
CASEIFICIO “LA FENICE”
CASEIFICIO “LA CILIEGINA”
CASEIFICIO PERRUSIO
COOPERATIVA “LA GINESTRA”
DBA ITALIA
“MIELE D’ANGELO”
SOLAGRI
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
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INDICE
RISULTATI PRELIMINARI DI UNA CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE DEL RISCHIO
SVOLTA PRESSO SCUOLA PRIMARIA SUGLI ALLERGENI PRESENTI NEL CIBO
SOLITAMENTE CONSUMATO DAI BAMBINI
Bagni M., Ventura E., Bianchi D.M., Vencia W., Mascarello G., Crovato S., Ravarotto L., Decastelli L.
26
STUDIO DI SPECIE ITTICHE LESSEPSIANE ED ABISSALI PESCATE NEL TIRRENO
CENTRO-MERIDIONALE E RINVENUTE NEI CIRCUITI COMMERCIALI
De Carlo E., Di Nocera F., Gallo P., Soprano V., Marigliano L., Serpe F.P., Rossi R., Guarino A.,
Caruso C., Improta A., Amato A.
28
IDENTIFICAZIONE DI FRODI COMMERCIALI NEI PRODOTTI ITTICI TRASFORMATI
MEDIANTE ANALISI DEL DNA
Amoroso M.G., Girardi S., Cutarelli A., Guarino A., Galiero G., Corrado F.
31
L’IPERESPRESSIONE DEL RECETTORE PROGESTINICO PER L’DENTIFICAZIONE DEI
TRATTAMENTI ILLECITI CON ESTROGENI
Pezzolato M., Richelmi G., Maurella C., Varello K., Meistro S., Mascarino D., Longo D.,
Caramelli M., Bozzetta E.
34
UTILIZZO ED EVOLUZIONE DI UN SISTEMA INFORMATIVO PER LA GESTIONE DEI
LABORATORI DI ANALISI (SIGLA)
Nappo C., Pizzoni E., Manai R., Izzo P., Desantis E., Virdis A., Mingolla A., Cenni G., Faccenda L.
36
HERPESVIRUS ASSOCIATO A GRAVE STOMATITE E MAMMILLITE ULCERATIVA IN
UN ALLEVAMENTO DI ASINE DA LATTE
Martella V., Lorusso E., Larocca V., Catella C., Pinto P., Losurdo M., Maggiolino A., Tempesta M.,
Canio B.
38
ISOLAMENTO DI BOVINE HERPESVIRUS 1 (BOHV-1) NEL BUFALO MEDITERRANEO
(BUBALUS BUBALIS) IN UN ALLEVAMENTO DEL SUD ITALIA
Fusco G., Viscardi M., Brandi S., Veneziano V., Corrado F., Degli Uberti B., Amoroso M.G.,
Cerrone A., Natale A., Guarino A., Galiero G.
41
RISULTATI PRELIMINARI DELLA SORVEGLIANZA VIROLOGICA PER FLAVIVIRUS
REALIZZATA SU ZANZARE IN PIEMONTE NEL 2011
Rizzo F., Ameri D., Calzolari M., Bonilauri P., Prearo M., Pautasso A., Radaelli M.C., Bertolini
S., Barbieri I., Casalone C., Chiavacci L., Mandola M.L.
43
MALATTIE TRASMESSE DA ZECCHE: LA SORVEGLIANZA SUL TERRITORIO COME
STRUMENTO PER UNA DIAGNOSI PRECOCE
Pintore M.D., Pautasso A., Corbellini D., Tomassone L., Ceballos L.A., Rizzo F., Ameri D.,
Boin C., Mignone W., Peletto S., Acutis P.L., Mandola M.L., Mannelli A., Casalone C.
46
CLONAGGIO E PURIFICAZIONE DELLA PROTEINA RICOMBINANTE DIIDROLIPOAMIDE ACETILTRANSFERASI (E2) DI MYCOPLASMA GALLISEPTICUM ESPRESSA IN
ESCHERICHIA COLI
Silva Rocha T., Tramuta C., Giuffrida M.G., Profiti M., Baro C., Matucci A., Catania S., Rosati S.
48
STRAIN TYPING OF MYCOPLASMA SYNOVIAE: LENGTH VARIABILITY OF THE
HAEMAGGLUTIN ENCODING GENE VLHA
Baldasso E., Battanolli G., Gobbo F., Rodio S., Catania S.
50
VALUTAZIONE DI COMPOSTI STILBENI E TERFENILICI IN COLTURE DI LEISHMANIA
INFANTUM
Castelli G., Bruno F., Piazza M., Lupo T., Migliazzo A., Tolomeo M., Vitale F.
51
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STUDIO PRELIMINARE SULL’UTILIZZO DEL GAMMA-INTERFERON NELLA SPECIE
BUFALINA
De Carlo E., Martucciello A., Schiavo L., Viscito A., Parente G., Boniotti M.B., Guarino A.,
Pacciarini M.
54
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE E SENSIBILITÀ AGLI ANTIMICROBICI DI
CEPPI DI YERSINIA PSEUDOTUBERCULOSIS ISOLATI DA ANIMALI DOMESTICI E
SELVATICI
Magistrali C.F., Cucco L., Farneti S., Ercoli L., Tartaglia M., Prati P., Lollai S., Pezzotti G.
56
UTILIZZO DEL MEAT JUICE PER LA SIEROLOGIA DELLA MALATTIA DI AUJESZKY
NEL CINGHIALE
Natale A., Zuliani F., Di Martino G., Lucchese L., Gagliazzo L., Chisini Granzotto F., Sandonà
C., Bonfanti L.
58
PERMISSIVITÀ DI LINEE FIBROBLASTICHE VERSO CAPRINE ARTHRITIS ENCEPHALITIS VIRUS (CAEV) DERIVANTI DA ANIMALI CON ALTA E BASSA CARICA VIRALE
Bertolotti L., Colussi S., Profiti M., Quasso A., Acutis P.L., Reina R., Rosati S.
62
BIOTIPO CITOPATOGENO DI VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA TIPO 3 ISOLATO DA MANZA CON MALATTIA RESPIRATORIA
Decaro N., Lucente M.S., Mari V., Sciarretta R., Pinto P., Cirone F., Colaianni M.L., Narcisi D.,
Elia G., Thiel H., Buonavoglia C.
64
LA RETE DEGLI II.ZZ.SS AL SERVIZIO DELLA SICUREZZA ALIMENTARE DEI PRODOTTI TRADIZIONALI ITALIANI
Daminelli P., Losio M.N., Gianfranceschi M., Decastelli L., Comin D., Fischetti R., Valiani A.,
Fadda A., Goffredo E., Nava D., Cardamone C., Prencipe V.A., Varisco G.
67
DETERMINAZIONE DI ENTEROTOSSINE STAFILOCOCCICHE IN PRODOTTI LATTIERO-CASEARI: CIRCUITO INTERLABORATORIO PER LA RETE IIZZSS
Ingravalle F., Bianchi D.M., Bellio A., Gallina S., Zuccon F., Ghia C.A., Fabbri M.,
Corvonato R., Decastelli L.
69
RISCHI MICROBIOLOGICI ASSOCIATI AL CONSUMO DI LATTE CRUDO: VALUTAZIONE DELLA PREVALENZA DI VTEC E MRSA NEL PRODOTTO FINITO.
Gallina S., Conedera G., Ustulin M., Noli A., Losio M.N., Maccabiani G., Tonucci F., Grande L.,
Maugliani A., Corrente M., Ventrella G., Caprioli A., Morabito S.
72
RICERCA DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. PARATUBERCULOSIS VITALE MEDIANTE CATTURA PEPTIDO-MAGNETICA E TRATTAMENTO CON PROPIDIUM MONOAZIDE IN CAMPIONI DI LATTE
De Cicco C., Ricchi M., Garbarino C., Cammi G., Arrigoni N.
75
STUDIO DELL’ATTITUDINE A FORMARE BIOFILM DI CEPPI DI LISTERIA MONOCYTO
GENES ISOLATI DA ALIMENTI, DA AMBIENTI DI LAVORAZIONE DEGLI ALIMENTI
E DA CASI CLINICI UMANI.
Caruso M., Latorre L., Botticella G., Zippone V., Palazzo L., Fraccalvieri R., Santagada G.,
Parisi A.
78
UTILIZZO DI FAGI COME AGENTI BIO-DECONTAMINANTI IN PRODOTTI CASEARI
Maccabiani G., Zanardini N., D’Amico S., Galuppini E., Pavoni E., Finazzi G., Giuradei F.,
Losio N., Varisco G.
80
ENTERIC VIRUSES AND OTHER EMERGING PATHOGENS IN SEAFOOD
Le Guyader S.F., Le Saux J., Ruvoen-clouet N., Hervio-heath D., Le Pendu J.
83
VALUTAZIONE DEL VIRULOTIPO DEI SIEROTIPI DI SALMONELLA ENTERICA ISOLATE IN CAMPANIA DA ALIMENTI E DA PAZIENTI OSPEDALIZZATI
Proroga Y.T., Esposito S., Veneri M.R., Campagnuolo R., Cuccurullo S., Conte M., Guarino A.,
Capuano F.
84
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
DISTRIBUZIONE DELLE VARIANTI ALLELICHE DELLA CITOTOSSINA SUBTILASI IN
CEPPI DI ESCHERICHIA COLI PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA DI ORIGINE
UMANA E OVINA E CARATTERIZZAZIONE DELL’ISOLA DI PATOGENICITÀ CHE
CONTIENE L’ALLELE SUBAB2
Michelacci V., Tozzoli R., Martinez R., Marziano M.L., Scheutz F., Caprioli A., Morabito S.
86
DIAGNOSI DI ANTRACE CUTANEO NELL’UOMO TRASMESSO DA UN VETTORE
DURANTE UN FOCOLAIO OVINO IN BASILICATA
Pace L., Galella M., De Stefano C., Giangrossi L., Quaranta V., Bochicchio V., Mercurio V.,
Fasanella A.
88
MALATTIA DA GRAFFIO DEL GATTO E BARTONELLOSI FELINA:UN’APPLICAZIONE
PRATICA DEL CONCETTO DI “ONE MEDICINE”
Prati P., Vicari N., Brunetti E., Ferraioli G., Sala G., Marone P., Fabbi M.
90
NANOBIOSENSORI E LAB-ON-CHIP: LA NUOVA FRONTIERA NELLA SICUREZZA
ALIMENTARE
Ricciardi C. Parisi A., Miccolupo A., Latorre L., Bilei S., Greco S., Decastelli L., Normanno G.,
Santagada G.
92
CONFRONTO DI MLST E MLVA PER LA CARATTERIZZAZIONE DI ISOLATI CLINICI
ED ALIMENTARI DI LISTERIA MONOCYTOGENES.
Parisi A., Miccolupo A., Latorre L., Bilei S., Greco S., Decastelli L., Normanno G., Santagada G.
94
VALIDAZIONE DI UN METODO REAL-TIME PCR SECONDO ISO16140:2003 PER LA
DETERMINAZIONE DI CAMPYLOBACTER JEJUNI, COLI E LARI IN ALIMENTI REALTIME PCR FOR DETECTION OF CAMPYLOBACTER JEJUNI, COLI AND LARI IN FOODS: TEST VALIDATION ACCORDING TO ISO16140:2003
Vencia W., Bianchi D.M., Galllina S., Adriano D., Civalleri N., Mantoan P., Radium P.,
Gramaglia M., Decastelli L.
97
OGM: SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN NUOVO METODO IN FAST PCR REAL-TIME
PER LA QUANTIFICAZIONE DELL’EVENTO EH92-527-1 DI PATATA
Madeo L., Pierboni E., Curcio L., Tovo G., Rondini C.
99
LA PROTEINA V DEL VIRUS LPMV (LA PIEDAD MICHOACAN MESSICO VIRUS) ANTAGONIZZA LA RISPOSTA DI TIPO I DELL’INTERFERONE LEGANDOSI ALLA PROTEINA STAT2 E PREVENENDONE LA TRASLOCAZIONE.
Pisanelli G., Manicassamy B., Laurent-rolle M., Belicha-villanueva A., Morrison J., Iovane G.,
Garcia-sastre A.
101
CEPPI DEL VIRUS DELLA WEST NILE APPARTENENTI AL LINEAGE 2 ISOLATI IN
UCCELLI SELVATICI IN SARDEGNA
Savini G., Puggioni G., Di Gennaro A.P., Rossi R., Di Francesco G., Rocchigiani A.M., Polci A.,
Marini V., Pinoni C., Arru D., Rolesu S., Lorusso A., Monaco F.
103
INDAGINI VIROLOGICHE NEI CHIROTTERI IN NORD ITALIA
Lelli D., Boniotti M.B., Moreno A., Lavazza A., Papetti A., Canelli E., Bonilauri P., Cordioli P.
105
SCHMALLENBERG VIRUS AS A PARADIGM OF THE EMERGENCE OF NEW VIRUSES
Van Der Poel W.H.M.
108
ASSOCIAZIONE TRA POLIMORFISMI DEL GENE MHCIIB E RESISTENZA ALLA
LATTOCOCCOSI NELLA TROTA IRIDEA (ONCORHYNCHUS MYKISS): RISULTATI PRELIMINARI
Colussi S., Bertuzzi S., Maniaci M.G., Peletto S., Modesto P., Riina M.V., Scanzio T., Prearo M.,
Acutis P.L.
110
IL REGISTRO TUMORI ANIMALI DELLA REGIONE CAMPANIA
Degli Uberti B., Sarnelli P., Caputo V., Guarino A., Mizzoni V., Pompameo M., D’Amore M.,
Francese A., Rosato G.
113
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
RCD1-PRA ATROFIA PROGRESSIVA DELLA RETINA
Cutarelli A., Amoroso M.G., Girardi S., De Roma A., Trio S., Guarino A., Galiero G., Corrado F.
117
ISOLAMENTO E COLTIVAZIONE IN VITRO DI CONDROCITI ISOLATI DALLA
CARTILAGINE AURICOLARE DI CAVALLO
Barbaro K., Canonici F., Fagiolo A., Eleni C., Zepparoni A., Altigeri A., Sittinieri S.,
Cocumelli C., Roncoroni C., Amaddeo D.
119
POSTERS
STUDIO SULL’ORIGINE DELLA CONTAMINAZIONE DI SULFADIAZINA NEL MIELE
Accurso D., Menotta S., Fedrizzi G.
123
L’IMMUNITA’ INNATA NELLA BUFALA MEDITERRANEA: STUDIO SUL RUOLO DEI
RECETTORI TOLL-LIKE 2, 4 E 9 NEI CONFRONTI DI MYCOBACTERIUM BOVIS
Alfano F., Peletto S., Lucibelli M.G., Borriello G., Tarantino M., Pasquali P., Guarino A.,
Acutis P.L., Galiero G.
125
STUDIO PRELIMINARE DI ALCUNI PARAMETRI IMMUNITARI NEI VITELLI BUFALINI.
Alfieri L., Roncoroni C., Bucci E., Zottola T., Lai O.
130
STUDIO PRELIMINARE SULLA VALUTAZIONE DELLA PRODUZIONE DI ANTICORPI
VERSO YERSINIA RUCKERI, IN TROTA IRIDEA (ONCORHYNCHUS MYKISS), MEDIANTE LA MESSA A PUNTO DI UN TEST ELISA, A SEGUITO DI PROVE VACCINALI
Angioni S.A., Tittarelli M., Zezza D., Ferri N.
132
INDAGINE PRELIMINARE SULLA PRESENZA DI COXIELLA BURNETII IN CAMPIONI
DI LATTE D’ASINE ALLEVATE IN CAMPANIA.
Auriemma C., Lucibelli M.G., Bove F., Gallo A., De Carlo E., Martucciello A., Corrado F.,
Guarino A., Galiero G.
135
STUDIO DEL GENOTIPO DELLA PROTEINA PRIONICA NELLA POPOLAZIONE OVINA
NAZIONALE IN FUNZIONE DELLA RESISTENZA GENETICA ALLE EST
Baldinelli F., Ciaravino G., Scavia G., Fazzi P., Chiappini B., Vaccari G.
137
RESIDUI DI CHINOLONI NEL LATTE DELLE AZIENDE PIEMONTESI: RISULTATI DI
UNA SURVEY CONDOTTA NEL 2012
Barbaro A., Chiavacci L., Travaglio S., Vitale N., Parisani V., Palma A., Abete M.C., Gili M.
139
RISULTATI DEL PROGRAMMA COMUNITARIO DI MONITORAGGIO PER LISTERIA
MONOCYTOGENES IN ALIMENTI PRONTI AL CONSUMO NELLA CITTA’ DI GENOVA
NEL 2011
Barbaro A., Galleggiante Crisafulli A., Rubini D., Gennari M., Teneggi M.E., Bavetta S.,
Chiavacci L.
141
DIAGNOSTICA VIROLOGICA DI PRRS: STUDIO COMPARATIVO TRA METODICHE
BIOMOLECOLARI CLASSICHE E INNOVATIVE CON CAMPIONI OTTENUTI DA
UN’INFEZIONE SPERIMENTALE
Belfanti I., Mondin A., Drigo M., De Mateo Aznar M., Bortoletto G., Nardelli S., Ceglie L.
143
VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE PRODUTTIVE E DEI PARAMETRI EMATOLOGICI IN POLLI DA CARNE ALIMENTATI CON DIETE INTEGRATE CON VERBASCOSIDE
Bergagna S., Dezzutto D., Mellia E., Salcedo W., De Marco M., Forneris G., Corino C.,
Gennero M.S., Schiavone A.
146
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DEL GENERE SALMONELLA IN UN
FOCOLAIO DI TOSSINFEZIONE ALIMENTARE
Bertasi B., D’Amico S., Tilola M., Ferrari M., Panteghini C., D’Incau M., Finazzi G., Daminelli P.,
Bonomini A., Pedroni P., Losio M.N.
148
12
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
MONITORAGGIO DI VIBRIO SPP. IN MOLLUSCHI EDULI LAMELLIBRANCHI E ACQUA DI MARE
Bertasi B., Galuppini E., Consoli M., Fusini F., Pavoni E., Saetti F., Rubini S., Daminelli P.,
Finazzi G., Losio M.N.
150
UTILIZZO DI BIOSENSORI PER LA DIAGNOSI RAPIDA DI MALATTIE IN TEMPO REALE
Biagetti M., Cuccioloni M., Sebastiani C., Angeletti M.
152
INDIVIDUAZIONE IN PIEMONTE DI UN FOCOLAIO DI BESNOITIOSI IN BOVINI
PROVENIENTI DALLA FRANCIA.
Biolatti P.G., Valentini L., Militerno G., Bassi P., Gennero M.S., Bergagna S., Zanet S.,
Ferroglio E., Scaglione F.E., Bollo E.
154
DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI E. COLI O157 NELLA SPIANATA DI CERVO E
SALSICCIA DI CERVO STAGIONATA
Bogdanova T., Bichi G., Casati D., Bilei S., Deni D., De Santis P., Gori R., Falorni B.
155
INFEZIONE SPERIMENTALE CON MYCOBACTERIUM CAPRAE NEL BOVINO: STUDIO
DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA CON SAGGI DIAGNOSTICI TRADIZIONALI
Boniotti M., Busi C., Sabelli C., Zanoni M., Alborali G., Archetti I., Lombardi G., Martinelli N.,
Tagliabue S., Gelmetti D., Gibelli L.R., Amadori M., Pacciarini M.
157
EPIDEMIOLOGIA DELL’INFEZIONE DA CAMPYLOBACTER JEJUNI IN ALLEVAMENTI
BOVINI DELLA LOMBARDIA
Borella L., Bianchini V., Benedetti V., Santoro E., Invernizzi E., Miccolupo A., Parisi A., Luini M.*
159
ATTIVITA’ DI CONTROLLO NEL SUD E NELLE ISOLE NEI MANGIMI AD USO ZOOTECNICO PER LA RICERCA DI PROTEINE ANIMALI TRASFORMATE (ANNI 2006-2012)
Bove D., Schiavo M., Chiappini B., Mancuso M.R., Vodret B., Di Taranto A., Serio F., Morelli L.,
De Vita R., Palermo P., Capuano F., Guarino A.
161
INDAGINE PRELIMINARE SULLA DIFFUSIONE DELL’ARTRITE ENCEFALITE VIRALE
CAPRINA (CAEV) IN FRIULI VENEZIA GIULIA
Bregoli M., Di Giusto T., Passera A., Cocchi M., Palei M., Menegoz A., Furlan D., Conedera G.
164
IMPIEGO DI COLORANTI IN ACQUACOLTURA: L’ASTAXANTINA
Brizio P., Prearo M., Elia A.C., Scanzio T., Pavoletti E., Pacini N., Benedetto A., Gasco L.,
Dorr A.M., Righetti M., Squadrone S., Abete M.C.
167
ASPARAGOPSIS TAXIFORMIS: UNA NUOVA TERAPIA ANTI-LEISHMANIA?
Bruno F., Castelli G., Piazza M., Reale S., Lupo T., Migliazzo A., Armeli Minicante S.,
Genovese G., Vitale F.
169
RISCHIO DI TRASMISSIONE DI VIBRIO PATOGENI LEGATO AL CONSUMO DI
CROSTACEI NELLA REGIONE VENETO
Caburlotto G., Fasolato L., Antonetti P., Rahman M.S., Zambon M., Manfrin A.
172
DETERMINAZIONE DI MACRO E MICROELEMENTI ESSENZIALI E NON ESSENZIALI
NEL PLASMA DI TESTUDO HERMANNI MEDIANTE ICP-MS
Cannavacciuolo A., Isani G., Menotta S., Carpenè E., Di Girolamo N., Ferlizza E., Fedrizzi G.
174
DIAGNOSI DI INFEZIONE DA MORBILLIVIRUS NEI CETACEI MEDIANTE
MICROSCOPIA ELETTRONICA, ISOLAMENTO SU COLTURE CELLULARI E METODI
BIOMOLECOLARI
Cardeti G., Cersini A., Puccica S., Antognetti V., Cittadini M., Dante G., Amaddeo D.
176
FOCOLAIO DI RINOTRACHEITE INFETTIVA BOVINA IN ALLEVAMENTO VACCINATO
ALL’INGRASSO
Caruso C., Rosamilia A., Biolatti P.G., Malerba M., Lotti R., Rutigliano B., Peletto S.,
Angiolillo S., Biosa T., Trisorio S., Acutis P.L., Masoero L.
178
13
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
PROCEDURA DI ESTRAZIONE DEL DNA DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP.
PARATUBERCOLOSIS DA FORMAGGI DI PECORA
Casalinuovo F., Ciambrone L., Musarella R., Allevato F., Corea M., Gentile M., Guarino A.
181
MONITORAGGIO DEI GRANDI ROGHI INCONTROLLATI DI RIFIUTI IN REGIONE
CAMPANIA
Cavallo S., Esposito M., Pellicanò R., Colarusso G., Rosato G., Guarino A., Caligiuri V.,
Baldi L., Sarnelli P.
184
MONITORAGGIO SULLA PRESENZA DI CADMIO E PIOMBO NELLE CARNI EQUINE
MACELLATE NELLA REGIONE PUGLIA DAL 2010 AL 2012
Chiaravalle A., Pompa C., Miedico O., Tarallo M.
186
VALUTAZIONE DELLA PREVALENZA DI ESCHERICHIA COLI VTEC IN CARCASSE E
FECI DI BOVINI MACELLATI IN UMBRIA.
Cibotti S., Ercoli L., Farneti S., Zicavo A., Mencaroni G., Scuota S.
188
DETERMINAZIONE QUANTITATIVA MEDIANTE HPLC-MS/MS DI PERFLUOROOTTANO SULFONATO (PFOS) E ACIDO PERFLUOROOTTANOICO (PFOA) IN CEREALI
Ciccotelli V., Gili M., Brizio P., Podda M., Abete M.C.
191
VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI CONTAMINANTI ORGANICI PERSISTENTI IN
MATRICI ALIMENTARI DI ORIGINE ANIMALE
Clausi M.T., Santoro A., Fusco G., Ferrante M.C.
194
ISOLAMENTO DI SALMONELLA ENTERICA SUBSP. HOUTENAE DA DRAGO BARBUTO
(POGONA VITTICEPS, AHL 1926)
Cocchi M., Di Giusto T., Minorello C., Bellese A., Deotto S., Vascellari M.
197
ANALISI QUANTITATIVA E TOSSINOGENOTIPIZZAZIONE IN CEPPI DI CLOSTRIDIUM
PERFRINGENS ISOLATI DAL CONTENUTO INTESTINALE DI BOVINI SANI
Cocchi M., Clapiz L., Di Giusto T., De Stefano P., Deotto S., Bacchin C., Bregoli M., Drigo I.
199
C’ERA UNA VOLTA IL QUADERNO DEL
DEMATERIALIZZAZIONE
Colangeli P., Ruggieri E., Mercante M.T., Ricci L.
201
TECNICO:
UN’ESPERIENZA
DI
PIANO DI MONITORAGGIO DELLA REGIONE CAMPANIA SUI REQUISITI
MICROBIOLOGICI DEI PASTI DI ORIGINE ANIMALE SOMMINISTRATI NELLA
RISTORAZIONE PUBBLICA E COLLETTIVA: ANALISI PRELIMINARE DEI RISULTATI.
Colarusso G., Giannoni A., Peirce E., Pellicanò R., Cavallo S., Caligiuri V., Baldi L.
205
ANALISI DELLA VARIABILITA’ DEL GENE NOD2/CARD15 QUALE MARCATORE DI
RESISTENZA/SUSCETTIBILITA’ ALLA PARATUBERCOLOSI BOVINA NELLA RAZZA
FRISONA
Colussi S., Bertuzzi S., Peletto S., Modesto P., Dondo A., Giorgi I., Goria M., Romano A.,
Gennero M.S., Bergagna S., Bozzetta E., Varello K., Chiavacci L., Vitale N., Acutis P.L.
208
DIVERSITA’ GENETICA DEL MTDNA D-LOOP MITOCONDRIALE IN BUBALUS BUBALIS
Corrado F., Girardi S., Cutarelli A., De Roma A., Coletta A., Guarino A., Galiero G.
211
ANISAKIS SPP. IN SPECIE ITTICHE MARINE DI INTERESSE COMMERCIALE NELLA
REGIONE SICILIA: DIFFUSIONE E CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI GENOTIPI RICOMBINANTI
Costa A., Martuscelli L., Pisano P., Roccuzzo E., Sciortino S., Di Noto A.M.
214
FIORITURE ALGALI DI ALEXANDRIUM SPP IN IMPIANTI DI MITICOLTURA DELLA
REGIONE SICILIA: RISCHI PER LA TOSSICITA’ DA PSP (PARALYTIC SHELLFISH POISON)
Costa A., Giacobbe M.G., Cangemi E., Penna A., Borzì S., Alio V., Nicastro L., Rabito A.
217
14
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
ISOLAMENTO DI MICROSPORUM COOKEI DA ESEMPLARI DI SCOIATTOLO GRIGIO
E SCOIATTOLO ROSSO IN UMBRIA
Crotti S., Agnetti F., Tentellini M., Sebastianelli M., Danesi P., Marini C., Papa P., Paoloni D.
219
OGM: MESSA A PUNTO E VALIDAZIONE DI UN SISTEMA MULTI-SCREENING IN FAST
PCR REAL-TIME PER LA RILEVAZIONE DI DIVERSE SPECIE VEGETALI
Curcio L., Pierboni E., Madeo L., Tovo G., Rondini C.
222
OGM: STUDIO DEI COSTRUTTI T-NOS E CTP2-CP4EPSPS NELLA MESSA A PUNTO E
VALIDAZIONE DI UN SISTEMA PCR REAL TIME MULTI-SCREENING
Curcio L., Pierboni E., Madeo L., Tovo G., Rondini C.
225
STUDIO DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN TOPI VACCINATI CON BRUCELLA
MELITENSIS REV1: PARTE 1 – APPROFONDIMENTI SULLA RISPOSTA ACQUISITA
Curina G., Montagnoli C., Paternesi B., Severi G., Forti K., Rizzo G., Cagiola M.
227
STUDIO DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN TOPI VACCINATI CON BRUCELLA
MELITENSIS REV1: PARTE 2 – APPROFONDIMENTI SULLA RISPOSTA INNATA
Curina G., Montagnoli C., Paternesi B., Severi G., Forti K., Rizzo G., Cagiola M.
231
IMPORTANZA DI UNA CORRETTA IDENTIFICAZIONE TASSONOMICA DI STAFILOCOCCHI COAGULASI POSITIVI
Currò V., Piazza A., Persichetti M.F., Galluzzo P., Caracappa S.
235
SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN MODELLO PREDITTIVO PER STIMARE LA
CRESCITA DI BACILLUS CEREUS DURANTE IL RAFFREDDAMENTO POST-PASTORIZZAZIONE DEL MASCARPONE
Daminelli P., Cosciani Cunico E., Fierro A., Finazzi G., Bertasi B., Dalzini E., Varisco G.
237
DEFINIZIONE DEI LIVELLI DI ALCUNI PARAMETRI DI IMMUNITÀ INNATA NELLA
SPECIE BUFALINA
De Carlo E., Martucciello A., Schiavo L., Vecchio R., Palermo P., Guarino A., Amadori M.
240
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI PCV2 NEI SUINI SELVATICI E DOMESTICI
IN SARDEGNA
Dei Giudici S., D’Avino C., Salaris A.A., Sulas A., Madrau M.P., Sanna M.L., Oggiano A.
243
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI ALCUNI CEPPI DI PARVOVIRUS CANINO
CIRCOLANTI IN SARDEGNA
Dei Giudici S., Cubeddu T., Giagu A., Rocca S., Cadalanu R., Balzano F., Oggiano A.
246
OSSERVAZIONI PRELIMINARI SU ISOLAMENTI DI ESCHERICHIA COLI PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINE IN PIEMONTE IN UNGULATI SELVATICI
D’Errico V., Giorgi I., Perosino M., Sant S., Grattarola C., Mei D., Perruchon M., Di Gregorio
V., Goria M., Radaelli C., Chiavacci L., Dondo A., Zoppi S.
249
RICERCA DI CALICIVIRUS E VIRUS DELL’EPATITE E IN SUINI CON DIARREA
Di Bartolo I., Angeloni G., Tofani S., Ponterio E., Maione E., Marrone R., Cortesi M.L., Ostanello F., Ruggeri F.M.
252
EFFETTO DELL’EMOLISI SULLA QUANTIFICAZIONE DELLE PRINCIPALI SIEROPROTEINE DEL SUINO
Di Martino G., Stefani A.L., Gagliazzo L., Gabai G., Signor F., Bonfanti L.
255
RILEVAMENTO DI E. COLI E COLIFORMI IN ACQUE MINERALI NATURALI IMBOTTIGLIATE MEDIANTE METODO INNOVATIVO
Di Pasquale S., De Medici D.
258
STUDIO SU ALCUNI NEMATODI GASTROINTESTINALI (SPIRURIDA) DEI RAPACI
DIURNI (FALCONIFORMES AND ACCIPITRIFORMES) E NOTTURNI (STRIGIFORMES)
IN CALABRIA: DIVERSITÀ, SPECIFICITÀ ED EFFETTO PATOGENO
Di Prisco F., D’Alessio N., Degli Uberti B., Guarino A., Veneziano V., Troisi S., Santoro M.
260
15
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
AGENTI MASTIDOGENI DEL BOVINO IN VALLE D’AOSTA: RISULTATI DEL PIANO DI
MONITORAGGIO CONDOTTO NEL TRIENNIO 2009-2011
Domenis L., Doglione L., Orusa R., Gallina S., Bianchi D.M., Vevey M., Vitale N., Dezzutto D.,
Gennero S., Bergagna S.
263
CONFRONTO DI METODI MICROBIOLOGICI E BIOMOLECOLARI PER LA RICERCA
DI ESCHERICHIA COLI O:157 DA FECI DI BOVINI MACELLATI IN UMBRIA.
Ercoli L., Cibotti S., Magistrali C.F., Scuota S., Tentellini M., Cucco L., Farneti S.
266
MONITORAGGIO DI PCDD/F E PCB-DIOSSINA SIMILI IN AZIENDE ZOOTECNICHE
Esposito M., Serpe F.P., Cavallo S., Colarusso G., Rosato G., Neri B., Ubaldi A., Caligiuri V.,
Rocca R., Sarnelli P., Guarino A., Baldi L.
268
GESTIONE DELLA CONFORMITA’ DEL DATO: PERCORSO E RISULTATI DELL’IZS UMBRIA E MARCHE
Faccenda L., Olivieri E., Biasini G., Berretta C., Tonazzini S., Saccoccini R., Mingolla A.
272
VALUTAZIONE DEL BENESSERE ANIMALE NELL’ ALLEVAMENTO DEI VITELLI BUFALINI IN RELAZIONE ALLE TECNICHE DI SVEZZAMENTO E ALLA CORTISOLEMIA
Fagiolo A., Ruggeri M.T., Dionisi L., Cavallina R.
278
MONITORING OF GROUPS A AND D AVIAN ROTAVIRUSES IN ITALIAN POULTRY FLOCKS
Falcone E., Monini M., Canelli E., Lavazza A., Ruggeri F.M.
279
EPIDEMIOLOGIA DELL’ANTRACE IN BANGLADESH E NEPAL
Fasanella A., Di Taranto P., Hossain M., Shamsuddin M., Joshi D., Hugh - Jones M.
281
VALUTAZIONE DEL RISCHIO ANISAKIASI NELLE PREPARAZIONI GASTRONOMICHE CONTENENTI PRODOTTI DELLA PESCA DESTINATI AD ESSERE CONSUMATI
CRUDI: RISULTATI PRELIMINARI DI UN PIANO DI MONITORAGGIO DIPARTIMENTALE IN CAMPANIA MEDIANTE METODO DIGESTIVO
Fraulo P., Morena C., Costa A., Guarino A., Improta A., De Carlo E.
283
VALIDAZIONE DI DUE METODI DI PROVA IMMUNOENZIMATICI (ELISA) PER LA RICERCA DI ALLERGENI NEGLI ALIMENTI
Gagliardi R., Biondi L., Esposito M., Guarino A., Nava D.
285
VALUTAZIONE DEL RISCHIO PER LA PRESENZA DI CONTAMINANTI CHIMICI NEL
LATTE DI BUFALA DELLA CAMPANIA
Gallo P., La Nucara R., Salini M., Hauber T., De Crescenzo M., Guadagnuolo G., Rossini U.,
Urbani V., Maglio P., Bianco R., Guarino A., Serpe L.
287
DETERMINAZIONE DI MICROCISTINE IN INTEGRATORI A BASE DI ALGHE MEDIANTE LC/ESI-MS/MS IN TRAPPOLA IONICA
Gallo P., Fabbrocino S., Serpe L., Guarino A.
289
METODO MULTI-RESIDUO PER LA DETERMINAZIONE DEGLI ANTI-INFIAMMATORI
NON STEROIDEI IN MUSCOLO MEDIANTE LC/ESI-QTRAP-MS/MS
Gallo P., Salini M., Guadagnuolo G., Danese V., Guarino A., Serpe L.
293
VALUTAZIONE DEI RISULTATI DELL’INTRADERMOTUBERCOLINIZZAZIONE (IDT) E
DI DUE KIT ELISA GAMMA INTERFERON DISPONIBILI IN COMMERCIO, IN UN FOCOLAIO CONCLAMATO DI TUBERCOLOSI BUFALINA.
Gamberale F., Barlozzari G., Scaramella P., Volpi C., Maggiori F., Saralli G.
296
L’IMPORTANZA DEL MONITORAGGIO DI LISTERIA
Garofalo F., Pesce A., Salzano C., Cioffi B., Romano M., Guarino A.
298
16
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI BRUCELLA ABORTUS E BRUCELLA
MELITENSIS ISOLATI IN ITALIA MEDIANTE MLVA-16 LOCI E MULTICOLOR CAPILLARY ELECTROPHORESIS
Garofolo G., Ancora M., D’Emidio F., Zilli K., Cammà C., Di Giannatale E.
301
VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE ANALITICHE DI UN METODO RAPIDO DI
REAL TIME PCR PER LA DETERMINAZIONE DI LISTERIA MONOCYTOGENES NELLA
CARNE DI MAIALE
Gattuso A., Delibato E., Sonnessa M., De Medici D., Rodríguez-lázaro D., Gianfranceschi M.V.
304
STUDIO DI UN PROTOCOLLO SPERIMENTALE ATTO AL MANTENIMENTO DELLA
VITALITÀ DEI LINFOCITI RESPONSABILI DELLA PRODUZIONE DI IFN- G IN CAMPIONI DI SANGUE INTERO NELLA DIAGNOSI DELLA TUBERCOLOSI BOVINA
Gerace E., Fiasconaro M., Rappazzo E., Russo M., Aronica V., Cicero P., Amato B., Vitale M., Di
Marco Lo Presti V.
306
DIAGNOSI DI AGENTI MASTIDOGENI IN BOVINE CON MASTITE CLINICA
Giacinti G., Sagrafoli D., Rosa G., Marri N., Carfora V., Bovi E., Tammaro A., Amatiste S.
308
METALLI PESANTI (CADMIO, PIOMBO, MERCURIO) IN TRANCI DI XIPHIAS GLADIUS
Giangrosso G., Billone E., Malara C., Cicero A., Currò V., Grippi F., Accardo M.F., Ferrantelli V.
310
AVVELENAMENTO DA METALDEIDE: DETERMINAZIONE MEDIANTE GC-MS IN
CARCASSE DI CANI DELLA REGIONE SICILIA NEL TRIENNIO 2009-2011.
Giangrosso G., Vella A., Grippi F., Lo Monaco D., Cicero A., Ferrantelli V.
312
SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO DI SCREENING PER LA RICERCA DI CHINOLONI NELLE UOVA MEDIANTE HPLC-FLD
Gili M., Stella P., Ostorero F., Olivo F., Podda M., Abete M.C.
314
INDAGINE SULLE CAUSE INFETTIVE DI ABORTO NEI BOVINI IN PIEMONTE
Giorgi I., Grattarola C., Goria M., Garrone A., D’Errico V., Perosino M., Zoppi S., Dondo A.
317
ANALISI FILOGENETICA DI OVHV-2 ISOLATI IN PIEMONTE
Grattarola C., Decaro N., Amorisco F., Dondo A., Giorgi I., Varello K., Casalone C., Masoero L.,
Crescio M.I., Trisorio S., Peletto S., Acutis P.L.
320
ANTIGENI RICOMBINANTI PER LA DIAGNOSI DI BRUCELLOSI NEL BOVINO
Greco M.F., Ventrella G., Desario C., Vesco G., Villari S., Buonavoglia D., Corrente M.
323
RIVALIDAZIONE DI METODICHE BIOMOLECOLARI PER ANALISI DIAGNOSTICHE:
TAQ POLIMERASI A CONFRONTO
Guerrini E., Gigli A., Nardelli S., Ceglie L.
326
SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO RADIOCHIMICO PER LA DETERMINAZIONE DI STRONZIO-90 NEI PRODOTI CARNEI ED ITTICI MEDIANTE SCINTILLATORE LIQUIDO AD ULTRA BASSO FONDO
Iammarino M., Dell’Oro D., Bortone N., Chiaravalle A.E.
328
NOROVIRUS ED HAV IN MOLLUSCHI BIVALVI VIVI NELLA REGIONE PUGLIA
La Salandra G., D’Alessandro M., Galante D., Goffredo E., Di Pinto A., Cafiero M.A., Chiocco D.
331
VALUTAZIONE DI ALCUNI PARAMETRI EMATOCHIMICI IN VITELLI BUFALINI CON
RIFERIMENTO ALLA NORMATIVA PER LA TUTELA DEL BENESSERE ANIMALE
Lai O., Roncoroni C., Alfieri L., Cavallina R., Fagiolo A.
334
17
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
PSEUDOMONAS AERUGINOSA QUALE RESPONSABILE DI MASTITI OVINE: VALUTAZIONE DEI PROFILI DI PATOGENICITÀ IN ISOLATI PROVENIENTI DA ALLEVAMENTI DI DIVERSE AREE DELLA SARDEGNA.
Liciardi M., Pinna A., Boboi S., Pateri L., Orrù G.
336
SALMONELLE ISOLATE IN SARDEGNA NEL PERIODO 1995-2011 DA ANIMALI E ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE
Lollai S.A., D’Ascenzo V., Bandino E., Cabras P., Carboni G.A., Carusillo F., Cogoni P., Liciardi
M., Manunta D., Vidili A., Virgilio S., Azara A., Barco L.
339
RISCONTRI DI POSITIVITÀ DA BIOTOSSINE ALGALI DEL TIPO P.S.P. (PARALYTIC
SHELLFISH POISON) IN MITILI ALLEVATI NELLE ZONE DI OLBIA E DI ORISTANO
(SARDEGNA) E FIORITURE DI ALEXANDRIUM MINUTUM ED ALEXANDRIUM CATENELLA NEGLI ANNI 2002-2012
Lorenzoni G., Arras I., Bazzardi R., Sanna G., Muzzigoni C., Pes A.M., Marongiu E., Virgilio S.
341
NOROVIRUS NEI PRODOTTI DELLA PESCA: NOVE ANNI DI MONITORAGGIO IN ITALIA
Losio M.N., Pavoni E., Consoli M., Saetti F., Suffredini E., Serracca L., Battistini R., Rossini I.,
Arcangeli G., Croci L.
344
INFEZIONE NATURALE DA NEOSPORA CANINUM NELLA VACCA DA LATTE: RISULTATI DI UN ANNO DI STUDIO
Lucchese L., Zuliani F., Biz R., Marchione S., Gagliazzo L., Natale A.
347
SVILUPPO DI UN TEST IMMUNOBLOTTING CHEMILUMINESCENTE PER LA DIAGNOSI DI MORBO COITALE MALIGNO
Luciani M., Di Pancrazio C., Di Febo T., Tittarelli M., Podaliri Vulpiani M., Puglielli M.O.,
Naessens J., Sacchini F.
350
IMPIEGO DI UN ANTICORPO MONOCLONALE PER LA RICERCA DI MYCOPLASMA
MYCOIDES SUBSP. MYCOIDES MEDIANTE METODICA IMMUNOISTOCHIMICA
Luciani M., Armillotta G., Manna L., Ciarelli A., Di Febo T., Sacchini F., Pini A., D’Angelo A.R.
353
USO DEL TEST FPA NELLA DIAGNOSTICA DELLA BRUCELLOSI ANIMALE
Lucifora G., Riccelli E., Arturi G., Gentile M., Casalinuovo F., Guarino A.
356
LISTERIA MONOCYTOGENES: INCIDENZA DI UN PATOGENO IN OVI-CAPRINI DECEDUTI IN ALLEVAMENTO.
Lucifora G., Riverso C., Macrì N., Casalinuovo F., Parisi A., Guarino A.
358
UTILIZZO DEI CIRCUITI INTER-LABORATORIO NELL’AMBITO DEL SISTEMA DI GESTIONE DELLA QUALITA (SGQ) IN UN LABORATORIO DI CHIMICA ANALITICA
Maddaluno F., Serpe F.P., Gallo P., Soprano V., Esposito M., Tagariello T., Guarino A., Serpe L.
360
OGM: SVILUPPO DI UNA METODICA RAPIDA PER LA TRACCIABILITA’ DELLA PATATA SU MATRICI AGROALIMENTARI SEMPLICI E COMPLESSE
Madeo L., Pierboni E., Curcio L., Tovo G., Gabrielli F., Rondini C.
364
SCREENING RAPIDO PER LA DETERMINAZIONE DI KLEBSIELLA SPP. MULTIRESISTENTI DA CAMPIONI ANIMALI
Mandalà S., Galuppo L., Marineo S., Conaldi P.G., Caracappa S.
367
GENOTIPIZZAZIONE DI CHLAMYDIA PSITTACI E CHLAMYDIA ABORTUS MEDIANTE
L’ANALISI MLVA
Manfredini A., Petasecca D., Labalestra I.R., Bellotti M.A., Fabbi M., Magnino S., Vicari N.
369
18
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
STUDIO PER LA QUANTIFICAZIONE DELLE PROTEINE ANIMALI TRASFORMATE
NEI MANGIMI MEDIANTE L’UTILIZZO DELLA MICROSCOPIA FT-NIR
Marchis D., Amato G., Poma Genin E., Podda M., Abete M.C.
371
EXCURSUS SULLA SCRAPIE: ANALISI DEI FOCOLAI UMBRI 2001-2011
Maresca C., Morelli A., Scoccia E., Sebastiani C., Ciullo M., Biagetti M.
374
CINETICA PLASMATICA E RESIDUI DI EPRINOMECTINA IN LATTE DI ASINE TRATTATE POUR-ON
Marrone R., Smaldone G., Veneziano V., Chirollo C., Anastasio A., Gokbulut C.
376
INFEZIONE DA VIRUS WEST NILE: PROTOCOLLI IMMUNOISTOCHIMICI A CONFRONTO NEL MODELLO MURINO
Marruchella G., Di Francesco G., Vita S., Portanti O., Marini V., D’Angelo A.R., Savini G.
379
TIPIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DI ESCHERICHIA COLI O157 PRODUTTORI
DI VEROCITOTOSSINA: ANALISI RETROSPETTIVA DI CEPPI ISOLATI IN ITALIA NEL
PERIODO 1989-2011
Maugliani A., Tozzoli R., Minelli F., Marziano M.L., Scavia G., Caprioli A., Morabito S.
382
VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. PARATUBERCULOSIS IN REFLUI ZOOTECNICI UTILIZZATI PER LA PRODUZIONE DI BIOGAS:
DATI PRELIMINARI
Mazzone P., Corneli S., Ciullo M., Maresca C., Scoccia E., Sensi M., Papa P., Costarelli S., Caporali A., Fumanti P., Curina G., Scotoni R., Marconi R., Arrigoni N.
385
DESCRIZIONE DI UN CASO DI INSULINOMA NEL CANE: ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI ED ISTOLOGICI.
Mazzotta E., Milani C., Carminato A., Corrò M.
388
LA RISTORAZIONE COLLETTIVA: STUDIO DELLE PROBLEMATICHE SANITARIE ASSOCIATE ALLE ALLERGIE
Meletti F., Merigo D., Kaware Y., Peroni S., Andreoli M., Pavoni E., Losio M.N., Maccabiani G.,
Mioni R., Bertasi B.
390
IDENTIFICAZIONE MORFOLOGICA E MOLECOLARE DELLA FLORA FUNGINA ISOLATA DA SALAMI TRADIZIONALI DELLA PROVINCIA DI PAVIA
Merla C., Andreoli G., Vicari N., Dalla Valle C., Cavanna C., Manfredini A., Pajoro M.,
Guglielminetti M.L., Biancardi A., Fabbi M.
392
REPORT DATI RISTORAZIONE COLLETTIVA: IL CONTROLLO DELLE MENSE SCOLASTICHE E OSPEDALIERE NELL’ANNO 2011
Migliazzo A., Lanzino R., Gentile M.S., Iannitelli R., Scatassa M.L., Cardamone C.
395
SVILUPPO DI UNO STANDARD INTERNAZIONALE PER LA RICERCA DI VTEC NEGLI
ALIMENTI: ISO TS 13136
Minelli F., Ferreri C., Babsa S., Tozzoli R., Marziano M.L., Caprioli A., Morabito S.
396
INDAGINE SULLA GESTIONE SANITARIA DEI GIARDINI ZOOLOGICI IN ITALIA
Modesto P., Biolatti C., Maroni Ponti A., Zacchia C., Barbarino G., Caramelli M., Acutis P.L.
399
IL CONTROLLO SANITARIO NELLE IMPRESE DELLA RISTORAZIONE COLLETTIVA
NELLA PENISOLA SORRENTINA: RISULTATI PRELIMINARI
Mollica D., Esposito V.V., Vanni R., Castellano F.S., Rapesta V., Fusco G.
401
DIETE SPECIALI NELLA RISTORAZIONE SCOLASTICA: GESTIONE DEL RISCHIO E
CRITICITÀ
Morena V., Scognamiglio U., Ermenegildi A., Saccares S.
403
19
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
MYCOBACTERIUM BOVIS SUBSP. CAPRAE IN REGIONE PIEMONTE: CASE REPORT
Nappi R., Ferraro G., Giorgi I., Varello K., D’Errico V., Bozzetta E., Zoppi S., Goria M., Dondo A.
405
VALIDAZIONE PRELIMINARE DI UN ELISA COMPETITIVA IN FASE SOLIDA PER LA
RICERCA DI ANTICORPI NEI CONFRONTI DEL VIRUS DELLA WEST NILE DISEASE
(WNDV) IN SIERI EQUINI
Nardini R., Autorino G., Caprioli A., De Simone F., Frontoso R., Lelli D., Rosone F., Scicluna M.T.
408
VALUTAZIONE DI ALCUNE PERFORMANCE DIAGNOSTICHE DI KIT ELISA PER LA
DIAGNOSI SIEROLOGICA DI ANEMIA INFETTIVA EQUINA (AIE)
Nardini R., Scicluna M.T., Terregino C., Mandola M.L., Cavaliere N., Cordioli P., Fusco G.,
Purpari G., Angioni A., Panzieri C., Manca M., Autorino G.
411
PCR END-POINT PER LA DETERMINAZIONE DI Y.ENTEROCOLITICA PRESUNTA PATOGENA IN MATRICI VEGETALI CRUDE: VALIDAZIONE SECONDO ISO 16140:2003
Nogarol C., Gallina S., Musicanti P., Bianchi D.M., Buonincontro G., Fragassi S., Corvonato M.,
Zuccon F., Ramon E., Bertasi B., Losio M.N., Decastelli L.
415
VALIDAZIONE DI UN METODO MOLECOLARE ALTERNATIVO PER LA RICERCA SIMULTANEA DI MICRORGANISMI PATOGENI DA ALIMENTI: TECNICA COLTURALE E
PIATTAFORMA MULTIPATHOGEN A CONFRONTO
Omiccioli E., Lazzarini S., Fagiolino I., Del Baldo F., Canini R., Magnani M.
418
VALUTAZIONE DI UN METODO ALTERNATIVO PER LA NUMERAZIONE DI BATTERI
LATTICI IN FORMAGGIO PECORINO
Ortenzi R., Scoccia E., Bazzucchi V., Benda S., Roila R., Valiani A., Scuota S.
422
EVOLUZIONE SIMIL-EPIDEMICA DI FOCOLAI DI CARBONCHIO EMATICO IN BASILICATA E CAMPANIA.
Palazzo L., De Carlo E., Aceti A., Palazzo L., De Carlo E., Aceti A., Guarino A., Quaranta V.,
Francia M., Adone R., Fasanella A.
425
STUDIO PRELIMINARE PER UN APPROCCIO ALL’ANALISI DEL RISCHIO MICROBIOLOGICO DEGLI ALIMENTI: RISULTATI DEI CONTROLLI UFFICIALI SVOLTI IN REGIONE CAMPANIA NEL TRIENNIO 2009-2011
Peirce E., Pellicanò R., Colarusso G., Caligiuri V., Baldi L., Guarino A.
427
STUDIO PRELIMINARE PER UN APPROCCIO ALL’ANALISI DEL RISCHIO CHIMICO
DEGLI ALIMENTI: RISULTATI DEI CONTROLLI UFFICIALI SVOLTI IN REGIONE CAMPANIA NEL TRIENNIO 2009-2011
Pellicanò R., Peirce E., Colarusso G., Caligiuri V., Nappo C., Baldi L., Guarino A.
430
VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE DI UN TERRENO COLTURALE SELETTIVO
PER L’IDENTIFICAZIONE DI E. COLI STEC NON O157
Perosino M., Bossotto T., Zoppi S., Angelillo M., Milanesio A., Gemmato A., Callipo M.R., Nappi
R., Dondo A.
433
IDENTIFICAZIONE DI GERMI MASTITOGENI E PROFILI DI ANTIBIOTICO-RESISTENZA IN CEPPI ISOLATI DA LATTE MASTITICO
Pesce A., Garofalo F., Coppa P., Salzano C., Cioffi B., De Marco G., Guarino A.
437
TIPIZZAZIONE OGM: MESSA A PUNTO E VALIDAZIONE DI METODI IN FAST PCR
REAL-TIME
Pierboni E., Curcio L., Madeo L., Tovo G., Rondini C.
440
OGM: SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO RAPIDO DI ESTRAZIONE DI DNA
DAL RISO
Pierboni E., Madeo L., Curcio L., Tovo G., Rondini C.
442
20
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
SVILUPPO DI UN SISTEMA INNOVATIVO BASATO SU BIOSENSORI A MICROCANTILEVER PER LA RILEVAZIONE DEL 17B-ESTRADIOLO NEL MUSCOLO E SIERO BOVINO
Pitardi D., Pezzolato M., Gili M., Perazzini A.Z., Di Corcia D., Ciprianetti N., Ferrante I.,
Santoro K., Ricciardi C., Bozzetta E.
446
INDIVIDUAZIONE DI FOCOLAI DI LEPTOSPIROSI IN DUE CANILI DELLA SARDEGNA
Ponti M.N., Canu M., Cocco R., Palmas B., Noworol M., Ruiu A., Briguglio P., Piredda I.
449
I CULICIDI VETTORI DI FLAVIVIRUS: ATTIVAZIONE DI UN PIANO DI SORVEGLIANZA ENTOMOLOGICA IN PIEMONTE
Prearo M., Pautasso A., Radaelli M.C., Vitale N., Bertolini S., Desiato R., Mosca A., Dottori M.,
Dondo A., Mandola M.L., Rizzo F., Maurella C., Casalone C., Chiavacci L.
452
SVILUPPO DI UNA METODICA SYBR-GREEN REAL TIME PCR PER L’IDENTIFICAZIONE DI MYCOPLASMA AGALACTIAE
Puleio R., Macaluso G., Ciprì V., Prudente C., Tamburello A., Loria G.R.
456
UTILIZZO E SVILIPPO DI UN TEST DI PCR REAL TIME CON SISTEMA GENEDISC®
PER LA RICERCA DI GENI PRODUTTORI DI NEUROTOSSINE GENERE CLOSTRIDIUM
Quarti C., De Santis A.
458
SU UN CASO DI INFESTAZIONE DA ORNITHONYSSUS BACOTI IN MUS MUSCULUS IN
UN CANILE-RIFUGIO IN ITALIA (PUGLIA)
Raele D.A., Chiocco D., Galante D., Mancini G., Cafiero M.A.
461
MONITORAGGIO DI MASTITI CONTAGIOSE DA S. AUREUS MEDIANTE SISTEMI
MOLECOLARI INNOVATIVI: RISULTATI PRELIMINARI DEL PROGETTO MASTFIELD
Raschetti M., Cremonesi P., Pozzi F., Capra E., Rossini S., Castiglioni B., Vezzoli F., Luini M.
465
DIAGNOSI DI GIARDIA DUODENALIS NEGLI ANIMALI E NELL’UOMO NEL CENTRO/
SUD ITALIA
Rinaldi L., Maurelli M.P., Alfano S., Musella V., Cringoli G.
468
IDENTIFICAZIONE DEI SITI DI GLICOSILAZIONE DELLA GP51 DEL VIRUS DELLA
LEUCOSI ENZOOTICA BOVINA
Rizzo G., Forti K., Cagiola M., Ferrante G., De Giuseppe A.
469
MOLECULAR DIFFERENTIATION OF MYCOPLASMA GALLISEPTICUM STRAINS.
Rodio S., Battanolli G., Fincato A., Baldasso E., Catania S.
472
PREVALENZA E FATTORI DI RISCHIO ASSOCIATI ALLA POSITIVITA’ VERSO L’ HERPESVIRUS CAPRINO NEL TERRITORIO DEL PIEMONTE
Rosamilia A., Bertolini S., Caruso C., De Marco L., Andrà M., Pitti M., Quasso A., Ru G.,
Masoero L.
474
INDAGINE DI PREVALENZA DEL VIRUS DELL’EPATITE E (HEV) IN ALLEVAMENTI
SUINICOLI DEL PIEMONTE
Rosamilia A., Caruso C., Vitale N., Chiavacci L., Peletto S., Modesto P., Acutis P.L., Messana E.,
Gobbi E., Origlia S., Sona B., Masoero L.
477
MESSA A PUNTO DI METODICHE DI BIOLOGIA MOLECOLARE PER LA RICERCA DI
CIANOBATTERI
Sabatucci G., Zanardini N., Berta V., D’Ippolito N., Coffinardi F., Titola M., Fusini F., D’Amico
S., Bertasi B.
480
21
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
DETERMINAZIONE DI PARAMETRI CHIMICI MEDIANTE TECNOLOGIA NIR (FOODSCAN™ DAIRY ANALYSER) IN CAMPIONI DI FORMAGGIO “CACIOCAVALLO PALERMITANO”
Scatassa M.L., Miraglia V., Carrozzo A., Ducato B., Lazzara F., Lo Dico G., Todaro M.,
Mancuso I.
482
VALUTAZIONE DEI PARAMETRI DI IGIENE DI PROCESSO IN CARCASSE DI BOVINI
MACELLATI NELLA REGIONE UMBRIA
Scuota S., Zicavo A., Ercoli L., Bazzucchi V., Scorpioni V., Bonanno S., Cambiotti V.,
Mencaroni G.
484
DETERMINAZIONE RAPIDA DI PESTICIDI FOSFORATI E METABOLITI IN FRUTTA E
VERDURA MEDIANTE LC/ESI-QTRAP
Serpe F.P., Esposito M., Gallo P., Guarino A., Serpe L.
487
INDAGINI POST-MORTEM SU TARTARUGHE MARINE SPIAGGIATE (CARETTA CARETTA) LUNGO LE COSTE LIGURI (2010-2011)
Serracca L., Rossini I., Battistini R., Cencetti E., Prearo M., Mignone W., Tittarelli C., Goria M.,
Sant S., Ercolini C.
490
PROTOCOLLO SPERIMENTALE PER IL CONTROLLO DELLO STATO SANITARIO E DI
BENESSERE DI ANIMALI UTILIZZATI IN INTERVENTI ASSISTITI DAGLI ANIMALI IN
PIEMONTE
Soncin A.R., Bergagna S., Catalano D., Petruccelli G., Dezzutto D., Mellia E., Dondo A.
492
PIOMBO E CADMIO: SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN METODO IN ICP-MS NEGLI
ALIMENTI DI ORIGINE VEGETALE
Squadrone S., Gavinelli S., Pellegrino M., Tarasco R., Brizio P., Podda M., Abete M.C.
494
BRUCELLOSI-ATTIVITÀ DI MONITORAGGIO DEI CEPPI CIRCOLANTI NEL CENTRO
DELLA SICILIA
Stancanelli A., Agnello S., Piraino C., Caracappa S., Campo F.
496
INDAGINE SULLA PRESENZA DI SALMONELLA IN CETACEI SPIAGGIATI SULLE COSTE TOSCANE: DATI PRELIMINARI
Terracciano G., Eleni C., Cocumelli C., Tolli R., Franco A., Fischetti R., Stefanelli S., Susini F.,
Fichi G.
498
MICOBATTERIOSI NEL CINGHIALE: STUDIO DI FENOMENI DI ANTIBIOTICO-RESISTENZA IN PROVINCIA DI IMPERIA
Tittarelli C., Zoppi S., Dondo A., D’Errico V., Giorgi I., Perosino M., Lanfranchi P., Mignone W.
502
EPISODIO DI GRAVE ENTERITE AD EZIOLOGIA VIRALE MULTIPLA IN CUCCIOLI DI
CANE IMPORTATI DALL’EST EUROPA
Toffan A., Mazzariol S., Povinelli M., Trovò G., Terregino C., Bernardini D., Corrò M.
504
LESIONI RENALI DA MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. AVIUM NEL SUINO: ASPETTI
ANATOMO-ISTOPATOLOGICI E SIGNIFICATO DIAGNOSTICO
Varello K., Dondo A., Richelmi G., Bozzetta E., Perosino M., D’Errico V., Goria M., Giorgi I.,
Zoppi S.
506
STANDARDIZZAZIONE DEI QUADRI ISTOPATOLOGICI E VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE DELL’ESAME ISTOPATOLOGICO NELLA DIAGNOSI DI TUBERCOLOSI
NEI CINGHIALI
Varello K., Bozzetta E., Zoppi S., Rossi F., Dondo A., Pezzolato M., Goria M., Ferraro G.,
Chiavacci L., Vitale N., Mignone W., Robetto S., Orusa R., Domenis L.
509
22
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
TOXOPLASMA GONDII: RISULTATI DI UNA INDAGINE SIEROLOGICA IN ASINI DEL
SUD ITALIA
Veneziano V., Mariani U., Fusco G., Di Prisco F., D’Alessio N., Guarino A., Piantedosi D.,
Sedlak K., Machacova T., Bartova E.
512
IDENTIFICAZIONE DI CPV-2A, CPV-2B,CPV-2C IN CANI CON PARVOVIROSI IN
CAMPANIA
Viscardi M., Brandi S., Cerrone A., Guarino A., Galiero G., Fusco G.
515
LA VARIABILITA’ GENETICA DELLA POPOLAZIONE BOVINA SICILIANA: ANALISI
DI UN PANNELLO STANDARDIZZATO DI MICROSATELLITI
Vitale F., Reale S., Lupo T., Cosenza M., Migliazzo A., Bivona M., De Maria C., Caracappa S.
517
SCREENING SIEROLOGICO E MOLECOLARE PER T. GONDII IN ANIMALI DA PRODUZIONE ED IN CAMPIONI DI CARNE, IN SICILIA.
Vitale M., Agnello S., Giangrosso G., Vicari D., Salina F., Ferrantelli V., Di Marco Lo Presti V.
520
VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA ATMOSFERE ESPLOSIVE (ATEX)
Vitelli B.R., Sini S., Saezza M.E., Cenci F., Severini S.
523
STRESS OSSIDATIVO IN SANITA’ ANIMALE: CONFRONTO DEI LIVELLI DI RADICALI LIBERI TRA CANI SANI E MALATI
Vito G., Ratto A., Bassi A.M., Ratto S., Cosma V., Campanella C., Ferrari A.
525
PROGRAMMA DI CONTROLLO ISPIRATO AI PRINCIPI DELL’HACCP NELLA PRODUZIONE PRIMARIA: RISULTATI PRELIMINARI
Zanardi G., Finazzi G., Daminelli P., Bonometti G., Losio N.
529
NECROSI DEL PIEDE NEL BOVINO DA CARNE: STUDIO PRELIMINARE SUGLI
AGENTI BATTERICI IMPLICATI
Zoppi S., Miciletta M., Giorgi I., Perosino M., D’Errico V., Monnier M., Grattarola C., Carlino
F., Pinto L., Goria M., Bima A., Dondo A.
INDICE DEGLI AUTORI
531
535
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Letture plenarie,
comunicazioni orali
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
RISULTATI PRELIMINARI DI UNA CAMPAGNA DI COMUNICAZIONE DEL RISCHIO SVOLTA
PRESSO SCUOLA PRIMARIA SUGLI ALLERGENI PRESENTI NEL CIBO SOLITAMENTE
CONSUMATO DAI BAMBINI
Bagni M.*[1], Ventura E.[2], Bianchi D.M.[2], Vencia W.[2], Mascarello G.[3], Crovato S.[3], Ravarotto L.[3], Decastelli L.[2]
Keywords: Risk-communication, Food allergens, Children
Ministero della Salute ~ Roma, [2]Istituto Zooprofilattico Sperimentale Piemonte Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino,
[3]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Legnaro, Padova
[1]
queste ha riguardato l’elaborazione di due testi teatrali e la
realizzazione di schede specifiche sugli allergeni alimentari adeguate per linguaggio e forma, ai bambini di 8-10 anni
(4). Una rappresentazione è stata effettuata a Roma presso il
Plesso scolastico Anna Magnani da bambini di IV elementare.
Un’altra attività è stata la realizzazione di un seminario rivolto
agli insegnati, durante il quale sono state fornite informazioni scientifiche riguardo il rischio delle allergie alimentari nei
bambini, e materiali didattici per gli studenti. Nei mesi precedenti la rappresentazione gli insegnanti hanno potuto usare
le schede fornite per stimolare i bambini a modificare i propri
comportamenti nei confronti degli alimenti, soprattutto quelli
potenzialmente allergenici. I contenuti delle rappresentazioni
teatrali sono state dedicati alla descrizione di momenti quotidiani della vita dei bambini in cui questi vengono in contatto
con potenziali allergeni. Una particolare attenzione è stata
dedicata alle tematiche bioetiche (3) e del rispetto verso l’altro, una tale tematica ha cominciato a imporsi nelle classi dei
bambini che erano nel target.
SUMMARY: An awareness campaign has been developed in
a primary school on allergens in the frame of a project funded
by the Ministry of Health. Children and their family were the
target of the campaign due to the fact that the childwood is
the age where most frequently allergenic problems arise. In
this paper are described some important preliminary results
of the campaign.
INTRODUZIONE: Il Progetto coordinato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta,
dal titolo “Messa a Punto di Dispositivi Nanotecnologici (Biosensori) per il Rilevamento di Allergeni in Alimenti di Origine Animale e Vegetale”, è una ricerca molto vasta finanziata
nell’ambito della Ricerca Finalizzata del ministero della salute
che si avvale di un ampio consortio di partner: la Rete degli
Istituti Zooprofilattici Sperimentali, l’Università del Piemonte
Orientale, il Politecnico di Torino, l’Istituto Superiore di Sanità,
il Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’Azienda Ospedaliera
Maggiore della Carità di Novara con annessa la Rete Allergologica della Regione Piemonte. Il Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca ha dato il suo patrocinio e il
supporto istituzionale per raggiungere le scuole a livello regionale. Il Dipartimento della Sanità Pubblica Veterinaria, della
Sicurezza Alimentare e degli Organi Collegiali per la Tutela
della Salute, consapevole della necessità di sviluppare e migliorare le capacità di comunicazione del rischio a livello territoriale ha coordinato le attività di comunicazione.
La campagna di comunicazione ha visto come target finale la
popolazione maggiormente a rischio (bambini di 8-10 anni e
famiglie) allo scopo di aumentarne la conoscenza rispetto agli
allergeni contenuti nel cibo che solitamente consumanoallo
scopo di ridurne l’esposizione ai fattori di rischio (1; 2; 3).
RISULTATI E CONCLUSIONI:
LA SCUOLA E LE ALLERGIE ALIMENTARI.
Attraverso la realizzazione di 3 focus group sono state indagate le percezioni e le opinioni degli insegnanti circa la gestione
delle allergie alimentari a scuola. Ai focus hanno preso parte
24 insegnati dai quali è emerso un condiviso ed elevato interesse rispetto alla tematica trattata. Solamente gli insegnati di
Roma si sono dichiarati abbastanza preparati sulla questione
degli allergeni, mentre a Torino e Palermo è emersa una scarsa conoscenza e familiarità con la problematica. I principali
bisogni informativi maggiormente condivisi dai partecipanti
sono: la necessità di conoscere la differenza tra allergia e intolleranza, ricevere una maggiore conoscenza sui cibi più a
rischio, ottenere indicazioni su come riconoscere la reazione
allergica, approfondire le specifiche allergie maggiormente
presenti tra gli studenti e ricevere alcune nozioni per la gestione delle emergenze a scuola. Infine dai focus sono emerse
informazioni rilevanti anche rispetto al rapporto tra i bambini e
le allergie. In particolare gli insegnanti ritengono che i bambini
allergici sono a conoscenza della problematica e si comportano in maniera responsabile; non emergono particolari problemi tra il bambino allergico e i compagni tuttavia emerge
l’esigenza degli insegnanti di far accettare ai bambini i limiti
che possono derivare dall’essere allergici.
MATERIALI E METODI: Metodiche di ricerca sociale qualitative e quantitative sono state applicate al fine di studiare le
percezioni e le conoscenze sulla tematica delle allergie alimentari di insegnanti di scuola primaria, dei responsabili della salute all’interno della scuola e delle famiglie. L’approccio
qualitativo è stato applicato in particolare per la rilevazione
delle percezioni degli insegnati sui rischi alimentari, attraverso
lo strumento del focus group, e per indagare in maniera più
approfondita il problema delle allergie nel contesto domestico
con interviste mirate ai genitori. Per la parte quantitativa, invece, sono stati impiegati dei questionari strutturati che hanno
permesso di rilevare gli eventuali mutamenti delle conoscenze degli insegnati sull’argomento, prima e dopo gli interveti di comunicazione. Inoltre questionari strutturati sono stati
rivolti anche alle famiglie coinvolte nel progetto al fine di far
emergere l’efficacia del progetto sugli studenti. Le attività di
ricerca sociale (Focus group e questionari) sono state effettuate nelle province di Torino, Roma e Palermo. Dai risultati
della fase esplorativa sono derivate diverse attività. Una di
LA RAPPRESENTAZIONE TEATRALE E L’IMPATTO SUL
TARGET
Dai risultati analizzati finora possiamo affermare che il 75%
delle famiglie che hanno assistito alla recita e seguito i bambini nel periodo precedente di preparazione e studio della stessa, hanno riscontrato un aumentato interesse e una maggiore
partecipazione del bambino per quelle che sono le tematiche
26
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
considerata nella presente sperimentazione risultano idonei a
ricevere una campagna sensibilizzazione informativa che impieghi il mezzo teatrale e il gioco/imparo. Agli strumenti ‘classici’ di diffusione della conoscenza, dell’informazione e della
formazione, si è voluto sperimentare un diverso medium di
comunicazione (6). Si è voluto recuperare dal passato il medium del ‘teatro’, primo e antico strumento di comunicazione
di massa e sperimentandolo nell’ambito di questo progetto di
ricerca sulla sicurezza alimentare.
legate agli alimenti (attenzione alle etichette relativamente agli
ingredienti ed alla provenienza) e alla loro correlazione con
problematiche di salute legate alle allergie alimentari. Il 75%
ha riscontrato un aumento di interesse verso problematiche di
salute in genere. Circa l’80% dei genitori hanno evidenziato
che nei bambini è aumentata la necessità di ricevere chiarificazioni su argomenti riguardanti una corretta alimentazione a
loro destinata (aumentata curiosità verso principi nutrizionali
e vitamine). Il 30% del nostro campione non ha notato alcuna
modifica specifica nei comportamenti del bambino.
Dopo una prima analisi dei dati è emerso un elevato interesse
sia da parte degli insegnanti di scuola primaria, sia dei genitori, riguardo alla tematica degli allergeni. Adesioni spontanee
di docenti non direttamente coinvolte nel progetto ma pronte
a mettere in scena la rappresentazione teatrale lascia intravedere ulteriore sviluppi e un interessante serbatoio di nuove
informazioni. Il patrocinio del MIUR al progetto permetterà alla
fine delle analisi dei risultati di effettuare una la divulgazione a
livello nazionale dei testi prodotti. I bambini della fascia di età
BIBLIOGRAFIA:
1 Bucchi, M., Scienza e società, Il Mulino, 2002.
2 D’antuono, E., Bioetica, Guida, Napoli, 2003.
3 Miano F., Responsabilità, Guida, Napoli, 2009.
4 Dameno, R., Comunicare la scienza, L’innovazione e il dibattito
bioetico, Guerrini e Associati, 2010.
5 Baccarini E., La soggettività dialogica, Aracne, Roma, 2000.
6 Perniola, M., Miracoli e traumi della comunicazione, Einaudi,
Torino, 2009.
27
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
STUDIO DI SPECIE ITTICHE LESSEPSIANE ED ABISSALI PESCATE NEL TIRRENO
CENTRO-MERIDIONALE E RINVENUTE NEI CIRCUITI COMMERCIALI
De Carlo E.[1], Di Nocera F.[1], Gallo P.[1], Soprano V.[1], Marigliano L.*[1], Serpe F.P.[1], Rossi R.[1], Guarino A.[1],
Caruso C.[2], Improta A.[3], Amato A.[3]
Keywords: lessepsiane, abissali, pesci
Izsm Portici ~ Portici, [2]Izs Torino ~ Torino, [3]ASL Salerno ~ Salerno
[1]
SUMMARY: This study was performed to allow morphological
identification and to evaluate microbiological and chemical risk
assessment for 14 lessepsian and abyssal fish and cephalopod
species caught in central-southern Tyrrhenian, by detecting foodborne pathogens, heavy metals and marine biotoxins. No foodborne pathogens and biotoxins were detected in tested species. High levels of mercury (up to 5.85 mg/kg), were detected
in some species; moreover, significant total arsenic levels (> 1.0
mg/kg) were measured in 12 out of 14 species analyzed.
lamento e alla conservazione (Tabella 1). I campioni decongelati
sono stati fotografati e radiografati in digitale. Presso i laboratori
dell’IZSM i campioni sono stati identificati tassonomicamente
su base morfologica, mediante chiavi dicotomiche, e con criteri strumentali, mediante esame a focalizzazione isoelettrica su
gel di poliacrilammide (PAGIEF) delle proteine solubili in acqua
estratte dal tessuto muscolare. I gel PAGIEF sono stati sottoposti ad analisi densitometrica utilizzando il sistema Epson 4490
Photo Perfection. Le immagini dei gel PAGIEF colorate con Blu
Coomassie sono state acquisite ed elaborate mediante il software Image Quant TL v.7 (Pharmacia Biotech, Milano).
La ricerca di batteri patogeni, quali Vibrio spp., Aeromonas
spp., Salmonella spp., L. monocytogenes, e la numerazione
di indicatori dello stato d’igiene quali clostridi solfito riduttori, E.
coli β-glucoronidasi positivo, di batteri psicrofili totali e di Enterobacteriaceae sono stati eseguiti attraverso l’applicazione di
tecniche colturali ISO su muscolo.
I livelli di contaminazione da piombo, cadmio, mercurio e arsenico nella parte edibile, sono stati determinati mediante mineralizzato per via umida in forno a microonde (Ethos C Milestone,
FKV, Italia), e spettrofotometria di assorbimento atomico con
vapori freddi e fornetto di grafite (CV-AAS; GF-AAS).
A partire da muscolo, fegato e gonade è stata eseguita la ricerca di biotossine Paralytic Shellfish Poisoning (PSP), saxitossine, tetrodotossina, Diarrhetic Shellfish Poisoning (DSP), acido
okadaico, pectenotossine, azaspiracidi, yessotossine e pali tossine, mediante mouse test, secondo i metodi riportati nel D.M.
16 Maggio 2002, e spettrometria di massa del tempo di volo
(LC/MS/TOF); la ricerca di biotossine Amnesic Shellfish Poisoning (ASP), acido domoico, mediante cromatografia liquida ad
alta prestazione (HPLC/UV), secondo metodo riportato nel D.M.
16 Maggio 2002, e LC/MS/TOF.
INTRODUZIONE: Specie ittiche atipiche, lessepsiane ed abissali, si rinvengono frequentemente nei circuiti commerciali e
risultano di complessa identificazione non essendo, tra l’altro,
contemplate nella nomenclatura ufficiale. Oltre alle possibili frodi commerciali per sostituzione di specie, la vendita di specie
atipiche, di cui spesso si ignorano le caratteristiche ecologiche,
di salubrità e, soprattutto di sicurezza, potrebbe rappresentare
un potenziale rischio microbiologico, chimico e biotossicologico
per il consumatore finale (1, 2, 3, 4, 5, 6).
E’ stata condotta un’indagine preliminare circa la loro potenziale commestibilità mediante: l’identificazione tassonomica, con
analisi morfologica e strumentale; la determinazione dello stato
fisiologico dell’animale; la ricerca nelle parti edibili di possibili
agenti batterici patogeni per l’uomo, di metalli pesanti e delle
principali biotossine marine.
MATERIALI E METODI: Nel periodo 2008-2011 sono stati collezionati 30 campioni appartenenti a 14 specie diverse di pesci
e molluschi cefalopodi, catturati a strascico in un areale compreso tra Salerno e Sapri (SA), rinvenuti presso il mercato ittico
di Salerno dal servizio veterinario dell’A.S.L. che ha provveduto
ad acquisire informazioni circa le catture, all’immediato conge-
Tabella 1 - Specie ittiche campionate.
28
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
da consumo di prodotti ittici, potendo pertanto considerare
accettabile il rischio microbiologico (4). I dati ottenuti rivelano l’ottimo stato igienico-sanitario delle carni, risultando
paucimicrobiche per tutti i microrganismi indicatori, eccezion fatta per la specie Canario rotondo in cui è stata rilevata una carica psicrofila totale di 53.000 ufc/g.
Le analisi chimiche hanno evidenziato che i livelli di Pb e
Cd sono inferiori ai limiti massimi stabiliti dalla legge nonché sovrapponibili a quelli di solito rilevati in altre specie
catturate nel basso Tirreno. Sono stati determinati livelli
di contaminazione da Mg oltre il limite massimo ammesso dalla legge. In particolare, è singolare trovare livelli di
Mg elevati nel Re di triglie nero, nel Pesce specchio e nel
Pesce falce, in quanto non sono predatori ai vertici della
catena trofica. Nel principio di garantire la massima tutela
della sicurezza alimentare, le concentrazioni di Mg rilevate
in alcune specie oltre i limiti di legge, dovrebbero sconsigliare il loro consumo, per analogia a quanto la legislazione
prevede per tonno, pesce spada e squali.
I livelli di As totale in tutti i campioni analizzati, sono stati
stabiliti in un intervallo di concentrazioni da un minimo di
1.09 mg/kg (Carango mediterraneo) ad un massimo di 36.9
mg/kg (Pesce specchio). Per l’As totale oggi non esistono
limiti massimi tollerati in quanto è riconosciuto pericoloso
per l’uomo l’As organico. Inoltre, non esistono molti dati di
letteratura per confrontare i livelli determinati, sebbene la
nostra esperienza indichi che quantità di As totale dell’ordine delle decine di mg/kg si trovano in genere in crostacei e
cefalopodi. E’ opportuno evidenziare che il Pesce specchio
ha mostrato elevati livelli di Mg e As, ma non è risultato
contaminato da Pb e Cd.
Sebbene non sia stato possibile sviluppare un metodo affidabile per la determinazione della tetrodotossina mediante
spettrometria di massa in trappola ionica, l’applicazione di
altre tecniche analitiche come LC/MS/TOF non ha evidenziato la presenza della tossina.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I pattern di bande proteiche
insieme alle immagini fotografiche e radiografiche, e le caratteristiche descrittive di specie costituiscono una banca
dati per l’identificazione delle specie studiate.
I risultati delle analisi microbiologiche possono essere così
riassunti: Vibrio spp., Aeromonas spp., L. monocytogenes,
Salmonella spp.: assenti in 25 g di muscolo in tutti i campioni analizzati; clostridi solfito riduttori, E. coli β-glucoronidasi
positivo, carica psicrofila totale, Enterobacteriaceae: <10
ufc/g in tutti i campioni analizzati eccezion fatta per il Canario rotondo in cui è stata rilevata una carica psicrofila totale
di 53.000 ufc/g.
I risultati dei campioni sottoposti alla determinazione dei metalli pesanti sono stati espressi in mg/kg di tessuto muscolare fresco. Laddove il contenuto del metallo pesante era inferiore al limite di quantificazione del metodo (LOQ), il risultato
è stato indicato come “n.r.” mentre quando la disponibilità di
matrice risultava insufficiente per l’esecuzione dell’analisi, il
risultato è stato espresso come “n.e.” (Tabella 2).
Le analisi biotossicologiche hanno dato esito negativo nei
tessuti bersaglio dei campioni processati ad esclusione di
due campioni positivi all’analisi in HPLC-UV per acido domoico, in Grugnitore bastardo su matrice gonadica (1.65
mg/kg) e Carango mediterraneo su matrice epatica (0.98
mg/kg), confermati poi negativi in LC/MS/TOF. L’analisi dei
frammenti contenuti nello spettro di ciascun picco ha avvalorato l’ipotesi secondo cui trattasi di isomeri dell’acido
domoico.
I campioni relativi ai pesci ossei e cartilaginei si sono rivelati particolarmente ricchi di bande proteiche e pertanto, per
tali specie, è risultata possibile l’identificazione sulla base
del profilo elettroforetico. Purtroppo l’analisi dei gels ha evidenziato una quasi totale assenza di bande proteiche caratteristiche nei campioni estratti dai cefalopodi.
Le indagini microbiologiche hanno rivelato l’assenza dei
principali patogeni responsabili di tossinfezioni alimentari
Tabella 2 - Concentrazioni di metalli pesanti rinvenuti nelle specie esaminate.
29
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
sient on the hydrographic characteristics in the Strait of Sicily
and in the Tyrrhenian. Deep Sea Res. I, 52, 915-935.
BIBLIOGRAFIA:
1. Bentur, Y., Ashkar, J., Lurie, Y., Levy, Y., Azzam, Z., Litmanovich, M., Gurevych, B., Golani, D., Eisenman, A. (2008) Lessepsian migration and tetrodotoxin poisoning due to Lagocephalus
sceleratus in the eastern Mediterranean. Toxicon. 52: 964-968.
4. Huss, H.H. (1997). Control of indigenous pathogenic bacteria in seafood. Food Control 8, 91-98.
5. Nike Bianchi, C. (2007). Biodiversity issues for the forthcoming tropical Mediterranean sea. Hydrobiologia, 580, 7-21.
2. Bianchi, C.N., Morri, C. (2000). Marine Biodiversity of the
Mediterranean Sea: Situation, Problems and Prospects for Future Research. Mar. Pollut. Bull., 40 (5): 367-376.
6. Schroeder, K., Gasparini, G.P., Tangherlini, M., Astraldi, M.
(2006). Deep and intermediate water in the western Mediterranean under the influence of the Eastern Mediterranean Transient. Geophys. Res. Lett., 33, L21607.
3. Gasparini, G.P., Ortona, A., Budillo, G., Astraldi, M., Sansone, E. (2005). The effect of the Eastern Mediterranean Tran-
30
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
IDENTIFICAZIONE DI FRODI COMMERCIALI NEI PRODOTTI ITTICI TRASFORMATI
MEDIANTE ANALISI DEL DNA
Amoroso M.G.*[1], Girardi S.[1], Cutarelli A.[1], Guarino A.[1], Galiero G.[1], Corrado F.[1]
Keywords: Fish species identification, DNA sequencing, commercial fraud
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (Na)
[1]
(salatura, cottura, affumicatura, messa sott’olio). Tutti i campioni ci sono stati forniti dalla Capitaneria di Porto nell’ambito di
indagini routinarie. La tipologia di campione e la specie ittica
identificata sono riportati in tabella 1.
- Estrazione del DNA e PCR
IL DNA è stato estratto dai campioni in esame (200 mg) mediante il kit “Nucleospin Food (Macharey-Nagel). Il DNA mitocondriale da COI è stato amplificato mediante i seguenti primers (3):
FishF: 5’-TCAACCAACCACAAAGACATTGGCAC -3’
FishR: 5’-TAGACTTCTGGGTGGCCAAAGAATCA -3’
La mix di reazione (50µL) includeva: 25µL di Master Mix 2x
(Applera), 1µL di ogni primer (10µM), 18µL di acqua DNAse/
RNAse free e 100 ng del DNA estratto. Il profilo termico di reazione era il seguente: 1° step di 15 min a 95°C, 35 cicli di: 30
sec a 94°C, 40 sec a 52°C, e 1 min a 72°C, uno step finale di
10 min a 72°C.
- Sequenziamento
I prodotti di PCR, purificati mediante Qiaquick PCR purification
Kit (Qiagen), sono stati sottoposti a PCR di sequenziamento
impiegando il kit Big Dye3.1 (Applied Biosystems (AB)). Le sequenze sono state poi purificate del Dye terminator mediante
DyeEX 2.0 spin kit (Qiagen) e infine sottoposte ad elettroforesi
capillare con lo strumento ABI Prism 3130 Genetic Analyzer
(AB). Gli elettroferogrammi sono stati analizzati mediante software SeqScape v.2.5 (AB) e software di allineamento multiplo
CLUSTAL W 1.5. Le sequenze ottenute sono state analizzate
attraverso il BOLD System (www.boldsystems.org).
SUMMARY: Institutions working for food safety have the main
goal to guarantee consumers about the security of what they
eat. In seafood field a key aspect of food safety is represented
by the possibility to correctly identify the species of fish especially when the product has been already processed and therefore no more morphologically identifiable. In the present study
we analysed 20 seafood products with the aim to properly classify their fish species composition. The analysis was carried out
by sequencing a region of cytochrome oxidase subunit I gene.
Results revealed ability of DNA sequencing to recognize fish
species in very transformed seafood preparations, being able
to reveal wrong labelling of the product.
INTRODUZIONE: L’aumento del consumo di prodotti ittici e la
relativa movimentazione delle merci ha incrementato la diffusione delle frodi alimentari a danno del consumatore. A conferma di ciò l’attività di controllo svolta dalle autorità competenti ha registrato, in tutti i comparti del settore alimentare, un
sensibile incremento di frodi commerciali, rappresentate per il
40% circa da etichettatura non conforme. Le frodi più comunemente riscontrate nel settore ittico sono rappresentate dalla
sostituzione di una specie di pesce con un’altra, simile morfologicamente, ma di minor pregio. La corretta identificazione di
specie rappresenta uno step cruciale nel controllo qualità degli
alimenti al fine di evitare la frode (1). L’identificazione di specie,
effettuata valutando le caratteristiche morfologiche del pesce
intero, (Legge No. 125 of 25.03.1959), diventa molto difficile
se non impossibile da effettuare in alcuni prodotti (filetti, bastoncini, crocchette) in quanto le caratteristiche morfologiche
sono parzialmente o completamente perse durante la trasformazione tecnologica a cui il prodotto alimentare è soggetto (1).
In questo contesto appare fondamentale disporre di un metodo
analitico in grado di identificare le specie oggetto di frode in
maniera inequivocabile e rapida, per le implicazioni sanitarie oltre che commerciali, connesse ad un’etichettatura non corretta.
A questo proposito negli ultimi anni si è sviluppato in maniera
significativa l’impiego di indagini molecolari basate sull’analisi
delle sequenze di DNA polimorfico nel genoma mitocondriale.
Queste tecniche sono già ampiamente impiegate per l’identificazione di specie in molti campi: medico, forense e alimentare (2). Nel presente lavoro abbiamo analizzato 21 prodotti
alimentari a base di pesce mediante analisi della sequenza di
un frammento del gene COI. I risultati, ci hanno permesso in
particolare di svelare, per prodotti a base di baccalà, la presenza di specie diversa da quella dichiarata in etichetta. La frode,
che riguardava l’impiego di una specie di minore valore rispetto
a quella dichiarata e consentita per legge, non sarebbe stata
mai svelabile mediante analisi morfologica, dal momento che il
prodotto era fortemente trasformato.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Il kit Nucleospin Food impiegato per l’estrazione del DNA ci ha consentito di ottenere un
DNA di buona qualità. L’analisi di sequenza del gene COI ha
permesso di identificare, in maniera inequivocabile, la specie
di pesce nella maggior parte dei prodotti alimentari in esame,
nonostante le profonde trasformazioni tecnologiche subite. In
tutti i prodotti alimentari contenenti una sola specie di pesce
è stato possibile identificare la specie presente. In alcuni casi
l’analisi di sequenza ha confermato quanto riportato in etichetta
(campioni 2, 14, 15, 18 e 19). Per altri campioni in cui nell’ingredientistica era riportata solo la dicitura “pesce”, è stato possibile
fornire la specie presente. Un esempio è rappresentato dalle
frittelle di mare e dalle bistecchine di mare (vedi Tab. 1) che si è
evinto essere composte entrambe da Gadus chalcogrammus.
I risultati più significativi riguardano i filetti di baccalà (campione 1), che sono risultati essere costituiti da una specie diversa
da quella riportata in etichetta. Come è possibile vedere dai
risultati dell’allineamento delle sequenze geniche (Tabella 2) la
specie individuata è stata Pollachius virens invece della specie
Gadus morhua. Questo risultato è stato ottenuto per 3 campioni alimentari simili aventi marche commerciali diverse. Inoltre
Pollachius virens è stata individuata come la specie presente
anche nel campione 17 (bocconcini di baccalà) in cui in etichetta è riportata solo la dicitura baccalà 60%.
Per entrambi i campioni sopra citati (1,17) si è riscontrata la
MATERIALI E METODI: - Materiali
Sono stati analizzati 21 preparazioni alimentari a base di pesce. Di questi campioni 17 erano prodotti commerciali surgelati
e 4 erano prodotti ittici sottoposti a vari trattamenti tecnologici
31
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
frode commerciale in quanto per legge il baccalà può essere
costituito solo da due specie: Gadus morhua e Gadus macrocephalus.
La specie individuata (Pollachius virens) è filogeneticamnete
simile alle suddette specie (Fig.1), appartiene sempre alla famiglia delle Gadidae, ma è una specie di minore valore commerciale.
In conclusione la ricerca ci ha consentito di effettuare identificazione di specie in prodotti sottoposti ai più svariati trattamenti tecnologici: filettatura, cottura, surgelazione, affumicatura,
salagione, marinatura, panatura. Nessuno di questi processi
ha inficiato l’analisi del DNA consentendo di svelare, laddove
presenti, delle importanti frodi commerciali. Ricordiamo che attualmente in Italia l’unica tecnica valida a livello legale, l’identificazione morfologica, non è applicabile su prodotti ittici lavorati
e trasformati, i quali vengono tuttavia preferiti dal consumatore
odierno perché più pratici da utilizzare. L’impiego di metodiche
biomolecolari può risolvere il problema legato all’identificazione
di specie in prodotti lavorati e trasformati, dato che la molecola
bersaglio il DNA, è stabile ai numerosi trattamenti che avvengono durante la trasformazione dei cibi (4); inoltre l’automazione associata alle tecniche molecolari le rende adatte ad effettuare analisi su larga scala in modo automatizzato, rapido ed
economico. E’ doveroso sottolineare che un limite dell’analisi di
sequenza del DNA è rappresentato dalla presenza nel prodotto
alimentare di più specie. In questo caso il sequenziamento non
ha consentito di identificare le specie contenute. Questo perché, essendo i primers universali, ciascuna specie ha fornito,
durante la reazione di sequenziamento, il proprio elettroferogramma, portando ad una sovrapposizione degli stessi. L’unica
informazione che si ottiene per questi campioni è comunque la
presenza dell’ingrediente “pesce”. I prodotti in questione però
in genere non hanno in etichetta l’indicazione delle specie contenute ma solo la dicitura “pesce o polpa di pesce”: l’analisi
fornisce quindi l’informazione richiesta, ovvero la presenza di
tessuto di pesce nell’alimento.
Tab. 1 Campioni analizzati e specie ittica identificata - *prodotto surgelato ¹Prodotto impanato
32
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Tab. 2 Punteggi di allineamento ottenuti mediante CLUSTAL Seq. 1: Campione;
Seq. 2: P. virens; Seq. 3: G.chalcogrammus ; Seq. 4: G.morhua
Figura 1. Albero filogenetico ottenuto mediante metodo Neighbor-Joining. I valori di confidenza sono stati stabiliti con l’opzione
bootstrapping.
BIBLIOGRAFIA: 1) Pepe T, Trotta M, Di Marco I, Cennamo
P, Anastasio A et al. (2005) Mitochondrial Cytochrome b DNA
Sequence Varations: An Approach to Fish Species Identification in Processed Fish Products. Journal of Food Protection
68: 421-425
2) Botti S, Giuffra E (2010) Oligonucleotide indexing of DNA
barcodes: identification of tuna and other scombrid species in
food products. BMC Biotechnology 10: 60.
3) Ward RD, Zemlak TS, Innes BH., Last PR, Hebert PDN
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Transactions of the Royal Society B. 360:1847-1857.
4) Hajibabaei M, Smith MA, Janzen D H, Rodriguez JJ,
Whitfield J B, Hebert PDN (2006). A minimalist barcode can
identify a specimen whose DNA is degraded. Molecular Ecology 6:959–964.
33
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
L’IPERESPRESSIONE DEL RECETTORE PROGESTINICO PER L’DENTIFICAZIONE DEI
TRATTAMENTI ILLECITI CON ESTROGENI
Pezzolato M.*[1], Richelmi G.[1], Maurella C.[1], Varello K.[1], Meistro S.[1], Mascarino D.[1],
Longo D.[1], Caramelli M.[1], Bozzetta E.[1]
Keywords: 17ß-estradiolo, immunoistochimica, recettore progestinico
[1]Istituto
Zooprofilattico Sperimantale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino
SUMMARY: Despite 17β-oestradiol ban in food producing animals due to its carcinogenicity, it’s misuse for growth promoting
action is still adopted.
We evaluated the accuracy of histopathology and immunohistochemistry for progesteron receptor, applied to sexual accessory glands from 89 calves treated with 17β-oestradiol and
64 controls, in the detection of 17β-oestradiol illecit treatments.
Metaplasia of bulbo-uretral gland resulted an high reliable parameter to detect low dosage; furthermore immunopositivity for
PR characterized all treated animal, improving the accuracy of
the histological approach.
INTRODUZIONE: L’utilizzo del 17β-estradiolo negli animali
produttori di carne è vietato dal 2008(Dir 2008/97/EC) a causa
del dimostrato potenziale carcinogenetico di tale sostanza. Nonostante tale evidenza, sussiste la possibilità che possa essere
utilizzato negli allevamenti, dal momento che è dimostrato che
e’ in grado di determinare un incremento di peso fino al 10%
nei bovini trattati rispetto ai soggetti non trattati(11).
La legislazione vigente impone il divieto di utilizzo di tale sostanza indicando i metodi chimici, ELISA e GC-MS/MS che
devono essere applicati sul siero allo scopo di rilevarne l’impiego fraudolento; tali metodi, però, risultano negativi già dopo
pochi giorni di sospensione del trattamento(5;12) a causa della
rapida cinetica della sostanza o ancora perché spesso le sostanze utilizzate in maniera illecita vengono somministrate a
bassi dosaggi.
Per ovviare a queste problematiche e per preservare la salute
del consumatore il mondo scientifico sta valutando negli ultimi
anni nuove strategie di indagine, basate non più sull’identificazione chimica della molecola, bensì sull’evidenziazione degli
effetti biologici della stessa.
In questo contesto sono già stati sviluppati bioassay e sono in
corso numerose indagini di genomica e proteomica per individuare marker specifici di trattamento.
E’ stato dimostrato che il 17β-estradiolo induce alterazioni alla
normale struttura delle ghiandole sessuali accessorie e l’iperespressione del recettore progestinico(4). Tale recettore, se
evidenziato in tessuti, che normalmente non lo iperesprimono,
individua inequivocabilmente un trattamento con estrogeni(10).
Studi recenti riportano che il recettore progestinico può essere
considerato un biomarker specifico di trattamento con estrogeni nel vitello se espresso a livello delle ghiandole sessuali
accessorie.(2)
Scopo del presente studio è di verificare l’accuratezza della colorazione immunoistochimica con anticorpo anti recettore progestinico (PR)(Clone hPRa2) per l’individuazione di trattamenti
illeciti a bassi dosaggi con 17β-estradiolo.
sti in box separati e allevati in accordo con la direttiva 86/609/
EEC.
Nel corso della sperimentazione gli animali avevano libero
accesso all’acqua e sono stati alimentati con allattatrici automatiche fino a 4 mesi, successivamente è stata introdotta una
razione giornaliera di fibre.
Durante il sesto mese 89 dei 153 vitelli sono stati trattati con
17β-estradiolo una volta alla settimana per 4 settimane alla
dose di 5 mg/gg im, i rimanenti 64 sono stati allevati come animali di controllo.
Tutti gli animali sono stati macellati presso uno stabilimento riconosciuto CEE 15 giorni dopo l’ultimo inoculo.
Analisi istologica
Durante la macellazione sono state prelevate le ghiandole sessuali accessorie (prostata e ghiandole bulbo uretrali) di ciascun
animale. I tessuti sono stati fissati in formalina, processati ed
inclusi in paraffina. Per ogni tessuto sono stati allestiti preparati
istologici per la colorazione ematossilina eosina e per la colorazione immunoistochimica.
L’esame istologico è stato condotto in cieco da due veterinari
e i tessuti sono stati esaminati secondo quanto già descritto in
bibliografia (8) al fine di identificare le alterazioni microscopiche
correlate con la somministrazione di estrogeni. I parametri analizzati sono stati: iperplasia, metaplasia, ipersecrezione e cisti
sia a livello della prostata che delle ghiandole bulbo uretrali. A
ciascuna lesione è stato associato uno score da 0 a 3 (assente,
lieve, moderato, grave).
Immunoistochimica
L’esame immunoistochimico è stato condotto applicando l’anticorpo anti recettore progestinico (PR)(clone hPRa2) per evidenziarne l’iperespressione.
Preparati istologici delle ghiandole bulbo-uretrali di tutti gli animali allevati, trattati e controlli, sono stati deparaffinati in sostituto dello xilolo, reidratati in una serie di alcool decrescenti e
quindi posti in acqua distillata. Lo smascheramento antigenico
è stato eseguito a 97 C° per 35 min in una soluzione di buffer
citrato pH6, quindi è stato eseguito il blocco delle perossidasi
endogene per 30 min in una soluzione acquosa di perossido di
idrogeno al 10%.
L’anticorpo primario è stato incubato per 60 min alla diluizione
1:50.
La rivelazione è stata eseguita con il kit EnVision/DAB
Analisi statistica
I risultati delle indagini microscopiche sono stati inseriti in un
foglio elettronico e analizzati con il software Stata 10.1 SE.
La validità sia del test istologico che immunoistochimico è stata
valutata calcolando per ciascuno metodo sia la sensibilità (Se)
che la specificità (Sp).
MATERIALI E METODI: Disegno sperimentale
153 vitelli maschi di razza frisona sono stati acquistati all’età
di 40 giorni e allevati in condizioni controllate per sette mesi.
All’arrivo presso lo stabulario sono stati divisi in due gruppi, po-
RISULTATI E CONCLUSIONI: Analisi istologica
L’analisi microscopica dei tessuti ha confermato che la lesione
maggiormente correlata al trattamento con gli estrogeni è la metaplasia, riscontrata in 86 su 89 ghiandole bulbo-uretrali degli
34
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
animali trattati. La stessa lesione è stata riscontrata con grado
lieve in un unico animale di controllo.((se=96.6% CI95%:90.599.3) (Sp=98.4% CI95%: 91.6-100))
Gli altri parametri: iperplasia, ipersecrezione e cisti non erano
significativamente correlati con il trattamento nei vitelli.
Immunoistochimica
La positività alla colorazione immunoistochimica per il progesterone, riscontrata come depositi giallo bruni nei nuclei
delle cellule epiteliali, è stata rilevata in tutti gli animali trattati
e in nessun animale di controllo.((Se:100% CI95% 95.9-100)
(Sp=100% CI95%: 94.4-100))
L’esposizione di animali prepuberi a trattamenti con estrogeni
si traduce in una diffusa iperespressione del recettore progestinico a livello delle cellule epiteliali delle ghiandole bulbouretrali. Questo risultato evidenzia che il trattamento di animali
prepuberi è in grado di alterare la struttura(10;2),la funzione(4)
e l’espressione genica(6;8) dell’apparato riproduttore maschile.
In accordo con i nostri risultati l’analisi immunoistochimica con
l’anticorpo anti recettore progestinico è un esame semplice,
rapido ed economico in grado di evidenziare l’iperespressione
del gene indotta da trattamenti con estrogeni anche a bassi
dosaggi.
efferent ducts of the rat and marmoset monkey during development, its modulation by oestrogens and its possible role in
fluid resorption. Endocrinology 139:3935–3945.
4.Graham JD, Clarke CL(1997)Physiological Action of Progesterone in Target Tissues. Endocrine Reviews 502-519.
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Anal Chim Acta 473:99–109.
6.Pentecost BT, Newbold R, Teng CT, McLachlan JA(1988)
Prenatal exposure of male mice to diethylstilbestrol alters the
expression of the lactoferrin gene in seminal vesicles. Mol. Endocrinol. 2:1243–1248.
7.Pezzolato M, Maurella C, Varello K, Meloni D, Bellino C, Borlatto L, Di Corcia D, Capra P, Caramelli M, Bozzetta E(2011)
High sensitivity of a histological method in the detection of lowdosage illicit treatment with 17 -estradiol in male calves. Food
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10.Risbridger GP, Wang H, Frydenberg M, Cunha G(2001)The
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Proliferation of Cells with Basal Cell Phenotype1. Endocrinology 142:2443-2450.
11.Stephany R(2001)Hormones in meat: different approaches
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12.Van Poucke C, Van Peteghem C(2002)Development and
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3.Fisher JS, Turner KJ, Fraser HM, Saunders PTK, Brown
D,Sharpe RM(1998)Immunoexpression of aquaporin-1 in the
Fig 1: A- CONTROLLO: ghiandola bulbo uretrale normale; B-TRATTATO: grave metaplasia del tessuto ghiandolare; C- CONTROLLO: assenza di immunopositività; D- TRATTATO: marcata positività all’anticorpo anti PR nei nuclei delle cellule epiteliali
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
UTILIZZO ED EVOLUZIONE DI UN SISTEMA INFORMATIVO PER LA GESTIONE DEI
LABORATORI DI ANALISI (SIGLA)
Nappo C.*[1], Pizzoni E.[2], Manai R.[3], Izzo P.[1], Desantis E.[2], Virdis A.[3], Mingolla A.[4], Cenni G.[5], Faccenda L.[4]
Keywords: SIGLA, evoluzione, Web Application
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino,
[3]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna ~ Sassari,
[4]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia,
[5]
Krene gruppo Bassilichi ~ Sassari
[1]
[2]
SUMMARY: Information system for analysis management (SIGLA) is a tool used for the monitoring of activities aiming to
track the entire sample diagnostic procedure and is an extremely useful tool for data gathering. It has been adopted since
twelve years ago from four Istituti Zooprofilattici Sperimentali.
Having this shared platform among four institutes, with a common informational debt and activities, allows to have the same
database and hence a common language.
SIGLA user committee updated the software to 4.0 version (will
be operational from 2013) with new tools and functionalities,
listed below.
ne di SIGLA 4.0; il prodotto sarà operativo in tutti i quattro gli
IIZZSS nel 2013.
Il progetto prevede per il futuro l’avvio di alcune sperimentazioni quali la creazione di un modulo dedicato ai Pagamenti online dei Referti, l’integrazione con un sistema di Conservazione
sostitutiva dei Rapporti di Prova e l’integrazione con la Banca
Dati Nazionale (BDN) per l’utilizzo dei dati anagrafici ufficiali
(allevamenti, capi).
MATERIALI E METODI: Evoluzioni tecnologiche del prodotto
SIGLA dalla versione 3.1 alla 4.0
SIGLA 4.0 è un prodotto nato dalla completa reingegnerizzazione del prodotto SIGLA 3.1 attraverso la riscrittura del codice
sorgente con l’utilizzo di linguaggi moderni allo scopo di migliorare la versione precedente e di rendere l’applicazione fruibile
in ambiente web.
SIGLA 4.0 integra nuove funzioni, in modo da adeguare il
prodotto alle mutate esigenze degli Istituti, prima fra tutte la
produzione dei Rapporti di prova in formato PDF e successiva
applicazione della Firma Digitale. La gestione dei risultati degli
esami è possibile fino alla singola unità campionaria. L’applicazione è personalizzabile grazie a parametrizzazioni che consentono ad ogni Istituto di utilizzare la modalità operativa più
confacente al proprio modello organizzativo. La tracciabilità dei
dati consente di soddisfare esigenze derivanti dal proprio Sistema di Qualità.
Caratteristiche della Web Application:
• Scalabilità: Consente l’integrazione di nuove funzionalità e
verso altri sistemi;
• Manutenibilità: Grazie all’architettura web che prevede l’installazione dell’applicazione su un solo server;
• Facilità d’Uso: Utilizzo di layout pattern appositi per favorire
l’usabilità;
• Sicurezza e Affidabilità: Grazie all’accesso mediante password crittografata e solidità della base dati.
Descrizione dell’infrastruttura tecnologica
La tecnologia utilizzata è di tipo Open Source, basata in gran
parte su Java, ad eccezione della base dati che è su RDBMS
Oracle. (Allegato1)
Di seguito viene descritta l’architettura tecnologica:
• Livello Presentazione
Pagine JSP
Linguaggio Javascript
Fogli di stile CSS
• Livello Applicativo
Linguaggio Java
Framework Struts
ORM Hibernate
• Livello Dati
Oracle 9i Rel. 2 (o superiore)
INTRODUZIONE: Alla fine degli anni novanta, in seguito ad
emergenze veterinarie quali ad es. BSE ed all’aumento di debiti informativi degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS),
tre IIZZSS elaborarono un progetto di ricerca conclusosi con
la realizzazione di un Sistema Informativo per la Gestione dei
Laboratori di Analisi (SIGLA). Il software SIGLA è utilizzato da
circa dodici anni per la registrazione delle attività di quattro
IIZZSS (cinque sino al 2010) rivelandosi uno strumento fondamentale per l’estrazione dei dati necessari ad Osservatori,
Centri di Referenza, Ministero, Regioni per la gestione di emergenze e/o piani di monitoraggio.
SIGLA riveste un ruolo importante anche per il governo degli
IIZZSS quale strumento fondamentale per il controllo di gestione, la pianificazione e la verifica delle attività.
Dopo circa sette anni, il comitato Utenti SIGLA (gruppo di lavoro costituito dai rappresentanti di tutti gli Istituti che utilizzano il
software) ha deciso di aggiornare il software in base a:
-evoluzioni tecnologiche (firma digitale, posta elettronica certificata)
-evoluzione normativa come il Regolamento (CE) n. 178 del
28/01/2002 (1) che istituisce l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.
-necessità di dialogo tra SIGLA ed altri software veterinari
come SANAN (2) (per la gestione informatizzata dei piani di
profilassi) e come i sistemi informativi regionali quali ARVET
per il Piemonte, GISA per la Campania, SIVA per l’Umbria e le
Marche e tra SIGLA e strumenti di laboratorio (Advia 2120- Siemens Dimension RXL- TECAN Genesis FE500- Konelab Sclavo- Bactoscan FC- Milkoscan 6200-Fossomatic 5000).
SIGLA mette a disposizione l’applicativo SIGLA WEB che permette ai clienti degli IIZZSS di visualizzare lo stato di avanzamento dei campioni consegnati così da evitare richieste telefoniche ai laboratori od ai servizi accettazione. Anche SIGLA
WEB sta evolvendo in SIGLA WEB 2.0, questo applicativo rende disponibile per ogni cliente una casella da cui prelevare i
Rapporti di Prova firmati digitalmente.
Il lavoro del Comitato utente SIGLA ha portato alla realizzazio36
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
RISULTATI E CONCLUSIONI: SIGLA, dopo 12 anni di attività
presso gli Istituti Zooprofilattici, è un Sistema Informativo ampliamente collaudato. Nel solo 2011, considerando i 4 Istituti
che attualmente lo utilizzano, sono state effettuate 406.078 accettazioni per le quali sono stati eseguiti 6.518.450 esami con
la produzione di 568.695 di Rapporti di prova.
Il sistema, nel tempo, si è arricchito di modifiche e nuove funzionalità richieste dagli Istituti per seguire tutto l’iter diagnostico
del campione sicché l’applicativo è stato plasmato sulle esigenze specifiche degli Istituti Zooprofilattici; ciò costituisce il valore
aggiunto dell’applicativo, insieme alla realizzazione di un codice comune tra gli IIZZSS, fattore importante nella standardizzazione dei servizi offerti dal SSN sul territorio nazionale ed
alla possibilità di rendere confrontabili tra loro parametri quali i
tempi di risposta, il numero di esami eseguiti, il numero di metodi di prova accreditati, ecc.
Ma una caratteristica unica e fondamentale di SIGLA è quella
che quattro Istituti, avendo un linguaggio informatico comune,
perfezionato congiuntamente allo scopo, possano fornire rapidamente dati uniformi ad Enti centrali per la tutela della salute
pubblica soprattutto in casi di emergenze sanitarie nazionali.
Descrizione delle funzionalità
Le funzionalità dell’applicazione sono organizzate in modo gerarchico secondo una struttura ad albero. Di seguito vengono
descritte brevemente:
• Login: Permette l’autenticazione per poter accedere all’applicazione;
• Accettazione: Gestisce le varie fasi dell’accettazione dei campioni da analizzare;
• Produzione: Gestisce la fase di Produzione degli esami effettuati sui campioni;
• Validazione e Refertazione: Gestisce le fasi relative alla validazione dei risultati degli esami ed all’emissione dei rapporti
di prova;
• Rendicontazione: Consente l’elaborazione dei risultati degli
esami allo scopo di renderli fruibili in forma aggregata secondo
un criterio prescelto;
• Tabelle di Base: Gestione delle tabelle di base come Laboratori, Profili Utente, Tipologie campioni ed Esami, Specie Animali, etc;
• Anagrafiche: Funzioni che permettono la gestione dei dati
anagrafici dei soggetti che interagiscono con il sistema, come
Richiedenti, Utenti, Attività ed dei Capi animali.
• Servizi: Funzioni ausiliarie come la messaggistica, cambio
password, impostazione dei parametri applicativi etc.;
• Sopralluoghi: Funzione di gestione dei Sopralluoghi effettuati
dal personale dell’IZS presso gli allevamenti;
• Gestione Vaccini: Funzioni di gestione dei Vaccini e Ceppi
batterici inerenti i campioni conferiti.
BIBLIOGRAFIA:
1) Regolamento CE n. 178 del 28/01/2002 - G.U.E. 01/02/2002 n. 31
2) Nota Ministero della salute Prot.n. 0005463-P-26/03/2008
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
HERPESVIRUS ASSOCIATO A GRAVE STOMATITE E MAMMILLITE ULCERATIVA IN
UN ALLEVAMENTO DI ASINE DA LATTE
Martella V.*[1], Lorusso E.[1], Larocca V.[1], Catella C.[1], Pinto P.[1], Losurdo M.[1], Maggiolino A.[1], Tempesta M.[1], Canio B.[1]
Keywords: herpesvirus, asino, stomatite ulcerativa
Dipartimento di Sanità Pubblica e Zootecnia, Università Aldo Moro di Bari, Valenzano (BA) ~ Bari
[1]
MATERIALI E METODI: In ottobre 2011, in un allevamento di
asine (Equus asinus) da latte è stato osservato un focolaio di
stomatite ulcerativa. La patologia ha inizialmente interessato un
gruppo di 34 animali (17 asine in lattazione con i rispettivi piccoli) ed era caratterizzata da febbre e piccole lesioni nodulari,
tendenti ad evolvere in ulcere dolorose, osservabili sulla mucosa orale, lingua e cute attorno alle labbra nei puledri (da 2
settimane e 4 mesi di età) (Figura 1 e 2). Lesioni simili erano
anche visibili sulle mammelle delle asine e, sporadicamente, a
livello dell’area genitale in alcuni soggetti. Le lesioni tendevano
a guarire in 3-4 settimane. La patologia ha causato ingenti perdite economiche nell’allevamento sia per la perdita di peso dei
puledri sia per l’interruzione della lattazione. In una fase successiva, la patologia è comparsa anche in un secondo gruppo di
animali, comprendente 62 femmine adulte e/o prepuberi e 5 maschi adulti. In questo gruppo, tuttavia, solo 5 asine prepuberi e
un’asina adulta hanno sviluppato lesioni orali. Nei tamponi orali
prelevati da animali con forma acuta della patologia, l’osservazione al microscopio elettronico ha rivelato la presenza di particelle herpesvirus-simili. I tamponi inoltre sono risultati positivi in
PCR con diversi set di primer universali per herpesvirus (5,10).
Un pool di tamponi è stato inoltre opportunamente preparato e
seminato su cellule dermali di equino. Al secondo passaggio su
cellule è comparso un evidente effetto citopatico, tipico dei virus
erpetici, con arrotondamento cellulare e formazione di sincizi
nel giro di 24-48 ore (Figura 3). Il virus isolato è stato usato per
effettuare uno screening in siero-neutralizzazione dei sieri degli
animali dell’allevamento.
Il DNA del virus isolato è stato estratto e sequenziato con primer unversali per herpesvirus, previa amplificazione in PCR di
frammenti della DNA polimerasi e terminasi inversa, usando la
metodica Sanger. Il DNA del virus è stato inoltre sequenziato
su piattaforma Illumina HiSEQ2000 (NGS) (Baseclear, The Netherlands).
Figura 1. Lesioni ulcerative su lingua di puledro
con infezione acuta.
Figura 2. Lesioni ulcerative su mucosa orale di puledro con
infezione acuta.
SUMMARY: In October 2011, an outbreak of ulcerative stomatitis
started in a donkey (Equus asinus) dairy herd. Fever and small
nodular lesions, evolving into painful ulcers, were observed on
the oral mucosa, tongue, and the skin around the lips in young
animals (2 weeks to 4 months of age). Similar lesions were also
observed on the mares breasts and, sporadically, in the genital
areas. The lesions typically recovered in 3-4 weeks. Hepersvirus
DNA was detected using consensus herpesvirus primers. Upon
sequence analysis, the virus was characterized as a member of
alpha-Herpesivirinae sub-family within the genus Varicellovirus.
INTRODUZIONE: La stomatite vescicolare/ulcerativa è un’importante patologia negli equidi. Diversi agenti infettivi sono stati
associati a tale patologia, tra cui il virus della stomatite vescicolare, herpesvirus e bunyavirus (4,9,11). Tuttavia, in molte occasioni non è possibile formulare una diagnosi precisa, sebbene i
pattern della malattia suggeriscano spesso una natura infettiva.
38
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Figura 3. Isolamento di virus AsHV/Bari/2011 su cellule
dermali equine: effetto citopatico avanzato a 48 ore
post-infezione
Figura 4. Albero filogenetico costruito con il metodo neighborjoining sull’intera glicoproteina gB di membri del genere
Varicellovirus. I triangoli neri indicano gruppi di sequenze
collassate. La barra rappresenta il numero di sostituzioni
amino-acidiche per sito.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Particelle herpesivirus-simili
sono state osservate in tamponi orali prelevati da soggetti con
infezione acuta ed il DNA di hepersvirus è stato identificato in
PCR. L’analisi di sequenza della DNA polimerasi e della terminasi ha permesso di caratterizzare il virus come membro della
sotto-famiglia alpha-Herpesivirinae nel genere Varicellovirus.
L’analisi NGS ha permesso di ottenere la sequenza di circa il
70% del virus, compresa la sequenza completa della DNA polimerasi, della terminasi inversa e della glicoproteina B. Il virus
è risultato simile geneticamente ad equid herpesvirus (EHV)
type-1 e EHV-4, EHV-8 (AsHV-3) e EHV-9 (Gazelle HV) nella
DNA polimerasi (77.8-76.0%) e nella terminasi (86.9-84.8%
aa) e ad EHV-8 e EHV-9 (67.6-68% aa) nella glicoproteina B
(Figura 4). Anticorpi neutralizzanti per il virus sono stati identificati nel siero di animali guariti ma non nel siero di animali con infezione acuta, indicando quindi una sierconversione
specifica.
merito allo spettro di patologie potenzialmente attribuibili ad
infezione da herpesvirus negli asini.
Precedentemente alla comparsa della malattia, nell’allevamento era stata introdotta un’asina con il suo puledro. La cronologia degli eventi osservati nell’allevamento, l’attitudine degli herpesvirus a slatentizzare (ad esempio a seguito di stress
di tipo fisiologico) e la sieroconversione osservata negli animali che hanno superato l’infezione, suggeriscono che l’asina
introdotta nell’allevamento abbia veicolato il nuovo herpesvirus agli altri animali, fino ad allora del tutto privi di immunità
specifica e quindi altamente suscettibili, in particolare i giovani
soggetti in cui si è osservato un quadro sintomatologico particolarmente severo.
BIBLIOGRAFIA:
1. Browning GF, Ficorilli N, Studdert MJ. Asinine herpesvirus
genomes: comparison with those of the equine herpesviruses.
Arch Virol. 1988;101(3-4):183-90.
Negli asini sono noti diversi herpesvirus. Asinine herpesvirus
type-1 (AsHV-1) è associato a esantema coitale. AsHV-2 è
stato isolato da leucociti di animali sani. AsHV-3 (EHV-8) è
stato isolato da cavità nasali di animali immunodepressi (1) e
AsHV-4, −5, e −6 da animali con polmonite interstiziale (6,7).
AsHV-1 è stato classificato come alpha-herpesvirus ed esibisce una certa correlazione genetica con EHV-3 mediante
analisi con enzimi di restrizione e Southern blot (1). AsHV-2
ha caratteristiche dei beta-herpesvirus, ma scarsa similarità
con EHV-2 e −5 (1). AsHV-3 è classificato come un alphaherpesvirus sulla base della sequenza della glicoproteina G
e della cross-reattività antigenica con EHV-1 e −4 (2,3,8).
AsHV-4, -5, e -6 sono dei gamma-herpesvirus identificati in
asini con polmonite interstiziale (6,7). La scarsità/mancanza
di dati di sequenza per AsHV-1 e –3, nonché per AsHV-4 -5 e
–6, impedisce una comparazione precisa tra il nuovo isolato
AsHV/Bari/2011 e virus descritti in passato. L’analisi mediante
NSG del virus AsHV/Bari/2011 mostra omologia con herpesvirus equini EHV-1 e -4, con il virus asinino EHV-8 (AsHV-3) e di
gazzella (EHV-9). L’identificazione di questo nuovo herpesvirus in asini con stomatite ulcerativa amplia le conoscenze in
2. Crabb BS, Allen GP, Studdert MJ. Characterization of the
major glycoproteins of equine herpesviruses 4 and 1 and asinine herpesvirus 3 using monoclonal antibodies. J Gen Virol.
1991 Sep;72 (Pt 9):2075-82
3. Ficorilli N, Studdert MJ, Crabb BS. The nucleotide sequence of asinine herpesvirus 3 glycoprotein G indicates that the
donkey virus is closely related to equine herpesvirus 1. Arch
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the last five years (1963-1967). Proc Annu Meet U S Anim
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5. Kleiboeker SB, Chapman RK. Detection of equine herpesvirus 3 in equine skin lesions by polymerase chain reaction. J
Vet Diagn Invest. 2004 Jan;16(1):74-9
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39
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
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(Equus asinus). J Vet Diagn Invest. 2002 Jul;14(4):273-80.
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10. VanDevanter DR, Warrener P, Bennett L, Schultz ER, Coulter S, Garber RL, Rose TM. Detection and analysis of diverse
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40
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
ISOLAMENTO DI BOVINE HERPESVIRUS 1 (BOHV-1) NEL BUFALO MEDITERRANEO
(BUBALUS BUBALIS) IN UN ALLEVAMENTO DEL SUD ITALIA
Fusco G.[1], Viscardi M.*[1], Brandi S.[1], Veneziano V.[2], Corrado F.[1], Degli Uberti B.[1], Amoroso M.G.[1], Cerrone A.[1],
Natale A.[3], Guarino A.[1], Galiero G.[1]
Keywords: Bubalus bubalis, BoHV-1, IBR
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (NA),
Università degli Studi di Napoli Federico II, Facoltà di Medicina Veterinaria, Dipartimento di Patologia e Sanità Animale ~ Napoli,
[3]
Libero Professionista ~ Caserta
[1]
[2]
SUMMARY: Bovine herpesvirus 1 (BoHV-1) infection is responsible of two major syndromes called infectious bovine rhinotracheitis (IBR) and infectious pustular vulvovaginitis (IPV) and a variety
of clinical signs including conjunctivitis, encephalitis and abortions
in adult cows. The present study reports the first isolation of a
BoHV-1 field strain from biological samples composed of abortion
and liver, spleen, lung, kidney of water buffalo calves. Virological
investigation were first conducted using a real time PCR. Positive
samples were subsequently submitted to viral isolation. The virus
was typed as BoHV-1.1 using genomic sequence analysis (3).
ceppo Schonboken RVB-073 Bovine herpesvirus 1, fornito dal
Dr M. Beer dell’ FLI (Friedrich Loeffler Institut) e sia il ceppo BS di
BHV1.1 fornito dall’IZSLER.
Per l’isolamento di BoHV-1 gli omogenati dei campioni risultati
positivi alla prova di real-time PCR sono stati inoculati su colture
cellulari Madin-Darby Bovine Kidney (MDBK). La crescita virale
è stata valutata mediante osservazione giornaliera per il rilievo
dell’effetto citopatico (ECP). L’identificazione del virus è stata effettuata sia mediante la tecnica d’immunofluorescenza, utilizzando un siero monoclonale coniugato con fluoresceina e sia con
real-time PCR.
Controlli sierologici
I campioni di emosiero sono stati sottoposti alla ricerca degli anticorpi rivolti verso la glicoproteina B (gB) e glicoproteina E (gE) del
virus dell’IBR. I kit impiegati sono stati rispettivamente IDEXX gB
ab test e IDEXX gE ab test.
Esame istologico.
I campioni in formalina al 10% dopo la fase di processazione ed
inclusione in paraffina, sono stati sottoposti al taglio al microtomo, ottenendo sezioni di 3-4 µ di spessore ed infine colorati con
ematossilina-eosina ed osservati al microscopio.
Pirosequencig
E’ stato effettuato utilizzando la piattaforma Qiagen Pyromark ID
in accordo con le istruzioni del fornitore. Brevemente, ampliconi
biotinilati (315 bp gene US8 glicoproteina E), venivano immobilizzati su microbiglie di sepharosio sensibilizzate con streptavidina, quindi denaturate e lavate con la PyroMark Vacuum Prep
Worstation (QIAGEN), generando singoli filamenti di (ss)DNA. Il
campione di DNA è stato eluito in piastre PSQ in presenza di un
tampone di annealing e del primer di sequenziamento (PS), incubati ad 80°C per 2 min poi raffreddati per favorire l’annealing sul
ssDNA. La reazione di PSQ è stata effettuata usando i reagenti
PyroMarK Gold Q96 SQA, i pirogrammi venivano automaticamente analizzati con il softwere PyroMarK
Sequenziamento
I prodotti amplificati sono stati sequenziati direttamente dopo purificazione con analizzatore genetico 3130 (Applied Bioystems).
La specificità delle sequenze è stata verificata in BLAST.
INTRODUZIONE: Bovine herpesvirus 1 (BoHV-1), virus a DNA
doppio filamento con envelope, appartiene alla famiglia Alphaherpesvirinae, genere Varicellovirus. E’ il principale agente eziologico della rinotracheite bovina (IBR), malattia, diffusa in tutto il mondo che colpisce i ruminanti nei quali evolve prevalentemente con
sintomatologia a carico dell’apparato respiratorio e riproduttore
con eventuale aborto. I soggetti colpiti restano portatori per tutta
la vita grazie alla capacità del virus di sviluppare latenza a livello
del ganglio del trigemino che viene raggiunto per via assonale
retrograda. Il bufalo mediterraneo risulta sensibile a BoHV-1 e ciò
deriva da numerose segnalazioni (2,3), ma la sua presenza nel
comparto zootecnico bufalino tuttora non è stata mai associata
a segni clinici sovrapponibili a quelli riscontrabili in focolai di IBR
insorti nel bovino. Nel presente studio riferiamo in merito all’isolamento di BoHV-1 in due feti bufalini abortiti a circa quattro mesi
di gestazione ed in tre vitelli neonati morti a pochi giorni dalla nascita. Dal momento che nel bufalo sono estremamente scarse le
informazioni sull’andamento dell’infezione naturale sostenuta da
BoHV1, questi ritrovamenti rappresentano utili informazioni per
accrescere le attuali conoscenze sulla patogenesi dell’infezione e
sull’importante ruolo che può svolgere il bufalo nell’epidemiologia
dell’infezione.
MATERIALI E METODI: Campionamento
Nel periodo compreso tra settembre 2011 e giugno 2012 sono
stati esaminati campioni biologici provenienti da due feti di bufalo
abortiti al quarto mese di gravidanza proveniente da un’azienda
di circa 400 capi bufalini della provincia di Caserta. Nello stesso
periodo sono stati esaminati anche organi e precisamente fegato, rene, milza, polmone, cuore e cervello di 3 vitelli bufalini provenienti dalla medesima azienda. Dei tre vitelli, due erano morti
dopo qualche giorno dalla nascita, mentre il terzo era stato sottoposto ad eutanasia perché nato con una malformazione degli arti
posteriori. Campioni di emosiero sono stati raccolti dalle bufale
abortite e dal vitello sacrificato prima della morte.
Controlli virologici
Le indagini virologiche sono state eseguite subito dopo la necroscopia su omogenati d’organo impiegando la metodica di realtime PCR descritta sull’OIE Terrestrial Manual 2010 (1). Nella
sessione di lavoro è stato utilizzato come controllo positivo sia il
RISULTATI E CONCLUSIONI: Riguardo ai risultati relativi all’isolamento di BoHV1 su tessuto colture, l’effetto citopatico (ECP) è
stato osservato alla terza giornata del secondo passaggio. Il virus
è stato isolato dagli aborti e dagli organi dei due vitelli neonati
morti. Riguardo al vitello sacrificato, il virus è stato rilevato solo
mediante real-time PCR nel fegato e cervello mentre è risultato
negativo l’isolamento in tessuto colture. Le prove di sequenziamento hanno permesso di tipizzare il ceppo come BoHV-1.1. Le
prove sierologiche hanno rilevato la presenza di anticorpi rivolti verso la gB e gE in tutti i sieri. I referti dell’esame istologico
eseguito sugli organi dei due vitelli morti segnalano la presenza
di lesioni nel cuore, polmone, milza, fegato, compatibili con un’
41
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
infezione virale (Figg.2,3). Anche nel cervello dell’animale sacrificato le lesioni istologiche riscontrate risultano essere caratterizzate da manicotti perivascolari con infiltrazione di linfociti (Fig.1).
A seguito della prima segnalazione di ritrovamento di BoHV1 il
veterinario aziendale ha provveduto ad effettuare una profilassi immunizzante con vaccino gE deleto a tutte le bufale e dopo
la vaccinazione gli episodi di aborto sono cessati così come la
morte di vitelli neonati. Ad ogni modo nei vitelli abbiamo ritenuto fondamentale escludere la presenza di altri importanti patogeni responsabili di malattie neonatali quali ad esempio E. coli,
Salmonella, Cl. perfrigens, Rotavirus, Coronavirus, MVD/MD.
Nessun patogeno tra quelli ricercati è stato rinvenuto in sede extraintestinale. Ad oggi la suscettibilità del bufalo al BoHV1 è stata
ampiamente dimostrata sia attraverso infezioni sperimentali e sia
attraverso indagini sierologiche ma mancano report che associano il virus ad infezioni che decorrono con sintomi riconducibili a
quelli registrati nel bovino quali ad esempio aborto. Nelle infezioni
sperimentali gli animali infettati con BoHV1 non hanno presentato sintomi clinici, facendo supporre agli autori la possibilità che il
virus possa indurre nell’ospite non specifico un’infezione asintomatica messa in evidenza dalla sieroconversione. Diversamente
in condizioni d’infezione naturale molte sono le varianti in grado di
influenzare il decorso dell’infezione quali ad esempio l’età dell’animale, lo stadio della gravidanza, la dose infettante e per ultimo,
ma non per questo meno importante, il management aziendale.
Le infezioni crociate tra bovini e bufali sono quindi possibili e anche in questa specie animale non si può trascurare il ruolo svolto
da BoHV1 ed in particolare la possibilità che il virus possa indurre perdite dirette dovute ad aborti, mortalità neonatali, infertilità e
soprattutto la possibilità di incremento di patologie secondarie negli allevamenti ove è presente grazie al suo effetto door opener.
Alla luce di quanto sopra messo in evidenza, si rende necessaria
una riflessione sul ruolo epidemiologico del bufalo nella diffusione
dell’infezione da BoHV1 e sull’eventuale necessità di inserire tale
specie nei piani di controllo dell’IBR anche in quelle regioni d’Italia
dove attualmente è esclusa.
Fig. 1 - Cervello (H-E): manicotti perivascolari di natura
linfocitaria, gliosi parenchimale
Fig. 2 - Fegato: foci di necrosi caseosa con ingenti
infiltrati infiammatori
BIBLIOGRAFIA:
1)OIE Terrestrial Manual 2010 chapter 2.4.13.
2)Rana SK.,Kota S.N.L.S.,Samayam P.N.R., Srinivasan V.A.
2011 Use of Real Time polymerase chain reaction to detect bovine herpesvirus in frozen cattle and buffalo semen in India. Veterinaria Italiana, 47, 3, 313-322.
3)Ros C., and Belak S. 2002 Characterization of the glicoprotein B gene from ruminant Alphaherpesvirus. Virus genes, 24,
2, 99-105.
4)Scicluna M.T.,Caprioli A.,Saralli G.,Manna G.,Barone A.,Cersini
A.,Cardeti G.,Condoleo R.U.,Autorino G.L. 2010. Should the domestic buffalo (Bubalus bubalis) be considered in the epidemiology of Bovine herpesvirus 1 infection?. Veterinary Microbiology
Fig. 3 - Fegato: manicotti fibrosi perivascolari ed infiltrati infiammatori di prevalente natura linfocitaria,
scompaginamento dei dotti biliari
42
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
RISULTATI PRELIMINARI DELLA SORVEGLIANZA VIROLOGICA PER FLAVIVIRUS
REALIZZATA SU ZANZARE IN PIEMONTE NEL 2011
Rizzo F.*[1], Ameri D.[1], Calzolari M.[2], Bonilauri P.[2], Prearo M.[1], Pautasso A.[1], Radaelli M.C.[1], Bertolini S.[1],
Barbieri I.[3], Casalone C.[1], Chiavacci L.[1], Mandola M.L.[1]
Keywords: flavivirus, zanzare, sorveglianza virologica
[1]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna ~ Reggio Emilia,
[3]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna ~ Brescia
[2]
aeroporti di traffico internazionale e siti di passaggio di uccelli migratori. Le trappole a CO2, attivate dal tardo pomeriggio fino alla
mattinata del giorno seguente, sono state campionate 2 volte al
mese in settimane alterne, per un totale di 8 trappole analizzate
a settimana.
Le zanzare, identificate a livello di specie, sono state raggruppate in pools, di massimo 200 zanzare ciascuno, rispettando sito,
specie e data di prelievo; ogni fase del processo preanalitico è
stata effettuata nel rispetto della catena del freddo, per preservare
l’RNA virale dei campioni. I pool sono stati omogenati in PBS con
DEPC attraverso l’uso del Tissue Lyser (Qiagen). L’RNA totale,
estratto in TRIZOL (Sigma), è stato eluito in 50 μl di acqua RNasi
free. I cDNA, retrotrascritti con il kit High-Capacity cDNA Reverse
Transcription Kit (AB), sono stati amplificati simultaneamente con
una PCR qualitativa specifica per il segmento NS5 di Flavivirus
(5) e una Real time PCR disegnata sull’estremo 3’ della regione
NC di WNV (7). Le analisi di conferma comprendevano un saggio qualitativo per la proteina E di USUV (4) e il sequenziamento
degli ampliconi ottenuti. Il confronto delle sequenze generate con
sequenze registrate in database pubblici , è stato espresso in termini di percentuale di identità nucleotidica. Per la costruzione degli
alberi filogenetici, l’analisi delle sequenze ottenute e di sequenze
omologhe di altri flavivirus presenti nel database GenBank è stata
eseguita con il programma MEGA5(6), utilizzando “Neighbor-Joining method” per le sequenze del gene NS5 e “Maximum Likelihood method” per il gene E.
SUMMARY: In the last few years the spread of RNA viruses with
zoonotic potential through all Europe, included Italy, have been
observed; most of these tropical species belonging to Flaviviridae
family, are maintained by a wild bird-mosquito transmission cycle.
In order to identify potential vectors and highligh early virus circulation, in 2011 IZSPLV implemented a virological surveillance in
Piedmont region as a high risk area for the geographical position.
Here we present the virological findings on mosquitoes collected
in Piedmont in 2011.
INTRODUZIONE: Negli ultimi anni la comparsa in alcuni Paesi
europei, tra cui l’Italia, di focolai epidemici animali e umani, ha portato in primo piano il problema dell’introduzione in territori prima
indenni, di virus a RNA originari di Paesi tropicali. Il genere Flavivirus, appartenente alla famiglia Flaviviridae, comprende più di 70
specie virali, la maggior parte delle quali, a potenziale zoonotico,
è trasmessa da artropodi ematofagi (8). La classificazione del genere comprende attualmente tre gruppi antigenicamente separati:
i mosquito borne virus (MBV), comprendenti patogeni umani ad
ampia diffusione, come il virus Yellow fever (YFV), il virus Dengue
(DENV), il virus West Nile (WNV) e il virus della Encefalite Giapponese (JEV), il gruppo dei tick borne virus (TBV), che comprende il
virus Tick-borne (TBEV) e infine il gruppo definito “mosquito-only
virus” (MOV), propagabili solo su linee cellulari da dittero (8). Nel
gruppo della Encefalite giapponese è compreso anche il virus
Usutu (USUV), rilevato in ditteri e volatili in numerosi Paesi europei a partire dal 2001, quando in Austria fu associato a mortalità
di corvidi (9); nel 2009, inoltre, è stato associato a 2 casi umani
di malattia neuroinvasiva in Emilia Romagna (2). WNV e USUV,
strettamente correlati dal punto di vista filogenetico (1), sembrano
condividere lo stesso ciclo biologico, coinvolgendo uccelli selvatici (serbatoio), zanzare del genere Culex (vettore) e mammiferi
(ospiti occasionali). I MOV, tra cui i “Culex Flavivirus” (CxFV) e
gli “Aedes Flavivirus” (AeFV), nei riguardi dei quali i mammiferi
non sembrano essere ospiti competenti, sono stati evidenziati in
differenti specie di zanzare nel mondo (3), suggerendo una stretta
associazione evolutiva tra ceppo virale e genere di zanzara ospite,
confermata anche da studi di caratterizzazione filogenetica (3, 8).
Il Piemonte, attraversato dal corso del fiume Po e confinante con
regioni ove la circolazione di flavivirus è stata rilevata in precedenza, presenta siti favorevoli all’introduzione e mantenimento delle
arbovirosi. In questo lavoro vengono presentati i risultati preliminari della sorveglianza virologica su zanzare, attuata in Piemonte
nel corso del 2011 nell’ambito di un programma integrato di sorveglianza entomologica “risk-based”, istituito al fine di definire la
composizione in specie, diffusione di potenziali vettori e precoce
individuazione di flavivirus sul territorio.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Tra maggio e settembre 2011
sono state raccolte in Piemonte 7833 zanzare, per un totale di 266
pools analizzati. Culex pipiens è stata la specie più rappresentata
(48,8%) sul totale della sorveglianza virologica, seguita da Ochlerotatus caspius (33,45%). Due pools di O.caspius (id 81618-1,2)
e un pool di C. pipiens (id 81618-3), composti da circa 200 esemplari ciascuno, raccolti a inizio agosto nella stessa trappola lungo
il corso del Po in provincia di Alessandria, sono risultati positivi
alla PCR di genere per flavivirus; il sequenziamento degli ampliconi ha dimostrato una elevata percentuale di identità nucleotidica
(96-97%) con un ceppo da Aedes campionato nel 2009 in Emilia
Romagna (GenBank accession number:HQ441866). L’albero filogenetico in Fig.1 illustra l’affinità delle sequenze 81618-1-3 con i
membri del gruppo MBV. Le varianti del Piemonte risultano filogenicamente molto simili (93%) a un nuovo MBV, definito Marisma
Mosquito virus (MMV) (GB:JN603190.1), identificato recentemente in Spagna (10). Un pool di C. pipiens (id IZSTO), composto da
3 esemplari catturati a metà settembre in provincia di Novara, è
risultato positivo anche al saggio PCR per USUV; la sequenza
del frammento ottenuta ha rivelato una alta percentuale di identità
nucleotidica (99%) con un ceppo emiliano del 2010 da C. pipiens
(GB:F834676). L’albero filogenetico in figura 2 mostra come la
sequenza IZSTO si posizioni nello stesso cluster di un ceppo austriaco USUV del 2004.
MATERIALI E METODI: La sorveglianza virologica è stata realizzata su 16 trappole posizionate sul territorio piemontese selezionate in base a criteri di rischio quali prossimità con aree umide,
43
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
La sorveglianza impostata secondo lo studio dei fattori di rischio
ha permesso di identificare la circolazione sul territorio piemontese di flavivirus del gruppo MBV e di USUV, anche in assenza di
evidenze cliniche negli animali. L’affinità delle sequenze piemontesi con gli MBV, nonostante MMV in Spagna sia stato isolato con
successo da cellule di zanzara e non da cellule di mammifero
(9), potrebbe essere indicativa del potenziale patogeno di questo
virus; sono comunque necessari ulteriori approfondimenti per confermare tale ipotesi.
Lavoro in parte finanziato dal Ministero della Salute come progetto di ricerca corrente “Allestimento di un sistema multidisciplinare
di controllo degli arbovirus patogeni per uomo ed animali nei culicidi vettori”
Fig.1: albero filogenetico per la regione NS5 di flavivirus
44
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Fig.2: albero filogenetico per la proteina E di USUV
and development of a rapid, highly sensitive heminested reverse
transcription-PCR assay for detection of flaviviruses targeted to a
conserved region of the NS5
gene sequences. J Clin Microbiol 39: 1922–1927.
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5.Scaramozzino N, Crance JM, Jouan A, DeBriel DA, Stoll F and
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45
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
MALATTIE TRASMESSE DA ZECCHE: LA SORVEGLIANZA SUL TERRITORIO COME
STRUMENTO PER UNA DIAGNOSI PRECOCE
Pintore M.D.*[1], Pautasso A.[1], Corbellini D.[1], Tomassone L.[2], Ceballos L.A.[2], Rizzo F.[1], Ameri D.[1], Boin C.[1],
Mignone W.[1], Peletto S.[1], Acutis P.L.[1], Mandola M.L.[1], Mannelli A.[2], Casalone C.[1]
Keywords: zecche, zoonosi, sorveglianza
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino,
[2]
Università degli Studi di Torino ~ Torino
[1]
SUMMARY: Ticks are ectoparasites that heavily impact on global health by transmitting pathogens to vertebrates. Tick borne
diseases (TBD) may affect animals and cause severe diseases
in humans. Aim of this work is to present an epidemiological
survey on TBD carried out in Piedmont and Liguria in order to
investigate tick fauna and tick infection. Ticks were collected
from environment, animals and men, identified and tested for
the main zoonotic pathogens.Tick abundance, density of vertebrate reservoir hosts and infection prevalence in ticks are important data useful for the protection of public health.
protocolli descritti in letteratura (5; 8; 7;6)
Infine i campioni positivi per B. burgdorferi s.l. sono stati sottoposti a sequenziamento per l’identificazione delle genospecie
coinvolte. Il gene OspC delle genospecie patogene per l’uomo
è stato inoltre sequenziato e ne è stata eseguita l’analisi filogenetica al fine di valutare la potenziale invasività delle spirochete. L’analisi filogenetica è stata eseguita con il metodo
della distanza UPGMA con 5,0 MEGA. Le distanze sono state
calcolate in base al modello Jukes-Cantor.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Liguria
In totale sono state raccolte 1440 zecche da dragging. Le
zecche sono state classificate come appartenenti a 4 generi:
Ixodes spp. (90%), Haemaphysalis spp. (6,5%) Dermacentor
spp. (3%), Rhipicephalus spp. (0,5%). La fascia altitudinale più
colpita era tra 400e 800 m s.l.m. e la densità variava da 0 a 111
zecche/100 m2. Il grafico in allegato n. 1 descrive la distribuzione delle specie di zecche riscontrate nelle Province Liguri.
1590 zecche, appartenenti ai 4 generi riscontrati dal dragging,
sono state prelevate da animali come illustrato in allegato n 2.
Piemonte.
In totale sono state raccolte 1671 zecche tramite dragging.
La fascia altitudinale più colpita era compresa tra 400 e 800 m
s.l.m. e la densità variava da 0 a 113 zecche/100m2.
Centocinque zecche sono state prelevate da animali selvatici.
L’unica specie riscontrata è stata Ixodes ricinus, sia dall’ambiente che dagli animali.
Sono state analizzate per la ricerca dei patogeni 352 zecche
(323 da dragging e 29 da animale) Trentacinque sono risultate
positive per B. burgdorferi s.l. Sono state identificate 4 genospecie: B. afzelii (38%), B. lusitaniae (38%), B. garinii (15%)
and B. valaisiana (3%) – Allegato n. 3. Dall’analisi filogenetica
basata sul gene OspC è emerso che la maggior parte dei ceppi
di B. afzelii (10/11) e B. garinii (4/5) ) risultano potenzialmente
invasivi per l’uomo.
Tredici zecche sono risultate positive per Rickettsia spp. (5 R.
monacensis e 8 R. helvetica) e 5 per Anaplasma phagocytophilum, mentre non è stato isolato TBEV.
Grazie alla campagna di sensibilizzazione ai cittadini sono pervenute 69 zecche prelevate dall’uomo. Finora le indagini biomolecolari sono state completate su 48 zecche, di cui 10 sono
risultate positive per patogeni come dettagliato in allegato n. 4 .
Dai risultati del presente studio è emerso che in Liguria l’abbondanza delle zecche in cerca di ospite aumenta spostandosi
dall’area costiera all’entroterra, per poi nuovamente diminuire
per l’effetto negativo dell’altitudine. La fascia altitudinale più
favorevole alla presenza delle zecche e, di conseguenza, di
maggiore rischio acarologico per l’uomo è compresa fra 400
e 800 m s.l.m. I risultati dello studio, confermano inoltre la crescente diffusione di I. ricinus in aree altitudinali elevate anche
al di sopra dei 1000 m s.l.m., come riportato anche in altri Paesi Europei. In questa regione la fauna ixodologica è più varia
INTRODUZIONE: Le zecche sono parassiti ematofagi obbligati
in grado di veicolare numerosi agenti infettivi patogeni per l’uomo e per gli animali. Le malattie trasmesse dalle zecche (MTZ)
sono in continua espansione in diversi Paesi del mondo e la
loro incidenza è aumentata nel corso degli ultimi anni. I vertebrati domestici e selvatici rivestono un ruolo importante come
ospiti serbatoio e fonte di nutrimento per le zecche; l’uomo riveste un ruolo di ospite occasionale (3).
Il presente studio si propone di svolgere un’indagine epidemiologica per valutare la presenza delle MTZ in alcune aree del
Piemonte e della Liguria. L’obiettivo è identificare gli habitat a
rischio, indagare la presenza di agenti patogeni nelle zecche
campionate nell’ambiente e sugli animali.
MATERIALI E METODI: Nel periodo marzo 2011-giugno 2012
sono state prelevate zecche su ospite (animali e uomo), e
nell’ambiente, in siti selezionati della Liguria e del Piemonte.
Per il campionamento dall’ambiente, le zecche sono state raccolte tramite la tecnica del panno strisciato (dragging), in siti
dalla superficie di 100 m2, con cadenza mensile da marzo a
settembre 2011.
Sono stati selezionati 91 siti in Liguria, nelle province di Genova, Imperia e La Spezia, e 15 in Piemonte, nella provincia di
Verbano-Cusio-Ossola (VCO). I siti sono stati scelti in base alla
vegetazione, altitudine, distanza dal mare e versante.
Sono state raccolte le zecche da animali vivi o morti pervenuti
nella sezione dell’IZS di Imperia e presso l’ASL VCO-3.
Al fine di sensibilizzare la popolazione alle problematiche connesse al morso delle zecche, inoltre è stata attuata una campagna di sensibilizzazione attraverso la realizzazione e distribuzione in Piemonte di materiale divulgativo, sotto forma di
depliant e locandine.
Tutte le zecche raccolte sono state contate e sottoposte ad
identificazione tassonomica mediante microscopio stereoscopico seguendo chiavi tassonomiche (1;2;4)
Trecentocinquantadue zecche raccolte dall’ambiente, selezionate in modo casuale tra ninfe e adulti in Piemonte e 48 zecche
prelevate dall’uomo, sono state sottoposte ad indagini molecolari (PCR) al fine di ricercare la presenza di patogeni trasmissibili all’uomo quali Borrelia burgdorferi s.l., Rickettsia spp, Anaplasma spp, Tick borne encephalitis virus (TBEV), seguendo i
46
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
rispetto alla Provincia VCO.
I. ricinus, la specie dominante in Liguria e l’unica riscontrata in
Piemonte finora, è vettore di diverse zoonosi, inclusa la Borreliosi di Lyme (LB).
I risultati delle indagini biomolecolari eseguite su un campione
di zecche rappresentativo del Piemonte ha permesso di stimare che la prevalenza di infezione da B. burgdorferi s.l. nelle zecche dall’ambiente nella provincia VCO è del 10,3% . In questa
provincia sono stati segnalati 3 casi umani di LB nel 2010 e 4
nel 2011. Inoltre le analisi filogenetiche eseguite sul gene Osp
C da B. afzeli e B. garinii indicano che i ceppi di Borrelia che
circolano tra le zecche in cerca di ospite hanno una potenziale
patogenicità per l’uomo.
Infine la campagna di sensibilizzazione alla problematica ha
portato al conferimento presso l’IZS PLVA di ben 69 zecche
prelevate dall’uomo, a dimostrazione che l’attività divulgativa
ha avuto un buon riscontro soprattutto tra le persone considerate “a rischio”, quali frequentatori di boschi, parchi e campi
incolti soprattutto nel periodo estivo. Il 20,8% delle zecche da
uomo sottoposte ad indagini biomolecolari sono risultate infette
da agenti potenzialmente patogeni per l’uomo. Risulta pertanto
importante individuare tempestivamente la presenza di patogeni nei vettori al fine di favorire una diagnosi precoce nell’uomo.
La prosecuzione dell’attività di campo, il completamento delle
indagini biomolecolari sulle zecche non ancora testate, e la valutazione della dinamica stagionale delle zecche nelle diverse
aree di studio permetterà di ottenere informazioni utili per la
salute pubblica.
BIBLIOGRAFIA: 1. Cringoli G., Iori A., Rinaldi L., Veneziano V.
et Genchi C. (2005). Zecche. Mappe Parassitologiche. Rolando editore, Napoli; 308 pp.
2. Estrada-Pena A., Bouattour A., Camicas J.L., Walker A.R.
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Guide to identification of Species. Ed. University of Zaragoza,
2004, 131 p.
3. Jongejan F. and Uilenberg G. The global importance of ticks.
Parasitology. 2004; 129: S3-S14.
4. Manilla, G. 1998. Acari, Ixodida (Fauna d’Italia 36). Edizioni
Calderoni, Bologna, Italy
5. Rijpkema, S. G., M. J. Molkenboer, L. M. Schouls, F. Jongejan, and J. F. Schellekens. Simultaneous detection and genotyping of three genomic groups of Borrelia burgdorferi sensu lato in Dutch Ixodes ricinus ticks by characterization of the
amplified intergenic spacer region between 5S and 23S rRNA
genes. J. Clin. Microbiol. 1995, 33: 3091-3095.
6. Schwaiger M, Cassinotti P., Development of a quantitative
real-time RT-PCR assay with internal control for the laboratory
detection of tick borne encephalitis virus (TBEV) RNA. J Clin
Virol. 2003 Jul;27(2): 136-45.
7. Stuen S, Nevland S, Moum T., Fatal cases of Tick-borne fever (TBF) in sheep caused by several 16S rRNA gene variants
of Anaplasma phagocytophilum. Ann N Y Acad Sci. 2003 Jun;
990:433-4
8. Tzianabos T, Anderson BE, McDade JE. Detection of Rickettsia rickettsii DNA in clinical specimens by using polymerase
chain reaction technology. J Clin Microbiol. 1989 Dec;27(12):
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9. Wang IN, Dykhuizen DE, Qiu W, Dunn JJ, Bosler EM, Luft
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burgdorferi sensu stricto. Genetics. 1999 Jan;151(1):15-30.
Lavoro finanziato dal Ministero della Salute - Progetto di ricerca corrente “Malattie trasmesse da zecche: sviluppo e applicazione di metodi epidemiologici e diagnostici”
47
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
CLONAGGIO E PURIFICAZIONE DELLA PROTEINA RICOMBINANTE
DIIDROLIPOAMIDE ACETILTRANSFERASI (E2) DI MYCOPLASMA GALLISEPTICUM
ESPRESSA IN ESCHERICHIA COLI
Silva Rocha T.*[1], Tramuta C.[1], Giuffrida M.G.[3], Profiti M.[1], Baro C.[3], Matucci A.[2], Catania S.[2], Rosati S.[1]
Keywords: Mycoplasma gallisepticum, proteina ricombinante, E2
Dipartamento di Produzioni Animali Epidemioloia ed Ecologia- Università degli Studi di Torino ~ Torino,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, Viale dell’Università 10, 35020 ~ Legnaro (PD), Italy,
[3]
ISPA-CNR c/o Bioindustry Park Silvano Fumero Via Ribes, 5 10100 ~ Colleretto Giacosa (TO) Italy
[1]
[2]
SUMMARY: The surface of the mycoplasma constitutes a
source of antigens for diagnostic tests. We identify a component of the pyruvate dehydorgenase dihydrolipoamide acetyltransferase (E2) by two dimensional eletrophoresis (2-DE) and
analyzed a recombinant E2 (r-E2). One point mutation was
introduced for full length expression. Also, a rabbit antiserum
produced against r-E2 was tested in WB using different mycoplasma species as antigens. The results showed the applicability of site directed mutagenesis, with a good yield of the r-E2
after purification. Anti-E2 serum reacted with all the MG strains
tested, demonstrating the antigenic stability of the protein wich
could represent a recombinant antigen with potential diagnostic
applications.
(BIOVAC). Spot corrispondenti a proteine immunoreattive sono
state identificate in spettrometria di massa e analizzate con il
software MS-Fit Web-based e BLASTp. Il nostro interesse si è
rivolto ad un componente del complesso piruvato dehydorgenase: diidrolipoamide acetiltransferasi(E2) che risultava, dalle
analisi in silico, specifico per MG.
Mutagenesi sito-diretta
Al fine di esprimere il gene di interesse in forma ricombinante,
è stato necessario convertire un codone TGA in TGG. E’ stata
quindi introdotta una mutazione puntiforme, utilizzando due reazioni di PCR (5): nella prima sono stati generati due frammenti
sovrapposti di circa 30 bp in corrispondenza della mutazione
da introdurre e impiegando primers con le necessarie correzioni. Tali frammenti sono stati successivamente gel purificati
e concatenati in una seconda reazione di amplificazione utilizzando i primers più esterni.
Il prodotto amplificato della lunghezza attesa è stato digerito
con gli enzimi di restrizione appropriati, purificato e clonato nel
vettore di espressione pSer6H, in frame con un tag di affinità di
sei istidine, che consentono la purificazione mediante cromatografia per affinità (IMAC). I plasmidi ricombinanti sono stati usati per trasformare E. coli BL21(DE3) ed i cloni positivi controllati
mediante PCR da colonia e sequenziamento.
INTRODUZIONE: Le Micoplasmosi aviari provocano notevoli
perdite economiche nel settore avicolo e, tra tutti i micoplasmi
che possono infettare il pollame, il Mycoplasma gallisepticum
(MG) è considerato la specie patogena più importante a livello
globale. Il genere Mycoplasma si distingue dagli altri batteri per
le dimensioni e la mancanza di una parete cellulare, a seguito
di ciò, le proteine di superficie svolgono un ruolo fondamentale
nelle interazioni tra patogeno ed ospite.(1)
Le conoscenze derivate da studi condotti sulle proteine dell’MG
hanno un notevole potenziale applicativo, ed in particolare nello sviluppo degli antigeni diagnostici.
L’elettroforesi bidimensionale (2-DE) è una tecnica utilizzabile per definire il profilo dell’espressione quantitativa di miscele
proteiche complesse, e trova applicazioni anche per caratterizzare e identificare proteine di micoplasmi come candidate
potenziali per la diagnosi ed il controllo di infezioni.(2).
Inoltre, la mutagenesi sito-specifica può essere necessaria per
uno studio completo delle proteine codificate da geni di micoplasmi, poiché nel codice genetico di tali microrganismi il triptofano viene codificato prevalentemente dal codone TGA (stop
codon nel codice genetico universale).
Lo scopo del presente studio è stato quello di caratterizzare,
dal punto di vista genetico ed antigenico, una proteina di MG
potenzialmente utile allo sviluppo di uno specifico test sierologico. Tale antigene è stato preliminarmente identificato mediante
elettroforesi bidimensionale, Western Blot e spettrometria di
massa e successivamente espresso in forma ricombinante in
MG dopo mutagenesi sito diretta per convertire i codoni TGA
in TGG.
Espressione della E2 ricombinante
Per esprimere la proteina ricombinante, una coltura del clone positivo è stata incubata fino ad una OD600 di 0,6 quindi indotta per
2 ore con 0,5 mM Isopropyl β-D-1-thiogalactopyranoside(IPTG)
sotto agitazione. I lisati cellulari totali sono stati ottenuti mediante metodi chimico-fisici e la proteina ricombinante è stato
purificata dalla frazione insolubile e purificata mediante cromatografia per affinità IMAC. Purezza e quantità della proteina ricombinante sono state valutate rispettivamente mediante SDSPAGE e metodo di Bradford.
Western blot ed ELISA
Per confermare l’identità e la massa molecolare attesa della
r-E2, è stato effettuato un WB utilizzando un anticorpo monoclonale anti-6 His. Un siero di coniglio immunizzato con la E2
ricombinante è stato utilizzato in WB per identificare la E2 nativa
in differenti ceppi di MG sia di riferimento che isolati in diverse
specie avicole e provenienti da aree geografiche distinte. Inoltre
il medesimo siero di coniglio è stato valutato in WB con differenti
specie di micoplasmi aviari. La E2 ricombinante è stata anche
utilizzata in via preliminare per l’allestimento di un test ELISA
indiretto, utilizzando 12 campioni positivi di polli naturalmente
infetti con MG (campioni di campo) e 32 campioni negativi.
MATERIALI E METODI: Elettroforesi bidimensionale e Western blotting
Le proteine totali del ceppo MG S6 (ATCC Strain 15302) sono
state sottoposte ad elettroforesi bidimensionale secondo procedure standard, blottate in parallelo su membrana di nitrocellulosa e testate con un siero di controllo positivo per MG
48
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
RISULTATI E CONCLUSIONI: L’analisi mediante western
blot di proteine di MG risolte in elettroforesi bidimensionale ha
consentito di identificare diverse frazioni immunoreattive. Fra
queste è stata caratterizzata la diidrolipoamide acetiltransferasi (E2). Tale proteina era stata parzialmente caratterizzata da
Jan et al. nel 2001 (3) ed il gene di interesse interamente sequenziato da Szczepanek et al. nel 2010. Tuttavia una accurata analisi della sua forma ricombinante era ancora necessaria
per valutare le sue potenzialità diagnostiche.
Per la mutagenesi sito-specifica, il primo prodotto di 1257bp
e il secondo di 90pb, ottenuti nella prima PCR, sono stati purificati da gel, combinati e sovrapposti mediante una seconda
reazione di amplificazione ottenendo un frammento di 1316pb
(Fig . 1A). Successivamente al clonaggio nel vettore di espressione, il gene di interesse è stato interamente sequenziato,
confermando la mutazione di interesse e la corretta frame di
clonaggio.
L’analisi in SDS-PAGE di estratti di coltura batterica in seguito
all’induzione, ha rivelato una banda di 49 kDa corrispondente
alla dimensione prevista (Fig1B e 1C). La proteina ricombinante è risultata solubile dopo l’utilizzo del tampone urea 4M e
purificata mediante IMAC in una quantità finale soddisfacente
(9,6 mg/l). Il prodotto è stato correttamente identificato in WB
dall’anticorpo anti-6xHis. E’ stata inoltre valutata la capacità di
un siero anti r-E2 di riconoscere la controparte nativa in diversi
ceppi di MG e in altri micoplasmi aviari. Tutti i ceppi di MG
(ceppi di riferimento e ceppi di campo) sono risultati positivi,
mentre nessuna reazione si è osservata nei campioni di Mycoplasma synoviae (MS) e Mycoplasma iowae (MI), dimostrando
che la proteina E2 è stabilmente espressa e specifica verso
tutti i ceppi di MG testati ed isolati in varie regioni geografiche
(Fig 2). I nostri risultati concordano con quanto precedente-
mente osservato da Jan et al., 2001 (3).
Una valutazione preliminare di r-E2 come antigene diagnostico è stata effettuata mediante ELISA indiretto utilizzando
campioni positivi (n= 12) e negativi (n=32). La distribuzione
delle densità ottiche dei valori di OD ottenuti (Fig. 3), conferma
le potenzialità diagnostiche di questo antigene in forma ricombinante, la cui validità sarà valutata in condizioni di campo in
studi futuri.
BIBLIOGRAFIA:
1- Bencina, D.(2002): Haemagglutinins of pathogenic avian
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2- GörgA., WeissW., DunnM.(2004): Current two-dimensional electrophoresis technology for proteomics, Proteomics,
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3- JanG., LeHénaff M., FontenelleC., WróblewskH.(2001) Biochemical and antigenic characterization of Mycoplasma gallisepticum membrane proteins P52 and P67 (pMGA). Arch Microbiol,177 :81–90.
4- PanickerI.S., KanciA., Chien-JuC., VeithPD, GlewMD,
BrowningGF, MarkhamPF (2012). A novel transposon construct
expressing PhoA with potential for studying protein expression
and translocation in Mycoplasma gallisepticum. BMC Microbiology,12:138
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GF, Geary SJ(2010) Comparative Genomic Analyses of Attenuated Strains of Mycoplasma gallisepticum. Infection Immunity78:1760–1771.
49
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
STRAIN TYPING OF MYCOPLASMA SYNOVIAE:
LENGTH VARIABILITY OF THE HAEMAGGLUTIN ENCODING GENE VLHA
Baldasso E.*[1], Battanolli G.[1], Gobbo F.[1], Rodio S.[1], Catania S.[1]
Keywords: Mycoplasma synoviae, vlhA,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Legnaro (PD)
[1]
SUMMARY: Mycoplasma synoviae (MS) is considered an important pathogen for poultry production. It induces acute synovitis, and respiratory disorder in chickens and turkeys; recently
it has been related to the production of abnormal eggs in the
layer sector [2, 3].
The aim of this study was to genotype different field strains of
MS using the method described by Hammond et al. 2009 [4].
The PCR amplified the N- terminal of the vlhA gene, including
PRR and RIII regions; after amplification the positive PCR products were sequenced.
MS typing could permit a better epidemiological approach to
the MS outbreaks.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono stati estratti ed analizzati
i DNA di 360 ceppi isolati tra il 2009 e il 2012 provenienti da
diverse regioni italiane e da alcune regioni europee.
La genotipizzazione secondo Hammond et al. [4] ci ha permesso di dividere i ceppi in 4 tipi: D (191 campioni), F (110
campioni), C (57 campioni) ed E (2 campioni).
Per quanto riguarda i ceppi di tipo C, abbiamo ritrovato prevalentemente i sottotipi C1 e C3.
La caratterizzazione dei ceppi di M. synoviae risulta essere
un importante strumento diagnostico in particolar modo al
fine di cercare di valutare eventuali correlazioni tra specifici
genotipi e manifestazioni cliniche nei gruppi coinvolti. Inoltre
può permettere anche studi epidemiologici volti ad identificare
quali possono essere i fattori determinati nella diffusione di
tale patogeno nel distretto avicolo Infine l’associazione di tali
dati con i valori di concentrazione minima inibente potrebbe
permettere una migliore classificazione.
Ulteriori studi sono in corso proprio al fine di incrementare
la capacità discriminativa dato che attualmente l’attenzione è
focalizzata principalmente su un solo gene.
INTRODUZIONE: Il Mycoplasma synoviae (MS) è considerato uno tra i più importanti micoplasmi patogeni per il settore
avicolo industriale. Il suo ruolo patogeno è stato ampiamente
dimostrato, in particolare nel settore da carne, provoca forme
articolari con un interessamento respiratorio. Nel settore della gallina ovaiola tale micoplasma non veniva considerato un
patogeno rilevante, recentemente alcuni Autori [2,3] hanno
correlato la presenza del Mycoplasma synoviae ad una caratteristica alterazione del polo apicale dell’uovo, comunemente
conosciuta come EAA (Eggshell Apex Abnormalities) o uova a
guscio di vetro.
Lo scopo del presente lavoro è stato quello di genotipizzare,
secondo il metodo descritto da Bencina et al.[1] e Hammond
et al.[4], alcuni ceppi di M. synoviae isolati da allevamenti industriali e rurali, al fine di comprenderne la diffusione nel territorio.
Il presente lavoro è stato sviluppato nell’ambito della Ricerca
Corrente IZSVE 15/10 “Le micoplasmosi nel settore avicolo industriale: studio e messa a punto di nuove metodiche e
protocolli diagnostici al fine di valutare e studiare il differente
ruolo dei ceppi circolanti tra le differenti tipologie di produzioni
avicole.”
BIBLIOGRAFIA: [1] Bencina D, Drobnic-Valic M, Horvat S,
Narat M, Kleven SH, Dovc P. (2001) Molecular basis of the
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synoviae), (2008) Manual of Diagnostic Tests and Vaccines
for terrestrial Animals, section 2.3 chapter 2.3.5.
MATERIALI E METODI: I ceppi sono stati coltivati mediante
procedura interna basata sul manuale OIE [5], con incubazione
a 37°C al 5% di CO2.
A crescita avvenuta, dai ceppi è stato estratto il DNA utilizzando
un kit commerciale (Sigma Aldrich ®). Il DNA purificato è stato
sottoposto a successiva PCR, seguendo le indicazioni descritte
da Hammond et al. [4] con alcune modifiche.
Al termine della reazione di PCR, i prodotti sono stati visualizzati con corsa in gel di acrilamide al 7% e successivamente
inviati al sequenziamento.
Le sequenze prodotte sono state allineate con il software
MEGA® utilizzando come riferimento le sequenze elencate da
Hammond et al.[4].
L’allineamento è avvenuto in due momenti: classificazione del
genotipo tramite allineamento del PRR, valutazione della lunghezza e dell’identità rispetto alle sequenze già presenti. Infine
solo per i campioni risultati di tipo C, è stato assegnato il sottotipo controllando l’identità della sequenza RIII rispetto a quelle
già postate.
50
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
VALUTAZIONE DI COMPOSTI STILBENI E TERFENILICI IN COLTURE
DI LEISHMANIA INFANTUM
Castelli G.*[1], Bruno F.[1], Piazza M.[1], Lupo T.[1], Migliazzo A.[1], Tolomeo M.[2], Vitale F.[1]
Keywords: Leishmania Infantum, Stilbenes, Terphenyls
[1]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia ~ Palermo,
Dipartimento di Scienze per la Promozione della Salute, Sezione di Malattie Infettive, Università di Palermo ~ Palermo
[2]
SUMMARY: Leishmaniasis are globally widespread parasitic diseases caused by several protozoan parasites of the Leishmania genus. Leishmania species is able to undergo programmed
cell death or apoptosis, as well as mammalian cells. Stilbenesbased compounds are widely represented in nature, and have
become of particular interest to chemists and biologists because of their wide range of biological effects including chemopreventive, antitumor, antioxidant, antimicrobial, anti-inflammatory
and antihistaminic activities Recently it was demonstrated
in vitro the leishmanicidal effect of some stilbene derivatives
(2-hydroxystilbene, combretastatin and heteroanalogous) and
terphenyls. In this study we evaluated the anti-leishmanial activity of a pool of stilbene and terphenyls derivatives which had
shown high apoptotic efficacy against neoplastic cells.
1x106 Leishmania infantum promastigotes were plated into
16 mm diameter wells containing RPMI-PY medium, a new
medium, supplemented with FCS (10%) and 1% glutamine
and treated with scalar concentration of 23 different artificial
compunds. After 48 hours of incubation at 27°C leishmanias
were harvested and their number were determined by using a
counter. The percentage of apoptotic leishmanias was determined by morphological examination using a fluorencence microscope after ethidium bromide and acridine orange staining.
Morphological alterations including cell shrinkage, an aflagellated ovoid shape and chromatin condensation were suggestive
of apoptosis. Apoptotic activity of synthetic compounds was
compared to that of pterostilbene (3,5-dimethoxy resveratrol),
a natural stilbene compound.
Among compounds tested; ST18, TR3 and TR4 showed an interesting anti-leishmanial activity.
Our preliminary results suggest that some stilbene derivatives
and terphenyls are highly effective at inducing apoptosis in Leishmania infantum promastigotes, thus they could represent potential anti-leishmanial agent that merit further pharmacological
investigation.
giore interesse (TR3,TR4, ST18).
Nell’ambito della relazione Leishmaniosi-stilbeni, in un lavoro
pubblicato nel 2007 da Kedzierski et al.(1), viene dimostrata
l’azione Leishmanicida del composto naturale resveratrolo,
utilizzato a diverse concentrazioni, in colture di promastigoti e amastigoti di Leishmania major; inoltre test condotti con
alcuni composti ottenuti dall’idrossilazione del resveratrolo,
hanno rivelato un maggiore effetto antiossidante, antiproliferativo e proapoptotico di questi derivati rispetto all’azione del
resveratrolo, sia su cellule neoplastiche (2) che sulle colture leishmaniotiche. In particolare si è osservato che questi composti derivati dal resveratrolo (soprattutto il 3,4,4’,5’ tetrahydroxy
trans-stilbene, TTAS) hanno un potentissimo effetto leishmanicida (determinando apoptosi) piuttosto che leishmanistatico.
Invece in relazione ai composti terfenilici (3), in letteratura non
sono presenti lavori in cui si è dimostrata una loro azione nei
confronti dei parassiti appartenenti alla famiglia dei Trypanosomatidi.
MATERIALI E METODI: I composti stilbenici e terfenilici sono
stati testati in fiaschette da 25cm2, contenenti 4x106 /ml di Leishmania Infantum, alle concentrazioni di 5µM, 10µM, 20µM,
30µM, 40µM, 50µM. Le colture sono state successivamente
monitorate misurando il tasso di crescita in un periodo di incubazione di 48 ore e nel caso della valutazione dell’apoptosi fino
a 120 ore. I promastigoti sono stati contati utilizzando la camera di Bürker e successivamente colorati mediante colorazione
may-grünwald/giemsa. Inoltre al fine di valutare la specificità di
azione dei composti selezionati sono stati eseguiti saggi di vitalità cellulare (MTT) su cellule macrofagi che canine DH82. Per
valutare un’eventuale citotossicità specie-specifica nei confronti dell’infantum, il composto più interessante, lo stilbene ST18, è
stato poi saggiato alle stesse concentrazioni su colture di alcuni
ceppi di L. amazonensis e panamensis. L’apoptosi esercitata
dai composti sul ceppo MON1/IPT1 è stata studiata morfologicamente al microscopio a fluorescenza dopo colorazione con
bromuro di etidio ed orange di acridina, mentre il ciclo cellulare
delle leishmanie è stato valutato citofluorimetricamente dopo
colorazione con ioduro di propidio.
INTRODUZIONE: Recenti lavori hanno dimostrato che composti appartenenti alla classe degli stilbeni sono in grado di esercitare in vitro effetti citotossici su diverse specie di Leishmanie.
Come è noto questo parassita emoflagellato è responsabile di
un’antropo-zoonosi, la Leishmaniosi, che è considerata una
delle maggiori malattie tropicali dalla World Health Organization. La Leishmaniosi causa un’alta mortalità per via della sua
elevata capacità infettiva, rappresentando pertanto un serio
problema di sanità pubblica a livello mondiale. La Leishmaniosi
genera tre quadri clinici differenti: la L. viscerale, la L. muco
cutanea e la L. cutanea. Nel presente lavoro, ci si propone
di valutare l’azione leishmanicida di nuovi derivati stilbenici e
terfenilici con lo scopo di identificare nuove molecole attive su
colture parassitarie di Leishmania Infantum. Al fine di valutare
il potenziale tossico dei composti che determinano una morte
delle Leishmanie, analisi di tossicità in colture di DH82 sono
state monitorate per i 3 composti che hanno mostrato un mag-
RISULTATI E CONCLUSIONI: Tra i 16 composti analizzati il
TR3, il TR4 e l’ST18 hanno mostrato un’attività leishmanicida
molto interessante, mostrando una LD50 (Dose Letale 50) di
8,3 µM per TR3, una LD50 di 5,72 µM per TR4, una LD50 di
5,91µM per ST18. L’analisi con Arancio di acridina/Etidio bromuro ha dato indicazione che tale effetto leishmanicida fosse
mediato dall’attivazione di un processo apoptotico (Figura 1).
Questi dati hanno avuto ulteriore conferma dall’analisi citofluorimetrica del ciclo cellulare che ha mostrato che l’ST18, TR3 e
TR4, determinavano un incremento della percentuale di cellule
in fase sub-G1 del ciclo cellulare (Figura 2).
Inoltre saggi di citotossicità condotti con questi composti su
cellule macrofagiche canine DH82 hanno fornito dati interes51
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
santi riguardo la loro specificità di azione. I dati più interessanti
sono stati ottenuti con l’ST18 per il quale è stato riscontrato
come la dose 5,91 µM, che determinava la morte del 50% delle
Leishmanie infantum (Figura 3), non aveva nessun effetto sulla
vitalità delle DH82 per le quali si osservava una sopravvivenza
del 100% (Figura 4). Inoltre l’analisi di citotossicità dell’ST18 in
colture di Leishmanie amazonensis e panamensis ci ha permesso di ipotizzare una specie-specificità d’azione di questo
stilbene, poiché i suoi effetti leishmanicidi su queste due specie
non sono paragonabili a quelli osservati su L. infantum. TR3,
TR4 e ST18 rappresentano nuovi composti terfenilici e stilbenici in grado di indurre apoptosi sul ceppo di leishmania MON1/
IPT1. Tra i 3 composti, lo stilbene ST18 ha suscitato maggiore
interesse in quanto da un lato ha mostrato nei nostri esperimenti una maggiore e specifica attività citotossica per le infantum esercitando un blocco del ciclo cellulare e impedendo alle
leishmanie di iniziare la duplicazione del DNA e quindi di entrare in fase S, e dall’altro una minore citotossicità per le DH82.
L’immagine mostra l’analisi effettuata in colture di Leishmania infantum con Arancio di acridina/Etidio bromuro. Le Leishmanie
sono state trattate per 72 h con 50 µM con TR3, TR4 e ST18.
Effetto dei composti più attivi sul ciclo cellulare delle leishmanie valutati in questo studio. Nel controllo sono riportate le aree
dell’istogramma relative alle cellule in fase G1, S e G2M. A = indica l’area dove si trovano le cellule in fase sub-G1 cioè con un
quantitativo di DNA inferiore a quello tipico presente in G1. Le cellule in fase sub-G1 sono in genere cellule in apoptosi.
52
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Curva di crescita della vitalità delle Leishmanie infantum, trattata per 48h con concentrazioni crescenti di ST18
(*= p <0,05; **= p<0,01; ***= p<0,001).
Curva dose-vitalità delle cellule DH82 a diverse concentrazioni di ST18. Sotto al grafico sono indicate le percentuali di vitalità
delle DH82 ad ogni concentrazione di ST18 (*= p <0,05; **= p<0,01; ***= p<0,001).
BIBLIOGRAFIA: (1) Kedzierski, L., Curtis, J.M., Kaminska,
M., Jodynis-Liebert, J. and Murias, M. (2007) In vitro antileishmanial activity of resveratrol and its hydroxylated analogues
against Leishmania major promastigotes and amastigotes. Parasitol Res 102:91-97.
leukemic cells with a non-specific phase mechanism. Bioorganic & Medicinal Chemistry Letters - Bioorg Medicinal Chem Letter , vol. 16, no. 12, pp. 3245-3248.
(3) Roberti M., Pizzirani D., Recanatini M., Simoni D., Grimaudo S., Di Cristina, Abbadessa V., Gebbia N. , Tolomeo M.,
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Cell Cycle in the G 0 −G 1 Phase and Induces Differentiation
in Leukemia Cells. Journal of Medicinal Chemistry , vol. 49, no.
10, pp. 3012-3018.
(2) Simoni D., Roberti M., Invidiata F. P., Aiello E., Aiello
S., Marchetti P., Baruchello R., Eleopra M., Di Cristina A.,
Grimaudo S., Gebbia N., Crosta L., (2006). Stilbene-based
anticancer agents: Resveratrol analogues active toward HL60
53
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
STUDIO PRELIMINARE SULL’UTILIZZO DEL GAMMA-INTERFERON
NELLA SPECIE BUFALINA
De Carlo E.[1], Martucciello A.[1], Schiavo L.*[1], Viscito A.[1], Parente G.[4], Boniotti M.B.[2],
Guarino A.[3], Pacciarini M.[2]
Keywords: tubercolosi bufalina, gamma-interferon test, antigeni innovativi
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, Centro di Referenza Nazionale sull’igiene e le tecnologie
dell’allevamento e delle produzioni bufaline ~ Salerno,
[2]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lombardia ed Emilia Romagna,Centro di Referenza Nazionale per la
Tubercolosi da M. bovis ~ Brescia,
[3]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici, [4]ASL SA distretto 64 ~ Eboli
[1]
SUMMARY: The objective of the current study was to evaluate the use of the Gamma-Interferon (IFN-γ) assay in the
buffalo specie. We used different antigens (PPDS, ESAT-6,
CFP10) in the vitro stimulation of blood lynphocytes of TB
positive and negative animals to evaluate which reagents
give the best results. The obtained data showed that the
use of both Australian PPDS gives the optimum results,
even if the recombinant antigens reached a high value of
specificity.
tenenti ai tre allevamenti, con età superiore ai 42 giorni,
sono stati sottoposti a prova intradermica con PPD bovina
e PPD aviare, e a test IFN-γ. Nell’azienda A si è proceduto
a eseguire il test tre volte a distanza di 50 giorni, nell’azienda B i campionamenti sono stati effettuati per due volte a
distanza di un anno. Il test IFN-γ si basa sulla reazione tra il
linfocita T sensibilizzato e l’antigene tubercolare. Il sistema
rivelatore dell’avvenuta reazione è rappresentato dalla linfochina interferon gamma, rilevata attraverso un test immunoenzimatico di tipo semiquantitativo. In questo studio si è
fatto uso di PPD bovina e aviare accluse al kit e di origine
australiana, e di 2 proteine ricombinanti ESAT6 e CFP10
prodotte dal CRN per la Tubercolosi, al fine di ridurre la
quantità di falsi positivi (2).
INTRODUZIONE: Vari riferimenti bibliografici segnalano focolai di Mycobaterium spp. nel bufalo in più parti del mondo: Italia, Argentina, India, Brasile (1, 3, 4, 5, 6), a testimonianza della naturale sensibilità della specie a contrarre
l’infezione e sviluppare la malattia.
Gli insediamenti bufalini sono concentrati principalmente
nel meridione d’Italia, dove il risanamento dalla tubercolosi
non è ancora compiuto (prevalenza nel 2010 del 0.81% in
Campania e del 0.64% nel Lazio). Inoltre, la pratica di allevare le due specie, bovina e bufalina, frequentemente in
promiscuità, nonché l’utilizzo produttivo delle lattifere fino
a tarda età, sono fattori che influenzano negativamente l’eradicazione della TBC in questa specie. A questo bisogna
aggiungere le difficoltà di campo nell’effettuazione e soprattutto nell’interpretazione della prova intradermica (IDT).
Infatti, studi compiuti sulla valutazione dello skin test nel
bufalo d’acqua, attraverso inoculazione cervicale, caudale
e doppia inoculazione, lo riportano come test scarsamente
sensibile e specifico (7). Le difficoltà interpretative sono legate allo spessore della cute caratterizzata da uno strato
corneo risultante il doppio rispetto a quello della cute bovina, nonché all’aspetto rugoso e alla presenza di fango di
cui l’animale ama cospargersi. Quindi si rende necessario,
al fine di soddisfare l’obiettivo dell’eradicazione, affiancare
all’IDT ulteriori metodiche da impiegare in vita, al fine di
migliorare le performances di sensibilità e specificità nella
diagnosi. Il fallimento diagnostico in vita in questa specie
è soprattutto rappresentato dalla diagnosi di TBC in sede
ispettiva.
Il test IFN-γ, che più studi confermano avere delle buone
performance nella specie bovina (8), soprattutto in termini
di specificità, potrebbe essere un valido aiuto nella diagnosi e nella eradicazione della TBC anche nella specie bufalina, per la quale attualmente non esistono dati attendibili
circa le performance diagnostiche di questo test.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I campioni relativi agli animali appartenenti all’allevamento di 66 capi U.I. da TBC
hanno dato esito negativo alle prove di sensibilizzazione
con le proteine ricombinanti e con la PPD aviare, mentre due campioni hanno reagito positivamente in seguito
a sensibilizzazione con PPD bovina, testimoniando il miglioramento della specificità attraverso l’utilizzo di antigeni
ricombinanti (ESAT6-CFP10), come già valutato sul bovino
dal CRN dell’IZSLER.
Per quanto riguarda i focolai, i risultati relativi alle prove
eseguite nell’anno 2010 per l’az. A e nell’anno 2011 per
l’az. B sono riportati in tabella 1.
I capi risultati positivi al test IFN-γ non sono stati abbattuti
e sono state ripetute regolarmente le prove IDT, a due anni
di distanza dal test per la prima azienda e ad un anno di
distanza per la seconda. In tabella 2 sono riportati i risultati
del confronto test IFN-γ e prova IDT ottenuti per l’azienda
B nell’anno 2012.
Dai risultati ottenuti in questo studio preliminare, sembrerebbe che il test IFN-γ abbia una discreta specificità vista
l’assoluta mancanza di reattività con l’utilizzo delle proteine
ricombinanti nell’allevamento U.I.. D’altro canto l’alta prevalenza dei capi positivi al IFN-γ nelle due aziende focolaio, a fronte di una scarsa o nulla positività alla IDT nelle
stesse aziende, seguita da una positività molto più tardiva,
richiede un ulteriore approfondimento. A tal fine è in itinere
lo studio sull’andamento dei due focolai sino all’eradicazione, comparando la prova intradermica con il test IFN-γ e
corollando gli esiti in vita anche con le prove di conferma
post-mortem, quali esame anatomopatologico, istologico,
batteriologico, PCR su tutti i soggetti positivi al IFN-γ.
Resta che, quanto finora evidenziato sulla specie bufalina,
ricalca in generale quanto già disponibile sulla specie bovina, con le dovute differenze immunitarie tra le due specie.
MATERIALI E METODI: Sono stati valutati tre allevamenti
bufalini di cui uno Ufficialmente Indenne (U.I.) da TBC e
due infetti (azienda A e azienda B). Tutti gli animali, appar54
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Tabella 1. Risultati relativi ai capi provenienti da focolai di TBC bufalina. (* = Azienda A; # = Azienda B; ne = non eseguiti).
Tabella 2. Risultati relativi ai capi dell’azienda B nell’anno 2012.
5. Guanziroli M., Cicuta M.E., Zumárraga M., Romano M.I:
“Isolation of Mycobacterium bovis from water buffalo (Bubalus
bubalis, Linne 1758) of the North East of Argentine” 9th World
Buffalo Congress, April 2010, Buenos Aires.
6. Jha V.C., Morita Y., Dhakal M., Besnet B., Sato T., Nagai
A., Kato M., kozawa K., Yamamoto S., Kimura H. “Isolation of
Mycobacterium spp. from milking buffaloes and cattle in Nepal”
J.Vet.Med Sci. 69(8): 819-825, 2007.
7. Kanameda M., Ekgatat M., Wongkasemjit S., Sirivan C., Pachemasiri T., Kongkrong C., Buchaphan K., Boontarat B. “An
enaluation of tuberculin skin tests to diagnose tuberculosis in
swamp buffaloes (Bubalus bubalis)” Prev.Vet.Med. 39(2): 129135, 1999.
8. Vitale N., Zoppi S., Rossi F., Dondo A., Bergagna S., Ippolito
C., Petruccioli G., Goria M., Garrone A., Ferraro G., Chiavacci L. “Valutazione dell’accuratezza diagnostica del γ-interferon
test per la tubercolosi bovina in assenza di gold standard” XII
Congresso Nazionale S.I.Di.L.V., 27-29 ottobre 2010, Genova.
BIBLIOGRAFIA:
1. Ascione G., Cozza D., Iovane G., Galiero G. “Survey of the
presence of Mycobacterium caprae in water Buffaloes in the
Campania region”. 9th World Buffalo Congress, April 2010,
Buenos Aires.
2. Buddle B.M., Ryan T.J., Pollock J.M., Andersen P., de Lisle
G.W. “Use of ESAT-6 in the interferon- γ test for diagnosis of
bovine tubercolosis following skin testing” Vet.Microbiol. 80:3746, 2001.
3. Dhakal M., Shrestha R.G., Jha V.C., Dhakal P.R., Sato T.,
Morita Y., Kozawa K., Kimura H. “Heat treatment effects on
Mycobacterium spp. isolated from ruminants in Nepal” Vet.Microbiol. 106: 303-304, 2005.
4. Fujimura Leite C.Q., Anno I.S., Andrade Leite S.R., Roxo
E., Morlock G.P., Cooksey R.C. “Isolation and identification of
mycobacteria from livestock specimens and milk obtained in
Brazil” Mem.Inst. Oswaldo Cruz vol.98 n.3, Rio de Janeiro Apr.
2003.
55
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE E SENSIBILITÀ AGLI ANTIMICROBICI DI CEPPI DI
YERSINIA PSEUDOTUBERCULOSIS ISOLATI DA ANIMALI DOMESTICI E SELVATICI
Magistrali C.F.*[1], Cucco L.[1], Farneti S.[1], Ercoli L.[1], Tartaglia M.[1], Prati P.[2], Lollai S.[3], Pezzotti G.[1]
Keywords: Yersinia pseudotuberculosis, serotype, virulence
Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche ~ Perugia,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e della Emilia Romagna ~ Pavia,
[3]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna ~ Sassari
[1]
[2]
SUMMARY: The epidemiology of Y. pseudotuberculosis infection is not yet fully understood. Sixty-five isolates of Y. pseudotuberculosis, from cases of yersiniosis (n 53) and from asymptomatic wild boars (n 2), all confirmed as inv – positive, were
included in this study. All isolates were typed for capsular antigens, melibiose fermentation, virulence determinants and sensitivity to antimicrobials. All the isolates showed susceptibility
to antimicrobials. 35/65 strains were positive to yopH and yopB
by PCR. Most strains were O:1a, O:1b and O:2a. However, two
isolates from wild boars were characterized as O3-O1:b, and
one from a hare O:12-O:13.
di cinghiali asintomatici e infine da episodi di yersiniosi nel capriolo, canarino, gatto e minilepre (Tabella 1). I ceppi sono stati
sottoposti a determinazione della sensibilità ai seguenti antimicrobici (5): ceftadizime, ampicillina, sulfametossazolo, cloramfenicolo, tetraciclina, streptomicina, cefalessina, ciprofloxacina,
cefotaxime, acido nalidixico, kanamicina, amoxicillina + acido
clavulanico ed eritromicina, e a multiplex PCR per i geni codificanti gli antigeni capsulari (6), e diretta a inv (7) yopH e yopB
(3). Le tipizzazioni capsulari sono state affiancate dall’agglutinazione con sieri iperimmuni (Denka Seiken, Japan) e da fermentazione del melibiosio (8). I ceppi di riferimento sono stati
gentilmente forniti dal dott. M. Skurnik (Helsinki University).
INTRODUZIONE: Yersinia pseudotuberculosis è un agente di
malattia in diverse specie animali di cui sono note anche le potenzialità zoonosiche. Negli animali, la yersiniosi è stata associata a diverse manifestazioni cliniche, come enterite, mastite,
setticemia ed aborto in specie domestiche e selvatiche, quali
pecora, bovino, volatili, suino e lepre (1,2). La patogenicità di
Y.pseudotuberculosis è legata alla presenza di un plasmide di
virulenza, che codifica per una serie di proteine anti-fagocitosi
(Yersinia outer proteins), e della invasina Inv, di origine cromosomiale (3). Nell’uomo, la malattia si manifesta generalmente
in modo sporadico; alcuni focolai epidemici sono stati tuttavia
recentemente descritti in Finlandia e Francia, e in questi casi
l’origine dell’infezione è stata fatta risalire a contatto diretto od
indiretto con la fauna selvatica (2,4). Scopo di questo lavoro è
stato quello di caratterizzare isolati di Y. pseudotuberculosis,
provenienti da specie domestiche e selvatiche, valutandone
sierotipo, determinanti di virulenza e sensibilità agli antimicrobici, per permettere un più efficace controllo della malattia negli
animali e nell’uomo.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Tutti gli stipiti analizzati in questo lavoro sono risultati positivi al gene inv, confermando l’attribuzione a Y. pseudotuberculosis (9). Tutti i ceppi hanno mostrato un profilo identico di antibiotico resistenza, con sensibilità a
tutti gli antibiotici testati ad eccezione dell’eritromicina, verso
la quale le Enterobacteriaceae sono naturalmente resitenti,
confermando quanto rilevato da altri autori (10,11,12). Questo
batterio appare quindi conservare la sensibilità nei confronti
degli antibiotici consigliati per la terapia, come gentamicina e
sulfametossazolo (11).
I determinanti di patogenicità yopH e yopB sono stati rinvenuti,
sempre in associazione, in 35 ceppi, senza correlazioni osservabili con la presenza di lesioni o sintomi particolari, specie o
area di origine. E possibile tuttavia ipotizzare la presenza di
falsi negativi, legati alla perdita del plasmide durante le subcolture (8).
Nella maggior parte dei casi gli stipiti sono risultati appartenenti ai sierotipi O:1a, O:1b e O:2a, senza correlazioni tra l’anno,
la provenienza geografica e la specie animale di origine (Tabella 1). Tuttavia, ci sono state alcune eccezioni: i due ceppi
provenienti da cinghiale sono risultati O3-O1:b, e uno, isolato
da una lepre colpita da forma setticemica in Lombardia prima
del 2000, è risultato O:12-O:13. I sierotipi descritti nel corso
MATERIALI E METODI: Le indagini sono state condotte su 65
stipiti di Y. pseudotuberculosis isolati dal 1996 al 2012 in diverse regioni italiane. Gli isolati provenivano da casi di setticemia
o enterite nella lepre, da mastite o aborto nell’ovino, da tonsille
56
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
della nostra indagine sono considerati i più comuni negli animali selvatici in Europa, mentre i sierotipi O:4-O:15 si ritrovano principalmente in Asia (10). La conoscenza dei sierotipi di
Y.pseudotuberculosis circolanti in Italia può consentire, in corso di focolaio, la distinzione tra ceppi di origine autoctona o di
provenienza orientale, come avvenuto recentemente in Francia (4). Inoltre, la conoscenza dei sierotipi circolanti può essere
utile per una diagnosi indiretta differenziale con le infezioni da
Francisella tularensis e Brucella suis.
Un commento a parte merita il rilievo di, O3-O1:b: per quanto
ci è stato dato accertare, ceppi di Y. pseudotuberculosis O3O1:b sono stati segnalati in precedenza solo in un focolaio di
yersiniosi in cervidi Nord America (3). Tutti e due i ceppi O3O1:b sono risultati positivi per inv, yopH e yopB, e melibiosio
negativi, caratteristiche compatibili con il gruppo genetico G5,
che però non è mai stato segnalato nella fauna selvatica (13).
Concludendo, la caratterizzazione degli isolati di
Y.pseudotubercolosis ha consentito di evidenziare la circolazione prevalente di sierotipi tipici del contesto europeo, potenzialmente patogeni per l’uomo, con il rilievo di alcuni sierotipi
rari nel cinghiale e nella lepre, e una generale sensibilità verso
gli antibiotici impiegati nel controllo della yersiniosi.
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WbyK. J Vet Diagn Invest 20: 356-359
4 Vincent P, Leclercq A, Martin L, Yersinia Surveillance Network, Duez J-M, Simonet M. 2008 Sudden onset of pseudotuberculosis in humans, France, 2004–05. Emerg Infect Available
from http://wwwnc.cdc.gov/eid/article/14/7/07-1339.htm.
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UTILIZZO DEL MEAT JUICE PER LA SIEROLOGIA DELLA MALATTIA
DI AUJESZKY NEL CINGHIALE
Natale A.[1], Zuliani F.*[1], Di Martino G.[2], Lucchese L.[1], Gagliazzo L.[2], Chisini Granzotto F.[3], Sandonà C.[1], Bonfanti L.[2]
Keywords: Aujeszky, sierologia, cinghiale
Laboratorio di Diagnostica Virologica e Sierologica, IZS Venezie ~ Legnaro (PD),
[2]
Staff Direzione Sanitaria, IZS Venezie ~ Legnaro (PD),
[3]
ULSS n. 7, Dipartimento di Prevenzione ~ Pieve di Soligo (TV)
[1]
SUMMARY: Porcine herpesvirus 1 is the agent of Aujeszky
Disease, a relevant notifiable disease of swine. While infection cycle in swine and wild boar seems epidemiologically
distinct, there is no zero risk; therefore the disease prevalence in the wild boar populations needs to be investigated.
In Veneto hundreds of animals are yearly culled for depopulation needs. Meat collection during carcass inspection results more feasible than serum sampling, so a method for AD
antibodies detection was validated in meat juice with optimal
correspondence with the results obtained in serum.
dal mese di gennaio 2012 sono stati raccolti campioni da 79
cinghiali abbattuti nella province di Treviso e Vicenza. Per 59
soggetti sono stati raccolti e stoccati in parallelo campioni di
siero e di muscolo massetere, identificati singolarmente.
Il siero è stato ottenuto per centrifugazione del coagulo cardiaco, raccolto immediatamente dopo l’abbattimento e trasportato
a 4°C. Per la preparazione del meat juice i campioni di muscolo di almeno 1x3 cm sono stati toelettati, eliminando grasso
e porzioni aponeurotiche, sminuzzati con le forbici e posti in
appositi supporti (Christensen ApS, Hillerod, Danimarca), conservati in congelatore a -20°C. Il successivo scongelamento
ha favorito la separazione del meat juice in una provetta di
raccolta.
Al fine di disporre di un pannello di campioni sicuramente positivi per la validazione del metodo sono stati raccolti e stoccati
anche 30 campioni di siero e muscolo di suino provenienti da
allevamenti da ingrasso correttamente vaccinati per AD in cui
c’è stata circolazione virale, dimostrata mediante sieroconversione verso la glicoproteina E. Il procedimento per la raccolta
del meat juice è stato identico, mentre i sieri sono stati ottenuti
per centrifugazione di campioni di sangue prelevati al momento della iugulazione. I campioni sono stati trasportati a 4°C e
stoccati a -20°C fino al momento dell’analisi.
Analisi di laboratorio:
Sono stati utilizzati i seguenti kit:
- Kit 1: Ingenasa Ingezim ADV total 1.1.ADV.K1; test ELISA
di tipo non competitivo con diluizione prescritta per il siero di
1:25.
- Kit 2: IDEXX Herd Check anti PRV gB test kit; test ELISA di
tipo competitivo con diluizione del siero 1:2.
- Kit 3: ID-VET ID Screen Aujeszky anti gE competition; test
ELISA di tipo competitivo con diluizione del siero che prevede
una proporzione di 50 ml di siero più 20 ml di diluente per
l’incubazione in giornata.
I sieri sono stati testati con i tre kit in parallelo al fine di confermare la veridicità del risultato mediante utilizzo di tecniche
indipendenti. Il meat juice è stato analizzato con il solo kit 1
in quanto, come kit di tipo non competitivo, permette maggiori
variazioni rispetto alla concentrazione prevista per il siero.
Per il siero i kit ELISA sono stati utilizzati secondo le soglie e
le istruzioni previste dai produttori. Per il meat juice sono state
esaminate le 4 diluizioni 1:2, 1:5, 1:10; 1:25, al fine di individuare quella in grado di fornire i risultati più sovrapponibili a
quelli del siero.
INTRODUZIONE: La Malattia di Aujeszky (AD) è una patologia notificabile sostenuta dal Porcine herpesvirus 1, di rilevante impatto economico sul settore suinicolo (1). Il possibile
ruolo del cinghiale quale reservoir asintomatico, sebbene vi
siano evidenze di due cicli d’infezione epidemiologicamente
distinti in suini domestici e selvatici, pone comunque degli
interrogativi sul costante pericolo di reintroduzione della malattia in aree indenni (1). Per questo motivo le linee guida comunitarie per i piani di eradicazione della malattia prevedono
anche il monitoraggio delle popolazioni di cinghiali selvatici e
l’eventuale adozione di misure di biosicurezza per prevenire
i contatti tra suini domestici allevati all’aperto e selvatici (2).
Come in altre realtà nazionali, nella Regione Veneto le popolazioni di cinghiali hanno subito negli ultimi decenni un’esplosione demografica che ha reso necessari interventi di
depopolamento (3). Le carcasse dei cinghiali selvatici sono
sottoposte a ispezione post-mortem da parte dei Servizi veterinari delle ASL per la ricerca di Trichinella e di lesioni tubercolari.
L’attività di monitoraggio sierologico tradizionale prevede la
raccolta di campioni di siero, ottenibile dal coagulo cardiaco
negli animali selvatici abbattuti, spesso con scarsa qualità
finale del campione. Il prelievo di porzioni di muscolo è facilmente attuabile durante l’ispezione post-mortem. Il meat
juice è una matrice riconosciuta dalla normativa comunitaria
per le analisi sierologiche (4), nonché utilizzata da tempo nella ricerca (5).
L’obiettivo di questo lavoro è la validazione dell’esame sierologico per AD su meat juice mediante l’utilizzo di un kit
commerciale ELISA di tipo non competitivo, verificandone
la corrispondenza con i risultati ottenuti su siero. L’attività di
controllo dei cinghiali selvatici espletata finora sul territorio
regionale non ha consentito di identificare soggetti sieropositivi, pertanto per la validazione sono stati utilizzati campioni
di cinghiale soltanto per le prove di specificità. Per la sensibilità sono stati utilizzati 30 suini domestici con rottura dell’immunità vaccinale per contatto con virus di campo.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I 79 cinghiali campionati nella
provincia di Treviso sono risultati negativi alla ricerca di anticorpi verso il PHV-1. In soli due casi il kit 1 ha dato esito di
bassa positività nel siero, solo in un caso confermata dal kit 3
(risultato dubbio); il kit 3 ha fornito 6 risultati dubbi, probabilmente dovuti alla scarsa qualità della matrice, spesso fortemente emolitica, utilizzata a bassa diluizione secondo quan-
MATERIALI E METODI: Raccolta dei campioni:
In seguito all’avvio del piano di monitoraggio per la malattia di Aujeszky nei cinghiali da parte della Regione Veneto,
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risultati più conformi a quelli ottenuti su siero è la 1:10 (pvalue: 0.3616, IC 95%). La distribuzione delle diluizioni del
meat juice da 1:2 a 1:10 non mostra l’andamento progressivamente decrescente che ci si poteva aspettare. Una possibile
spiegazione è un’inibizione dovuta alle impurità presenti nella
matrice dei campioni di meat juice più concentrati. Dalla diluizione 1:10 a quella 1:25 si verifica invece un calo di reazione
compatibile con la maggior diluizione del campione.
Tali risultati sono con ogni probabilità sovrapponibili a ciò che
si otterrebbe da campioni di cinghiale, tuttavia, a causa della
peggiore qualità della matrice che si ottiene mediamente sui
campioni prelevati da animali selvatici, tale ipotesi sarà verificata non appena sarà disponibile un numero sufficiente di
campioni positivi di cinghiale.
Considerando sia le prove di sensibilità che quelle di specificità, si può concludere che il meat juice utilizzato alla diluizione di 1:10 offre risultati altamente concordanti (k=0.95) con
quelli ottenuti con la sierologia tradizionale. Considerando il
test eseguito su siero come Gold standard, i valori di sensibilità e specificità calcolati sul meat juice risultano rispettivamente 96.77% e 98.31%.
to prescritto dal kit. Tali esiti dubbi non sono stati confermati
(tranne che nel caso sopra citato) dagli altri 2 kit. Non sono
comunque state rilevate differenze significative tra i risultati
dei 3 kit utilizzati su siero (Test di Friedman p-value: 0.8477,
IC 95%).
Per quanto riguarda la validazione della prova su meat juice, sono stati considerati solo i 59 campioni per i quali era
disponibile il confronto tra le due diverse matrici (tab. 1). Alla
diluizione 1:2 sono risultati positivi 6 campioni, di cui solo 2
confermati alla diluizione 1:5 e soltanto uno alle diluizioni 1:10
e nessuno alla diluizione 1:25. La specificità migliore è risultata quella della diluizione 1:25, seguita dalla diluizione 1:10;
anche per la diluizione 1:10 non si registrano differenze statisticamente significative rispetto ai risultati su siero (p-value:
0.0792, IC 95%).
Per la validazione della sensibilità, data l’assenza di campioni
positivi nei cinghiali, si è ricorso all’utilizzo dei 30 campioni
suini raccolti al macello. Tutte le diluizioni di meat juice hanno confermato l’esito di positività ottenuto con i 3 kit utilizzati
su siero, ma analizzando la distribuzione dei valori S/P (fig.
1) e applicando il Test dei segni, la diluizione che ha offerto
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gulati: status, distribuzione, consistenza, gestione e prelievo venatorio delle popolazioni di Ungulati in Italia. Istituto
Nazionale per la Fauna Selvatica, Report 2001-2005.
4 Regolamento 2160/2003/CE del Parlamento Europeo e
del Consiglio del 17 novembre 2003 “Sul controllo della salmonella e di altri agenti zoonotici specifici presenti negli
alimenti”.
5 Osterkorn K., Czerny C.P., Wittkowski G., Huber M. 2001.
Sampling plan for the establishment of a serologic Salmonella surveillance for slaughter pigs with meat juice ELISA.
Berl. Münch. Tierärztl. Wschrift 114:30-34.
BIBLIOGRAFIA:
1 Müller T., Hahn E.C., Tottewitz F., Kramer M., Klupp B.G.,
Mettenleiter T. C., Freuling C. 2011. Pseudorabies virus in
wild swine: a global perspective. Arch Virol 156:1691-1705.
2 SANCO/3023/2008, Guidance to Commission Decision
2008/185/EC regarding additional guarantees in intra-Community trade of pigs related to Aujeszky’s disease and criteria for listing a Member State or a region thereof as free
from Aujeszky’s disease or as having an approved disease
control programme. Brussels, December 2009.
3 Carnevali L., Pedrotti L., Riga F., Toso S. Banca Dati Un-
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PERMISSIVITÀ DI LINEE FIBROBLASTICHE VERSO CAPRINE ARTHRITIS ENCEPHALITIS
VIRUS (CAEV) DERIVANTI DA ANIMALI CON ALTA E BASSA CARICA VIRALE
Bertolotti L.*[1], Colussi S.[2], Profiti M.[1], Quasso A.[3], Acutis P.L.[2], Reina R.[4], Rosati S.[1]
Keywords: Lentivirus, Carica provirale, Permissività cellulare
Università degli Studi di Torino ~ Torino,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino,
[3]
Dipartimento di Prevenzione ASL n. 19 ~ Asti,
[4]
Instituto de Agrobiotecnologia, CSIC-UPNA-Gobierno de Navarra ~ Navarra
[1]
[2]
SUMMARY: Animals belonging to the same breed and flock
were classified according to CAEV proviral load detected in
PBMC. Two animals with high and low viral load were selected
and fibroblast cell lines were established from skin biopsy.
Cytopathic effect, RT activity, entry and immunocytochemistry
assays were conducted to investigate different steps involved
in the viral infection. Both, flock isolated and reference viral
strains, were able to induce cytopathic effects but only cells
from the “High-proViral-Load” animal showed positive RT activity and increased entry efficiency and immunostaining. These
results demonstrate that restriction factors likely associated to
the innate immunity may play a crucial role in the host-pathogen
interaction and may represent an alternative approach for the
control of CAEV infection.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Tutti gli animali selezionati
hanno mostrato una chiara positività alla presenza di provirus
nei PBMC, sia in PCR endpoint sia in PCR real time. Due
di questi animali hanno fornito linee cellulari idonee alle fasi
successive dello studio. La differenza in termini quantitativi
della carica provirale è risultata di circa 1.5 log fra High-proViral-Load e Low-proViral-Load (HpVL: 1571,88 copie/50ng,
LpVL: 54.37 copie/50ng). L’isolamento virale da colture di
MDM è risultato estremamente veloce per il soggetto HpVL,
mentre nessun isolato è stato ottenuto dal soggetto LpVL.
L’infezione delle due linee fibroblastiche ha prodotto risultati
significativamente differenti sia utilizzando il ceppo di campo
che lo stipite di referenza. L’attività RT è risultata ridotta o
totalmente abrogata (Fig. 1) nella linea LpVL così come il segnale di immunostaining (Fig. 2), pur in presenza di fusione
cellulare. Le prove di entry assay, espresso in unità formanti
foci (UFF)/ml hanno consentito di determinare una diversa
efficienza di entrata del virus CAEV-Cork nelle due linee fibroblastiche (HpVL: 1.2*10^3UFF/ml; LpVL: 5*10^2UFF/ml).
INTRODUZIONE: I lentivirus dei piccoli ruminanti sono un gruppo eterogeneo di virus capaci di infettare sia capre che pecore.
Tra i cinque genotipi a oggi caratterizzati, il genotipo B include
i ceppi (CAEV-like) storicamente associati all’artrite encefalite
caprina, patologia che nelle capre si manifesta con artiti, mastiti
e, più raramente encefaliti. In allevamenti caprini infetti non è
raro rilevare il 100% di sieropositività. Tuttavia solo in una parte
di animali l’infezione evolve nelle caratteristiche forme cliniche.
Altri animali, presentano un’infezione asintomatica che dura per
tutta la vita economica. Studi precedenti indicano che la carica
provirale nel sangue rappresenta la chiave per differenziare gli
animali asintomatici da quelli in cui vi è una maggiore probabilità
di evoluzione dell’infezione verso la fase clinica. La carica provirale può essere modulata dalla genetica dell’ospite e riguarda
sia i geni associati all’immunità innata sia quelli associati all’immunità adattativa. Il presente studio intende indagare sui fattori
di restrizione virale associati al comparto dell’immunità innata.
Questo lavoro ha messo in evidenza come, all’interno dello
stesso allevamento animali infettati da virus filogeneticamente simili, producano linee cellulari in grado di rispondere
all’infezione in modo estremamente diverso, ponendo l’attenzione sull’esistenza di linee genetiche in grado di ridurre efficacemente il titolo virale del virus della CAE. In particolare,
i risultati ottenuti finora sembrerebbero indicare che, durante
l’infezione di cellule provenienti da individui LpVL, il virus sia
in grado di entrare seppur con una ridotta efficienza (polimorfismo e/o ridotta espressione dei geni codificanti recettori e co-recettori cellulari). Successivamente all’entrata può
intervenire un secondo blocco causato dall’ interazione fra
il capside virale e il TRIM5 (2), o per l’azione di APOBEC3.
Nell’ultimo caso una maggior frequenza di mutazioni potrebbe essere attesa e spiegherebbe almeno in parte i risultati
ottenuti in immunocitochimica (drift degli epitopi immunodominanti del capside) e attività RT (effetto della costrizione
funzionale della trascrittasi inversa). La presenza di fusione
cellulare potrebbe essere garantita dall’espressione del gene
env, che tollera un maggior grado di mutazioni puntiformi. Il
coinvolgimento del TRIM5 potrebbe spiegare invece il diverso comportamento del ceppo isolato dallo stesso allevamento (totalmente inibito nella linea LpVL) rispetto al ceppo di
referenza (parzialmente inibito nelle stesse linee cellulari). E’
possibile infatti che TRIM5 presenti la regione ipervariabile
(PRYSPRY) adatta a complessare e neutralizzare il ceppo
che ne ha stimolato la selezione. Non possiamo infine escludere l’ipotesi che la restrizione sia multi genica e rappresenti
il risultato di differenti interazioni fra i diversi fattori di resistenza cellulari. Lo studio offre una nuova prospettiva per
MATERIALI E METODI: Per lo studio è stato selezionato un
allevamento di circa 80 capi di razza camosciata, con sieroprevalenza del 100% verificata mediante un test ELISA indiretto
multiepitopo ed un origine clonale del virus CAEV (sottotipo B1).
Una PCR realtime specifica per il virus circolante è stata preliminarmente utilizzata per classificare soggetti di pari età con
bassa ed alta carica provirale. Sono stati selezionati 4 soggetti
(due con bassa carica e due con alta carica) e sono state eseguite biopsie cutanee per l’allestimento di espianti di fibroblasti,
cellule notoriamente permissive al virus CAEV. Parallelamente
è stato tentato l’isolamento del ceppo viale mediante co-colture
di macrofagi di derivazione sanguigna (MDM) e cellule sinoviali
di feto caprino.
La permissività delle linee cellulari risultate idonee è stata valutata mediante curve di crescita ed attività RT, effetto citopatico,
immunocitochimica ed entry assay, utilizzando dove possibile il
ceppo di campo ed lo stipite di referenza CAEV-Cork.
62
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il controllo delle infezioni da lentivirus nei piccoli ruminanti,
identificando i geni del comparto dell’immunità innata potenzialmente coinvolti nella modulazione della carica provirale.
Ulteriori indagini a livello molecolare sono in corso per valutare l’espressione e il polimorfismo di alcuni geni coinvolti nei
processi di restrizione identificati nel presente studio come
CCR5, TRIM5 e l’APOBEC3.
BIBLIOGRAFIA:
1. Hotzel, I., Cheevers, W.P., 2003. Caprine arthritis–encephalitis
virus envelope surface glycoprotein regions interacting with the
transmembrane glycoprotein: structural and functional parallels
with human immunodeficiency virus type 1 gp120. J. Virol. 77
(21), 11578–11587.
2. Jáuregui P, Crespo H, Glaria I, Luján L, Contreras A, Rosati S,
de Andrés D, Amorena B, Towers GJ, Reina R. Ovine TRIM5α
Can Restrict Visna/Maedi Virus. J Virol. 2012 Sep;86(17):9504-9.
Figura 1. Attività RT registrata nelle line cellulari provenienti da LpVL (grigio) e HpVL (nero) fino a 14 dpi. Le barre verticali rappresentano l’errore standard della media calcolato su tre repliche.
Figura 2. Immunostaining verso la proteina p25 del capside in LpVL (1000L) e HpVL (7583H) a 25 dpi.
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BIOTIPO CITOPATOGENO DI VIRUS DELLA DIARREA VIRALE BOVINA TIPO 3 ISOLATO
DA MANZA CON MALATTIA RESPIRATORIA
Decaro N.*[1], Lucente M.S.[1], Mari V.[1], Sciarretta R.[1], Pinto P.[1], Cirone F.[1], Colaianni M.L.[1], Narcisi D.[1], Elia G.[1],
Thiel H.[2], Buonavoglia C.[1]
Keywords: Virus della diarrea virale bovina tipo 3, Biotipo citopatogeno, Caratterizzazione molecolare
Dipartimento di Sanità Pubblica e Zootecnia, Università degli Studi di Bari ~ Valenzano (BA),
[2]
2 Institut für Virologie, Justus Liebig Universität Giessen ~ Giessen, Germany
[1]
SUMMARY: &<We report the isolation and molecular characterisation of a bovine viral diarrhoea virus type 3 (BVDV-3)
pair consisting of cytopathogenic (cp) and non-cytopathogenic
(noncp) strains, Italy-83/10cp and Italy-83/10ncp. Both viruses
were recovered from a heifer dead as a consequence of respiratory disease. Analysis of the nearly full-length genomes
revealed that the two viruses were very closely related to each
other, differing mainly for the presence of the Bos taurus Jiv
sequence in the 3’ domain of the NS2 coding region of the cp
strain. This is the first study reporting the isolation of a BVDV-3
cp strain.
Madin Darby bovine kidney (MDBK) e la crescita virale è stata monitorata mediante test di immunofluorescenza indiretta
(IFI). L’intero genoma dei ceppi Italy-83/10cp e Italy-83/10ncp
è stato amplificato mediante RT-PCR (5), partendo dai virus
purificati. I prodotti PCR sono stati sottoposti a sequenziamento diretto e le sequenze ottenute sono state assemblate
e confrontate con analoghe sequenze di ceppi pestivirus cp
e ncp di riferimento. L’analisi filogenetica è stata realizzata
con il programma MEGA, versione 4.1, utilizzando il metodo
neighbour-joining e fornendo supporto statistico mediante bootstrap in 1000 repliche.
INTRODUZIONE: I virus della diarrea virale bovina (BVDV)
appartengono alla famiglia Flaviviridae, genere Pestivirus. Attualmente si conoscono due distinte specie di BVDV, BVDV-1 e
BVDV-2. Recentemente, pestivirus atipici o ‘Hobi’-like, proposti
come nuova specie virale BVDV-3, sono stati isolati da distinti
lotti di siero fetale bovino originari del Sud America o dell’Australia, nonché da casi di infezione naturale (5, 7, 8). Tuttavia,
al momento le uniche segnalazioni di malattia conclamata riconducibile a pestivirus ‘Hobi’-like sono state effettuate in Italia
(1, 2).
In base alla capacità di indurre effetto citopatico sulle colture
cellulari infette, sono noti due distinti biotipi di BVDV, citopatogeno (cp) e non citopatogeno (noncp), entrambi coinvolti nella
patogenesi della malattia delle mucose, una forma clinica grave, ad esito letale, tipica dei vitelli immunotolleranti per BVDV.
Stipiti cp sono stati segnalati sia per BVDV-1 che per BVDV-2,
mentre, al momento, solo ceppi noncp sono stati identificati per
BVDV-3 (1, 2, 5, 7).
Nel presente lavoro si riportano l’isolamento e la caratterizzazione molecolare di una coppia di virus cp/noncp di questo pestivirus emergente.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Le indagini di laboratorio hanno permesso di identificare uno stipite pestivirus caratterizzato come BVDV-3. Mediante real-time RT-PCR, i polmoni della
manza sono risultati contenere 7.98 x 10[6] copie di RNA virale
per μl di estratto. Gli esami virologici e batteriologici hanno fornito esito costantemente negativo per i patogeni di rilevanza
clinica del bovino.
Le cellule MDBK inoculate con i campioni positivi per BVDV-3
hanno mostrato fluorescenza citoplasmatica al test IFI (Fig. 1).
Nelle cellule infette sono state osservate alterazioni morfologiche caratteristiche della replicazione dei pestivirus cp (Fig.
2). Pertanto, i risultati ottenuti hanno fatto presumere la contemporanea presenza nei campioni esaminati di una coppia
‘Hobi’-like cp e noncp. Infatti, i due distinti stipiti cp e noncp
(Italy-83/10cp e Italy-83/10ncp) sono stati separati mediante
passaggi successivi rispettivamente con il metodo delle placche e della diluizione finale.
L’analisi del genoma dei virus Italy-83/10cp e Italy-83/10ncp
(numeri di accesso GenBank JQ612704 e JQ612705) ha evidenziato un’organizzazione genomica sovrapponibile a quella
degli altri membri del genere Pestivirus. Gli stipiti cp e noncp
sono risultati essere strettamente correlati dal punto di vista
genetico (identità nucleotidica del 97%), differenziandosi quasi esclusivamente per la presenza di una inserzione nel gene
NS2-3. Tale inserzione è altamente simile ad una sequenza
genomica della specie bovina (Bos taurus) denominata J-domain protein interacting with viral protein (Jiv) (Fig. 3). Mediante analisi filogenetica, gli stipiti Italy-83/10cp e Italy-83/10ncp
ricadono nel cluster dei pestivirus ‘Hobi’-like e risultano maggiormente correlati ai ceppi di origine sudamericana, esattamente come il prototipo italiano Italy-1/10-1 (Fig. 4).
MATERIALI E METODI: Nel periodo compreso tra dicembre
2009 e febbraio 2010 è stata segnalata, in un allevamento bovino della regione Calabria, la presenza di malattia respiratoria
che ha coinvolto 26 vitelli di 6-7 mesi di età con esito fatale in
due di questi (1). Nello stesso allevamento, nel mese di marzo
del 2010, una manza di 13 mesi (Italy-83/10) è deceduta dopo
aver manifestato febbre (40.3 ° C), moderato scolo nasale, tosse secca, grave dispnea e leucopenia acuta. All’esame necroscopico erano evidenti tracheite e broncopolmonite catarrale.
Dalla carcassa sono stati prelevati campioni di polmone e di
feci per le successive analisi virologiche e batteriologiche per la
rilevazione dei principali agenti causali di malattia respiratoria
nel bovino.
Per l’identificazione e quantificazione degli stipiti BVDV atipici,
i campioni biologici sono stati sottoposti a protocolli di nested
PCR (3) e di real-time RT-PCR con sonda TaqMan (6) messi
a punto di recente. Per le prove di isolamento virale i campioni, dopo opportuno trattamento, sono stati inoculati su cellule
Diverse mutazioni sono state associate all’insorgenza di stipiti BVDV cp a partire da stipiti noncp. La maggior parte di
queste mutazioni sono situate all’interno della regione NS2-3
ed esitano nella abnorme produzione di NS3 libera, la quale
è associata alla esaltazione della replicazione virale mediante aumento della produzione di complessi della replicasi. Un
meccanismo particolare è rappresentato dall’inserzione di
sequenze Jiv all’interno del gene NS2 poco prima del sito di
64
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
clivaggio tra NS2 ed NS3. Le sequenze Jiv agiscono inducendo il cambiamento conformazionale del complesso NS2-3 e
la successiva attivazione dell’autoproteasi NS2 (4). Sequenze
Jiv sono finora state identificate nella regione NS2 di diverse
specie pestivirus, ma non del virus emergente ‘Hobi’-like. Pertanto il presente studio è il primo a riportare l’isolamento e la
caratterizzazione di uno stipite BVDV-3 cp. La stretta correlazione genetica tra i due virus suggerisce che lo stipite cp sia
insorto a seguito di mutazione (inserzione della sequenza Jiv
per ricombinazione con sequenze cellulari) dello stipite noncp.
Le coppie BVDV cp e noncp sono di solito isolate a partire
da animali con malattia delle mucose (MD). In base alle attua-
li conoscenze la MD si manifesta in bovini persistentemente
infetti (detti anche immunotolleranti) ed è caratterizzata da lesioni di tipo emorragico e/o ulcerativo-necrotico. Risulta quindi
interessante l’isolamento della coppia BVDV-3 da un soggetto
che aveva presentato solo sintomi di tipo respiratorio. I risultati
del presente lavoro aprono scenari interessanti in merito al potenziale patogeno dei virus ‘Hobi’-like ed alla loro capacità di
indurre il fenomeno dell’immunotolleranza e sindromi cliniche
analoghe alla MD. Solo il continuo monitoraggio epidemiologico negli allevamenti e gli studi di infezione sperimentale potranno chiarire in futuro tali aspetti ancora non adeguatamente
conosciuti.
Fig. 1. Isolamento di BVDV-3 su cellule MDBK:
fluorescenza citoplasmatica ottenuta utilizzando un anticorpo
monoclonale anti-NS3.
Fig. 2. Isolamento di BVDV-3 su cellule MDBK:
effetto citopatico caratterizzato da vacuolizzazione
citoplasmatica e lisi del monostrato.
Fig. 3. Allineamento delle inserzioni Jiv di 15 stipiti pestivirus messe a confronto con la analoga sequenza cellulare del bovino
(Bos taurus, GenBank AY027882).
65
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Fig. 4. Albero filogenetico costruito con il metodo neighbor-joining sull’intero genoma dei membri del genere Pestivirus. La barra
rappresenta il numero di sostituzioni nucleotidiche per sito.
5. Liu L, Kampa J, Belák S, Baule C. Virus recovery and
full-length sequence analysis of atypical bovine pestivirus
Th/04_KhonKaen. Vet Microbiol 2009; 138:62-8.
6. Liu L, Xia H, Belák S, Baule C. A TaqMan real-time RTPCR assay for selective detection of atypical bovine pestiviruses in clinical samples and biological products. J Virol
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7. Schirrmeier H, Strebelow G, Depner K, Hoffmann B, Beer
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6(12):e28553.
BIBLIOGRAFIA:
1. Decaro N, Lucente MS, Mari V, Cirone F, Cordioli P, Camero M, Sciarretta R, Losurdo M, Lorusso E, Buonavoglia C.
Atypical pestivirus and severe respiratory disease in calves,
Europe. Emerg Infect Dis 2011; 17:1549-52.
2. Decaro N, Lucente MS, Mari V, Sciarretta R, Pinto P, Buonavoglia D, Martella V, Buonavoglia C ‘Hobi’-like pestivirus
in aborted bovine fetuses. J Clin Microbiol 2012; 50:509-12.
3. Decaro N, Sciarretta R, Lucente MS, Mari V, Amorisco F,
Colaianni ML, Cordioli P, Parisi A, Lelli R, Buonavoglia C. A
nested PCR approach for unambiguous typing of pestiviruses infecting cattle. Mol Cell Probes 2012; 26:42-6.
4. Lackner T, Müller A, König M, Thiel HJ, Tautz N. Persistence of bovine viral diarrhea virus is determined by a cellular cofactor of a viral autoprotease. J Virol 2005; 79:9746-55.
66
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
LA RETE DEGLI II.ZZ.SS AL SERVIZIO DELLA SICUREZZA ALIMENTARE
DEI PRODOTTI TRADIZIONALI ITALIANI
Daminelli P.*[1], Losio M.N.[1], Gianfranceschi M.[2], Decastelli L.[3], Comin D.[4], Fischetti R.[5], Valiani A.[6], Fadda A.[8],
Goffredo E.[9], Nava D.[10], Cardamone C.[11], Prencipe V.A.[7], Varisco G.[1]
Keywords: Sicurezza alimentare, Valutazione Quantitativa del Rischio Microbiologic, Microbiologia predittiva
IZSLER ~ BRESCIA, [2]ISS ~ roma, [3]IZSTO ~ TORINO, [4]IZSVENEZIE ~ PADOVA, [5]IZSLT ~ PISA, [6]IZSUM ~ PERUGIA,
[7]
IZS ~ TERAMO, [8]IZSSARDEGNA ~ SASSARI, [9]IZSPB ~ BARI, [10]IZSPORTICI ~ NAPOLI, [11]IZSSICILIA ~ PALERMO
[1]
SUMMARY: At Community level, actually there are over 240
Italian products, of which 151 registered PDO and 90 branded
PGI. The enhancement of the traditional agro-food must necessarily respond to the need to ensure food safety in relation to
the protection of human health, in order to ensure the food business operators the ability to export products made in Italy absolving the requirements imposed in particular also from Third
Countries. The predictive microbiology models are important
tools for managing food safety and provide a scientific basis for
addressing some key aspects of HACCP plans
The combination of science and technology is essential for the
effective application of predictive microbiology.The creation of
a network between Istituti Zooprofilattici Sperimentali (II. ZZ.
SS.) and the National Institute of Health (ISS) for the sharing
of knowledge of the microbiological and physico-chemical
characteristics of traditional Italian products and the potential
applications of the tools predictive microbiology, represents a
fundamental tool to ensure a uniform approach to the safety
problems of food from animal origin, proposing experimental
protocols and scientifically viable internationally
nizione delle miglior strategie di gestione del rischio.
Lo studio dei prodotti alimentari, dei processi tecnologici di trasformazione delle materie prime agricole, e delle dinamiche di
sviluppo o di morte dei microrganismi, rappresenta la più importante strategia, necessaria e valida per la valutazione e la
gestione del rischio microbiologico (2; 3; 4).
La microbiologia predittiva, attraverso lo studio della cinetica
microbica e l’utilizzo di modelli matematici provenienti dagli studi quantitativi sulle popolazioni microbiche, consente di quantificare, modellare (attraverso equazioni matematiche) e descrivere graficamente le relazioni esistenti tra i fattori di controllo
presenti negli alimenti e le risposte dei microrganismi patogeni
e alteranti.
MATERIALI E METODI: Gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali
(II. ZZ. SS.) dislocati sul territorio nazionale e l’Istituto Superiore di sanità (ISS), svolgono un’attività di ricerca volta allo studio delle dinamiche di comportamento dei principali patogeni di
maggiore interesse alimentare.
Nel corso degli ultimi 10 anni sono stati sviluppati Progetti di Ricerca Finalizzata aventi per oggetto “la graduazione dei rischi e
la modifica dei processi produttivi per la produzione di cibi con
elevati standard di sicurezza” (PRF2004201) e la “messa a
punto fino ad eventuale validazione di procedure per verificare il
grado di sicurezza degli alimenti” (PRF2000203); recentemente,
il progetto Epifood “Italian network for the molecular EPIdemiology surveillance of FOOD-borne pathogens”(PRF2008201) ha
consentito di instaurare e consolidare collaborazioni con rinomati Centri di Ricerca, come l’Institute of Food Research (IFR)
di Norwich (UK), al fine di creare e implementare una banca
dati internazionale per la microbiologia alimentare, denominata
“ComBase” (www.combase.cc), necessaria per la modellazione e l’analisi dei dati (7).
La creazione di un network tra ISS ed II.ZZ.SS. mira alla condivisione delle conoscenze e delle metodologie sino ad ora applicate per lo studio delle caratteristiche microbiologiche, chimico
fisiche e nutrizionali dei prodotti tradizionali italiani fungendo
da elemento trainante per la definizione di procedure codificate
nell’analisi statistica e nell’elaborazione di informazioni destinate allo sviluppo di una banca dati nazionale per la microbiologia predittiva alimentare finalizzata alla validazione dei modelli
predittivi sulla cinetica dei microrganismi (patogeni e non) in
prodotti italiani di origine animale e non.
Attraverso l’utilizzo dei software di microbiologia predittiva disponibili in rete può essere valutata la dinamica dei microrganismi patogeni in funzione dei profili dinamici di pH, aw e temperatura di conservazione registrati nel database ComBase.
Considerando la letteratura scientifica, precedenti studi sull’evoluzione dei microrganismi in alimenti (www.arsalimentaria.it)
e la banca dati internazionale ComBase, dove sono raccolti più
di 50.000 profili microrbiologici, tenuto conto dei parametri ambientali, si potrà ottenere, sia in matrici alimentari sia in brodi
INTRODUZIONE: Secondo l’ultima revisione dell’elenco dei
prodotti agro-alimentari tradizionali, ad opera del Ministero
delle Politiche Agricole e Forestali, in Italia sono oltre 4500 le
produzioni agricole tradizionali che caratterizzano il territorio. A
livello comunitario, ad oggi, si contano oltre 240 denominazioni
italiane, di cui 151 registrate a marchio D.O.P. e 90 a marchio
I.G.T.
La valorizzazione dei prodotti agro-alimentari tradizionali deve
necessariamente rispondere anche all’esigenza di garantire la
sicurezza degli alimenti in rapporto alla tutela della salute del
consumatore.
E’ importante ai fini della sicurezza del prodotto, caratterizzare il
rischio igienico sanitario ad esso associato attraverso ricerche
su origine e tracciabilità a livello di filiera produttiva, condizioni
igienico-sanitarie degli animali e degli ambienti di lavorazione.
In Europa, dati pubblicati da EFSA ed ECDC indicano che le
tossinifezioni alimentari più diffuse sono causate da batteri riferibili a Campylobacter spp, Salmonella spp, Listeria monocytogenes, Escherichia coli VTEC, Yersinia spp, e da virus che
penetrano nell’organismo attraverso il tratto gastro-intestinale
(1). Partendo dal presupposto che il rischio zero per le infezioni
alimentari o la loro totale eradicazione non sono possibili, sia
le autorità competenti sia l’industria alimentare devono impegnarsi affinché, attraverso le attività di gestione e di controllo a
livello di filiera, si riduca in modo significativo l’incidenza di tali
patogeni nella popolazione. In particolare è stata riconosciuta
l’interessante potenzialità della Valutazione Quantitativa del Rischio Microbiologico (VQRM) per la conoscenza e l’analisi dei
sistemi di produzione alimentare, l’individuazione dei punti di
debolezza e di forza in termini di controllo delle contaminazioni
microbiche, la valutazione del rischio per il consumatore e defi67
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
colturali, per alcune classi di prodotto, il fattore di correzione tra
alimento e brodo colturale.
In funzione della categoria alimentare e delle caratteristiche
intrinseche ed estrinseche del prodotto, sarà scelto il modello
predittivo idoneo a descrivere l’andamento del patogeno nella
matrice alimentare cui seguirà la validazione del modello approntando specifici challenge test. In laboratorio, oltre all’andamento della concentrazione del microrganismo patogeno nel
tempo, saranno monitorati i parametri intriseci ed estrinseci in
grado di modulare l’andamento batterico e la concentrazione
dei batteri lattici eventualmente presenti: sarà possibile quindi
validare il modello predittivo che sarà confrontato con i dati osservati come suggerito dalla letteratura (5).
Per aumentare l’accuratezza dei modelli deterministici ottenuti,
sarà considerato un approccio più stocastico, che considera
anche la variabilità dei dati, determinando la probabilità che un
evento sfavorevole per la salute del consumatore finale si possa manifestare.
processi produttivi. I dati raccolti saranno utili per sviluppare
modelli matematici predittivi, capaci di indicare l’evoluzione dei
microrganismi durante le fasi del processo considerate critiche
per la sicurezza del prodotto alimentare (6). L’uso e l’implementazione continua di ComBase e la diffusione delle informazioni
attraverso di Ars-alimentaria (www.ars-alimentaria.it) aiuta a
razionalizzare l’attività sperimentale, aumenta l’efficienza degli
sforzi di ricerca, migliora la sicurezza e la qualità degli alimenti
e standardizza la fonte dati per i valutatori del rischio microbiologico.
BIBLIOGRAFIA: 1. EFSA, 2011. The European Union Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses,Zoonotic Agents
and Food-borne Outbreaks in 2010.
2. Ross, et al 1994. Predictive microbiology – a review. Int. J.
Food Microbiol., 23, 241–264
3. Ross, et al 2003. Modeling microbial growth within food safety risk assessments. Risk Anal., 23, 179-197.
4. Pouillot, et al 2011. Predictive microbiology models vs. modeling microbial growth within Listeria monocytogenes risk assessment: What parameters matter and why. Food Microbiol.,
28.720-726
5. Pin, C., et al 1998. Predictive models are means to quantify
the interactions of spoilage organisms. Int J Food Microbiol 41,
59–72.
6. Baranyi, et al 2004. ComBase: a common database on microbial responses to food environments. J Food Prot 67, 19671971.
7. McMeekin, et al 2008. The future of predictive microbiology:
Strategic research, innovative applications and great expectations. Int J Food Microbiol 128, 2-9
RISULTATI E CONCLUSIONI: Le informazioni ottenute saranno rese disponibili all’Autorità Sanitaria e ai produttori per
l’effettuazione di una corretta analisi del rischio con la finalità di migliorare la sicurezza degli alimenti a tutela della salute
del consumatore, attraverso l’alimentazione del sito www.arsalimentaria.it. Il presente progetto rappresenta un valido strumento per contribuire all’acquisizione di conoscenze relative
allo studio della qualità degli alimenti e agli aspetti nutrizionali
e sanitari..
Le informazioni raccolte saranno inserite nella banca dati Combase (www.combase.cc) attraverso la quale è possibile gestire
l’elevato numero di dati ottenuti monitorando i parametri dei
68
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
DETERMINAZIONE DI ENTEROTOSSINE STAFILOCOCCICHE IN PRODOTTI
LATTIERO-CASEARI: CIRCUITO INTERLABORATORIO PER LA RETE IIZZSS
Ingravalle F.[1], Bianchi D.M.[2], Bellio A.*[3], Gallina S.[2], Zuccon F.[3], Ghia C.A.[3], Fabbri M.[3],
Corvonato R.[3], Decastelli L.[3]
Keywords: Staphylococcal Enterotoxin, Dairy products, Ring Trial
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino, Italy;
S.S. Biostatistica, Epidemiologia ed Analisi del Rischio ~ Torino,
[2]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino, Italy;
NRL Stafilococchi coagulasi positivi, compreso S.aureus ~ Torino,
[3]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino, Italy;
S.C. Controllo Alimenti e Igiene delle Produzioni ~ Torino
[1]
SUMMARY: In order to test the performance of the acquired
methods each National Reference Laboratory (NRL) should
organise comparative tests among the Official National Laboratories. IT NRL for Coagulase Positive Staphylococci, including
S.aureus, organized the Ring Trial to evaluate reproducibility
of methods used in IIZZSS network to detect Staphylococcal
Enterotoxins (Ridascreen SET Total: r-Biopharm RIDAS; Vidas
SET2: BioMérieux VIDAS) in dairy products. Results show a
high level of reproducibility, however only 4 laboratories obtained discordant results.
campioni ciascuno contrassegnato con un numero progressivo
da 1 a 24. Le 4 serie di campioni, differenti solamente per la
numerazione, sono state determinate secondo opportuni criteri
di randomizzazione,. I set sono stati congelati a -20 °C e spediti
ai laboratori, che avevano 30 giorni per eseguire le analisi e
restituire i risultati al NRL. È stata verificata la corrispondenza
tra risultati attesi e ottenuti ed è stato comunicato ad ogni singolo partecipante il risultato ottenuto. I dati sono stati analizzati mediante analisi statistica da parte del BEAR (Biostatistica,
Epidemiologia ed Analisi del Rischio).
Per l’analisi statistica della riproducibilità (o concordanza) è
stato utilizzato il kappa (k) di Cohen. Tale indice consente di
isolare la reale concordanza tra laboratori eliminando invece
la componente imputabile esclusivamente al caso. Il k valuta
esclusivamente la concordanza esistente tra i risultati ottenuti
all’interno di un gruppo di laboratori, indipendentemente dalla
correttezza diagnostica di tali risultati.
Si è provveduto a calcolare per ciascuna combinazione di metodo (RIDAS e VIDAS) e matrice (CHEESE ovvero MILK):
•il kappa, con relativo intervallo di confidenza al 95% (d’ora in
avanti indicato con IC95% oppure con lb-ub) per ciascuna coppia di partecipanti;
•il kappa-combined, complessivo, per l’intera rete dei partecipanti (2);
•il kappa (+IC95%) per ciascun partecipante rispetto all’esito
riportato dalla maggioranza dei partecipanti, relativamente ad
ogni singolo campione (GM).
Infine, si precisa che la numerosità campionaria n=24 è stata
determinata in modo tale che, in caso di perfetta concordanza
tra i risultati forniti da due partecipanti (cioè k = 1), il limite inferiore dell’IC95% fosse pari ad almeno 0.60 ed in caso di una
sola discordanza, lb fosse superiore a 0.40.
Si è provveduto, sempre per ciascuna combinazione di metodo
e matrice, anche a valutare l’accuratezza per ciascun partecipante, calcolando la sensibilità (+IC95%, d’ora in avanti indicata con Se) e la specificità (+IC95%, d’ora in avanti indicata con
Sp), rispetto al contenuto reale dei campioni, Gold Standard
(GS) (1, 2).
Bisogna sottolineare che l’obiettivo del RT era quello di valutare
la riproducibilità tra i partecipanti, pertanto il disegno dello studio è stato condotto in quest’ottica. Dunque è facile prevedere
che l’elaborazione statistica circa la valutazione dell’accuratezza conduca a risultati affetti da un elevato grado di incertezza (ossia con IC95% molto ampli), soprattutto per quanto
concerne la Se, la quale viene calcolata su un esiguo numero
di campioni positivi. D’altra parte è opportuno evidenziare che
il disegno dello studio è stato impostato in modo da mimare la
percentuale di positività riscontrabile in condizioni reali.
INTRODUZIONE: L’Art. 33 del Reg. CE 882/2004 sancisce
che ogni Stato Membro dell’Unione Europea deve istituire un
Laboratorio Nazionale di Riferimento (NRL) per ogni Laboratorio Comunitario di Riferimento (EU-RL). Tra i compiti affidati
al NRL vi sono quelli di collaborare con l’EU-RL, coordinare la
rete nazionale dei laboratori ufficiali nelle tematiche inerenti la
specifica attività e diffondere a livello nazionale le informazioni
provenienti dall’EU-RL. Inoltre il NRL deve organizzare prove
analitiche comparative tra i laboratori nazionali ufficiali al fine di
valutare le performance dei metodi ufficiali utilizzati.
Il NRL per gli Stafilococchi coagulasi positivi, compreso
Staphylococcus aureus, con sede presso l’IZS PLV, coordina la
rete degli IIZZSS nel proprio ambito di competenza.
Questo lavoro descrive il Ring Test (RT) organizzato nel 2011,
per valutare la riproducibilità dei metodi previsti per la determinazione di enterotossine stafilococciche (Ridascreen SET
Total: r-Biopharm RIDAS; Vidas SET2: BioMérieux VIDAS) in
latte e prodotti lattiero-caseari.
MATERIALI E METODI: Il circuito ha interessato 24 laboratori
di cui 23 appartenenti alla rete degli IIZZSS, ripartiti tra sedi e
sezioni periferiche, ed uno dislocato presso l’ANSES (EU-RL
CPS) con sede a Parigi.
Ogni laboratorio partecipante ha ricevuto 12 campioni di latte e
12 campioni di formaggio preparati in doppio cieco. I saggi erano costituiti da 9 campioni negativi e 3 positivi per ogni matrice;
i positivi di latte sono stati ottenuti mediante l’inoculo di latte
UHT con un ceppo di S.aureus produttore di enterotossina tipo
D. La produzione è stata favorita mantenendo il latte per 24 ore
ad una temperatura di circa 37 °C. Parte di questo latte è stato
impiegato per la produzione di formaggette positive presso il
caseificio sperimentale dell’IZS PLV.
Un’aliquota dei campioni di latte e una di formaggio sono state
inviate all’EU-RL CPS per la quantificazione delle enterotossine stafilococciche presenti. I campioni positivi avevano una
concentrazione media di enterotossina pari a circa 5 ng/g.
I 24 set destinati ai laboratori partecipanti, comprendevano 24
69
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
sario indagare i motivi delle discordanze registrate per i 4 partecipanti che hanno fatto registrare discordanze, è stato organizzato
un circuito di follow-up all’interno del quale i suddetti laboratori
hanno ottenuto perfetta corrispondenza tra i risultati ottenuti e
quelli attesi.
Confrontando i risultati raggiunti in questo RT (RT2011) con quelli registrati nel precedente (RT2010), organizzato dall’NRL CPS,
si nota che è aumentato il numero di partecipanti, da 19 dello
scorso RT a 24 del presente. 18 laboratori hanno preso parte ad
entrambi i RT, mentre 6 hanno partecipato per la prima volta nel
2011.
Parallelamente all’aumento dei partecipanti, si è registrato anche
l’aumento dei laboratori con risultati discordanti rispetto al GM: da
2 del RT2010 a 4 del RT2011. Anche rispetto al numero di discordanze si è registrato un sensibile incremento; infatti nel RT2010
erano state registrate complessivamente solo 3 discordanze (11
nel presente RT). I 2 laboratori che lo scorso RT presentarono discordanze, quest’anno sono stati perfettamente concordi rispetto
al GM.
Per quanto riguarda i metodi utilizzati il VIDAS risulta, per il secondo anno consecutivo, il metodo maggiormente impiegato.
Tuttavia, nel RT2011 si è osservato un aumento nel numero di
laboratori che utilizzano il metodo RIDAS (11% nel 2010, 21%
nel 2011).
In termini di riproducibilità (Kappa-combined), si è notato un
complessivo miglioramento dei laboratori che hanno utilizzato il
RIDAS ed un peggioramento di quelli che hanno impiegato il VIDAS. Il lb del Kappa-combined ottenuto da questi laboratori risulta comunque molto elevato.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati comunicati dai partecipanti sono stati inseriti in un database predisposto ad hoc; la Tabella 1 riporta gli esiti comunicati dai partecipanti, il GM ed il GS;
19 partecipanti hanno svolto le analisi con VIDAS mentre solo 5
invece hanno utilizzato RIDAS.
Valutazione della riproducibilità - Analizzando i risultati riguardanti l’accordo per ciascuna delle 276 coppie possibili di partecipanti
(Tabella 2), l’accordo complessivo per l’intera rete diagnostica
(Tabella 3) e l’accordo tra ciascun partecipante rispetto al GM
(Tabella 4), si osserva che esiste un accordo perfetto tra quasi
tutti i partecipanti, infatti solo 4 laboratori (L03, L04, L11 e L23)
hanno fornito dei risultati discordanti rispetto agli altri.
Tutti i confronti fra i restanti laboratori hanno mostrato valori di k
e degli estremi del suo IC95% massimi, compatibilmente con la
numerosità campionaria impiegata (Tabella 2). Di conseguenza,
anche la riproducibilità complessiva dell’intera rete diagnostica è
molto elevata (Tabella 3).
Le discordanze riguardano sia campioni di latte che di formaggio
(Tabella 1) e sono emerse solo in laboratori che hanno utilizzato
il metodo VIDAS.
Valutazione della accuratezza - Nella Tabella 5 sono riportati i
risultati relativi alla correttezza dell’esito fornito da ciascun partecipante distinti per metodo. Si osserva che 20 dei 24 laboratori
hanno raggiunto valori massimi sia per la Se che per la Sp.
Due laboratori non hanno ottenuto valori massimi di Sp, mentre
gli altri due hanno riscontrato difficoltà sia in termini di Se che di
Sp.
L’analisi statistica ha messo in risalto un elevato grado di riproducibilità dei metodi impiegati. Tuttavia poiché si rendeva neces-
Tabella 1: Esiti comunicati dai partecipanti, GM, GS e Matrice
Tabella 2: Kappa di Cohen (+IC95%) per RIDAS+VIDAS e CHEESE+MILK
70
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Tabella 3: Kappa-combined (+IC95%) per ciascun Metodo e Matrice
Tabella 4: Kappa di Cohen (+IC95%) rispetto al GM per RIDAS+VIDAS e CHEESE+MILK
Tabella 5: Accuratezza (Se e Sp) per ciascun Metodo e Matrice
BIBLIOGRAFIA: (1) D.G. Altman. In Practical Statistics for
Medical Research. Chapman & Hall/CRC, London - (UK), 2nd
edition, 1991.
(2)J.L. Fleiss, B. Levin, and M.C. Paik. In Statistical Methods for
Rates and Proportions. John Wiley & Sons, New York - USA),
3rd edition, 2003.
71
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
RISCHI MICROBIOLOGICI ASSOCIATI AL CONSUMO DI LATTE CRUDO:
VALUTAZIONE DELLA PREVALENZA DI VTEC E MRSA NEL PRODOTTO FINITO
Gallina S.[1], Conedera G.[2], Ustulin M.[2], Noli A.[2], Losio M.N.[3], Maccabiani G.[3], Tonucci F.[4], Grande L.[5], Maugliani A.[5],
Corrente M.[6], Ventrella G.[6], Caprioli A.[5], Morabito S.*[5]
Keywords: Latte crudo, Escherichia coli produttori di verocititossina, Pericoli microbiologici
Laboratorio Controllo Alimenti, Istituto Zooprofilattico Sperimentale Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino,
[2]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie – SCT4 Friuli Venezia Giulia ~ Pordenone,
[3]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale Lombardia Emilia Romagna ~ Brescia,
[4]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche ~ Pesaro,
[5]
Istituto Superiore di Sanità ~ Roma,
[6]
Dipartimento di Sanità Pubblica e Zootecnia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università degli Studi “Aldo Moro” ~ Bari
[1]
vendita diretta rispetto al conferimento all’impianto di pastorizzazione. La mancanza di un passaggio di abbattimento termico
della flora batterica, rappresenta tuttavia un motivo di preoccupazione in quanto sussiste la possibilità di contrarre infezioni,
in particolar modo quelle causate da E. coli produttori di Verocitossina (VTEC) e S. aureus meticillino-resistenti (MRSA).
La diffusione del fenomeno ha indotto le autorità sanitarie a
regolamentare, attraverso l’intesa del 25 gennaio 2007 tra Stato, Regioni e Province autonome, i requisiti igienico-sanitari,
le modalità di controllo e i criteri microbiologici per la vendita
diretta al consumatore di latte crudo.
Nel 2009, il Ministero della salute ha finanziato un progetto di
ricerca finalizzata, coordinato dall’Istituto Zooprofilattico delle
Venezie (RF-IZV-2008-1142936), con l’obiettivo di condurre
l’analisi integrata rischio-beneficio collegato al consumo di latte crudo al fine di valutare opportune strategie di educazione
alimentare. In particolare, il progetto si propone la definizione
dei possibili benefici in termini di salute pubblica rispetto agli
effetti nocivi di possibili contaminanti microbiologici e chimici.
Di seguito vengono presentati i dati relativi al monitoraggio di
VTEC e di MRSA in campioni di latte crudo alla distribuzione,
effettuato nel corso del primo anno di attività del progetto.
SUMMARY: The consumption of raw milk in Italy increased since 2004 raising concern for the potential of this food commodity
to cause human infections. In 2009, a research project aiming
at evaluating the risk-benefit linked to the consumption of raw
milk has been initiated, including the detection of VTEC and
MRSA in the end product. Prevalence of about 5% was observed for both the microorganisms following the PCR screening,
which dropped to less than 1% when a cultural approach was
applied. These findings indicate that these pathogens circulate
in the end product representing a risk for the consumer.
INTRODUZIONE: La vendita di latte crudo per il consumo diretto è consentita in Italia a partire dal 2004 quando, con il D.L.
24 giugno 2004, n.157, è stato eliminato il divieto di vendita
precedentemente in vigore.
La vendita al pubblico avviene prevalentemente attraverso
circa 1.500 erogatori automatici, dislocati in tutta la penisola
(Figura 1).
Il latte crudo trova ampi margini di gradimento nei consumatori
essendo presentato come un alimento genuino, naturale e con
proprietà nutrizionali benefiche. Inoltre rappresenta un’opportunità per gli allevatori che realizzano guadagni maggiori con la
Figura 1: Localizzazione dei distributori di latte crudo sul territorio (fonte www.milkmaps.com)
72
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
MATERIALI E METODI: Il campionamento e le analisi sono
state effettuate dalle Unità Operative (UO) IZS delle Venezie,
IZS Umbria e Marche, IZS Piemonte Liguria e Valle d’Aosta,
IZS Lombardia ed Emilia Romagna e dall’Università di Bari.
I campioni sono stati prelevati alla distribuzione o presso i
contenitori del latte di massa e trasportati in condizioni di refrigerazione al laboratorio. In totale, sono stati analizzati 657
campioni di latte per la presenza di VTEC e 554 campioni per
l’identificazione di MRSA (Tabella 1).
La ricerca dei microrganismi di interesse è stata effettuata utilizzando procedure operative standard sviluppate nell’ambito
del progetto. Per la ricerca di VTEC, è stato utilizzato un protocollo finalizzato all’identificazione della presenza di geni di
virulenza (geni codificanti le verocitotossine e l’intimina) e geni
di sierogruppo mediante Real Time PCR, basato sulla metodica definita nella ISO TS 13136 di prossima pubblicazione.
Per l’identificazione di MRSA, è stata valutata la presenza nei
campioni dei geni SA, associati alla specie S. aureus, e mecA,
codifcante la resistenza alla meticillina mediante PCR end
point mediante duplex PCR (1,2). Per entrambi i microrganismi
è stato tentato l’isolamento con metodi colturali dai campioni
positivi allo screening molecolare.
La procedura operativa standard per la ricerca di MRSA è stata messa a punto presso l’UO Università di Bari, mentre la metodica per le fasi di screening ed isolamento di VTEC è stata
sviluppata dall’UO Istituto Superiore di Sanità (ISS). Presso
l’ISS è stata inoltre condotta una valutazione dell’efficienza
di estrazione degli acidi nucleici dai campioni da sottoporre
ad analisi con lo scopo di investigare i fattori che influenzano
la sensibilità delle metodiche molecolari applicate alla ricerca
di patogeni nel latte crudo. Il sistema sperimentale utilizzato
prevedeva l’utilizzo di campioni di latte UHT contaminati artificialmente con quantità note di VTEC O157. I campioni sono
stati allestiti, sottoposti ad estrazione dell’acido nucleico e analizzati utilizzando la metodica distribuita alle UO. Il passaggio
di estrazione è stato effettuato utilizzando i kit commerciali di
estrazione in uso nella routine e basati sull’utilizzo di resine
non immobilizzate (metodi B e C in tabella 2) o di colonnine
pre-assemblate (metodo A in tabella 2). I risultati dell’amplificazione sono stati utilizzati per la quantificazione della perdita
di acido nucleico durante la fase di estrazione per confronto
con rette di calibrazione ottenute mediante amplificazione di
diluizioni seriali di quantità note di un plasmide contenente il
prodotto di amplificazione del gene associato al sierogruppo
O157.
stata seguita dal tentativo di isolamento con metodiche colturali per confermare la presenza del microrganismo nel campione. L’isolamento è stato ottenuto da 5 dei 35 campioni positivi
allo screening molecolare per VTEC (14,3%) e da 6 dei 27
(22,2%) dei campioni positivi per la presenza dei geni SA e
mecA (Tabella 1)
Valutazione dell’efficienza dell’estrazione dell’acido nucleico
da colture di arricchimento.
Il passaggio dell’estrazione dell’acido nucleico rappresenta il
punto critico per l’applicazione dei metodi di screening basati
sulla rilevazione della presenza di geni associati a particolari
microrganismi patogeni e ne influenza direttamente il risultato
finale. Dai risultati dell’analisi quantitativa su campioni contaminati artificialmente con VTEC O157, è emersa un’ampia
variabilità nel recupero dell’acido nucleico con i diversi metodi
utilizzati (Tabella 2). La perdita nel recupero dell’acido nucleico
dai campioni di latte crudo, è stata in ogni caso considerevole, con una resa quantificata nel 3-6,5% utilizzando i protocolli
basati sull’utilizzo di resine non immobilizzate mentre, nel caso
dei campioni trattati con i kit basati sull’utilizzo di colonnine
pre-assemblate, il recupero dell’acido nucleico è stato solo
dello 0,12% (Tabella 2). Queste osservazioni suggeriscono
che lo screening molecolare permetta di identificare come positivi i campioni contenenti tra 6 e 350 unità formanti colonia
(UFC) di VTEC O157 per ml di latte, considerando l’intervallo
delle rese ottenute in fase di estrazione (0,12-6,5%) e il numero di unità genomiche (UG) minime rilevate con il sistema
utilizzato (0,4 UG).
Conclusioni.
I dati sulla presenza di VTEC e MRSA in campioni di latte
crudo ottenuti nel primo anno di attività del progetto hanno
mostrato positività presuntiva per entrambi i microrganismi in
circa il 5% dei campioni analizzati, indicando l’esistenza di un
possibile rischio per il consumatore di contrarre queste infezioni. I dati sulla quantificazione del recupero dell’acido nucleico
nella fase di estrazione, indicano che la prevalenza presuntiva, valutata attraverso l’utilizzo di metodi molecolari, potrebbe
essere sottostimata a causa della non ottimale efficienza nella
fase di estrazione che ad oggi rimane un passaggio limitante
nell’applicazione di queste metodiche. Una bassa performance metodologica potrebbe anche essere alla base delle prevalenze ancora più basse osservate nella fase di isolamento
con metodi colturali. Infatti questi sono caratterizzati da una
sensibilità analitica inferiore rispetto allo screening molecolare,
in particolare se basato sulla Real Time PCR.
In conclusione, il monitoraggio della presenza di VTEC e
MRSA in campioni di latte crudo ha evidenziato la possibilità
che questa matrice possa contenere questi patogeni. Inoltre,
considerando la bassa dose infettante che caratterizza in particolare le infezione causate da VTEC e le quantità di latte crudo erogato giornalmente attraverso i distributori il rischio per il
consumatore rimane non trascurabile.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Ricerca di VTEC e MRSA in
campioni di latte crudo.
I risultati della ricerca di VTEC e MRSA in campioni di latte
crudo hanno mostrato la presenza presuntiva di questi patogeni rispettivamente nel 5,3% e nel 4,9% dei campioni analizzati
(Tabella 1).
La determinazione presuntiva, basata sull’evidenza della presenza dei geni target per ciascun microrganismo patogeno, è
Tabella 1: Presenza di VTEC e MRSA in campioni di latte crudo prelevati alla distribuzione
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Tabella 2: Valutazione del recupero degli acidi nucleici con diversi kit di estrazione commerciali.
UG/rxn= Unità genomiche per reazione
BIBLIOGRAFIA:
1) Murakami K., Minamide W., Wada K., Nakamura E., Teraoka
H. and Watanabe S. (1991) - Identification of methicillin-resistant strains of staphylococci by polymerase chain reaction. J.
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2) Martineau F, Picard FL, Roy PH, Ouellette M., Bergeron MG
(1998) Species-specific and ubiquitous-DNA based assays for
rapid identification of Staphylococcus aureus . J. Clin. Microbiol
36: 618-623.
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RICERCA DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP. PARATUBERCULOSIS VITALE
MEDIANTE CATTURA PEPTIDO-MAGNETICA E TRATTAMENTO CON PROPIDIUM
MONOAZIDE IN CAMPIONI DI LATTE
De Cicco C.*[1], Ricchi M.[1], Garbarino C.[1], Cammi G.[1], Arrigoni N.[1]
Keywords: Latte, Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis, Propidium Monoazide
IZSLER ~ Piacenza
[1]
SUMMARY: The detection of viable cells of Mycobacterium
avium subsp. paratuberculosis (Map) in milk and its derivatives is currently achieved by cultural methods, which are time
consuming and show a lack of sensitivity. In this study we have
developed a new technique to detect viable Map in milk based
on the peptide magnetic separation (PMS) followed by qPCR
after sample treatment with Propidium monoazide (PMA). This
innovative and promising method allowed us to obtain a detection of viable Map by amplification of specific sequence element (target F57).
circa un mese in brodo di coltura Middlebrook 7H9 (Difco), supplementato con OADC (BBL) e Mycobactin J (IDvet). Al termine
dell’incubazione, i brodi sono stati sottoposti a declumpaggio,
mediante agitazione con biglie di vetro, e quindi aliquotati.
Il 50% delle aliquote (100 ml) di Map ATCC 19698 e dei ceppi
di campo sono state sottoposte a trattamento termico (90°C per
15 min) per ottenere una completa inattivazione delle cellule
(4). L’inattivazione è stata confermata dal risultato negativo alla
coltura su terreno di Herrold al tuorlo d’uovo con Mycobactin
J. Ad ogni aliquota, trattata e non, sono stati aggiunti 900 ml di
latte; dopo agitazione le aliquote sono state quindi centrifugate
a 2500 x g per 15 min. Il pellet ottenuto è stato risospeso in 1
ml di PBS-Tween20 (0.05%) e i campioni processati in automatico (Dynal BeadRetriever, Invitrogen) secondo la metodica di
cattura magnetica mediata da peptidi (PMS) che prevede l’aggiunta di 10 ml di biglie paramagnetiche (Dynabeads MyOne
Tosylactivated, Life Technologies) legate a due peptidi biotinilati Map-specifici (aMp3 e aMptD, Research Biochemicals) (6).
Al termine della cattura, i campioni sono stati trasferiti in tubi da
1,5 ml e metà di essi sottoposti a trattamento con PMA. A tal
fine, 1 mg di PMA (Biotium) è stato disciolto in 1,96 ml di DMSO
(20%) per ottenere una soluzione 1 mM. Lavorando in condizioni minime di luce, tale soluzione è stata aggiunta ad ogni
campione per ottenere una concentrazione finale di 25 mM di
PMA. I campioni di controllo sono stati trattati con identici volumi di DMSO (20%). Tutti i campioni sono stati incubati al buio
per 5 min in agitazione rotante e, successivamente, esposti a
lampada alogena (650W) per 2 min, alla distanza di circa 10
cm. Il processo di incubazione e fotoattivazione è stato ripetuto
dopo l’ulteriore aggiunta di PMA per una concentrazione finale
di 50 mM. Al termine, mediante separazione magnetica, il PMA
non legato è stato rimosso e le biglie risospese in buffer di lisi,
con successiva fase di estrazione del DNA secondo il protocollo del DNeasy Blood and Tissue kit (Qiagen).
Il DNA estratto è stato processato mediante F57 qPCR (per
le sequenze dei primers rif. (7), la sequenza della sonda è 5’3’ TCCAGGAACGCTTGGCACTCG). Le reazioni di PCR sono
state eseguite in StepOne Plus System (Life Technologies).
La significatività statistica è stata valutata mediante ANOVA
one way.
INTRODUZIONE: La Paratubercolosi è una malattia cronica,
infettiva e contagiosa che colpisce prevalentemente i ruminanti
domestici e selvatici, causando gravi lesioni intestinali granulomatose, responsabili di perdita di peso, diarrea, ridotta produzione di latte e morte. L’agente eziologico è Mycobacterium
avium subsp. paratuberculosis (Map), implicato, secondo alcuni studi, anche nello sviluppo della malattia di Crohn dell’uomo
(1). La disponibilità di metodi veloci in grado di valutare la vitalità delle cellule di Map eventualmente presenti negli alimenti,
in particolare latte e formaggi, potrebbe essere di valido ausilio
per la gestione del rischio in sicurezza alimentare.
La metodica classica che consente di rilevare cellule vitali di
Map è rappresentata dall’esame colturale su terreni liquidi e
solidi, i cui limiti sono però rappresentati dai lunghi periodi di
incubazione previsti per la crescita di Map, nonché dalla possibile perdita di sensibilità del rilevamento dovuta ai procedimenti
preliminari di decontaminazione chimica. Un ulteriore limite è
legato al fenomeno del clumping, ovvero la tendenza a formare
aggregati cellulari (clumps) tipica di Map, che comporta una
stima inferiore del numero di colonie rispetto al valore reale (2).
D’altra parte, l’applicazione della PCR Real Time permette di
rilevare e quantificare il micobatterio in tempi rapidi, ma non di
discriminare le cellule vitali da quelle non vitali.
Lo scopo del nostro studio è stato quello di sviluppare un metodo basato su qPCR in grado di rilevare la vitalità di cellule di
Map in una matrice complessa quale il latte.
MATERIALI E METODI: La tecnica prevede una fase di cattura
di Map da latte sperimentalmente contaminato, seguita da trattamento con un intercalante del DNA, il Propidium Monoazide
(PMA), in grado di penetrare unicamente nelle cellule con parete danneggiata. L’esposizione del campione alla luce induce
la fotoattivazione del PMA che genera legami covalenti col DNA
di Map inibendo la sua amplificazione in PCR (3, 4). Abbiamo
associato tale procedura ad una qPCR che ci ha consentito di
rilevare in modo specifico le cellule di Map, essendo il target
F57 una sequenza presente in Map e assente nelle altre specie
batteriche (5).
Il nostro studio è stato condotto impiegando 3 ceppi diversi di
Map; uno di riferimento (ATCC 19698) e 2 di campo (917/11
e 653/11), isolati da feci bovine presso il Centro di Referenza
Nazionale per la Paratubercolosi. I ceppi sono stati coltivati per
RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati relativi al numero di
cicli soglia (ct) per i tre ceppi di Map sono mostrati in figura 1.
In seguito al trattamento con PMA, le cellule di Map mostravano un numero di ct statisticamente maggiore dopo trattamento
termico (A) rispetto alle cellule non inattivate termicamente trattate e non con PMA (C e D). Inoltre, i valori dei ct delle cellule
trattate termicamente con PMA erano statisticamente superiori
anche a quelli ottenuti con cellule inattivate, ma non trattate
con PMA (B). Tutti e tre i ceppi hanno mostrato il medesimo
andamento.
Al contrario, i valori di ct delle cellule non inattivate, in pre75
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
senza o meno di PMA (C e D), non hanno mostrato differenze
statisticamente significative ed erano simili a quelli delle cellule
inattivate senza PMA.
Più in dettaglio (Fig.2), le differenze tra i valori di ct ottenuti per
le cellule termicamente inattivate e quelle non inattivate, trattate
entrambe con PMA (Dct A-C), sono state pari a circa 4-5 cicli
soglia. Analogo risultato è stato ottenuto per le cellule termicamente inattivate, trattate e non con PMA (Dct A-B), mentre le differenze, in termini di cicli soglia, tra le cellule non termicamente
inattivate trattate e non con PMA (Dct C-D) sono risultate inferiori
a 1,6 ct..
I nostri dati, seppur preliminari, suggeriscono come la metodica
da noi proposta possa essere utilizzata per la ricerca di Map vitale in matrici complesse. L’aspetto innovativo è rappresentato
dall’accoppiamento tra la cattura peptido-magnetica e il trattamento con PMA. Infatti, se la cattura permette la rilevazione di
Map da matrici complesse (latte), il trattamento con PMA permette di identificare cellule vitali di Map.
Il vantaggio principale di tale approccio rispetto ai metodi colturali
è rappresentato dalla velocità di esecuzione (1 giorno lavorativo).
Tuttavia, ulteriori studi sono necessari per valutare sia il limite di
rilevabilità in matrici complesse come il latte e i suoi derivati.
Figura 1. Confronto fra tre diversi ceppi di Map sottoposti a trattamento con PMA basato sui valori dei cicli soglia (ct). I risultati
sono espressi come media ±DS. *(p<0,01 vs altri trattamenti)
Figura 2. Confronto fra tre diversi ceppi di Map sottoposti a trattamento con PMA basato sulle differenze dei valori dei cicli
soglia (Dct). I risultati sono espressi come media ±DS. *(p<0,01 vs altre differenze di trattamenti)
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
BIBLIOGRAFIA: 1. Autschbach F, Eisold S, Hinz U, Zinser
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combination of Mini-and Microsatellite loci to sub-type Mycobacterium avium subsp. paratuberculosis Italian type C isolates. BMC Vet Res. 7:54.
77
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
STUDIO DELL’ATTITUDINE A FORMARE BIOFILM DI CEPPI DI LISTERIA
MONOCYTOGENES ISOLATI DA ALIMENTI, DA AMBIENTI DI LAVORAZIONE
DEGLI ALIMENTI E DA CASI CLINICI UMANI.
Caruso M.*[1], Latorre L.[1], Botticella G.[1], Zippone V.[1], Palazzo L.[2], Fraccalvieri R.[1], Santagada G.[1], Parisi A.[3]
Keywords: Listeria monocytogenes, Multi-Locus Sequence Typing, Biofilm
IZS Puglia e Basilicata ~ Matera, [2]IZS Puglia e Basilicata ~ Potenza, [3]IZS Puglia e Basilicata ~ Putignano (BA)
[1]
SUMMARY: In this survey 123 Listeria monocytogenes isolates
from foods and human were investigated for the capacity of
forming biofilm taking into account their serotypes and genotypes. A statistically significant difference was identified among
different serotypes and Sequence Types (ST). Serotypes are
too large to represent the variability present in the population.
MLST was able to identify homogeneous groups (STs) in relation to their ability to form biofilm, ST9, 121 and 155 showed a
better ability in biofilm formation than ST2.
valori medi di OD e quelli di deviazione standard (ds) dei sei
pozzetti di ciascun ceppo. Successivamente, per ogni ceppo,
è stata calcolata la media dei tre valori di OD ottenuti da ciascun esperimento e la relativa ds . I risultati sono stati analizzati
attraverso ANOVA ad una via seguito da Tukey test (limite di
significatività: P<0,05).
RISULTATI E CONCLUSIONI: In funzione dei risultati ottenuti sono state individuate 3 categorie di isolati: OD <300,
300<OD<400, OD>400. Sono stati analizzati 79 ceppi isolati da
alimenti, 19 da ambienti di lavorazione alimenti e 25 da uomo.
Non sono state evidenziate differenze significative nella produzione di biofilm tra i ceppi di isolamento alimentare, ambientale
e umano. Gli isolati analizzati appartenevano ai sierotipi 1/2a
(n=33), 1/2b (n=22), 1/2c (n=18), 4b/4e (n=27), 3a (n=18) e
3b (n=5). Differenze statisticamente significative sono state
riscontrate tra i ceppi del sierotipo 4b/4e e quelli dei sierotipi
1/2a, 1/2c e 3a (P<0,05) e 1/2b (P<0,01).
La Figura 1 illustra la valutazione filogenetica mediante Minimum Spanning Tree dei dati MLST, il colore codifica per il valore di OD ottenuto. I ceppi appartenenti al ST 2 producevano
una quantità di biofilm significativamente minore rispetto agli
isolati appartenenti ai ST121 e 155 (P<0,01) e ST9 (P<0,05).
I risultati evidenziano che i ceppi di L. monocytogenes presentano una elevata variabilità nella capacità di produrre biofilm,
in accordo con quanto rilevato da altri autori in studi condotti
con metodi analoghi (1,3).
I dati ottenuti sono stati impiegati per verificare se la capacità
di produrre biofilm fosse correlata alla matrice di isolamento,
al sierotipo o al ST.
L’analisi di varianza non ha evidenziato differenze significative
fra gli isolati in funzione della origine, come osservato da altri
autori (4), mentre differenze significative sono state riscontrate confrontando i ceppi appartenenti ai diversi sierotipi e ST.
In particolare, il sierotipo 4b/4e ha mostrato una produzione
di biofilm significativamente inferiore rispetto agli altri sierotipi.
Per quanto riguarda il ST è stato rilevato che i ceppi appartenenti al ST2 producevano biofilm in quantità significativamente
minore rispetto a quelli dei ST9, 121 e 155.
Sebbene differenze significative siano state riscontrate tra i
diversi sierotipi, questi rappresentano raggruppamenti troppo
ampi e scarsamente rappresentativi della variabilità genetica
della specie L. monocytogenes. Peraltro va considerato che
stipiti identici dal punto di vista genetico possono esprimere fenotipi sierologici differenti, come il caso del ST155 e del ST121
al quale appartengono isolati di sierotipo 1/2 e 3a.
La procedura standardizzata in questo studio può rappresentare un valido strumento per indagare le capacità di formare
biofilm negli isolati clinici ed alimentari. E’ interessante notare
che i genotipi che mostravano una migliore attitudine alla formazione di biofilm sono quelli che presentavano una maggiore
prevalenza negli alimenti a testimonianza che questa caratte-
INTRODUZIONE: Listeria monocytogenes è un batterio Gram
positivo responsabile della listeriosi nell’uomo e negli animali.
La malattia si contrae essenzialmente attraverso l’assunzione
di alimenti contaminati, e desta particolare preoccupazione a
causa dell’elevato tasso di mortalità.
La contaminazione degli alimenti è spesso legata agli ambienti
di lavorazione degli stessi dove L. monocytogenes è in grado
di persistere a lungo grazie alla capacità di sopravvivere in presenza di stress chimico-fisici e di formare biofilm (8). Una volta
organizzata in biofilm, L. monocytogenes risulta particolarmente resistente agli stress ambientali, agli agenti antimicrobici ed
agli interventi di sanitizzazione e può rappresentare un’importante fonte di contaminazione secondaria degli alimenti (8).
Numerosi studi hanno indagato la relazione tra la capacità di
produrre biofilm e talune caratteristiche sia fenotipiche che genetiche dei diversi ceppi di L. monocytogenes anche se con
risultati contrastanti (1,2,5,6).
Scopo del presente lavoro è stato, pertanto, quello di valutare
la capacità di produrre biofilm da parte di ceppi di L. monocytogenes provenienti da alimenti, da impianti di lavorazione degli
alimenti e dall’uomo tenendo conto della loro caratterizzazione
sierotipica e genetica oltre che della fonte di isolamento.
MATERIALI E METODI: Sono stati saggiati 123 ceppi di L. monocytogenes selezionati tra quelli in collezione e stratificati in
funzione del sierotipo, del genotipo (Sequence Type - ST) e,
nell’ambito di ciascun sierotipo, quando possibile, in funzione
della matrice di isolamento. Tutti i ceppi sono stati caratterizzati, attraverso sierotipizzazione e Multi-Locus Sequence Typing
(MLST). Gli isolati sono stati sottoposti a due passaggi a 37°C
per 24 ore in Tryptone Soy Broth (TSB) + glucosio all’1%; 20
ul delle colture allestite sono stati inoculati in sei pozzetti di
piastre sterili da microtitolazione in polistirene non trattate contenenti 230 ul di TSB + glucosio all’1%, come precedentemente
descritto (2,6). La valutazione quantitativa della formazione di
biofilm da parte dei ceppi testati, è stata ottenuta decolorando
i pozzetti con 250 ul di acido acetico glaciale al 33% v/v e
trasferendo 100 ul della soluzione così ottenuta in piastre da
microtitolazione Sero-Wel®, sulle quali è poi stata effettuata la
lettura della densità ottica (OD) a 570nm.
La prova è stata ripetuta per tre volte effettuando tre esperimenti indipendenti. Per ogni esperimento sono stati calcolati i
78
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
ristica può costituire un vantaggio per tali isolati a persistere
negli ambienti di lavorazione degli stessi e probabilmente a
contaminare gli alimenti.
In conclusione, una dettagliata valutazione genetica è indispensabile quando si vogliano valutare le attitudini fenotipiche
di un’intera popolazione all’interno della quale possono evidentemente essere rappresentati sottogruppi in grado di esibire
una grande varietà di comportamenti. A tal proposito l’analisi MLST sembra attualmente costituire un criterio in grado di
identificare gruppi nella popolazione di L. monocytogenes che
posseggono una certa omogeneità di comportamento, evidenziando quei genotipi che significativamente si distinguono per
l’abilità a formare biofilm (7,8).
BIBLIOGRAFIA: 1. Borucki, M. K., J. D. Peppin, D. White,
F. Loge, and D. R. Call. 2003. Variation in biofilm formation
among strains of Listeria monocytogenes. Appl.Environ.Microbiol. 69:7336-7342.
2. Di Bonavenura G., R. Piccolomini, D. Paludi, V. D’Orio, A.
Vergara, M. Conter, and A. Ianieri. 2008. Influence of temperature on biofilm formation by Listeria monocytogenes on various
food-contact surfaces: relationship with motility and cell surface
hydrophobicity. J.Appl.Microbiol. 104:1552-1561.
3. Djordjevic, D., M. Wiedmann, and L. A. McLandsborough. 2002. Microtiter plate assay for assessment of Listeria
monocytogenes biofilm formation. Appl.Environ.Microbiol.
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5. Kalmokoff, M. L., J. W. Austin, X. D. Wan, G. Sanders, S.
Banerjee, and J. M. Farber. 2001. Adsorption, attachment and
biofilm formation among isolates of Listeria monocytogenes
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7. Parisi, A., L. Latorre, G. Normanno, A. Miccolupo, R. Fraccalvieri, V. Lorusso, and G. Santagada. 2010. Amplified Fragment Length Polymorphism and Multi-Locus Sequence Typing
for high-resolution genotyping of Listeria monocytogenes from
foods and the environment. Food Microbiology 27:101-108.
8. Renier, S., M. Hebraud, and M. Desvaux. 2011. Molecular
biology of surface colonization by Listeria monocytogenes: an
additional facet of an opportunistic Gram-positive foodborne
pathogen. Environ.Microbiol. 13:835-850.
Ringrazimenti: Si ringraziano per la collaborazione tecnica
Bulzacchelli A., Giannico A, Silvestri E..
Lavoro finanziato dal Ministero della Salute (Ricerca Corrente
IZSPB006/10)
79
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
UTILIZZO DI FAGI COME AGENTI BIO-DECONTAMINANTI IN PRODOTTI CASEARI
Maccabiani G.*[1], Zanardini N.[1], D’Amico S.[1], Galuppini E.[1], Pavoni E.[1], Finazzi G.[1], Giuradei F.[1],
Losio N.[1], Varisco G.[1]
Keywords: bacteriophages, listeria monocytogenes, biodecontaminants
IZSLER ~ Brescia
[1]
nuti con 100 µl di soluzione di L. monocytogenes e, al termine
dell’incubazione, ciascuna diluizione è stata piastrata su PCA
agar, utilizzando 5 ml di terreno LB semisolido. Le piastre così
ottenute sono state incubate a 30°C per 48 ore; dopodiché si è
proceduto alla determinazione del titolo contando il numero di
placche di lisi formatesi per ciascuna diluizione, esprimendolo
in UFP/ml.
Latte parzialmente scremato a lunga conservazione - La prova
è stata suddivisa in tre test per conoscere il limite massimo
della capacità d’azione del fago IZS100 nei confronti di L. monocytogenes, usando concentrazioni diverse del patogeno e
del fago. Sono stati utilizzati 3 titoli di L. monocytogenes e fago,
rispettivamente nel primo test 108 UFC/ml e 1010 UFP/ml; nel
secondo test 105 UFC/ml e 105 UFP/ml; nel terzo 103 UFC/ml
e 103 UFP/ml, oltre ad un controllo positivo costituito solo dal
patogeno. I prelievi sono stati effettuati al tempo zero, dopo 12
e 24 ore.
Formaggio fuso - Ogni porzione (20 gr. circa) è stata immersa
in una soluzione (400 ml) di L. monocytogenes 104 UFC/ml
per 6 minuti. Dopo essere state asciugate a temperatura ambiente, alcune porzioni di formaggio fuso sono state immerse
in una soluzione (200 ml) di fago IZS100 5*108 UFP/ml per 3
minuti; le restanti porzioni che non hanno subito tale trattamento sono servite da campioni di controllo. Tutte sono state confezionate e conservate a 5°C. Per ogni campionamento è stata
prelevata una porzione di campione trattato col fago IZS100 e
una di campione non trattato ed omogeneizzati in 40 ml di una
soluzione di Tween al 6% in APT tramite l’utilizzo di uno stomacher. I campionamenti, oltre che al tempo zero, sono stati
effettuati dopo 12 e 24 ore (T1 e T2), e dopo 7, 15, 25, 40, 50
e 65 giorni di conservazione a 5°C.
Taleggio D.O.P. - 3 forme di taleggio DOP sono state contaminate per immersione (10-15 minuti) con una sospensione di
L. monocytogenes 107 UFC/ml. Una volta estratte sono state
lasciate ad asciugare all’aria per 10-15 minuti, in modo da ottenere una concentrazione superficiale pari a circa 105 UFC/
cm2. Successivamente, la metà delle forme sono state irrorate (campioni trattati) con una soluzione di fago IZS100 (300
ml circa), con titolo pari a 107 UFP/ml. Dopo averle lasciate
asciugare all’aria, tutte le forme sono state accuratamente reincartate e poste in frigo termostato a 5°C. I campionamenti
sono stati effettuati al tempo zero, e dopo 7, 14, 21 e 28 giorni.
In questo caso, per ogni campionamento, si è preceduto di volta in volta a prelevare ¼ di forma, la cui superficie è stata lavata
utilizzando 100 ml di una soluzione di Tween al 6% in APT.
SUMMARY: In recent years decontamination processes and
“functional packaging” have been developed to assure healthy
and quality food products. Substances considered “biodecontaminants” are the bacteriocins, molecules produced by lactic
bacteria strains able to inhibit the growth of pathogen bacteria.
Moreover, bacteriophages are considered potentially biodecontaminants, thanks to their ability to selectively kill bacteria
strains. In this work, the behavior of the phage IZS100 against
Listeria monocytogenes have been evaluated in dairy products.
INTRODUZIONE: La maggiore richiesta di sicurezza dei prodotti e di informazione sulle condizioni dell’alimento hanno stimolato, da un lato, lo sviluppo di prassi di decontaminazione
che applicate in fase di trasformazione, siano in grado di abbattere la presenza di microrganismi patogeni nel preparato
alimentare e, dall’altro lato, lo sviluppo dei cosiddetti “imballaggi funzionali”, in grado di interagire con il prodotto alimentare o
con l’ambiente circostante all’interno della confezione, ai fini di
prolungare la conservabilità o mantenere o migliorare le condizioni dei prodotti imballati.
Tra i principali biodecontaminanti sono note le batteriocine, molecole anfifiliche prodotte da alcune specie di batteri lattici, dotate di attività inibitoria (litica-lisogenica) nei confronti di alcuni
batteri patogeni gram positivi e gram negativi (2). Altra possibile tecnica di biodecontaminazione prevede l’utilizzo di batteriofagi a tropismo specifico: gli studi per il loro utilizzo come
biodecontaminanti negli alimenti si sono intensificati solamente
nell’ultimo decennio come conseguenza del sempre più crescente fenomeno della resistenza alle terapie antibiotiche da
parte dei batteri (1). Obiettivo del presente lavoro è stato quindi
valutare il comportamento di un fago specifico contro Listeria
monocytogenes, denominato IZS100 all’interno di diverse matrici che potrebbero influirne l’attività (per la presenza di flore
batteriche naturalmente presenti; per le temperature di conservazione; per i valori di pH) al fine di un possibile impiego per
l’allestimento di un imballaggio funzionale
MATERIALI E METODI: Gli alimenti in esame sono stati contaminati con Listeria monocytogenes ceppo IZSLER 129659/4
(id. Riboprinter DUP 1039). La soluzione di batteriofago IZS100
è stata ottenuta infettando una coltura batterica di L. monocytogenes in fase di crescita esponenziale. Dopo 48 ore a 30°C la
produzione è stata filtrata per ottenere il batteriofago e successivamente titolata.
Modalità di conta - In tutte le prove il titolo della L. monocytogenes è stato calcolato eseguendo delle diluizioni seriali in base
10 del ceppo batterico. Successivamente sono stati piastrati
100 µl di ciascuna diluizione su ALOA agar e, dopo averle incubate in aerobiosi per 48 ore a 37°C, si è proceduto alla numerazione per ricavarne il titolo, calcolato sia sui campioni trattati,
che sui campioni non trattati (controlli positivi). Il titolo è stato
poi espresso in UFC/ml. Per ottenere il titolo del fago IZS100,
per ciascun campione trattato si è proceduto con la diluizione
seriale in base 10 della soluzione in esame. Successivamente
1 ml di ciascuna diluizione è stato messo a contatto per 45 mi-
RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati sono mostrati nelle
figure allegate (figura 1,2,3).
Con la prima parte di questo lavoro è stato dimostrato come il
fago IZS100 sia in grado di svolgere la sua funzione contro il
patogeno L. monocytogenes all’interno di una matrice alimentare liquida, quale il latte parzialmente scremato a lunga conservazione ad una temperatura di 4°C. Si é evidenziato che
il fago IZS100 è in grado di svolgere la propria attività batteriostatica già dopo poco tempo dalla sua aggiunta all’interno
80
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
dell’alimento e di protrarla nel tempo anche dopo 48 ore. Infatti,
già al tempo zero, il fago é in grado di abbattere il patogeno,
indipendentemente dal titolo di partenza di quest’ultimo. La migliore attività del fago IZS100 nei confronti della L. monocytogenes è svolta usando concentrazioni superiori a 107 UFP/ml.
Nel caso del formaggio fuso, quindi in una matrice più complessa, i dati dimostrano che L. monocytogenes viene mantenuta sotto controllo dall’effetto battericida del fago. Infine, nella
terza parte della sperimentazione sono state utilizzate forme di
Taleggio DOP per rendere i risultati sperimentali il più possibile
rappresentativi della situazione reale di commercializzazione
e conservazione di un alimento. Infatti la matrice solida risulta
molto più complessa rispetto alle porzioni di formaggio fuso, in
quanto presenta una superficie irregolare e ruvida (crosta), la
presenza di flore batteriche naturalmente presenti nell’alimento
e valori di pH più bassi. Nonostante l’introduzione delle suddette variabili, il fago IZS100 ha confermato i risultati ottenuti
in precedenza. I risultati presentati in questo lavoro evidenzia-
no come la concentrazione e soprattutto l’attività del fago si
mantengano costanti per tutto il periodo preso in esame nelle
sperimentazioni affrontate. Inoltre é evidenziato come la temperatura di conservazione non alteri l’attività del batteriofago
nei confronti di L. monocytogenes, ma i suoi effetti inibitori
sono fortemente dose dipendente. In definitiva, il fago IZS100
rappresenta un vero e proprio agente naturale “anti- Listeria”.
Tali risultati forniscono un piccolo passo verso l’eventuale
omologazione dell’utilizzo dei fagi come decontaminanti negli
alimenti e nei loro processi di trasformazione; appare quindi
logica una futura applicazione dei fagi come valido contributo
alla tutela della salute pubblica. Una possibile strategia da sviluppare potrebbe essere l’uso combinato di flore lattiche e fagi
in uno stesso alimento: le prime all’interno dello stesso producono batteriocine contro uno o più patogeni target, i secondi
potrebbero essere assorbiti agli imballaggi funzionali selettivi
contro gli stessi patogeni bersaglio delle batteriocine o addirittura verso altri diversi patogeni.
81
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
2. V.Raffi, M.C. Ossiprandi (2006) “Bacteriocins:Evolution,
Ecology and practice application”Ann.Fac.Medic. Vet. di Parma
(Vol XXVI) 235-246.
BIBLIOGRAFIA: 1. Hagens S. and Loessner M.J. “Application
of Bacteriophages for deteption and control of foodborne pathogens” Appl. Microbiol. Biotechnol, 76: 513-519 (2007)
82
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
ENTERIC VIRUSES AND OTHER EMERGING PATHOGENS IN SEAFOOD
Le Guyader S.F.[1], Le Saux J.[1], Ruvoen-clouet N.[2], Hervio-heath D.[1], Le Pendu J.[2]
IFREMER, Laboratoire de Microbiologie, Nantes, France,
INSERM-Universite de Nantes-CNRS-Oniris, Nantes, France
[1]
[2]
Human and animal feacal wastes and urine contain a large
number of different micro-organisms that can enter the environment through the discharge of waste materials from infected individuals. Despite the high diversity of microbes and
parasites that are introduced into the environment by fecal pollution, only a few have been recognized to cause disease in
association with consumption of contaminated shellfish. With
increasing human development in coastal areas, emerging diseases, habitat destruction and global climate changes, the
challenges associated with managing microbial contamination
and shellfish safety continues to evolve.Shellfish filter large
volumes of water during their feeding, and in the process they
concentrate small particles containing micro-algae and microorganisms, such as parasites, bacteria and viruses. The practice of consuming either raw or undercooked shellfish can lead
to transmission of disease caused by human or animal pathogens present in the shellfish. Nowadays, enteric viruses, pathogenic vibrio species, and fecal-borne bacterial pathogens
are the main causes of shellfish-borne disease. These microorganisms have widely different properties, sources, virulence
factors, and fate in the environment. For example parasite,
such as Toxoplasma gondii, Giardia lamblia and Cryptosporidium parvum may be transmitted by sewage polluted waters
and some have been detected in shellfish worldwide, without
any reported outbreak yet. Bacterial outbreaks are much more
common and were one of the first identified.Even in the 1800s,
outbreaks of typhoid fever and cholera were associated with
shellfish consumption. Faecal-borne bacteria are found in the
gastrointestinal tracts of a wide range of organisms, including
humans, all livestock and poultry, a wide range of rodents, waterfowl, other birds and other wild animals, and marine fish.
Many of these species can also persist and even grow outside
of the host in the natural environment, including coastal areas.
However the set up of regulations in different countries based
of faecal coliforms or Escherichia coli detection decreased significantly occurrence of bacterial outbreaks. However other
bacteria such as marine vibrio are still a challenge for shellfish
safety. Vibrio is comprised of bacteria found free-living in marine environments and at elevated levels in association with a
variety of eukaryotic hosts, including shellfish and seaweeds.
They play key roles in marine ecosystem but they also constitute a group of pathogens, primarily of shellfish and fish, thou-
gh the human pathogens are notable. Of particular concern are
Vibrio cholerae, Vibrio vulnificus and Vibrio parahaemolyticus,
which cause severe diarrheal disease, gastroenteritis, wound
infections, and septicemia. The challenge for vibrio detection
in shellfish is discrimination between pathogenic and non pathogenic strains based on molecular identification of genes.
Nowadays in Europe, and in many other countries worldwide,
most of shellfish-borne outbreaks are due to viruses. Human
enteric viruses such as hepatitis A virus or norovirus may be
present in shellfish in very low numbers, nevertheless, in sufficient quantities to pose a health risk. The most common route
for accidental contamination is after heavy rainfall, leading to
overflow and release of untreated sewage into the aquatic environment. To limit shellfish contamination the most desirable
and effective option is to reduce the viral input as treatments
to eliminate virus from shellfish tissue are not efficient. Noroviruses are the main agents of gastroenteritis in humans and
the primary pathogens of shellfish-related outbreaks. Some
norovirus strains bind to shellfish tissues using carbohydrate structures similar to their human ligands, leading to the
hypothesis that such ligands may influence bioaccumulation.
Bioaccumulation efficiency and tissue distribution in oysters
(Crassostrea gigas) of three strains from the two principal
human norovirus genogroups demonstrated clear differences
between strains. For example for some strains, bioaccumulation specifically occurred in digestive tissues in a dose-dependant manner and its efficiency paralleled ligand expression,
which was highest during the cold months. In comparison,
other norovirus strains, were poorly bioaccumulated and were
recovered in almost all tissues without seasonal influence,
while other strains presented an intermediate behavior, without seasonal effect and a lower bioaccumulation efficiency.
Carbohydrate ligand specificities of the strains at least partly
explain the strain-dependent bioaccumulation characteristics.
To complement this approach, analysis of shellfish related
outbreak data worldwide show an unexpected high proportion
of some norovirus strains. These observations contribute to
explain the bias observed in shellfish-related outbreaks compared to other outbreaks.
We can conclude that oysters are not just passive filter, but
can selectively accumulate norovirus strains based on virus
carbohydrate ligands shared with humans.
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
VALUTAZIONE DEL VIRULOTIPO DEI SIEROTIPI DI SALMONELLA ENTERICA ISOLATE
IN CAMPANIA DA ALIMENTI E DA PAZIENTI OSPEDALIZZATI
Proroga Y.T.*[1], Esposito S.[1], Veneri M.R.[2], Campagnuolo R.[3], Cuccurullo S.[4], Conte M.[4], Guarino A.[1], Capuano F.[1]
Keywords: Salmonella enterica, virulotyping, PCR
Istituto Zooprofilattico S. del Mezzogiorno, Dip.to Ispezione degli Alimenti, Ce.Pi.T.Sa. ~ Portici (NA),
[2]
Ospedale S.Leonardo ~ Gragnano (NA),
[3]
Az. Ospedaliera Santobono Pausilipon ~ Napoli, [4]Az. Ospedaliera dei Colli ~ Napoli
[1]
SUMMARY: Salmonella pathogenicity depends on a variety
of virulence factors that help the pathogen in adhesion and
invasion mechanisms. In this study the detection of 12 loci
encoding for virulence factors in Salmonella enterica was
carried out. A total of 90 Salmonella strains were analyzed
from July 2010 to June 2012; 49 strains were S. Enteritidis, 22 were S. Typhimurium and the remaining 14 were S.
4,5,12:i:-. Salmonella strains were of human origin (77%) or
isolated from food (23%). Forty-six different virulence profiles were detected, S. Enteritidis showed a dominant profile
of virulence while S. Typhimurium and S. 4,5,12:i:- showed
higher variability.
MATERIALI E METODI: In totale sono stati esaminati 249 stipiti batterici, di cui 90 appartenenti ai sierotipi di nostro interesse (49 S. Enteritidis, 27 S. Typhimurium e 14 S. 4,5,12:i:-). La
maggior parte degli isolati erano d’origine umana (71/90), in
quanto i tre sierotipi indagati, pur se di comune riscontro negli
alimenti, costituiscono solo il 12,5 % del totale dei nostri isolati
nel triennio Luglio 2010 – Giugno 2012, mentre sono il 77%
degli isolati d’origine umana raccolti nello stesso periodo dal
Centro Pilota per la Tipizzazione della Salmonella (CePiTSa)
della Regione Campania. I ceppi di origine umana, sono stati
isolati presso: Ospedale San Leonardo - Gragnano (NA) (n =
10); Ospedale Santa Maria delle Grazie - Pozzuoli (NA) (n = 9);
Azienda Ospedaliera Santobono (NA) (n = 10); Azienda Ospedaliera Monaldi (NA) (n = 3); Azienda Ospedaliera D. Cotugno
(NA) (n = 38), e venivano consegnati al CePiTSa nell’ambito
del programma di sorveglianza ENTER-NET. I ceppi d’origine
alimentare sono stati isolati presso i laboratori di microbiologia degli alimenti dell’IZSM seguendo il protocollo ISO 6579,
utilizzando quali terreni selettivi xylose–lysinedesoxycholate
(Oxoid) e salmonella chromogenic agar (Oxoid). Le colonie sospette venivano identificate mediante test biochimici (API 20 E
e VITEK - Biomerieux) e tramite amplificazione del gene invA
(2).
Sierotipizzazione: è stata eseguita attraverso la caratterizzazione degli antigeni somatici (O) e flagellari (H), utilizzando rispettivamente antisieri della Statens Serum Institut (Dk) e della
Difco (USA). Per il test si è adottata la metodica di agglutinazione su vetrino, seguendo lo schema di Kauffmann-White (8). I
ceppi di controllo (S.Typhimurium e S. blokley) sono stati forniti
dal Centro di Referenza Nazionale Salmonellosi. Per l’identificazione della S. 4,5,12:i- si è inoltre eseguito il test molecolare
descritto dal Centro di Referenza Nazionale Salmonellosi.
Virulotipo: l’amplificazione dei 12 loci indagati è stata eseguita
seguendo i protocolli indicati in tabella 1.
INTRODUZIONE: La patogenicità di Salmonella enterica
subsp. enterica è influenzata dalla presenza di numerosi fattori che ne condizionano la virulenza, determinandone, tra
l’altro, la capacità di resistere alla fagocitosi o di penetrare nelle cellule epiteliali. Queste capacità conseguono alla
presenza di geni presenti in plasmidi (Salmonella Virulence
Plasmids – SVPs) o nel cromosoma batterico, generalmente
raggruppati in zone definite isole di patogenicità (Salmonella Pathogenicity Islands – SPI). I tre sierotipi di Salmonella
enterica considerati a maggior impatto sanitario in Italia (4)
sono S. Enteritidis, S. Typhimurium e la variante monofasica di S. Typhimurium (S. 4,5,12:i:). L’indagine intendeva
verificare la patogenicità dei ceppi sopra indicati mediante
la valutazione della presenza di 12 loci codificanti per fattori
di virulenza riconosciuti, gipA, gtgB, sopE, sspH1, sspH2,
sodC1, gtgE, spvC, pefA, mig5, rck, srgA, distribuiti lungo
il cromosoma batterico (gipA, gtgB, sopE, sspH1, sspH2,
sodC1, gtgE,) o in plasmidi di virulenza (spvC, pefA, mig5,
rck, srgA) e verificare le correlazioni tra i profili di virulenza dei ceppi isolati dagli alimenti e quelli causa di malattia
nell’uomo.
84
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
RISULTATI E CONCLUSIONI: I geni ricercati sono risultati presenti, nell’insieme degli stipiti indagati (n=90), con prevalenza
che oscillava dal 1,1% (gtgE) al 93,3% (sspH2) (Tab. 2). Tra i
loci di maggior riscontro segnaliamo gtgB (89%), sodC1 (80%),
sopE (63,3%). Nessun isolato di S. 4,5,12:i:- presentava i 5 loci
di virulenza d’origine plasmidica né gtgE. I suddetti geni erano
assenti anche nella maggior parte degli isolati di S. Typhimurium. Le maggiori differenze in relazione alla fonte d’isolamento
(uomo o alimenti) si è registrata per sspH1 e spvC che, negli
isolati umani avevano prevalenza del 25,3% e 4,2 % rispettivamente; gli stessi loci negli isolati da alimenti avevano prevalenza
del 10,5% e del 47,3%. In totale sono stati identificati 46 profili
di virulenza diversi, quelli più ricorrenti sono riportati in tabella 3.
La valutazione del virulotipo in Salmonella è estremamente
complessa e legata alla presenza/assenza di un mosaico di loci
che agiscono variamente anche in associazione. Lo studio da
noi eseguito non consente, quindi, di stabilire la patogenicità degli stipiti batterici indagati, in quanto solo una piccola frazione
dei geni di virulenza noti è stata analizzata. Si è focalizzata l’attenzione sui tre sierotipi di Salmonella a maggiore impatto per la
salute umana per verificare la concordanza negli aplotipi tra gli
isolati umani e d’origine alimentare. I loci di più comune riscon-
tro sono inclusi nelle isole di patogenicità 2 (sspH2 e sopE) e
1 (sopE, sodC1), che agiscono per lo più favorendo la colonizzazione delle cellule epiteliali. Interessanti le valutazioni riguardanti SVPs che risultano assenti in tutti i ceppi di salmonella S.
4,5,12:i:- (isolate solo da uomo), mentre la loro presenza in S.
Typhimurium varia dal 4,5% (pefA - spvC) al 40,8% (srgA). Diversamente nella S. Enteritidis la presenza di spvC e rck varia dal
5,1% al 97,4%. In S. Enteritidis sono risultati presenti tutti i geni
plasmidici oggetto del nostro studio, con percentuali che vanno
dal 70% al 100% (pef A e rck). Confrontando i dati ottenuti dallo
studio delle salmonelle isolate in campo umano e dagli alimenti
si notare una concordanza nella prevalenza dei geni plasmidici
in S. Enteritidis. Per anni questa ha rappresentato il principale
sierotipo causa di malattia nell’uomo e uno dei sierotipi maggiormente isolati nel settore veterinario, tale analogia potrebbe farci
ipotizzare il ruolo determinante che questi geni assumono nella
comparsa di malattia.
Altro dato rilevante è la presenza nel 60% dei ceppi isolati da
matrici alimentari del gene spvC, che, benché le ricerche di Haneda et al., 2012 (6) lo individuino quale cause della infezioni
sistemiche di salmonella, risulta presente solo nel 4,2% degli
isolati umani.
BIBLIOGRAFIA:
1.
Bacciu D., Falchi G., Spazziani A., Bossi L., Marogna
G., Sisinnio Leori G., Rubino S., Uzzau S. (2004). Transposition
of the heat-stable toxin astA gene into a Gifsy-2-related prophage of Salmonella enterica serovar abortusovis. J of Bacteriol,
186:4568-4574.
2.
Borriello G., De Carlo E., Iovane G., Capuano F. (2010).
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Buenos Aires, Argentina.
3.
Chiu C.H., Ou J.T. (1996). Rapid identification of salmonella serovars in fecies by specific detection of virulence genes,
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combination assay. J Clin Microbiol, 34:2619-2622.
4.
Dionisi A.M., Feliciti E., Ocwzarek S., Arena S., Benedetti I., Lucarelli C., Luzzi I., Scavia G., Minelli F., Ciaravino
G., Marziano M.L., Caprioli A., e i Laboratori rete Enter-net Italia
(2011). Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità, 24 (1). EN-
TER-NET: sorveglianza delle infezioni trasmesse da alimenti e
acqua. Rapporto dell’attività 2007-2009.
5.
Drahovska H., Mikasova E., Szemes T., Ficek A., Sasik
M., Majtan V., Turna J. (2007). Variability in occurrence of multiple prophage genes in Salmonella typhimurium strains isolated
in Slovack Republic. FEMS Microbiol Lett, 270:237-244.
6.
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8.
Popoff M. Y., Le Minor L. (2007). Schema di KauffmannWhite. Antigenic formulas of the Salmonella serovars. WHO. 9th
Edition.
85
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
DISTRIBUZIONE DELLE VARIANTI ALLELICHE DELLA CITOTOSSINA SUBTILASI IN
CEPPI DI ESCHERICHIA COLI PRODUTTORI DI VEROCITOTOSSINA DI ORIGINE
UMANA E OVINA E CARATTERIZZAZIONE DELL’ISOLA DI PATOGENICITÀ CHE
CONTIENE L’ALLELE SUBAB2
Michelacci V.*[1], Tozzoli R.[1], Martinez R.[2], Marziano M.L.[1], Scheutz F.[3], Caprioli A.[1], Morabito S.[1]
Keywords: Escherichia coli, Citotossina subtilasi, SubAB
Istituto Superiore di Sanità ~ Roma, [2]Universidad de Extremadura ~ Càceres, [3]Statens Serum Institut ~ Copenhagen
[1]
SUMMARY: Subtilase cytotoxin is produced by Verocytotoxinproducing E. coli (VTEC) lacking the LEE locus and is encoded
by two allelic variants: subAB1 and subAB2.
We report the full characterization of the pathogenicity island
vehiculating the subAB2 variant and investigated the distribution
of the two variants in LEE-negative VTEC isolated from human
cases of diarrhea and from healthy sheep. A strong prevalence of subAB2 was observed in both human and ovine strains,
suggesting a role for this cytotoxin in causing disease and the
possible role of sheep as reservoir of SubAB-producing VTEC.
Treated Vector Kit” (Stratagene). I cloni della genoteca contenenti la parte centrale della PAi contenente i geni subAB2 sono
stati identificati per ibridazione con sonde geniche corrispondenti ai geni subAB. Le regioni fiancheggianti sono state identificate
per chromosome walking utilizzando i primers indicati in figura
1.
Ricerca degli alleli subAB1 e subAB2 dei geni tia e saa.
La presenza dei geni subAB è stata analizzata utilizzando i
primers universali RTsubABF/RTsubABR (1), che consentono
l’amplificazione di entrambi gli alleli. Le due varianti subAB sono
state identificate utilizzando il primer RTsubABR (1) in combinazione con SubAF (1) e subA_startF, rispettivamente specifici
per gli alleli subAB1 e subAB2. La presenza dei geni saa (7) e
tia (2) è stata esaminata come descritto in letteratura.
INTRODUZIONE: La Subtilasi (SubAB) è una tossina di tipo
AB5 prodotta da alcuni ceppi di Escherichia coli produttori di verocitotossina (VTEC).
La SubAB è stata descritta per la prima volta in un ceppo VTEC
O113, isolato nel corso di un episodio epidemico di sindrome
emolitico uremica in Australia (1). In questo ceppo, i geni codificanti la SubAB (subAB1) sono localizzati su un grande plasmide,
denominato pO113, in associazione al gene saa (1), codificante
un’adesina autoagglutinante. Recentemente, è stata descritta
una nuova variante della SubAB (subAB2) in due ceppi di E.
coli non produttori di verocitotossina (2). In questi isolati, i geni
codificanti la subtilasi sono localizzati nel cromosoma e veicolati
da un’isola di patogenicità (PAI), parzialmente caratterizzata, in
associazione con il gene tia, che codifica un determinante di invasione descritto in ceppi di E. coli enterotossigenici (ETEC) (3).
I geni codificanti la SubAB sono stati fino ad oggi rilevati solo in
ceppi VTEC che non possiedono il locus LEE (4, 5, 6), responsabile dell’induzione della caratteristica lesione “attaching and
effacing”, con l’eccezione dei due ceppi di E. coli in cui è stata
identificate la variante subAB2. Uno studio recente ha analizzato
la distribuzione delle due varianti in ceppi VTEC di origine animale, ipotizzando una associazione di subAB1 con isolati di origine bovina e di subAB2 con ceppi isolati da piccoli ruminanti (6).
In questo lavoro è descritta l’intera PAI che contiene la variante
subAB2 nel ceppo di E. coli ED 32 in cui è stata identificata. E’
stata inoltre investigata la prevalenza delle due varianti alleliche
in ceppi VTEC LEE-negativi isolati da casi umani di diarrea e da
pecore sane.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Caratterizzazione del locus che
contiene i geni codificanti la SubAB nel ceppo ED 32.
La sequenza dell’isola genomica che contiene i geni subAB2
nel ceppo ED 32, in parte già descritta (2), è stata completata
(figura 1). Questa regione genomica, qui denominata SubtilaseEncoding PAthogenicity Island (SE-PAI), si estende per circa 8
kb tra l’operone yjhATS, coinvolto nel metabolismo degli acidi
sialici, ed il locus pheV_tRNA. La SE-PAI contiene, oltre i geni
subAB2 e tia, il determinante genetico di una solfatasi, il gene
shiA, il cui prodotto è coinvolto nell’attenuazione della risposta
infiammatoria indotta da Shigella, ed un gene codificante un’integrasi, probabilmente responsabile della mobilizzazione della
PAI.
Identificazione e caratterizzazione del locus subAB in VTEC
LEE-negativi isolati da casi umani di diarrea.
Su 162 ceppi VTEC LEE-negativi di origine umana, 117 (72%)
sono risultati positivi per la presenza dei geni subAB. Di questi,
il 98,2% possedeva la subAB2 in associazione con il gene tia e
mai con il gene saa. Le uniche eccezioni erano rappresentate
da un ceppo di sierogruppo O181 per cui non è stato possibile tipizzare i geni subAB, cinque ceppi O91 risultati subAB2positivi e tia-negativi, ed un ceppo O91 positivo per la presenza
di entrambe le varianti subAB, contemporaneamente positivo
anche per la presenza di tia e saa (Tabella 1).
MATERIALI E METODI: Ceppi Batterici.
Il ceppo ED 32 è stato descritto in precedenza (2). La ricerca
dei due alleli dei geni subAB è stata eseguita su un pannello di
ceppi VTEC LEE-negativi, comprendente 162 ceppi isolati da
casi umani di diarrea in Danimarca e 123 ceppi isolati da pecore
sane in 4 allevamenti spagnoli.
Identificazione e caratterizzazione del locus subAB in VTEC
LEE-negativi isolati da ovini.
Su 123 ceppi VTEC LEE-negativi di origine umana, 108
(87,8%) sono risultati positivi per la presenza dei geni subAB.
Tutti gli isolati positivi possedevano l’allele subAB2, eccetto un
ceppo O6 ed un O123, risultati non tipizzabili. La maggior parte
dei ceppi positivi per la subAB2 (81,5%) ha dato esito positivo
anche per la presenza del gene tia, mentre nessun ceppo ha
dato risultato positivo per la presenza del gene saa (Tabella 2).
Costruzione della genoteca fagica.
Per la caratterizzazione della isola di patogenicità che veicola i
geni subAB2 abbiamo costruito una genoteca fagica del ceppo
ED 32 utilizzando il “Lambda ZAP II predigested EcoRI/CIAP86
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
in quelli ovini, suggerendo che la subtilasi possa avere un ruolo
nella patogenesi delle infezioni causate da questi microrganismi
e che la specie ovina possa costituire un importante serbatoio
animale per questi ceppi. E’ interessante notare che la SE-PAI
sembra essere il principale elemento genetico mobile che veicola i geni codificanti la subtilasi. Infatti la variante subAB2 era
presente in più del 95% dei VTEC subAB-positivi analizzati in
questo studio. Inoltre, nella maggior parte di questi, i geni subAB2 erano in associazione con tia.
In tutti i ceppi analizzati finora, i geni subAB sono stati rilevati in
associazione a geni codificanti fattori di virulenza potenzialmente coinvolti nel processo di colonizzazione dell’ospite. Infatti, entrambe le varianti subAB1 e subAB2 sono veicolate da elementi
genetici mobili che ospitano geni codificanti fattori di adesione
(saa), di invasione (tia) o coinvolti nella soppressione della risposta infiammatoria dell’ospite (shiA). Queste osservazioni
suggeriscono che I ceppi VTEC LEE-negativi e subAB-positivi
esprimano meccanismi di colonizzazione alternativi a quello “attaching and effacing” governato dai geni veicolati dal locus LEE.
Conclusioni e prospettive.
In questo lavoro descriviamo la sequenza completa del locus
contenente i geni codificanti la variante subAB2, un’isola di patogenicità da noi denominata SE-PAI. Oltre ai geni subAB2 e
tia (2), precedentemente descritti, questa PAI contiene un altro gene di virulenza, shiA, descritto in ceppi di Shigella, che
codifica una proteina coinvolta nell’attenuazione della risposta
infiammatoria dell’ospite. Nel cromosoma del ceppo in cui è
stata descritta per la prima volta, la SE-PAI è integrata a valle
del locus pheV-tRNA. Questo rappresenta un sito preferenziale
d’integrazione di isole genomiche, incluso il locus LEE, in diversi
sierogruppi VTEC. Questa osservazione suggerisce che i ceppi
VTEC LEE-negativi e SE-PAI-positivi possano essere emersi a
seguito della competizione tra le due isole genomiche per questo sito di integrazione.
La presenza dei geni codificanti la subtilasi è stata studiata in
un pannello di ceppi VTEC LEE-negativi isolati da casi di malattia nell’uomo e da pecore sane. Lo studio ha mostrato un’elevata positività per questi geni (72%) sia nei ceppi umani che
Figura 1. Mappa della Subtilase-Encoding PAthogenicity Island (SE-PAI)
Tabella 1. Sierogruppi dei ceppi di origine umana analizzati e
caratteristiche del locus subAB
Tabella 2. Sierogruppi dei ceppi isolati da pecore sane
analizzati e caratteristiche del locus subAB
BIBLIOGRAFIA:
1. Paton AW, Srimanote P et al. 2004. J Exp Med; 200:35-46.
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87
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
DIAGNOSI DI ANTRACE CUTANEO NELL’UOMO TRASMESSO DA UN VETTORE
DURANTE UN FOCOLAIO OVINO IN BASILICATA
Pace L.*[1], Galella M.[2], De Stefano C.[4], Giangrossi L.[1], Quaranta V.[3], Bochicchio V.[2], Mercurio V.[1], Fasanella A.[1]
Keywords: cuteneous anthrax, outbreak, vector
1. Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Puglia e Basilicata, Centro di Referenza Nazionale per l’Antrace ~ Foggia,
2. ASP Potenza - Dipartimento di Prevenzione, Sanità e Benessere Animale - Servizio Veterinario - Area A di Melfi ~ Potenza,
[3]
4. Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Puglia e Basilicata, sezione di Potenza ~ Potenza,
[4]
3. Ospedale San Carlo, U.O. di Malattie Infettive ~ Potenza
[1]
[2]
SUMMARY: During an ovine anthrax outbreak in Basilicata, South
Italy, the owner of a flock located about three kilometers from the
flock hit by anthrax, developed skin lesions attributable to cutaneous anthrax. The DNA extracted from the human scabs confirmed anthrax and the MLVA with 15 VNTRs showed the same
genotype found in the dead sheep. The sheep breeder had not had
contact with the dead animals and claimed to have been stung by
‘gadflies’ (haematophagous biting flies).
Poliximina (TSMP). Dopo 24 ore di incubazione a 37° C in aerobiosi, si è proceduto ad un esame morfologico delle colture ottenute
ed al successivo esame microscopico previa colorazione di Gram
delle colonie sospette.
Test molecolari: Il DNA delle escare del paziente e quello delle
colture batteriche è stato estratto mediante “DNeasy Blood &Tissue Kit (Qiagen)”. Successivamente è stata effettuata una PCR real
time su tutti i campioni, utilizzando i primers specifici per cromosoma e plasmidi pXO1 e pXO2 di B.anthracis (5). I campioni risultati
positivi in PCR sono stati genotipizzati mediante Multilocus Variable
Tandem Repeat Analysis (MLVA) 15 loci (14). Infine i risultati della
genotipizzazione sia del campione umano che di quello animale
sono stati confrontati tra di loro per stabilire se ci fosse o meno una
correlazione tra i due casi.
INTRODUZIONE: In Italia l’antrace è una malattia endemica, a
carattere sporadico e ad andamento stagionale con i focolai che
tendono a verificarsi soprattutto durante i mesi estivi. Nell’uomo
l’antrace cutaneo è la forma più frequente (95%) e la trasmissione
è favorita dal contatto con animali infetti, con prodotti contaminati
(pelle, lana, ossa, carne, sangue) o nel corso della macellazione
di animali infetti. Meno frequenti sono l’antrace polmonare e quello
gastrointestinale. Il sospetto di antrace cutaneo si basa principalmente sulle lesioni tipiche caratterizzate da escare, con o senza
edema, e soprattutto un’anamnesi che conferma il contatto con
fonti infette.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Colture batteriche: Le escare sono
risultate batteriologicamente negative. La spiegazione è data dal
fatto che il paziente era già da due giorni in terapia antibiotica.
Le colonie isolate dal sangue ovino si presentavano morfologicamente non emolitiche, bianco-grigiastre e dense, riconducibili a
quelle tipiche di B. antracis. Anche l’analisi microscopica ha confermato la presenza di bacilli Gram positivi.
PCR real time: L’analisi PCR, utilizzando primers specifici per il cromosoma e i due plasmidi patogeni pXO1 e pXO2, eseguita sugli
estratti di DNA delle colonie batteriche sospette e delle escare è
risultata positiva per B.anthracis.
Analisi MLVA: I risultati dell’analisi del genotipo mediante utilizzo
del test MLVA su colonie isolate dagli animali e sul DNA estratto dal
campione umano hanno confermato una omologia del 100%.
Conclusioni: Uno degli aspetti più interessanti in questo lavoro è
quello riguardante la fonte di infezione dell’uomo. Il paziente infatti
ha dichiarato di non aver avuto alcun contatto con animali infetti e
che le lesioni si sono sviluppate a seguito della puntura di un tafano,
confermando l’ipotesi che i tafani possono trasmettere la malattia
all’uomo. Per quanto riguarda gli esami di laboratorio, questi hanno
confermato la difficoltà di isolare ceppi di B.anthracis dalle escare
di pazienti in terapia antibiotica (13). Tuttavia va segnalato che è
possibile fare diagnosi direttamente dal DNA estratto dalle lesioni
cutanee.
Discussioni: La Basilicata è considerata la regione italiana a più alto
rischio di antrace (6,7,8). Nel 2011 in un’area di circa 50km2, compresa tra Basilicata e Campania, si sono verificati circa 30 focolai di
antrace con oltre 60 animali morti e nessun caso umano. Nel corso
di uno studio epidemiologico è stata avanzata l’ipotesi che gli insetti ematofagi, tipo tabanidi, possano aver contribuito alla diffusione
della malattia (1,10,11).
Recenti studi in aree ad alto rischio di antrace, hanno dimostrato
la trasmissione della malattia da animale a uomo nel corso della
macellazione di animali malati (2,3,4,9,12).
L’ importanza di questo lavoro è quella di aver diagnosticato un’infezione da B.anthracis nell’uomo mediante l’utilizzo della PCR su
MATERIALI E METODI: Focolaio animale: Tra il 22 e il 26 di agosto 2012 due pecore sono morte in un allevamento di Melfi (Pz). Le
carcasse sono state inviate presso i laboratori dell’ Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Puglia e Basilicata (IZSPB), sede di Foggia
per gli accertamenti diagnostici.
Caso umano: Un giovane allevatore di 23 anni è stato ricoverato il
28 Agosto presso il reparto di malattie infettive dell’ospedale “San
Carlo” di Potenza. Alla visita clinica sono state evidenziate all’arto superiore destro 5 lesioni papulo nodulari con area vescicolosa evoluta in escara necrotica introflessa, circondata da vescicole
confluenti a contenuto torbido (Fig. 1 e 2). Durante l’anamnesi il
paziente ha dichiarato che non vi erano stati casi di carbonchio
nel suo gregge, che non era mai stato a contatto con animali infetti
e che le escare si erano formate conseguentemente alla puntura
di un “tafano” durante un percorso in auto in una zona adiacente
l’area infetta. Il paziente è stato sottoposto a terapie antibiotiche con
Ciprofloxacina 750mg ogni 12 ore per 5 giorni, poi 500mg per altri
5 giorni. E’ stato riscontrato un netto miglioramento delle lesioni già
dopo 48 ore e il paziente è stato dimesso dopo 5 giorni dal ricovero
ospedaliero con le lesioni in fase crostosa.
Campioni animali: Nel corso dell’autopsia delle due pecore sono
stati prelevati campioni di sangue. L’esame microscopico ha rilevato la presenza di bacilli Gram positivi.
Campione umano: Presso i laboratori del Centro di Referenza Nazionale per L’Antrace dell’IZSPB sono state consegnate due biopsie
di escare (1 cm x 0.5 cm) conservate in soluzione fisiologica sterile
(Fig. 3). Ogni campione è stato suddiviso in due aliquote: la prima
per le analisi batteriologiche e la seconda per i test biomolecolari.
Test batteriologico: Per l’isolamento di B. anthracis è stato utilizzato il terreno semiselettivo Agar Trimethoprime-Sulfametossazolo88
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Fig. 2. Ingrandimento di una tipica lesione di antrace cutaneo.
Viene messa in evidenza l’area vescicolosa con escara necrotica introflessa e leggero edema circostante
Fig. 1. Lesioni carbonchiose presenti sul braccio destro di un
paziente infettato attraverso la puntura di un insetto vettore
Fig. 3. Biopsie di escare.
in Italy. Journal of Clinical Microbiology, 7,3398-3401
7. Fasanella A et all. Antrax in red deer (Cervus elaphus), Italy [letter]. Emerg Infect Dis. Vol. 13, No.7
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What are the probable causes? Open Journal of Veterinary Medicine, 2012, 2, 74-76
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B.anthracis. PloS ONE. 2007;2(5):e461.doi:10.1371/journal.
pone.0000461
DNA direttamente estratto dalle lesioni cutanee oltre ad aver confermato la trasmissione attraverso gli insetti vettori da animale a
uomo.
Questo lavoro è il risultato di una stretta collaborazione tra medici
e veterinari ed è auspicabile che questo genere di collaborazioni si perfezionino. Tuttavia sarebbe opportuno, nel periodo in cui
esplodono di focolai di antrace animale, che il settore medico attivi
una maggiore attenzione verso le patologie dermatologiche con
particolare riguardo a quelle ascrivibili a lesioni cutanee di antrace,
inserendo tra i test di base anche quello PCR per antrace.
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from Flesh-Eating Flies Collected during a West Texas Antrhrax Season. Journal of Wildlife Diseases, Vol. 46, No. 3, 2010, pp. 318-922
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Collaborazione tecnica: Tolve Francesco, Iatarola Michela
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MALATTIA DA GRAFFIO DEL GATTO E BARTONELLOSI FELINA:UN’APPLICAZIONE
PRATICA DEL CONCETTO DI “ONE MEDICINE”
Prati P.[1], Vicari N.[1], Brunetti E.[2], Ferraioli G.[2], Sala G.[3], Marone P.[4], Fabbi M.*[1]
Keywords: Bartonella henselae, Malattia da graffio del gatto, zoonosi
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna “B. Ubertini” Sezione Diagnostica di Pavia ~ Pavia,
[2]
Diagnostica Ecografica in Malattie Infettive, Dipartimento di Malattie Infettive,
Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo - Università di Pavia ~ Pavia,
[3]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna “B. Ubertini”
Sezione Diagnostica di Binago ~ Binago-Varese,
[4]
Struttura Complessa di Virologia e Microbiologia, Dipartimento di Malattie Infettive,
Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo ~ Pavia
[1]
SUMMARY: We report the investigations on 74 cases of catscratch disease (CSD) and the results on 1,317 sera and 1,344
stray cats blood samples tested for Bartonella infection. A small
group of domestic cats were also tested because belonging to
patients affected by CSD. Atypical clinical manifestations were
observed in 18/74 patients. Nine out of 11 domestic cats belonged to patients with CSD resulted infected by Bartonella henselae. 23.1% out of 1,317 stray cats sera resulted seropositive
while 17% out of 1344 blood samples, resulted infected by B.
henselae (15,5%) and B. clarridgeiae (1,5%).
sulla base delle caratteristiche colturali, morfologiche (11) con
conferma mediante PCR (6).
Il rilevamento e l’identificazione di Bartonella sp. mediante PCR
dai campioni clinici dei pazienti, dal sangue dei gatti e da isolati,
è stato effettuato secondo Jensen et al., (7), mentre la distinzione tra B. henselae tipo I e II secondo il metodo di Bergmans et.
al. sul gene rRNA 16S. (1). ll test di Immunofluorescenza indiretta è stato utilizzato per la ricerca anticorpale sia sui gatti che
sui pazienti utilizzando un test commerciale (Daltec Instrument
srl, Milano, Italia) con cut-off ≥ 1:64.
INTRODUZIONE: La Malattia da graffio del gatto o Cat Scratch
Disease (CSD) è una zoonosi causata principalmente da Bartonella henselae ed occasionalmente da Bartonella clarridgeiae
(8). Sono noti due tipi di B. henseleae, il tipo I e il tipo II distinguibili con tecniche molecolari. I gatti sono il serbatoio naturale
del microrganismo e le pulci giocano un ruolo importante nella
trasmissione del batterio all’interno della popolazione felina. Gli
animali si infettano durante il pasto di sangue delle pulci o per
ingestione di pulci infette o delle loro feci. L’infezione da Bartonella nei gatti produce una batteriemia persistente che può
durare fino a 24 mesi in assenza di segni clinici rilevabili (2). La
trasmissione da gatto a uomo avviene di solito con il graffio o
il morso. Negli Stati Uniti, la CSD è la causa più comune di linfoadenopatia cronica nei bambini e negli adolescenti (3). L’infezione provoca una particolare linfoadenite con microascessi
circondati da cellule reticolo-istiocitarie ma talvolta si possono
manifestare quadri clinici atipici con il coinvolgimento di diversi
organi (10).
Documentiamo i dati clinici ed epidemiologici di 74 casi di CSD
in altrettanti pazienti e 11 gatti domestici ad essi strettamente
correlati; riportiamo inoltre i risultati delle indagini eseguite su
1344 gatti di colonia di 3 diverse province del nord Italia per
la ricerca di B. henselae tramite emocoltura e per la ricerca di
anticorpi.
RISULTATI E CONCLUSIONI: La CSD è stata confermata in
74 pazienti. Il contatto con i gatti domestici è stato documentato per 61 pazienti (82,4%). Solo un paziente su 74 era immunocompromesso. In tutti i pazienti la diagnosi è stata confermata dall’esame sierologico. L’esame ecografico evidenziava
tipicamente una necrosi centrale con edema linfonodale (9).
L’esame colturale da ago aspirato linfonodale ha dato sempre
esito negativo mentre la PCR è risultata sempre positiva per B.
henselae ed in particolare 6 sono risultate appartenere al tipo
I e 3 al tipo II.
Manifestazioni cliniche atipiche sono state osservate in 18/74
pazienti (24,3%) con quadri di eruzioni maculopapulari con linfoadenopatia ascellare, granulomi epatosplenici necrotizzanti,
linfadenite ascellare associata a infezione vertebrale (L4-L5),
papillite oculare, linfoadenopatia inguinale, adenopatia regionale associata a infiltrati polmonari bilaterali, ipertermia persistente.
9 degli 11 gatti (81,8%) appartenenti a pazienti con CSD sono
risultati batteriemici, in particolare 6 per B. henselae tipo I e
3 per B. henselae tipo II a conferma della corrispondenza tra
ceppo animale e umano.
Il 17% delle 1.344 emocolture (228/1344) è risultato positivo ed
in particolare il 15,5% per B. henselae e l’1,5% per B. clarridgeiae. Il 23,1% dei sieri (304/1317) possedeva anticorpi verso
B.henselae.
La genotipizzazione eseguita su 192 ceppi di B. henselae ha
consentito di identificare 64 B. henselae tipo I (33 %), 88 B.
henselae tipo II (47%), mentre 40 gatti (20%) sono risultati coinfettati da entrambi sottotipi.
Di rilievo appaiono in questa indagine da un lato l’elevato numero di forme c.d. atipiche di CSD nei pazienti (24.3%) rispetto
a quanto riportato in bibliografia (3), dall’altro si conferma l’ampia circolazione di Bartonella henselae nelle popolazioni feline
in particolare in quelle di colonia.
Non è stato possibile indagare tutti i gatti legati ai pazienti affetti
da CSD, tuttavia, tra gli 11 gatti dei pazienti analizzati, 9 sono risultati batteriemici confermando la stretta correlazione tra gatto
e uomo per questa zoonosi.
MATERIALI E METODI: Sono stati valutati retrospettivamente i dati clinici e strumentali dei pazienti con diagnosi finale di
CSD afferiti agli ambulatori del Dipartimento di Malattie Infettive
IRCCS San Matteo di Pavia da ottobre 2005 a dicembre 2010.
Nello stesso periodo sono stati testati presso la sezione Diagnostica di Pavia dell’IZSLER 11 gatti appartenenti ad altrettanti pazienti per i quali è stato possibile esaminare anche gli agoaspirati linfonodali mediante test di PCR ed esame colturale.
Sono stati altresì esaminati 1344 gatti randagi tramite emocoltura e 1317 di questi per anticorpi verso B.henselae campionati
nelle aree urbane delle province di Pavia, Bologna e Varese.
Per le emocolture è stato utilizzato un terreno arricchito con il
5% di sangue di coniglio. L’identificazione degli isolati avveniva
90
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Tra i gatti randagi in area urbana, il 23% è risultato sieropositivo e il 17% è risultato batteriemico a conferma che la risposta
immunitaria nel gatto tende a coesistere con la batteriemia risultando tuttavia poco efficace a debellare l’infezione (6).
L’approccio multidisciplinare intrapreso in questo lavoro appare un buon esempio di come la conoscenza, la diagnosi e
il controllo e delle zoonosi passi attraverso la indispensabile
collaborazione tra Medicina Umana e Medicina Veterinaria,
concetto già espresso da Calvin Swabe che, fin dagli anni
’60, auspicava un’unica medicina (“One Medicine”) al servizio
dell’uomo senza compartimentazioni (5,12,13).
approach to global health education at the University of California, Davis. Prev Vet Med 2009;92:268-74.
6.
Fabbi M, De-Giuli L, Tranquillo M, Bragoni R, Casiraghi M, Genchi C. Prevalence of Bartonella henselae in Italian
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Evolution of a trans disciplinary “One Medicine-One Health”
91
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
NANOBIOSENSORI E LAB-ON-CHIP:
LA NUOVA FRONTIERA NELLA SICUREZZA ALIMENTARE
Ricciardi C.[1]
Keywords: nanobiosensori, lab-on-chip, cantilever
Politecnico di Torino, Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia (DISAT)
[1]
SUMMARY: In the last years, nanobiosensors (such as cantilevers, nanowires, nanotubes, etc…) have shown the capability for sensitive, accurate and real-time detection of many
potential sources of risk detrimental for food safety, such as
pathogenic microorganisms and toxic hidden contaminants.
Furthermore, such detectors can be integrated on microfluidic
platforms, leading to compact and portable devices, thus suitable as Point-Of-Care diagnostics. Among nanobiosensors,
mechanical resonators represent one of the most promising
classes.
di particolato) tramite successive sintesi e incisioni di sottilissimi strati metallici, semiconduttivi o isolanti. Le geometrie
desiderate sono realizzate tramite un processo chiamato fotolitografia, una tecnica che permette di replicare la stessa struttura contemporaneamente su numerosi chip. Proprio questa
caratteristica di poterne parallelizzare la produzione fa sì che
il singolo micro/nano-dispositivo abbia un costo finale estremamente limitato, quantificabile in pochi centesimi di euro.
Per poter interagire con biomolecole e cellule, la superficie
dei cantilever deve essere attivata chimicamente. La procedura con cui si inseriscono gruppi funzionali su una superficie
per modificarla chimicamente è chiamata funzionalizzazione. Nel nostro laboratorio, si procede con due passaggi: in
primis, una silanizzazione (con il reagente APTES, amminopropil trietossisilano) permette la formazione di un SAM (Self
Assembled Monolayer) che espone gruppi amminici, ai quali
viene legato uno dei linker più comunemente usati in biologia,
la glutaraldeide (GA). A questo punto il chip viene incubato
con una soluzione contente una binding protein, tipicamente
proteina G, per favorire la corretta orientazione dell’anticorpo, che funge da biorecettore. Il passaggio finale consiste in
un’incubazione con la soluzione contenente il target di interesse, come normalmente avviene per un saggio ELISA diretto, non competitivo.
Se posti in oscillazione, i cantilever vibrano con ampiezza
massima quando eccitati alla propria frequenza di risonanza,
un valore che nelle tipiche condizioni operative di un esperimento biologico dipende esclusivamente dalla massa dell’oscillatore. Quando l’analita target viene immobilizzato sulla
superficie vibrante grazie al biorecettore, la massa del cantilever aumenta e quindi la frequenza diminuisce in modo direttamente proporzionale. La costante di questa proporzionalità
è il rapporto tra la frequenza e la massa, e rappresenta la sensibilità del sistema. Da qui risulta chiaro il vantaggio nell’usare
strutture micro/nanometriche (dotate di masse estremamente
ridotte), fabbricate in materiali cristallini come il Si (adatto a
risuonare ad alte frequenze grazie all’intrinseca alta rigidità).
Sono stati mostrati in letteratura limiti sperimentali di rilevazione che vanno dai nanogrammi (10-9g) ai “picogrammi (1012g, la massa di un singolo batterio), fino alla singola molecola in casi limite di sistemi sempre più piccoli e sofisticati [3].
Un tipico apparato di misura è mostrato in Fig. 1: un attuatore
piezoelettrico (4) è utilizzato per generare la vibrazione, un
sistema di lettura a leva ottica (2,3) per monitorare l’ampiezza
di oscillazione, un microscopio (1) per allineare correttamente
il tutto, e una camera a vuoto per minimizzare gli attriti (5).
INTRODUZIONE: L’applicazione delle Nanotecnologie alle
“Scienze della Vita” è un campo d’interesse pressoché sconfinato. Il denominatore comune è l’idea che l’abilità nello sviluppare materiali e dispositivi in grado di interagire con il mondo
bio su scala molecolare (cioè alla nanoscala) possa portare
enormi vantaggi a livello di ricerca e di progresso tecnologico.
I nanobiosensori rappresentano il perfetto connubio tra le nanotecnologie e la biologia: alle tecniche sempre più sofisticate
di controllo della materia su scala nanometrica, si integrano
infatti i recettori biochimici, selezionati da sistemi biologici per
l’identificazione di specifiche molecole. Il risultato è un biosensore che, pur mantenendo la selettività tipica del riconoscimento anticorpo/antigene, è in grado di fornire un segnale
anche per concentrazioni infinitesime di analita, potendo sfruttare gli effetti di localizzazione tipici della nanoscala. Simili dispositivi trovano estremo interesse nel campo della sicurezza
alimentare, dove lo sviluppo di metodi rapidi e accurati è necessario per consentire ai laboratori pubblici e privati la possibilità di analizzare il massimo numero di campioni nel minor
tempo possibile, rispondendo così alla necessità sempre più
pressante di garantire ai consumatori cibi sicuri e controllati.
I nanobiosensori si classificano in base al meccanismo di trasduzione, cioè a seconda di come viene rilevato l’avvenuto
legame tra la molecola target e il biorecettore immobilizzato
sulla superficie del dispositivo: di norma sono ottici [1], elettronici [2] o meccanici [3-7]. Grazie alle tecnologie provenienti
dalla microelettronica è oggi possibile integrare i sensori su
chip che contengono canali e camere di reazione miniaturizzate, consentendo di maneggiare automaticamente quantità
estremamente piccole di reagenti e analiti , e quindi di risparmiare tempo, reagenti e manodopera specializzata. Questi dispositivi, detti Lab-On-Chip (LOC), consentono di replicare su
scala micrometrica le tipiche reazioni biochimiche che un operatore svolge in provetta, localizzando su un’unica piattaforma
di pochi centimetri operazioni quali estrazione, purificazione,
incubazione, lavaggi, ecc…
La presente relazione tratta nel dettaglio dei nanobiosensori a
cantilever, travi micrometriche con un’estremità libera di oscillare che operano come nanobilance.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Negli ultimi anni, abbiamo sviluppato biosensori a cantilever per diversi target di interesse
nella sicurezza alimentare.
Batteri patogeni (in collaborazione con Università di
-
Torino): in Fig. 2 è riportato il numero di batteri medio su un
array di cantilever, quantificato direttamente dalla variazione
di frequenza. La metodica in soluzioni buffer (Ringer) mostra
MATERIALI E METODI: I cantilever di silicio, come i microchip dei nostri computer, sono fabbricati in clean-room (camere climatiche in sovrapressione per minimizzare la presenza
92
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Figura 3
Figura 1
un’ottima sensibilità (singola cellula) e selettività nel riconoscimento del target (Salmonella) rispetto ad altri patogeni (E. Coli)
[4]. Le più recenti misure mostrano invece una specificità non
ancora ottimale in matrici complicate (carne).
-
Micotossine (in collaborazione con Università di Torino): in Fig. 3 è riportata la risposta di array di cantilever con
anticorpi anti-aflatossine (AF), quando incubati con soluzioni
contenenti diverse concentrazioni di AF (0-0,3-3-30 ppb). Oltre
a mostrare un LOD inferiore ai limiti di legge (ppb), la metodica
mostra una buona selettività verso le altre micotossine (Ocratossina A – OTA) [5].
-17β-estradiolo (in collaborazione con IZSPLVA): in Fig. 4 è
riportata la risposta dei cantilever incubati con estratti di siero fortificato con concentrazioni crescenti di 17β-estradiolo. La
metodica mostra un’altissima sensibilità (<20 ppt) e risultati
analoghi sono stati recentemente ottenuti su matrici carnee.
Oltre a questi casi, abbiamo recentemente iniziato a sviluppare
con IZSPLVA una metodologia a base cantilever per l’identificazione di allergeni e PrPsc [6].
In parallelo, stiamo miniaturizzando la stazione di misura su un
LOC che consente di monitorare in real-time il riconoscimento
molecolare, consentendo una lettura in pochi minuti. Applicato
alla identificazione di biomarker proteici, ha mostrato di essere
efficace per concentrazioni minime relativamente alte (ppm) [7].
Figura 4
BIBLIOGRAFIA: [1] C.R. Taitt, G.P. Anderson, F.S. Ligler
“Evanescent wave fluorescence biosensors” Biosensors and
Bioelectronics 20 (2005) 2470-2487
[2] B.L. Allen, P.D. Kichambare, A. Star “Carbon Nanotube
Field-Effect-Transistor-Based Biosensors” Advanced Materials 19 (2007) 1439–1451
[3] J.L. Arlett, E.B. Myers, M.L. Roukes “Comparative advantages of mechanical biosensors” Nature Nanotechnology 6
(2011) 203–215
[4] C. Ricciardi, G. Canavese, R. Castagna, G. Digregorio, I.
Ferrante, S. L. Marasso, A. Ricci, V. Alessandria, K. Rantsiou,
L. S. Cocolin “Online Portable Microcantilever Biosensors for
Salmonella enterica Serotype Enteritidis Detection” Food Bioproc. Tech., 3 (2010) 956-960
[5] Ricciardi, C., Castagna, R., Ferrante, I., Frascella, F.,
Marasso, S.L., Ricci, A., Canavese, G., Lorè, A., Prelle, A.,
Gullino, L.M., Spadaro, D. “Development of a microcantileverbased immunosensing method for mycotoxin detection” Biosens. Bioelect., In Press DOI: 10.1016/j.bios.2012.07.029
[6] Meloni, D., Pitardi, D., Mazza, M., Castagna, R., Ferrante,
I., Ricciardi, C., Bozzetta, E. “Seprion-coated microcantilever
sensors for PrPSc detection” Prion 8 (2012) 94-95
[7] C. Ricciardi, G. Canavese, R. Castagna, I. Ferrante, A.
Ricci, S. L. Marasso, L. Napione, F. Bussolino “ Integration
of microfluidic and cantilever technology for biosensing application in liquid environment” Biosens. Bioelect., 26 (2010)
1565-1570
Figura 2
93
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
CONFRONTO DI MLST E MLVA PER LA CARATTERIZZAZIONE DI ISOLATI CLINICI
ED ALIMENTARI DI LISTERIA MONOCYTOGENES.
Parisi A.*[1], Miccolupo A.[1], Latorre L.[1], Bilei S.[2], Greco S.[2], Decastelli L.[3], Normanno G.[4], Santagada G.[1]
Keywords: Listeria monocytogenes, Multi-Locus Sequence Typing, MLVA
IZS Puglia e Basilicata ~ Putignano (BA),
2]
IZS Lazio e Toscana ~ Roma,
[3]
IZS Piemonte Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino,
[4]
Università di Foggia ~ Foggia
[1]
SUMMARY: In this survey 713 Listeria monocytogenes isolates from foods (n=497) and human (n=216) were typed
using MLVA and MLST. On the whole 94 MLVA profiles were
identified. Single VNTRs showed Discriminatory Index ranging from 48.8 and 79.0 with a number of alleles ranging
from 6 and 10. MLST identified 80 different STs. The two
procedures showed good correlation, in many cases MLVA
profiles corresponded to STs, although in others MLVA was
more discriminant. In any case MLVA was able to predict
Serotype and ST with good reliability.
MATERIALI E METODI: Sono stati esaminati un totale di
713 ceppi provenienti da casi clinici (n=216) e di isolamento alimentare (n=497). Gli isolati appartenevano ai seguenti sierotipi: 1/2a (n=326), 1/2b (n=95), 1/2c (n=148),
3a (n=15), 3b (n=3), 4b/4e (n=122), 4c (n=2), 4d (n=2).
Preliminarmente una selezione di 30 isolati rappresentativi
delle principali linee genetiche venivano sottoposti ad uno
screening utilizzando 13 diversi VNTR come precedentemente descritto (2,5). Quindi si effettuava una selezione dei
VNTR in funzione della riproducibilità, stabilità e capacità
di discriminazione. Un totale di 6 VNTR veniva ottimizzato
per l’amplificazione in due distinte multiplex-PCR, quindi i
prodotti di reazione venivano diluiti e miscelati in una mix
contenente formammide e Genescan 600 Liz come ladder
di peso molecolare. Le corse elettroforetiche erano eseguite mediante 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystems). I
dati venivano analizzati mediante GeneMapper 4.0 (Applied
Biosystems), i singoli alleli venivano normalizzati, importati
in Bionumerics 6.5 (Applied Maths) ed utilizzati per l’analisi
filogenetica.
INTRODUZIONE: Listeria monocytogenes, l’agente causale
della listeriosi, è un pericoloso microrganismo patogeno trasmesso da alimenti. Il controllo delle infezioni veicolate da
alimenti richiede la standardizzazione di strumenti in grado
di migliorare la conoscenza dell’epidemiologia dei microrganismi patogeni nei serbatoi animali così come negli stabilimenti di produzione alimentare al fine di programmare
misure in grado di ridurre il rischio per il consumatore. In
passato le speculazioni epidemiologiche si sono basate
essenzialmente sulla sierotipizzazione, che è in grado di
identificare 13 differenti sierotipi di L. monocytogenes. Oggi
è disponibile un ventaglio di protocolli molecolari per la caratterizzazione di L. monocytogenes. Alcuni di questi si basano su tecniche di fingerprinting come la Pulsed Field Gel
Electrophoresis (PFGE) (1), l’Amplified Fragment Length
Polymorphism (AFLP) (4) e la Multi-Locus Variable number
of tandem repeat Analysis (MLVA) (3), altri invece sulla sequenza di alcuni geni come la Multi-Locus Sequence Typing
(MLST) (4) e la Multi-Virulence-Locus Sequence Typing
(MVLST) (6). MLST analizza le variazioni nucleotidiche in
sette loci selezionati tra geni housekeeping all’interno del
cromosoma batterico. Sebbene MLST attualmente costituisca uno strumento tra i più efficaci per studi di epidemiologia globale delle popolazioni microbiche, esso presenta dei
limiti legati alla complessità e ai costi della procedura. Pertanto sarebbe auspicabile definire degli schemi di tipizzazione alternativi, in grado di fornire risultati comparabili alla
MLST ma con costi minori ed una maggiore processività.
In una ricerca precedente nel nostro Istituto abbiamo confrontato MLST con AFLP con risultati incoraggianti circa la
corrispondenza tra i due metodi (4). Poiché AFLP presenta
comunque dei limiti legati alla riproducibilità interlaboratorio, in questa ricerca abbiamo standardizzato un protocollo
MLVA. Esso consiste nell’amplificazione mediante PCR di
particolari loci del cromosoma batterico sede di ripetizioni
tandem (TRs) e nell’identificazione mediante elettroforesi
del numero delle stesse. Si è proceduto inoltre ad una valutazione comparativa dei risultati ottenuti con MLST e MLVA
su 713 ceppi di L. monocytogenes di isolamento clinico ed
alimentare.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Complessivamente sono
stati identificati 94 differenti profili allelici (MLVA). I singoli
VNTR mostravano valori di Discriminatory Index di Simpson variabili tra 48.8 e 79.0 con un numero variabile di alleli
compreso tra 6 e 10. I profili MLVA presentavano una buona
correlazione con la appartenenza degli stipiti ai singoli sierotipi ed alle principali linee genetiche. Tutti gli isolati sono
stati caratterizzati mediante MLST come precedentemente
descritto (4). In totale i dati MLST identificavano 80 diversi
ST (Fig. 1). Il confronto tra le due metodiche metteva in evidenza una ottima correlazione, in diversi casi il profilo MLVA
corrispondeva perfettamente al ST mentre in altri, come ad
esempio per il Complesso Clonale 9 (CC9), MLVA permetteva di identificare numerosi profili apparendo più discriminante di MLST (Fig. 2). In ogni caso i profili MLVA erano in
grado, con una buona affidabilità, di predire il sierotipo e il
ST degli isolati.
Le nuove acquisizioni nel settore dell’epidemiologia molecolare di L. monocytogenes hanno consentito di formulare
ipotesi circa l’organizzazione della popolazione di questo
microrganismo, sulla sua evoluzione prettamente clonale
che ha consentito la suddivisione di linee genetiche ben distinte, nonché sull’attitudine di certi genotipi a dare malattia
nell’uomo o a colonizzare determinate nicchie ecologiche.
La sierotipizzazione, che in passato ha rappresentato il sistema classico di riferimento, presenta dei limiti dal momento
che oltre il 95% degli stipiti isolati da casi di listeriosi nell’uomo o da fonti alimentari appartengono ai sierotipi 1/2a, 1/2b,
1/2c e 4b. Negli ultimi anni, per la caratterizzazione genetica di L. monocytogenes, è stata utilizzata come metodo di
94
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
routine la Pulse Field Gel Electrophoresis (PFGE) anche se
le difficoltà di riproducibilità di questa tecnica fanno ritenere
che nel prossimo futuro i sistemi sequence-based (MLST,
MLVST) rappresenteranno lo standard di riferimento. Purtroppo le problematiche legate alla complessità tecnica ed
ai costi di esecuzione di queste ultime impongono la ricerca
di sistemi diagnostici alternativi che siano allo stesso tempo
rapidi, economici e facilmente standardizzabili. La tecnica
di MLVA analizzata in questo studio riteniamo possa rappresentare un valido strumento diagnostico specialmente
nello studio di situazioni epidemiologiche complesse, come
possono essere gli stabilimenti di produzione, in cui spesso
diverse popolazioni della stessa specie possono convivere
e contaminare gli alimenti, ma soprattutto quando vi sia la
necessità di collegare tra loro diversi episodi clinici o questi
alle rispettive fonti di contaminazione. MLVA si distingue
per la notevole processività e per i contenuti costi di ese-
cuzione, peraltro la tecnica è facilmente standardizzabile e
riproducibile tra i laboratori garantendo la possibilità di confrontare gli isolati con un sistema univoco di interpretazione.
Non meno interessante è l’evidenza che MLVA dimostra
una notevole capacità di discriminazione, consentendo di
identificare diversi profili per alcuni gruppi di isolati risultati
identici mediante MLST e non correlati epidemiologicamente. La disponibilità di tecniche di caratterizzazione efficienti ed economiche, come MLVA, potrà migliorare la conoscenza dell’epidemiologia di questo importante patogeno,
soprattutto attraverso la condivisione delle esperienze tra
laboratori e la creazione di appositi database.
Ringrazimenti: Si ringraziano per la collaborazione tecnica
D’Aprile D., Ridolfi D., Palladino C.P..
Lavoro finanziato dal Ministero della Salute (Ricerca Corrente IZSPB00/07)
95
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
(MLVA) to subtype a collection of Listeria monocytogenes.
Int.J.Food Microbiol. 115:187-194.
4. Parisi, A., L. Latorre, G. Normanno, A. Miccolupo, R.
Fraccalvieri, V. Lorusso, and G. Santagada. 2010. Amplified
Fragment Length Polymorphism and Multi-Locus Sequence
Typing for high-resolution genotyping of Listeria monocytogenes from foods and the environment. Food Microbiology
27:101-108.
5. Sperry, K. E., S. Kathariou, J. S. Edwards, and L. A. Wolf.
2008. Multiple-locus variable-number tandem-repeat analysis
as a tool for subtyping Listeria monocytogenes strains. J.Clin
Microbiol 46:1435-1450.
6. Zhang, W., B. M. Jayarao, and S. J. Knabel. 2004. Multivirulence-locus sequence typing of Listeria monocytogenes.
Appl.Environ.Microbiol. 70:913-920.
BIBLIOGRAFIA:
1. Brosch, R., M. Brett, B. Catimel, J. B. Luchansky, B. Ojeniyi, and J. Rocourt. 1996. Genomic fingerprinting of 80
strains from the WHO multicenter international typing study
of listeria monocytogenes via pulsed-field gel electrophoresis
(PFGE). Int.J.Food Microbiol. 32:343-355.
2. Lindstedt, B. A., W. Tham, M. L. nielsson-Tham, T. Vardund, S. Helmersson, and G. Kapperud. 2008. Multiplelocus variable-number tandem-repeats analysis of Listeria
monocytogenes using multicolour capillary electrophoresis
and comparison with pulsed-field gel electrophoresis typing.
J.Microbiol Methods 72:141-148.
3. Murphy, M., D. Corcoran, J. F. Buckley, M. O’Mahony, P.
Whyte, and S. Fanning. 2007. Development and application
of Multiple-Locus Variable number of tandem repeat Analysis
96
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VALIDAZIONE DI UN METODO REAL-TIME PCR SECONDO ISO16140:2003 PER LA
DETERMINAZIONE DI CAMPYLOBACTER JEJUNI, COLI E LARI IN ALIMENTI
REAL-TIME PCR FOR DETECTION OF CAMPYLOBACTER JEJUNI, COLI AND LARI IN
FOODS: TEST VALIDATION ACCORDING TO ISO16140:2003
Vencia W.*[1], Bianchi D.M.[1], Galllina S.[1], Adriano D.[1], Civalleri N.[1], Mantoan P.[1], Radium P.[1],
Gramaglia M.[1], Decastelli L.[1]
Keywords: Campylobacter, ISO 16140:2003, Real -Time PCR
1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta,
S.C. Controllo Alimenti e Igiene delle Produzioni, Turin, Italy ~ Torino
[1]
SUMMARY: Several countries with foodborne outbreaks (FBO)
reporting systems documented significant increases in the incidence of diseases caused by microorganisms in food. The Laboratory Controllo Alimenti in IZS-PLV (Italy) led a study to validate a Campylobacter JCL Real-Time detection kit. The results
obtained in the validation study defined the Limit of Detection at
4 CFU/ 25 g or ml of food sample; the results about relative accuracy, specificity and sensitivity were respectively 93%, 88%,
100% and the results of proficiency test were satisfactory.
ne del DNA batterico e rilevazione dei geni target di Campylobacter JCL) da eseguire in un sistema chiuso semi-automatico
(Stratagene MX3005P). Tutti i reagenti necessari per entrambe
le fasi sono forniti dal kit.
In accordo alla norma ISO16140:2003, la validazione è stata
eseguita contro il metodo descritto nella norma di riferimento
ISO 10272:2006 (3) valutando i seguenti parametri: Limite di
Detection (LOD); Accuratezza Relativa; Specificità Relativa;
Sensibilità Relativa; Livello di Identificazione Relativo (RDL);
Inclusività e Esclusività.
Il LOD è stato determinato a partire da una brodocoltura di C.
jejuni ATCC 29428 pari a 0,5 McFarland (1,5*107 ufc/mL)
dalla quale sono state preparate otto diluizioni scalari in base
10 in soluzione fisiologica, fino a una concentrazione teorica
di circa 0,015 ufc/mL; dopo un’incubazione di 48 ore a 42 °C
in microaerofilia, i campioni così pre-arricchiti sono stati testati
mediante Real-Time PCR.
Per la valutazione di Accuratezza Relativa, Specificità Relativa
e Sensibilità Relativa sono stati testati 60 campioni sia con il
metodo di rifermento che con quello alternativo (50% di campioni positivi, con tre livelli di contaminazione e 50% di campioni negativi).
Al fine di determinare il RDL, con entrambi i metodi sono stati
testati in totale 54 campioni ovvero 18 campioni per ciascuna
delle seguenti specie batteriche: C. jejuni, C. coli, C. lari. Ciascuna specie è stata inoculata con due diversi livelli di contaminazione: il primo (n=6) pari al limite di rilevazione teorico
(LOD), il secondo (n=6) tre volte superiore tale limite e una terza serie (n=6) rappresentata dal controllo negativo.
La valutazione del parametro inclusività ha previsto l’utilizzo di
50 colture pure del microrganismo target: il livello di inoculo
per ogni coltura è stato da 10 a 100 volte il RDL del metodo
alternativo.
Per determinare l’esclusività sono state analizzate 30 colture
pure di microrganismi non- target (50% di Gram positivi e 50%
di Gram negativi).
Infine l’iter di validazione ha previsto l’organizzazione di uno
studio interlaboratorio, al fine di determinare la variabilità dei
risultati ottenuti in differenti laboratori analizzando campioni identici. Sono stati coinvolti 3 laboratori, ognuno di essi ha
ricevuto 24 campioni ciechi, inoculati con tre livelli di contaminazione (8 campioni negativi, 8 campioni con un grado di
contaminazione poco oltre il LOD e 8 campioni con un grado di
contaminazione pari a 10 volte il LOD). Per la contaminazione
dei campioni è stato utilizzato del materiale di riferimento (lenticules) fornite dalla Health Protection Agency (HPA) contenenti
una coltura pura liofilizzata di C. jejuni. Le linee guida e i requisiti per lo studio interlaboratorio sono contenuti nell’allegato
Annex H della ISO 16140:2003.
INTRODUZIONE: La sorveglianza delle Malattie Trasmesse
dagli Alimenti (MTA) attuata dagli Stati Membri della EU mette
in risalto un aumento dell’incidenza di queste patologie. I principali agenti causali di tossinfezioni alimentari riportati in letteratura in EU sono rappresentati da Salmonella, Campylobacter,
tossine batteriche e virus (1). Data la rapida evoluzione clinica
delle tossinfezioni alimentari è necessaria un’azione tempestiva di tutte le figure professionali coinvolte nell’inchiesta epidemiologica. In particolare, la ricerca di microrganismi patogeni
negli alimenti rappresenta una delle fasi principali per meglio
definire un’evidenza forte di tossinfezione alimentare secondo le linee guida emanate da European Food Safety Authority
(EFSA) (2).
Nonostante l’impiego di metodi standardizzati, spesso l’isolamento e l’identificazione dell’agente causale avviene tardivamente, quando il focolaio si è già naturalmente risolto. Al fine
di implementare i sistemi di sorveglianza esistenti e per garantire una terapia adeguata e efficace ai soggetti malati , è
indispensabile identificare il microrganismo nel più breve tempo possibile. Per questo motivo si mira sempre più spesso alla
validazione, in accordo alla norma ISO 16140:2003 (4), di metodi alternativi capaci di detectare l’agente causale di MTA più
rapidamente rispetto ai metodi di riferimento.
Questo studio riporta i risultati della validazione, secondo la
norma ISO 16140, di un kit commerciale Real-Time PCR per
la rilevazione di Campylobacter jejuni, coli e lari (JCL) in alimenti appartenenti alla categoria “Prodotti lattiero-caseari”.
Tale kit era stato già stato validato presso lo stesso laboratorio
per quanto concerne la categoria “Frutta e prodotti a base di
vegetali” (5).
MATERIALI E METODI: Nel periodo aprile-giugno 2012 presso
il Laboratorio Controllo Alimenti dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta è stato condotto
l’iter di validazione di un kit commerciale Real-Time PCR per
la rilevazione di Campylobacter jejuni, coli and lari (JCL) commercializzato da FOSS Italia (prodotto da AES CHEMUNEX).
Il kit commerciale si compone di due fasi successive (estrazio97
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Discussione
Quattro campioni contaminati con Campylobacter sono stati correttamente identificati dal metodo alternativo ma non da quello di
riferimento. La discordanza potrebbe essere dovuta alla perdita
di vitalità del ceppo o ad un diverso LOD tra i due metodi: tale
parametro non è tuttavia specificato nella norma ISO.
L’utilizzo del metodo Real-Time PCR validato in questo studio
consente di emettere rapporti di prova in 48 ore per i campioni negativi; i campioni positivi al metodo alternativo devono comunque essere sottoposti alle procedure di isolamento al fine di
confermare la vitalità e la conseguente patogenicità del ceppo.
Tuttavia, in corso di MTA, la sola rilevazione del DNA del patogeno consentirebbe, insieme con sintomatologia riferibile e con
un’eventuale positività anche dei campioni biologici dei pazienti,
una risposta rapida e sufficiente in quanto supportata dall’evidenza epidemiologica descrittiva.
In conclusione, poichè tutti i parametri esaminati hanno fornito
valori soddisfacenti il metodo alternativo è stato validato con successo secondo quanto richiesto dalla norma ISO 16140:2003, e,
a seguito del processo di accreditamento risulta indicato per l’analisi di prodotti lattiero caseari nell’ambito del controllo ufficiale
degli alimenti.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati ottenuti hanno consentito di individuare il LOD del metodo Real-Time PCR a 4
UFC/25 g o mL di alimento; la Figura 1 riassume i risultati relativi a Accuratezza, Specificità e Sensibilità Relativa. Tali parametri sono risultati rispettivamente pari a 93%, 88%, 100%.
In 4 casi il metodo di riferimento colturale ISO 10272:2006 non
ha permesso l’isolamento di C. jejuni mentre il metodo alternativo ha correttamente identificato i campioni.
L’analisi statistica dei risultati relativi al RDL è stata effettuata
per ogni livello e per ogni combinazione alimento/ceppo confrontando entrambi i metodi e applicando ai dati il Test esatto
di Fisher per valutarne la significatività. Essendo p value=1,
è possibile affermare che la probabilità che entrambi i metodi
riescano a rilevare il livello di contaminazione inoculato o un
campione negativo è pari al 100%.
Le risultanze relative a inclusività, esclusività e allo studio interlaboratorio sono state soddisfacenti, confermando i risultati
attesi. Il 100% dei ceppi target è stato identificato come positivo
e il 100% dei ceppi non target è stato individuato come negativo dal metodo alternativo.
Infine, dallo studio interlaboratorio sono emersi una sensibilità,
un’accuratezza e una precisione del metodo pari al 100%.
Figura 1: parametri ottenuti; intervallo di confidenza al 95%
stuffs- Horizontal method for detection and enumeration of
Campylobacter spp.
4.ISO 16140:2003, Microbiology of food and animal feeding
stuffs – Protocol for the validation of alternative methods.
5.Nogarol C., Vencia W., Bianchi DM., Gallina S., Adriano
A., Zuccon F., Decastelli L. Real.Time PCR for detection of
Campylobacter jejuni, coli and lari in foods: test validation according to ISO 16140:2003. 4 July, 2012 Kazimierz Dolny, Poland EAVLD 2012.
BIBLIOGRAFIA: 1.EFSA (European Food Safety Authority),
2011. EU summary report on zoonoses, zoonotic agents and
food- borne outbreaks 2010 EFSA Journal 2012;10(3):2597.
2.EFSA (European Food Safety Authority), 2011. Updated
technical specifications for harmonised reporting of food-borne
outbreaks through the European Union reporting system in accordance with Directive 2003/99/EC. EFSA Journal, 9(4):2101,
24 pp.
3.ISO 10272:2006, Microbiology of food and animal feeding
98
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
OGM: SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN NUOVO METODO IN FAST PCR
REAL-TIME PER LA QUANTIFICAZIONE DELL’EVENTO EH92-527-1 DI PATATA
Madeo L.*[1], Pierboni E.[1], Curcio L.[1], Tovo G.[1], Rondini C.[1]
Keywords: Potato, EH92-527-1, PCR
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia
[1]
il sistema associato alla penalty più bassa. Per entrambi i sistemi
la sonda TaqMan® è stata marcata al 5’ con il 6-Fam e al 3’ con
il Minor Groove Binder-Non Fluorescent Quencher (MGB-NFQ).
Sono stati utilizzati anche i primers e la sonda validati per il gene
endogeno UGPasi (primers UGP-af7, UGPar8, e sonda UGPMhmg-P) (5, 6).
OTTIMIZZAZIONE PRIMERS E PROBE: Le prove sono state ottimizzate su piattaforma Applied Biosystems 7900HT Fast RealTime PCR System in volume finale di 20 μl con il seguente profilo
di amplificazione: stage 1: 95°C 20’’, stage 2 (40 cicli) con il primo
step da 1’’ a 95°C e il secondo step da 20’’ a 60°C. I primers sono
stati ottimizzati testando 3 concentrazioni (150, 300, 900 nM) nelle
9 possibili combinazioni, mantenendo invariata la concentrazione
di sonda a 250 nM. Stabilita la combinazione ottimale di primers
sono state testate 6 concentrazioni di sonda (50, 100, 150, 200,
250, 300 nM). Per ogni combinazione sono stati allestiti 4 replicati.
VALIDAZIONE DI FAST PCR REAL-TIME: Per la validazione delle prove qualitative di ciascun sistema sono stati determinati LOD
(numero copie genomiche corrispondenti a un RSDr≤33%) sensibilità e specificità. Per la validazione del metodo quantitativo sono
stati determinati LOQ (RSDr≤25%), precisione (RSDr= scarto
tipo/media x 100), esattezza (bias%=m-μ/μx100, in cui m= media
e μ=valore certificato), linearità (R2), efficienza di amplificazione
(E%) e robustezza e incertezza di misura (dato non mostrato)(10).
SUMMARY: Detection of target sequences along with plant species specific endogenous reference genes will help in developing
reliable and precise PCR assays to cope with the increasing number of authorized GM potato events in EU. We present the development and validation of a new Fast Real-time PCR system that
is both sensitive and time-saving for the detection and quantification of GM potato EH92-527-1. This procedure is based on STLS1, a single copy gene which can be used as a reliable endogenous reference system of S. tuberosum for quantification assays,
instead of the UGPase, a multiple copy gene.
INTRODUZIONE: Dall’immissione in commercio di Amflora, la prima patata GM prodotta da BASF, un’altra patata geneticamente
modificata per la produzione di amilopectina pura, Amadea, sarà
presumibilmente approvata per la coltivazione e la commercializzazione in Europa (1,2). Il crescente aumento degli eventi GM
autorizzati nell’Unione Europea deve andare di pari passo con lo
sviluppo di metodiche sempre più sensibili e accurate e che, allo
stesso tempo risultino attuabili da tutti i Laboratori in tempi rapidi e
a costo contenuto. Per garantire il rispetto della normativa vigente
che regola l’etichettatura e la rintracciabilità dei prodotti contenenti patata GM, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e
delle Marche, inserito nella rete dei laboratori per il controllo ufficiale degli OGM, ha messo a punto e validato una nuova metodica
quantitativa rapida in Fast PCR Real-time per il rilevamento e la
quantificazione di Amflora (EH92-527-1, identificatore unico BPS25271-9). Un’altra innovazione nel presente lavoro è l’adozione di
un sistema endogeno specie–specifico presente in singola copia
nel genoma di patata, pertanto adatto ad analisi quantitative (9).
RISULTATI E CONCLUSIONI: L’approccio iniziale era stato
quello di ottimizzare in modalità Fast i sistemi endogeno UGPasi
(UDP-glucosio pirofosforilasi) e target- specifico con i primers e
sonda proposti da BASF (5,6,7). I risultati dell’ottimizzazione dei
primers e della sonda per ciascun sistema sono mostrati in tab. 1.
MATERIALI E METODI: Sono stati utilizzati sia materiali di riferimento certificati (MRC): farine di patata allo 0% e al 100% EH92527-1 (ERM), farine di mais e soia GM, DNA di cotone e di riso
GM (AOCS), che tuberi di patata.
ESTRAZIONE DEL DNA: Il DNA genomico è stato estratto utilizzando il DNeasy® MericonTM Food kit (Qiagen) il cui protocollo
è stato modificato, inserendo un ulteriore passaggio per il legame
del DNA alla colonnina, per incrementare la resa di estrazione (4).
Gli estratti sono stati utilizzati tal quali, diluiti in acqua distillata sterile per la costruzione di curve di calibrazione, e/o miscelati allo
scopo di ottenere livelli intermedi (0,1%; 1%; 10% EH92-527-1)
per le prove quantitative.
DISEGNO PRIMERS E PROBE: La specificità del sistema di targeting per il gene endogeno ST-LS1 (Solanum tuberosum gene
with leaf/stem-specific expression, GenBank Acc. No. X04753)
è stata ottenuta mediante l’algoritmo MegaBLAST disponibile su
NCBI (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/) selezionando la porzione di
sequenza del gene specifica di Solanum tuberosum che presenta
bassa omologia solo con due specie vegetale di interesse (Solanum lycopersicum e Solanum pennellii). Il sistema evento specifico EH92-527-1 è stato disegnato sulla porzione di sequenza
a cavallo tra il right border e il promotore Nos della cassetta (8).
Utilizzando il software Primer Express 3.0 (Taqman MGB quantification) con i parametri di default è stato scelto per ciascun target
Tab. 1 Ottimizzazione primers e sonda
A parità di quantità di DNA bersaglio, è stata scelta la combinazione con il Ct medio e lo scarto tipo più bassi.
Sebbene il sistema di primers e sonda dell’UGPasi funzioni in
modo ottimale in modalità Fast e possa essere utilizzato nelle prove “qualitative” per testare l’amplificabilità del DNA estratto e la
presenza della specie patata, i Ct ottenuti per tale sistema (tab.1)
risultano notevolmente al di sotto del Ct atteso per un single copy
gene. Come mostrato dai risultati dell’ottimizzazione in tab. 1, il
Ct medio ottenuto per entrambi i sistemi (ST-LS1 e EH92-527-1)
99
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è compreso tra il ciclo 22 e 23, mentre Il Ct medio ottenuto per il
sistema UGPasi è notevolmente inferiore. Tali risultati suggeriscono che l’UGPasi è ripetuto nel genoma della patata. Tuttavia non
conoscendo il numero di copie non è stato possibile determinare il
LOD e il LOQ (analisi qualitative e quantitative) di tale sistema. Si
è pertanto reso necessario ricorrere a un nuovo sistema endogeno specie-specifico (9), il gene ST-LS1, sulla cui sequenza è stato disegnato un sistema di detection basato su sonde TaqMan®.
Allo stesso tempo, è stato disegnato un nuovo sistema EH92527-1-specifico basato sulla medesima chimica (6-Fam al 5’ e
MGB-NFQ al 3’). I parametri ricavati dall’elaborazione statistica
delle prove qualitative e quantitative per i due sistemi (endogeno
ST-LS1 ed evento-specifico EH92-527-1) soddisfano i criteri di accettabilità (tab. 2) (10).
BIBLIOGRAFIA: 1)Application for Authorisation of Amylopectin
Potato AM04-1020 for Food and Feed Uses, Processing and
Cultivation according to Regulation (EC) No 1829/2003.
2)Decisione 2010/135/UE.
3)Definition of Minimum Performance Requirements for
Analytical Methods of GMO Testing -European Network of
GMO Laboratories (ENGL) Version 13-10 2008 (http://gmo-crl.
jrc.ec.europa.eu/guidancedocs.htm).
4)DNeasy® mericon Food Handbook- Qiagen Standard Protocol 2 g e 200 mg, 13-17.
5)Event-specific method for the quantification of event EH92527-1 potato using Real-time PCR- CRLVL09/05VP Community Reference laboratory for GM Food and Feed Protocol EH92527-1 potato.
6)Event-specific method for the quantification of event EH92527-1 potato using Real-time PCR- CRLVL09/05VR Community Reference laboratory for GM Food and Feed Validation
Report EH92-527-1 potato.
7)GMO Detection Database Method, http://gmo-crl.jrc.
ec.europa.eu/gmomethods/pcr/QT_ST_001.pdf
8)Hofvander P, Structure and DNA sequence of Insert and
Flanking genomic region of Potato Event EH92-527-1 Amended Report BASF Plant Science GmbH (2005) 1-60.
9)Randhawa GJ and Singh M, Validation of ST-LS1 as an endogenous reference gene for detection of AmA1 and cry1ab
genes in genetically modified potatoes using multiplex and real
time PCR, Am J Potato Res (2009) 86:398-405.
10)Verification of analytical methods for GMO testing when
implementing interlaboratory validated methods,ENGL 2011
(ISBN 978-92-79-19925-7).
* Co-finanziato dal Fondo Sociale Europeo (FSE)-Programma
Operativo Regionale (POR) Umbria FSE “Obiettivo Competitività Regionale e Occupazione” 2007-2013, dal titolo: “Patata
biotech: sviluppo di metodi biomolecolari rapidi e innovativi per
la tutela di prodotti alimentari tradizionali no OGM”.
Tab. 2 Parametri di validazione in Fast PCR Real-time:
qualitativa e quantitativa
Il presente lavoro dimostra la validità delle metodiche qualitative e quantitative in Fast PCR Real-time basate sul sistema
endogeno ST-LS1 applicate all’evento di Patata GM Amflora
che, oltre ad essere sensibili e specifiche, presentano notevoli
vantaggi legati alla riduzione dei tempi di risposta (dai 90-100
minuti dei metodi in standard, ai 35 minuti dei metodi in Fast)
che si traducono, rispetto al metodo della BASF validato in Europa, in una riduzione dei costi legati all’operatore. Inoltre il
protocollo di estrazione del DNA (dati di validazione non riportati) basato su kit commerciale (4) permette di ridurre notevolmente i tempi di esecuzione (da 4-6 ore dei protocolli in-house
basati sul CTAB, a 2 ore) ed è risultato applicabile sia ai MRC
che ad un’ampia gamma di matrici più o meno complesse (dal
tubero di patata ai mangimi completi). In conclusione i risultati
dimostrano che il sistema di targeting basato sul gene ST-LS1
può essere adottato come reference gene specie-specifico di
patata ed in futuro applicato anche alla quantificazione di nuovi
eventi di patata GM.
100
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
LA PROTEINA V DEL VIRUS LPMV (LA PIEDAD MICHOACAN MESSICO VIRUS)
ANTAGONIZZA LA RISPOSTA DI TIPO I DELL’INTERFERONE LEGANDOSI ALLA
PROTEINA STAT2 E PREVENENDONE LA TRASLOCAZIONE.
Pisanelli G.*[1], Manicassamy B.[2], Laurent-rolle M.[2], Belicha-villanueva A.[2], Morrison J.[2],
Iovane G.[3], Garcia-sastre A.[2]
Keywords: La piedad michoacan mexico virus, interferon, STAT2 protein
Dipartimanto di Patologia e Sanita animale, facoltà di Scienza biotecnologiche Università degli Studi Di Napoli Federico II ~ Napoli,
[2]
Department of Microbiology Mount Sinai School of Medicine New York ~ New York,
[3]
Dipartimanto di Patologia e Sanità Animale Facoltà di Madicina Veterinaria Università Degli Studi di Napoli Federico II ~ Napoli
[1]
SUMMARY: LPMV is the etiologic agent of “blue eye disease”, a disease endemic in Mexico, which mainly affects piglets
and is characterized by meningoencephalitis and respiratory
distress. The V protein, expressed by most Paramyxoviruses, evade the type I and type II IFN responses by targeting
the signaling pathway. In this study we set out to determine
if LPMV-V protein possesses IFN signaling antagonist activity,
and to identify which signaling components if any are targeted
by LPMV-V protein. We demonstrate that LPMV-V protein antagonizes type I but not type II IFN signaling by inhibiting STAT2.
Our results indicate that the last 25 amino acids of LPMV-V
protein bind endogenous STAT2
INTRODUZIONE: La Piedad Michoacan Messico Virus (LPMV)
è un membro del genere rubulavirus all’interno della famiglia
Paramyxoviridae. LPMV è l’agente eziologico della “malattia
degli occhi blu”, una malattia endemica in Messico, che colpisce soprattutto i suinetti ed è caratterizzata da meningoencefalite e stress respiratorio (1, 2).
La malattia si ripercuote anche nei suini adulti, provocando riduzione della fertilità e aborti nelle femmine,orchite ed epididimite
nei maschi. la maggioranza dei virus della famiglia Paramixoviridae è in grado di eludere l’immunità innata mediata dall’ IFN
di tipo I e di tipo II avendo come target principali i componenti
del signaling pathway dell’ IFN. La proteina V, espressa dalla
maggior parte dei Paramixovirus, è alla base di questa specifica attività antagonista del signaling pathway dell’IFN(3, 4). Fino
ad ora, non ci sono dati che chiariscano il ruolo della proteina V
del virus LPMV nell’inibire la risposta dell’ IFN. Così, in questo
studio si è cercato di determinare se la proteina V possiede una
attività antagonista del signaling pathway dell’IFN, e di individuare se e quali componenti del signaling pathway costituiscono il target della proteina V. I nostri risultati dimostrano che la
proteina V antagonizza l’azione dell’IFN di tipo I, ma non l’azione dell’IFN di tipo II. In particolare inibisce il signaling pathway
legandosi la proteina STAT2, un componente della cascata del
signaling pathway dell’ IFN di tipo I. I nostri risultati indicano che
gli ultimi 25 amminoacidi della proteina V sono importanti per
il legame alla proteina STAT2 endogena, sia in presenza che
in assenza di IFN, in cellule umane e di suino. Nonostante la
proteina V non influenza i livelli delle proteine STAT1 e STAT2,
tuttavia impedisce la fosforilazione di STAT1 e STAT2 risposte
cellulari inibendo così la risposta mediata dell’ IFN di tipo I.
MATERIALI E METODI: Le cellule utilizzate in questo lavoro,
293T, HeLa, PK-13 e PK-15 sono state coltivate in Dulbecco
modified Eagle medium (Invitrogen) supplementato con 10%
siero di vitello fetale (FCS), penicillina e streptomicina. Tutte le
cellule sono state mantenute a 37 ° C in presenza di 5% CO2.
Plasmidi: L’ORF della proteina V del virus Piedad Michoacan
Mexico Virus, è stato amplificato con una RT-PCR partendo
da RNA estratto dalle cellule infettate con il virus LPMV, e
successivamente clonato nel plasmide pCAGGS, usando gli
enzimi di restrizione XmaI e EcoriI, generando il plasmide, denominato pCAGGS-LPMV-V. Una versione del plasmide clonato, recante una sequenza HA è stato costruito inserendo una
sequenza di emoagglutinina (HA), che codifica gli aminoacidi
MYPYDVPDYA, a valle della proteina V, generando il plasmide, qui indicato come pCAGGS-LPMV-V-HA. Al fine di determinare le regioni di interazione tra LPMV-V e la proteina STAT2,
sono stati generati tre vettori di espressione HA-tag recanti delezioni nella regione C-terminale, rispettivamente, di 25, 50 e
75 amminoacidi.
Per valutare se la proteina V del virus LPMV fosse in grado di
inibire la risposta dell’IFN di tipo I nel signaling pathway è stato
effettuato un reporter assay transfettando cellule 293T con un
plasmide recante il promotore dell’IRSE54 affiancato dal gene
reporter firefly (pISRE54- firefly-luciferase) ed un plasmide
esprimente il gene reporter renilla (pCAGGS-renilla-luciferase)
insieme a plasmidi LPMV-V-HA, SV5-V-HA e NipahV-V-HA. 24
ore dopo la transfezione le cellule sono state trattate con IFN
di tipo I. dopo 24 ore dal trattamento con IFN b le cellule sono
state lisate con il buffer di lisi della kit promega dual luciferase
reporter assay (cat no E2810) ed analizzate per valutare l’attività della luciferasi normalizzata con l’attività della renilla.
Una simile strategia è stata utilizzata per valutare se la proteina V fosse in grado di inibire la risposta dell’IFN di tipo II
mediante inattivazione del signaling pathway in quest caso
utilizzando un gene reporter sotto il controllo delle sequenze
GAS. L’analisi dell’espressione dei geni ISG15 ed MXA e stata
effettuata mediante Real Time PCR. il test NDV-GFP e stato
eseguito seguendo quanto descritto in letteratura. Per valutare
se la proteina V fosse in grado di prevenire la traslocazione dal
citoplasma al nucleo della proteina STAT2 è stato effetuato
un esperimento di immunofluorescenza indiretta. L’analisi delle proteine è stata effettuata mediante western blot. L’analisi
dell’interazione proteina-proteina è stata utilizzata utilizzando
tecniche di co-immunoprecipitazione.
RISULTATI E CONCLUSIONI: il saggio reporter luciferasi
ISRE54 effettuato in cellule 293T mostra che la proteina V sopprime il signaling pathway dell’IFN di tipo I paragonabile alla
proteina V- del virus Nipah e la proteina-V del virus SV5 utilizzati come controlli positivi. il GAS luciferasi reporter assay in
cellule 293T mostra che LPMV V-proteina non ha la capacità di
evadere la risposta di tipo II IFN.
I risultati della qRT-PCR mostrano che l’espressione della proteina V ha portato i livelli di trascrizione ISG15 e MXA a 45 e
225 volte inferiore rispettivamente, paragonabili alle proteine
NipahV-V e SV5-V proteine usate come controlli. La proteina V
101
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
è in inoltre in grado di recuperare la replicazione di NDV-GFP
in presenza di IFN di tipo I in cellule PK-13.
L’analisi mediante Western blot di lisati di cellule 293T, transfettate con i plasmidi di interesse, dimostrano che la proteina V
(LPMV-V). L’analisi al microscopio confocale a scansione laser
mostra che cellule trasfettate e poi trattate con IFN di tipo I
si osserva una rilocalizzazione della proteina STAT2 dal citoplasma al nucleo. Questa traslocazione è preclusa quando le
cellule sono state trasfettate con la proteina V del virus LPMV,
che risulta essere paragonabile alla proteina V del virus Nipha
usata come controllo.
I risultati della coimmunoprecipitazione mostrano che la proteina V del virus LPMV interagisce con la proteina STAT2 a
differenza della proteina V del virus nipah che si lega alle proteine STAT1 e STAT2 come dimostrato in letteratura. La co-immunoprecipitazione reciproca in cellule 293T con un anticorpo
anti-STAT2 mostra che STAT2 lega la proteina-V. inoltre i test di
Co-immunoprecipitazione sono stati ripetuti in cellule di origine
suina PK-15. I risultati hanno confermato i dati ottenuti usando
cellule umane (293T). In ulteriori esperimenti di co-immunoprecipitazione La proteina V si è dimostrata capace di legare
anche la proteina STAT2 di topo mostrando una specificità per
le proteine STAT2. Inoltre esperimenti di co-immunoprecipitazione mostrano che gli ultimi 25 amminoacidi della proteina V
del Virus LPMV sono importanti per l’interazione con la proteina STAT2. Il saggio reporter luciferasi ISRE54 in cellule 293T
mostra che le proteine recanti delezioni non sopprimono la ri-
sposta dell’ IFN di tipo I in maniera paragonabile alla proteina V
intera, utilizzata come controllo. In conclusione in questo studio
abbiamo dimostrato che La proteina V, del virus LPMV mostra
una attività anti INF di tipo I, bloccandone l’azione a livello del
signaling pathway utilizzando come target specifico la proteina
STAT2 proveniente da differenti specie animali mostrando allo
stesso tempo specificità e plasticità.
BIBLIOGRAFIA: 1. H. Ramıìrez-Mendoza, P. HernándezJáuregui, J. Reyes-Leyva, E. Zenteno, J. Moreno-López and
S. Kennedy, Lesions in the reproductive tract of boars experimentally infected with porcine rubulavirus. J Comp Pathol, 117
(1996), p. 237.
2. Moreno-Lopez, J., Correa-Giron, P., Martinez, A. & Ericson,
A. (1986). Characterization of a paramyxovirus isolated from
the brain of a piglet in Mexico. Archives of Virology 91, 221-231.
3. Rodriguez, J. J., J. P. Parisien, and C. M. Horvath. 2002.
Nipah virus V protein evades alpha and gamma interferons by
preventing STAT1 and STAT2 activation and nuclear accumulation. J. Virol. 76:11476–11483.
4. Didcock, L., D. F. Young, S. Goodbourn, and R. E. Randall.
1999. The V protein of simian virus 5 inhibits interferon signalling by targeting STAT1 for proteasome-mediated degradation.
J. Virol. 73:9928–9933.
102
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
CEPPI DEL VIRUS DELLA WEST NILE APPARTENENTI AL LINEAGE 2 ISOLATI
IN UCCELLI SELVATICI IN SARDEGNA
Savini G.*[1], Puggioni G.[2], Di Gennaro A.P.[1], Rossi R.[2], Di Francesco G.[1], Rocchigiani A.M.[2], Polci A.[1],
Marini V.[1], Pinoni C.[1], Arru D.[2], Rolesu S.[2], Lorusso A.[1], Monaco F.[1]
Keywords: West Nile Virus, Lineage 2, Wild Birds
IZS G. Caporale ~ Teramo, [2]IZS Sardegna ~ Sassari
[1]
SUMMARY: Strains of West Nile viruses (WNV) belonging to
lineage 2 were detected for the first time in a northern goshawk
and two carrion crows in Sardinia. They were successfully
propagated in cell culture systems. WNV particles were also
visualized by immunohistochemistry in the brain of suckling
mice infected with the goshawk brain homogenate. According
to NS3 sequence analysis, the newly Sardinian isolates share
high level of similarity with those of the 2011 Nord-Eastearn
Italian isolates and the 2004 Hungarian isolate.
INTRODUZIONE: Il virus della West Nile (WNV) e’ un virus ad
RNA della famiglia Flaviviridae, genere Flavivirus. Il ciclo biologico in natura si perpetua attraverso la trasmissione tra le
zanzare dei generi Culex, Aedes e Ochlerotatus che rappresentano i vettori e gli uccelli siano essi stanziali o migratori, selvatici e non che in genere ricoprono il ruolo di serbatoio ed amplificatore dell’infezione. Il cavallo e l’uomo possono infettarsi
ma non sono in grado di trasmettere l’infezione. Sebbene il più
delle volte l’infezione da WNV decorre in forma asintomatica,
in alcuni casi può determinare forme cliniche anche letali. Del
virus della West Nile sono stati descritti 8 lineages, di questi, i
ceppi dei lineage 1 e 2 sono quelli piu’ diffusi. Storicamente, i
due lineage hanno circolato in aree geografiche distinte: mentre il primo è stato isolato in Europa, Nord America, Nord Africa
e Australia, il secondo, è stato isolato solo a Sud del continente Africano ed in Madagascar. Nel 2004, ceppi appartenenti
al lineage 2 sono stati rilevati per la prima volta in Europa, in
Ungheria e quindi nel biennio 2008-2009 in Austria. Dal 2010
stipiti di lineage 2 sono responsabili in Grecia di una grave epidemia di WND con numerosi casi umani talvolta letali. In Italia
il lineage 2 è stato rilevato per la prima volta lo scorso anno in
un paziente ricoverato all’ospedale di Ancona. Un caso ad esito
mortale attribuito ad infezione da ceppo di lineage 2 è state
inoltre segnalato ad Olbia nel 2011. Sempre lo scorso anno
del ceppi di lineage 2 sono stati rilevati in zanzare catturate in
provincia di Udine e negli organi di una tortora in provincia Treviso (1). Nel presente studio è descritto l’ isolamento e la analisi
genomica di 3 stipiti di lineage 2 rilevati nell’Agosto 2012 in
organi di due cornacchie (Corvus corone corone) ed un astore
(Accipiter gentilis) originari delle provincie sarde rispettivamente di Olbia-Tempio, Medio/Campidano e Oristano.
MATERIALI E METODI: Nell’ambito del piano nazionale di sorveglianza per WNV nella regionale Sardegna in accordo con
quanto scritto nel provvedimento (Ordinanza 4 agosto 2011
«Norme sanitarie in materia di encefalomielite equina di tipo
West Nile (West Nile Disease) e attivita’ di sorveglianza sul
territorio nazionale». Modifica Allegato A «Procedure operative
di intervento e flussi informativi nell’ambito del Piano di sorveglianza nazionale per l’encefalomielite di tipo West Nile - Anno
2012») del 13 luglio e pubblicato sulla GU del 10 settembre,
che prevede la ricerca del WNV su tessuti di uccelli rinvenuti
morti o abbattuti nell’ambito del piano di abbattimento controlla-
to predisposto ed attuato dalla regione Sardegna, stipiti di WNV
appartenenti al lineage 2 sono stati rilevati nei tessuti di due
cornacchie ed un astore. La prima cornacchia (NRG19882)
e’ stata abbattuta nei pressi di Olbia (OT) il 6 Agosto del 2012
mentre la seconda cornacchia (NRG20171) presso Sardara
(VS) due giorni dopo. L’astore (NRG20168) e’ stato rinvenuto
ad Usellus (OR) il 10 Agosto in gravi condizioni e portato presso
un centro di recupero dove e’ morto poche ore dopo. Nessuno
dei tre uccelli presentava sintomatologia nervosa. Nei laboratori
dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale (IZS) della Sardegna e’
stata eseguita un’accurata necroscopia e sono stati campionati
di porzioni di cervello, rene, milza e cuore. In una prima fase i
tessuti sono stati esaminati per la presenza di WNV mediante il
saggio di real time RT-PCR in accordo con quanto descritto da
Eiden et al.(2). La real time sviluppata da Eiden et al. è una metocidica in grado di rilevare la presenza di ceppi appartenenti
ai lineages 1 e 2. I campioni sono stati successivamente inviati
all’Istituto G. Caporale di Teramo (ICT), laboratorio di riferimento OIE e Centro di Referenza Nazionale per la WND. Nei laboratori dell’ICT i campioni sono stati testati mediante una real
time RT-PCR specifica per il lineage 1 (3) e una nested RT-PCR
specifica per il lineage 2 (4). Dai tessuti è stato anche tentato
l’isolamento virale classico mediante l’inoculo di C6/36 (Aedes
albopictus) e cellule VERO (5). Inoltre, 50-100 µl del surnatante di omogenato di cervello dell’astore (NRG20168) sono stati
inoculati per via intracerebrale in 16 topini neonati. Dopo sei
giorni i topini hanno mostrato sintomatologia nervosa e sono
stati sacrificati. Da ogni topino è stato prelevato il cervello che è
stato quindi processato con metodiche immunoistochimiche (6)
per rilevare la presenza di WNV. I prodotti di amplificazione ottenuti dai campioni esaminati mediante nested-PCR sono stati
sequenziati. Le sequenze ottenute (frammento di 423 pb del
gene che codifica per la NS3) sono state allineate con Seqman
(DNAStar) con sequenze di riferimento disponibili in GenBank
e convertite in sequenze proteiche.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati ottenuti sono riassunti
nella Tabella 1. L’esito positivo della RT-PCR effettuata presso l’IZS di Sassari, ha messo in moto precise procedure che
hanno portato, in brevissimo tempo, alla conferma, identificazione e caratterizzazione genomica dei ceppi rilevati da parte
dei laboratori dell’ICT. Le procedure diagnostiche messe in atto
hanno permesso di confermare la presenza di ceppi di WNV
appartenenti al lineage 2. Nel 2011 la Sardegna è stata colpita
da una grave epidemia di WND che ha causato forme cliniche
nei cavalli e nell’uomo. A parte il caso di Olbia, tutte le altre infezioni segnalate e diagnosticate sono state causate da ceppi
appartenenti al lineage 1. Il caso di Olbia è stato l’unico caso
associato ad infezione da ceppo di lineage 2. Queste prime
osservazioni del 2012 confermano la presenza del lineage 2 in
provincia di Olbia e testimoniano una rapida diffusione in tutto
il territorio regionale del lineage 2. Il rilevamento in provincia di
Olbia potrebbe inoltre far supporre che il ceppo entrato alla fine
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della stagione scorsa si sia stabilito superando il periodo invernale e abbia ripreso a circolare all’inizio dell’attuale stagione.
L’analisi genetica delle sequenze parziali della NS3 indica un
elevato grado di similarità con le omologhe sequenze dei ceppi
rilevati nel 2011 in Friuli e Veneto e con quelle dei ceppi isolati
in Ungheria nel 2004 suggerendo una possibile origine comune
di questi ceppi. In altre parole, i dati ottenuti in questo esercizio
diagnostico indicherebbero un’origine comune tra i ceppi ungheresi ed italiani e una loro diffusione avvenuta con ogni probabilità attraverso gli uccelli migratori a corto raggio. Quando
convertite in sequenze aminoacidiche, le sequenze proteiche
ottenute evidenziano mutazioni missenso con sostituzione di
un aminoacido nella sequenza proteica. Nei ceppi rilevati nella
cornacchia e nell’astore l’acido glutammico (Q) è sostituito con
un residuo di istidina (H) in posizione 245. Tutti i topini ino-
culati hanno evidenziato sintomatologia nervosa al 5° giorno
post inoculo. Abbondanti quantità di antigene virale sono state
osservate nella quasi totalità dei neuroni, in particolar modo in
quelli residenti nella corteccia cerebrale e nel cervelletto. L’immunoreattività per WNV è risultata tipicamente citoplasmatica
e spesso d’aspetto granulare.
Il presente lavoro conferma che il lineage 2 circola in Italia.
E’ importante sottolineare che i due lineage di WNV (e verosimilmente anche USUV) circolino insieme nelle stessa aree
geografiche consentendo potenzialmente fenomeni di ricombinazione che potrebbero influenzare epidemiologia, diagnosi,
patogenesi e trasmissione di questi flavivirus. Nell’ottica della
iniziativa One Word, One Health, la efficiente collaborazione di
piu figure professionali e’ alla base per la prevenzione, studio e
contenimento di importanti zoonosi.
Risultati delle procedure molecolari adottate sui campioni dello studio. H, isitidina, Q acido glutammico. ND, non disponibile. Ct,
ciclo threshold; CMR, cuore-milza-rene.
BIBLIOGRAFIA:
1.Savini G, et al (2011). Evidence of West Nile virus lineage 2
circulation in Northern Italy. Vet Microb, 158: 267-273.
2.Eiden M, et al (2010). Two new real-time quantitative reverse transcription polymerase chain reaction assays with unique
target sites for the specific and sensitive detection of lineages
1 and 2 West Nile virus strains. J Vet Diagn Invest, 22:748-753.
3.Lanciotti RS, et al (2000). Rapid detection of west nile virus
from human clinical specimens, field-collected mosquitoes, and
avian samples by a TaqMan reverse transcriptase-PCR assay.
J ClinMicrob, 38: 4066-4071.
4.Chaskopoulou A, et al (2011). Evidence of enzootic circulation of West Nile virus (Nea Santa-Greece-2010, lineage 2),
Greece, May to July 2011. Euro Surveill 16 pii: 19933.
5.Office International des Epizooties (OIE), 2008: Manual of
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Standards Commission (Eds), 6th edn.
6.Marruchella G, et al (2012). Infezione da virus West Nile:
protocolli immunoistochimici a confronto nel modello murino.
SIDILV 2012, Sorrento, Ottobre 2012.
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
INDAGINI VIROLOGICHE NEI CHIROTTERI IN NORD ITALIA
Lelli D.*[1], Boniotti M.B.[1], Moreno A.[1], Lavazza A.[1], Papetti A.[1], Canelli E.[1], Bonilauri P.[1], Cordioli P.[1]
Keywords: bats , viruses,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna - IZSLER ~ Brescia
[1]
SUMMARY: We investigated the circulation ofviruses in Italian
bats. The survey was mainly targeted on the detection of lyssaviruses, coronaviruses and arboviruses but it was also addressed
to searching for other, likely new, unknown or emergingviruses
associated with bats. In total 112 carcasses and 44 faecal samples were analyzed. All samples resulted negative for arboviruses and lyssaviruses. Coronaviruses were found in 12 samples
by RT-PCR. Ninenteen viral strains isolated in cell coltures were
identified as Mammalian orthoreoviruses by electron microscopy
and RT-PCR.
INTRODUZIONE: Recentemente l’interesse per i chirotteri è aumentato notevolmente non solo per il ruolo fondamentale che rivestono per la salute degli ecosistemi e per il mantenimento della
biodiversità, ma anche perché sono stati riconosciuti come importanti ospiti e reservoir di virus emergenti. Un numero cospicuo di
nuovi virus o nuove varianti virali sono state isolate o identificate
negli ultimi anni proprio nei pipistrelli, ma il loro coinvolgimento
nel mantenimento e nella diffusione delle infezioni virali non è ancora chiaro. Lo studio di questi aspetti nei chirotteri è complicato
dalla difficoltà nel reperire campioni idonei per gli esami virologici
a causa delle loro abitudini notturne, dei rifugi poco accessibili e
dalla difficile determinazione delle specie (1). Inoltre, la scelta del
protocollo diagnostico da applicare ai campioni raccolti risulta difficoltosa a causa dell’enorme varietà di virus riportati in queste
specie dalla bibliografia internazionale e dalla quasi assenza di
studi simili in Italia. Questa indagine, finalizzata ad approfondire gli
aspetti legati al ruolo dei chirotteri come reservoir di agenti virali,
riporta i risultati di una indagine virologica condotta su pipistrelli in
Nord Italia. A tale scopo è stato applicato un protocollo diagnostico basato sia su tecniche di biologia molecolare che di virologia
classica rivolto principalmente alla ricerca di lyssaviruses, coronaviruses (CoVs) e arboviruses (arthropod-borneviruses), ma anche
alla identificazione di virus appartenenti a generi non precedentemente sospettati, potenzialmente zoonosici o causa di malattia
negli stessi pipistrelli.
MATERIALI E METODI: Sono stati conferiti al Laboratorio di Virologia 112 carcasse di pipistrello rinvenuti morti e 44 campioni
fecali. I campioni sono stati raccolti in Nord Italia, principalmente
nel territorio di competenza dell’IZSLER, presso Centri Recupero
Animali Selvatici (CRAS) o siti di rifugio conosciuti. I campioni di
feci sono stati immediatamente processati per i successivi esami
virologici. Le carcasse di pipistrello sono state sottoposte ad esame necroscopico nel corso del quale è stato eseguito il prelievo
dei seguenti campioni: - encefalo; - pacchetto intestinale; - pool di
visceri costituito da polmone, cuore, milza e fegato. Nella Tabella
1 è riportato l’elenco dei campioni esaminati suddivisi per specie.
La ricerca di lyssaviruses è stata effettuata sui campioni di cervello
allo scopo di escluderne la presenza prima di effettuare ulteriori
analisi tramite immunofluorescenza. I campioni di feci e i campioni d’organo sono stati estratti in MEM antibiotato ed inoculati
su monostrati cellulari Vero e Marc 145, quindi incubati a 37°C.
Trascorsi 7 giorni, in assenza di effetto citopatico (ECP), il criolisato è stato reinoculato in monostrati freschi. Sono stati eseguiti
in totale 3 passaggi. I campioni di visceri e di feci ed i sovranatanti
delle colture cellulari con ECP sono stati analizzati mediante osservazione in Microscopia Elettronica (ME) incolorazione negativa
previa ultracentrifugazione con Airfuge Backman. Per la ricerca
simultanea di arboviruses, sono state utilizzate tre PCR di screening per il rilevamento di virus appartenenti ai generi Flavivirus,
Alfavirus ed Orthobunyavirus (2, 3, 4). Per il rilevamento di CoVs
è stata messa a punto una PCR pan-coronavirus disegnando primers degenerati che hanno come target un frammetto di 180 bp
del gene della RNA polimerasi RNA dipendente (RdRp). L’amplificazione di un secondo frammento di 440 bp dello stesso gene
è stata eseguita solo sui campioni positivi. Le sequenze ottenute
sono state analizzate in BLAST e confrontate con quelle dei ceppi
di riferimento ottenuti in GenBank. Gli alberi filogenetici sono stati
costruiti con il programma MEGA 5.0 utilizzando il metodo della
massima parsimonia.
RISULTATI E CONCLUSIONI: L’esame necroscopico ha evidenziato, in numerosi soggetti, disidratazione e lesioni di tipo
traumatico quali lacerazione del patagio, fratture ossee, emotorace ed emoperitoneo. Gli esami di laboratorio per la ricerca di
lyssaviruses ed arboviruses hanno dato sempre esito negativo.
Dodici campioni sono risultati positivi per CoVs, 9 da Pipistrellus
Khulii (specie maggiormente rappresentata nello studio) uno da
Hypsugo savii, uno da Nyctalus noctula e uno da un campione
di cui la specie non è stata identificata. I prodotti della PCR sono
stati sequenziati ed è stato costruito il relativo albero filogenetico
(Figura 1). Delle 11 sequenze ottenute, 9 clasterizzano nel gruppo
dei Betacoronavirus, sottogruppo C presentando elevata omologia con i due ceppi identificati in Spagna nel 2007 in Hypsugo savii
e Eptesicus isabellinus. Le restanti due sequenze si localizzano
all’interno del gruppo degli Alphacoronavirus e presentano la più
elevata omologia con due virus identificati P. khulii e P. pipistrellus
nel 2007 e 2008 in Spagna. Gli esami eseguiti in coltura cellulare
hanno permesso di isolare 19 ceppi virali riferibili, tramite ME, a
Reovirus. I successivi esami in PCR hanno confermato il risultato
della ME identificando tutti gli isolati come Mammalian Orthoreovirus (MRV). Di questi 16 sono stati identificati come MRV tipo 3
mentre per 3 ceppi non è stato possibile individuare il sierotipo
tramite Multiplex RT-PCR (6). La caratterizzazione molecolare de-
105
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gli isolati è stata eseguita attraverso il sequenziamento parziale
del gene L1 (416 bp) e completo del gene S1 (1416 bp). Gli alberi
filogenetici sono riportati in figura 2 e 3. Nella tabella 2 è riportato
l’elenco dei campioni positivi per MRV con l’indicazione della tipologia di campione, della specie e del numero di accesso Genbank
assegnato alle sequenze. L’albero filogenetico del gene L1 mostra
che 13 dei 19 MRV isolati formano un cluster omogeneo distinto,
4 ceppi formano un cluster insieme all’unica altra sequenza da
pipistrello presente in Genbank recentemente identificata in Germania (7) ed i restanti 2 isolati si collocano in un ulteriore cluster
insieme ad un virus isolato nel cane in Italia (8) e ad un ceppo suino individuato in Cina. Nell’albero filogenetico per il gene S1, tutti
gli isolati di questo studio si collocano, secondo una precedente
classificazione (9), all’interno del lineage 3 insieme al ceppo tedesco da pipistrello, al ceppo italiano di cane e a virus bovini e murini
isolati negli anni 60’. Considerando la difficoltà nel valutare macroscopicamente le lesioni a carico degli organi interni, per via del
congelamento e delle ridotte dimensioni degli animali, non è stato
possibile stabilire una relazione causa-effetto tra morte dell’animale ed infezione virale. Una precedente indagine condotta in Italia
riporta l’identificazione di BetaCov in Rhinolophus ferrumequinum
(9). In questo studio AlphaCoV, BetaCoV e MRV sono stati identificati in differenti specie di pipistrelli a testimonianza che questi virus
sono diffusi nei pipistrelli italiani.
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SCHMALLENBERG VIRUS AS A PARADIGM OF THE EMERGENCE OF NEW VIRUSES
Van Der Poel W.H.M.[1]
Keywords: Schmallenberg virus, epizootic, sheep
Central Veterinary Institute of Wageningen University and Research Centre, Lelystad, The Netherlands Centre, Lelystad,
The Netherlands
[1]
Schmallenberg virus was discovered in November 2011, and
named after the village in Germany where it was first detected
in blood samples from a dairy herd (1). The provisionally named
“Schmallenberg virus” is an enveloped, negative-sense, segmented, single-stranded RNA virus. It belongs to the Bunyaviridae family, within the Orthobunyavirus genus. Schmallenberg
virus is related to the Simbu serogroup viruses, which also includes ruminant viruses like Shamonda, Akabane, Sathuperi,
Douglas and Aino virus. Based on what is already known about
the genetically related Simbu serogroup viruses, Schmallenberg
virus affects domestic ruminants. At its first occurrence in dairy
cattle in both Germany and The Netherlands Schmallenberg virus infections presented with fever and reduced milk yield, in the
Netherlands also severe diarrhoea (2). In early December 2011,
congenital malformations were reported in new-born lambs in
the Netherlands, and Schmallenberg virus was detected in and
isolated from the brain tissue. Thereafter the virus was also detected in malformed calves and goat kids.Gross pathology in
malformed animals and stillbirths (calves, lambs, kids) included
arthrogryposis, hydrocephaly, brachygnathia inferior, ankylosis,
torticollis, scoliosis, hydranencephaly, hypoplasia of the central nervous system, porencephaly and subcutaneous oedema
(3). The symptoms can be summarised as arthrogryposis and
hydranencephaly syndrome (AHS). The spatial and temporal distribution suggests that the disease is first transmitted by insect
vectors, in particular culicoides spp and then vertically in utero. The detection of SBV in midges (culicoides spp) in several
countries supports this assumption.
The emergence of Schmallenberg virus in Europe resulted in
a rapid increase of malformations in new borne lambs and later on calves. In spring 2012 the numbers of cases started to
decrease, first in sheep and then in cattle. By May 2012 Schmallenberg virus had affected farms in at least 8 countries in
Western Europe, and although the epidemic curve seemed to
come to an end by May 2012 a further spread over Europe still
is likely (4). Schmallenberg virus clearly causes severe disease
in ruminants and as a result economic losses which may be
enhanced by trade restrictions. As the family of Bunyaviridae
contains several important zoonoses, studies were performed
to elucidate its zoonotic potential. In a rapid risk assessment in
Dec 2011 it was concluded that human infections were unlikely
but could not be excluded. Therefore both in the Netherlands
and Germany serosurveys in the human population were performed. In the Netherlands 301 persons exposed to SBV, farmers
and veterinarians, were tested and in North Rhine-Westphalia
60 cattle and sheep farmers were tested. None of the tested
individuals showed antibody to SBV and it was concluded that
there is no evidence for zoonotic infection (5).
The “Schmallenberg virus experience” again has shown that
the introduction of a completely new virus on the continent can
encompass an important threat to animal health and public health. Moreover, continued changes in human and animal demography, coupled with environmental changes and changes
within a virus itself make it likely that the trend for increased viral
disease emergence will continue.
Strategies to improve veterinary and public health protection
with regard to emerging viruses have focused towards improved surveillance. Improved detection of viruses in reservoirs,
early disease outbreak detection, or broadly based research
to clarify important factors that favour (re-)emergence. In order
to recognize and combat viral diseases, it is pivotal to understand the epidemiology of these infections. We need to know
the virus, its vertebrate hosts and the methods of transmission
between these hosts. This should be coupled with knowledge of spatio-temporal disease patterns together with changes
over time. Together, these can be used to build a picture of the
dynamic processes involved in virus transmission that can be
used to account for observed disease patterns and ultimately to
forecast spread and establishment into new areas.Longitudinal
veterinary surveillance should include food producing animals
as well as wildlife and also insect vectors should be considered. A main goal of infectious disease surveillance is the early
detection of new emerging viruses. For this we will primarily be
dependant of clinicians and laboratories testing field samples
from potential reservoirs. Case reports will have to be generated
and combined to early detect new emerging viruses. Electronic
systems, preferably web-based, could be very helpful to achieve this. In addition, improved detection may also be achieved
through use of syndromic approaches. Syndromic surveillance, which collects non-specific syndromes before diagnosis,
has great advantages in promoting the early detection of new
emerging diseases before disease confirmation. By combining
syndromic surveillance with case report surveillance in online
reporting systems, a sensitive early detection system for new
emerging diseases could be build.
Novel molecular methods, for example DNA microarrays and
whole genome approaches offer unprecedented opportunities
for rapid detection but these require significant optimisation and
validation before they can be deployed broadly. Also due to costs
limitations, the rapid detection of a new virus will only be feasible by employing the different molecular techniques, including
microarray, (RT)-PCR and whole genome sequencing, in a sensible combination. By applying molecular approaches, positive
detections of a lot of different viruses in a lot of different samples
have been performed. However, it is much more difficult to proof
causation. The agent should be present at high concentrations
and seroconversion should be demonstrated. Confidence in a
causal relationship between a candidate pathogen and a disease is enhanced by fulfilment of Kochs’ Postulates (i.e. demonstration of the presence of an agent in all cases of a disease and
not in the absence of disease, replication of disease following
ex vivo cultivation and introduction into a naïve host); however,
this will not always be feasible. Apart from the fact that this can
be extremely time-consuming, some viruses cannot be cultured
and experimental infection can be extremely difficult.
Prompt detection and instigation of control measures such as
vaccination are crucial to prevent spread. Cloned antigens or attenuated vaccines can be modified into the appropriate antigenic
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forms and in the case of arboviruses, approaches targeting replication in the arthropod vector, or the vectors themselves, may
offer substantial benefit for control. However, the development
of a safe and efficacious vaccine including its registration for
use is very time-consuming. Moreover history has learned that
it is extremely difficult to swiftly design a new reactive vaccination strategy, which means that in the first phase of every new
epidemic we will have to rely on biocontainment and biosecurity
measurements.
National and International cooperation can be helpful to early
identify new viruses and will be needed to develop innovative and rapid control strategies to combat emerging diseases.
Therefore this should be stimulated as much as possible.
Knowledge exchange and research networking should become
a commonplace. In addition the One Health approach, involving
inclusive collaborations between physicians, veterinarians and
other health and environmental professionals, will be more and
more important to combat emerging viral disease outbreaks.
National authorities as well as international organisations like
WHO, OIE, FAO and also ECDC therefore should actively support such cooperative initiatives to achieve an optimal response
to new epizootics in Europe.
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Schaik, Wim H.M. van der Poel (2012) Seroprevalence of Schmallenberg Virus Antibodies among Dairy Cattle, the Netherlands, Winter 2011–2012. Emerging Infectious Diseases 18:..
5.
Chantal Reusken, Cees van den Wijngaard, Paul van
Beek, Martin Beer, Gert-Jan Godeke, Leslie Isken, Hans van
den Kerkhof, Wilfrid van Pelt , Wim van der Poel, Johan Reimerink, Peter Schielen, Jonas Schmidt-Chanasit, Piet Vellema,
Ankje de Vries, Inge Wouters and Marion Koopmans (2012)
Public health response to an emerging arbovirus: the case of
Schmallenberg virus (submitted for publication).
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ASSOCIAZIONE TRA POLIMORFISMI DEL GENE MHCIIB E RESISTENZA ALLA
LATTOCOCCOSI NELLA TROTA IRIDEA (ONCORHYNCHUS MYKISS):
RISULTATI PRELIMINARI
Colussi S.*[1], Bertuzzi S.[1], Maniaci M.G.[1], Peletto S.[1], Modesto P.[1], Riina M.V.[1], Scanzio T.[1], Prearo M.[1], Acutis P.L.[1]
Keywords: Lactococcosis, genetic resistance , rainbow trout
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino
[1]
SUMMARY: Genes within the major histocompatibility complex
(MHC) are important for both innate and adaptative immunity in
mammals; however, less is known regarding their contribution
in teleost fish. We examined the involvement of MHCIIB gene
in resistance to Lactococcus garvieae, the causative agent of
lactococcosis, after rainbow trout exposure to naturally contaminated water. One haplotype was found only in surviving fish,
confirming the role of MHCIIB in resistance to lactococcosis.
Markers related to resistance could be used for molecular marker-assisted selective breeding in rainbow trout.
INTRODUZIONE: La lattococcosi della trota (Oncorhynchus
mykiss) è una streptococcosi di acqua calda, sostenuta da Lactococcus garvieae, che determina l’insorgenza di una patologia
a carattere iperacuto-acuto di notevole impatto economico per
la troticoltura. Al momento l’unica strategia di controllo della
malattia è la profilassi mediante utilizzo di vaccini stabulogeni, da preferire al trattamento terapeutico che determina una
rilevante immissione di antibiotici nell’ambiente incrementando
così l’insorgenza di ceppi antibiotico resistenti.
In alcune specie ittiche è stato individuato un coinvolgimento nella resistenza a patologie batteriche, quali aeromonosi e
vibriosi, dei polimorfismi del gene MHCIIB, codificante per la
catena beta delle molecole del sistema maggiore di istocompatibilità (MHC) di classe II (1, 5). Nella trota è stata descritta la
sequenza genica di MHCIIB, ma ad oggi non è stata riportata
alcuna indagine relativa al possibile coinvolgimento di questo
locus nella modulazione della resistenza alla lattococcosi. Lo
scopo del presente lavoro è stato pertanto studiare l’eventuale
associazione dei polimorfismi rilevati nel gene MHCIIB con la
resistenza alla malattia, effettuando uno studio caso-controllo
basato su soggetti deceduti e sopravvissuti a seguito di esposizione ad acque naturalmente contaminate dal batterio.
MATERIALI E METODI: 500 esemplari di trota iridea sono
stati messi a dimora nel mese di luglio in tre vasche distinte;
le vasche sono state alimentate con acqua superficiale proveniente dalla stessa fonte idrica che alimenta l’allevamento che
ha ospitato la prova, con un flusso costante di circa 40 l/s; la
temperatura per l’intero periodo estivo ha oscillato tra i 17°C e i
22°C, range ideale per lo sviluppo di L. garviae. Casi sono stati
considerati i soggetti deceduti nel corso del periodo di esposizione naturale (luglio-ottobre), presentanti sintomatologia
specifica, risultati positivi ad esame colturale per L. garvieae
mediante prelievo dal rene (primo isolamento e isolamento su
terreno selettivo Bile Esculin Agar e Slanetz Agar) e a seguito
di caratterizzazione fenotipica e bio-molecolare del ceppo isolato (gallerie API 20 STREP, API ZYM, API 50 CH; PCR specie
specifica). Controlli sono stati invece considerati i soggetti sopravvissuti all’infezione.
Per l’analisi genetica, da ciascun soggetto deceduto e dai soggetti sopravvissuti all’infezione, è stato effettuato il prelievo della pinna adiposa sottoposta a congelamento –20°C: il DNA è
stato estratto mediante il kit Pure LinkTM Genomic DNA Mini
Kit (Invitrogen).
È stato analizzato un frammento di 300 pb dell’esone II del
gene MHCIIB codificante per il dominio ipervariabile ß1, dominio preposto all’interazione con l’antigene. I primer utilizzati
sono stati descritti da Miller (2). La reazione PCR è stata condotta su un volume pari a 25 μl utilizzando Platinum® qPCR
Supermix-UDG (Invitrogen) a cui sono stati aggiunti 300 nM di
ciascun primer descritto e circa 50 ng di DNA. È stato utilizzato
il seguente profilo termico:
50°C per 2’ e 95°C per 2’ seguiti da 35 cicli 94°C per 30”, 55°C
per 1’, 72°C per 1’ ed estensione finale a 72°C di 7’.
Si è successivamente proceduto al sequenziamento mediante
l’utilizzo degli stessi primer di PCR e la chimica BigDye 1.1 (Applied Biosystems) utilizzando il sequenziatore 3130 (Applied
Biosystems).
L’allineamento delle sequenze è stato effettuato mediante il
Software SeqMan (Lasergene). Per ciascun polimorfismo è
stato calcolato l’equilibrio di Hardy-Weinberg; la definizione
degli aplotipi ed il permutation test sono stati effettuati con il
software PHASE v.2.1 (3, 4). Il test Chi-Quadro è stato eseguito con il software Epi6. Sono stati inoltre ricercati polimorfismi
eventualmente presenti in motivi regolatori collocati a livello degli esoni, chiamati ESE (Esonic Splicing Enhancer) mediante
Rescue-ESE Web Server.
Lo studio della popolazione totale dei soggetti deceduti e sopravvissuti è al momento in corso, l’analisi qui presentata è relativa ad una sottopopolazione costituita da 39 campioni casuali appartenenti ai casi e 39 controlli ed i risultati ottenuti sono
pertanto da ritenersi preliminari.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono state identificate 38 sostituzioni nucleotidiche, 4 delle quali sinonime e 34 non sinonime;
35 siti di mutazione sono inoltre risultati dimorfi e 3 trimorfi. Per
ciascuna di esse è stata calcolata la frequenza ed è stato valutato il rispetto dell’equilibrio di Hardy-Weinberg come riportato
in tabella 1.
Cinque alleli hanno mostrato una frequenza inferiore al 5 %
ed 8 non sono risultati in equilibrio di HW, pertanto un totale di
13 alleli non è stato considerato nella definizione degli aplotipi.
Sono stati descritti 57 aplotipi, solo 6 dei quali con una frequenza >0.05 (tabella 2): su di essi è stato effettuato lo studio
di associazione.
Il permutation test ha mostrato una differenza statisticamente
significativa tra casi e controlli fornendo un valore di p <0.05
(p=0.01) indicante una diversità genetica delle due popolazioni
prese in esame.
Un solo aplotipo ha mostrato una diversa distribuzione delle
frequenze statisticamente significativa tra casi e controlli calcolata mediante test esatto di Fisher (p= 0.001) ed è risultato
associato a resistenza alla malattia. È stata inoltre condotta
un’analisi valutando la presenza di significatività per ciascun
allele costituente l’aplotipo: l’allele 132 ha presentato un valore
110
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di p=0.049 al limite della significatività statistica. Esso, insieme
agli alleli 130 e 131, codifica per l’aminoacido in posizione 44;
in questo aplotipo ciò determina il passaggio dalla tripletta ttt a
tag e quindi l’inserimento di un codone di stop che potrebbe generare un’alterazione nella capacità del recettore di interagire
con l’antigene.
Gli alleli 135-136-137, presenti in linkage, hanno mostrato un
valore di p=0.006 quindi altamente significativo. L’allele 135
codifica per una mutazione sinonima (aa 45 I>I); le mutazioni sinonime possono talvolta avere un ruolo rilevante poiché
appartenenti regioni ESE; in effetti questa mutazione sembra
alterare un motivo regolatorio (A135GACT) agente come ESE.
Gli alleli 136 e 137 codificano entrambi per l’aminoacido 46;
nell’aplotipo descritto dalla tripletta gac si genera acc (D>T).
La matrice di sostituzione aminoacidica presenta per questa
sostituzione un valore pari a 0 che indica pertanto, dal punto di
vista biologico, una sostituzione neutrale.
Se la presente associazione sarà confermata nello studio sulla
popolazione totale, l’aplotipo identificato sarà utilizzato quale
marcatore per la selezione di soggetti da sottoporre a studio di
challenge con differenti dosaggi di carica batterica; inoltre gli
stessi soggetti saranno utilizzati quali riproduttori nel caso di
sopravvivenza. Il gene MHCIIB si presenta quindi come possibile gene candidato da utilizzare nell’implementazione di piani
di selezione assistita da marcatori per il controllo e l’eradicazione della lattococcosi.
Tabella1: Frequenze e p-value HW relativi alle sostituzioni nucleotidiche rilevate
111
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Tabella2: Aplotipi sui quali è stato condotto lo studio di associazione
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112
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
IL REGISTRO TUMORI ANIMALI DELLA REGIONE CAMPANIA
Degli Uberti B.*[1], Sarnelli P.[2], Caputo V.[3], Guarino A.[1], Mizzoni V.[4], Pompameo M.[3],
D’Amore M.[1], Francese A.[1], Rosato G.[3]
Keywords: V.A.M, WHO ICD-O, Registro Tumori Animali
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno – Portici ~ Portici,
[2]
Regione Campania settore veterinario ~ Napoli,
[3]
C.R.I.U.V. Centro Regionale Igiene Urbana Veterinaria ~ Napoli,
[4]
ASL NA 1 Centro Servizi Veterinari ~ Napoli
[1]
SUMMARY: The purpose of this paper is to set out how the
oncological diagnoses carried out are collected into V.A.M.
(Veterinary Activity Management) and show some of the cases
of malignant neoplasia perfectly identified in the system and,
therefore, placed in space and in time.
Dogs and cats are considered “sentinel animals” (1, 2, 3) and
an excellent model for cancer research, particularly with regard
to environmental issues associated to cancers and an early
warning for the shortest period of life.
INTRODUZIONE: Con D.G.R. n.1940/2009 la Regione Campania ha istituito il Centro di Riferimento Regionale per l’igiene
Urbana Veterinaria (CRIUV) (4). Questo nasce dalla collaborazione tra ASL NA 1 Centro, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno (IZSM) e Facoltà di Medicina Veterinaria
dell’Università di Napoli Federico II, al fine della realizzazione
di una struttura in grado di elaborare modelli di riferimento nel
campo dell’Igiene Urbana.
Con la D.G.R. n. 377/2011 il CRIUV è stato individuato quale
sede del “Registro Tumori Animali (RTA) della Regione Campania”(5). La raccolta dati dei casi oncologici avviene per il tramite
di una sezione di un software gestionale regionale, il Veterinary
Activity Management (V.A.M.).
Presso la ASL Napoli 1 Centro fin dal 2008, in concomitanza
con l’emergenza rifiuti in Regione Campania ed il clamore mediatico suscitato dall’emergenza Diossina, si è attivato un servizio di “diagnostica necroscopica”, teso anche alla sorveglianza
dei casi neoplastici. Contestualmente, con Progetto di Ricerca finanziato dal Ministero della Salute l’U.O. di Istopatologia
(IZSM Portici), come responsabile del progetto, ha iniziato a
valutare i criteri di raccolta epidemiologica dei prelievi di tessuto affetti da neoplasia.
La raccolta dei dati epidemiologici del RTA avviene tramite il
V.A.M., un sistema informativo gestionale delle attività sanitarie
effettuate su cani, gatti e sinantropi dalle strutture pubbliche.
Esso è integrato con la Banca Dati Regionale (BDR) Anagrafe
Canina, dalla quale attinge in automatico i dati anagrafici degli
animali. Tale sistema, inoltre, permette di ottenere dati riguardo
la cartella clinica degli animali esaminati.
Il V.A.M. prevede una sezione dedicata all’ ESAME ISTOLOGICO e, per quanto concerne l’RTA, si avvale di diagnosi espresse mediante utilizzo di un codice WHO seguito da un ICD-O.
L’elaborazione di tali codici è scaturita dalla collaborazione del
Centro di Referenza Nazionale per l’Oncologia Veterinaria (CEROVEC) con sede in Genova con tutti gli II.ZZ.SS. che, hanno
accorpato le neoplasie riscontrate in Medicina Umana (secondo codici umani) e quelle tipicamente riconosciute in Medicina
Veterinaria. Nel momento in cui, attraverso l’esame istologico,
si pervenga ad una diagnosi oncologica, le informazioni inserite
nel software vengono automaticamente inviate nell’ RTA, con
tutti i dati necessari correlati all’animale ed alla provenienza
dello stesso.
MATERIALI E METODI: I prelievi di organi effettuati in sede
di necroscopia sono stati inviati presso l’U.O. di Istopatologia
di Portici in formalina tamponata al 10% e sottoposti a totale
riduzione, processati, inclusi e tagliati in microsezioni (3-4µ)
sottoposti a colorazione Ematossilina–Eosina e a colorazioni
istochimiche ed immunoistochimiche per approfondire il quadro
oncologico.
RISULTATI E CONCLUSIONI: 3.1 Nel corso degli anni 2008,
2009 e 2010, uno studio preliminare della ASL NA 1 Centro
sulle “cause di morte” degli animali, ha mostrato un’ incidenza
piuttosto elevata di neoplasie maligne (All. 1, Grafico 1).
Lo studio condotto negli anni 2010 e 2011 sul numero e tipo di
neoplasie riscontrate con diagnosi istologica (WHO ICD-O) ha
rilevato su 147 necroscopie (133 cani e 14 gatti) effettuate nel
2010, un numero totale di 49 casi oncologici (42 cani e 7 gatti),
di cui 41 neoplasie maligne e 8 neoplasie benigne.
Su 124 necroscopie effettuate nel 2011 (115 cani e 9 gatti) un
numero totale di 38 casi oncologici (37 cani e 1 gatto), di cui
33 neoplasie maligne, 5 neoplasie benigne. (All. 1, Grafico 2).
L’RTA in V.A.M. strutturato in varie pagine (All. 2, Fig. 1) permette di individuare spazio – temporalmente i casi oncologici.
3.2. Casi oncologici
A titolo esemplificativo vengono riportati casi di necroscopia
effettuati presso il CRIUV che, come molti altri risultano perfettamente rintracciabili dal punto di vista epidemiologico:
CASO 1 All. 3
CANE DOGO ARGENTINO, FEMMINA STERILE di 5 ANNI;
PADRONALE MC 968000003787302 LOC. VARCATURO
(NA) proveniente da una zona considerata S.I.N. (Sito di Interesse Nazionale).
Esame necroscopico
Si riscontravano: notevole edema dell’arto posteriore destro,
tumefazione ed ulcerazione della mammella inguinale destra,
con presenza di noduli cutanei multipli ulcerati (Fig.7).
In vari distretti corporei alla sezione si evidenziava un aspetto
gelatinoso con gemizio di liquido.
La mammella inguinale destra, parzialmente ulcerata, alla sezione mostrava un tessuto modificato bianco, traslucido, a tratti gelatinoso, con aree emorragiche (Fig.8). I muscoli mediali
della coscia destra si presentavano atrofici e sostituiti da un
tessuto compatto lardaceo con estensione dalla cute all’osso.
Esame istologico eseguito su muscolo e mammella
Metastasi presenti a livello epatico, splenico, cervicale.
Diagnosi Morfologica: SARCOMA ISTIOCITICO
ICD-O
9755/3 (Fig 9) ICD-O 9755/6
CASO 2 All. 4
CANE CORSO, MASCHIO di 2 anni; PADRONALE
MC985121011231105 VIA VICINALE REGGENTE 47
Esame necroscopico
Si evidenziava in addome versamento emorragico ed una neoformazione gastrica di 20 cm di diametro, colorito rosso scuro,
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vascolarizzata e con aderenze agli organi adiacenti. La parete
ispessita (circa 4-5 cm) della porzione del fondo, si mostrava
completamente infiltrata da tessuto neoplastico di colorito bianco
lardaceo (Figg.10 e 11).
Esame istologico eseguito su Stomaco
Diagnosi morfologica: LINFOMA NAS ICD-O 9530/3 (Fig 12)
CASO 3 All. 5
CANE SCHNAUZER, FEMMINA di anni 12 circa, PADRONALE
TATUAGGIO 1NA16069; VIA TITO ANGELINI NAPOLI .
Esame necroscopico
In addome presenza di abbondante versamento ematico. Presenza sulla superficie epatica di numerose neoformazioni di
aspetto e dimensioni variabili (fino ai 4 cm di diametro) alcune
rotondeggianti, altre irregolari con margini frastagliati, altre ancora ombelicate-crateriformi ( Fig 13), alla sezione biancastre,
lardacee, sode.
La parte mediana della milza si presentava profondamente alterata per la presenza di una neoformazione allungata (6,5 cm).
(Fig.14)
I reni mostravano superficie irregolare e formazioni di piccole
dimensioni (pochi mm) (Fig. 15) disseminate anche nella corticale.
Le ghiandole surrenali erano aumentate di volume (3 cm) ed il
parenchima modificato da piccole nodosità .
In cavità toracica i polmoni (Fig. 16) risultavano aumentati di
volume con superficie irregolare e presenza diffusa di piccoli noduli bianchi (da miliariformi a 4 -5 mm di diametro), rilevati che
alla sezione risultavano distribuiti in tutto il parenchima. Il cuore
appariva globoso, con sfiancamento dei ventricoli; il miocardio
mostrava variazioni della colorazione. I lembi valvolari mostravano ispessimento.
Esame istologico eseguito su polmone, fegato, milza, surreni,
cuore
Diagnosi morfologica SARCOMA (sede primitiva sconosciuta)
ICD-O 8800/3; ICD-O 8800/6 (Fig. 17).
Si fa sempre più forte la necessità di valutare l’ambiente e lo studio delle neoplasie correlate, da qui la nascita dei Registri Tumori
Umani e Animale in Regione Campania.
Il Registro Tumori Animali elaborato nel V.A.M. appare un ottimo strumento per razionalizzare la raccolta dei dati oncologici in
Medicina Veterinaria, attraverso il quale nel corso del tempo si
potranno effettuare elaborazioni epidemiologiche ben strutturate
sia per la possibilità di conoscere l’origine dell’animale (ambiente
di vita, randagio o padronale, malattie presentate nell’arco della
vita, alimentazione, ecc.) sia per la possibilità di utilizzare dei
codici universalmente noti ed utilizzati in Medicina Umana.
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Fig. 1 : RTA nel Software V.A.M.
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BIBLIOGRAFIA:
1) Arnesen K, Gamlem H, Glattre E, Grøndalen J, Moe L,
Nordstoga K: The Norwegian Canine Cancer Register 19901998. Report from the project “Cancer in the Dog”. EJCAP
2001, XI:159-169.
2) Dorn CR, Taylor DO, Schneider R, Hibbard HH, Klauber MR:
Survey of animal neoplasms in Alameda and Contra Costa
Counties, California. II. Cancer morbidity in dogs and cats from
Alameda County. J Natl Cancer Inst 1968, 40:307-318.
3) Merlo DF, Rossi L, Pellegrino C, Ceppi M, Cardellino U,
Capurro C, Ratto A, Sambucco PL, Sestito V, Tanara G, Bocchini V.Cancer incidence in pet dogs: findings of the Animal
Tumor Registry of Genoa, Italy J Vet Intern Med. 2008 JulAug;22(4):976-84.
4) Regione Campania DGR n.1940 del 30.12.2009 Istituzione
Centro di Riferimento Regionale per l’igiene Urbana Veterinaria
(CRIUV).
5) Regione Campania DGR n. 377 del 4.8.2011 Piano Regionale Integrato (P.R.I.) 2011 - 2014 sulla sicurezza alimentare, il
benessere e la sanita’ animale, la sanita’ vegetale.
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RCD1-PRA ATROFIA PROGRESSIVA DELLA RETINA
Cutarelli A.*[1], Amoroso M.G.[1], Girardi S.[1], De Roma A.[1], Trio S.[2], Guarino A.[1], Galiero G.[1], Corrado F.[1]
Keywords: Progressive Retinal Atrophy (PRA), Cone-Rod distrophy1 (RCD1), selezione
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (NA), [2]Libero Professionista ~ Napoli
[1]
SUMMARY: The Progressive Retinal Atrophy (PRA), is a collection of retina diseases very variables for age of onset generally in
a breed-specific way. The disease has a specific phenotype and
common in all dogs with both different breeds and varieties. In some
breeds it was possible to identify the gene mutation responsible for
an initial form of PRA, dysplasia cone-rod type 1, rcd-1. This work
concerns the identification of the causal mutation of this disease, by
the approach of the “candidate gene”. in order to avoid its transmission to the future generations.
INTRODUZIONE: L’Atrofia Progressiva della Retina (PRA) fa parte
delle malattie degenerative che alterano alcune strutture della retina, da cui dipende la funzione visiva, e che progrediscono fino alla
parziale o completa cecità. Si conoscono più tipi di PRA (1) riferiti
a diversi meccanismi di insorgenza a loro volta legati a componenti
genetiche multiple (displasie dei fotorecettori che sono precocemente alterati o loro degenerazione in fasi successive della vita).
Per questo motivo in rapporto alla razza la PRA può essere evidenziata con una visita oculistica, anche se effettuata da un medico
veterinario particolarmente esperto, solo ad una certa età, quando
ha determinato alterazioni osservabili sul fondo dell’occhio.
In alcune razze canine si è riusciti a identificare la mutazione genica responsabile di una forma iniziale della PRA, la displasia conibastoncelli di tipo 1 (rcd-1, rod-cone dysplasia type 1). L’ereditarietà
è autosomica recessiva, vale a dire si ammalano solo animali con
due alleli del gene mutato. L’rcd-1 è rilevabile con esame oftalmologico a partire dal 4° mese di vita. Con l’analisi di biologia molecolare
(2) è invece possibile rilevare a qualsiasi età se l’animale è geneticamente sano, se è un portatore eterozigote o se è omozigote per
l’anomalia in questione (e se quindi verrà colpito dalla malattia).
La rcd-1 si eredita in maniera recessiva ed è determinata da una
mutazione puntiforme in cui una base G è sostituita con una A provocando un prematuro codone di stop nel residuo 49 dal terminale
carbossilico della proteina (3). Generalmente i cani malati mostrano
gravi deficit visivi sia durante il giorno che di notte. Esistono delle
varianti a seconda dell’età di insorgenza. La malattia è progressivamente ingravescente e culmina nella cecità completa.
MATERIALI E METODI: - Campionamento ed analisi morfologica
I campioni sono stati raccolti per l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno durante manifestazioni canine organizzate
dall’ Ente Nazionale per la Cinofilia d’Italia (ENCI) o inviati allo stes-
so da liberi professionisti.
- Estrazione del DNA e PCR
IL DNA è stato estratto dai campioni in esame (200 mg) utilizzando
il QIAamp DNA Mini kit (Qiagen).
La PCR è stata preparata utilizzando 1-2 µg di DNA genomico e 0.4
µM di ciascuno dei seguenti primers (3-4):
rcd-1 5’GAGTTTTCCCGTTTCCACGAA (forward)
rcd-1 5’GCTTTCTTGGCTGTCGTCCTGTCCT (reverse)
Le reazioni sono state predisposte in un volume totale di 100 µL
contenente 50 mM KC1, 10mM Tris-HCl (pH8.3), 2.5 mM MgCl2,
10% DMSO, and 0.2 µL di ciascun dATP, dCTP, dGTP, dTTP, e 2.5
U Taq DNA Polymerase.
Il profilo termico della PCR consiste in 30 cicli alle seguenti temperature:
-1 minuto alla temperatura di annealing di 54°C
-1 minuto alla temperatura di polimerizzazione di 72°C
-1 minuto alla temperatura di denaturazione di 94°C
Dopo i 30 cicli i campioni sono stati portati a 4°C nel termociclizzatore fino alla fase successiva.
- Analisi elettroforetica
I prodotti di PCR sono stati purificati mediante Qiaquick PCR purification Kit (Qiagen) e successivamente sottoposti a PCR di sequenziamento bi-direzionale utilizzando il kit di sequenziamento
ABI PRISM Big Dye3.1 Terminator Cycle Sequencing Kit (Applied
Biosystems) secondo le istruzioni contenute nel kit. Le sequenze
sono state poi purificate del Dye terminator mediante DyeEX 2.0
spin kit (Qiagen) ed infine sottoposte ad elettroforesi capillare con
lo strumento ABI Prism 3130 Genetic Analyzer (Applied Biosystems). Gli elettroferogrammi sono stati analizzati mediante software SeqScape v.2.5 (Applied Biosystem). Le sequenze ottenute dal
gene candidato sono state analizzate ed allineate in BLAST (http://
blast.ncb.nlm.nih.org).
RISULTATI E CONCLUSIONI: I cani affetti da rcd-1 presentano
una mutazione al codone 807 del gene della sub unità del cGMP
fosfodiesterasi (5).
L’identificazione della mutazione causale di questa malattia, secondo l’approccio del “gene candidato”, potrebbe evitarne la trasmissione alle generazioni future e ridurre così in modo significativo il
numero di cani malati negli allevamenti.
Mutazione puntiforme nella base G sostituita con una A provocando un prematuro codone di stop in animali affetti da rcd-1
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Il presente studio ha confermato la prevalenza di questa mutazione nei cani rcd-1 affetti.
Le analisi svolte hanno permesso di individuare con successo
la malattia nei campioni analizzati. Questi dati preliminari permetteranno la messa a punto di un metodo di analisi genetica
della rcd-1.
Tale approccio permette di individuare cani malati molto prima
che compaiano i sintomi clinici della malattia.
I risultati attesi dalle strategie di allevamento utilizzando un’analisi genetica per la rcd-1
Gli allevatori possono individuare gli animali omozigoti sani,
cani che non presentano nel loro patrimonio genetico alcuna
copia del gene mutato, ed impiegarli nei programmi di accoppiamento. In questo modo, dopo diverse generazioni di selezione senza animali malati o portatori, gli allevatori potrebbero
eliminare completamente il gene mutato dai loro allevamenti
ed evitare così la trasmissione alle future generazioni (Fig.2).
BIBLIOGRAFIA: 1) Hertil E., Bergstrom T., Kell U., Karlsstam
L., et al. (2010).Retinal degeneration in nine Swedish Jämthund dogs. Veterinary Ophtalmology, 13: 110-116.
2) F. Sanger, S. Nicklen, and A. R. Coulson (1977). DNA sequencing with chain-terminating inhibitors, Proc Natl Acad Sci
U S A., 74(12): 5463-5467.
3) Zangerl B., Goldestein O., Alisdair R.P., et al. (2006). Identical mutation in a novel retinal gene causes progressive rodcone degeneration in dogs and retinitis pigmentosa in humans.
Genomics, 88: 551-563.
4) Sanger F, Coulson A.R. (1975). A rapid method for determining sequences in DNA by primed synthesis with DNA polymerase. J Mol Biol. May 25:94 3:441-448.
5) M L Suber, S J Pittler, N Qin, G C Wright, V Holcombe, R H
Lee, C M Craft, R N Lolley, W Baehr, and R L Hurwitz (1993)
Irish setter dogs affected with rod/cone dysplasia contain a
nonsense mutation in the rod cGMP phosphodiesterase betasubunit gene. Proc. Natl. Acad. Sci. U S A., 90: 3968-3972.
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ISOLAMENTO E COLTIVAZIONE IN VITRO DI CONDROCITI ISOLATI DALLA
CARTILAGINE AURICOLARE DI CAVALLO
Barbaro K.*[1], Canonici F.[2], Fagiolo A.[1], Eleni C.[1], Zepparoni A.[1], Altigeri A.[1], Sittinieri S.[1], Cocumelli C.[1],
Roncoroni C.[1], Amaddeo D.[1]
Keywords: articular cartilage repair, auricolar elastic cartilage, horse
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana-Roma ~ Roma,
[2]
Clinica Veterinaria Equine Practice ~ Campagnano (Roma)
[1]
SUMMARY: Damaged articular cartilage has poor intrinsic regenerative capacity, due to its avascular nature. Autologous
articular chondrocyte transplantation may cause further degeneration of the cartilage. An alternative approach for repair cartilage tissue is to utilize auricular elastic cartilage as a potential
source of autologous chondrocyte. Auricular cartilage was harvested from the ear of a horse, isolated, and cultured on tissue
culture flask. This work shown that during cultivation in vitro
the proliferation capacity of chondrocyte culture decreases and
cells surface increases.
I condrociti coltivati in vitro, sono stati sottoposti a cambi di terreno di coltura ogni due giorni.
Quando le cellule in coltura raggiungevano una confluenza
dell’80% circa, venivano espanse (passaggio): effettuando un
distacco enzimatico con soluzione di tripsina-EDTA (0,25%). La
sospensione cellulare cosi ottenuta veniva contata e diluita in
αMEM-10% FCS, quindi passata in fiaschetta di plastica da 75
cm2 e incubata alle condizioni di coltura suddette. I successivi
passaggi venivano effettuati con lo stesso procedimento. I condrociti sono stati mantenuti in coltura fino al decimo passaggio.
INTRODUZIONE: La cartilagine articolare è un tessuto avascolare contenente un solo tipo di cellule, i condrociti, ed
un’abbondante sostanza intercellulare. Per questo motivo le
lesioni a carico della cartilagine articolare adulta generalmente
non sono in grado di riparare spontaneamente; per cui una
lesione non correttamente trattata, può facilmente evolvere in
una degenerazione di tipo artrosico.
I diversi di trattamenti impiegati, basati su metodiche riparative, come condroabrasioni e perforazioni subcondrali, o su
tecniche di ripristino, rappresentate dall’inoculo di staminali
mesenchimali da midollo osseo o da tessuto adiposo, non si
sono mostrati sempre efficaci, determinando, in alcuni casi,
una riparazione del difetto con formazione di tessuto fibro-cartilagineo caratterizzato da minori caratteristiche biomeccaniche e funzionali (1).
Lo sviluppo di un protocollo di isolamento ed amplificazione
in vitro di condrociti, isolati da cartilagine auricolare, costituisce un importante risultato (3); è stato dimostrato infatti, che
queste cellule sono in grado di de-differenziare in vitro (2,6) e
produrre, quando introdotte in un sito di lesione articolare, cartilagine di tipo ialino che garantisce la normale capacità morfofunzionale del piano articolare (5).
Valutazione della morfologia e della vitalità cellulare
I condrociti isolati sono stati analizzati visivamente ogni giorno al microscopio ottico rovesciato (Nikon Eclipse TE2000-U),
al fine di valutare, nel tempo, la velocità di accrescimento, e i
cambiamenti morfologici della popolazione cellulare.
MATERIALI E METODI: Isolamento di condrociti da cartilagine
auricolare
I condrociti sono stati isolati da cartilagine auricolare di cavalli
reclutati al macello. Dopo l’accurata rimozione del pericondrio,
è stato prelevato un frammento di circa 1 cm2 di cartilagine
auricolare. Il tessuto così prelevato è stato sminuzzato e sottoposto a digestione enzimatica con una soluzione di collagenasi
I (0,075%) (Gibco, USA) e 0,05% tripsina-EDTA (Gibco, USA)
a 37 ° C effettuando prelievi a 1, 2 e 4h. Ad ogni prelievo il
materiale è stato centrifugato a 1200g per 8 minuti ed il pellet
lavato 3 volte con αMEM contenente FBS 10%. Le cellule ottenute sono state risospese in αMEM contenente FBS 10%,
100U/mL penicillina, 100 µg/mL di streptomicina e 8mL/mL di
fungizone, seminate in fiaschette di plastica da 75 cm2 e fatte
crescere incubando a 37°C al 5% di CO2. Le colture sono state
osservate al microscopio ottico ogni giorno, al fine di valutarne
i cambiamenti morfologici.
Condizioni di crescita
RISULTATI E CONCLUSIONI: Isolamento di condrociti
Le popolazioni cellulari isolate dalle diverse digestioni enzimatiche a 1, 2 e 4h non mostravano differenze significative sia in
termini di vitalità sia di numero. Le cellule isolate presentavano
inizialmente, la morfologia tipica del condrocita maturo, ma mostravano la capacità di moltiplicarsi in modo rapido ed intenso
per tutti i 10 passaggi eseguiti, caratteristica attribuibile alla capacità di de-differenziamento di tali cellule in vitro.
Cambiamenti morfologici delle cellule
Il loro aspetto in coltura, al primo passaggio, era piccolo e poligonale ed in alcune aree le cellule si mostravano sovrapposte
in più strati; nei passaggi successivi, soprattutto al terzo ed al
quarto, apparivano più grandi e distese mostrando così, come
caratteristica morfologica, un fenotipo fibroblastoide indice di
de-differenziamento (6); con l’aumentare dei passaggi si assisteva ad un decremento della densità cellulare e ad un cambiamento morfologico caratterizzato da un evidente aumento della
superficie cellulare (Figura 1).
Obiettivo principale di questo studio è stato quello di dimostrare la possibilità di isolare ed amplificare in vitro cellule cartilaginee dalla cartilagine auricolare (2,3). Questa fonte di condrociti rappresenta il vantaggio di essere facilmente accessibile,
facilmente isolabile, presente in grandi quantità e con un alto
potenziale replicativo. Il nostro obiettivo è stato, inoltre quello
di valutare i cambiamenti progressivi che le cellule subiscono
in vitro, con lo scopo di stabilire e definire in prospettiva il momento ottimale di utilizzo di tali cellule, prima che non siano più
in grado di produrre cartilagine ialina a causa di un avanzato
grado di de-differenziamento.
I risultati incoraggianti relativi alla facilità di prelievo, alla velocità replicativa ed alle potenzialità terapeutiche, fanno della
popolazione cellulare isolata un eccellente candidato nell’utilizzo della medicina rigenerativa applicato alla risoluzione delle
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lesioni della cartilagine articolare (1,4). Lo step successivo sarà
quello di ottimizzare un protocollo standard per l’isolamento, la
coltivazione, la conservazione e la caratterizzazione in vitro dei
condrociti isolati da cartilagine auricolare cosi da poterlo inserire in un protocollo terapeutico.
Nel nostro studio la cartilagine auricolare è stata prelevata dal
cavallo in quanto rappresenta un ottimo modello animale, soprattutto quello sportivo, per la frequente comparsa di fenomeni
artritici di origine traumatica e quindi dell’esigenza di recupero
funzionale delle articolazioni.
La terapia cellulare con i condrociti isolati dalla cartilagine auricolare potrebbe costituire una valida alternativa alle terapie
tradizionali (4) per il trattamento delle lesioni a carico della cartilagine articolare, non solo nel cavallo, ma anche in altri animali
e nell’uomo.
Condrociti auricolari coltivati in vitro
BIBLIOGRAFIA: 1. PJ. Emans, M. Hulsbosch, GM. Wetzels,
SK. Bulstra, R. Kuijer. 2005 Repair of osteochondral defects
in rabbits with ectopically produced cartilage. Tissue Eng
11:1789–1792;
2. N. Isogai, H. Kusuhara, Y. Ikada, H. Ohtani, R. Jacquet,
J.Hillyer, E. Lowder, WL. Landis. 2006 Comparison of different
chondrocytes for use in tissue engineering of cartilage model
structures. Tissue Eng 12:691-695;
3. GJ. Van Osch, EW. Mandl, H. Jahr, W. Koevoet, G. NolstTrenite, JA. Verhaar. 2004 Considerations on the use of ear
chondrocytes as donor chondrocytes for cartilage tissue engineering. Biorheology 41:411-415;
4. El Sayed, A. Haisch, J.Thilo, U. Marzahn, A. Lohan, RD.
Mueller, B. Kohl, W. Ertel, K. Stoelzel, G. Schulze-Tanzil. 2010
Heterotopic Autologous Chondrocyte Transplantation--A Realistic Approach to Support Articular Cartilage Repair?. Tissue
Eng 16: 603-616;
5. G. Schulze-Tanzil. 2009 Activation and dedifferentiation of
chondrocytes: implications in cartilage injury and repair. Ann
Anat 191: 320 325;
6. W. Schuurman, D. Gawlitta, TJ. Klein, W. Hoope, MH. van
Rijen, WJ. Dhert, PR. van Weeren, J. Malda. 2009 Zonal chondrocyte subpopulations reacquire zonespecific characteristics
during in vitro redifferentiation. Am J Sports Med 37:97-99S.
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STUDIO SULL’ORIGINE DELLA CONTAMINAZIONE DI SULFADIAZINA NEL MIELE
Accurso D.*[1], Menotta S.[1], Fedrizzi G.[1]
Keywords: Miele, Antibiotici, Sulfadiazina
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna ~ Bologna
[1]
SUMMARY: The bees’s diseases induce beekeeper to uncontrolled use of antibiotics. Occasionally the not justified antibiotics presence in honey occur. Fraudulent use of veterinary
medicinal products is the most common practice but the origin of contamination is hard to find. This is the case where
the presence in honey of Sulfadiazine (SDZ) is not proven by
the beekeeper’s use. The investigation extends outside the
beekeeping. The first hypothesis consider the contiguity relations with neighboring farms or livestock but finally the more
probable hypothesis is the robbers bees’s activity on nearby
hives.
INTRODUZIONE: Le patologie che colpiscono le api spingono gli allevatori all’utilizzo illegale di antibiotici al di fuori del
controllo veterinario. L’uso fraudolento di medicinali veterinari
è pratica che comunemente si registra e talvolta è difficile risalire alle cause di contaminazione. È il caso di seguito riportato dove la presenza di Sulfadiazina (SDZ) non è giustificata
dall’utilizzo deliberato dell’apicoltore. L’opera di indagine si
sviluppa a partire dai periodi antecedenti alle prime analisi di
laboratorio fino agli ultimi campionamenti. Non si distingue il
tipico andamento di deplezione di eventuali residui di trattamento (1). L’origine della contaminazione è da ricercare al di
fuori dell’azienda apistica. Le considerazioni iniziali vagliano
la possibilità di contaminazione a causa delle relazioni di contiguità con aziende agricole e zootecniche vicine che fanno
uso del principio attivo. Successivi campionamenti prelevati in
specifiche postazioni avvaloreranno la tesi del saccheggio di
arnie limitrofe contaminate.
MATERIALI E METODI: Premessa - A marzo 2012 sono analizzati per conto di un’associazione di apicoltori 2 campioni di
miele millefiori per ricerca Sulfamidici. La ricerca dimostra la
presenza di SDZ in concentrazioni rispettivamente di 71,9 µg/
kg e 7,2 µg/kg. Non viene rilevata la presenza di altri Sulfamidici.
Il veterinario dell’associazione informa il laboratorio dei particolari del campionamento ed illustra il caso.
Indagine - Un grossista che produce e commercia miele registra in autocontrollo una positività in una partita di miele
millefiori del 2011 proveniente da un lotto fornito da una associazione. L’associazione rintraccia la provenienza del miele e
contatta il proprietario (apicoltore A) per le indagini del caso.
• L’apicoltore A possiede 100 arnie suddivise in 4 postazioni
di collina e 140 arnie suddivise in 4 postazioni in pianura.
• Non sono utilizzati in azienda antibiotici o sulfamidici da più
di 15 anni. Le raccolte delle annate precedenti sono risultate
prive di antibiotici. L’apiario produce miele biologico.
• Le analisi eseguite in autocontrollo sul miele di acacia e su
quello di castagno prodotto quasi totalmente nelle postazioni
di collina non rilevano presenza di SDZ.
Il veterinario dell’associazione consiglia all’apicoltore A di
conferire i campioni provenienti da due maturatori del 2011
all’IZSLER per identificare la postazione contaminata e la
possibile origine.
Vengono fatte le seguenti considerazioni e sottolineati i seguenti eventi:
• Il miele contaminato proviene dalle postazioni di pianura.
• Nel 2011 in una postazione di pianura si verifica un furto
di 10 arnie appena posizionate. Il proprietario riferisce di altri
furti del genere negli anni precedenti (4 arnie nel 2010).
• Successivamente al furto del 2011 viene scoperta una nuova intrusione con 1 arnia rovesciata e un’altra con coperchio
sollevato. Vengono rinvenute 2 bottiglie del tipo da conserva
contenenti pochissimo materiale che sembra yogurt.
Viene preparata una mappa delle attività agricole e di allevamento limitrofe.
(Allegato 1)
• Nelle vicinanze delle postazioni di pianura dell’apicoltore A
sono presenti arnie di altri tre apicoltori (B, C e D).
• Sono presenti allevamenti di galline ovaiole, cavalli, pecore
e vacche da latte ed un incubatoio di uova SPF.
Vengono considerate le prime ipotesi:
• una manomissione delle arnie con possibile sostituzione di
favi o altri componenti durante una delle intrusioni;
• un saccheggio delle arnie vicine da parte delle api dell’apicoltore A;
• le api potrebbero rifornirsi di acqua o trasportare particelle
contaminate dalle aziende vicine.
Nel frattempo l’apicoltore A conferisce all’IZSLER 2 fogli di
cera vergini con lotti di produzione differenti (2010 e 2011), 4
favi prelevati dalle arnie in pianura delle 4 diverse postazioni e
dai quali proveniva il miele prodotto nel 2011 e altri 2 campioni
di miele del 2011 (1 acacia e 1 castagno). Uno dei 4 favi fa
registrare una concentrazione di 57,5 µg/kg di SDZ. Viene evidenziata la postazione presumibilmente contaminata dal SDZ
e dove era avvenuto l’ultimo caso di intrusione.
Vengono conferiti campioni di miele delle arnie manomesse
sia dai favi di melario che dai favi di nido. Vengono conferite
anche le 2 bottiglie rinvenute. Su tali campioni non vengono
trovate concentrazioni di SDZ quantificabili. All’interno delle 2
bottiglie non viene ritrovata SDZ.
Viene campionata ciascuna arnia presente nel sito sospetto
raccogliendo il miele dai favi di nido e di melario. Viene campionata anche la propoli.
Il miele ricavato dalla smielatura precedente al sopralluogo
e raccolto nei maturatori sarà campionato successivamente.
Nello schema sono evidenziate in rosso con sfumature decrescenti in base alla concentrazione le arnie dove viene rilevata la presenza di SDZ. Nel melario dell’arnia n° 12 sono presenti 65,2 µg/kg mentre nel nido 38,6 µg/kg; nel nido dell’arnia
n° 20 sono presenti 100,3 µg/kg. Le concentrazioni dell’arnia
n° 7 sono di 8,5 µg/kg nel nido mentre quelle dell’arnia n° 27
sono di 7,5 µg/kg nel nido. Concentrazioni in tracce inferiori al
LOQ del metodo sono rilevate nel nido delle arnie n° 1, 13, 17
e 22. L’arnia n° 17 presenta concentrazioni di SDZ inferiori al
limite di quantificazione (LOQ 5 µg/kg) anche nel miele prelevato dai favi del melario.
(Allegato 2)
123
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I prelievi del miele raccolto prima del sopralluogo e conservato nei maturatori vengono eseguiti in agosto 2012 suddividendo ciascuno dei 3 maturatori utilizzati tra superficie e
fondo del maturatore e campionando i 2 diversi strati. È stata
riscontrata la presenza di SDZ in concentrazioni di 16 µg/kg,
30 µg/kg, 40 µg/kg e 96 µg/kg rispettivamente dai campioni
superficiale e profondo del primo maturatore e superficiale e
profondo del secondo maturatore. I campioni del terzo maturatore non presentavano residui di SDZ.
A settembre l’apicoltore A conferisce altri campioni di miele
prodotti nelle arnie della postazione contaminata e 2 campioni
di miele acquistato anonimamente dall’apicoltore B (hobbista)
e posto regolarmente in commercio. Le analisi risolvono definitivamente il caso riportando concentrazioni di SDZ nei campioni dell’apicoltore B tra i 7000 e i 12000 µg/kg.
Determinazioni analitiche
Le determinazioni di Sulfamidici sono effettuate mediate cromatografia liquida abbinata alla spettrometria di massa (LCMS/MS) (2). Il metodo analitico prevede un LOQ di 5 µg/kg.
Disposizione delle postazioni di pianura dell’apicoltore A
Disposizione delle arnie nella postazione sospetta
RISULTATI E CONCLUSIONI: Il miele della raccolta 2011
dell’apicoltore A risulta contaminato da SDZ. Le prime indagini dimostrano l’assenza di sostanze farmacologicamente
attive o prodotti medicinali in azienda e comprovano il non
utilizzo degli stessi da almeno 15 anni. La postazione contaminata sembra essere una di quelle poste in pianura. Nelle
vicinanze di questa postazione sono presenti aziende agricole, aziende zootecniche e postazioni di altri apicoltori. La
contaminazione del miele avviene tutt’ora poiché nei campioni effettuati a ridosso dell’ultima smielatura è rilevabile la
presenza di SDZ. Le arnie che in occasione di un’intrusione
vengono trovate in disordine non fanno registrare presenza
di SDZ. Viene vagliata l’ipotesi della possibilità che le api si
riforniscano di acqua in siti altamente contaminati o che saccheggino arnie di altri apicoltori a loro volta contaminati da
SDZ. Alcune arnie “pulite” sono state spostate come “sentinelle” presso le postazioni più a rischio. Infine le analisi sul
miele prodotto da un apicoltore nelle vicinanze documentano
la presenza di SDZ in concentrazioni elevate e avvalorano
la tesi che si tratti verosimilmente di saccheggio delle arnie
contaminate dell’apicoltore B da parte delle api dell’apicoltore A. Le azioni intraprese dagli organi di controllo infine
sono ancora in atto per limitare i rischi connessi al consumo
di miele contaminato da SDZ e salvaguardare l’attività degli
apicoltori presenti nella zona.
BIBLIOGRAFIA: 1. Posyniak A., Bladek T., Jazdzewski K.,
Bober A., Mitrowska K., Zmudzki J., Pohorecka K., 2011:
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L’IMMUNITA’ INNATA NELLA BUFALA MEDITERRANEA: STUDIO SUL RUOLO DEI
RECETTORI TOLL-LIKE 2, 4 E 9 NEI CONFRONTI DI MYCOBACTERIUM BOVIS
Alfano F.*[1], Peletto S.[3], Lucibelli M.G.[1], Borriello G.[1], Tarantino M.[2], Pasquali P.[2], Guarino A.[1], Acutis P.L.[3], Galiero G.[1]
Keywords: tubercolosi, Bubalus bubalis, SNP
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (Napoli),
[2]
Istituto Superiore di Sanità ~ Roma,
[3]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino
[1]
SUMMARY: Toll-like receptors are membrane proteins that
play a key role in innate immunity, by recognizing pathogens
and subsequently activating appropriate responses. Pathogens express several signal molecules, known as pathogenassociated molecular patterns (PAMPs), which are essential
for survival and pathogenicity. Recognition of PAMPs triggers
an array of anti-microbial immune responses through the induction of various inflammatory cytokines. The objective of
this work was to perform a case-control study to characterize
the distribution of polymorphisms in three candidate genes
(toll-like receptor 2, toll-like receptor 4, toll-like receptor 9)
related to the immune function and to test their role as potential risk factors for tuberculosis infection in water buffalo (Bubalus bubalis). The statistical analysis demonstrated
significant differences in allelic frequencies between cases
and controls, indicating an association between infection
and three polymorphisms.
INTRODUZIONE: L’immunità innata svolge un ruolo essenziale nella difesa dell’ospite da microrganismi patogeni,
entrando in azione subito dopo l’inizio dell’infezione. A differenza dell’immunità acquisita, non fornisce una risposta
specifica, ma si attiva per la distruzione dei patogeni in seguito al riconoscimento di specifici PAMPs (Pathogen Associated Molecular Patterns), strutture molecolari conservate e
tipiche di microrganismi patogeni (1, 2). Tale riconoscimento
avviene grazie ad un sofisticato sistema di recettori, i recettori Toll-like (TLRs). Il legame tra il TLR e il suo ligando
determina un segnale a cascata all’interno della cellula che
produce un aumento dei fattori di trascrizione nucleare, responsabile a sua volta della produzione di specifiche citochine coinvolte nell’attivazione della risposta immunitaria (8).
Si è visto che mutazioni nelle sequenze nucleotidiche che
codificano per queste proteine sono spesso responsabili di
variazioni nella risposta verso i patogeni (3, 5, 6).
Negli allevamenti bufalini della Campania sono presenti ancora diverse importanti patologie infettive, come la tubercolosi, per cui il bufalo può rappresentare un ottimo modello
animale nel quale condurre studi sull’immunità innata.
Gli obiettivi di questo lavoro sono stati: determinare l’eventuale presenza di polimorfismi genetici nei geni toll-like
receptors del bufalo (Bubalus bubalis) ed analizzare la potenziale associazione di questi con la suscettibilità/resistenza genetica alla tubercolosi mediante studi caso-controllo.
Sono stati selezionati tre geni oggetto del nostro studio: tlr2
(recettore del peptidoglicano e lipoproteine), tlr4 (recettore
LPS) e tlr9 (recettore di DNA batterico/non self).
dagli stessi allevamenti dei casi. L’età minima dei controlli
era di cinque anni, in modo da selezionare animali esposti
al micobatterio, ma risultati sempre negativi al test. Il DNA
è stato estratto con il kit QIAamp DNA mini kit (QIAGEN,
Hilden, Germany). Il disegno dei primer per l’amplificazione
dell’intera coding sequence dei tre geni da analizzare è stato
effettuato con il programma “Primer3”. Per ogni toll-like receptor sono state generate le coppie di primer riportate nella
tabella 1. Gli ampliconi sono stati sequenziati bidirezionalmente utilizzando il kit Big Dye Terminator cycle sequencing
kit v.1.1, Applied Biosystems e lo strumento per elettroforesi
capillare ABI Prism 310 Applied Biosystems.
Le sequenze ottenute sono state confrontate fra loro e
con sequenze di riferimento presenti in GenBank (tlr2:
HM756161; tlr4: HM469969; tlr9: HQ242778). L’allineamento delle sequenze e l’identificazione dei polimorfismi è stato
effettuato utilizzando i software SEQMAN (DNASTAR Inc)
e Bioedit (Tom Hall). Si è proceduto, successivamente alla
ricostruzione degli aplotipi mediante il programma PHASE
(8). La distribuzione degli alleli e degli aplotipi rilevati è stata analizzata mediante uno studio caso-controllo, al fine di
verificare eventuali correlazioni significative con la malattia
tubercolare.
MATERIALI E METODI: I campioni analizzati derivano da
174 animali provenienti da 22 allevamenti presenti nella regione Campania, di cui 54 risultati positivi all’esame batteriologico per la ricerca del Mycobacterium bovis (casi) e 120
risultati negativi al test intradermico (controlli) e provenienti
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Tabella 1. Elenco dei primer utilizzati per l’amplificazione della
sequenza codificante dei geni tlr 2, 4 e 9.
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RISULTATI E CONCLUSIONI: L’analisi effettuata sulle sequenze dei geni dei tlrs bufalini ha permesso di identificare
18 nuovi SNP (single nucleotide polymorphism) nel tlr2 (Tab.
2) e 9 SNP nel tlr4 (Tab. 3) tutti non presenti in banca dati
(GenBank HM756161; HM469969). Nel tlr9 non sono stati
rilevati polimorfismi.
Lo studio caso-controllo effettuato sui polimorfismi identificati nei due geni ha evidenziato la presenza di associazione
per tre di questi con l’infezione tubercolare. Per quanto riguarda il tlr2 (Tab. 4), al locus polimorfico 381 A>G, il genotipo GG è risultato associato alla suscettibilità alla malattia
(O.R. 52,25 I.C. 6,75 + 404,57), mentre il il genotipo eterozigote AG è risultato associato alla resistenza alla tubercolosi (O.R. 0,06 I.C. 0,01 + 0,25). Nel locus polimorfico 2064
T>C il genotipo TT è risultato associato alla suscettibilità alla
malattia (O.R. 48,5 I.C. 10,88 + 216,26), mentre il genotipo
omozigote opposto CC (O.R. 0,04 I.C. 0,01 + 0,13), è risultato associati alla resistenza alla tubercolosi, costituendo un fattore protettivo nei confronti di tale patologia. La ricostruzione aplotipica eseguita (Tab. 5), che determina la
combinazione degli alleli sul singolo cromosoma, ha messo
in evidenza la presenza di un aplotipo di tlr2 associato alla
resistenza alla patologia. Nel tlr4 (Tab. 6) il genotipo CC del
locus polimorfico 672 A>C è risultato associato alla resistenza alla tubercolosi (O.R. 0,28 I.C. 0,10 + 0,76), ma in questo
caso nessuno degli aplotipi ottenuti ha mostrato un’associazione significativa (Tab. 7).
Un aspetto interessante risiede nel fatto che tutti gli SNP per
cui l’analisi statistico-epidemiologica ha verificato un’associazione alla malattia siano SNP sinonimi.
Sebbene questo tipo di mutazioni non impattino di norma
sulla suscettibilità/resistenza alla malattia, essendo ininfluenti sulla composizione aminoacidica della proteina codificata, diversi studi (4, 7) hanno dimostrato che anche
questi polimorfismi possono avere effetti su alcuni dei più
importanti processi che regolano la sintesi delle proteine e
di conseguenza sul fenotipo. Ad oggi si stima siano circa 50
le malattie umane causate del tutto o in parte da mutazioni
sinonime, ma è stato dimostrato anche un loro ruolo nella
resistenza ad alcune patologie. Per quanto riguarda i meccanismi in cui queste mutazioni sono coinvolte, si è visto che
possono interferire con la sintesi proteica, essendo alcune
triplette tradotte preferenzialmente, lo splicing, la stabilità
dell’mRNA, l’affinità per le proteine regolatrici.
Un’ipotesi alternativa al coinvolgimento diretto di queste
mutazioni potrebbe essere che esse siano in linkage con altre mutazioni funzionali nei tlr, non ancora identificate.
I dati riportati in questo studio indicano che i polimorfismi
dei geni convolti nella risposta immunitaria alla tubercolosi
nel bufalo (Bubalus bubalis), possono avere un ruolo nella
risposta dell’ospite a questa patologia. Altri studi saranno
necessari per comprendere il meccanismo d’azione dei polimorfismi identificati.
126
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STUDIO PRELIMINARE DI ALCUNI PARAMETRI IMMUNITARI NEI VITELLI BUFALINI.
Alfieri L.*[1], Roncoroni C.[1], Bucci E.[1], Zottola T.[1], Lai O.[1]
Keywords: buffalo;, lymphocytes; , flow cytometry
Istituto Zooprofilattico sperimentale delle regioni Lazio e Toscana ~ Roma
[1]
SUMMARY: Immune response occurs as a result of interactions among many different cell types. The age related
variation of some lymphocyte subsets in peripheral blood of
water buffalo calves was monitored. Antibodies against bovine T-lymphocyte antigens CD4, CD8 and WC1 (γ/δ) were
tested by flow cytometry in 36 different aged buffalo calves.
T-cell subpopulations are present in buffalo calves at levels
comparable with veal calves and the subsets proportions of
youngest calves resulted remarkably different from the older
ones. The neutrophil: lymphocytes ratio resulted halved at 5
months of age
INTRODUZIONE: La risposta immunitaria acquisita si basa
su meccanismi legati all’intervento di numerose popolazioni
cellulari, in particolare le sottopopolazioni linfocitarie (14).
Nella specie bovina il ruolo dei linfociti e le differenze esistenti tra vitelli e soggetti adulti sono state ampiamente descritte (1, 3, 7, 9, 11, 12). Nella specie bufalina, invece, sono
disponibili pochi dati sui meccanismi della risposta immunitaria (4), nonostante i numerosi studi svolti sulle dinamiche
metaboliche ed ormonali di questa specie (2, 15). Inoltre,
i dati relativi alle sottopopolazioni linfocitarie si riferiscono
soprattutto alle osservazioni su bufali adulti affetti da patologie (5). Con questo studio, pertanto, si intende valutare le
variazioni che si verificano durante la maturazione del sistema immunitario nelle principali sottopopolazioni linfocitarie,
CD4, CD8 e WC1 (γ/δ), nei vitelli bufalini durante i primi 5
mesi di vita.
MATERIALI E METODI: In tre aziende bufaline, a tipologia intensiva, sono stati selezionati 12 vitelli per ciascuna. I
campioni di sangue periferico sono stati prelevati dalla vena
giugulare a 8, 22, 35 giorni di vita e successivamente ogni
mese fino a 5 mesi di età in provette con K3-EDTA. L’esame
emocromocitometrico è stato eseguito con un contaglobuli automatico Cell-Dyn 3700 (ABBOTT - 12 parametri) per
la valutazione della conta leucocitaria (neutrofili e linfociti).
L’analisi delle sottopopolazioni linfocitarie CD4, CD8, e WC1
(γ/δ) espresse in percentuale, è stata realizzata con citofluorimetro FACSCalibur (Becton Dickinson), utilizzando anticorpi monoclonali verso antigeni bovini CD4 (CACT138A), CD8
(CACT80C) e WC1 (IL-A29) forniti da VMRD (Pullmann,
WA-USA). I risultati sono espressi in percentuale di cellule
positive per ciascun antigene di superficie. I dati sono stati
elaborati con il pacchetto statistico SPSS/PC confrontando i
dati analitici con l’età dei soggetti.
RISULTATI E CONCLUSIONI: In questo studio, il numero assoluto dei leucociti (x103/μl) è aumentato in base al
progredire dell’età con differenze significative tra i soggetti
più giovani e quelli più maturi (tab. 1). Nella specie bovina,
durante la prima settimana di vita, i neutrofili sono i leucociti più numerosi mentre, già dopo due settimane, l’aumento
dei linfociti inverte questo assetto, fino al terzo mese di vita,
quando rappresentano la popolazione leucocitaria dominante (8, 13). Anche nella specie bufalina, i vitelli nascono con
un numero inferiore di linfociti rispetto ai neutrofili e le variazioni percentuali della conta leucocitaria, dalla nascita ad un
mese di vita, sono state studiate (6). In accordo con studi
condotti sui vitelli bovini (8), il rapporto neutrofili/linfociti, nei
vitelli bufalini, all’inizio dello studio era 1.3 (8 giorni) e alla
fine era 0.6 (5 mesi) (tab. 2). L’analisi citofluorimetrica ha
evidenziato che la percentuale media di linfociti CD4 aumenta in modo significativo durante il primo mese (da 8 a 22 giorni) e dal terzo al quinto mese di vita (da 90 a 150 giorni) (tab.
3). In accordo con quanto già descritto nei vitelli bovini (7), le
percentuali di CD4, nei vitelli bufalini, sono comprese in un
range da 7% a 36%, raggiungendo un livello medio del 20%
all’età di 4 mesi. Poiché questo dato resta invariato anche
nel successivo prelievo (5 mesi di età), si potrebbe supporre
che questo periodo rappresenti il raggiungimento della maturazione delle popolazioni linfocitarie nella specie bufalina.
Similmente, nella specie bovina, la maturazione del sistema
immunitario è osservata intorno ai 5-6 mesi di età mentre i
linfociti T, CD4, CD8 e WC1 (γ/δ), raggiungono livelli stabili
a 8 mesi di età (5). Al contrario, durante lo studio, i linfociti
T, CD8, mostrano un range che oscilla da 5% a 75% (tab.
3), differentemente dal range più ridotto, osservato nei vitelli bovini (7). Per quanto riguarda le sottopopolazioni WC1
(γ/δ), per tutto lo studio si osserva un range da 13% a 79%
con i valori percentuali più bassi nel quarto e nel quinto mese
di età come per i CD8 (tab. 3). Infatti, nella prima settimana di vita, nei vitelli bufalini, le sottopopolazioni WC1 (γ/δ)
rappresentano più del 60% dei linfociti T, riducendosi progressivamente alla metà nell’ultimo prelievo (5 mesi di vita),
con differenze significative, così come nei vitelli bovini (7).
Lo studio rappresenta un’indagine preliminare sugli stadi di
maturazione immunitaria della specie bufalina. Per ottenere
dati più completi, ulteriori indagini su vitelli e bufali adulti dovrebbero comprendere periodi di campionamento più estesi.
Tab. 1. Valori medi assoluti dei leucociti, relativamente ai giorni di età, in 36 vitelli bufalini (contaglobuli automatico Cell-Dyn
3700).
130
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Tab 2. Valori medi del rapporto neutrofili/linfociti, relativamente
all’età, in 36 vitelli bufalini.
Tab. 3. Valori medi delle percentuali relative delle sottopopolazioni linfocitarie CD4, CD8, WC1, relativamente all’età, in 36
vitelli bufalini.
BIBLIOGRAFIA:
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STUDIO PRELIMINARE SULLA VALUTAZIONE DELLA PRODUZIONE DI ANTICORPI
VERSO YERSINIA RUCKERI, IN TROTA IRIDEA (ONCORHYNCHUS MYKISS),
MEDIANTE LA MESSA A PUNTO DI UN TEST ELISA, A SEGUITO DI PROVE VACCINALI
Angioni S.A.*[1], Tittarelli M.[1], Zezza D.[1], Ferri N.[1]
Keywords: ELISA fish, Yersinia r., Rainbow trout
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale” ~ Teramo
[1]
SUMMARY: The specific antibody response was evaluated, in rainbow trout Oncorhynchus m. post oral vaccination
against Yersinia ruckeri. The Enzyme-Linked Immunosorbent Assay (ELISA) has low specificity for detection of fish
IgM due to non-specific binding between fish IgM and reagents. Various blocking reagents (br) were tested to optimize the ELISA: BSA, goat serum, gelatin, skim milk (SM).
Without antigen, positive sera showed high OD values at
405 nm (0.754 to 1.660) with all br but SM, that reduced
significantly the OD (0.173) increasing the specificity and
allowing to evaluate the antibody response.
Vaccino
INTRODUZIONE: La Yersiniosi (Bocca rossa), patologia
batterica, sostenuta da Yersinia ruckeri(Y.r.), colpisce la
trota iridea (Oncorhynchus mykiss) in allevamento, causando forti perdite economiche (8).
La vaccinazione nei confronti di Y.r. è utile per la protezione
dall’infezione e per contrastare il diffondersi della malattia; inoltre evita l’utilizzo di antibiotici, con benefici per la
salubrità dei prodotti ittici e per la qualità dell’ambiente.
In questo studio, la vaccinazione è stata condotta per via
orale, al fine di evitare agli animali lo stress conseguente
alla manipolazione, inevitabile, in caso di vaccinazione per
immersione.
L’Enzyme-Linked Immunosorbent Assay (ELISA) è una tecnica sierologica utile per rilevare anticorpi specifici, ma il
suo utilizzo nella siero-diagnosi in ittiopatologia è problematica a causa della bassa specificità, dovuta a reazioni
non specifiche anticorpo/antigene, che provocano un alto
valore di fondo misurato in densità ottica (OD). (5)
Gli anticorpi dei pesci, immunoglobuline complesse che
tendono a legarsi in modo aspecifico(3,4,6,7), appartengono ad un’unica classe riconducibile, sulla base del peso
molecolare, alle IgM dei mammiferi(2).
Dalla letteratura si evince che, per prevenire la formazione
di legami aspecifici, è efficace l’impiego di vari saturanti;
tra quelli disponibili, sono stati considerati: albumina bovina
(BSA), siero di capra, gelatina, skim milk (SM). (8,5)
Il presente studio descrive la messa a punto di un test ELISA indiretto per valutare la produzione anticorpale specifica
in trote iridee stabulate in vasca, sottoposte a vaccinazione
per via orale, contro la Y.r.
i-ELISA
Produzione dell’antigene:
MATERIALI E METODI: Pesci
Lo studio è stato effettuato su 9 gruppi sperimentali (7 con
vaccino orale contro la Yr, 2 di controllo), ciascuno composto da 40 esemplari di trote iridee, stabulati in vasche di vetroresina alimentate da acqua di sorgente (11,2 °C). Dopo
la messa a punto dell’ELISA sono stati testati 85 campioni
ematici (vaccinati e controlli) prelevati a 5 e 6 settimane
post-vaccinazione. I sieri ottenuti (2000 rpm, 10’)(8), sono
stati conservati a -20 °C.
L’antigene vaccinale, costituito da cellule di Y. r. inattivate
con aldeide formica (FKC) liofilizzate e micro incapsulate,
è stato ottenuto dalla brodocoltura di un ceppo di campo in
Tris buffered salin(TBS) (22°C ; pH 7.2), (1,2x109 UFC/ml)
(D.O. 610nm=1,019).
La vaccinazione di richiamo è stata eseguita per via orale
su trote (peso medio 30 gr), già vaccinate con vaccino del
commercio a 5 gr (per immersione), con il vaccino miscelato al mangime, somministrato per 10 giorni (+5, - 5, +5)
Sono state utilizzate cellule di Y. r. ottenute da brodocoltura
in TBS (48h, 22 °C) centrifugate a 2000 rpm, 15’, lavate
con PBS e utilizzate a D.O. 620nm pari a 1 (1X 109 cellule
/ml)(8).
Metodo I
Sono stati utilizzati 10 sieri positivi di trote infette da yersiniosi , e 10 sieri negativi di trote sane e mai vaccinate.
Come controlli + e - sono stati utilizzati rispettivamente:
sieri iperimmuni di trote inoculate 3 volte per via i.p. e sieri
di trote sane e mai vaccinate. I sieri sono stati testati con
e senza antigene (pozzetti con PBS). L’ ELISA è stata approntata secondo quanto descritto in letteratura (1,8):
1. Attivare i pozzetti Ag+ della piastra ELISA (PolysorpNUNC) con 100 µl di poli-L-lisina 0,001 % in tampone carbonato-bicarbonato 0.1M, pH 9,6 (1h t.a.)
2. Distribuire 100 µl/ pozzetto Ag+ di antigene Y.r . (1h t.a)
3. Fissare con 50 µl/pozzetto Ag+ di glutaraldeide 0,05% in
PBS (20’t.a)
4. Aggiungere 100 µl/pozzetto( Ag+ e Ag-) di BSA 2% in
PBS (O/N 4°C)
5. 3 lavaggi con high salt wash buffer (HSWB)
6. Distribuire 100 µl/pozzetto dei sieri diluiti 1/10 in PBS
0,1% Tween 20 (T20) (1h t.a)
7. 100 µl/pozzetto di anticorpo monoclonale anti Ig di trota
1/33 in PBS 0,1% T 20(1h t.a.)
8. 100 µl/pozzetto di anticorpo policlonale biotilinato anti Ig
di topo (1/2000 in PBS 0,1% T 20) (1h t.a.)
9. 100 µl/pozzetto di streptavidina-fosfatasi (1/2000 in PBS
0,1% T 20)(37°C 1h)
10. 5 lavaggi con HSWB
11. 100 µl/pozzetto di pNPP (1 mg/ml tampone glicina 0,1
M Ph 10,4
12. Lettura (405 nm a 30’).
Tra 1- 2 ; 3 - 4 : 3 lavaggi con LSWB, tra 6 - 7 ; 8 – 9 : 5
lavaggi con HSWB
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Metodo II
E’ stato eseguito secondo il Metodo I (1,8) modificato al punto 4 (utilizzo di siero di capra 5% in LSWB 200µl/pozzetto e
integrato da Kim e al. (2007)). Per il blocco aspecifico, sono
stati utilizzati, in prove diverse: siero di capra (Sigma) 5%
in LSWB; gelatina (Wako)1%in LSWB, skim milk 5% in PBS
(Wako)(5). E’ stata eseguita una prova aggiuntiva con siero
di capra +gelatina (Volpatti, comunicazione personale): post
coating, dopo la fissazione, con 200 μl/pozzetto gelatina 1%
in LSWB (3 ore t.a), lavaggio 3 volte con HSWB e post-coating con 200 μl/pozzetto siero di capra 5%(O/N t.a.)
Per entrambi i metodi, si è utilizzato un valore soglia di riferimento pari a D.O. 0,2 (8).
L’elaborazione statistica dei risultati ottenuti è stata fatta
mediante i test statistici di Wilcoxon ( p-value 0,05).
RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati ottenuti con il metodo ELISA hanno evidenziato nei sieri negativi, l’assenza di
legami aspecifici sia in presenza, sia in assenza di antigene,
in tutte le prove con i saturanti. L’analisi dei sieri positivi ha
mostrato il persistere di reazioni aspecifiche, in assenza di
antigene, presumibilmente per i legami aspecifici delle IgM
dei pesci, in presenza di tutti i saturanti, ad eccezione dello skim milk (SM). I valori medi ottenuti, in DO a 405 nm,
sono stati : BSA (0.754), siero di capra (SC)(1,660); gelatina (GEL)(1,556), siero di capra + gelatina(1,044), mentre
sono diminuiti significativamente con l’uso di SM (DO: 0,173)
(Fig.1).
Il test statistico di Wilcoxon ha evidenziato i seguenti valori
di T di e p-value nel confronto tra SM e gli altri reagenti: BSA
vs SM= T: 36 , P: 0,006; SC vs SM=T: 78, p: 0,001; GEL vs
SM e GEL+SC vs SM =T: 28, p: 0,009; ( p-value tutti inferiori
a 0,05), dimostrando la significatività dei risultati.
E’ stato dimostrato come l’uso di SM sia utile nel prevenire
in maniera significativa la presenza di legami aspecifici delle IgM dei pesci, riducendo il valore di fondo, senza ridurre
la capacità di legame specifico. L’analisi dei sieri effettuata
mediante ELISA con SM sui sieri a 5, 6 settimane post vaccinazione orale, ha permesso di determinare il numero dei positivi e negativi(Tab1), evidenziando una risposta anticorpale
specifica nei confronti di Y.r. Questo metodo potrebbe essere utilizzato per valutare l’efficacia dei vaccini somministrati,
attraverso l’ induzione di una risposta immunitaria(Fig 2,3).
In particolare, si intende segnalare il risultato ottenuto con
l’uso di SM, che si ritiene significativo per la siero-diagnosi in
ittiopatologia, che potrebbe risultare un valido supporto alla
ricerca nel settore della vaccinazione nelle specie ittiche di
allevamento.
Fig.1 Valori medi di DO dei sieri + e - / Ag+ e Ag-
Fig. 2 Valori medi della DO con Ag+ e Ag- / sieri + e - a 5 settimane p.v.
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Fig. 3 Valori medi della DO con Ag+ e Ag- / sieri + e - a 6 settimane p.v.
Tabella 1 : Risultati dei sieri esaminati con ELISA : prelievo a 5 e 6 settimane p.v. orale
BIBLIOGRAFIA:
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Dis. Aquat. Org , 78: 55-59.
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Sero - diagnostician’s Perspective. Bull. Eur. Ass. Fish Pathol.,
20(2): 60-64
6)Knopf K. et al.(2000) Evalutation of an ELISA and immunoblotting for studying the humoral immune response in Anguillicola crassus infected European eel Anguilla anguilla - Dis.
Aquat. Org, 43: 39-48
3) Guo F. C. et Woo P.T.K.(2004) Detection and quantification
of Spironucleus barkhanus in experimentally infected atlantic
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7))Olesen N.J. et al. (1991) Detection of rainbow trout antibody
to Egtved virus by enzime-linked immunosorbent assay (ELISA), immunofluorescence (IF), and plaque neutralization tests
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4) Kibenge M T. et al. (2002). Serological evidence of infectious
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Aquat. Org., 51: 1-11
8)Volpatti et al. (2006).Valutazione della risposta anticorpale
e della protezione indotta da un vaccino per immersione anti
Yersinia ruckeri in trota iridea (Oncorhynchus mykiss) – Ittiopatologia , 3: 21-31.
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INDAGINE PRELIMINARE SULLA PRESENZA DI COXIELLA BURNETII IN CAMPIONI
DI LATTE D’ASINE ALLEVATE IN CAMPANIA.
Auriemma C.*[1], Lucibelli M.G.[1], Bove F.[1], Gallo A.[1], De Carlo E.[2], Martucciello A.[2], Corrado F.[1],
Guarino A.[1], Galiero G.[1]
Keywords: donkeys’ milk, C. burnetii, PCR
[1]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Napoli,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del MezzogiornoSezione Diagnostica di Salerno
Centro di Referenza Nazionale sull’igiene e le tecnologie dell’allevamento e delle produzioni bufaline ~ Salerno
[2]
SUMMARY: Coxiella burnetii is the causative agent of acute
and chronic Q fever in humans and abortions and unfertility
in animals. Dairy cattle, sheep, and goats are the major reservoirs of the pathogen, there are no date on its presence
in donkey farms. Our study was to assess the prevalence of
C. burnetii in milk samples from donkey herds in the Campania region by molecular methods. 4 of 38 analized samples
resulted PCR-positive. Amplicon sequencing confirmed the
presence of C. burnetii in these samples. Further studies
are necessary to define role and diffusion of this pathogen
in donkey population.
INTRODUZIONE: La febbre Q è una zoonosi causata da
Coxiella burnetii, un piccolo batterio intracellulare obbligato Gram- negativo diffuso in tutto il mondo.Descritta per la
prima volta in Australia (1) e in seguito riconosciuta in molti
paesi, tra cui l’Italia, dove le prime segnalazioni risalgono
al 1944-45 (2).C. burnetii può infettare una grande varietà di animali, tra cui ruminanti, cani, gatti, primati, roditori
selvatici, rettili, anfibi, uccelli, pesci e zecche(3).Bovini,ovini
e caprini rappresentano i principali reservoir di infezione e
sono quindi tra le principali fonti di infezione per l’uomo,
che può contrarre la malattia mediante inalazione di particelle infette, per contatto diretto con animali infetti, o con i
prodotti del loro concepimento.La trasmissione aerea rappresenta la principale via di infezione anche per gli animali i quali sono spesso cronicamente infetti ma quasi sempre asintomatici.L’eliminazione di C. burnetii nell’ambiente
può avvenire tramite feci,urine,secreto vaginale,liquido
amniotico,latte e colostro(4).Anche se la via alimentare attraverso il latte e i suoi derivati è ritenuta di scarso rilievo
epidemiologico,alcuni dati di prevalenza sulla presenza di
C. burnetii nel latte crudo pone interrogativi di sanità pubblica alla luce anche del diffondersi sia del consumo diretto di
latte crudo non trattato termicamente sia della produzione di
formaggi con latte crudo non pasteurizzato.Attualmente non
esistono in letteratura dati sulla diffusione del patogeno negli allevamenti asinini.Nell’ultimo decennio tuttavia l’interesse nei confronti di questa specie è notevolmente aumentato
in virtù delle proprietà benefiche del suo latte che ha una
composizione e delle caratteristiche organolettiche abbastanza simili al latte umano.L’utilizzo infatti del latte d’asina
a fini alimentari nelle intolleranze al latte vaccino, come nutraceutico in età pediatrica e geriatrica,sembra trovare numerosi sostenitori.Attualmente in Italia,la Sicilia è la regione
che conta il maggior numero di allevamenti asinini, molti dei
quali proiettati alla produzione di latte.Il rinnovato interesse nei confronti dell’allevamento asinino ha senza dubbio
portato ad un “risveglio scientifico” sull’argomento. Scarsi
e frammentari sono i dati inerenti ai principali patogeni che
potrebbero infettare gli asini; dati disponibili in letteratura
riguardano solo la ricerca di E. coli O157(5),di Brucella spp.
(6),di B. abortus,(7) e di Burkholderia mallei(8).L’infezione
di C. burnetii non è stata mai riportata nella specie asinina.
Lo scopo di questo studio è stato dunque di determinare
l’eventuale presenza di C. burnetii mediante tecniche di
biologia molecolare (PCR e sequenziamento)in campioni
di latte non pasteurizzato prelevati in aziende della regione Campania.L’infezione attraverso il latte commerciale
appare infatti piuttosto improbabile a causa dei processi
di pasteurizzazione, ma l’ingestione di latte crudo potrebbe rappresentare un’importante fonte di contaminazione
per l’uomo.La possibilità di vendere latte crudo, data dalla
vigente normativa, ha spinto molti produttori ad utilizzare
questa tipologia di vendita sia per fini commerciali sia per
non modificare le naturali proprietà del prodotto, per cui si è
ritenuto interessante valutare le eventuali implicazioni della
presenza di C. burnetii nella popolazione asinina per la sicurezza alimentare.
MATERIALI E METODI:
Nell’anno 2011 sono stati
prelevati,con frequenze differenti,un totale di 38 campioni di
latte di asina non pasteurizzato in tre aziende campane tutte
a produzione di latte per uso alimentare. Le aziende testate
(A,B,C) avevano una consistenza diversa (80,180 e 30 capi
rispettivamente),non avevano presentato mai sintomatologie particolari riferibili a C. burnetii.Le asine testate vivevano in promiscuità con altri animali.La mungitura veniva
effettuata nel rispetto delle norme igieniche previste(Reg.
CE 852 /2004,853/2004).I campioni di latte d’asina sottoposti prima ad analisi microbiologica, sono stati inviati all’IZSM
di Portici e testati per la ricerca di C. burnetii mediante una
single-tube nested PCR. Il DNA genomico totale è stato
estratto mediante l’utilizzo del NucleoSpin Food kit (Macherey-Nagel).La reazione di amplificazione è stata condotta secondo il protocollo proposto da Parisi et al.(9)che
utilizzava due coppie di primer(Tab.1). Gli amplificati della
lunghezza attesa (203bp) sono stati visualizzati mediante
elettroforesi automatizzata(Qiaxcel,Qiagen).I prodotti amplificati sono stati purificati e sequenziati bi-direzionalmente
mediante il kit Big Dye Terminator cycle sequencing kit v.
3.1(Applied Biosystems).I campioni sequenziati sono stati analizzati mediante elettroforesi capillare (3130 Genetic
Analyzer, Applied Biosystems). Le sequenze sono state allineate con quelle depositate in GenBank mediante BioEdit
software e metodo di allineamento CLUSTAL W.
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RISULTATI E CONCLUSIONI: Nei 38 campioni di latte il grado
di contaminazione microbiologico è risultato essere sempre contenuto. Il DNA estratto è stato amplificato mediante una singletube PCR nested per la detection di C. burnetii. Di tutti i campioni
analizzati, 2 appartenenti all’ azienda A e 2 all’ azienda B, sono
risultati positivi per il gene IS111 di C. burnetii(fig.1).Il sequenziamento dell’amplicone IS111 ha mostrato un’identità del 96% con
la sequenza depositata in GenBank (JN966901). I bassi livelli di
contaminazione microbica riscontrati confermano i dati presenti
in letteratura per il latte d’asina, che generalmente presenta livelli
di contaminazione estremamente contenuti, rapportabili alla naturale presenza di sostanze antimicrobiche e all’altissima quantità di lisozima (10).Il livello di prevalenza di C. burnetii osservato
dall’analisi molecolare (10.5%), lascerebbe prefigurare invece un
possibile ruolo dell’asina quale serbatoio di infezione. Le positività riscontrate sono tuttavia da valutare con cautela in quanto il
numero dei campioni non è ancora sufficientemente significativo,
trattandosi di una casistica limitata a 3 aziende. La coesistenza poi
in tutte le aziende di diverse specie animali, potrebbe costituire un
rischio sostanziale di diffusione del patogeno tra gli animali. Trattandosi di dati preliminari, rimane dunque da indagare in maniera
approfondita l’effettivo ruolo che C. burnetii potrebbe avere nella
specie asinina. A fronte delle positività riscontrate nelle aziende
testate, questo studio rappresenta comunque il primo report sulla
diretta identificazione di C.burnetii mediante PCR in campioni di
latte di asina. Pertanto ulteriori studi sono necessari per chiarire l’epidemiologia e la patogenesi della febbre Q nell’asina e la
possibile virulenza di ceppi di C. burnetii in questa specie, visto il
ruolo che questo alimento sta recentemente assumendo non solo
nell’alimentazione umana, ma anche nell’industria farmaceutica e
nell’industria dei cosmetici.
Canali: (M)marker 50-800 bp(QIAgen);(1,2)campioni di latte positivi azienda A;(3,7)campioni di latte positivi azienda B;(4-6) campioni di latte negativi azienda C;(8)bianco estrazione ;(9)controllo
negativo;(10)controllo positivo per C. burnetii
Fig.1: Detection del gene IS111 di C.burnetii mediante single- tube nested PCR.
BIBLIOGRAFIA: 1.Derrick E.H. (1937) “Q” fever,new fever entity: clinical features,diagnosis and laboratory investigation. Med J
Aust,2:281–299
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3.Angelakis E, Raoult D (2010)“Q Fever” Vet Microbiol,140:297-309
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of Brucella abortus Antibodies in Donkeys in Gaderef State of
Eastern Sudan Tropentag,September 14-16,2010,Zurich “World
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LBG,BritoMF.,Rabelo SSA.Glanders in donkeys(equus asinus)in
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burnetii-related abortion in Italian domestic ruminants using single-tube nested PCR” Vet Microbiol 118: 101-106
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microflora changes during storage Food Control.19,1191-1197.
136
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
STUDIO DEL GENOTIPO DELLA PROTEINA PRIONICA NELLA POPOLAZIONE OVINA
NAZIONALE IN FUNZIONE DELLA RESISTENZA GENETICA ALLE EST
Baldinelli F.*[1], Ciaravino G.[1], Scavia G.[1], Fazzi P.[1], Chiappini B.[1], Vaccari G.[1]
Keywords: scrapie, genetic susceptibility, surveillance
[1]
Istituto Superiore di Sanità ~ Roma
SUMMARY: Sheep susceptibility to scrapie is mainly under the
control of the host’s prion protein (PrP) gene. Polymorphisms
of the PrP have been associated with different levels of susceptibility. A nation-wide survey to estimate the frequencies
of the PrP genotypes in the Italian ovine population has been
conducted, yearly, between 2008 and 2010. No significant
changes in the frequencies of the main resistant/susceptible
genotypes were found. The frequencies of the polymorphisms
at the entire PrP sequence are also provided for the main Italian breeds.
INTRODUZIONE: La scrapie è una malattia infettiva degli
ovi-caprini appartenente al gruppo delle Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili (EST), il cui evento patogenetico risiede
nella trasformazione della proteina prionica (PrP) codificata
dall’ospite nell’isoforma patologica responsabile dei processi
degenerativi.
Negli ovini, il gene codificante la PrP presenta numerosi siti
polimorfici che danno origine a varianti alleliche associate a
differenti gradi di suscettibilità. I polimorfismi più rilevanti sono
quelli ai codoni 136, 154 e 171, dai quali derivano l’allele ancestrale ARQ che in Italia è associato a massima suscettibilità
alla malattia (1, 2, 3), l’allele ARR associato a massima resistenza e gli alleli VRQ, AHQ, ARH, associati a livelli intermedi di suscettibilità. Altri polimorfismi, derivanti da mutazioni
ad altri codoni, hanno dimostrato di modulare la suscettibilità
d’ospite alla scrapie. Nella razza Sarda gli alleli AT137RQ e
ARQK176 sono stati associati a resistenza mentre altri, quali ad esempio AF141RQ, pur non essendo del tutto protettivi conferiscono minore suscettibilità alla malattia rispetto ad
ARQ (1, 2).
L’Unione Europea (UE) ha indirizzato i piani di controllo della
scrapie nei Paesi Membri, tramite la realizzazione di programmi annuali di sorveglianza e selezione genetica degli ovini,
volti a ridurre la proporzione di soggetti suscettibili e incrementare la quota di quelli resistenti.
In Italia i piani sono predisposti a livello regionale. L’adesione
è obbligatoria dal 2005 ma solo per i greggi ad elevato merito
genetico. Ciò ha comportato differenze nella tempistica di attuazione della selezione genetica.
Per valutare lo stato di resistenza alle EST del patrimonio ovino, ciascuno Stato Membro ha l’obbligo di eseguire annualmente uno studio campionario per determinare le frequenze
genotipiche della popolazione ai codoni 136, 141, 154, 171
(Reg. 999/2001/CE).
Obiettivo del presente lavoro era descrivere le frequenze genotipiche della PrP nella popolazione ovina e per singola razza, stimate in Italia attraverso il campione annuale negli anni
2008, 2009 e 2010. Si è voluto inoltre confrontare le stime
ottenute per ciascun anno per valutare l’esistenza di un spostamento delle frequenze verso una maggior resistenza della
popolazione. A tal fine la valutazione ha considerato sia la
determinazione del genotipo ai soli codoni 136, 141, 154, 171
che, per ciascuna razza, a sequenza completa.
MATERIALI E METODI: Lo studio ha avuto per oggetto la
popolazione nazionale ovina adulta e il campionamento è stato dimensionato secondo quanto indicato dal Reg. 999/2001/
CE per i Paesi con popolazione superiore a 750000 animali
(N=600). Per ciascun anno il campione è stato stratificato sulla base delle consistenze regionali e per razza. A tal fine sono
stati utilizzati i dati delle consistenze regionali presenti in BDN
dell’Anagrafe Zootecnica e le informazioni appositamente fornite dalle Regioni, sulle frequenze per razza della popolazione
ovina regionale. La numerosità campionaria assegnata a ciascuna Regione ha compreso anche una quota aggiuntiva di
ovini di razza non pura (meticci). La dimensione campionaria
prevista era pari a 720, 670 e 666 rispettivamente per il 2008,
2009 e 2010.
I campioni di sangue sono stati analizzati presso l’Istituto Superiore di Sanità con sequenziamento completo della regione
codificante la PrP con metodo di Sanger.
Le frequenze genotipiche della popolazione generale ai 4 codoni sono state ottenute attraverso una stima pesata che ha
permesso di riproporzionare il contributo effettivo di ciascuna
Regione sulla base di quanto previsto nel disegno del campione. Nelle razze ovine, la stima delle frequenze genotipiche
a sequenza completa è stata eseguita sul totale dei campioni
consegnati nei tre anni. Le frequenze genotipiche annuali ottenute sono state confrontate con il test del χ2.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I campioni analizzati per la determinazione del genotipo PrP sono stati 604 nel 2008, 600
nel 2009 e 613 nel 2010. I campioni provenivano da 1415
allevamenti, con un numero medio di 1,2 campioni per allevamento (range 1-10).
Le frequenze genotipiche e alleliche della PrP ai codoni 136,
141, 154 nella popolazione generale sono riportate in tabella
1 e in tabella 2.
Complessivamente non sono state osservate variazioni significative nelle frequenze genotipiche e alleliche nei tre anni
considerati. L’allele ARR, associato a resistenza, risultava largamente presente sia in condizioni di eterozigosi che di omozigosi, assicurando un buon livello di protezione per la popolazione ovina mentre l’allele ARQ è risultato il più frequente in
termini assoluti e in eterozigosi con l’ARR costituisce il genotipo maggiormente rappresentato.
Il sequenziamento completo del gene codificante la PrP ha
confermato l’allele ARQwt, che rappresenta il target genotipico dal ceppo di scrapie classica circolante in Italia (4, 5),
quale il più frequente nella maggior parte delle razze italiane.
Seguono ARR e, con frequenze di molto inferiori, tutti gli altri
alleli riscontrati. Fanno eccezione le razze Merinizzata e Bagnolese dove la frequenza di ARR supera quella di ARQwt
(tabella 3).
I polimorfismi diversi di quelli ai codoni 136, 141, 154 e 171 si
presentavano in ciascuna razza con frequenze variabili comprese tra il 3.0% (Bagnolese) e il 7,9% (Sarda). In quest’ultima
137
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
risultava non trascurabile la frequenza delle mutazioni protettive ARQK176 (4.0%) e AT137RQ (2.5%).
È stato stimato che per controllare efficacemente la diffusione
della scrapie in Italia non è necessaria la totale eliminazione
di ARQwt dalla popolazione ma è indispensabile una sua sostanziale diminuzione (6); i nostri risultati mostrano che la sua
frequenza continua ad essere elevata esponendo la popolazione italiana ad un elavato rischio di malattia. Effettivamente
i programmi di selezione genetica mutuati dalla EU prevedono, per gli allevamenti aderenti, la selezione negativa contro
l’allele VRQ, poco rappresentato nella popolazione italiana, e
solo dopo alcuni anni dall’adesione contro l’allele ARQ.
In conclusione, dai nostri dati non risulta un’evoluzione genetica della popolazione ovina nazionale verso genotipi PrP di
resistenza ovvero un aumento della frequenza dell’allele di
resistenza ARR. Questo risultato è in accordo con l’andamento endemico della scrapie riscontrato nel nostro Paese (7). La
sua diffusione in Italia, infatti, non sembra per ora risentire di
un effetto della selezione genetica.
La conoscenza della frequenza nelle razze italiane dei polimorfismi in codoni diversi da 136, 141, 154 e 171 offrirebbe
la possibilità di disegnare strategie selettive specifiche per
ciascuna razza, ugualmente efficaci ma capaci di tutelare
maggiormente la variabilità genetica. Ciò avrebbe il duplice
vantaggio di consentire agli allevatori l’uso ai fini riproduttivi di
una quota maggiore di arieti e di mantenere nella popolazione
una più ampia variabilità genotipica, che rappresenta sia un
valore zootecnico che una buona difesa da eventuali ceppi di
scrapie di nuova emersione o circolanti altrove.
BIBLIOGRAFIA:
1. Vaccari G et al-2007. Prion protein alleles showing a protective effect on the susceptibility of sheep to scrapie and bovine spongiform encephalopathy. J. Virol. 81: 7306-7309
2. Vaccari G et al–2009. Protective effect of the AT137RQ and
ARQK176 PrP alleles against classical scrapie in Sarda breed
sheep, Vet. Res. 40: 19
3. Cosseddu GM et al–2007. Advances in scrapie research.
Rev. sci. tech. Off. int. Epiz. 26(3): 657-668
4. Di Bari MA et al-2008. The bank vole (Myodes glareolus)
as a sensitive bioassay for sheep scrapie. Journal of General
Virology Dec;89(Pt 12):2975-85
5. Romolo N et al-2003. Molecular Analysis of Cases of Italian
Sheep Scrapie and Comparison with Cases of Bovine Spongiform Encephalopathy (BSE) and Experimental BSE in Sheep.
Journal of Clinical Microbiology Sept. 2003, p. 4127–4133
6. Baldinelli F et al. Classical scrapie control in Italy: which
selective breeding strategies will work? European Scientific
Conference on Applied Infectious Disease Epidemiology, Lisbon, Portugal, 11-13 November 2010. Abstract book p 77
7. CE- Report, Health And Consumers Directorate-General 2007. Report on the monitoring and testing of ruminants for
the presence of TSE in the EU
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
RESIDUI DI CHINOLONI NEL LATTE DELLE AZIENDE PIEMONTESI:
RISULTATI DI UNA SURVEY CONDOTTA NEL 2012
Barbaro A.*[1], Chiavacci L.[1], Travaglio S.[1], Vitale N.[1], Parisani V.[1], Palma A.[2], Abete M.C.[2], Gili M.[2]
Keywords: Quinolones, Milk, Survey
[1]
S.S. Osservatorio Epidemiologico, I.Z.S. del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ TORINO,
S.C. Controllo Chimico e Ambientale con annesso CREAA, I.Z.S. del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino
[2]
SUMMARY: According to EU legislation in veterinary medicine
the use of quinolones is allowed only for few components and
is defined by the EU MRL value.
From March to June 2012 a survey was carried out on random
samples of dairy herds to monitoring the presence of quinolones in milk in Piedmont region. Samples of 100 bulk milk were
tested by HPLC-FLD. The method developed and validated in
our laboratories according to Dec. 2002/657/EC criteria, allows
the identification and quantitative determination of residues
related to eight quinolones of veterinary interest. No analytes
were found into samples.
INTRODUZIONE: I chinoloni sono chemioterapici antibatterici
caratterizzati da un ampio spettro d’azione, in quanto esplicano la loro attività nei confronti di batteri Gram positivi e Gram
negativi (3).
Il capostipite di questa famiglia è l’acido nalidissico, approvato
per l’uso clinico nel 1965; ad esso hanno fatto seguito l’acido
oxolinico e l’acido piromidico: essi costituiscono la prima generazione di questa famiglia di chemioterapici.
L’introduzione di un atomo di fluoro in posizione R6 e di un
gruppo piperazinico in posizione R7 ha dato origine alle generazioni successive di chinoloni, detti appunto fluorochinoloni.
Lo spettro d’azione è tra i più ampi disponibili nell’ambito dei
farmaci antibatterici con un’ottima cinetica ed un’efficace distribuzione tissutale e sistemica.
I chinoloni stanno assumendo il ruolo di farmaci di elezione
per il trattamento delle infezioni gravi da Gram negativi negli
animali da allevamento: il loro impiego è diretto principalmente
alle infezioni delle vie respiratorie, del tratto gastrointestinale
ed urinario e delle mastiti (1).
Il problema derivato da un utilizzo improprio di questa classe
di farmaci è rappresentato dalla farmacoresistenza con ricadute dirette (animali) ed indirette (uomo) nonché dai residui che
possono essere presenti nelle carni e negli alimenti di origine
animale che l’industria alimentare propone ai consumatori con
i noti effetti negativi di accumulo.
Per questo motivo l’EMEA si è espressa più volte con proprie
Reflection Paper (4) sull’utilizzo dei chinoloni negli animali produttori di alimenti, e ha indotto il Ministero della Salute a pubblicare una nota in cui si richiede ai produttori di farmaci veterinari
di intraprendere misure in grado di limitare la diffusione delle
resistenze.
Attualmente in medicina veterinaria è ammesso l’utilizzo solo
di determinati principi attivi appartenenti a questa classe, per
alcuni dei quali la UE ha definito i valori di LMR per le varie
specie animali (Reg. CE 37/2010) a seconda della matrice.
La Commissione Europea, in ottemperanza alla Direttiva 96/23/
CE, richiede il monitoraggio sia per i principi attivi della classe
per cui sono già fissati valori di limiti massimi di residui (LMR)
sia per quelli per i quali valori di LMR non sono stati definiti.
Il Piano Nazionale Residui (PNR) indica come metodo di prova per la ricerca di chinolonici nel latte il metodo microbiolo-
gico. Tuttavia i test di screening microbiologici disponibili in
commercio e ancor oggi ampiamente utilizzati per la ricerca
di antibiotici non comprendono nel loro campo di applicazione
contemporaneamente tutti i chinoloni di interesse veterinario o
non raggiungono i limiti di prestazione analitica richiesti dalla
Commissione Europea.
Per questo motivo, l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del
Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta (IZS PLV) avvalendosi anche
di un finanziamento regionale dedicato, ha validato e accreditato un metodo multiresiduo quantitativo per la ricerca di chinoloni nel latte a livelli conformi alla normativa vigente, da utilizzare
nell’ambito di controlli ufficiali.
Obiettivo principale di questo lavoro, attraverso l’impiego di tale
metodica su campioni di latte di massa, è stato valutare l’eventuale presenza di residui di chinoloni nelle aziende da latte
della regione Piemonte.
MATERIALI E METODI: Per valutare la presenza di residui di
chinoloni nelle aziende da latte è stata condotta una survey sul
territorio della regione Piemonte, nel periodo temporale marzo
- giugno 2012
Dal sistema di Anagrafe Regionale Veterinaria (ARVET) sono
state estratte 100 aziende da latte (Figura 1) con campionamento casuale stratificato per allocazione proporzionale a livello di ASL. La numerosità campionaria è stata calcolata considerando una prevalenza attesa del 4,5% ed un errore del 4% ed
un livello di confidenza del 95%.
La popolazione target era costituita da allevamenti da latte con
più di 10 capi. In ciascuna azienda è stato prelevato, senza
applicazione di vincolo sanitario, un campione di latte di massa
costituito da 4 aliquote di almeno 50 ml di prodotto.
L’attività di prelievo campioni è stata effettuata dai Servizi Veterinari delle AA.SS.LL. del Piemonte; le analisi sono state eseguite dal laboratorio Ricerca Residui dell’IZS PLV con un metodo HPLC-FLD multiresiduo quantitativo, validato e accreditato,
utilizzabile sia per analisi di screening che di conferma. Tale
metodo permette l’identificazione e la determinazione quantitativa di residui di otto chinolonici impiegati in veterinaria (acido
nalidissico, acido oxolinico, flumechina, ciprofloxacina, enrofloxacina, norfloxacina, danofloxacina e difloxacina). L’identificazione dell’analita, in accordo ai requisiti della Dec. 2002/657/
EC (2), è basata sul confronto tra il segnale dell’analita nel
campione e in una soluzione di standard certificato, relativamente al tempo di ritenzione cromatografico e al matching degli
spettri di emissione in fluorescenza e di assorbimento UV. La
qualità del risultato è assicurata mediante: 1) utilizzo in ogni
seduta analitica di un controllo fortificato, i cui risultati sono monitorati tramite carte di controllo tipo Shewart; 2) verifiche periodiche dell’accuratezza e ripetibilità mediante controlli di qualità
in doppio su campioni fortificati; 3) partecipazione a circuiti di
proficiency test. Il metodo è idoneo a dosare concentrazioni di
analita comprese tra 15 ÷ 60 μg/Kg per la danofloxacina e 25 ÷
200 μg/Kg per gli altri analiti nella matrice latte.
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Figura 1: Distribuzione delle aziende campionate
RISULTATI E CONCLUSIONI: Tutti i campioni previsti (N=100)
dal piano sono stati prelevati e sottoposti ad analisi (tabella 1): per
ciascun chinolone ricercato i risultati sono sempre stati inferiori al
limite di rilevazione.
I risultati ottenuti hanno evidenziato che in nessuna delle aziende da latte campionate sono stati rilevati residui di chinoloni. Si
può affermare che, a livello regionale, il problema se presente,
dovrebbe interessare non più del 4,5% delle aziende. Lo scenario delineato da questa survey mostra verosimilmente un utilizzo
appropriato di chinoloni nella maggioranza delle aziende da latte
piemontesi.
Per il futuro sarebbe interessante utilizzare una metodologia risk
based applicata in un contesto “freedom from event”, che consideri alcuni fattori quali stagionalità, dimensione dell’azienda, età degli
animali, tipo di stabulazione, che possano aumentare la probabilità di individuare la presenza di residui. Un risultato favorevole certificherebbe l’assenza di residui di chinoloni nelle aziende da latte
a garanzia delle produzioni alimentari e quindi del consumatore.
BIBLIOGRAFIA: 1) Adams H. R. (1999). Farmacologia e terapeutica veterinaria. Seconda ed. E.M.S.I., Beretta C., Roma
(Italy)
2) Decisione 2002/657/CE: Decisione della Commissione del
12 agosto 2002 che attua la direttiva 96/23/CE del Consiglio
relativa al rendimento dei metodi analitici e all’interpretazione
dei risultati. G.U.C.E. L 221/8, 2002
3) Dougherty T. J., Beaulieu D., Barrett J. F. (2001). D.D.T.
6:529
4) http://www.ema.europa.eu
Tabella1: N. campioni previsto ed effettuato
140
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
RISULTATI DEL PROGRAMMA COMUNITARIO DI MONITORAGGIO
PER LISTERIA MONOCYTOGENES IN ALIMENTI PRONTI AL CONSUMO
NELLA CITTA’ DI GENOVA NEL 2011
Barbaro A.*[1], Galleggiante Crisafulli A.[1], Rubini D.[2], Gennari M.[2], Teneggi M.E.[2], Bavetta S.[3], Chiavacci L.[1]
Keywords: Listeria monocytogenes, Ready-to-eat food, Survey
S.S. Osservatorio Epidemiologico, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino,
[2]
S.S. Sezione Genova, Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Genova,
[3]
Azienda Sanitaria Locale 3 “Genovese” ~ Genova
[1]
SUMMARY: According to Decision EU 678/2010, all member
state shall carry out a coordinated monitoring programme to assess the prevalence of L. monocytogenes in three ready-to-eat
food categories (soft cheeses and semi soft, fishery products
and meat products subjected to heat treatment). The paper reported the results related to Genoa, one of the 12 Italian cities
selected. 114 samples were collected, the pathogen was found
in smoked fish (9/58; 15.5%) and cheese (2/28; 7.1%) while all
meat products were negative.
INTRODUZIONE: Listeria monocytogenes è un batterio ubiquitario, ampiamente diffuso nell’ambiente, responsabile di una
patologia chiamata listeriosi, causata dall’ingestione di cibi contaminati (5).
I soggetti più a rischio sono gli immunocompromessi, donne in
gravidanza, bambini e anziani.
Le caratteristiche intrinseche del batterio gli consentono di
sopravvivere a temperature di refrigerazione e di resistere
nell’ambiente grazie alla capacità di formare biofilm sulle superfici e utensili di lavoro (4).
Gli alimenti più a rischio di contaminazione sono quelli pronti al
consumo (ready to eat-RTE) conservati a temperatura di refrigerazione (7).
Tra questi, il Report EFSA 2009 riporta come matrici maggiormente contaminate i formaggi molli e semimolli (1.1% di positività), i prodotti della pesca (1.0% di positività) e i prodotti a base
di carne sottoposti a trattamento termico (0.3% di positività) (2).
Tra i prodotti della pesca, il salmone affumicato risulta essere
quello maggiormente contaminato ed è considerato una potenziale fonte d’infezione per l’uomo (8).
La contaminazione può avvenire in tutte le fasi del processo
produttivo e si moltiplica anche durante il periodo di conservazione in frigoriferi domestici e di rivendite al dettaglio che non
sempre mantengono le temperature raccomandate dai produttori (6).
Partendo da tale contesto e considerando il potenziale rischio
di L. monocytogenes nel pesce affumicato, nei formaggi molli e
semimolli e nei prodotti a base di carne sottoposti a trattamento
termico, la Commissione Europea, con la Decisione CE 678 del
5 novembre 2010 ha istituito, per l’anno 2011, una survey per
valutare la presenza di L. monocytogenes sul territorio comunitario nelle tre tipologie di alimenti RTE considerate più a rischio.
MATERIALI E METODI: Le caratteristiche e le finalità della survey sono specificate dal piano che definisce anche le categorie
di alimenti da sottoporre a campionamento, le modalità di campionamento e le analisi da effettuare.
Alla città di Genova sono stati attribuiti 112 campioni di alimenti
RTE da prelevare presso esercizi di vendita al dettaglio (minimarket, discount, supermercati e ipermercati) selezionati casualmente e inseriti in un sistema informativo ad hoc.
I campioni sono stati prelevati dall’Azienda Sanitaria Locale 3
di Genova da luglio 2011 a novembre 2011.
Le categorie di prodotti da campionare erano rappresentati da
formaggi a pasta molle o semimolle (N=28), prodotti a base
di carne sottoposti a trattamento termico da consumare freddi
(N=28) e pesce affumicato (N=56).
Nell’ambito di tale programma, i compiti dell’IZS erano quelli di
accertare l’idoneità dei campioni conferiti dall’ASL, eseguire le
prove, trasferirne i risultati nel SIPSA (Sistema Informativo per
i Programmi di controllo in Sicurezza Alimentare) e inviare al
Laboratorio Nazionale di Riferimento (IZS Abruzzo e Molise) gli
eventuali ceppi isolati.
Tutti i campioni pervenuti sono stati sottoposti contestualmente
ad analisi qualitativa in 25 g (metodica ISO 11290-1) e quantitativa (metodica ISO 11290-2) per la ricerca ed il conteggio di
L. monocytogenes, alla data di scadenza riportata in etichetta,
ad esclusione del pesce affumicato.
Per questa matrice, infatti, il numero complessivo di campioni da analizzare (N=56) doveva essere ricavato da 28 partite
poiché il piano prevedeva due campioni da destinare all’analisi
entro 24 ore dall’arrivo in laboratorio e alla data di scadenza.
Inoltre sul campione analizzato all’arrivo in laboratorio sono
state effettuate le misurazioni di pH e Aw, poiché anche tali parametri influenzano la proliferazione di L. monocytogenes (3).
RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono stati prelevati e analizzati
114 campioni, 2 in più rispetto a quelli previsti dal piano per la
categoria pesce affumicato (tabella 1).
Le temperature di trasporto registrate all’arrivo del campione
in laboratorio rientravano nell’intervallo richiesto ovvero tra 2°C
e 8°C. Per quanto riguarda i campioni in attesa di essere esaminati al termine del periodo di shelf-life, la temperatura di conservazione era compresa tra 2°C e 4°C.
Nei campioni di pesce affumicato all’arrivo in laboratorio il pH
ha fornito risultati compresi tra 5.7 e 6.2; l’Aw tra 0.90 e 0.97.
Tali risultati confermano tale alimento come “terreno favorevole alla crescita di L. monocytogenes” in accordo al reg. CE
2073/2005 e ss.mm.ii.
I 28 prodotti a base di carne sono risultati sempre conformi ad
entrambe le analisi .
Due campioni su 28 (7,1%) di formaggio sono risultati non conformi all’analisi qualitativa.
Per quanto riguarda i campioni di salmone affumicato: dei 58
campioni analizzati 9 (15,5%) sono risultati positivi solo all’analisi qualitativa.
Questi risultati confermano quelli ottenuti in altri studi di prevalenza (1, 9) e mostrano che il consumatore è stato esposto ad
un potenziale rischio visto che il prelievo dei campioni è stato
effettuato in commercializzazione.
Tuttavia poiché l’analisi quantitativa in tutti i campioni ha mostrato conteggi sempre inferiori a 100 UFC/g, il problema trat-
141
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
tandosi di alimenti RTE, può essere ridimensionato.
Va considerato inoltre che il reg. CE 2073/05 e ss.mm.ii. stabilisce che l’analisi qualitativa è riservata ai campioni, per i quali
il produttore, sia in grado di dimostrare all’Autorità competente,
mediante specifici studi di shelf life e challenge test, che il proprio prodotto immesso nel circuito di commercializzazione non
supererà 100 UFC/g nel periodo di conservabilità. In assenza
di tale documentazione i campioni devono, invece, essere analizzati con il metodo qualitativo.
L’impostazione dello studio ha permesso di valutare tutti i
campioni di pesce affumicato analizzati, con entrambi i metodi,
all’arrivo in laboratorio e alla fine della shelf life. A tal fine si
riportano i risultati delle analisi qualitative relativi alle 29 partite
corrispondenti a 58 campioni:
- 22 conformi in entrambi i momenti;
- 2 non conformi in entrambi i momenti;
- 4 non conformi solo alla fine della shelf life;
- 1 non conforme solo all’arrivo in laboratorio.
Tali risultati aprono ad una riflessione di fondamentale importanza ovvero quali garanzie i produttori di alimenti RTE classificabili come terreno favorevole alla crescita di L. monocytogenes offrono al consumatore?
Per i campioni del presente piano non è stato possibile acquisire tali informazioni all’atto del campionamento e i risultati favorevoli delle analisi quantitative mostrano verosimilmente che
le partite campionate non abbiano rappresentato un pericolo
concreto per il consumatore.
Purtroppo nella fase di prelievo del campione l’impossibilità di
acquisire le informazioni circa le garanzie offerte dal produttore, si pensi ai prodotti importati, rappresenta una criticità che
pregiudica l’efficienza del’intero sistema di controlli; si ricorda
infatti che tali dati sono fondamentali per definire il tipo di analisi da eseguire in laboratorio e la scelta dei provvedimenti da
adottare in caso di risultato non conforme.
Tabella 1: frequenze di prelievo per tipo campione
BIBLIOGRAFIA: 1) Di Pinto A., Novello L., Montemurro F., Bonerba E., Tantillo G.(2010). Occurrence of Listeria monocytogenes in ready to eat foods from supermarkets in southern Italy.
New Microbiologica, 33:249-252.
2) European Union Summary Report on Trends and Sources
of Zoonoses, Zoonotic Agents and Food-borne Outbreaks in
2009; EFSA Journal 2011; 9(3):2090. [378pp.] doi:10.2903/j.
efsa.2011.2090.
3) Jay M. James, Loessner J. Martin, Golden A. David, (2005)
Microbiologia degli alimenti, Springer.
4) Kalmokoff M.L., Austin J.W.X., Wan D., Sanders G., Banerjee
S., Farber J.M. (2001). Adsorption, attachment and biofilm formation among isolates of Listeria monocytogenes using model
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5) Mead P.S., Dunne E.F., Graves L., Wiedmann M., Patrick M.,
Hunter S., Salei E., Mostashari F., Craig A., Mshar P., Bannerman T., Sauders B.D., Hayes P., Dewittw., Sparling P., Griffin P.,
Morse D., Slutsker L., Swaminathan B.(2006).
Nationwide outbreak of listeriosis due to contaminated meat.
Epidemiol. Infect. 134, 744-751.
6) Murru N., Mormile A., Barile M., Pezone G. Ricerca di L.
monocytogenes in alimenti e frigoriferi di case di cura. A.I.V.I
online Giugno 2011, vol. 1 n. 0.
7) Nuvolosi R., Pedonese F., D’Ascenzi C., Rindi S. (2006). La
valutazione del rischio da Listeria monocytogenes in alimenti
pronti al consumo. Annali Fac. Med. Vet. LIX.
8) Rørvik L.M. (2000) “Listeria monocytogenes in the smoked
salmon industry”. Int. J. Food Microbiol., 62, 183-190.
9) Uyttendaele M., Busschaert P., Valero A., Geeraerd A.H.,
Vermeulen A., Jacxsens L., Goh K.K., De Loy A., Van Impe J.F.,
Devlieghere F. (2009). Prevalence and challenge tests of Listeria monocytogenes in Belgian produced and retailed mayonnaise-based deli-salads, cooked meat products and smoked fish
between 2005 and 2007. Int. J. Food Microbiol. 133, 94-104.
142
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DIAGNOSTICA VIROLOGICA DI PRRS:
STUDIO COMPARATIVO TRA METODICHE BIOMOLECOLARI CLASSICHE E INNOVATIVE
CON CAMPIONI OTTENUTI DA UN’INFEZIONE SPERIMENTALE
Belfanti I.*[1], Mondin A.[2], Drigo M.[2], De Mateo Aznar M.[1], Bortoletto G.[2], Nardelli S.[1], Ceglie L.[1]
Keywords: PRRS, PCR, validazione metodi
1ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE DELLE VENEZIE,
STRUTTURA COMPLESSA 5 – SANITA’ E BENESSERE ANIMALE ~ LEGNARO,
[2]
2UNIVERSITA’ DI PADOVA, DIPARTIMENTO DI MEDICINA ANIMALE, PRODUZIONI E SALUTE ~ LEGNARO
[1]
SUMMARY: Porcine reproductive and respiratory syndrome
(PRRS) is reported as the most important disease currently affecting the pig industry worldwide.
A comparative evaluation of 4 different molecular methods (RTPCR end-point and Real-time) on samples collected during an
experimental infection trial was performed.
TaqMan probe systems may be inefficient in detecting mutant
viruses because of their genetic variability leading to a diagnostic failure. In-house assays can be easily adapted to new circulating strains being more flexible than commercial kits if they
are not constantly updated.
INTRODUZIONE: Il virus della PRRS va ascritto fra i più importanti agenti patogeni dell’allevamento suino, a livello degli
apparati riproduttivo e respiratorio, tanto da essere inserito nei
monitoraggi diagnostici a livello aziendale.
Metodi elettivi per la diagnosi virologica sono l’isolamento su
colture cellulari (colture primarie di macrofagi alveolari) e tecniche di biologia molecolare. La difficoltà pratica nel reperire
cellule idonee in termini di sensibilità e di sterilità da utilizzare
nelle prove di isolamento virale rende l’approccio molecolare
basato su PCR (end-point e Real time) quello maggiormente
impiegato per motivi di rapidità e semplicità dei metodi. Per evidenziare vantaggi e svantaggi di ciascun metodo, è necessario
eseguire un’approfondita validazione su gruppi di campioni raccolti in condizioni controllate, per la determinazione della sensibilità (Se) e specificità (Sp) diagnostiche. Il virus della PRRS è
caratterizzato da marcata instabilità genetica dei ceppi, fattore
che spiega l’ampia variabilità dei virus e la frequente reintroduzione di stipiti riassortiti in allevamenti già infetti, con effetto
di una nuova ricomparsa della malattia (3). Varie tipologie di
PCR, convenzionali e Real time (con o senza sonda), sono ora
disponibili, sia di tipo commerciale che in-house.
Scopo del lavoro è stato comparare 4 metodi biomolecolari con
campioni raccolti durante un’ infezione sperimentale con un
ceppo europeo di PRRS a concentrazione nota, per determinarne le performance analitiche e diagnostiche.
MATERIALI E METODI: L’infezione sperimentale è stata condotta all’interno di un’azienda suinicola da riproduzione a ciclo chiuso (azienda A), su 12 scrofette negative per anticorpi
contro PRRSV (età 3-4 settimane) e provenienti da un’azienda
certificata e storicamente indenne da questa infezione (azienda
B). Nell’azienda B 5 animali appartenenti allo stesso gruppo
introdotto nell’azienda A sono stati mantenuti come controllo
negativo per la validazione.
Per la prova, 12 scrofette sieronegative sono state contemporaneamente inoculate per via intramuscolare e nasale impiegando il ceppo virale di PRRS europeo normalmente circolante
nell’azienda A, preventivamente titolato (concentrazione virale
di 3x107 copie/ml), quindi sottoposte a prelievi longitudinali dal
giorno 0 al giorno 76 p.i.; durante la sperimentazione gli animali
sono stati stabulati in un unico box e in una stanza dedicata.
Due delle 12 scrofette sono state sacrificate al giorno 10 e 35
p.i., per creare uno stock di materiale diagnostico necessario
alla validazione di prove virologiche. In totale sono stati ottenuti
528 tra campioni di sangue, tamponi nasali, salivari e da prelievo di goccia di sangue dalla vena auricolare, che sono quindi
stati estratti con i kit High Pure Viral RNA e High Pure RNA
Isolation Kit (Roche Diagnostics), previa aggiunta di un controllo interno (IC), per la determinazione di falsi negativi. L’RNA
è stato amplificato seguendo 4 protocolli diversi: RT-PCR convenzionale (A), RT-PCR in Real time con SybrGreen (B), con
sonde specifiche in-house (C), e un un kit di One Step RT-PCR
Real time di tipo commerciale (D), tutti aventi come bersaglio un
frammento dell’ORF 7. Gli strumenti utilizzati sono il termociclatore classico ABI 9700 per A, il 7900HT FAST Real time PCR
system per D, entrambi di Life Technologies, il LightCycler480
(Roche) per i protocolli in-house B e C.
Per ciascun metodo, sono stati definiti i parametri di Se analitica, allestendo diluizioni seriali in base 10 delle matrici biologiche in esame a titolo noto, di Sp analitica (inclusività ed esclusività) e della ripetibilità within run and between days. Inoltre,
sulla base degli esiti ottenuti, dal confronto tra i metodi e le matrici, è stato possibile definire le relative Se e Sp diagnostiche.
La procedura di validazione rappresenta una parte di quanto
stabilito nei capitoli 1.1.4/5 dell’ OIE Terrestrial Manual 2010.
L’analisi di Se e Sp tra i metodi di PCR è stata condotta con il
software SPSS for Windows (Rl. 12.0.1. 2001, Chicago:SPSS
inc.), mettendo alternativamente le PCR come gold standard e
confrontando quindi le altre. La concordanza è stata valutata
calcolando il valore K di Cohen.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I 528 campioni prelevati durante l’infezione sperimentale e i 20 controlli negativi sono stati
saggiati con i diversi metodi sopra descritti, eccetto che con
il kit commerciale (D) che non riconosceva il ceppo di campo
utilizzato.
Riguardo la RT-PCR classica, le positività sono state attribuite a seconda dell’intensità della banda. Per quanto riguarda i
risultati della Real time RT-PCR in-house con sonda, invece,
le positività sono state categorizzate da “pos” a “pos+++” in
funzione di range di Ct rilevati.
Nelle tabelle allegate da 1 a 4, sono riportati i valori di Se e Sp
relative e di concordanza calcolati sugli esiti delle 4 prove prese
in considerazione, suddivisi per le 4 matrici diagnostiche esaminate (sangue, vena giugulare – sangue, tampone da vena
auricolare – tampone basale – tampone orale).
Le analisi biomolecolari effettuate con i campioni di organo in
diluizione hanno evidenziato il fallimento dei protocolli di Real
time PCR con sonde TaqMan, dovuto all’imprevedibile mutazione del ceppo PRRSV storico circolante nell’azienda. A fronte
143
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
di ciò, il protocollo in-house è stato riveduto con l’introduzione
di una sonda supplementare ridisegnata ad hoc per il ceppo
mutante. Diversamente non è stato possibile fare per il kit commerciale.
Dal raffronto delle prove di Se analitica e diagnostica dei protocolli esaminati è stata osservata una leggera differenza di Se
analitica del protocollo Real time rispetto alla RT-PCR classica (2), attribuibile al diverso volume di RNA estratto introdotto
nella miscela di reazione (10 volte inferiore per la Real time);
questa diversità si rende più evidente in termini di Se diagnostica, dove il protocollo di Real time risulta penalizzato nelle fasi
iniziali e finali di viremia.
Dal confronto dei risultati di Se analitica tra i metodi di RT-PCR
classica e Real-time in-house con sonda emerge come essa
risulti in entrambi i casi molto elevata, soprattutto considerando
la lettura in HighSensitivity, nel caso della Real time.
Un terzo dato è rappresentato dall’opportunità di poter monitorare il processo di PCR tramite l’inclusione di un IC universale
che ha consentito di evidenziare alcune situazioni di inibizione
e quindi esiti falsamente negativi (1).
Questo studio comparativo ha permesso di osservare il parziale fallimento del kit commerciale analizzato (D), non tanto
dal punto di vista della Se analitica con i ceppi di riferimento
che faceva prevedere ottimi risultati anche su campo, quanto per la mancata capacità di rilevazione del ceppo impiegato
nella sperimentazione, dimostrando la necessità di un continuo
aggiornamento delle sequenze delle sonde impiegate rispetto
alla situazione epidemiologica. La possibilità di una maggiore
libertà d’azione nel protocollo C mostra la maggiore flessibilità
ed adattamento alle esigenze del territorio da parte dei metodi
in-house con sonde, rispetto all’impiego di kit commerciali.
Quanto successo porta all’importante considerazione che l’adozione di kit commerciali già ottimizzati e validati dalle ditte
fornitrici deve comunque prevedere una fase di riesame preliminare alla messa in routine nel laboratorio, con particolare
attenzione agli stipiti circolanti sul territorio di competenza, per
prevenire casi di falsa negatività, conseguenti ad una ridotta
sensibilità diagnostica.
144
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
BIBLIOGRAFIA:
1) Hoffmann B., Depner K., Schirrmeier H. & Beer M. 2006
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real-time RT-PCR assays used in a detection system for
pestiviruses” J. Virol. Met.136, 200–209
2) Persia D., Pacciarini M.L., Cordioli P., Sala G., 2001
“Evaluation of Three RT-PCR Assays for the Detection of
Porcine and Respiratory Syndrome Virus in Diagnostic
Samples.” Proceedings of the 10th International Symposium of Veterinary Laboratory Diagnosticians and OIE Seminar on Biotechnology, 440-441
3) Toplak I, Rihtarič D, Hostnik P, Grom J, Stukelj M,
Valenčak Z. 2012 “Identification of a genetically diverse sequence of porcine reproductive and respiratory syndrome
virus in Slovenia and the impact on the sensitivity of four
molecular tests.” J Virol Methods. Jan;179 (1):51-6.
145
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
VALUTAZIONE DELLE PERFORMANCE PRODUTTIVE E DEI PARAMETRI EMATOLOGICI
IN POLLI DA CARNE ALIMENTATI CON DIETE INTEGRATE CON VERBASCOSIDE
Bergagna S.[1], Dezzutto D.[1], Mellia E.[1], Salcedo W.[2], De Marco M.[2], Forneris G.[2], Corino C.[3],
Gennero M.S.*[1], Schiavone A.[2]
Keywords: broiler chicken, growth performance, verbascoside
[1]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale PLV ~ Torino,
Dipartimento di Scienze Veterinarie. Università di Torino ~ Torino,
[3]
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Veterinarie per la Sicurezza Alimentare. Università di Milano ~ Milano
[2]
SUMMARY: The objective of the present study was to evaluate the effects of dietary verbascoside (VB) on growth performances and blood traits in broiler chicken. Optimizing the
feed conversion ratio is crucial for efficiency in poultry production. Feed conversion ratio was affected by VB supplementation and final body weight resulted numerically higher in the
treated groups. VB modulated protein metabolism and at the
higher dosage negatively affected H/L ratio.
INTRODUZIONE: L’impiego di antibiotici come additivi promotori di crescita in ambito zootecnico ha consentito, a partire
dagli anni 50, un notevole miglioramento dell’efficienza delle
produzioni contribuendo al miglioramento del benessere degli animali di allevamento. Tuttavia l’Europa, dato il rischio di
propagazione di ceppi batterici resistenti, ha bandito l’uso di
tali sostanze come additivi destinati all’alimentazione animale
(Reg. CE 1831/2003) determinando serie ripercussioni sulle
performance di crescita, in particolare nell’industria del pollame.
Nel corso degli anni, diversi studi scientifici hanno dimostrato
l’efficacia di sostanze naturali, con effetto antimicrobico, più
sicure per l’ambiente (3). In particolare, le piante rappresentano la maggior risorsa per l’estrazione di principi attivi utili
per la produzione di farmaci. Questi composti, confrontati con
gli antibiotici sintetici, risultano meno tossici e privi di residui
dannosi per l’ambiente e sono considerati ideali promotori di
crescita nelle diete per animali (4). Hernandez et al. (6), infatti, hanno dimostrato come gli estratti derivati da Salvia officinalis, Thymus vulgaris e Rosmarinus officinalis favoriscano la
digeribilità del mangime nei broiler, migliorandone le performance produttive (5).
I fenilpropanoidi glicosidi (PPG) sono un importante gruppo
di sostanze chimiche estratte dalle piante. E’ noto che i PPG,
come altri polifenoli vegetali, siano potenti antiossidanti (12).
Tra questi, il verbascoside, si è rivelato essere utile nella prevenzione dello stress ossidativo grazie alle sue proprietà antitumorali, antivirali, antinfiammatorie, antibatteriche, antiossidanti, epatoprotettive e “scavenger” dei radicali liberi (9). In
ambito veterinario, le proprietà antiossidanti di tale sostanza
sono state dimostrate negli ovini (1) prima dello svezzamento
e nei suini (2) svezzati.
Obiettivo di questo lavoro è stato quello di valutare l’effetto
dell’integrazione con verbascoside in diete per broiler, analizzando alcuni parametri ematologici e le performance produttive.
MATERIALI E METODI: 28 broiler maschi sani (Ross 508),
selezionati per assenza di segni clinici visibili, sono stati suddivisi casualmente in 3 gruppi sulla base della dieta somministrata: gruppo C (controllo, alimentato con dieta basale);
gruppo BV (dieta basale + 2,5 mg verbascoside/kg dieta);
gruppo AV (dieta basale + 5 mg verbascoside/kg dieta).
Il verbascoside è stato ottenuto da un estratto di foglie di
Verbenaceae (Lippia spp.). I broiler sono stati allevati per 35
giorni, dal giorno 1 al giorno 35. A partire dal giorno 14 sono
stati registrati su base settimanale l’incremento ponderale e
il consumo di alimento, per il calcolo dell’indice di conversione alimentare (ICA). Al giorno 34 sono stati effettuati i prelievi ematici per la valutazione delle concentrazioni sieriche di
proteine totali, aspartato transaminasi (AST), alanina amino
transferasi (ALT) e acido urico utilizzando un fotometro per
chimica clinica (Screen Master Touch, Hospitex Diagnostics).
La separazione delle proteine sieriche (albumina e α, β, γ
globuline) mediante elettroforesi su gel di agarosio è stata
effettuata con Hydrasis (Sebia). È stata inoltre eseguita la
conta eritrocitaria e leucocitaria e calcolato il rapporto eterofili/linfociti (E/L) su sangue intero. Infine, la concentrazione
sierica dell’α1 glicoproteina acida (μg/ml) è stata misurata per
immunodiffusione radiale tramite kit commerciale (Cardiotech
Services, Inc.) e la concentrazione di lisozima (μg/ml), misurando l’alone di inibizione della crescita di Micrococcus lysodeikticus incluso in gel di agar (11). I dati sono stati sottoposti
ad analisi della varianza utilizzando il trattamento alimentare
come fonte di variazione. Il confronto fra i gruppi di studio è
stato ottenuto con il test di Dunnett.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Il presente studio è stato finalizzato alla valutazione dell’effetto sulle performance di crescita e su alcuni parametri ematologici dell’integrazione con
verbascoside nella dieta di polli da carne.
Studi precedenti (7-8) hanno dimostrato un miglioramento
delle prestazioni produttive in broiler alimentati con mangimi arricchiti con sostanze antiossidanti. Alcuni ricercatori
suggeriscono che l’effetto positivo delle piante medicinali sia
collegato alla presenza di composti bioattivi che potrebbero
influenzare l’assunzione di alimento e la secrezione di succhi
gastrointestinali, migliorando la digestione e i processi di assorbimento, con conseguente incremento ponderale.
I risultati ottenuti dalla sperimentazione in oggetto sono presentati nella Tabella 1. Durante il periodo 14-35 giorni l’ICA
dei gruppi trattati ha mostrato valori significativamente inferiori rispetto al controllo, in accordo con Javed et al. (7). Al
contrario il peso della carcassa non è stato influenzato dall’integrazione con antiossidanti naturali, come dimostrato anche
da Ocak et al. (10). L’ottimizzazione dell’ICA è fondamentale
per migliorare l’efficienza produttiva soprattutto in un periodo
di crisi per il settore mangimistico.
I gruppi BV e AV mostrano bassi livelli serici di proteine totali (P<0.001), albumina (P<0.001) e α globuline (P< 0.01)
rispetto al gruppo C. Il gruppo AV inoltre mostra valori più
bassi di β e γ globuline (P< 0.05) e valori di E/L maggiori
rispetto al gruppo di controllo (P< 0.01). I valori di ALT del
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gruppo AV sono tendenzialmente differenti rispetto al gruppo
C (P= 0.051). Il VB, quindi, sembra modulare il metabolismo
proteico e ad alti dosaggi potrebbe influenzare negativamente
il rapporto E/L.
In conclusione, l’integrazione della dieta con verbascoside
migliora le performance di crescita nel pollo da carne, tuttavia
meritano di essere approfonditi gli effetti di tale integrazione
su parametri mebolici degli animali.
Tabella 1 - Performance produttive e parametri ematologici in broiler alimentati con diete integrate con verbascoside (n=8) (media ± ds). Confronto tra gruppo C (gruppo di controllo), gruppo BV (dieta basale + 2,5 mg verbascoside/kg dieta) e gruppo AV
(dieta basale + 5 mg verbascoside/kg dieta). * Indica una differenza quando il trattamento viene confrontato con il controllo
( t-test di Dunnet, P < 0.05)
BIBLIOGRAFIA:
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some blood parameters in suckling lambs supplemented with verbascoside. In Proceedings of the ASPA XVIII Congress, 668.
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10. Ocak, N., Erener, G., Burak, F.A., Sungu, M., Altop, A.,
Ozmen, A. (2008). Performance of broilers fed diets supplemented with dry peppermint (Mentha piperita L.) or thyme
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12. Paola, R.D.I., Oteri G., Mazzon, E., Crisafulli, C., Galuppo, M., Dal Toso, R., Pressi, G. Cordasco, G., Cuzzocrea, S.
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Syringa vulgaris plant cell cultures, in a rodent model of periodontitis. Journal of Pharmacy and Pharmacology 63: 707-717.
147
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI DEL GENERE SALMONELLA
IN UN FOCOLAIO DI TOSSINFEZIONE ALIMENTARE
Bertasi B.*[1], D’Amico S.[1], Tilola M.[1], Ferrari M.[1], Panteghini C.[1], D’Incau M.[1], Finazzi G.[1], Daminelli P.[1],
Bonomini A.[2], Pedroni P.[2], Losio M.N.[1]
Keywords: Salmonella, PFGE, Riboprinter
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna ~ Brescia,
[2]
Azienda Ospedaliera di Desenzano del Garda ~ Brescia
[1]
SUMMARY: The transmission of Salmonella to humans
mainly occurs through the ingestion of animal origin contaminated food. Salmonella infections are, in most industrialized
countries, a major cause of foodborne humans illness. First
aim of this work was to assess the existence of a correlation
between the Salmonella strains isolated from patients and
those isolated from food, through two molecular techniques
(PFGE and Ribotyping). Moreover, we have compared the
discriminative power and the consequent usefulness in cases food-borne of these two molecular techniques.
INTRODUZIONE: La trasmissione di Salmonella all’uomo
avviene principalmente attraverso l’ingestione di alimenti di
origine animale contaminati. Le infezioni da Salmonella rappresentano in Italia, come negli altri paesi industrializzati,
una delle principali cause di malattia a trasmissione alimentare nell’uomo (1). Secondo il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle malattie (ECDC) e l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), nel 2007 sono stati
registrati 151.995 casi di salmonellosi nell’uomo in UE, che
corrisponde ad un’incidenza di 31,1 casi su 100.000 abitanti
(2). La Comunità Europea ha emanato la Direttiva 2003/99/
CE che indica le Salmonelle quali agenti zoonotici da sottoporre a sorveglianza sanitaria (3). Inoltre, con il Regolamento (CE) n. 1441/2007 sui criteri microbiologici applicabili
ai prodotti alimentari viene stabilito l’obbligo dell’assenza di
Salmonella in 25 gr nella carne macinata e nei preparati a
base di carne destinati ad essere consumati crudi, su 5 unità
campionarie (4). I metodi fenotipici di identificazione e caratterizzazione, stabiliti nelle metodiche ISO previste dalla
legislazione, non risultano però sufficienti a stabilire le reali
correlazioni tra intossicazione e causa; a tal proposito, negli
ultimi anni, si è cercato di mettere a punto metodiche molecolari di caratterizzazione più discriminanti quali la ribotipizzazione e la PFGE.
Il presente lavoro intende effettuare una caratterizzazione
genotipica di vari ceppi di Salmonella isolati in seguito ad un
focolaio tossinfettivo verificatosi nell’estate 2012 in provincia
di Brescia. Da alcuni ospiti di una casa di cura per anziani,
ricoverati presso l’ospedale di competenza in seguito a gastroenterite acuta, sono stati isolati ceppi di Salmonella; successivamente, dalle informazioni raccolte relative alla dieta
seguita, è stato individuato come possibile fonte infettiva
un salume di origine industriale. In seguito poi ad ispezione
presso l’azienda produttrice sono stati effettuati diversi campionamenti sia ambientali che dei prodotti, alcuni dei quali
risultati positivi al medesimo patogeno. L’obiettivo di questo
studio è stato innanzitutto valutare l’esistenza di una correlazione tra i ceppi di Salmonella isolati dai pazienti e quelli
isolati dall’alimento tramite l’utilizzo delle due tecniche molecolari sopracitate e confrontarne il potere discriminante e la
conseguente utilità in casi di tossinfezione alimentare.
MATERIALI E METODI: Dai 5 pazienti colpiti dalla tossinfezione sono stati isolati 7 ceppi di Salmonella presso il laboratorio di
analisi dell’ospedale di Manerbio (BS). Tutti i 10 campioni ambientali sono risultati negativi allo screening in PCR Real-Time,
mentre dei 2 prodotti campionati, ipoteticamente imputati come
fonte epidemiologica, solo 1 è risultato positivo e da questo,
presso il laboratorio di microbiologia degli alimenti dell’IZSLER
di Brescia, utilizzando la metodica ISO 6579:2002 – Cor1:2004
e l’ AnnexD/ISO 579:2007, sono stati isolati 5 ceppi di Salmonella. Quest’ultimi sono stati identificati mediante sierotipizzazione e caratterizzati utilizzando due metodiche molecolari,
l’elettroforesi in campo pulsato (PFGE) e la Ribotipizzazione
automatica.
La subtipizzazione mediante PFGE è stata eseguita in accordo
con il protocollo PulseNet, impiegando XbaI come enzima di
restrizione. L’analisi dei pulsotipi ottenuti è stata effettuata utilizzando il software Bionumerics, impostando il coefficiente di
Dice per calcolare i valori di similarità e l’algoritmo UPMGA, con
1% di tolleranza e 1% di ottimizzazione, per ottenere il dendrogramma. I pulsotipi che differivano per almeno una banda sono
stati considerati come distinti. I profili di PFGE ottenuti sono stati confrontati con quelli del database disponibile in modo tale da
riuscire ad attribuirne il nome, in accordo con la nomenclatura
definita dal sistema PulseNet Europa.
La ribotipizzazione è stata eseguita tramite strumento RiboPrinter DuPont di Qualicon (5) che ha permesso, oltre all’identificazione, la caratterizzazione batterica attraverso il confronto dei
pattern ottenuti tramite digestione enzimatica del frammento
genico 16S rRNA. L’assegnazione ai diversi ribogruppi viene
subordinata ad una valutazione automatica di similarità pari
almeno al 95%. La sospensione batterica in buffer è stata inattivata termicamente e successivamente sottoposta a digestione
enzimatica con enzima PVUII (in accordo alle indicazioni del
produttore) , corsa elettroforetica, trasferimento su membrana
ed ibridazione con una sonda specifica per l’rRNA. Il segnale
emesso, catturato da una macchina fotografica, è stato rielaborato automaticamente dal software dello strumento in un report.
I risultati ottenuti sono stati elaborati anche mediante software
Bionumerics 6.6 per la realizzazione di dendrogrammi di similarità impostando il coefficiente di Pierce.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati dei campioni analizzati
dimostrano che la fonte di contaminazione è da attribuire alla
materia prima piuttosto che al processo di lavorazione; i tamponi ambientali sono infatti risultati tutti negativi, mentre ceppi
di Salmonella sono stati isolati dal solo salame risultato positivo alla PCR. L’analisi mediante PFGE delle Salmonelle isolate
dall’alimento considerato potenziale fonte epidemiologica e di
quelle isolate dai pazienti interessati dalla tossinfezione ha portato all’individuazione di 4 diversi pulsotipi di Salmonella di origine alimentare e 4 di origine umana, di cui 2 comuni (similarità
pari al 100%) e pertanto correlabili alla tossinfezione. L’isolato
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di S.Bovismorbificans risulta presente nell’alimento ed in 4 pazienti su 5; inoltre, 2 pazienti sono infettati da 2 diversi ceppi di
Salmonella. Infine, il ceppo di S.Derby, isolato a febbraio 2012
da un salame proveniente dalla medesima azienda coinvolta
nella tossinfezione di luglio, non risulta correlato ad alcuno di
questi ultimi ceppi, indicando una diversa origine di contaminazione (Fig.1). L’analisi mediante Ribotipizzazione automatica
ha portato ad un risultato analogo per quanto concerne la diffusa
contaminazione da parte di S.Bovismorbificans nei pazienti e la
sua associazione alla tossinfezione; anche con questa tecnica
gli stessi 2 pazienti dimostrano una duplice infezione da Salmonella. Analogamente il salame risulta contaminato da 4 tipi di Sal-
monella, distribuiti in 4 ribogruppi, tra i quali rientrano sia isolati
umani che alimentari, dimostrando ulteriormente l’associazione
tra l’alimento sospetto e l’infezione dei pazienti (Fig.2). In conclusione tale lavoro ha dimostrato l’importanza dell’utilizzo delle
metodiche molecolari di subtipizzazione in casi di focolai tossinfettivi stabilendone le effettive associazioni. Infine, la PFGE
ha permesso di suddividere il ribogruppo 346-S-6 (che include
4 isolati) in 2 diversi pulsotipi (uno in cui sono raggruppati gli
isolati di origine umana ed uno quelli alimentari) simili tra loro per
l’82.3 %; questo evidenzia il maggiore potere discriminante della
PFGE, tecnica che analizza l’intero genoma batterico, rispetto
alla ribotipizzazione, che si focalizza sul solo 16S rDNA.
Fig.1 Dendrogramma dei pulsotipi ottenuti dall’analisi in PFGE, utilizzando l’enzima XbaI, dei ceppi di Salmonella isolati dal
salame imputato come fonte della tossinfezione e dai pazienti colpiti da gastroenterite.
Fig.2 Dendrogramma dei profili ottenuti dalla ribotipizzazione automatica dei ceppi di Salmonella isolati dal salame imputato
come fonte della tossinfezione e dai pazienti colpiti da gastroenterite.
BIBLIOGRAFIA:
1. Istituto Superiore di Sanità. (2005) Infezioni da Salmonella:
diagnostica, epidemiologia e sorveglianza. Rapporti ISTISAN
05/27 – ISSN 1123-3117
2. The Community Summary Report on Trends and Sources of
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(2009) The EFSA Journal , 223.
3. Direttiva 2003/99/CE del 17 novembre 2003 sulle misure di
sorveglianza delle zoonosi e degli agenti zoonotici. G.U.C.E.
12.12.2003, L. 325, 31-37.
4. Regolamento (CE) n. 1441/2007 del 5 dicembre 2007 che
modifica il Regolamento (CE) n. 2073/2005 sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari. G.U.C.E. 07.12.2007, L.
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5. De Cesare A., Manfreda G. 2005. Impiego del riboprinter per
la caratterizzazione molecolare rapida dei batteri.
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
MONITORAGGIO DI VIBRIO SPP. IN MOLLUSCHI EDULI LAMELLIBRANCHI
E ACQUA DI MARE
Bertasi B.*[1], Galuppini E.[1], Consoli M.[1], Fusini F.[1], Pavoni E.[1], Saetti F.[1], Rubini S.[1], Daminelli P.[1],
Finazzi G.[1], Losio M.N.[1]
Keywords: Vibrio spp, molluschi eduli lamellibranchi, acqua di mare
IZSLER ~ Brescia
[1]
SUMMARY: The aim of this work was to confirm, by Polymerase
chain reaction (PCR), the samples of seawater and clams positive
with cultural methods, in order to evaluate the presence of Vibrio
cholera, Vibrio parahaemolyticus and Vibrio vulnificus in cosatal
areas adjacent to the Po outfall.
INTRODUZIONE: Tra i prodotti della pesca, indubbiamente i molluschi eduli lamellibranchi sono quelli più esposti a possibili contaminazioni di tipo microbiologico e biotossicologico. Nella maggioranza dei casi, sono organismi scavatori sessili o sedentari, che
si nutrono di piccole particelle alimentari presenti nell’acqua o nei
sedimenti mediante un meccanismo di filtrazione Durante questa
intensa attività di filtrazione essi trattengono infatti nel loro organismo, più precisamente nell’epatopancreas, non solo il plancton
necessario per nutrirsi, ma anche batteri e virus eventualmente
presenti nell’ambiente.
I molluschi eduli lamellibranchi sono implicati da sempre nella
trasmissione di malattie gastroenteriche di diversa gravità come
febbri tifoidi e colera. Fra i patogeni autoctoni dell’ambiente marino un ruolo primario nelle patologie dovute al consumo di molluschi è svolto dai microrganismi appartenenti alla famiglia delle
Vibrionaceae (2). Tale famiglia comprende 5 generi differenti, tutti
Gram negativi, ossidasi positivi, di forma lineare o curvata, mobili
e asporigni. Il genere Vibrio, preso in considerazione in questo lavoro, comprende specie patogene, non patogene e opportuniste
per l’uomo. Tra le specie patogene le più rappresentative sono: V.
colerae, V. parahemolyticus e V. vulnificus .
I Vibrio hanno una lunghezza di 2-3 µm, una larghezza di 0.5-0.8
µm; sono mobili grazie alla presenza di un flagello polare ed hanno
una particolare caratteristica fase di quiescenza che gli permette
di modificarsi in particolari condizioni avverse pur mantenendo la
loro patogenicità.
V. cholerae:
I sierogruppi si differenziano in base all’antigene somatico O (O1;
non-O1; non-O139).
In correlazione alla loro patogenicità vi è la produzione di tossine
da parte di alcuni di questi sierotipi, in particolare O1 e O139 che
producono 2 citotossine: CTXA e CTXB. Invece i ceppi non-O1 e
non-O139 producono enterotossine termostabili codificate dai geni
stn/sto(3).
V. parahaemolyticus:
ToxR è il gene specie-specifico che viene ricercato per l’identificazione di V. parahaemolyticus; oltre a questo, i ceppi aventi i geni
codificanti per la tossina termostable direct hemolysin (tdh) e/o la
tossina tdh-related-hemolysin (trh) sono patogeni per l’uomo.
V. vulnificus:
Vvh è il gene target in PCR per l’emolisina/citolisina prodotta da
questo microrganismo.
Il seguente lavoro è stato eseguito all’interno di un progetto di ricerca campionando molluschi eduli lamellibranchi ed acqua di mare al
fine di avere un’indicazione sull’incidenza dei vari tipi di Vibrio nelle
zone limitrofe al delta del Po (Sacca di Goro, Lidi Ferraresi).
MATERIALI E METODI: In totale, da marzo ad agosto 2012, sono
stati analizzati in PCR 103 campioni cresciuti in coltura microbiologica, (326 erano negativi) di cui 43 acque di mare e 60 molluschi
(Tapes semidecussatus).
La preparazione, la semina nei terreni di coltura e la tipizzazione
dei campioni, sono state eseguite nella sezione di Ferrara secondo le indicazioni descritte nei metodi di prova interni dell’IZSLER,
mentre la PCR sulle patine colturali dei medesimi è stata effettuata
nella sede IZSLER di Brescia.
Estrazione del DNA genomico da colture batteriche:
Questo metodo, comune per tutti i campioni è composto da differenti fasi: 1) sospensione delle colonie batteriche in 1 ml di acqua
sterile, 2) centrifugazione a 15.000 x g per 5 minuti, 3) sospensione
del pellet in 1 ml di acqua e ripetizione della centrifugazione, 4)
sospensione del pellet in 200 µl di acqua sterile ed incubazione a
100°C per 10 minuti, 5) centrifugazione per 1 minuto a 15.000 x g.
Identificazione di V. cholerae in colture batteriche mediante PCR
I campioni destinati all’identificazione di V. cholerae tossigeno
(ceppi O1 e O139) sono stati analizzati mediante PCR specifica
per l’identificazione del gene ctxAB codificante per l’enterotossina
colerica CTX (frammento A e frammento B); i primer CTXABFOR:
5’-TGA AAT AAA GCA GTC AGG TG-3’ e CTXABREV: 5’-GTG
ATT CTG CAC ACA AAT CAG-3’ hanno dato una banda attesa
di 779 bp con una reazione di 35 cicli ed annealing a 60°C per 1
minuto.
Poiché alcuni ceppi (non-O1/non-O139) che non codificano per
l’enterotossina colerica CTX, sono in grado comunque di indurre
fenomeni colera-simili, è stata effettuata un’ulteriore analisi tramite
PCR dei geni stn/sto che codificano per le enterotossine termostabili. I primer 67F: 5’-TCG CAT TTA GCC AAA CAG TAG AAA
-3’ e 194R: 5’-GTC GGA TTG CAA CAT ATT TCG C-3’ danno una
banda di 172 bp con una reazione di 35 cicli ed annealing a 55°C
per 1 minuto.
Identificazione di V. parahaemolyticus patogeno in colture batteriche mediante PCR
I campioni destinati all’identificazione di V. parahaemolyticus sono
stati analizzati mediante PCR del gene Tox-R. I primer toxRf: 5’GTC TTC TGA CGC AAT CGT TG-3’ e toxRr: 5’-ATA CGA GTG
GTT GCT GTC ATG-3’ danno una banda di 368 bp con una reazione di 20 cicli ed annealing a 63°C per 1 minuto e 30 secondi.
In seguito, solo i campioni positivi per questo gene specie specifico sono stati sottoposti ad analisi per la rilevazione dei geni codificanti per le tossine TDH (banda attesa 269 bp) e TRH (banda
attesa 500 bp), che consentono di identificare ceppi patogeni per
l’uomo. I primer TDHFOR: 5’-GTA AAG GTC TCT GAC TTT TGG
AC -3’, TDHREV: 5’- TGG AAT AGA ACC TTC ATC TTC ACC-3’,
TRHFOR: 5’-TTC GCT TCG ATA TTT TCA GTA TCT -3’ e TRHREV: 5’-CAT AAC AAA CAT ATG CCC ATT TCC-3’ sono stati impiegati in due distinte PCR con 30 cicli ciascuna ed un annealing
di 58°C per 1 minuto.
Identificazione di V. vulnificus in colture batteriche mediante PCR
I campioni destinati all’identificazione di V. vulnificus sono stati analizzati mediante PCR del gene vvha; i primer VV1: 5’-CCT ATC
GGG GCA GTG GCT -3’ e VV2: 5’- CCA GCC GTT AAC CGA
ACC-3’danno una banda di 383 bp con una reazione di 35 cicli ed
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annealing a 55°C per 1 minuto.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Non tutti i 103 campioni sono stati
analizzati in parallelo per le tre specie (Fig.1). La richiesta di conferma degli esami colturali è stata differente da specie a specie e
quindi il totale delle analisi in PCR è variato a seconda degli esami
eseguiti presso i laboratori di Ferrara; alcuni campioni sono risultati
doppiamente contaminati. Per V.cholerae sono stati analizzati 36
campioni, per V. parahaemolyticus 82 e per il V. vulnificus 5. Nelle
tabelle 1 e 2 sono riportati i risultati ottenuti nel lavoro. Nessun campione è stato confermato in PCR per V. vulnificus.
Da letteratura emerge come tali microrganismi siano stati trovati
nell’ambiente marino sia liberi che associati con lo zooplancton;
possono quindi frequentemente essere isolati dall’acqua di mare
e dai prodotti della pesca (4); infatti anche nei risultati ottenuti, è
emerso che i Vibrio sono presenti sia nei campioni di molluschi
che nell’acqua di mare e dimostrano di essere dei batteri autoctoni.
I risultati delle tipizzazioni microbiologiche dei batteri sono stati
sempre confermati in PCR; inoltre, è stato possibile approfondire la
tossigenicità dei ceppi isolati. Infatti, dei 5 campioni positivi per V.
cholerae, 2 sono risultati tossigenici (ctxAB), mentre 3 non producevano tossina colerica, ma erano comunque patogeni per l’uomo
(stn/sto). Anche per quanto riguarda V. parahaemolyticus, 76 degli
82 campioni cresciuti in coltura sono stati confermati in PCR. Di
questi, 9 sono risultati codificanti per tossine patogene (tdh/trh).
L’assenza di V. vulnificus è probabilmente dovuta al basso numero
di campioni presi in considerazione ed alla minor diffusione dello
stesso nel mare Adriatico, durante il periodo primavera-estate (1).
In totale, il 9,5% dei campioni analizzati è risultato essere patogeno
per l’uomo (Fig.2) e questo dato induce a considerare quanto sia
necessario un’implementazione dei piani di monitoraggio in aree
ad elevata attività di miticoltura.
Figura 1
Figura 2
Tabella 2
Tabella 1
BIBLIOGRAFIA: 1)Baffone W, Tarsi R, Pane L, Campana R,
Repetto B, Mariottini GL, Pruzzo C. Detection of free-living and
plankton-bound vibrios in coastal waters of the Adriatic Sea
(Italy) and study of their pathogenicity-associated properties.
Environ Microbiol. 2006 Jul;8:1299-305.
2)Croci L., Suffredini E. 2003. Rischio microbiologico associato
al consumo di prodotti ittici, Ann. Ist. Superiore della Sanità;
Vol39; 35-45
3)Di Pinto A., Ciccarese G., Tantillo G., Catalano D., Forte V.T.
2005. A Collagenase-Targeted Multiplex PCR Assay for Identification of Vibrio alginolyticus, Vibrio cholerae, and Vibrio parahaemolyticus. Journal of Food Protection, Vol.68, No.1; 150153
4)Lipp EK. Rose JB. Therole of seafood in foodborne desease
in United States of America. Rev Sci Tech 1997 Vol16; 620640.
151
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UTILIZZO DI BIOSENSORI PER LA DIAGNOSI RAPIDA DI MALATTIE IN TEMPO REALE
Biagetti M.*[1], Cuccioloni M.[2], Sebastiani C.[1], Angeletti M.[2]
Keywords: diagnosi, biosensori, circovirus
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia,
Scuola di Bioscienze e Biotecnologie - Università degli Studi di Camerino ~ Camerino
[1]
[2]
SUMMARY: The purpose of this work is the development
of a “on-site” biosensor capable of detecting the presence
of PCV2 virus directly from blood withdrawals in pig farms
INTRODUZIONE: Lo scopo di questo lavoro è quello di valutare l’applicabilità di un biosensore ottico per la diagnosi
rapida di una malattia virale dei suini sostenuta dal circovirus (PCV2). Clinicamente l’infezione nel suino, è associata alla cosidetta sindrome multisistemica del deperimento
post-svezzamento (PMWS) descritta per la prima volta in
Canada (1) e successivamente in altre parti del mondo. Le
manifestazioni patologiche della malattia sono riconducibili a forme enteriche, riproduttive, respiratorie, e di deperimento post-svezzamento. La malattia è una tra le principali
cause di perdita economica nell’industria suinicola.
Il principio dei biosensori si basa sul fenomeno della risonanza plasmonica di superficie che permette l’osservazione in tempo reale dell’interazione di legame tra un analita in
soluzione ed un ligando immobilizzato sulla superficie del
biosensore stesso (2). I biosensori a DNA (o genosensori)
sono basati sull’appaiamento di catene di DNA complementari monoelica e sono in continuo sviluppo con la finalità
di realizzare dei rapidi e semplici test per la diagnosi di
malattie.
In questo lavoro sono state immobilizzate sul biosensore,
due tipi di sonde, una a ssDNA ed una chimerica a ssDNA/
LNA. Gli LNA sono una classe di biopolimeri di sintesi analoghi degli oligonucleotidi di DNA. L’inserimento di oligonucleotidi di LNA in una sonda ne incrementa l’affinità per il
suo filamento complementare nonché la stabilità del duplex
risultante, rispetto ai tradizionali oligonucleotidi a DNA o
RNA. Questa caratteristica aumenta la sensibilità e la specificità degli oligonucleotidi LNA e li rende ideali per la rilevazione di piccolissime quantità di DNA o RNA (3)
MATERIALI E METODI: Il protocollo utilizzato prevede l’estrazione dell’acido nucleico dal campione, l’amplificazione
della sequenza bersaglio tramite PCR seguita da un’unica
rivelazione su biosensore. La sequenza dell’amplificato è
stata utilizzata per disegnare la sonda utilizzata in questi
studi a cui è stato aggiunto uno spacer di 5 adenine all’estremità 5’ con la prima adenina coniugata con biotina (Biotina–AAAAA–CACCAGACTCCCGCT). Nel nostro studio
sono state comparate due tipi di superfici sensibili, rispettivamente ottenute immobilizzando una sonda a ssDNA ed
una a ssDNA/LNA. Sulla superficie del biosensore è stata
immobilizzata la strepavidina tramite la procedura standard
via EDC/NHS, successivamente la sonda di ssDNA o la
sonda chimerica DNA/LNA biotinilate vengono aggiunte al
monolayer di streptavidina, e le fasi di associazione tra i
binding partner vengono monitorate fino all’equilibrio. Per
la verifica della selettività dell’apparato sono stati utilizzati
7 DNA amplificati (A1 – A7) estratti da organi e/o sieri di
suini risultati positivi al PCV2, inoltre sono stati testati gli
stessi DNA estratti non amplificati. Nel caso di DNA amplificati, il dsDNA è stato precedentemente denaturato a
ssDNA in modo da permettere l’ ibridizzazione con la sonda
complementare immobilizzata sul biosensore. Il campione
di dsDNA è stato sottoposto ad una fase di denaturazione
a 95°C per 5 min seguita da incubazione a 52°C per 1 min
con un leggero eccesso di un corto frammento oligonucleotidico (10-30 basi) complementare al terminale 3’ dell’amplificato e che non si sovrappone con la sequenza complementare alla sonda. Tale legame previene il ri-appaiamento
dei filamenti di DNA prima del contatto con la sonda sulla
superficie. Dopo ogni utilizzo, la superficie del biosensore derivatizzata con i due tipi di sonde è stata rigenerata
tramite lavaggio con PBS (ssDNA) o con PBS-T (ssDNA/
LNA). Come controllo negativo, è stato aggiunto alla superficie del biosensore un campione di ssDNA non complementare senza ottenere alcuna risposta apprezzabile.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati ottenuti tramite superfici funzionalizzate con sonde ssDNA e ssDNA/LNA su
campioni amplificati (A1 – A7) sono riportati in fig.1. Nonostante l’ottima specificità mostrata da entrambe le superfici
(campioni di DNA non complementare producono risposte
trascurabili in entrambi i casi), risulta evidente la maggiore
sensibilità della sonda ssDNA/LNA (a parità di concentrazione, la risposta per ogni singolo campione aggiunto è almeno tre volte superiore).
Analogamente, i risultati ottenuti analizzando campioni di
DNA non amplificato, estratto direttamente da campioni di
campo positivi, hanno evidenziato che il biosensore derivatizzato con la sonda ssDNA non è in grado di rilevare alcun
segnale significativo (dati non mostrati), mentre con il biosensore derivatizzato con la sonda ssDNA/LNA è in grado
di rilevare segnali apprezzabili sugli stessi campioni(fig.2).
I risultati indicano che sia la sonda a ssDNA che, in particolare, quella a ssDNA/LNA conferiscano una buona sensibilità ed un’ottima specificità al biosensore nei confronti di
campioni di DNA amplificato. La sonda ssDNA/LNA ha una
sensibilità maggiore che consente al biosensore di rilevare,
anche se con sensibilità e specificità inferiori, la presenza
di DNA virale anche in campioni non amplificati. In questo
caso la sensibilità può essere in funzione della carica virale
del campione. Grazie alla elevata sensibilità della sonda
ssDNA/LNA e alla capacità di rilevazione in tempo reale, il
biosensore può fornire risposte rapide sulla presenza/assenza del virus dopo semplici procedure di trattamento del
campione atte a liberare il DNA virale. Infatti, fine ultimo del
presente lavoro è quello di eseguire l’analisi direttamente
in allevamento collegando il biosensore ad un PC portatile
senza la fase di amplificazione del DNA estratto. Questo è
possibile utilizzando dei metodi di estrazione in allevamento tipo shock termico o l’utilizzo di catrine FTA-like cards.
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Fig. 1: Ibridizzazione di campioni amplificati (A1 – A7) con la sonda ssDNA (Box A) e con la sonda ssDNA/LNA (Box B)
Fig. 2: Ibridizzazione di campioni non pre-amplificati con la la sonda ssDNA/LNA
BIBLIOGRAFIA: 1) Ellis J, Hassard L, Clark E, Harding J, Allan G, Willson P, Strokkape J, Martin K, McNeilly F, Meehan B,
Todd D, Haines D. (1998). Isolation of circovirus from lesions
of pigs with postweaning multisystemic wasting syndrome. Can
Vet J. 39; 44-51.
2) Piliarik M., Vaisocherova H., Homala J. (2009). Surface Plasmon resonance biosensing. Methods Mol.Biol. 503, 65-88.
3) D’Agata R., Spoto G. (2012) Atrificial DNA and surface Plasmon resonance. Artificial DNA:PNA&XNA 3:2, 45-52.
153
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INDIVIDUAZIONE IN PIEMONTE DI UN FOCOLAIO DI BESNOITIOSI IN BOVINI
PROVENIENTI DALLA FRANCIA.
Biolatti P.G.*[2], Valentini L.[1], Militerno G.[3], Bassi P.[3], Gennero M.S.[2], Bergagna S.[2], Zanet S.[4], Ferroglio E.[4],
Scaglione F.E.[4], Bollo E.[4]
Keywords: Besnoitia besnoiti, PCR, Piemonte
[1]
Libero Professionista ~ Torino,
Istituto Zooprofiliattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta, Italia ~ Torino,
[3]
Università di Bologna, Facoltà di Medicina Veterinaria, Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Italia ~ Bologna,
[4]
Università degli Studi di Torino, Facoltà di Medicina Veterinaria, Torino, Italia ~ Torino
[2]
SUMMARY: Besnoitiosis is an emerging protozoan disease of
cattle. In Italy, autochthonous born and bred cattle have been
previously diagnosed as infected. A clinical case of besnoitiosis
in Piemont (Northwestern Italy), in an imported Charolais beef
calf from Gap-Barcellonette (France), and the subsequent molecular and serological confirmatory tests are described. The
presence of specific antibodies was confirmed by indirect ELISA both in the symptomatic animal, and in 12 animals from the
same herd. PCR detected B. besnoiti DNA in skin and testis of
the infected cattle.
al termine dell’amplificazione, a 72°C per 5 min; sono inoltre
stati aggiunti controlli positivi ottenuti da un soggetto con infezione conosciuta e controlli negativi.
Sette μl di prodotto della PCR sono stati analizzati in elettroforesi a 110 V in tampone 1× Tris-Boric-EDTA su gel di agarosio
2% e successivamente osservati alla luce UV dopo colorazione
con 1x Gelstain (Società Italiana Chimici, Roma, Italy).
Dodici bovini asintomatici, dello stesso allevamento, sono stati
invece sottoposti a test tramite ELISA indiretto per la presenza
di anticorpi-anti B. besnoiti.
INTRODUZIONE: La besnoitiosi bovina è una patologia protozoaria, sostenuta da Besnoitia besnoiti (4). Il coccidio si localizza principalmente a livello di cute, membrane mucose, testicoli, congiuntiva e a livello delle cellule endoteliali dei grossi
vasi (3). In fase acuta, l’infezione si manifesta tramite generale
scadimento delle condizioni corporee, febbre, inappetenza,
iperemia della cute, orchite e diminuzione delle produzioni. In
fase cronica invece i sintomi più comunemente riscontrati sono:
scleroderma, ipercheratosi, alopecia, necrosi dell’epidermide,
ispessimento e lichenificazione diffusi della cute, atrofia e indurimento dei testicoli, orchite necrotizzante, papule su congiuntiva e mucose genitali (2). Originariamente descritta in Francia,
è oggi considerata una malattia europea emergente (EFSA,
2010) considerati i numerosi casi autoctoni in Portogallo, Spagna, Germania e Italia.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Il protocollo di PCR utilizzato ha
confermato la presenza di B. besnoiti nella cute e nel parenchima testicolare del soggetto sintomatico. I campioni di sangue
e la milza dello stesso animale hanno dato esito negativo. Tutti
gli animali provenienti dal medesimo allevamento sono risultati
positivi al test ELISA indiretto.
Questo caso sintomatico riscontato in un vitello di origine francese è probabilmente riconducibile a un’infezione contratta in
Francia ma riscontrata in un allevamento all’ingrasso piemontese, e fornisce un dato importante per monitorare l’espansione
della patologia in Italia e in Europa. Inoltre, conferma l’attendibilità diagnostica della PCR su cute e parenchima testicolare.
Vanno invece riconsiderati il sangue e la milza come campioni
attendibili per la diagnosi clinica. La PCR utilizzata va anche riconsiderata dal punto di vista strettamente epidemiologico perché amplifica una porzione di gene (ITS1) altamente conservata e sulla quale non è possibile effettuare analisi filogenetiche
tali da discriminare l’origine geografica dell’infezione stessa (1).
MATERIALI E METODI: Da un bovino maschio di 6 mesi, di
razza Charolais, proveniente da Gap (Francia), che presentava febbre elevata oltre 41°C, congiuntivite, scolo nasale sieroso, cute ispessita e orchite necrotizzante bilaterale sono stati
prelevati in sede di macellazione milza, sangue intero, cute e
parenchima testicolare. Su tutti i tessuti sono state eseguite
indagini biomolecolari tramite metodica PCR (1).
Il DNA è stato estratto dai tessuti tramite kit (MACHEREY-NAGEL, Düren, Germany).
Il templato è stato utilizzato per l’amplificazione con termociclatore (Gene Amp PCR System 2400, Perkin Elmer, Waltham,
MA 02451, USA) utilizzando specifici primers come indicato da
Cortes et al. (1). La PCR è stata eseguita in un volume finale
di 25 μl, dei quali 2 μl di templato di DNA estratto dai campioni,
1,5 μM di ciascun primer e 12,5 μl di HotStarTaq® Master Mix
(Qiagen, Hilden, Germany).
L’amplificazione è stata eseguita alle seguenti condizioni: 30
sec a 94°C, 30 sec a 65,5°C e 2 min a 72°C per 30 cicli. I campioni sono stati precedentemente incubati a 94°C per 3 min e,
BIBLIOGRAFIA: 1) Cortes HC, Reis Y, Waap H, Vidal R, Soares H, Marques I, Pereira da Fonseca I, Fazendeiro I, Ferreira
ML, Caeiro V, Shkap V, Hemphill A, Leitão A. 2006. Isolation of
Besnoitia besnoiti from infected cattle in Portugal.Vet Parasitol
141: 226-233.
2) Gentile A, Militerno G, Schares G, Nanni A, Testoni S, Bassi
P, Gollnick NS. 2012. Evidence for bovine besnoitiosis being
endemic in Italy-first in vitro isolation of Besnoitia besnoiti from
cattle born in Italy. Vet Parasitol 184: 108-115.
3) Majzoub M, Breuer W, Gollnick NS, Rostaher A, Schares G,
Hermanns W. 2010. Ein Ausbruch von Besnoitiose bei Rindern
in Deutschland: pathomorphologische, ultrastrukturelle und
molekularbiologische Untersuchungen. Wien Tierärztl Mschr
97: 9–15.
4) Pols JW. 1960. Studies on bovine besnoitiosis with special
reference to the aetiology. J Vet Res 28: 265-356.
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DINAMICA DI COMPORTAMENTO DI E. COLI O157 NELLA SPIANATA DI CERVO
E SALSICCIA DI CERVO STAGIONATA
Bogdanova T.*[1], Bichi G.[2], Casati D.[1], Bilei S.[1], Deni D.[1], De Santis P.[1], Gori R.[1], Falorni B.[1]
Keywords: E. coli VTEC, venison sausages, challenge test
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana ~ Roma,
[2]
Servizio Veterinario ASL 8 Arezzo ~ Arezzo
[1]
SUMMARY: The aim of this paper is to describe a microbiological
challenge test conducted at a Tuscan facility in order to evaluate
the dynamic behavior of E. coli O157 in two cured venison sausages. The laboratory analyzes were performed throughout the
whole manufacturing process. The laboratory results are described and considerations are made about insurance of food safety
of the cured venison sausages.
INTRODUZIONE: Nell’estate del 2011, contemporaneamente
all’importante episodio tossinfettivo che ha coinvolto vari paesi europei, da consumo di germi di soia contaminati con E. coli O:104
H4, è stata attivata una seconda allerta comunitaria a seguito di
una positività per E. coli O:27 vtx 1 e 2 positivi ed eae negativo (1),
a partire da un salame di cervo prodotto presso uno stabilimento
toscano, prelevato nel corso dell’attività di vigilanza in un mercato
locale austriaco.
A seguito di questo secondo episodio, l’Istituto ha ricevuto numerosi campioni ufficiali di carne di cervo congelata di provenienza
polacca, commercializzata da un fornitore olandese e destinata
alla trasformazione in prodotti di salumeria. Nello stesso tempo
il Servizio Veterinario della ASL 8 di Arezzo ha eseguito campionamenti presso lo stabilimento interessato di 3 differenti salumi:
Salsiccia, Salame e Spianata di cervo tutti sottoposti ai test biomolecolari per E. coli VTEC. A seguito degli esiti positivi per E.
coli appartenenti ai sierogruppi O:104 e O:26 nel salame di cervo
e per la presenza sia nel salame che nella spianata dei fattori di
patogenicità vtx2 ed eae, è stata considerata l’opportunità di valutare, mediante challenge test, l’eventuale persistenza di E. coli
VTEC nei prodotti di salumeria derivati.
Obiettivo principale ottenere, attraverso un challenge test (3), dati
relativi al comportamento di Escherichia coli O157, lungo il processo produttivo di 2 dei prodotti di salumeria della Ditta toscana,
coinvolta nel episodio tossinfettivo.
Il challenge test di valutazione del potenziale di crescita (δ) è uno
studio sulla valutazione dello sviluppo di un microrganismo in alimenti artificialmente contaminati e mantenuti nelle condizioni prevedibili, realisticamente ottenibili nella ordinaria produzione.
Il potenziale di crescita (δ) è la differenza tra il log10 delle ufc/g alla
fine del test e il log10 delle ufc/g all’inizio del test.
MATERIALI E METODI: Sono stati selezionati 2 prodotti: Salsiccia e Spianata, sulla base delle specifiche dei processi produttivi
e dei valori aw e pH rilevati in campioni di prodotto finito, prelevati
durante la produzione ordinaria.
Tutte le fasi di lavorazione sono state eseguite secondo il processo produttivo originale, presso il salumificio. L’impasto è stato diviso in due parti uguali di 100 kg ciascuna. Una metà dell’impasto
destinata alla produzione dei lotti contaminati, lotto 1C Salsiccia e
lotto 2C Spianata, è stata addizionata direttamente nell’impastatrice con 1 L di sospensione di E. coli O157. All’altra metà destinata
alla produzione dei lotti non contaminati, lotto 1 Salsiccia e lotto 2
Spianata, è stata aggiunta lo stesso volume di soluzione fisiologica (SF) impiegata per la contaminazione dei precedenti lotti.
L’impasto dei lotti 1C e 2C è stato inoculato con una miscela di 3
differenti ceppi di E. coli O157, di cui uno proveniente dalla nostra
ceppoteca ed altri due, isolati da analoghi prodotti di salumeria.
Tutti i tre ceppi sono stati testati per la presenza di fattori di patogenicità, con metodi molecolari, con i seguenti risultati:
1. Ceppo n. 1 di campo – vtx1 assente; vtx2 assente; eae assente
2. Ceppo n. 2 di campo – vtx1 assente; vtx2 assente; eae presente
3. Ceppo n. 3 (ceppoteca IZSLT MR DIG 125) – vtx1 assente; vtx2
assente; eae presente
Per ciascuno dei ceppi è stato determinato, attraverso una ripetuta titolazione della sospensione batterica in Brain Heart Infusion
broth (BHI) nel corso dell’incubazione a 37°C, il tempo di raggiungimento della fase stazionaria durante la quale i batteri coltivati si
trovano nello stesso stato fisiologico. Successivamente, i ceppi
sono stati trapiantati in BHI ed incubati a 25°C, al fine di adattali
alla temperatura più vicina a quella dell’ambiente di produzione.
La mattina del giorno della sperimentazione, dalla miscela delle 3
brodocolture, titolata a 6,8x108 ufc/g, è stato preparato l’inoculo
utilizzando 10 ml del brodo e 990 ml di SF. L’inoculo, al titolo di
6,8x106 ufc/g, è stato aggiunto ai 100 kg di impasto, destinato alla
produzione di 15 kg di Salsiccia e di 85 kg di Spianata.
Al termine della sperimentazione le attrezzature e gli utensili sono
stati lavati e quindi disinfettati con Virkon alla concentrazione consigliata dalla ditta produttrice, ripetendo la procedura altre 2 volte
a distanza di 12 ore. Dopo ogni seduta di disinfezione sono stati
effettuati prelievi con spugnette delle superfici delle attrezzature
utilizzate, per la ricerca di E. coli O157.
La medesima frequenza e tipologia di campionamento è stata
adottata per tutti i lotti con prelievi eseguiti lungo tutto il processo
produttivo fino al giorno della possibile vendita, da personale del
Servizio Veterinario e dell’Istituto. Tutti i campioni erano costituiti di
3 unità campionarie (u.c.).
Durante lo studio sono stati prelevati: 42 u.c. di Salsiccia, 48 u.c.
di Spianata e 27 campioni ambientali.
Tutti i campioni sono stati sottoposti a prove microbiologiche accreditate ad eccezione della Numerazione di E. coli O157:
- Carica microbica totale a 30°- ISO 4833 –2003;
- E. coli ß-glucuronidasi positivi– ISO 16649-2: 2001;
- Enterobacteriaceae- ISO 21528-2: 2004
- Lattococchi- metodo interno
- Lattobacilli- metodo interno
mentre solo in quelli contaminati: E. coli O157- ISO 16654: 2001
e Numerazione di E. coli O157 su Sorbitol MacConkey agar
(SMAC).
La determinazione dei fattori di patogenicità vtx1, vtx2 e eae, nei
ceppi E. coli O157 selezionati per l’inoculo è stata eseguita con il
metodo PCR (Metodo interno accreditato).
Sono stati inoltre misurati:
- pH - ISO 2917: 1999, metodo potenziometrico, strumento da
banco Hanna Instruments HI 122
- - Attività dell’acqua libera aw – ISO 21807: 2004, metodo capacitivo, strumento da banco HygroLab 3
155
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Per lo studio sono state utilizzate le mediane utilizzata dei valori
ottenuti per lo stesso parametro sulle 3 u.c..
RISULTATI E CONCLUSIONI: Gli esami condotti sulle superfici
delle attrezzature sono risultati costantemente negativi ad eccezione di un campione prelevato nell’insaccatrice dopo la seconda
disinfezione, positivo allo screening immuno-enzimatico ma negativo alla conferma colturale.
Tutti i dati ottenuti sui due lotti di ciascun prodotto, uno non contaminato e l’altro contaminato, sia per quanto riguarda le conte
batteriche che i valori aw e pH sono risultati tra loro comparabili.
I risultati analitici ottenuti dalla Salsiccia lotto 1C sono riportati nella Tabella 1, Allegato 1, quelli dalla Spianata lotto 2C nella Tabella
2, Allegato 2, mentre negli Allegati 3 e 4 sono riportati graficamente gli andamenti batterici rilevati nel corso dello studio.
Il potenziale di crescita δ, di E. coli O157 nella Salsiccia dopo
10 giorni dalla produzione è risultato -3,06 log10, nella Spianata
dopo 32 giorni -1,17 log10, con un aw finale di 0,812 e 0,944 ri-
spettivamente.
Conoscendo il valore δ è possibile calcolare la massima concentrazione iniziale accettabile di E. coli O157 perché non risulti
rilevabile al termine del processo produttivo.
I risultati ottenuti consentono di affermare che il processo produttivo della Salsiccia è in grado di assicurare la qualità batteriologica
del prodotto finito, mentre lo stesso non può essere affermato per
la Spianata. Avendo però il produttore, dichiarato di vendere la
Salsiccia anche a partire dal 5° giorno, l’affermazione precedente
non è più valida con un δ = -1,28.
Considerato la possibilità di impiego di carni naturalmente contaminate nella preparazione della Salsiccia, è fortemente consigliato
il rispetto del tempo massimo di asciugatura previsto prima della
vendita, ovvero 10 giorni.
Per quanto riguarda la Spianata, i risultati analitici non soddisfacenti, impongono una significativa modificazione del processo di
lavorazione ai fini di aumentare il livello di sicurezza del prodotto
finito agendo per esempio sui fattori che influiscono sull’aw.
Fig.1 Salsiccia contaminata
Fig.2 Spianata contaminata
BIBLIOGRAFIA:
1. Caprioli A., Conedera G., Lucangeli C. (2005). Escherichia
coli O157 e altri E. coli Enteroemorraggici.: Trattato sulle infezioni e tossinfezioni alimentari, Rondinelli E.G, Fabbi M, Marone P. (Eds). Pavia: Selecta Medica.
2. Annie Beaufort, Marie Cornu, Hélène Bergis, Anne-Laure
Lardeux, Bertrand Lobbard, (2008) Documento tecnico di
orientamento per gli studi sulla vita commerciale degli alimenti
pronti al consumo inerenti alla Listeria monocytogenes
3. Notermans S, Veld P, Wijtzes T, Mead GC. 1993. A user’s
guide to microbiological challenge testing for ensuring the safety and stability of food products. Food Microbiol 10(2):145-57.
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
INFEZIONE SPERIMENTALE CON MYCOBACTERIUM CAPRAE NEL BOVINO:
STUDIO DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA CON SAGGI DIAGNOSTICI TRADIZIONALI
Boniotti M.[1], Busi C.*[1], Sabelli C.[1], Zanoni M.[1], Alborali G.[1], Archetti I.[1], Lombardi G.[1], Martinelli N.[1],
Tagliabue S.[1], Gelmetti D.[1], Gibelli L.R.[1], Amadori M.[1], Pacciarini M.[1]
Keywords: bovine tuberculosis, M. caprae,
IZSLER ~ Brescia
[1]
SUMMARY: M. caprae was originally classified as M. tuberculosis sub. caprae but it was later recognized as a new species (1). From a genetic point of view strains of M. caprae are
distinguishable from other members of the Mycobacterium tuberculosis complex (MtbC) thanks to a combination of genetic
polymorphisms and characteristic deletions (2). However, bovine tuberculosis caused by M. bovis and M. caprae appears
very similar for all aspects relating to the course of infection and
the type of lesions. To date there are no studies that have been
proposed to identify possible differences in the reactivity of the
animals to traditional tests associated to different immune response against M. bovis and M. caprae.
INTRODUZIONE: Il gruppo Mycobacterium tuberculosis complex (MtbC) è attualmente costituito dalle seguenti specie: M.
tuberculosis, M. africanum tipo I e tipo II, M. microti e M. bovis
a cui si sono aggiunte M. canetti, M. pinnipedi e M. caprae. Il M.
caprae, inizialmente classificato come M. tuberculosis sub. caprae, e strettamente associato all’infezione nelle capre in Spagna, è stato in seguito riconosciuto come specie nuova (1). Dal
punto di vista genetico, i ceppi di M. caprae sono distinguibili
dagli altri membri del MtbC grazie ad una combinazione di polimorfismi genici e delezioni di specifiche regioni genomiche (2).
In particolare, l’assenza della regione RD4 differenzia M. bovis
da M. caprae. Inoltre, i ceppi di M. caprae sono caratterizzati
da spoligotipi caratteristici e dal punto di vista biochimico si distinguono per la loro sensibilità alla pirazinamide. Attualmente,
numerosi isolati sono stati descritti in molti paesi Europei. In
Italia M. caprae causa il 10% dei focolai da tubercolosi bovina.
Nonostante le diversità genetiche, biochimiche ed epidemiologiche, la tubercolosi bovina (TB) causata da M. bovis e M.
caprae appare molto simile per tutti gli aspetti che riguardano
l’andamento dell’infezione e la tipologia delle lesioni. Tuttavia
non esiste ad oggi uno studio sistematico comparativo eseguito
al fine di evidenziare possibili differenze nelle infezioni causate
da M. bovis e da M. caprae. I test tradizionalmente utilizzati in
vivo per rilevare animali infetti da TB o per seguire l’andamento
dell’infezione sono la prova intradermica singola e/o comparativa (IDT) ed il test del g-interferon (g-INF), entrambi basati sul
meccanismo di risposta immunitaria cellulo-mediata.
Lo scopo di questo lavoro è quello di acquisire informazioni
sull’andamento della risposta cellulo-mediata ed umorale nel
corso delle infezioni con M. caprae per poter individuare le possibili differenze nella reattività degli animali nei confronti di M.
bovis e M. caprae nei test tradizionali.
MATERIALI E METODI: Animali ed infezione con M. caprae:
sono stati selezionati 20 bovini maschi della razza Frisona di
età compresa tra 10-24 mesi. Gli animali selezionati per lo studio, e provenienti da un’azienda UI da tubercolosi, sono risultati
negativi al test g-INF una settimana prima dell’infezione. Dieci
animali sono stati infettati per via endotracheale con M. caprae
mentre 10 animali sono stati utilizzati come controlli negativi.
L’infezione è stata effettuata con un ceppo di M. caprae alla
concentrazione di 5x103 ufc in 2 ml totali, ed è durata in totale
45 settimane. In particolare: 6 animali infetti e 6 animali controllo sono stati sottoposti ad eutanasia entro la 29° settimana di
infezione (gruppo 1); i 4 animali infetti rimanenti sono stati reinfettati alla 30° settimana con lo stesso ceppo di M. caprae alla
concentrazione di 5x105 ufc e 4 controlli sono stati mantenuti
in parallelo (gruppo 2). Lo studio degli aspetti clinici e patologici
della TB è stato effettuato per tutto il corso dell’infezione sperimentale. L’andamento dell’infezione è stato effettuato tramite
test intradermico, g-interferon ed esame sierologico.
Il Test intradermico di tipo comparativo è stato eseguito ad intervalli di 42 giorni (settimana n°5-14-25-41 post infezione).
Per il Test g-interferon sono stati raccolti campioni di sangue
da tutti gli animali una volta alla settimana o ogni due settimane. Questi campioni sono stati analizzati sia con il kit Bovigam,
che utilizza tubercoline australiane, ma anche stimolando con
tubercoline italiane e con gli antigeni ricombinanti (AR) ESAT6
e CFP10.
Il Test sierologico è stato eseguito con un saggio ELISA indiretta home-made che utilizza gli antigeni ricombinanti MPB70,
MPB83, ESAT6 e CFP10 e le tubercoline PPD-B e PPD-A.
Esame necroscopico e isolamento colturale: Tre animali (519,
522 e 543) sono stati sottoposti ad eutanasia dopo 17 settimane dall’infezione e altri 3 (510, 534 e 535) dopo 28 settimane.
Gli organi sono stati esaminati per la ricerca e localizzazione
delle lesioni macroscopiche e sezionati per l’esame istologico
e la colorazione di ZN per valutare la presenza e la quantità
di bacilli. I campioni sono stati inoltre testati in parallelo con la
PCR IS6110 per l’identificazione di MtbC, ed è stato eseguito
l’isolamento colturale come analisi di conferma per la presenza
di M. caprae.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Nelle tabelle 1 e 2 sono riassunti i risultati dei test diagnostici tradizionali in vivo e postmortem.
La dose infettante utilizzata nel primo gruppo (5x103 ufc), non
è risultata sufficiente per causare un’evoluzione a livello organico dell’infezione. Infatti, dopo 17/28 settimane dall’infezione
nessuno dei 6 animali del 1° gruppo presentava lesioni macroscopiche e solo in un caso si è ottenuto l’isolamento. Tuttavia
4 animali hanno sviluppato una risposta immunitaria sia di tipo
cellulo-mediata che di tipo umorale come rilevato dai test in
vivo. Tre animali del gruppo 1 sono risultati positivi alla 1° e 2°
IDT ma negativi alla 3°, mettendo in evidenza una desensibilizzazione alle tubercoline in seguito a inoculazioni ripetute come
già riportato da altri autori (3). Questo fenomeno è ancor più
evidente negli animali del 2°gruppo che pur avendo ricevuto
una seconda dose di infezione e avendo sviluppato lesioni macroscopiche, risultano comunque negativi all’IDT.
Per quanto riguarda il test g-INF, 4 animali del gruppo 1 hanno
mostrato una risposta positiva nel test Bovigam dalla 3° settimana post-infezione fino al termine del trattamento. Gli animali
del secondo gruppo hanno mostrato una positività al test g-INF
dopo la quinta settimana dopo la reinfezione. Le tubercoline
157
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
italiane si sono dimostrate più sensibili di quelle australiane.
In alcuni animali si è osservata un’elevata reattività verso le
tubercoline aviari che, in certi casi, potrebbero aver coperto la
reattività verso le tubercoline bovine. L’ipotesi più probabile è
che gli animali siano stati esposti a micobatteri ambientali e che
questa sensibilizzazione abbia portato a sviluppare cross-reattività verso antigeni presenti nella tubercolina aviare. Tuttavia
non possiamo escludere che questo comportamento sia invece
una peculiarità del M. caprae.
Gli antigeni ricombinanti, più specifici, sono risultati utili per
chiarire queste situazioni mostrando una reattività più specifica
contro il M. caprae.
I risultati ottenuti con la sierologia ricalcano quelli osservati
con il test g-INF. Infatti, gli animali positivi al g-INF sono reattivi anche al test ELISA ma solo dopo l’effetto booster dell’IDT;
gli animali del gruppo 2 sono tutti positivi, ma anche in questo
caso, solo dopo 2 settimane dal test intradermico.
Dopo la soppressione degli animali sono state eseguite le analisi post-mortem. L’esame necroscopico ha permesso di individuare lesioni solamente in due animali appartenenti al gruppo
2, mentre l’esame istologico dei linfonodi è risultato positivo in
2 animali del gruppo 1, che risultavano positivi anche a g-INF
e IDT, e in tutti gli animali del gruppo 2; la PCR sui linfonodi
concorda essenzialmente con i risultati dell’esame istologico.
Inoltre, l’isolamento colturale di M. caprae è stato ottenuto in un
solo animale del gruppo 1 e in tutti e 4 gli animali del gruppo 2.
Riassumendo, l’infezione causata da M. caprae ha provocato
l’insorgere di una risposta immunitaria specifica in 8 animali su
10. Non sempre i test diagnostici classici hanno dato esiti positivi o facilmente interpretabili. Ulteriori approfondimenti sono
necessari per determinare se i risultati ottenuti sono caratteristici nel caso di infezioni da M. caprae.
Tabella 1. Risultati test diagnostici tradizionali Gruppo 1
Tabella 2. Risultati test diagnostici tradizionali Gruppo 2
BIBLIOGRAFIA:
1. Aranaz A., Cousins D., Dominguez L., (2003) Elevation of
Mycobacterium tuberculosis subsp. Caprae Aranaz et al. 1999
to species rank as Mycobacterium caprae comb. Nov., sp. nov.
Int. J. Syst. Evol. Microbiol. 53:1785-1789.
2. Brosch R., Gordon S. V., Marmiesse M., Brodin P., Buchrieser C., Eiglmeier K., Garnier T., Gutierrez C., Hewinson G.,
Kremer K., Parsons L. M., Pym A. S., Samper S., van Soolin-
gen D., and Cole S. T. (2002). A new evolutionary scenario for
the Mycobacterium tuberculosis complex. Proc. Natl. Acad. Sci.
USA. 99:3684-3689.
3. Palmer MV, Waters WR, hacker TC, Greenwald R, Esfandiari J, Lyashchenko KP, (2006). Effects of different tuberculin
skin-testing regimens on gamma interferon and antibody responses in cattle experimentally infected with Mycobacterium
bovis. Clin. Vaccine Immunol. 13:387-94.
158
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
EPIDEMIOLOGIA DELL’INFEZIONE DA CAMPYLOBACTER JEJUNI IN ALLEVAMENTI
BOVINI DELLA LOMBARDIA
Borella L.[1], Bianchini V.[1], Benedetti V.[1], Santoro E.[1], Invernizzi E.[2], Miccolupo A.[3], Parisi A.[3], Luini M.*[1]
Keywords: Campylobacter jejuni, MLST, Dairy cattle
[1]
IZSLER - Sezione di Lodi ~ Lodi,
A.S.L. della Provincia di Lodi ~ Lodi,
[3]
IZS Puglia e Basilicata - Sezione di Putignano ~ Putignano (Bari)
[2]
SUMMARY: Campylobacter is widely known as one of the most
frequent causes of acute bacterial gastroenteritis in humans
worldwide. We investigated the prevalence of Campylobacter
jejuni in cattle and their environment from 4 dairies of an area of
the Po Valley and the genetic diversity of strains collected using
Multi-Locus Sequence Typing (MLST). In total 56 strains of C.
jejuni were isolated, with differences in the prevalence between the 4 farms and the sources. Among the cattle isolates we
found 5 different clonal complexes (CC) with a predominance
of CC-21, sequence type ST-19. MLST data revealed genetically distinct lineages between cattle and pigeons, of which
CC-179 was the most common isolated. This suggested that
pigeons probably don’t play a role in transmitting C. jejuni to
cattle. Moreover CC-21, 48, 61, 206, isolated from cows and
bulk milk, were also reported among human cases, indicating
that cattle and their products may have a significant role as
sources or transmission routes for human campylobacter infections. In a pigeon we found the human-associated CC-45,
suggesting that this host may be an environmental reservoir for
human disease.
INTRODUZIONE: Secondo i dati EFSA, Campylobacter spp.
sono la più comune causa di infezioni a veicolo alimentare
nell’UE, con oltre 200000 casi nel 2010, dei quali il 93.4% causato da Campylobacter jejuni (1). C. jejuni è diffuso in natura:
colonizza frequentemente il tratto gastrointestinale di molti animali domestici e selvatici, generalmente senza evidenti segni
di malattia, ed è isolabile da diverse matrici ambientali, inclusi
terreno ed acque (2). L’EFSA evidenzia che anche il latte bovino e i prodotti lattiero-caseari non pastorizzati possono essere
contaminati da C. jejuni, rappresentando una fonte di contagio
per l’uomo (1). In linea con questi dati, una nostra precedente indagine ha evidenziato la presenza di C. jejuni nel latte di
massa del 12% degli allevamenti del lodigiano. Obiettivo del lavoro è stato studiare la diffusione di C. jejuni in alcune aziende
di bovine da latte della Lombardia ed eseguire l’analisi MLST
degli isolati, allo scopo di approfondire le conoscenze sull’epidemiologia delle infezioni da C. jejuni e comprendere la natura
della contaminazione del latte di massa.
MATERIALI E METODI: CAMPIONI - Sono state selezionate 4
aziende localizzate in Pianura Padana, denominate A, B, C, D.
Sono stati analizzati 251 campioni: 108 feci bovine, 80 intestini
di colombo, 32 latti di massa, 19 acque di abbeverata e 4 feci di
cani. Nell’azienda D erano allevati anche suini, dei quali sono
stati prelevati 8 pool di feci. ESAMI COLTURALI - Per l’isolamento i campioni sono stati inoculati in terreno Bolton in proporzione 1:10. Dopo 48 ore di incubazione a 42°C, 0.1 ml di brodo
sono stati trapiantati sui terreni Skirrow e mCCD agar attraverso una membrana di 0.45 µm. Dopo ulteriori 48 ore di incubazione a 42°C in microaerofilia (GENbag microaer. BioMérieux),
le colonie riferibili a Campylobacter spp. sono state sottoposte
a colorazione di Gram ed identificate con PCR specifica. PCR
- Il DNA, estratto da colonie risospese in 1 ml di PBS e da 1 ml
di terreno Bolton con il kit DNeasy Blood & Tissue (Qiagen), è
stato sottoposto ad una multiplex-PCR specifica per C. jejuni e
C. coli (3). MLST - I ceppi di C. jejuni sono stati genotipizzati
tramite MLST (4). L’assegnazione dei sequence types (ST) ed
il raggruppamento in clonal complexes (CC) sono stati eseguiti
con il database MLST (http://pubmlst.org).
RISULTATI E CONCLUSIONI: ESAMI COLTURALI - Nelle 4
aziende C. jejuni è stato riscontrato ripetutamente nel latte di
massa con 3, 4, 3 e 1 ceppi isolati rispettivamente negli allevamenti A, B, C, D. La prevalenza nelle feci bovine è stata
del 26.2%. Dei 27 ceppi isolati, 10 provengono dall’azienda A
(28.6%), 1 dalla B (5.9%), 2 dalla C (8%) e 14 dalla D (46.7%).
Relativamente agli intestini di colombo (20 per stalla), è emersa
una prevalenza totale del 17.5% (15% nelle stalle A e B, 5%
nella C e 35% nella D). Solo nella prima azienda si è evidenziata una positività nell’acqua, con 4 ceppi isolati. Dei rimanenti
campioni (4 feci di cane prelevate nell’azienda A e 8 pool di feci
suine raccolte presso la stalla D) nessuno ha dato esito colturale positivo. (Tab.1) PCR - 219 campioni sono stati analizzati
sia batteriologicamente che con PCR da Bolton, rilevando una
maggior prevalenza di positivi all’esame molecolare. La prevalenza di campioni positivi per C. jejuni alla PCR rispetto all’esame batteriologico è stata 54.2% (13/24) verso 45.8% (11/24)
nel latte di massa; 46.1% (31/89) verso 30.3% (27/89) nelle feci
bovine; 20% (16/80) verso 17.5% (14/80) negli intestini di colombo. Nell’azienda D la PCR ha anche evidenziato 2 feci bovine positive contemporaneamente per C. jejuni e C. coli. Solo
in 2 aziende (A e D) si è registrato un dato positivo alla PCR
nei campioni di acqua, con una prevalenza totale del 33.3%
(5/15) rispetto al 26.7% (4/15) di positivi all’esame colturale. I
campioni di feci di cane hanno dato esito negativo anche alla
PCR, mentre delle feci suine, tutte negative in coltura, il 75%
(6/8) è risultato positivo in PCR per C. coli, in associazione a C.
jejuni in un caso. MLST - Dei 56 ceppi di C. jejuni, 45 sono stati
sottoposti a MLST, evidenziando 8 CC. I 9 ceppi isolati dal latte
di massa appartengono a 3 CC, di cui 2 (21 e 48) riscontrati in 2
aziende e 1 (403) isolato in una sola stalla. La genotipizzazione
degli isolati da feci bovine (21 ceppi) ha rilevato la presenza
di 5 CC (21, 48, 61, 206, 42). Tutti sono stati dimostrati in un
solo allevamento tranne CC-21, riscontrato in 2 aziende. Dei 13
ceppi isolati dai colombi, tutti appartengono al CC-179 eccetto
1, isolato nell’azienda A e classificato come CC-45. Infine, i 2
ceppi isolati dall’acqua rientrano nel CC-21 e CC-179. (Tab.1)
DISCUSSIONE - L’analisi MLST ha evidenziato ST appartenenti a 5 diversi CC circolanti tra le bovine, di cui CC-21, 42 e
61 segnalati in letteratura come i genotipi maggiormente associati alla specie bovina (5). Il genotipo predominante è risultato CC-21 ST-19, isolato in 16 campioni su 21 (76.2%). La
genotipizzazione degli isolati dal latte di massa ha evidenziato
ST appartenenti a 3 CC: 21, 48 e 403. Mentre nell’azienda A
i genotipi isolati dal latte sono risultati presenti contemporane-
159
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
amente nelle feci bovine, nelle altre stalle sono risultati di tipo
diverso. Questo conferma come la presenza di C. jejuni nel
latte di massa possa essere frutto di occasionale contaminazione fecale della mammella durante la mungitura. È anche
documentato che una contaminazione persistente del latte può
avvenire per effetto di infezione mammaria (6). Nei colombi si
è registrata una netta predominanza di genotipi appartenenti
a CC-179, riscontrato nel 92.3% dei casi (12/13), distribuiti fra
ST-220 (4), ST-2209 (6) e ST-447 (2). Questi dati confermano
quanto riportato da Ogden et al. (7), secondo cui CC-179 è
caratteristico di colombi e gabbiani, avvalorando l’ipotesi che
i colombi non siano un veicolo di diffusione di C. jejuni per la
popolazione bovina. Un solo colombo è risultato portatore di un
diverso genotipo: CC-45 ST-45, comunemente isolato anche in
caso di gastroenterite umana (8), suggerendo che questa specie possa essere un potenziale serbatoio ambientale. Analogamente CC-21, 48, 61 e 206, isolati dalle feci bovine e dal latte
di massa, rientrano tra i più frequentemente associati a patologia umana (8), pertanto carni bovine e latte crudo contaminati possono rappresentare un fattore di rischio per l’infezione
nell’uomo. Saranno necessarie ulteriori indagini su un maggior
numero di campioni bovini e di altre specie animali promiscue
presenti in azienda, con particolare riferimento ai volatili.
FINANZIAMENTO - Ricerche eseguite nell’ambito del progetto “PRO.ZOO”, finanziato dalla DG Agricoltura della Regione
Lombardia.
TAB. 1. Risultati colturali e MLST di C. jejuni per fonte di isolamento e azienda di provenienza: numero di campioni positivi sul
totale degli esaminati, percentuale di positività e genotipi MLST.
BIBLIOGRAFIA:
1 EFSA Journal 2012; 10(3):2597
2 Moore J, Corcoran D, Dooley J, Fanning S, Lucey B, Matsuda M, McDowell D, Mégraud F, Millar B, O’Mahony R, O’Riordan L, O’Rourke M, Rao J, Rooney P, Sails A, Whyte P. 2005.
Campylobacter. Vet Res 36:351-82
3 Person S, Olsen K. 2005. Multiplex PCR for identification of
Campylobacter coli and Campylobacter jejuni from pure cultures and directly on stool samples. J Med Microbiol 54:1043-47
4 Dingle K, Colles F, Wareing D, Ure R, Fox A, Bolton F, Bootsma H, Willems R, Urwin R, Maiden M. 2001. Multilocus sequence typing system for Campylobacter jejuni. J Clin Microbiol
39:14–23
5 Kwan P, Birtles A, Bolton F, French N, Robinson S, Newbold
L, Upton M, Fox A. 2008. Longitudinal Study of the Molecular
Epidemiology of Campylobacter jejuni in Cattle on Dairy Farms.
Appl Environ Microbiol 74:3626–33
6 Luini M, Benedetti V, Piccinini R, Vezzoli F. 2009. Casi di infezione mammaria da Campylobacter jejuni nel bovino. Large
Animal Rev 15:51-4
7 Ogden I, Dallas J, MacRae M, Rotariu O, Reay K, Leitch M,
Thomson A, Sheppard S, Maiden M, Forbes K, Strachan N.
2009. Campylobacter excreted into the environment by animal
sources: prevalence, concentration shed, and host association.
Foodborne Pathog Dis 6:1161-70
8 Colles F, Jones K, Harding R, Maiden M. 2003. Genetic Diversity of Campylobacter jejuni Isolates from Farm Animals and
the Farm Environment. Appl Environ Microbiol 69:7409-13
160
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ATTIVITA’ DI CONTROLLO NEL SUD E NELLE ISOLE NEI MANGIMI AD USO
ZOOTECNICO PER LA RICERCA DI PROTEINE ANIMALI TRASFORMATE
(ANNI 2006-2012)
Bove D.*[1], Schiavo M.[2], Chiappini B.[3], Mancuso M.R.[4], Vodret B.[4], Di Taranto A.[5], Serio F.[2], Morelli L.[3],
De Vita R.[1], Palermo P.[1], Capuano F.[1], Guarino A.[1]
Keywords: proteine animali trasformate, mangimi, vigilanza
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ PORTICI (NA),
[2]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia ~ PALERMO,
[3]
Istituto Superiore di Sanità ~ Roma,
[4]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna ~ Sassari,
[5]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e Basilicata ~ FOGGIA
[1]
SUMMARY: A total of nr° 6.123 feedstuff samples collected,
between 2006-2012, in Sicilia, Sardegna, Campania, Calabria,
Puglia and Basilicata, were tested for the presence of constituents of animal origin. All laboratories utilised for the screening the official microscopic method. All samples analyzed
were found negative. The results show the efficiency of regional control programmes, preventing any illegal circulation and
contamination of meat meals in animal feeds. Analysis were
carried out using validated methods and in according with EN
ISO IEC 17025:2005.
INTRODUZIONE: Sebbene il ridimensionamento dell’epidemia di Encefalopatia Spongiforme Bovina (BSE) rappresenti
un indiscutibile successo, rimane alta l’attenzione delle autorità competenti per lo studio delle misure necessarie a tenere
sotto controllo gli alimenti per animali. Infatti, la diffusione di
tale patologia, è legata al consumo di farine di carne contaminate da prioni. Il “divieto di somministrazione di prodotti di
origine animale”, secondo quanto disposto dal Regolamento
(CE) 999/2001 (4) è ancora cogente con le deroghe specifiche previste dai successivi regolamenti. Tale strumento permette di garantire che la BSE non venga reintrodotta nelle
specie sensibili. Le raccomandazioni indicano la necessità di
organizzare programmi di controllo che permettano un’analisi
del rischio, di mantenere un’attiva collaborazione tra le varie
autorità competenti e di implementare il flusso informativo. In
campo nazionale, il Piano Nazionale Alimentazione Animale
PNAA (3) ha dedicato già da anni, un capitolo della programmazione ai controlli volti alla verifica del rispetto dei divieti
d’utilizzo delle proteine animali trasformate: l’assenza delle
irregolarità riscontrate in tale ambito ha portato alla riduzione
dei campioni destinati alla vigilanza e al potenziamento della
sorveglianza epidemiologica necessaria ad una analisi del rischio. In questo lavoro si riportano i risultati relativi ai controlli
effettuati negli anni 2006-2012, nelle regioni Sicilia, Sardegna, Campania, Calabria, Puglia e Basilicata dagli Istituti Zooprofilattici Sperimentali competenti per territorio, allo scopo
di fornire una visione sullo stato dell’arte nelle aree in esame.
MATERIALI E METODI: Per il controllo ufficiale degli alimenti
per animali viene utilizzato il metodo microscopico secondo
quanto previsto dal Reg.(CE) n° 152/2009 della Commissione
del 27 gennaio 2009 allegato VI (5), che dal 26/08/2009 ha
sostituito il D.M. 30 Settembre 1999 (1) e dalle Linee guida
(2). Il metodo microscopico utilizzato per l’identificazione dei
costituenti di origine animale presenti nel mangime e per il
riconoscimento della classe di appartenenza è un metodo
qualitativo. Il risultato viene espresso in termini di presenza/
assenza. Le analisi, sono state effettuate dagli Istituti Zooprofilattici Sperimentali della Sicilia, Sardegna, Mezzogiorno
e Puglia-Basilicata. I laboratori hanno effettuato l’attività analitica in conformità ai requisiti gestionali e tecnici della norma
UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005 (6). In particolare, sono stati
presi in considerazione, quali elementi determinanti per l’assicurazione di qualità dei dati, i requisiti relativi ai seguenti punti
della norma: • competenza del personale (5.2); • idoneità delle
postazioni di lavoro e delle condizioni ambientali (5.3); • idoneità dei metodi di prova e loro validazione (5.4) • gestione
delle apparecchiature (5.5); • idoneità delle procedure per la
manipolazione dei campioni sottoposti alle prove (5.8); • criteri
utilizzati per assicurare la qualità dei risultati di prova (5.9); •
modalità di presentazione dei risultati prova (5.10).
RISULTATI E CONCLUSIONI: I dati esaminati sono relativi al numero totale di mangimi analizzati dal 01/01/06 al
30/06/2012, campionati in ottemperanza al piano nazionale o
prelevati in attività extra-piano. In Figura 1 è rappresentata la
distribuzione dei campionamenti effettuati con la suddivisione dei rispettivi II.ZZ.SS. di provenienza. Sono stati esaminati nel periodo 2006-2012 nelle regioni del Sud Italia e nelle
Isole, un totale di 6.123 mangimi, di cui il 63% destinati ai
ruminanti ed il 37% destinato ai non ruminanti (Grafico 1). I
campioni analizzati con il metodo ufficiale sono risultati tutti
negativi per l’assenza di proteine animali trasformate. I dati
relativi alle due classi (ruminanti e non ruminanti) sono stati
ripartiti nelle relative sottoclassi: ogni sottoclasse è correlata alla tipologia di mangime campionato (Tabella 1 e Tabella
2). Nelle tabelle sono inoltre indicate le percentuali rispetto al
totale delle diverse tipologie di mangimi. Nel Grafico 2 è riportata la distribuzione percentuale dei controlli effettuati divisi
per tipologia di luogo di prelievo (allevamento, mangimificio,
rivendita mangimi, altro (PIF, mezzi di trasporto,ecc.)). I risultati esaminati confermano l’effettiva applicazione del divieto
nell’utilizzo delle farine animali nelle regioni indicate. Restano comunque ancora poco attenzionati, i mangimi aziendali
e i prelievi in mangiatoia: senza abbassare la vigilanza sui
prodotti industriali, sarebbe auspicabile verificare che non ci
sia una miscelazione scorretta in mangiatoia per prevenire il
rischio della contaminazione crociata. L’efficienza dell’attività
di controllo svolta nelle varie Regioni del Sud e delle Isole,
con l’incremento dei campionamenti nell’ambito dell’attività
extra-piano, mostrano grande attenzione da parte dei Servizi
preposti per la prevenzione delle Encefalopatie Spongiformi
Trasmissibili (EST). Qualche commento merita inoltre il metodo ufficiale di analisi che è, ancora oggi, il metodo più semplice e più preciso (sensibilità inferiore allo 0,1%), come risulta
161
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
dai test di verifica annuali (Ring Test CReAA). L’identificazione delle specie resta il punto critico del processo analitico:
l’ipotesi di reintroduzione delle proteine animali trasformate di
non ruminanti nell’acquacoltura e il loro divieto per ruminanti
ed erbivori, comporterà probabilmente la necessità di affiancare al metodo microscopico, il metodo molecolare come indagine aggiuntiva ufficiale per l’identificazione delle proteine
di origine animale. La conformità alla norma UNI CEI EN ISO/
IEC 17025:2005 ha garantito l’adeguatezza degli standard
operativi a quanto previsto dalla normativa in vigore, in termini di applicazione di procedure gestionali relative a campioni, documentazione e strumentazione e procedure operative
relative alle modalità di registrazione e di conservazione dei
campioni, reagenti e apparecchiature.
162
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
BIBLIOGRAFIA: [1] Decreto ministeriale 30/09/99 (Ministero
delle politiche agricole e Forestali): “Metodo analitico per la determinazione dei costituenti di origine animale nell’ambito del
controllo ufficiale degli alimenti per animali”. GURI n.118 del
23/5/00 e successive modifiche. [2] Linee guida per l’analisi microscopica dei costituenti di origine animale negli alimenti per
animali – Maggio 2007. [3] Piano nazionale di controllo ufficiale
sull’alimentazione degli animali (PNAA in vigore). [4] Reg. CE
n. 999/2001 e succ. modifiche del Parlamento Europeo e del
Consiglio del 22-05-2001 recante disposizioni per la prevenzione, il controllo e l’eradicazione di alcune encefalopatie spongiformi trasmissibili. GUCE 31/5/01. [5] Reg.(CE) n° 152/2009
della Commissione del 27 gennaio 2009 -allegato VI. [6] UNI
CEI EN ISO/IEC 17025:2005.
163
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
INDAGINE PRELIMINARE SULLA DIFFUSIONE DELL’ARTRITE ENCEFALITE VIRALE
CAPRINA (CAEV) IN FRIULI VENEZIA GIULIA
Bregoli M.[1], Di Giusto T.*[1], Passera A.[1], Cocchi M.[1], Palei M.[2], Menegoz A.[3], Furlan D.[4], Conedera G.[5]
Keywords: CAEV, monitoraggio, ELISA
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Udine,
[2]
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia ~ Udine,
[3]
Associazione Allevatori Friuli Venezia Giulia ~ Codroipo (UD),
[4]
ERSA-Agenzia Regionale per lo Sviluppo Rurale ~ Udine,
[5]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Pordenone
[1]
SUMMARY: Caprine arthritis-encephalitis (CAE) is an important retroviral disease causing economic losses in dairy goat
herds. A serological survey was first implemented in the Friuli
Venezia Giulia Region in 2011 in order to obtain preliminary
data on seroprevalence to be evaluated in the perspective of
a health control program. Results showed a high prevalence of infection within goat herds (80,7% positive herds and
44,5% positive heads). Therefore, next aim to be considered
in the case of a control program should be seroprevalence decrease by means of serological monitoring to detect infected
animals, along with management prevention strategies.
INTRODUZIONE: L’artrite encefalite virale caprina (CAEV)
rappresenta una delle problematiche sanitarie più importanti
che interessano il settore caprino. L’agente eziologico appartiene alla famiglia Retroviridae, genere Lentivirus (small
ruminant lentivirus - SRLV). Le principali vie di trasmissione
sono l’ingestione di colostro e latte infetto e il contatto diretto attraverso le vie respiratorie (2). L’infezione ha carattere
di persistenza negli animali che possono risultare portatori
asintomatici sieropositivi. Le forme cliniche, seppur non frequenti e riscontrabili anche dopo lunghi periodi di latenza,
sono generalmente rappresentate da artriti non suppurative,
mastiti, encefaliti, polmoniti e deperimento. La CAEV determina importanti conseguenze di tipo economico con perdite
legate alla riduzione della produzione di latte, calo delle difese immunitarie e conseguente predisposizione a patologie di
irruzione secondaria, mortalità nei soggetti giovani e limitazioni commerciali (2, 6, 8).
La diagnosi precoce attraverso metodi sierologici è fondamentale per il controllo e la prevenzione delle infezioni da
lentivirus negli ovicaprini (9). Alla conoscenza dello stato immunitario devono necessariamente conseguire delle misure
di prevenzione indirizzate al contenimento della diffusione del
virus in allevamento (ad esempio separazione netta tra soggetti sieropositivi e sieronegativi, allontanamento del capretto
dalla madre dopo la nascita, somministrazione controllata del
colostro, mungitura in tempi separati) (2,8,9).
Il patrimonio caprino in Friuli Venezia Giulia risulta costituito
da 252 allevamenti con 4209 capi.
Nel 2011 è stato implementato un primo piano di monitoraggio sostenuto dall’ERSA (Agenzia Regionale per lo Sviluppo
Rurale), con l’obiettivo di ottenere informazioni preliminari
sul livello di diffusione della malattia negli allevamenti caprini
da latte della Regione e acquisire quindi elementi utili per
valutare opportunità e modalità di attivazione di un piano di
risanamento.
MATERIALI E METODI: Il monitoraggio ha interessato 26
aziende rappresentative del sistema produttivo regionale, ca-
ratterizzate da dimensioni comprese tra 10-150 capi (media
dimensioni: 46 capi), costituendo il 30% dei capi presenti
in Regione. Il campionamento è stato realizzato tra i mesi di
luglio e novembre e i prelievi sono stati effettuati da veterinari
libero professionisti su soggetti di almeno 6 mesi di età. E’
stata predisposta una scheda anamnestica specifica per raccogliere informazioni sugli allevamenti e sui capi.
Tutti i sieri sono stati analizzati con l’utilizzo di un metodo
ELISA di tipo indiretto (secondo il Manual of Diagnostic Tests
and Vaccines for Terrestrial Animals, OIE 6°ed. 2008, Cap.
2.7.3/4). Il test di screening utilizzato è il “Maedi-Visna/CAEV/
antibody test kit” (Idexx). La sensibilità e la specificità del metodo dichiarate sono rispettivamente del 100% e 99%.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono stati esaminati complessivamente 1214 capi presenti nelle 26 aziende prese in
considerazione, la cui distribuzione per dimensione è illustrata in fig.n.1.
Sono risultati positivi alla ricerca di anticorpi nei confronti
della CAEV rispettivamente il 44,5% (540/1214) dei capi e
l’80,7% (21/26) delle aziende esaminate (tab.n.1).
L’elevata diffusione dell’infezione nelle aziende sottoposte
a monitoraggio è evidenziata dal fatto che nel 42,3% delle
aziende (11/26), erano positivi oltre il 70% dei capi esaminati
(fig.n.2).
I risultati sono assimilabili ad esperienze precedenti in Italia
e all’estero in occasione di primi screening sierologici, in cui
è stata riscontrata una prevalenza di capi sieropositivi elevata
(3,5,7,8). Confrontando la distribuzione delle aziende positive
e negative in funzione delle dimensioni delle stesse, emerge
la quasi totale positività delle aziende di piccole dimensioni (fig.n.3); queste, in ragione del numero limitato di animali,
hanno la possibilità di risanare in tempi brevi. D’altro canto,
alcuni studi hanno evidenziato come il numero di capi rappresenti un fattore di rischio d’infezione (4). Alcuni allevamenti di
dimensioni medio-grandi hanno già risanato su propria iniziativa o sono prossimi al risanamento (uno di grosse dimensioni
presentava solamente un capo positivo). Il contatto con gli
ovini viene considerato tra i fattori di rischio di introduzione
della CAEV negli allevamenti (4); tra le aziende campionate
solamente una presenta caratteristiche di promiscuità.
Per diffondere tra gli allevatori la conoscenza delle caratteristiche della malattia e le possibilità di diagnosi e prevenzione
sono stati organizzati degli incontri informativi ed è stato predisposto un opuscolo divulgativo.
Nell’ambito delle esperienze maturate in altre realtà territoriali in diversi paesi europei e in alcune province italiane (es.
Asti, Bolzano, Trento, Varese), dove sono stati implementati piani di controllo, il primo obiettivo è stato in generale la
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determinazione della prevalenza dell’infezione. L’obiettivo
successivo è stato la riduzione della prevalenza puntando
progressivamente all’eradicazione attraverso schemi con diversi livelli di azione in funzione della prevalenza raggiunta
(3,5,7,9,10).
Considerando questi elementi, si reputa opportuno e possi-
bile realizzare un piano volontario di controllo della malattia
anche in Friuli Venezia Giulia, basato sul monitoraggio sierologico di tutti gli allevamenti, classificazione delle aziende in
base al loro status nei confronti della malattia, gestione dei
fattori di rischio con l’adozione di adeguate misure di profilassi e controllo delle movimentazioni.
Figura 1: distribuzione degli allevamenti campionati in funzione della dimensione aziendale
Tabella 1: Risultati del monitoraggio sierologico
Figura 2: distribuzione delle aziende in funzione della percentuale di capi positivi
Figura 3: distribuzione delle aziende positive e negative in base alla dimensione
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BIBLIOGRAFIA:
1. Barquero N., Arjona A., Domenech A., Toural C., de Las Heras A., Fernandèz-Garayzabal J.F., Ruiz-Santa Quiteuira J.A.,
Gomez-Lucia E. 2012 “Diagnostic performance of PCR and
ELISA on blood and milk samples and serological survey for
small ruminant lentiviruses in central Spain” Veterinary Record
2. Blacklaws B.A., Berriatua E., Torsteinsdottir S., Watt N.J.,
de Andres D., Klein D., Harkiss G.D. 2004 “Transmission of
small ruminant lentiviruses” Veterinary Microbiology 101; 199208
3. Boldetti C. 2003 “Piano di eradicazione volontario dell’Artrite-Encefalite Caprina in provincia di Varese risultati dall’indagine sierologica” Articoli Osservatorio 6(4): 4-7
4. Brulisauer F., Vogt H.R., Perler L., Rufenact J. 2005 “Risk
factors for the infection of Swiss goat herds with small ruminant lentivirus: a case control study” Veterinary Record 157;
229-233
5. Gufler H., Gasteiner J., Lombardo D., Stifter E., Krassnig R.,
Baumgartner 2007 “Serological study of small ruminant lentivirus in goats in Italy” Small Ruminant Research 73; 1169-173
6. Litner G., Krifucks O., Weisblit L., Lavy Y., Bernstein S., Merin U. 2010 “The effects of caprine arthritis encephalitis virus
infection on production in goats” The Veterinary Journal 183;
328-331
7. Lombardo D., Rabini M., Trevisiol K. 2004 “Profilassi della
artrite-encefalite caprina nella Provincia Autonoma di Bolzano:
risultati preliminari” Atti VI Congresso Nazionale SIDiLV, 79-80
8. Minghetti G., Pecile A., Bianchini M., Gatti F. 2005 “Piano di
risanamento contro l’artrite-encefalite caprina” Terra Trentina
9; 31-33
9. Reina R., Berriatua E., Lujàn E., Juste R., Sànchez A., de
Andres D., Amorena B. 2012 “Prevention strategies against
small ruminant lentiviruses: an update”, The Veterinary Journal
10. Synge B.A., Ritchie S.M. 2012 “Elimination of small ruminant lentivirus infection from sheep flocks and goat herds
aided by health schemes in Great Britain” Veterinary Record
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IMPIEGO DI COLORANTI IN ACQUACOLTURA: L’ASTAXANTINA
Brizio P.[1], Prearo M.*[1], Elia A.C.[3], Scanzio T.[1], Pavoletti E.[1], Pacini N.[3], Benedetto A.[1], Gasco L.[2], Dorr A.M.[3],
Righetti M.[1], Squadrone S.[1], Abete M.C.[1]
Keywords: Astaxantina, Muscolo, Trota iridea
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino,
[2]
Facoltà di Agraria ~ Torino,
[3]
Dipartimento di Biologia Cellulare e Ambientale ~ Perugia
[1]
SUMMARY: Fish offer on the market is driven through consumer demand and one of the most appreciated qualities in
salmonoid is the typical red to pink flesh colour. These fishes
cannot synthesize carotenoids as astaxanthin de novo but they
have the capability to accumulate these pigments at specific
sites in their muscles. For this reason, are added to fish feed.
Data from astaxanthin trial have not underlined a correlation
between colourants residue in trout muscle and administration
time; however, it has shown a best accumulation when administrated through the feed twice a day.
INTRODUZIONE: La produzione di trota iridea (Oncorhynchus
mykiss) è strettamente connessa alla risposta del mercato. Una
delle qualità più importanti per il consumatore risulta spesso
essere il colore del prodotto al quale è interessato; in particolare nei salmonoidi un colorito rosato uniforme è tradizionalmente considerato indice di alta qualità; tuttavia essi, così come
molte altre specie di animali, non sono in grado di sintetizzare
de novo i carotenoidi, sostanze capaci di conferire tale colorazione, e per tale motivo devono ottenerli dalla dieta. L’astaxantina, disponibile in forma sintetica, viene quindi addittivata al
mangime completo per i pesci d’allevamento intensivo entro i
limiti previsti dalla normativa vigente (1), corrispondenti a 100
mg/kg se somministrata da sola e 75 mg/kg se in associazione
alla cantaxantina. I pesci hanno la capacità di trasportare e depositare questi pigmenti in siti specifici dei loro muscoli.
Molti studi hanno dimostrato che l’astaxantina si deposita in
maniera più efficiente della cantaxantina nel muscolo della trota iridea. Al fine di appurare questa capacità è stato approntato
un protocollo sperimentale avente come specie target la trota
iridea ed è stata ottimizzata una metodica analitica per determinare il residuo di questo esogeno nel muscolo del pesce.
MATERIALI E METODI: La sperimentazione è stata condotta
presso il Centro Ittiogenico di Carmagnola (TO) della Facoltà
di Agraria di Torino. Un numero adeguato di esemplari di trota
iridea è stato suddiviso in vasche a flusso continuo di acqua e
acclimatato per 5 giorni. I pesci sono stati quindi alimentati per
56 giorni all’1% bw day-1 con mangimi prodotti sperimentalmente presso lo stesso centro, contenenti la dose prestabilita
di astaxantina (75 mg/kg), una o due volte al giorno. I pesci
a cui è stato somministrato lo stesso mangime, ma senza gli
additivi, sono stati usati come controllo.
I campionamenti sono stati effettuati ogni 2 settimane prelevando 5 esemplari per ognuna delle vasche e avendo cura di non
somministrare il cibo il giorno prima del campionamento.
La concentrazione di additivo somministrata attraverso il mangime è stata determinata utilizzando il metodo descritto da
Page et al. (2) modificato; nella pratica il mangime, dopo aver
subito un’idrolisi enzimatica, viene estratto con una opportuna
miscela di solventi organici (metanolo e diclorometano).
La determinazione della concentrazione di astaxantina nel muscolo ha invece richiesto una fase più approfondita di sviluppo
del metodo che si è conclusa con una modifica la metodo di
Baker et al. (3).
Gli estratti di ambedue le matrici sono stati analizzati mediante
cromatografia liquida ad alte prestazioni accoppiata alla spettrometria di massa tandem (HPLC-MS/MS); nella fattispecie il
rivelatore adottato è un triplo quadrupolo. La separazione cromatografica è avvenuta grazie ad una colonna Phenomenex
Synergi Polar RP 80A, 150 x 2,0 mm, ad un flusso di 0,5 mL/
min ed utilizzando come fasi mobili acqua e acetonitrile in gradiente. In base ai dati forniti dalla letteratura ed in seguito a
preliminari prove sperimentali, si è scelto di utilizzare come sorgente di ionizzazione l’APCI (Atmospheric Pressure Chemical
Ionization) in modalità ioni positivi.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Lo sviluppo del metodo sperimentale per l’estrazione dal muscolo ha richiesto un impegno
considerevole volto alla ricerca del miglior compromesso tra
estrazione degli analiti e purificazione dalla matrice; per quanto
concerne il mangime, infatti, la tecnica si basa su una semplice
solubilizzazione degli additivi in esso presenti e idrolisi del principio attivo dal carrier (acido dimetil-succinico).
Il muscolo invece si presenta come una matrice complessa in
quanto ricco di lipidi; se, come nel nostro caso, l’analita di interesse è particolarmente lipofilo, la scelta del sovente di estrazione risulta cardinale. Inoltre esso si caratterizza per i legami
che instaura con i complessi acto-miosinici, determinando la
necessità di ricorrere a tecniche di omogeneizzazione spinta in
slurry per liberarne il maggior quantitativo possibile.
Una volta ottimizzata la fase preparativa si è cercato di isolare
cromatograficamente la molecola dagli interferenti ricorrendo
ad una cromatografia in gradiente: anche in questo caso sono
state effettuate diverse considerazioni in merito ed il compromesso migliore tra durata dell‘analisi strumentale, sensibilità e
risoluzione dei picchi è risultata essere quella presentata nella
sezione “materiali e metodi”.
Al fine di quantificare il residuo di additivo nel muscolo è stata costruita una retta positivizzando della matrice negativa con
opportuni quantitativi dello standard ed interpolando l’area del
picco corrispondente all’analita a ciascun livello di concentrazione; sono stati ritenuti accettabili i coefficienti di correlazione
maggiori di 0,900.
La concentrazione media di astaxantina, somministrata una
sola volta al giorno, è passata da 2,21 mg/kg di tessuto umido dopo 15 giorni di trattamento a 3,11 mg/kg dopo 60 giorni,
con un incremento di 0,9 mg/kg, pari al 41%. Quando invece lo
stesso quantitativo è stato razionato in due pasti l’accumulo è
passato da 1,70 mg/Kg a 3,69 mg/Kg con un incremento di ben
1,99 mg/kg, pari al 117%. I dati ottenuti sono in accordo con
quanto trovato da Choubert et al. nel 2009 (4). Considerando le
interazioni tra l’astaxantina ed il muscolo è plausibile supporre
che una somministrazione graduale dell’additivo ne consenta
una maggiore facilità di distribuzione e ancoraggio, palesata
nella maggiore efficacia di accumulo nel muscolo.
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BIBLIOGRAFIA: 1. Regolamento (CE) n. 828/2007 della Commissione, del 13 luglio 2007, concernente l’autorizzazione permanente e l’autorizzazione provvisoria di taluni additivi negli
alimenti per animali.
2. Page G.I., Davies S.J.; 2006; Tissue astaxanthin and canthaxanthin distribution in rainbow trout (Oncorhynchus mykiss)
and Atlantic salmon (Salmo salar); Comparative Biochemestry
and Physiology, Part A; 143, 125-132.
3. Baker R.T.M., Pfeiffer A.-M., Schöner F.-J., Smith-Lemmon
L.; 2002; Pigmenting efficacy of astaxanthin and canthaxanthin
in fresh-water reared Atlantic salmon, Salmo salar; Animal
Feed Science and Technology; 99, 97-106.
4. Choubert G., Cravedi J.P., Laurentie M.; 2009; Effect of alternate distribution of astaxanthin on rainbow trout (Oncorhynchus
mykiss) muscle pigmentation; Aquaculture; 286, 100-104J.
5. Řehulka; 2007; Influence of astaxanthin on growth rate, condition, and some blood indices of rainbow trout, Oncorhynchus
mykiss”; Aquaculture; 272, 140-145.
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ASPARAGOPSIS TAXIFORMIS: UNA NUOVA TERAPIA ANTI-LEISHMANIA?
Bruno F.*[1], Castelli G.[1], Piazza M.[1], Reale S.[1], Lupo T.[1], Migliazzo A.[1], Armeli Minicante S.[2],
Genovese G.[3], Vitale F.[1]
Keywords: Leishmania infantum, Asparagopsis taxiformis, Pentadecane
C.Re.Na.L.- Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia ~ Palermo,
Department of Environmental Sciences, University Ca’ Foscari Venice, ~ Venezia,
[3]
Department of Life Sciences - Botany, University of Messina, ~ Messina
[1]
[2]
SUMMARY: Marine macroalgae produces a wide variety of remarkable natural compounds, usually referred as bioactive metabolites. Asparagopsis taxiformis is a red alga from the Strait
of Messina (Italy) and in the Mediterranean Sea, that produces
chemicals that have potent biological effects . Numerous natural
products, including halogenated compounds, methanes, ketones, acetates and acrylated were described as produced by the
genus Asparagopsis. Natural compounds revealed antiprotozoal activity against Leishmania, parasite which cause a variety of
diseases, known as Leishmaniasis. Leishmaniasis is a vectorborne disease caused by obligate intramacrophage protozoan
parasite of the genus Leishmania and its incidence is increasing
in non-endemic areas due to changing patterns of international
travel and to population migration; it is a disease with a worldwide
distribution, especially in many tropical and sub-tropical countries, affecting both humans and animals. The aim of this study was
to analyze the toxicity of algal compounds against in vitro Leishmania infantum cultivation in a novel RPMY-PY medium. The
authors role out a number of experiments demonstrating the toxicity of some chemical extract from the Asparagopsis taxiformis.
1x106 Leishmania infantum promastigotes were plated into 25
cm2 flasks containing medium supplementing with FCS (10%)
and treated with scalar concentration of compounds. The percentage of apoptotic Leishmania was determinate by morphological
examination using a fluorescence microscope after ethidium bromide and acridine orange staining. Among compound analyzed,
Pentadecane, Heptadecanoic Acid and the synergy between Linoleic Acid and Linolenic Acid have showed an interesting activity
against promastigotes in vitro cultivation, revealing such algae as
a great source of natural antiprotozoal products.
INTRODUZIONE: Nell’ultimo decennio è notevolmente aumentato l’interesse verso organismi marini quali possibili agenti farmacologici e tra questi l’alga rossa Asparagopsis taxiformis, che
rappresenta uno dei candidati più promettenti per la sua capacità di produrre sostanze chimiche, dotate di attività biologica e,
più in particolare, anti-parassitaria (1,2). Come riportato in letteratura, l’estratto crudo di Asparagopsis taxiformis è in grado di
esercitare in vitro effetti citotossici sulla Leishmania, parassita
emoflagellato responsabile di un’antropo-zoonosi (definita “leishmaniosi”) trasmessa da vettore e diffusa in oltre 80 Paesi nel
mondo (3). Con il presente lavoro, ci si propone di valutare l’azione leishmanicida, sia di estratto crudo di Asparagopsis taxiformis
che dei singoli principi attivi presenti nell’alga, su colture di Leishmania infantum MON1/IPT1. L’attività anti-Leishmania dell’estratto grezzo di Asparagopsis taxiformis è stata recentemente
descritta da Genovese (2009) in “The Mediterranean red alga
Asparagopsis: a source of compounds against Leishmania” (2),
su colture di Leishmania donovani. I risultati descritti costituiscono il background scientifico per le ulteriori valutazioni condotte
nel presente studio ed inerenti l’analisi in vitro anti-Leishmania
dell’Asparagopsis taxiformis.
MATERIALI E METODI: Fiasche da 25 cm2, contenenti 5 ml
di terreno di coltura RPMI-PY, sono state inoculate con 4x106/
ml promastigoti e trattate con concentrazioni seriali sia dell’estratto grezzo che dei singoli composti algali di Asparagopsis
taxiformis. Dopo 48 ore di trattamento a 24°C, si è proceduto
alla valutazione della percentuale di vitalità delle Leishmanie,
tramite conteggio in camera di bϋrker, e rispetto alla coltura
di controllo rappresentativa del 100% di vitalità. L’effetto apoptotico esercitato dai composti algali sul ceppo di Leishmania
infantum MON1/IPT1 è stato stimato morfologicamente tramite
visualizzazione al microscopio a fluorescenza e dopo colorazione con bromuro di etidio ed arancio di acridina. Inoltre, il
ciclo cellulare della Leishmania è stato valutato citofluorimetricamente dopo colorazione con ioduro di propidio. L’azione
specie-specifica del composto più attivo, rappresentato dal
pentadecano, è stata valutata anche in colture di Leishmania
panamensis appartenenti al sottogenere Vianna. L’azione del
pentadecano è stata analizzata in colture di Leishmania infantum MON/IPT1 in forma amastigote, ottenute dopo incubazione
per dieci giorni a 37°C in terreno di crescita RPMI-PY. Infine,
per valutare l’azione citotossica dei composti analizzati, è stato
effettuato un saggio di vitalità MTT su linee cellulari immortalizzate MDCK e DH82.
RISULTATI E CONCLUSIONI: L’estratto grezzo di Asparagopsis taxiformis ha mostrato in vitro una potente attività citotossica nei confronti di Leishmania infantum, determinando alla
concentrazione di 40 μg/ml, il 100% di apoptosi cellulare, e una
dose letale mediana (LD50) di 25 μg/ml (Figura 1). Fra i composti algali saggiati, l’acido eptadecanoico, il co-trattamento con
acido linolenico-linoleico e il pentadecano hanno evidenziato la
maggiore attività anti-parassitaria (Figura 2). In particolare, una
LD50 di 75 µM di pentadecano è stata riscontrata in coltura di
Leishmania infantum così come verso Leishmania panamensis, suggerendo una possibile attività biocida verso differenti
specie di Leishmania (Figura 3). Nel dettaglio, dopo 48 ore di
trattamento con pentadecano, è stata osservata azione tossica
anche in colture di Leishmania infantum in forma amastigote;
quest’ultima, a differenza della forma promastigote, è considerata la forma infettante in grado di determinare la lisi della sua
cellula-target, il macrofago. Mediante citofluorimetria, dopo 48
ore di trattamento con pentadecano, è stata osservata l’inibizione del ciclo cellulare del parassita in G1, determinando un picco di fluorescenza inferiore rispetto alle cellule non apoptotiche
(Figura 4). Infine, cellule macrofagiche canine immortalizzate
DH82, dopo trattamento con pentadecano, hanno mostrato
una vitalità cellulare maggiore rispetto al valore cut-off (60%),
che consente di definire tale principio attivo potenzialmente
non tossico (Figura 5). Come riportato recentemente in letteratura, con il presente studio viene confermato il ruolo biocida
anti-Leishmania di estratti grezzi di alga rossa Asparagopsis
taxiformis e di alcuni dei principi attivi contenuti in essa. Inoltre,
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i risultati qui riportati evidenziano la necessità di ulteriori approfondimenti per una più accurata valutazione delle potenziali
applicazioni terapeutiche dell’Asparagopsis taxiformis, quale
possibile risorsa naturale antiprotozoaria sia in campo umano
che veterinario. Tra i principi attivi algali, il pentadecano può
essere considerato un “lead compound”, economico e di facile
reperimento, che potrebbe mirare a costituire una nuova terapia, contro la grave antropo-zoonosi di nome leishmaniosi.
Curva di vitalità della Leishmania infantum, trattata per 48 ore con concentrazioni seriali dell‘ estratto grezzo di
Asparagopsis taxiformis. *= p < 0,05; **= p < 0.01; ***= p < 0,001
Curve di vitalità della Leishmania infantum, trattata per 48 ore con concentrazioni seriali di Acido Eptadecano,
co-trattamento Acido Linolenico e Linoleico e Pentadecano. **= p < 0.01; ***= p < 0,001.
Curva di vitalità delle Leishmania panamensis, trattate per 48 ore con concentrazioni seriali di Pentadecano. *= p < 0,001.
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Effetto del Pentadecano sul ciclo cellulare delle Leishmanie. Nel controllo sono riportate le aree dell’istogramma relative alle
cellule in fase G1, S e G2M. A= indica l’area dove si trovano le cellule in fase sub-G1 cioè con un quantitativo di DNA inferiore a
quello tipico presente in G1. Le cellule in fase sub-G1 sono in genere cellule in apoptosi.
Curva di vitalità delle cellule macrofagiche canine, DH82, ottenuta tramite saggio MTT.
Le cellule sono state trattate con concentrazioni seriali di Pentadecano.*= p < 0,001.
BIBLIOGRAFIA: (1) Tüney Ü, Çadirci BH, Ünal D, Sukatar A.
(2006). Antimicrobial activities of the extracts of marine algae
from the coast of Urla (Üzmir, Turkey) Turk J Biol.;30:171–175.
(2) Genovese G, Faggio C, Gugliandolo C, Torre A, Spanò
A, Morabito M, Maugeri TL. (2012). In vitro evaluation of antibacterial activity of Asparagopsis taxiformis from the Straits of
Messina against pathogens relevant in aquaculture. Mar Environ Res. Feb;73:1-6
(3) Giuseppa Genovese, Laura Tedone, Mark T. Hamann, and
Marina Morabito. (2009). The Mediterranean Red Alga Asparagopsis: A Source of Compounds against Leishmania. Mar
Drugs. September; 7(3): 361–366.
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RISCHIO DI TRASMISSIONE DI VIBRIO PATOGENI LEGATO AL CONSUMO
DI CROSTACEI NELLA REGIONE VENETO
Caburlotto G.*[1], Fasolato L.[3], Antonetti P.[2], Rahman M.S.[3], Zambon M.[1], Manfrin A.[1]
Keywords: Vibrio spp, crustaceans,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale Delle Venezie ~ Legnaro,
[2]
Servizio Veterinario Ulss12 Veneziana,
[3]
Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione, Università degli Studi di Padova ~ Padova
[1]
SUMMARY: Vibrios are widely distributed bacteria that colonize marine and estuarine habitats. Three main pathogenic
species for humans, V. cholerae, V. vulnificus and V. parahaemolyticus, are commonly transmitted via undercooked or raw
seafood products, and are responsible of acute gastroenteritis
(1). In Italy detailed investigations have not yet been conducted
on vibrios in crustaceans. Our group has investigated the presence of pathogenic Vibrio and their virulence factors in crustaceans frequently eaten in our region. In the study we isolated
102 strains of V.parahaemolyticus , none of them was toxigenic. However this does not exclude the possibility of exposure
to pathogenic strains.
INTRODUZIONE: I prodotti della pesca sono un’importante
fonte di approvvigionamento proteica per le popolazioni di tutto
il mondo, ma spesso sono responsabili di infezioni alimentari.
Esistono specifiche direttive europee e nazionali, tranne per
le Vibrionaceae per le quali sono in vigore alcune raccomandazioni da parte dell’Autorità di Vigilanza EFTA (98/03/COL).
Il genere Vibrio è ampiamente diffuso negli ambienti estuarini
e marini. Comprende tre specie principali patogene per l’uomo: V.cholerae, V.vulnificus e V.parahaemolyticus, comunemente trasmessi attraverso il consumo di prodotti poco cotti
o completamente crudi e responsabili di acute gastroenteriti
e setticemia. Epidemie di vibriosi sono riportate soprattutto in
Giappone, Cina. Nonostante il diffondersi di ristoranti orientali
e l’aumentata abitudine di mangiare prodotti crudi, in Europa
esistono pochi dati sull’incidenza di tali patogeni. Solo di recente ci sono stati casi clinici di V.cholerae non-O1/non-O139
e V.parahaemolyticus (2,3). In tale ricerca si è voluto indagare
sulla presenza di Vibrio patogeni per l’uomo in crostacei commercializzati nella nostra regione. I dati raccolti e l’eventuale
presenza dei geni di patogenicità possono essere quindi utilizzati per esprimere le prime ipotesi sul rischio alimentare.
Una valutazione della circolazione dei genotipi prevalenti e un
monitoraggio completo delle differenti specie di Vibrio spp. potrebbero individuare le fonti di contaminazione principali e le
differenti potenzialità di rischio nelle tipologie di prodotti considerati (es locale vs importazione; effetto della stagione, refrigerazione vs congelamento, specie di crostaceo).
MATERIALI E METODI: I campioni sono stati forniti dal servizio
veterinario dell’Ulss 12 Veneziana e provenivano dal Mercato
Ittico All’Ingrosso di Venezia, che commercializza prodotti locali
e importati. Sono stati raccolti freschi, congelati o come prodotto decongelato. I crostacei prevalentemente pervenuti sono:
gamberetti (Palaemon spp.), gamberi grigi (Crangon crangon)
, cannocchie (Squilla mantis), scampi (Nephrops norvegicus),
granchi (Carcinus aestuarii) .
Per ogni campione sono stati preparati due pool di 25 g ciascuno. Si è provveduto ad un pre-arricchimento e incubato a
37°C per 6 ore (18 ore per un prodotto congelato) poi è seguita
la semina in terreni selettivi quali il TCBS e il CHROMagar™
Vibrio. Per gli isolati sono state allestite prove biochimiche. Nel
corso del progetto si è messo a punto un protocollo per la quantificazione di V.parahaemolyticus, essendo risultata la specie
patogena Vibrio più frequente. Tale protocollo comprendeva il
metodo del Most Probable Number. I tubi che presentano crescita poi vengono testati per PCR utilizzando il gene toxR.
Per la preparazione del DNA genomico si è utilizzato il QIAMP®
DNA Mini kit. Per la ricerca dei Vibrio patogeni si sono utilizzati
primers specifici rispettivamente per i marcatori tlh e toxR del
V. parahaemolyticus, prVC del V. cholerae, hly del V. vulnificus.
Sono stati poi investigati i geni per i fattori classici di virulenza
di Vibrio parahaemolyticus: TDH (thermostable haemolysin),
TRH (thermostable related haemolysin). Si è ottimizzato inoltre un protocollo di PCR per alcuni nuovi geni associati alla
virulenza in V. parahaemolyticus (4). Per una completa identificazione molecolare dei Vibrio circolanti, è stata sviluppata una
metodica MLSA (4) basata sull’analisi di sequenza di 4 geni
housekeeping (gyrB, pyrH, recA, atpA). Al fine di descrivere
nel dettaglio le relazioni filogenetiche tra gli isolati, sono stati
sequenziati anche i geni di 16 ceppi di riferimento e sono state
incluse nell’analisi le sequenze di 12 ceppi di Vibrio spp. e un
Photobacterium profundum (outgroup) scaricate dal database
NCBI.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Nel corso del 2011 e 2012
sono stati analizzati 80 campioni di crostacei provenienti prevalentemente dal Nord Adriatico, comprendendo la zona di
Chioggia, la Laguna di Venezia, il Delta del Po (Goro). Nello
studio sono stati inclusi anche campioni (scampi) provenienti
dal Basso Adriatico e dall’Oceano Atlantico. Utilizzando i terreni selettivi TCBS e CHROMagar™ Vibrio e le prove biochimiche sono stati isolati circa 310 ceppi sospetti Vibrio spp. Di
questi, 140 sono stati identificati come V. alginolyticus, 102
come V.parahaemolyticus, utilizzando il gene tlh e toxR. Questi
ultimi stati analizzati per i geni di virulenza e nessuno di essi è
risultato tossigeno. E’ stato ottimizzato il protocollo di PCR per
altri nuovi geni associati alla virulenza di V.parahaemoliticus
(4). Di recente si è investigato sulla potenziale patogenicità di
ceppi tdh e trh negativi di V.parahaemolyticus isolati da pazienti affetti da severe gastroenteriti (4). Le analisi relative alla
presenza di tali geni sono attualmente in corso.
Dall’analisi qualitativa 23 campioni risultano positivi per V.
parahaemolyticus, di questi 17 derivano da prodotto fresco e
6 derivano da prodotto congelato. L’analisi quantitativa è stata
messa a punto solo successivamente e condotta su una totalità di 55 campioni di cui 12 mostrano un valore di MPN > 3
cellule di V. parahaemolyticus per grammo di prodotto.
Per quanto riguarda la conferma molecolare della specie di
appartenenza, sono stati analizzati fino ad oggi 109 ceppi
di Vibrionaceae mediante MLSA, effettuando un controllo in
parallelo con le morfologie prevalenti rilevate in piastra per
172
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
ciascun campione di crostaceo esaminato. Di questi, 91 sono
ascrivibili al genere Vibrio. L’analisi filogenetica del concatenamero ottenuto dall’analisi di sequenza dei 4 geni housekeeping è riportato in Figura 1. Si può osservare come lo
schema MLSA proposto sia in grado di discriminare a livello
di specie e di poterle correlare ai ceppi di riferimento (Type
strains). Sono presenti 5 cluster principali costituiti da V. parahaemolyticus (n° 39), V. alginolyticus (n° 16), V. diabolicus
(n° 8), V. harveyi group (n° 7) e V. anguillarum (n° 3) ed altre
specie meno rappresentate o di difficile attribuzione. L’unica
specie ascrivibile al gruppo di specie definite come “Higher
risk Vibrios” è data da V. parahaemolyticus. Risulta interessante evidenziare come ceppi isolati dal medesimo campione
presentino una spiccata variabilità genetica e che sia possibile discriminare con la sola analisi MLSA isolati provenienti da
campioni differenti.
Concludendo, al presente non emerge un evidente rischio di
trasmissione di vibriosi da consumo di crostacei dal momento
che, nonostante si rilevi la presenza di V.parahaemolyticus,
nessun ceppo esaminato risulta portatore dei fattori classici di
virulenza. Solo l’analisi completa dei nuovi geni sarà in grado
di fornire informazioni sul reale rischio di vibriosi.
L’analisi quantitativa rivela la presenza di V.parahaemolyticus
prevalentemente nel prodotto fresco, ciò a conferma che i cicli
di congelamento rendono critica la sopravvivenza di alcune
specie di batteri, preservando dal potenziale rischio di infezione. Al contrario, emerge che V.alginolyticus costituisce la
specie prevalente sia nel prodotto fresco che in quello congelato, adattandosi meglio a condizioni di stress ed essendo più
ampiamente distribuita nell’ambiente marino.
BIBLIOGRAFIA:
1) Austin (2010). Vibrios as causal agents of zoonoses. Vet Microbiol.; 140(3-4):310-7
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2009 Mar 31.
4) Makino K., Kenshiro O., Kurokawa K., Yokoyama K., Uda
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173
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
DETERMINAZIONE DI MACRO E MICROELEMENTI ESSENZIALI E NON ESSENZIALI
NEL PLASMA DI TESTUDO HERMANNI MEDIANTE ICP-MS
Cannavacciuolo A.*[2], Isani G.[1], Menotta S.[2], Carpenè E.[1], Di Girolamo N.[3], Ferlizza E.[1], Fedrizzi G.[2]
Keywords: macro e microelementi, Testudo hermanni sp., ICP-MS
Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna ~ Bologna,
[2]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna,
Reparto Chimico degli alimenti - Bologna ~ Bologna,
[3]
Medico Veterinario libero professionista ~ Roma
[1]
SUMMARY: Testudo hermanni is present only in southern Europe and it is the only native tortoise in Italy. Aim of this study
was to provide baseline data concerning element concentrations in plasma of Testudo hermanni sp. (n=35), analysed by
ICP-MS technique. Our attention focused on tortoises, because there are no references data on elemental concentrations
in plasma of T. hermanni. These data could be useful also for
investigating metal pollution, which is one of the main threats
acting against the conservation of reptiles; in addition, some
reptiles have been identified as good bioindicators of pollution
in their environments (1, 5, 6, 8).
INTRODUZIONE: L’interesse scientifico è stato rivolto a tartarughe terrestri appartenenti al genere Testudo. Queste testuggini sono inserite nella Convenzione di Washington (CITES,
Appendice II). Data l’estrema carenza di dati bibliografici riguardanti le concentrazioni ed il metabolismo di macro e micro
elementi nelle tartarughe terrestri italiane, in questo studio è
stata determinata la concentrazione di macro elementi essenziali (Na, K, Ca, Mg), micro elementi essenziali (Fe, Zn, Cu, Mn,
Se, Cr e Ni) ed elementi non essenziali (Sr, Ba, Pb, As, Hg, Cd)
nel plasma di 35 esemplari di T. hermanni. La determinazione
analitica ha visto l’impiego di una tecnica che consente la determinazione di elementi a bassissima concentrazione e che
coniuga una sorgente di ioni come la ionizzazione chimica a
plasma (ICP), con uno spettrometro di massa ad elevata sensibilità e selettività.
MATERIALI E METODI: ANIMALI
Sono stati inclusi in questo studio 35 esemplari sani appartenenti al genere Testudo hermanni sp, di ambo i sessi (14 maschi, 21 femmine), di età compresa tra i 6 e i 35 anni e di peso
compreso fra 466 e 2192 grammi tenuti in cattività in condizioni
di semilibertà e all’aperto. I prelievi di sangue sono stati eseguiti in due differenti periodi critici per questi animali: nel post-letargo (primavera) e prima dell’ibernazione invernale (autunno).
Gli esemplari scelti sono stati sottoposti a visita medica, sono
stati rilevati i dati biometrici e sono state annotate le informazioni anamnestiche. I prelievi ematici sono stati eseguiti da plesso cervicale, vena giugulare o entrambi i siti per il medesimo
esemplare. È stata prelevata una quantità di sangue compresa
fra il 5 e l’8% del peso corporeo, che per i rettili corrisponde al
10% del volume ematico totale (7).
DETERMINAZIONI ANALITICHE
Gli elementi (macro e micro elementi) essenziali e non essenziali, determinati analiticamente nel plasma di Testudo Hermanni sp sono stati: Na, K, Ca, Mg, Mn, Fe, Zn, Cu, Se, Sr, Ni,
Ba, Cr, Pb, As, Hg, Cd. Per la determinazione dei vari elementi,
i campioni di plasma sono stati sottoposti a digestione ad umido con applicazione di calore, mediante digestore aperto tipo
Digi-Prep (SCP-Science). La mineralizzazione è stata eseguita
attraverso un attacco acido con HNO3 a 75ºC per 12 ore. La
determinazione strumentale è stata eseguita mediante spettrometria di massa con sorgente al plasma (ICP-MS) modello
7700 Agilent Technologies interfacciato ad un autocampionatore modello ASX-500 Series. Le concentrazioni dei vari elementi
sono espresse in mg/l per Na, K, Ca, Mg e µg/l per gli altri. Il
limite di quantificazione (LOQ) per ciascun elemento era: 2 µg/l
(Pb, Cd), 5 µg/l (Fe, Zn, Cu, Se, Sr, Ni, Ba, Cr, As, Hg, ) e 1
mg/l (Na, K, Ca, Mg)
ANALISI STATISTICA
È stata condotta un’analisi statistica preliminare dei dati grazie
al programma MedCalc®. Si è provveduto ad eseguire una prima analisi descrittiva dei dati attraverso la valutazione di media, deviazione standard, minimo e massimo e mediana. Successivamente si è valutata la normalità per ciascun parametro,
utilizzando il test D’Agostino-Pearson. Il calcolo degli intervalli
di riferimento è stato eseguito sui valori minimi e massimi, poiché la quasi totalità degli elementi analizzati rientrava negli intervalli di normalità. Il confronto tra sessi e tra il campionamento
primaverile e quello autunnale è stato condotto mediante il test
t di Student. E’ stata considerata significativa una probabilità P
<0,05.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Le concentrazioni degli elementi analizzati nel plasma di T. hermanni sono riportate in
Tabella 1.
I macro elementi Na, K, Ca, Mg, sono presenti in concentrazioni alcuni ordini di grandezza superiori rispetto agli altri
elementi analizzati. In particolare, la concentrazione media di
Na (2015 mg/L) è in accordo con quanto riscontrato da Flint
et al., (2010) in tartarughe acquatiche. Fe, Zn e Cu risultano
essere i più abbondanti tra i micro elementi essenziali, in accordo con le loro importanti funzioni biochimiche; gli altri micro
elementi essenziali con funzioni biochimiche più limitate sono
presenti in concentrazioni inferiori. Per quanto riguarda i micro
elementi non essenziali come Cd, Hg, Pb e As le concentrazioni plasmatiche risultano inferiori al limite di quantificazione.
La mancanza di dati bibliografici a proposito dei valori basali
nel plasma e del metabolismo dei vari elementi rende difficile
il confronto. I dati riportati in letteratura (1, 3, 4) riguardano
molto spesso cheloni acquatici, le cui condizioni biologiche ed
ecologiche sono molto differenti da quelle terrestri così come
l’esposizione a fonti di inquinamento. In ogni caso, almeno per
quanto riguarda gli elementi tossici, possiamo ipotizzare che
gli esemplari oggetto di questo studio vivano in ambienti non
contaminati da Cd, Hg, Pb e As.
174
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Per quanto riguarda le fonti di variabilità, non si sono riscontrate differenze significative legate al sesso, mentre sono state trovate differenze dovute al periodo di campionamento; in
particolare, una diminuzione di Fe e Mg nel periodo primaverile rispetto a quello autunnale e un aumento di Ca, K, Zn e Na
in quello primaverile rispetto al campionamento autunnale.
Concentrazioni di Zn più elevate in maggio rispetto ad ottobre
sono state riportate anche in esemplari di T. hermanni alimentate con diete a diverso contenuto di metalli (2). Le differenze
stagionali potrebbero essere correlate all’emoconcentrazione
che precede il letargo.
È stato effettuato infine un confronto tra metodiche (ICP-MS/
tecnica potenziometrica con analizzatore automatico Olympus
AU400) nella determinazione del Na e del K. Le concentrazioni
medie sono risultate essere lievemente maggiori nella determinazione mediante ICP-MS rispetto a alla tecnica potenziometrica Olympus impiegata nelle analisi biochimiche sia in campo
umano che veterinario. Le due metodiche risultano dunque
correlate tra loro nella determinazione dei macro elementi essenziali (Na e K).
BIBLIOGRAFIA: 1) Andreani G., Santoro M., Cottignoli S.,
Fabbri M., Carpenè E., Isani G. (2008). Metal distribution and
metallothionein in loggerhead (Carretta carretta) and green (Chelonia mydas) sea turtles. Science of the Total Environment. 390(1):287-94
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3) Flint M., Moton J. M., Limpus J. C., Patterson-Kane C. J.,
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unhealthy green sea turtles (Chelonia mydas). The Veterinary
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4) Ley-Quinonez C., Zavala-Norzagaray A., Espinosa-Carreon
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Blood §-ALAD, lead and Cadmium concentrations in spur-thighed tortoise (Testudo graeca) from southeastern Spain and
Northen Africa. Ecotoxicology 19: 670- 677.
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175
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
DIAGNOSI DI INFEZIONE DA MORBILLIVIRUS NEI CETACEI MEDIANTE MICROSCOPIA
ELETTRONICA, ISOLAMENTO SU COLTURE CELLULARI E METODI BIOMOLECOLARI
Cardeti G.[1], Cersini A.*[1], Puccica S.[1], Antognetti V.[1], Cittadini M.[1], Dante G.[1], Amaddeo D.[1]
Keywords: Morbillivirus, cetacei, diagnosi virologica
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana ~ Roma
[1]
SUMMARY: Specimens from two cetacean species (Stenella coeruleoalba and Tursiops truncates) found stranded were investigated for the research of viral agents.
Paramyxovirus-like particles were observed at transmission
electron microscopy in swabs and gut; two end point PCR
protocols revealed the presence of Morbillivirus in swab,
brain, lung and gut homogenates and in the cryolisate of an
inoculated cell line. Sequencing analysis are in progress to
characterize the identified strains.
INTRODUZIONE: Da circa 25 anni i Morbillivirus sono considerati importanti agenti patogeni dei cetacei (1). La prima grave epidemia fu registrata nel mar Mediterraneo tra il
1990 ed il 1992, causata da un agente virale fino ad allora
sconosciuto, il Dolphin Morbillivirus (DMV) (2). Tra il 2005
ed il 2007 un’epidemia simile, a più bassa mortalità, è stata
registrata nei mari spagnoli in globicefali (Globicephala melas) e stenelle (Stenella coeruleoalba); il virus responsabile
si è dimostrato geneticamente correlato al ceppo DMV isolato 15 anni prima nella stessa area (2). Infezione da morbillivirus è stata recentemente evidenziata in cetacei spiaggiati
sulle coste mediterranee francesi (3), in stenelle sulla costa spagnola (4) ed in stenella e balenottera (Balaenoptera
physalus) spiaggiate sulla costa tirrenica italiana (5).
Il presente lavoro riporta i risultati preliminari di indagini di
laboratorio condotte su cetacei piaggiati, al fine di rilevare la
presenza di agenti virali mediante l’impiego di microscopia
elettronica, colture cellulari e metodi biomolecolari.
MATERIALI E METODI: Cinquantaquattro campioni prelevati post mortem da 17 cetacei, 15 stenelle (Stenella coeruleoalba) e 2 tursiopi (Tursiops truncatus), sono stati sottoposti ad indagini virologiche mediante microscopia elettronica,
colture cellulari e PCR. Complessivamente sono stati esaminati 17 campioni di encefalo, 17 di polmone, 10 di tampone sfiatatoio, 7 di tampone faringeo e 3 di intestino.
Osservazione al TEM. Per l’osservazione al microscopio
elettronico a trasmissione (TEM), sono stati utilizzati 20
campioni omogenati in acqua ultrapura e processati secondo quanto descritto in Biel, 1999 (6) (Tab. 1).
Inoculo di colture cellulari. Per l’isolamento virale i 54 omogenati di organo e tamponi, sono stati inoculati su due linee
cellulari: linfociti di marmoset (B95a) in quanto sensibili ai
morbillivirus e cellule di rene di scimmia (Vero) per l’evidenziazione di altri possibili agenti virali (7). Dopo due passaggi
ciechi, ciascun criolisato da B95a è stato sottoposto ad analisi biomolecolare come di seguito descritto.
Analisi Biomolecolare
La PCR specifica per il genere Morbillivirus e la PCR specifica per DMV sono state eseguite sia su tutti gli omogenati di
organo e tamponi che sui relativi passaggi colturali.
Estrazione dell’RNA e sintesi del cDNA. L’RNA totale è stato estratto sia dagli omogenati d’organo e tamponi che dai
relativi passaggi colturali utilizzando il QIAamp® Viral RNA
Kit (Qiagen). Trenta µl di RNA totale sono stati quindi retrotrascritti mediante l’impiego dell’High Capacity cDNA Reverse Transcription Kit (Applied Biosystems).
PCR per il genere Morbillivirus. La PCR per il genere Morbillivirus selezionata dalla letteratura (8), è stata riadattata modificando la composizione della master mix: 0,2mM dNTP,
0,5µM per entrambi i primer, 5µl 10X Buffer (Invitrogen),
1,5mM MgCl2 (Invitrogen), 0,001% Triton X-100, 0,2mg/
ml BSA, 5µl di stampo a cDNA, 0,5µl di 5U/µl Platinum®
TaqDNA Polymerase (Invitrogen) ed H2O-DEPC fino ad un
volume finale di 50 µl. L’amplificazione eseguita con l’apparecchio Gene Amp® PCR System 9700 (Applied Biosystems) è stata corretta impostando un ciclo di 7’ a 94°C,
seguito da 40 cicli composti ciascuno da 1’a 94°C, 1’a 54°C
, 1’a 72°C ed infine 7’a 72°C.
PCR specifica per Dolphin Morbillivirus (DMV). La PCR per
DMV selezionata dalla letteratura (9) e rilevante una porzione di 173bp posta all’estremità 3’ del gene N specifica per
DMV, è stata riadattata modificando la composizione della
master mix: 0,2mM dNTP, 0,4µM per i primer, 5µl 10X Buffer (Invitrogen), 5µl di stampo a cDNA, 2mM MgCl2 (Invitrogen), 0,001% Triton X-100, 0,2mg/ml BSA, 5µl di cDNA,
0,5 µl di 5U/µl Platinum® Taq DNA Polymerse (Invitrogen)
e H2O-DEPC fino ad un volume finale di 50 µl. L’amplificazione eseguita sempre con Gene Amp® PCR System 9700,
è stata effettuata come da letteratura: 10’ a 94°C, 40 cicli
composti da 1’a 94°C, 1’a 62°C, 1’ a 72°C seguiti da 10’
a 72°C.
Costruzione dei controlli positivi per le due PCR. Per la costruzione dei controlli positivi delle due PCR, gli amplificati
specifici per Morbillivirus e DMV, dopo purificazione, sono
stati clonati in pCRII-TOPO vector (TOPO TA Cloning®
Dual Promoter kit, Invitrogen) e quindi usati per trasformare
le cellule competenti ONE SHOT TOP10 (Invitrogen, Life
Technologies, Carlsbad, CA, USA).
RISULTATI E CONCLUSIONI: Particelle paramyxoviruslike sono state osservate al TEM in n.6 campioni (Fig.1).
Tale positività è stata confermata mediante PCR. Nessun
effetto citopatico è stato riscontrato sulle due linee cellulari
inoculate. Tredici criolisati del secondo passaggio su B95a
sono risultati positivi in PCR per Morbillivirus genere e/o
DMV (Tab. 1).
In ambedue le PCR, l’organo più frequentemente risultato positivo è l’encefalo, seguito dal polmone; l’intestino è
sempre risultato positivo. Le colture cellulari inoculate con
campioni provenienti da 10 soggetti sono risultate positive
in PCR, nonostante l’assenza di effetto citopatico (ECP).
Secondo quanto riportato in letteratura (8), la PCR Morbillivirus genere è più sensibile, mentre la PCR DMV è più
specifica. Per questo motivo abbiamo considerato positivi i
campioni che reagivano ad una e/o entrambe le PCR eseguite. Sono in corso prove di sequenziamento per caratterizzare gli amplificati ottenuti con le due PCR.
176
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Figura 1: particelle paramyxovirus-like (barretta = 100 nm)
Tabella 1: Tabella 1: Risultati delle indagini virologiche eseguite su differenti campioni da cetacei spiaggiati
BIBLIOGRAFIA:
1. Van Bressem et al. (2009). Emerging infectious diseases
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177
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
FOCOLAIO DI RINOTRACHEITE INFETTIVA BOVINA IN ALLEVAMENTO
VACCINATO ALL’INGRASSO
Caruso C.*[1], Rosamilia A.[1], Biolatti P.G.[3], Malerba M.[2], Lotti R.[3], Rutigliano B.[3], Peletto S.[1], Angiolillo S.[1],
Biosa T.[1], Trisorio S.[1], Acutis P.L.[1], Masoero L.[1]
Keywords: IBR, BoHV-1, bovine
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’ Aosta ~ Torino,
[2]
ASL Cuneo 2 ~ Cuneo,
[3]
1 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’ Aosta ~ Cuneo
[1]
SUMMARY: Cases of infectious bovine rhinotracheitis have
recently been observed in vaccinated feedlot calves in Ceresole d’Alba, Piedmont, a few days after their introduction
into the herd. To investigate the cause of this outbreak, four
samples of lung tissues among 15 dead subjects were collected and BoHV-1 was isolated. Feedlot owners maintain
that vaccination against IBR is an essential component both
to prevent clinical signs and to reduce economical losses.
However, vaccines do not completely prevent disease occurrence by themselves, and should be used in conjunction with
good management practices.
INTRODUZIONE: L’allevamento intensivo del vitellone da
carne è una realtà molto diffusa in Piemonte dove sono presenti i cosiddetti centri d’ingrasso che importano ristalli bovini
provenienti dall’estero (1) ; tale tipologia di allevamento presenta diverse problematiche di benessere animale, che possono ripercuotersi sullo “status sanitario” dei soggetti. Vengono sviluppati programmi di prevenzione sanitaria più o meno
perfezionati, con trattamenti vaccinali mirati alla prevenzione
delle più insidiose patologie legate all’allevamento intensivo
tra cui l’IBR. Sebbene gli allevatori adottino numerosi accorgimenti gestionali, alimentari, profilattici e terapeutici, l’incidenza di questa patologia rimane un problema serio (2). In
questo lavoro viene descritto un focolaio di IBR in un allevamento bovino all’ingrasso situato a Ceresole d’Alba (Cuneo).
L’azienda è formata da 7 capannoni denominati A, B, C, (stalle di sosta), D, E, F (stalle da ingrasso) e G (infermeria), più
un paddock per lo svezzamento. Ogni stalla ospita in media
120 animali. I ristalli bovini provengono quasi totalmente dalla Francia e dopo un viaggio di diverse ore, vengono scaricati nelle strutture A, B, C. All’arrivo gli animali hanno un età
compresa tra i 100 ed i 180 giorni. In queste strutture gli animali vengono ripartiti in gruppi di circa 20-25 animali per ogni
box, nei quali trascorrono un periodo di quarantena. Dopo
tale periodo, i bovini vengono spostati nei box delle strutture
D, E, F. Gli animali permangono nel centro di ingrasso non
meno di 7 mesi e vengono macellati ad un età media di 21-22
mesi. Tutti gli animali vengono sottoposti a vaccinazione per
M. haemolytica., virus respiratorio sinciziale (VRSB), parainfleunza (PI3), diarrea virale (BVD) e rinotracheite (BoHV-1)
con successivo richiamo.
Nel mese di Ottobre 2011, 3 partite di 18 animali ciascuna,
54 animali in totale, introdotti da circa 45 giorni, (età 7 mesi
c.a. e peso vivo 270 Kg c.a.) hanno manifestato segni clinici
riferibili a sintomatologia respiratoria. Tutti gli animali hanno
subito una profilassi vaccinale, secondo il piano aziendale,
dopo due giorni dall’arrivo. Nello specifico sono stati utilizzati un vaccino inattivato contro le infezioni respiratorie da
M. haemolytica congiuntamente ad un vaccino polivalente
costituito da una componente inattivata liquida contenente
ceppi dei virus della rinotracheite infettiva bovina (IBR), della
parainfluenza 3 (PI3), del virus della diarrea virale bovina /
malattia delle mucose (BVD/MD) e del virus respiratorio sinciziale bovino (BRSV).
Il richiamo è stato effettuato tre settimane dopo con vaccino
IBR marker deleto gE e tK più vaccino contenente virus vivo
attenuato respiratorio sinciziale del bovino (VRSB).
Venti giorni dopo il richiamo, i soggetti hanno cominciato a
mostrare sintomi quali dispnea, tosse, fame d’aria, inappetenza, scolo nasale di tipo mucoso e ipertermia. Dopo 6 giorni
dalla comparsa dei primi sintomi è avvenuto il primo decesso;
in totale sono deceduti 15 animali. Presso i laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta è stato
condotto l’esame necroscopico ed eseguite le opportune indagini batteriologiche, virologiche e biomolecolari per ricerca
di agenti patogeni respiratori, in particolare BoHV-1.
MATERIALI E METODI: ISOLAMENTO VIRALE
I campioni di tessuto polmonare sono stati tritati ed estratti
in MEM EARLE antibiotato 5x. La sospensione è stata successivamente chiarificata mediante centrifugazione a 3500
rpm per 30 minuti a +4°C. Il surnatante è stato inoculato su
monostrati di cellule MDBK (Madin – Darby Bovine Kidney)
coltivati su piastre da 24 pozzetti e incubati a 37°C in presenza del 5% CO2. Le colture cellulari sono state osservate
quotidianamente per evidenziare la comparsa di effetto citopatico su monostrato infettato (ECP). L’ identificazione virale
è avvenuta mediante allestimento di chamber - slides con
infezione a monostrato fissate in etanolo freddo. Successivamente le chamber slides sono state colorate con anticorpo
monoclonale FITC specifico anti BoHV-1 (EUROCLONE) e
incubate per 30 minuti in camera umida a 37°C. I vetrini sono
stati lavati in PBS e osservati al microscopio a fluorescenza.
END POINT PCR PER RICERCA GENOMA BoHV-1
La presenza di genoma virale di BoHV-1 nel campione è
stata determinata mediante allestimento di PCR end point
rivolta verso il gene della glicoproteina gB utilizzando mix
e primers specifici riportati in tabella 1.Il DNA totale è stato
estratto da 25 mg di polmone utilizzando il kit PureLink Genomic DNA (Invitrogen) seguendo le istruzioni della casa produttrice. I frammenti genomici prodotti sono stati sottoposti
ad elettroforesi su gel di agarosio 2% e visualizzati mediante
transilluminatore GEL - DOC (Bio-Rad Laboratories), dopo
colorazione con GelGreen Nucleic Acid Stain (Invitrogen). Gli
ampliconi sono stati purificati e sottoposti a sequenziamento
diretto utilizzando il kit ABI PRISM BigDye Terminator v1.1
ed un sequenziatore automatico ABI 3130 Genetic Analyzer
(Applied Biosystems, USA). L’allineamento delle sequenze
è stato effettuato usando il software SeqMan (DNASTAR) e
confrontate con le sequenze presenti nel database GenBank
utilizzando BLAST.
178
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Tab.1
RISULTATI E CONCLUSIONI: L’esame anatomopatologico
ha rilevato gravi lesioni polmonari, con presenza di polmonite
ai lobi apicali, medi e porzioni dei diaframmatici, vaste aree di
epatizzazione rossa polmonare e tracheite necrotico difteroide
(Figura .1, 2, 3 ).
Le indagini virologiche effettuate hanno permesso l’isolamento
di BoHV-1, in tutti e 4 i campioni processati, dopo 72 ore di
incubazione su MDBK e la successiva identificazione mediante
immunofluorescenza con anticorpo monoclonale.
Le PCR effettuata sul tessuto polmonare di quattro animali è
risultata positiva con bande di amplificazione del peso molecolare atteso (Figura 4).
Il sequenziamento degli amplificati e successiva analisi con
BLAST delle sequenze ottenute hanno evidenziato un’identità del 100% con le sequenze del gene UL27 che codifica
per la glicoproteina B dello stipite Cooper di BoHV-1 (acc.no.
AJ004801).
Pur rappresentando un efficiente strumento di controllo del-
la malattia, sia come contenimento della sintomatologia, sia
per evitare la diffusione delle particelle virali, la vaccinazione
dovrebbe essere usata contestualmente a buone pratiche di
allevamento.(3)
La durata temporale del trasporto dalle zone di origine a quelle di ingrasso, lo stress generato dal repentino cambio dell’alimentazione, lo stress indotto dalle variazioni climatiche (temperatura ed umidità), il mescolamento di animali provenienti da
zone sanitarie differenti e l’elevata concentrazione di animali
in spazi ridotti e poco areati, possono aver determinato il fallimento del programma vaccinale con conseguente riattivazione
di infezione latente e manifestazione clinica della malattia in
condizioni di stress.(4)
Nella pratica dell’ allevamento intensivo gli stressors non
possono essere completamente eliminati, per cui risulta particolarmente importante allestire protocolli terapeutici efficaci
congiuntamente a buone pratiche manageriali e misure di biosicurezza.
179
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
BIBLIOGRAFIA: 1) Van Donkersgoed J, Babiuk LA. Diagnosing and managing the respiratory form of infectious bovine
rhinotracheitis. Vet Med 1991;1:86-94.
2) ANABORAPI, Associazone italiana allevatori del bovino di
razza piemontese, 2012: L’ allevamento del bovino piemontese
(dal sito www.anaborapi.it).
3) Pastoret P.P., Thiry E., Brochier B., Derboven G. e Vindevo-
gel H.(1984)- The role of latency in the epizootiology of infectious bovine rhinotracheitis in latent herpes virus infections in
veterinary medicine. Ed. Wittmann G., Gaskell R.M. And Rzira
H.J., Martinus Hijhoff Publisher, Dordrecht, pp 221-227
4) Wentink G.H., Van Oirschot J.T., e Verhoeff J., (1993) Risk
of infection with bovine herpesvirus 1 (BHV1): a review, Vet
Quart, 15: 30-33
180
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
PROCEDURA DI ESTRAZIONE DEL DNA DI MYCOBACTERIUM AVIUM SUBSP.
PARATUBERCOLOSIS DA FORMAGGI DI PECORA
Casalinuovo F.*[1], Ciambrone L.[1], Musarella R.[1], Allevato F.[1], Corea M.[1], Gentile M.[1], Guarino A.[2]
Keywords: Map, formaggi, PCR
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno Sezione di Catanzaro ~ Catanzaro,
[2]
Direzione Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici
[1]
SUMMARY: We described a procedure of the Mycobacterium
avium subsp. paratubercolosis DNA extraction from handmade
sheep cheese containing raw milk.This procedure can be used
in the execution of the Real Time PCR method for the singling
of the infection of dairy products by Mycobacterium. As regards
the traditional method of the cultural isolation, the Real Time
PCR represents an easiest and faster method in both application and execution time.
INTRODUZIONE: La Paratubercolosi è una malattia infettiva e
contagiosa che colpisce in particolare i ruminanti domestici e
selvatici. Descritta per la prima volta nel 1895 (4) è nota anche
come malattia di Johne (Johne’s Disease), mentre Il ruolo eziologico di Mycobaterium avium subs. paratuberculosis (Map) fu
definito con certezza nel 1912 (7). L’attenzione verso questa
malattia è in continuo aumento a causa dei danni economici
che può provocare negli allevamenti bovini ed ovicaprini, ma
anche per il possibile ruolo che il Map potrebbe svolgere in
alcune patologie dell’uomo, nel quale il contagio si verifica in
seguito all’ingestione di alimenti e acqua contaminati. La diagnosi della malattia è basata sull’isolamento colturale del Map
dagli animali infetti e dai prodotti alimentari sospetti. Tuttavia,
questo metodo risulta particolarmente indaginoso nell’esecuzione e richiede tempi lunghi di incubazione, non sempre compatibili con l’esigenza di disporre di metodi rapidi, specifici e di
facile esecuzione per l’individuazione di Map soprattutto negli
alimenti ed in particolare nei prodotti lattiero caseari, dove il
Map può essere presente in quantità molto limitate. I metodi di
biologia molecolare assommano i requisiti di affidabilità, praticità e ridotti tempi di esecuzione, e se associati a valide procedure di estrazione del DNA costituiscono un valido strumento
diagnostico,. Con il presente lavoro viene descritto un efficace
protocollo di estrazione del DNA di Map da matrici di formaggio di pecora a pasta semidura da utilizzare nell’esecuzione
del metodo di prova Real Time PCR e provato in condizioni
assolutamente naturali su prodotti contaminati normalmente
presenti in commercio.
MATERIALI E METODI: Sono stati utilizzati 36 diversi campioni
di formaggio di pecora a latte crudo, di stagionatura compresa
tra i 15 e i 21 giorni, prodotti secondo il sistema tradizionale di
caseificazione di trattamento del latte a temperature non superiori a 50 °C. I formaggi erano stati ottenuti per trasformazione
diretta del latte ovino prodotto in altrettanti allevamenti distribuiti sul territorio calabrese, dove la prevalenza apparente della
Paratubercolosi ovina è del 15,8% (2). Da ciascun campione
sono stati prelevati 50 gr. di formaggio, privi dello strato esterno
e sottoposto ad omogeneizzazione mediante stomacher miscelatore (stomacher 400 circulator) alla velocità di 230 rpm
per 30 sec. (5). Successivamente ad 1g di omogenato sono
state aggiunte 100 mg di biglie di vetro (diametro 150-112µm
- Sigma) e si dato inizio al processo di estrazione mediante
l’utilizzo di un kit presente in commercio (QIAmp DNA mini
kit, - Qiagen). Al campione sono stati quindi aggiunti 180 µl di
buffer ATL fornito dal kit. Per ottenere la lisi cellulare il campione è stato successivamente sottoposto a 3 cicli di 45 s a 4 Hz
all’interno del FAST PREP; il sovranatante è stato prelevato e
trasferito in un tubo da 1.5 ml, nel quale sono stati aggiunti 20µl
di proteinasi k e 5 µl di controllo interno (EPC EXTRACTION),
presente nel kit amplificazione utilizzato (Adiavet òParatb Real
Time - Adiagene) e quindi incubato a 56° C per 1 h, procedendo successivamente per come previsto dal QIAmp DNA mini
kit . Occorre sottolineare come il campo di applicazione del kit
di amplificazione (Adiavet òParatb Real Time - Adiagene) non
contempla i formaggi ma è stato testato e quindi indicato per
feci bovine, ovine e caprine, latte e tessuti (1, 3, 6,). Il kit è provvisto di due controlli interni:
1. EPC EXTRACTION, che viene aggiunto durante la fase di
estrazione e serve a verificare l’intero processo di estrazione e
l’assenza di inibitori
2. EPC AMPLIFICATION,che viene aggiunto nella master mix
ed ha la funzione di controllare l’assenza di inibitori di amplificazione.
Pertanto vengono utilizzate quattro coppie di primers e due
sonde, una marcata con il fluorocromo FAM che è specifico per
M. Paratubercolosis (IS900) l’altra marcata con il fluorocromo
VIC specifica per la rilevazione dei controlli di estrazione e/o
amplificazione.
La fase di termociclizzazione ( termociclatore Biorad CFX96
Real Time) è stata impostata con il seguente profilo:
• 1 ciclo a 50 °C per 2 minuti
• 1 ciclo a 95 °C per 10 min
• 45 cicli a 95 °C per 30 sec, 60 C per 1 min
RISULTATI E CONCLUSIONI: Attraverso l’applicazione della
procedura descritta, il DNA di Map è stato rilevato in 5 campioni
di formaggio sui 36 analizzati (13,8%). Successivamente sui
campioni positivi sono state avviate prove di isolamento batteriologico tuttora in corso e finalizzate a confermare la reale
presenza e la vitalità di Map nei campioni dove è stato rilevato il
DNA. La procedura di estrazione utilizzata si è quindi dimostrata molto efficace nel rilevare la contaminazione da Map dei prodotti alimentari considerati, in particolare se si tiene conto che
i campioni di formaggio analizzati sono stati reperiti dal commercio con il criterio della casualità ed in assenza di qualsiasi
tipo di informazione circa lo stato sanitario degli animali appartenenti alle rispettive aziende di produzione, ed in particolare
verso l’infezione paratubercolare. Nelle tabelle sono riportati i
dati relativi ad una sessione lavorativa, molto significativa in
quanto oltre ai formaggi sono stati contemporaneamente processati anche le diverse matrici biologiche per le quali il kit è
testato, vale a dire un campione di latte, un campione di feci
181
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Tabella n.1:Valori di C(t) per sonda FAM di tutti i campioni analizzati
Tabella n.2:Valori di C(t) per sonda VIC di tutti i campioni analizzati
182
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
caprine ed un reperto di mucosa intestinale proveniente da un
animale infetto da paratubercolosi clinicamente in atto e confermata con l’isolamento di Map. In tutte le suddette matrici, latte,
feci e mucosa intestinale, è stato rilevato il DNA di Map, analogamente a quanto riscontrato sui 5 campioni di formaggio.
Inoltre, i valori riportati nelle tabelle dimostrano la validita’ della
procedura d’ estrazione in quanto tutti i campioni presentano
un C(t), ossia un numero di ciclo in cui la fluorescenza emessa
dal fluoroforo è massima. Si può pertanto concludere che il kit
di amplificazione utilizzato, pur non indicato per i formaggi di
pecora, è risultato efficace anche per questa tipologia di matrice e può quindi essere allo scopo utilizzato. I dati disponibili
circa la diffusione della Paratubercolosi sul territorio nazionale
sono ancora insufficienti e soprattutto diversi a secondo delle
realtà territoriali dove sono finora sono stati condotti studi epidemiologici. Di certo la malattia rappresenta un serio problema
sanitario per il comparto ovicaprino italiano, con le immaginabili
conseguenze che possono derivare per il settore caseario ed in
particolare per la produzione dei formaggi di pecora a latte crudo. La disponibilità di procedure e metodiche innovative utili ad
evidenziare livelli di contaminazione da Map in questi prodotti,
può senz’altro contribuire ad un’attività di controllo più rapida
ed efficace.
BIBLIOGRAFIA: 1.Blanchard B., Versmisse Y. and Chevallier
B. (2008): Detection of Mycobacterium avium subsp. Paratubercolosis in bovine feces and milk using Adiapure extraction
kit and Real Time Adiavet PCR Kit. 47h annual conference of
AAVL, 7-10 july 2008.
2.Casalinuovo F., Musarella R., Corea M., Mungo V., Guarino
A., (2011): Infezione da Mycobacterium avium subsp. paraubercolosis negli ovini e il rischio di contaminazione del latte..
Atti Convegno VI Workshop di Epidemiologia Veterinaria, Orvieto 1-2 Dicembre 2011, pag. 65-66
3.Couquet C., Chatonnet S., Fremont A., Rebeyroles L., Versmisse Y., Blanchard B. (2005): Evaluation of real time PCR
of pooled fecal samples for detection of Mycobacterium paratuberculosis in cattle. 8th International Colloquium on Paratuberculosis The Royal Veterinary and Agricoltural University
Copenhagen, Denmark August 14-17, 2005, pag.100
4.Johne, H., Frothingham, L., 1895, Ein eigenthümlicher Fall
von Tuberculose beim Rind. Deutsche
Zeitschrift f. Thiermed. u. vergl. Pathologie XXV, 438-454.
5.John Ikonomopoulos, Ivo Pavlik, Milan Bartos, Petra Svastova, Wuhib Yayo Ayele, Petr Roubal, John Lukas, Nigel
Cook , Maria Gazouli (2005). Detection of Mycobacterium
avium subsp. paratuberculosis in Retail Cheeses from Greece
and the Czech Republic.. Appl. Environ. Microbiol. December
2005 vol. 71 no. 12 8934-8936.
6.Nathalie Veillon-Vassallo, (201): Les animaux atteints de
paratubercolose advantage dépistés avec les nouveaux
procédés PCR. Le Point Vétérinaire, Mars 2011 / N° 313, pag.
64-67.
7.Twort FW, Ingram GLY: 1912, A method for isolating and
cultivating Mycobacterium enteritidis chronicae pseudotuberculosae bovis, Johne, and some experiments on the preparation of a diagnostic vaccine for pseudotuberculous enteritis of
bovines. Vet J 68:353–365.
183
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
MONITORAGGIO DEI GRANDI ROGHI INCONTROLLATI DI RIFIUTI IN
REGIONE CAMPANIA
Cavallo S.*[1], Esposito M.[2], Pellicanò R.[1], Colarusso G.[1], Rosato G.[3], Guarino A.[2], Caligiuri V.[2], Baldi L.[2], Sarnelli P.[3]
Keywords: Roghi, Diossina, Campania
ORSA - Osservatorio regionale Sicurezza Alimentare c/o IZSM Portici ~ Portici (NA),
[2]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del mezzogiorno di Portici ~ Portici (NA),
[3]
Regione Campania, AGC20 Assistenza Sanitaria, Settore Veterinario ~ Napoli
[1]
SUMMARY: A lot of sample were collected during the dioxin’s
emergency in 2008 in Campania. The analysis have revealed
the fingerprint of dioxins: the milk contamination was caused by
the smoke of the trash fires. In order to protect human health
since 2009, the Regional Department of Public Health in collaboration with ORSA has developed an extraordinary monitoring
plan on the contamination effects originated by trash fires.
INTRODUZIONE: Durante l’emergenza diossina verificatasi nel
2008 nella regione Campania, particolarmente nella zona del
basso casertano, è stato implementato un piano straordinario
detto Piano Unione Europea; sono stati esaminati più di 1000
campioni per la ricerca di diossine e PCB diossina simile, costituiti da latte di massa e da alimento ad uso zootecnico (Tab. 1).
La grande mole di dati permise di effettuare la caratterizzazione
del fingerprint della contaminazione ambientale e di dimostrare
che i roghi incontrollati di rifiuti rappresentavano le fonti (spot) di
contaminazione più probabili nell’area (1). Contemporaneamente l’ARPA Campania ha denunciato alcuni superamenti dei limiti
di legge per diossine e PCB/dl in campioni di suolo prelevati nei
cosiddetti buffer delineati a seguito di Non Conformità rilevate
negli alimenti. Chiusa l’emergenza, l’Osservatorio Regionale
Sicurezza Alimentare (ORSA), di concerto con il Settore Veterinario della Regione Campania, ha intrapreso un’attività di monitoraggio sui maggiori roghi incontrollati di rifiuti o depositi di rifiuti, utilizzando i principi contenuti nel “Piano di Sorveglianza sulla
contaminazione da diossine in Campania” DGR 2235/2007 (2).
Fig. 1. Esempio di buffer realizzato in caso di rogo
Tabella 1. Distribuzione dei campioni per PCDD/F e PCB/dl in
Campania per il Piano Unione Europea
MATERIALI E METODI: Le notizie relative a roghi sono raccolte attraverso articoli pubblicati dai maggiori siti di informazione
nazionale e locale. Dopo verifica delle informazioni per definire
la tipologia del materiale combusto, si procede all’individuazione precisa della località in cui si è verificato il rogo rilevando le
coordinate geografiche. A partire dal centro del rogo si realizza
un buffer circolare con raggio di 3 km all’interno del quale si
selezionano le aziende zootecniche presenti (Fig. 1). La carina
così realizzata e l’elenco delle aziende è trasmesso con nota del
Settore Veterinario alle AASSLL e alle sezioni provinciali ARPAC competenti territorialmente. I Servizi Veterinari effettuano
quindi i sopralluoghi e gli eventuali prelievi, in base all’analisi
del rischio.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Dal 2009 al 2012 sono stati processati dall’ORSA 13 grandi roghi di rifiuti abbandonati, discariche o depositi di materiale plastico in diverse zone della Campania più 1 caso di contaminazione ambientale segnalato da
ARPAC con superamenti dei limiti di diossine e PCB/dl in campioni di suolo(Fig. 2). Lo studio dei roghi è ormai un processo
standardizzato, tant’è che a Giugno 2012 il Settore Veterinario
lo ha reso Ufficiale con la nota “Procedure operative in caso di
segnalazione di roghi” (3). Lo scopo è quello di “automatizzare
e rendere più tempestivi gli interventi di prevenzione”, stabilire
quanto prima un “tavolo di concertazione allargato con tutte le
Autorità coinvolte nel controllo del territorio, al fine di definire
delle procedure codificate”, offrire un supporto operativo coordinato nella gestione dei roghi di rifiuti che rappresentano una
emergenza dal punto di vista ambientale e sociale, prevenire le
eventuali Non Conformità della catena alimentare garantendo
al consumatore la Sicurezza Alimentare.
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Fig. 2. Distribuzione dei grandi roghi processati dall’ORSA
BIBLIOGRAFIA:
(1) Neugebauer F, Esposito M, Opel M, Päpke O, Gallo P,
Cavallo S, Colarusso G, D’Ambrosio R, Sarnelli P, Baldi L, Iovane G, Serpe L. “The Italian Buffalo Milk Case – Results and
Discussion of PCDD/F- and dl-PCB Analysis in Milk, Feeding
Stuff and Soil Samples from Campania, Italy”, International
Symposium Dioxin 2009, 23-29 agosto2009, Bejing, China
(2) Regione Campania - Giunta Regionale - Seduta del 21 dicembre 2007 - Deliberazione N.2235 - Area Generale di Coor-
dinamento N. 20 - Assistenza Sanitaria – N. 11 - Sviluppo Attività Settore Primario – N. 5 - Ecologia, Tutela dell’Ambiente,
Disinquinamento, Protezione Civile - Approvazione del Piano
di Sorveglianza sulla contaminazione da diossine in Campania. BURC n°2 del 14 Gennaio 2008
(3) Regione Campania, AGC20 Settore 02 Assistenza Sanitaria - Settore Veterinario. Nota prot. 2012.0470768 del
19/06/2012 ad oggetto “Procedure operative in caso di segnalazione di roghi”
185
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
MONITORAGGIO SULLA PRESENZA DI CADMIO E PIOMBO NELLE CARNI EQUINE
MACELLATE NELLA REGIONE PUGLIA DAL 2010 AL 2012
Chiaravalle A.*[1], Pompa C.[1], Miedico O.[1], Tarallo M.[1]
Keywords: carni equine, ICP/MS, metalli pesanti
Istituto Zooprofilattico Sperimentale Puglia e Basilicata ~ Foggia
[1]
SUMMARY: A monitoring study on the presence of Cadmium
(Cd) and Lead (Pb) in horsemeat slaughtered in the Apulian
Region from 2010 to 2012 was carried out. The analysis were
performed using an Official method (UNI EN 15763:2010), based on the use of the Inductively Coupled Plasma Mass Spectrometry. The amount of Cd was compared with the law limits
concentrations according to the Reg. CE 1881/2006.
INTRODUZIONE: Il controllo ufficiale sui prodotti alimentari
attuato dagli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (II.ZZ.SS) contribuisce in maniera significativa alla salvaguardia e alla tutela
della salute del consumatore. Il Piano Nazionale Residui (PNR)
si propone di effettuare tali controlli su una vasta gamma di prodotti alimentari destinati al consumo umano. Rientra tra gli scopi del Piano la ricerca di elementi chimici contaminanti, in particolar modo Cadmio (Cd) e Piombo (Pb), in matrici alimentari
che rivestono un ruolo importante nell’alimentazione umana.
Il presente lavoro svolto presso l’IZS-Puglia e Basilicata mostra
i risultati ottenuti nell’ambito di tale piano di monitoraggio sullo
stato di contaminazione da Cd e Pb in campioni di carne equina
prelevati nella regione Puglia tra il 2010 e il I semestre 2012.
MATERIALI E METODI: Campioni analizzati: per il presente
studio di monitoraggio sono stati presi i risultati relativi a 274
determinazioni di Cd e 163 di Pb, distribuite nei 2 anni e mezzo secondo quanto riportato in Tabella 1. La maggior parte dei
campioni considerati ha origine nazionale, solo una piccola
percentuale (circa il 2%) proviene da paesi esteri (Polonia, Romania, Francia e Spagna). Tutti i campioni di muscolo esaminati appartengono a esemplari di equini di età compresa tra 2
e 4 anni circa.
Preparazione del campione: la determinazione dei due metalli pesanti è stata effettuata con un metodo analitico normato
(UNI EN 15763:2010) e accreditato, che prevede la mineralizzazione acida in microonde e la successiva determinazione
strumentale mediante Spettrometria di Massa al Plasma Induttivamente Accoppiato (ICP-MS). L’aliquota destinata all’analisi
(circa 500 g), opportunamente separata da eventuali parti lipidiche in eccesso, viene omogeneizzata mediante omogeneizzatore a lame; una parte di essa (circa 1,0 g) viene pesata su
bilancia analitica e mineralizzata in forno a microonde con 6 ml
di Acido Nitrico (HNO3) e 2 ml di Perossido di Idrogeno (H2O2),
entrambi di grado Ultra-Puro. La soluzione acida così ottenuta
viene diluita ad un volume noto (50,0 ml).
Determinazione Strumentale: previo controllo delle performances strumentali(1), la soluzione analitica viene sottoposta a determinazione strumentale mediante un ICP-MS, Modello Elan
DRC II della PerkinElmer. La determinazione strumentale di Cd
e Pb è stata eseguita mediante taratura esterna, con standard
acquosi acidificati al 2% di HNO3, con range di taratura da 0,50
ng/ml a 50,0 ng/ml. Gli isotopi considerati sono il Cd-111 e il
Pb-208. Come standard interno è usata una miscela acida di
Bismuto (per il Pb) e di Rodio (per il Cd), additivata on line mediante miscelatore. Per assicurare la qualità del dato analitico,
contestualmente ai campioni viene mineralizzato anche un Materiale di Riferimento Certificato (NIST - 1577b Bovine Liver).
Ciascun campione di carne equina è analizzato in doppio, con
ripetibilità minima accettabile del 5%.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Nella Tabella 1 sono riassunti i
risultati del monitoraggio sulla contaminazione da Cd e Pb nel
muscolo equino. Per entrambi i metalli sono riportati, in base
all’anno di prelievo, il numero di campioni analizzati, il numero
delle non conformità, la media (in mg/kg), insieme ad altre statistiche descrittive.
Tabella 1: Statistiche descrittive del tenore di Cd e Pb nel
muscolo equino, negli anni 2010 – I semestre 2012
Si precisa che per il calcolo della media, nel caso di concentrazioni inferiori al Limite di Quantificazione (LOQ) si è considerato il valore pari a LOQ/2. Per la matrice in esame solo il
Cd è regolamentato (Reg. CE 1881/2006 e s.m.i.), per il quale
è ammesso un limite massimo di 0,20 mg/kg sul peso fresco.
Per il Pb, poichè non è definito alcun limite massimo nella matrice muscolo equino, è stato considerato come valore soglia
di riferimento il limite massimo consentito in matrici similari,
come muscolo bovino, suino, ovino e pollame. Per il Cd è stata
registrata solo una non conformità, su un campione prelevato
nel 2010 nel Comune di Supersano (ASL di Lecce, Distretto
di Maglie); inoltre, la media delle concentrazioni riscontrate è
abbondantemente al di sotto del limite massimo consentito, per
tutti e tre i periodi considerati. Se si esclude l’unico campione
positivo, i valori massimi riscontrati si mantengono sempre al di
sotto del limite di legge. Inoltre, nel corso degli ultimi 30 mesi,
186
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il livello di contaminazione da Cd è rimasto pressoché stabile.
Parallelamente, il numero dei campioni con esito sfavorevole
di Pb (con un valore soglia ragionevolmente equiparato a quello di matrici similari) è molto più consistente rispetto al Cd (con
un incidenza del 31% nel 2010, 12% e 14% nel 2011 e 2012).
Inoltre, i valori medi delle concentrazioni sono alquanto elevati,
passando dai 0,14 mg/kg del 2010, ai 0,081 e 0,087 mg/kg dei
periodi successivi. Tale evidente peculiarità negativa dell’anno
2010 trova una ragionevole spiegazione statistica nel ridotto
numero di campioni analizzati, poiché in 3 campioni è stato
riscontrato un livello di Pb molto elevato (superiore a 1,0 mg/
kg). Infatti, se si escludono questi “outliers” la media diviene
pari a 0,083 mg/kg, del tutto comparabile ai valori degli anni
successivi.
Inoltre, sulla base della contemporanea determinazione dei
2 metalli su tutti i campioni di muscolo equino del I semestre
2012, è stata costruito il grafico [Concentrazione Pb] vs [Concentrazione Cd]: non si denota nessun andamento di correlazione che leghi il bioaccumulo del primo metallo con il secondo.
La numerosità alquanto elevata dei campioni permette, infine,
di cogliere differenze dovute alla provenienza dei campioni:
sono state distinte, infatti, 6 aree geografiche corrispondenti ai
distretti di competenza delle ASL a cui è affidato il campionamento delle matrici in questione. Il Grafico 1 mostra i valori di
Cd e di Pb mediati su tutto il periodo preso in esame. Da esso
sembrerebbe che i campioni prelevati nella provincia di Lecce
mostrino un tenore medio di Cd e Pb lievemente superiore a
quello delle altre zone pugliesi, che sono abbastanza omogenee tra loro. Tuttavia, per dimostrare l’attendibilità statistica di
tale assunto occorre collezionare altri dati nel corso degli anni
avvenire.
Grafico 1: Tenori medi (2010-2012) di Cd e Pb (espressi in mg/kg) nei campioni di muscolo equino
prelevati nelle province pugliesi.
BIBLIOGRAFIA:
1. Cubadda F., Inductively coupled Plasma-Mass Spectrometry for the Determination of Element and Element Species in
Food: a Review, Journal of AOAC International (2004), Vol.87
(32)
2. Bozzo G., Ceci E., Pinto P., Determinazione di cadmio nel
muscolo, nel fegato e nel rene di equini macellati nella provincia di Bari.
3. Nordic Council of Minister (2003) – Cadmium Review: Human exposure and Health Effects. January 14-15.
187
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
VALUTAZIONE DELLA PREVALENZA DI ESCHERICHIA COLI VTEC IN CARCASSE E FECI
DI BOVINI MACELLATI IN UMBRIA.
Cibotti S.[1], Ercoli L.*[1], Farneti S.[1], Zicavo A.[1], Mencaroni G.[1], Scuota S.[1]
Keywords: E. coli VTEC, Real time PCR, bovino
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia
[1]
SUMMARY: Verocytotoxin- producing Escherichia coli (VTEC)
are widely documented as causing a broad range of conditions in human beings, from asymptomatic infection to bloody
diarrhoea with haemolytic-uraemic syndrome. Ruminants are
generally healthy carriers of VTEC, and cattle are considered to
be the main reservoir of infection for humans. The presence of
VTEC in cattle faeces represents a potential source of contamination of the food chain. Aim of this study was to evaluate the
E. coli VTEC prevalence in faeces and carcasses of 250 bovine
slaughtered in Umbria between March 2011 and April 2012.
INTRODUZIONE: Le infezioni causate da stipiti di Escherichia
coli produttori di verocitotossine (VTEC) sono associate a un
ampio spettro di patologie nell’uomo, da diarrea non complicata
a colite emorragica (HC) fino alla sindrome emolitico-uremica
(HUS) caratterizzata da insufficienza renale acuta. La severità
dell’infezione e la bassa dose infettante, rendono tali microrganismi particolarmente temibili soprattutto in bambini, anziani e
soggetti immunocompromessi.
In Europa (7) i sierotipi VTEC responsabili della maggioranza
dei casi di malattia sono O157, O26, O103, O111 e O145 definiti come altamente patogeni nell’uomo a causa della presenza
concomitante dei geni vtx, deputati alla produzione di verocitotossine, e del gene eae codificante per i fattori di adesione.
Numerosi studi evidenziano la specie bovina come principale
reservoir di E. coli VTEC (2, 3, 4).
Durante la macellazione, la contaminazione delle carcasse con
il contenuto fecale di animali infetti può rappresentare un fattore di rischio per la trasmissione dell’infezione all’uomo.
I dati relativi alla prevalenza di E. coli VTEC risultano essere
influenzati da alcuni fattori quali la sensibilità e la specificità dei
metodi analitici impiegati, nonché dalle procedure di campionamento utilizzate.
L’utilizzo di metodiche molecolari consente di effettuare uno
screening rapido per la rilevazione di ceppi potenzialmente patogeni per l’uomo.
Scopo del lavoro è stato quello di valutare la prevalenza di E.
coli VTEC con l’ausilio di tali metodi molecolari in carcasse e
nel contenuto intestinale di bovini macellati nella Regione Umbria.
MATERIALI E METODI: Il numero dei campioni (250) è stato determinato considerando una prevalenza del 20% (dati di
letteratura), un errore stimato del 5% e un livello di confidenza
del 95%.
Il prelievo sulle carcasse è stato effettuato mediante l’impiego
di spugne sterili preinumidite, secondo quanto previsto dal Capitolo 3 del Regolamento CE 1441/2007 (1).
Dagli stessi bovini è stato prelevato il contenuto cecale al momento dell’eviscerazione. Le feci e le spugne sono state refrigerate e analizzate entro 24 h dal prelievo.
Le spugne sono state arricchite in 90 ml di Acqua Peptona-
ta Tamponata (Pronadisa- Sassone) e incubate per 16-18 h a
37°C ± 1°C, mentre le feci (5 g) sono state diluite in rapporto
1:10 p/v in brodo mTSB (BioKar Diagnostics) e incubate per
16-18 h a 37°C ± 1°C.
Sui brodi di arricchimento è stata effettuata l’estrazione del
DNA: per le spugne tramite bollitura, per le feci mediante l’utilizzo di kit commerciali (DNeasy Blood and Tissue kit, QIAGEN).
Sul DNA estratto è stata effettuata la ricerca dei geni di
patogenicità(vtx1, vtx2, eae) tramite Realtime PCR e sui brodi risultati positivi (contemporanea presenza dei geni vtx1 e/o
vtx2 ed eae) è stata eseguita l’ulteriore analisi, volta a evidenziare i geni codificanti per l’antigene somatico dei 5 principali
sierogruppi di E.coli VTEC considerati. Le sequenze dei primer e delle sonde utilizzate sono quelle previste dalla ISO/TS
13136:2011(E).
Sulle brodocolture risultate positive per i fattori di patogenicità e per almeno un sierogruppo è stata effettuata un’immunoseparazione magnetica (Dynabeads®, Invitrogen) seguita da
semina su CT-SMAC (BioKar Diagnostics) e/o su un terreno
selettivo e differenziale (6).
RISULTATI E CONCLUSIONI: Nei Grafici 1 e 2 sono riportati
i risultati della Real Time PCR per i fattori di patogenicità effettuata sui brodi di arricchimento rispettivamente delle carcasse
e delle feci.
Dei 250 campioni di carcasse, 217 (86,8%) sono risultati negativi. Nel 5,6% (14/250) delle brodocolture erano presenti tutti
e tre i geni di patogenicità, mentre nel 7,6% (19/250) delle brodocolture il gene eae era associato a uno dei geni codificanti la
verocitotossina (vtx1 o vtx2).
Dei 250 campioni di feci, 177 (70,8%) sono risultati negativi.
Il 14,8% (37/250) risultava positivo per tutti e tre i geni di patogenicità, mentre nel 14,4% (36/250) delle brodocolture si è
evidenziato il gene eae associato ad uno dei geni codificanti la
verocitotossina (vtx1 o vtx2).
I Grafici 3 e 4 mostrano i risultati della successiva analisi
molecolare volta all’identificazione dei sierogruppi correlati ai
campioni positivi per eae e per vtx1 e/o vtx2, rispettivamente
nelle carcasse e nelle feci. Dal grafico 3 si evince che i geni
sierogruppo-specifici ritrovati nelle carcasse sono quelli codificanti i sierogruppi O157 (45.45 %), O26 (33.3%), O103 (6.0%)
e O145 (3.0%).
Nei campioni di feci (Grafico 4) si evidenziano i geni di tutti
e cinque i sierogruppi e precisamente: O157 (52.1%), O26 e
O103 (30.1%), O145 (6.8%) e O111 (1.4%).
Alcuni campioni sono risultati positivi contemporaneamente
per la presenza di più geni sierogruppo-specifici, mentre, in altri casi, a fronte di una positività per i geni di patogenicità eae,
vtx1 e/o vtx2, non si è riscontrata corrispondenza con nessuno
dei cinque sierogruppi testati.
L’isolamento sui terreni selettivi si è ottenuto nel 30.2%
(32/106) del totale dei campioni risultati positivi; va pertanto ri-
188
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levato che l’isolamento degli stipiti di VTEC evidenziati con metodi biomolecolari risulta spesso problematico (5), nonostante
l’applicazione di metodiche di immuno-separazione specifica
per sierogruppo. Ciò può essere imputato alla presenza di una
cospicua flora microbica contaminante, al basso livello di contaminazione da parte dei VTEC o al fatto che la Real Time PCR
rileva anche il DNA di batteri non vitali, che conseguentemente
non è possibile isolare.
La conferma dei geni di patogenicità, effettuata sui ceppi isolati, è risultata positiva in 11 ceppi di O157 isolati da feci e in
4 ceppi di O157 isolati da carcasse, mentre negli altri sierogruppi isolati la ricerca dei fattori di patogenicità non ha evidenziato le caratteristiche dei ceppi STEC altamente patogeni.
Il mancato riscontro, nei ceppi isolati, dei geni di patogenicità
osservati nelle rispettive brodocolture, può essere attribuito alla
distribuzione di questi geni in cellule batteriche diverse, oppure
alla presenza di altri sierogruppi altamente patogeni per l’uomo, che non vengono evidenziati con il metodo impiegato nel
presente lavoro.
Questi dati inducono a stimare una prevalenza di E. coli STEC
del 4.4% nelle feci e del 1.6% nelle carcasse, prevalenza ascrivibile esclusivamente a O157. La disponibilità di terreni selettivi e differenziali per l’isolamento degli altri E. coli VTEC può
aumentare il successo della fase di isolamento, per una più
puntuale stima del rischio.
I dati ottenuti inducono comunque a mantenere alta l’attenzione su una scrupolosa osservanza delle buone pratiche di macellazione, al fine di evitare la contaminazione delle carcasse
e, conseguentemente, degli alimenti da esse derivati, specialmente di quelli destinati a essere consumati crudi o poco cotti.
189
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BIBLIOGRAFIA:
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(2001). Faecal carriage of Verocytotoxin-producing Escherichia coli O157 and carcass con¬tamination in cattle at slaughter in northern Italy. Int J Food Microbiol, 66: 47-53.
3. Caprioli A., Conendera G., Lucangeli C. (2005). Escherichia
coli O157 e altri E. coli Enteroemorraggici. In: Trattato sulle
infezioni e tossinfezioni alimentari, Rondinelli E.G, Fabbi M,
Marone P. (Eds). Pavia: Selecta Medica.
4. Caprioli A., Morabito S., Brugère H., Oswald E. (2005). Enterohaemorrhagic Escherichia coli : emerging issues on virulence
and modes of transmission . Vet. Res. 36.:289-311.
5. Hussein H.S., Bollinger L.M.(2008). Influence of selective media on successful detection of Shiga Toxin- producing
Escherichia coli in food, faecal, and environmental samples.
Foodborn Pathogens and Disease : 227-224
6. Posse´, B., De Zutter, L., Heyndrickx, M. and Herman, L.
(2007b).Novel differential and confirmation plating media or
Shigatoxin producing E. coli serotypes O26, O103, O111, O145
and sorbitol positive and negative O157. FEMS Letters in Microbiology, in press.
7. SCIENTIFIC REPORT OF EFSA - Technical specifications
for the monitoring and reporting of verotoxigenic Escherichia
coli (VTEC) on animals and food (VTEC surveys on animals
and food). European Food Safety Authority (EFSA), Parma,
Italy. EFSA Journal 2009: 7(11):1366
190
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
DETERMINAZIONE QUANTITATIVA MEDIANTE HPLC-MS/MS DI PERFLUOROOTTANO
SULFONATO (PFOS) E ACIDO PERFLUOROOTTANOICO (PFOA) IN CEREALI
Ciccotelli V.[1], Gili M.[1], Brizio P.[1], Podda M.*[1], Abete M.C.[1]
Keywords: PFOS, PFOA, Cereals
IZS PLV - Centro di Referenza Nazionale per la Sorveglianza ed il Controllo degli Alimenti per Animali ~ Torino
[1]
SUMMARY: PFOS and PFOA are resistant to hydrolysis, photolysis and microbial degradation. They have been extensively
used in many industry sectors, but they can cause adverse effects
on metabolic and neuroendocrine systems of man and animals.
In 2009 they were reported as “Persistent Organic Pollutant”.
The data, currently available in literature, are not sufficient to understand the actual level of human exposure.
The purpose of this investigation is the development and the validation of a LC-MS/MS method for the detection of PFOS and
PFOA in some cereals, that will be exploited to perform a monitoring.
INTRODUZIONE: Il perfluoroottano sulfonato (PFOS) e l’acido
perfluoroottanoico (PFOA) appartengono all’ampia famiglia delle
sostanze perfluoroalchiliche (PFAs), sono costituite da uno scheletro di atomi di C (da 4 a 14), lineare o ramificato, a cui sono
legati atomi di F. Queste molecole sono particolarmente resistenti
all’idrolisi, alla fotolisi e alla degradazione microbica, per questo
vengono usate in molti settori industriali: dalla preparazione di
emulsionanti e tensioattivi, alla pulizia di tappeti, si ritrovano persino in alcuni insetticidi; il PFOA è utilizzato per produrre il politetrafluoroetilene (PTFE) [5].
Il loro elevato sfruttamento ne ha provocato un’ampia diffusione nell’ambiente, al punto che nel 2009 vengono segnalati come
“Persistent Organic Pollutant” nello “United Nations Enviromenmental Programme” [1].
Studi sugli effetti dell’esposizione a PFOS, effettuati attraverso
l’analisi di fegato e siero di diverse specie di mammiferi, hanno
dimostrato: effetti negativi sul metabolismo dei lipidi, diminuzione
del colesterolo nel siero, attivazione dei recettori nucleari, inibizione dei processi di comunicazione intercellulare, ritardo nella
maturazione dei polmoni, interferenze nelle bioenergetiche mitocondriali, ed infine effetti neuroendocrini [4].
Il PFOA viene assorbito facilmente e la sua eliminazione dipende
dai meccanismi di trasporto attivi delle varie specie. Presenta una
moderata tossicità acuta per il fegato, infatti è stato verificato l’aumento dell’incidenza dei tumori in tale organo nel ratto, in seguito
ad esposizione a PFOA [2].
I PFAs sono stati ritrovati in diverse aree geografiche del Mondo,
in particolare in acque di superficie, di scarico, nell’aria, in cibi
preconfezionati e in alcune specie di pesce.
I dati attualmente presenti in letteratura non sono sufficienti
per comprendere l’effettivo livello di esposizione dell’uomo e
degli animali. Con l’intento di arginare questa lacuna analitica,
è stato sviluppato e validato un metodo in LC-MS/MS per la
determinazione di PFOS e PFOA in diversi tipi di cereali, il
metodo verrà utilizzato per eseguire un monitoraggio in campioni prelevati in zone diverse della provincia di Biella.
La scelta della matrice è ricaduta sui cereali, in seguito alla
dimostrazione scientifica del passaggio degli analiti dal terreno a vegetali come mais, avena e grano, essendo questi i
componenti principali con cui vengono nutriti gli animali d’allevamento, e da cui vengono ricavate altre derrate alimentari
destinate all’uomo [8].
MATERIALI E METODI: La preparativa del campione, macinato finemente, consiste in un primo trattamento con idrossido
di sodio 200 mM per avere gli analiti nella forma neutra, quindi
si aggiunge metanolo e si lascia in agitazione per 30 minuti.
Si centrifuga per 10 minuti, quindi si preleva il surnatante e si
riportano gli analiti nella forma protonata, aggiungendo acido
cloridrico 4 M. Si diluisce la fase organica in 12 mL di acqua
ultrapura (U.P.)
Si procede con la fase di purificazione, per la quale si utilizzano delle colonnine SPE Oasis Wax. Gli analiti vengono eluiti
con 1 mL di metanolo al 2% di ammoniaca.
L’estratto si porta a secco in corrente di azoto a 60°C e si
risospende in 100 μL di fase mobile alle condizioni iniziali del
metodo cromatografico. I campioni vengono analizzati con un
HPLC Agilent 1100, si utilizza una colonna a fase inversa. Le
fasi mobili sono: una soluzione 20 mM di acetato d’ammonio in
metanolo (A) e una soluzione 20 mM di acetato d’ammonio in
acqua U.P. (B), il gradiente impostato è riportato nella tabella 1.
Tabella 1. Condizioni Cromatografiche del metodo.
Il sistema cromatografico è interfacciato, tramite un’ESI impostata in modalità di ioni negativi, ad uno spettrometro di massa
Applied Biosystems API 4000 avente come analizzatore un triplo quadrupolo. I parametri generali sono riportati nella tabella
2, invece le SRM (selected reaction monitoring) nella tabella 3.
191
Tabella 2. Condizioni dello SM.
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Tabella 3. SRM ottimizzate.
Le transizioni riportate per prime nella tabelle 3, sono quelle
scelte per effettuare i calcoli di quantificazione, poiché sono
risultate quale miglior compromesso tra una bassa interferenza e un’elevata intensità di segnale.
La validazione del metodo si basa sul Regolamento CE
882/2004 [7] e nella progettazione dei livelli di concentrazione è stato tenuto conto di quanto riportato nella Raccomandazione 2010/161/UE [6].
È stato deciso di sottoporre alle prove di validazione solo
la matrice mais, previa verifica che questa sia adatta per la
quantificazione degli analiti contenuti anche negli altri tipi di
cereali.
I parametri di validazione studiati sono:
• Linearità: è stata costruita una retta in solvente ed è stata
sottoposta ad analisi strumentale; lo stesso procedimento è
stato seguito per la linearità in matrice, ma drogando delle
aliquote di mais.
• Limite di rivelazione (LOD) e Limite di quantificazione (LOQ):
sono stati calcolati utilizzando i dati della seconda seduta
analitica, preparata per il calcolo dell’esattezza.
• Esattezza: in tre sessioni distinte, sono stati preparati 6 replicati per ogni livello di concentrazione e sono stati quantificati
usando una retta in matrice, costituita dagli stessi 4 livelli, preparata in doppio lo stesso giorno.
• Precisione e Ripetibilità: sono state ottenute eseguendo un
test di Analisi della Varianza (ANOVA) sulle prove eseguite
per determinare l’esattezza.
• Applicabilità: sono state fortificate 6 matrici diverse al secondo punto della retta, e i campioni sono stati quantificati con
una retta in matrice mais. È stato verificato che l’esattezza
percentuale rientrasse nell’intervallo 85-115%.
• Specificità: sono stati analizzati 20 campioni rappresentativi
delle matrici incluse nel metodo ed è stata verificata l’assenza di interferenti significativi nell’intorno di tolleranza massima
accettata, per i tempi di ritenzione relativi degli analiti, rispetto
ad un campione fortificato.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Per rendere la comprensione
più chiara ed immediata si è deciso di riportare i risultati della
validazione nella tabella 4.
Tabella 4. Valori dei parametri di validazione del metodo.
Il metodo sviluppato verrà utilizzato per svolgere un monitoraggio di campioni di cereali, provenienti da diverse zone
del Biellese.
Successivamente si adatterà la metodica al muscolo di al-
cune specie ittiche di acqua dolce, e si procederà con un
supplemento di validazione. Terminato questo lavoro, si inizierà un secondo monitoraggio, avente per oggetto la stessa
matrice [3].
192
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
BIBLIOGRAFIA:
[1] E.D. van Asselt, R.P.J.J. Rietra, P.F.A.M. Römkens, H.J.
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throughout the food production chain”; Food Chemistry, 128,
1-6;
[2] European Food Safety Authority; (2008); “Opinion of the
Scientific Panel on Contaminants in the Food chain on Perfluorooctane sulfonate (PFOS), perfluorooctanoic acid (PFOA)
and their salts”; EFSA Journal, 653, 1-131;
[3] European Food Safety Authority; (2012); “Perfluoroalkylated substances in food: occurance and dietary exposure”;
EFSA Journal, 10 (6): 2743, 1-55;
[4] Hagenaars, D. Knapen, I. J. Meyer, K. Van der Ven, P.
Hoff, W. De Coen; (2008); “Toxicity evaluation of perfluorooctane sulfonate (PFOS) in the liver of common carp (Cyprinus
carpio); Aquatic Toxicology, 88, 155-163;
[5] M. Minoia, E. Leoni, C. Sottani, G. Biomonti, S. Signorini,
M. Imbriani; (2008);“Interferenti endocrini: PFOS e PFOA”; G
Ital Med Lav Erg, 30:4, 309-323;
[6] Raccomandazione 2010/161/UE;
[7] Regolamento 882/2004/CE;
[8] T. Stahl, J. Heyn, H. Thiele, J. Hüther, K. Failing, S. Georgii, H. Brunn; “Carryover of Perfluorooctanoic Acid (PFOA)
and Perfluorooctane Sulfonate (PFOS) from soil to plants”;
Archives of Environmental Contamination and Toxicology, 57
(2009), 289-298.
193
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DI CONTAMINANTI ORGANICI PERSISTENTI IN
MATRICI ALIMENTARI DI ORIGINE ANIMALE
Clausi M.T.[1], Santoro A.[1], Fusco G.[2], Ferrante M.C.*[1]
Keywords: Organochlorine compounds, Bivalves, Sheep milk
Università di Napoli Federico II ~ Napoli, [
Istituto Zooprofilattico del mezzogiorno - Sezione di Portici ~ Portici
[1]
2]
SUMMARY: Several PCBs and OCPs in soft tissues of two
bivalve species and sheep milk from the province of Caserta,
were investigated using a GC-ECD. Arguably, differences in
accumulation profiles of the analysed pollutants may be explained by different distributions of OCs in the abiotic environmental components of the analysed species habitat. Various measured pollutants emerge as hazardous contaminants in the
aquatic and terrestrial ecosystems and thus their surveillance
is still recommended.
INTRODUZIONE: I pesticidi organoclorurati (POC) ed i bifenilipoliclorurati (PCB) sono contaminanti organici persistenti ampiamente presenti nell’ambiente che, a causa della loro elevata
liposolubilità e scarsa degradabilità, tendono ad accumularsi
nei sedimenti e negli organismi viventi dove si depositano nei
tessuti ricchi di grassi. L’esposizione a lungo termine a POC e
PCB è stata correlata a gravi danni a carico del sistema nervoso con effetti anche di tipo comportamentale, del sistema
endocrino, riproduttivo ed immunitario (3).
La maggiore fonte di esposizione per l’uomo è rappresentata
dagli alimenti, in particolare quelli di origine animale. Infatti, se
l’esposizione accidentale od occupazionale riveste carattere di
eccezionalità e riguarda solo una fetta limitata di popolazione,
quella umana giornaliera deriva in media per il 90% dall’assunzione di alimenti contaminati con un importante ruolo rivestito dai prodotti ittici e dai grassi animali (5). I molluschi bivalvi
sono considerati eccellenti “biomonitors”. Essi sono organismi
sedentari, con una ampia distribuzione geografica e capaci di
concentrare OC in virtù della loro capacità di filtrare grandi volumi di acqua e rimuovere particelle in sospensione. Le concentrazioni rilevate nei loro tessuti riflettono quindi in maniera
fedele il grado di contaminazione ambientale consentendo di
effettuare una analisi spaziale e temporale delle variazioni degli OC negli ecosistemi acquatici (6). Anche le specie produttrici di latte che vivono in un ambiente inquinato possono accumulare OC (1), che, per le già descritte proprietà lipofiliche,
sono inizialmente depositati nei tessuti ricchi di grassi e poi
escreti attraverso il latte che può rappresentare un importante
indicatore biologico di contaminazione.
Nella presente ricerca sono stati valutati i livelli di OC in alcune
matrici alimentari di origine animale quali il latte di pecora e i
tessuti edibili di cannolicchi (Razor clam) e di mitili (Mytilus galloprovincialis) prelevati in una area della regione Campania ad
alto impatto ambientale allo scopo di monitorare il livello attuale
di contaminazione e fare una stima del rischio per il consumatore. Infine è stata eseguita per i bivalvi una analisi preliminare
con l’obiettivo di correlare i livelli degli OC (ad azione immunomodulatrice) con il grado di infezione da agenti batterici o virali.
MATERIALI E METODI: Gli esemplari di bivalvi sono stati prelevati lungo la costa di Castelvolturno (Ce) tra maggio e luglio
2009 (le cozze a circa 5 km dalla costa e ad una profondità di
5mt mentre i cannolicchi sono stati raccolti a mano a pochi metri dalla riva sabbiosa); i campioni di latte sono stati prelevati in
allevamenti allo stato brado della provincia di Caserta tra giugno 2011 e febbraio 2012. Per quanto attiene alla prima tipologia di campioni, le parti edibili sono state raccolte per formare
la singola unità statistica del peso di circa 100 g. Il campione
di cozze e di cannolicchi era costituito rispettivamente da 40 e
15 unità. Per quanto concerne la seconda matrice esaminata,
10ml di latte prodotto da ogni animale costituiva la singola unità
campionaria (n=30). Ciascuna matrice è stata omogeneizzata
e conservata a -20 °C fino al momento dell’analisi chimica mirata alla ricerca quali-quantitativa di: esaclorobenzene (HCB),
Dieldrin,
p,p’-DDT,
1,1’-dichloro-2,2’-bis(4-chlorophenyl)
ethylene (p,p’-DDE), 1,1’-dichloro-2,2’-bis-(4-chlorophenyl)ethane (p,p’-DDD) e 20 PCB – IUPAC nos. 28, 52, 66, 74, 99,
101, 105, 118, 128, 138, 146, 153, 170, 177, 180, 183, 187,
196, 194, e 201 .
L’estrazione dei grassi con etere di petrolio/acetone è stata seguita da una purificazione tramite ripartizione n-esano/acetonitrile, e da una successiva cromatografia di adsorbimento su
Florisil per separare gli analiti di interesse in 3 frazioni. L’analisi
è stata effettuata mediante gas cromatografia capillare con detector a cattura di elettroni (63Ni ECD). L’identificazione degli
analiti è stata realizzata per confronto con i tempi di ritenzione
degli standard di riferimento e, in alcuni casi, con successiva
conferma attraverso GC-MS. La determinazione quantitativa è
stata effettuata col metodo dello standard interno. Le concentrazioni sono state espresse in ng/g di grasso estratto.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Nei molluschi bivalvi come nel
campione di latte, le più alte concentrazioni sono risultate essere quelle dei PCB (con valori medi di 422.19 ng g-1 e 399.33
ng g-1 di grasso rispettivamente per le cozze ed i cannolicchi) seguite da ΣDDT, Dieldrin e HCB (Fig. 1). In particolare, la
somma dei congeneri target (IUPAC nos. 101, 118, 138 e 153)
rappresentano il 66% ed il 56% della concentrazione totale dei
PCB (PCB) riferito rispettivamente alle cozze e ai cannolicchi.
Tra i PCB indicatori il congenere 153 ed il 118 risultano essere
quelli maggiormente presenti rispettivamente nelle cozze (media di 97.13 ng g-1) e nei cannolicchi (media di 70.40 ng g-1).
Per quanto concerne i pesticidi esaminati, il p,p’-DDT è stato riscontrato nella maggior parte dei campioni di cannolicchi (80%)
e nel 55% delle cozze mentre il p,p’-DDE, suo principale metabolita, è risultato essere tra i POC il più frequentemente rilevato
in entrambe le specie, con livelli medi di 86.67 ng g-1 e 30.27
ng g-1 e una percentuale di unità campionarie contaminate del
100% rispettivamente nei cannolicchi e nei mitili.
Per quanto concerne i PCB nella matrice latte, oltre la metà degli analiti sono risultati presenti nell’80% circa delle unità campionarie con una netta prevalenza dei congeneri PCB 28, 138,
153, 180. La molecola riscontrata con maggiore frequenza è
stata il PCB 180 (90%). Il valore medio della sommatoria dei
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PCB target è risultato essere di 99.1 ng g-1 di grasso, mentre quello relativo alla SPCB corrispondeva a 183.6 ng g-1 di
grasso. Il POC rilevato ai più alti livelli residuali è stato l’HCB
(valore medio 24.9 ng g-1) seguito dal DDE (valore medio 20
ng g-1) e dal Dieldrin (valore medio 8.9 ng g-1) (Fig. 2). Inoltre,
è stata effettuata una valutazione tra i livelli di contaminazione
da OC e il livello di infezione da virus alimentari e Escherichia
coli di alcuni dei bivalvi esaminati. L’analisi esplorativa preliminare dei dati effettuata considerando le usuali statistiche
descrittive suggerisce l’esistenza di una correlazione positiva
tra la concentrazione di entrambi i gruppi di composti e gli
agenti infettivi.
I risultati evidenziano differenti profili di accumulo degli inqui-
nanti analizzati nelle specie esposte influenzati dalla specifica
distribuzione dei singoli composti clororganici nelle componenti abiotiche dei diversi habitat. I livelli dei pesticidi nei molluschi come nel latte risultano essere sempre inferiori ai LMR
stabiliti (2), mentre la concentrazione somma dei PCB target
eccede, spesso nel caso dei bivalvi, il limite tuttora raccomandato dalla CE (4).
I risultati suggeriscono che i PCB ed i POC sono tuttora
presenti negli ecosistemi dell’area nord-ovest della regione
Campania e che il consumo delle matrici alimentari di origine
animale analizzate e soprattutto dei molluschi bivalvi, particolarmente diffuso nella regione, può rappresentare un rischio
per la sicurezza del consumatore.
195
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
BIBLIOGRAFIA:
1) Bulut, S., Akkaya, L., Gök, V., Konuk, M., 2011. Organochlorine pesticide (OCP) residues in cow’s, buffalo’s, and sheep’s
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4) EU Commission Decision 1999/788/EC, 1999 (3 December).
Protective Measures with Regard to Contamination by Dioxins
of Certain Products of Porcine and Poultry Origin Intended for
Human or Animal Consumption. G.U. EU-L 310/62, 04/12/1999.
2) Decreto del Ministro della Salute 27 agosto 2004: Prodotti fitosanitari: limiti massimi di residui delle sostanze attive nei
prodotti destinati all’alimentazione. GU N°184, 09/08/2005.
5) Fattore, E., Fanelli, R., Dellatte, E., Turrini, A., di Domenico,
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3) El-Shahawi, M.S., Hamza, A., Bashammakh, A.S., Al-Saggaf, W.T., 2010. An overview on the accumulation, distribution,
transformations, toxicity and analytical methods for the monitoring of persistent organic pollutants. Talanta 80(5), 1587–1597.
6) Ferrante, M.C., Cirillo, T., Naso, B., Clausi, M.T., Lucisano,
A., Amodio Cocchieri, R., 2007. Polychlorinated biphenyls and
organochlorine pesticides in seafood from the Gulf of Naples
(Italy). Journal of Food Protection 70 (3), 706–715.
196
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
ISOLAMENTO DI SALMONELLA ENTERICA SUBSP. HOUTENAE DA DRAGO
BARBUTO (POGONA VITTICEPS, AHL 1926)
Cocchi M.*[1], Di Giusto T.[1], Minorello C.[2], Bellese A.[3], Deotto S.[1], Vascellari M.[2]
Keywords: Salmonellosis, Pogona vitticeps,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Udine,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Legnaro,
[3]
Libero professionista ~ Spinea
[1]
[2]
SUMMARY: Captive reptiles are commonly identified as reservoirs of Salmonella spp. and the number of reports about reptileassociated human salmonellosis is increasing. Bearded dragon
(Pogona vitticeps, Ahl 1926), an australian lizard, is very popular
as exotic pet. Aim of this study was to describe an episode of
Salmonellosis caused by Salmonella enterica subsp. houtenae
in two bearded dragons.
INTRODUZIONE: In Italia sono allevati più di un milione di alternative pets, da compagnia o da mostra; di questi, nel 2002 circa
60.000 erano rettili (4). Da un punto di vista della sanità pubblica,
l’allevamento di queste specie animali assume notevole importanza poiché riconosciuti serbatoi naturali di un’ampia varietà di
sierotipi di Salmonella (5). L’aumento della diffusione dei rettili
come pets ha coinciso, infatti, con l’incremento delle infezioni
umane associate a diversi sierotipi di Salmonella: in Canada e
negli Stati Uniti, nel 2008, la percentuale di casi di salmonellosi
umana associata a contatto con rettili oscillava tra il 5 e l’11% di
tutti i casi riscontrati (7).
Pogona (P.) vitticeps (Ahl 1926), conosciuto come drago barbuto
(Bearded Dragon), è un Sauro della famiglia Agamidae, originario della parte orientale dell’Australia centrale.
Il presente lavoro illustra l’isolamento e l’identificazione di Salmonella enterica subsp. houtenae (Gr. “V” 44:z4, z23:-) da due
soggetti di drago barbuto provenienti da un terrario pubblico.
MATERIALI E METODI: Due draghi barbuti, deceduti a distanza
di un mese circa l’uno dall’altro, sono stati sottoposti ad esame
necroscopico. In base alle lesioni evidenziate sono stati allestiti
esami batteriologici e la ricerca di Salmonella spp. Inoltre, sono
stati eseguiti accertamenti istologici e parassitologici.
Esame batteriologico. Da entrambi i soggetti, è stato allestito
l’esame batteriologico colturale dal fegato e dall’intestino utilizzando terreni solidi e brodocolture, incubati per 24 ± 3 ore a 30 ±
2°C, in appropriata atmosfera. Tutti i terreni sono stati forniti dal
Centro Servizi alla Produzione (CSP) presso l’IZSVe (Legnaro,
Padova). L’identificazione delle colonie è stata effettuata con sistemi biochimici miniaturizzati.
Ricerca di Salmonella spp. In entrambi i soggetti è stata allestita partendo da fegato e da intestino secondo la norma ISO
6579:2002, Amd 1:2007. Le colonie sospette sono state inviate
al Centro di Referenza Nazionale per le Salmonellosi (Legnaro PD) per la tipizzazione sierologica.
Tipizzazione sierologica di Salmonella. I ceppi sono stati sottoposti a sierotipizzazione tradizionale secondo lo schema
Kauffmann-White, quindi sono state eseguite le prove biochimiche in macrometodo per la differenziazione di subspecie.
Test di sensibilità agli antimicrobici. I ceppi di Salmonella spp.
identificati in corso di esame batteriologico, sono stati sottoposti
a test di sensibilità agli antimicrobici usando il metodo dell’agar
diffusione, in accordo con le linee guida del Clinical and Laboratory Standards Institute (2). I principi attivi e la concentrazione del
dischetto sono quelle indicate dalle linee guida. Gli isolati sono
stati classificati in sensibile (S), intermedio (I), resistente (R).
Esame parassitologico. Per entrambi i sauri, è stato effettuato
un esame al microscopio ottico, a fresco, a partire da materiale
fecale.
Esame istologico. Campioni di piccolo e grosso intestino dal primo soggetto e di fegato dal secondo soggetto, sono stati prelevati in sede necroscopica, immediatamente fissati in formalina
tamponata al 10% e routinariamente processati per l’allestimento dei preparati istologici colorati con ematossilina ed eosina.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Esame necroscopico. La necroscopia nel primo soggetto ha evidenziato enterite catarrale a carico del tratto prossimale e distale del piccolo intestino e lesioni
necrotico-emorragiche sul grosso intestino. Epatomegalia di grado lieve. Nel secondo soggetto erano presenti enterite catarrale
e alterazioni degenerative del parenchima epatico.
Esame batteriologico. Gli esiti degli esami batteriologici sono
riassunti in tabella 1.Tipizzazione degli isolati. I ceppi isolati sono
risultati ascrivibili a Salmonella enterica subsp. houtenae (Gr. “V”
44:z4,z23:-).
Test di sensibilità agli antimicrobici. I risultati ottenuti sono sintetizzati in tabella 2.
Ricerca Salmonella spp. Nel primo soggetto è stata riscontrata
la presenza di Salmonella spp in fegato e intestino, mentre nel
secondo soggetto è stata identificata solo dall’intestino.
Esame parassitologico. Dal primo soggetto è stata rilevata la
presenza di Strongili gastro-intestinali in bassa carica.
Esame istologico. L’osservazione al microscopio ottico ha evidenziato nel primo soggetto necrosi diffusa della mucosa enterica in tutti i tratti esaminati, associata ad infiltrazione linfoplasmocitaria della lamina propria. Nel piccolo intestino sono stati
evidenziati inoltre elementi parassitari vermiformi. Nel fegato del
secondo soggetto è stata evidenziata moderata e diffusa steatosi epatica con multifocale necrosi dei singoli epatociti associata
a multifocale infiltrazione linfoplasmocitaria e di eterofili nei sinusoidi epatici e nel parenchima epatico.
Come si evince dalla tabella, i ceppi testati presentavano resistenza a spiramicina e streptomicina e un profilo intermedio
al sulfisoxazolo, in accordo con il profilo di sensibilità agli antibiotici riportato da Ebani e coll.(3) I rettili sono serbatoi naturali,
generalmente asintomatici, di Salmonella spp, ospitando nel
tratto intestinale diverse serovar, anche contemporaneamente
(1). Negli animali sani, Salmonella spp non è in grado di attraversare la barriera intestinale per l’assenza di tessuto epiteliale
associato ai follicoli linfatici (importante nella patogenesi delle
salmonellosi nei mammiferi) e per l’incapacità del microrganismo di esprimere, alle temperature corporee dei poichilotermi,
i fattori di virulenza responsabili di adesione, invasione, moltiplicazione intracellulare e sopravvivenza alla fagocitosi (7,
9). In presenza di fattori predisponenti, quali l’ingestione di
alimenti contaminati, l’elevata densità di animali, la scarsa
197
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igiene, concomitanti malattie infettive, parassitosi o traumi,
i rettili possono manifestare patologia (9). Nel nostro caso,
infatti, i soggetti, recentemente accasati, presentavano una
pregressa condizione di defedamento che, unita allo stress da
trasporto e da cambio d’ambiente ha probabilmente creato le
condizioni ottimali per lo sviluppo di salmonellosi, caratterizzata anatomo-patologicamente da enterite e degenerazione
epatica.
E. coli, C. perfringens e Candida glabrata, isolati in bassa ca-
rica, si ritrovano, normalmente nella flora microbica intestinale
dei rettili sani (3, 7).
Le lucertole costituiscono un serbatoio importante di numerose serovar di Salmonella spp, dalle quali l’uomo può contrarre malattia (8). Nell’allevamento e nella manipolazione di
questi pets, una buona gestione dell’animale e l’adozione di
misure igienico-sanitarie appropriate hanno il fine di ridurre lo
stress e le condizioni predisponenti all’instaurarsi di patologia/escrezione del patogeno.
BIBLIOGRAFIA: 1) Chiodini R.J., Sundberg J.P. (1981). Salmonellosis in reptiles: a review. Am. J.
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4)
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6) S. Nardoni, R. Papini, G.M. Marcucci, F. Mancianti (2008).
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8) Pasmans F., Martel A., Boyen F., Vandekerchove D., Wybo
I., Van Immerseel F., Heyndrickx M., Collard J.M., Ducatelle R.,
Haesebrouck F.(2005). Characterization of Salmonella isolates
from captive lizards. Veterinary Microbiology 110 : 285–291.
9) Pasmans F., Van Immerseel F., Van den Broeck W., Bottreau
E., Velge P., Ducatelle R. and Haesebrouck F.(2003). Interactions of Salmonella enterica subsp. enterica serovar Muenchen
with intestinal explants of the turtle Trachemys scripta scripta.
J. Comp. Path. Vol.128: 119-12.
198
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
ANALISI QUANTITATIVA E TOSSINOGENOTIPIZZAZIONE IN CEPPI DI CLOSTRIDIUM
PERFRINGENS ISOLATI DAL CONTENUTO INTESTINALE DI BOVINI SANI
Cocchi M.*[1], Clapiz L.[1], Di Giusto T.[1], De Stefano P.[2], Deotto S.[1], Bacchin C.[3], Bregoli M.[1],
[3]
Keywords: C. perfringens, healthy cows,
Istituto Zooprofilatico Sperimentale delle Venezie ~ Udine,
[2]
Libero professionista ~ Udine,
[3]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Treviso
[1]
SUMMARY: In bovine, Clostridium (C.) perfringens can cause
enterotoxaemia and the hemorrhagic bowel syndrome, both
characterized by common clinical and pathological features.
They are mediated by stressful breeding conditions. To confirm
the suspicion of clostridiosis, a quantitative analysis and the
toxinotyping of the isolates are necessary. The cut-off number
and the role played by the different toxynotypes are still under
debate. The aims of this study were to quantify (UFC/g) and to
toxinotype C. perfringens isolates in faeces obtained from healthy cows.
INTRODUZIONE: C. perfringens è un bacillo Gram positivo,
sporigeno, anaerobio, ossigeno tollerante, normalmente presente nell’ambiente e nel tratto intestinale di uomini e animali. In
base alla produzione di una o più delle 4 maggiori tossine (α, β,
ε e ‫)׆‬, è classificato in tossinotipi (A, B, C, D ed E), ad ognuno
dei quali è associata patologia nelle differenti specie animali.
C. perfringens può produrre due ulteriori tossine: l’enterotossina
(codificata dal gene cpe), responsabile di patologia gastroenterica nell’uomo e associata solitamente al tipo A e la tossina β2,
scoperta nel 1997 in suinetti affetti da enterite necrotica (2,6).
La tossina β2 è codificata dal gene cpb2 di cui sono state descritte due varianti alleliche: la variante consensus (cpb2con)
e la variante atipica (cpb2aty) (3). La presenza della variante
consensus e la sua espressione in corso di patologia enterica
sono dimostrate nella diarrea emorragica del suinetto e nella
tiflocolite da tipo A nel cavallo (1). Nel bovino, C. perfringens
causa enterotossiemia nel vitello e la sindrome dell’intestino
emorragico nel bovino adulto. Entrambe sono patologie condizionate, solitamente caratterizzate da morte improvvisa ed enterite emorragica, elevata moltiplicazione del microrganismo nel
lume intestinale con rilascio di tossine. Infatti, studi recenti condotti sul contenuto del piccolo intestino in bovini con patologia
indicano una carica di C. perfringens pari a 106 – 108 UFC/ml
e il tossinotipo maggiormente identificato è il tipo A (non enterotossigeno). Ulteriori studi hanno evidenziato un’azione sinergica
fra la tossina α e β2 nella patogenesi delle lesioni enteriche del
bovino (8,9), identificando la variante allelica cpb2aty, espressa
in un’elevata percentuale dei casi (4).
Nei soggetti sani, invece, lo studio batteriologico quantitativo
varia nei diversi studi considerati (8), non permettendo un’accurata valutazione del valore di cut-off, utile ai fini dell’interpretazione del dato in corso di patologia. Scopo del presente lavoro
è stato quello di quantificare in feci di bovine da latte non affette
da patologia enterica e non sottoposte a trattamento antimicrobico, i ceppi di C. perfringens isolati, sottoponendoli inoltre a
tossinogenotipizzazione.
MATERIALI E METODI: Analisi batteriologica quantitativa. 57
campioni di feci di bovine da latte, provenienti da 13 allevamenti
sono stati sottoposti a valutazione quantitativa di C. perfringens.
Per ogni allevamento sono stati prelevati 3-5 campioni. Il prelie-
vo è stato eseguito direttamente dall’ampolla rettale e trasportato al laboratorio in un contenitore sterile, a temperatura di refrigerazione e in atmosfera anaerobia. L’analisi è stata condotta
entro 3-4 ore dal prelievo, inoculando il campione in Soluzione Triptone (ST), mantenendo un rapporto 1:10 (feci:terreno).
Successivamente sono state eseguite le diluizioni in base 10 in
ST e ogni diluizione inoculata in Egg Yolk-Free Tryptone Sulfite
Cycloserine (TSC-EY: Perfringens Agar Base- Oxoid addizionato con Selective Supplement TSC - Oxoid), Le piastre sono
state incubate overnight a 37°C ±1°C in anaerobiosi, ottenuta
con buste AnaeroGenTM (Oxoid). Da ogni piastra, 5 colonie
sospette o tutte se meno di 5, sono state sottoposte a conferma
biochimica utilizzando le seguenti prove: semina in Agar Sangue, Lattosio-Gelatina, Mobilità-Nitrati e crescita su Egg Yolk
Agar. Tutti i terreni sono stati forniti dal Centro Servizi alla Produzione, Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie.
Analisi genotipica – 46 ceppi sono stati sottoposti a tossinogenotipizzazione secondo quanto descritto da Yoo et al. e Garmory et al (5,12). I ceppi cpb2+ sono inoltre stati sottoposti a
determinazione della presenza della variante allelica, secondo
Jost et al. (3).
RISULTATI E CONCLUSIONI: Analisi batteriologica quantitativa. In tabella 1 è indicato il numero di campioni presenti
per ogni concentrazione di microrganismo ottenuta, espressa
come UFC/g. In generale, 41/57 (72%) dei campioni esaminati
presentavano una carica di C. perfringens pari o minore a 101
UFC/g, in accordo con quanto descritto da Tschirdewahn et al.
(11). La concentrazione di C. perfringens in soggetti sani è influenzato dalla tipologia di allevamento, dalla differente composizione quali-quantitativa della razione somministrata, oltre che
da altri fattori quali l’età dei soggetti e l’ attitudine funzionale. Infatti, Manteca et al. (8), riportano nel 19% di vitelli non affetti da
patologia enterica concentrazioni del microrganismo pari a 104105 UFC/g di contenuto intestinale (valore medio). Analisi genotipica. Tutti i ceppi appartengono al tossinotipo A. 2/46 (4.3%)
presentano inoltre il gene dell’enterotossina e 24/46 (52.1%)
sono cpb2+. Fra questi ultimi, 5/24 (21 %) appartengono alla
variante consensus mentre 19/24 (79%) appartengono alla variante atipica. I risultati ottenuti sono schematizzati in tabella 2
e 3.Nel presente studio il 4.3% dei ceppi risulta enterotossigeno, risultato in accordo con quanto descritto da altri autori (10).
L’importanza di questi ceppi è dovuta all’isolamento in episodi
di tossinfezione alimentare nell’uomo. Nel bovino sano, inoltre,
si sottolinea la presenza di ceppi cpb2aty dato in accordo con
Jost et al. (3), ma non con quanto riportato da Lebrun et al. (6),
i quali descrivono entrambi gli alleli in isolati da bovino sano.
Successivi studi sono comunque necessari per chiarire se la
moltiplicazione del microrganismo coinvolga, durante gli episodi
di clostridiosi bovina, tutti i tossinotipi presenti o sia limitata ad
un unico tossinotipo o ad un unico clone come nelle clostridiosi
del pollo (7).
199
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
BIBLIOGRAFIA:
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3. Jost, B.H., Billington S.J., Trinh H.T., Bueschel D.M., Songer J.G., 2005. Atypical cpb2 genes, encoding beta2 toxin in
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11. Tschirdewahn B., Notermans S.,.Wernars K and Untermann F. (1991). “The presence of enterotoxigenic Clostridium perfringens strains in faeces of various animals”. Int J
of Food Microbiol Nov;14(2):175-8.
12. Yoo H. S., Lee S. U., Park K. Y., and Park Y., H. (1997):
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of Clostridium perfringens Types by Multiplex PCR”. J. Clin
Microbiol. 35:1, 228-232.
200
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
C’ERA UNA VOLTA IL QUADERNO DEL TECNICO:
UN’ESPERIENZA DI DEMATERIALIZZAZIONE
Colangeli P.[1], Ruggieri E.[1], Mercante M.T.[1], Ricci L.*[1]
Keywords: Attività Diagnostica, Dematerializzazione, Sistemi Informativi
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale” ~ Teramo
[1]
SUMMARY: Since the early nineties the Institute “G. Caporale”
has employed a supporting information system to the diagnostic
activity named SILAB, that traces out the whole procedure from
the arrival of the sample to the test report.
The analysis of processes began in 2009 with the aim of removing all the paper support used to record raw data (register, technical notebook, worksheet, etc.) as well as testing reports. This
paper reports a critical description of the process implemented
and the results achieved so far.
INTRODUZIONE: L’Istituto G. Caporale (ICT), sin dal 1995 ha
ottenuto l’accreditamento dei propri laboratori di prova[3, 4, 6])
e utilizza dai primi anni ’90 un Sistema Informativo di laboratorio
(SILAB)[2], per supportare l’intero processo di registrazione dei
campioni, dalla richiesta del cliente all’invio del rapporto di prova.
Per la registrazione dei dati grezzi i reparti utilizzavano supporti
diversi: schemi, quaderni del tecnico, fogli di lavoro, dati prodotti
da apparecchiature. Tutta questa documentazione tecnica, era
mantenuta conservata e archiviata in maniera controllata.
Inoltre erano conservati, allegati nei Registri di accettazione, tutti
i documenti di accompagnamento del campione.
Il progetto di dematerializzazione, avviato nel 2009, si è posto
l’obiettivo di ridurre/eliminare a monte la produzione di documenti cartacei, processo iniziato oltre 10 anni fa con l’utilizzo dei
rapporti di prova[5] prodotti sotto forma di file con firma digitale e
inviati per e-mail ai destinatari. Questa modalità ha quasi del tutto eliminato la stampa del cartaceo che, attualmente, è prodotta
in meno del 6% dei casi(Grafico 1).
Grafico 1: Andamento negli anni delle due modalità di invio dei Rapporti di prova (in percentuale)
MATERIALI E METODI: Il processo di revisione e dematerializzazione ha riguardato:
•I documenti di accompagnamento del campione (la richiesta del
veterinario, il cartellino del prodotto, la modulistica di accompagnamento campioni, i verbali dei campioni ufficiali, ecc.).
Le informazioni ivi riportate sono, nella maggioranza dei casi, inserite nel SILAB manualmente, quindi la loro gestione è “costosa”
oltre ad essere fonte di errori.
Sono state studiate 2 soluzioni per ridurre questa fase del processo: a) la cooperazione applicativa tramite Web-Services. Questa modalità è attiva sia tra SILAB e il Sistema Sanità Animale
(SANAN) sia tra SILAB e il Sistema Nazionale per la Sicurezza
Alimentare (SINVSA) in modo da acquisire automaticamente i dati
del prelievo; b) è in fase di test la funzionalità su Web che permette
al cliente veterinario di effettuare la richiesta di analisi direttamente
nel SILAB. Si tratta tuttavia di casistiche ancora di uso limitato, negli altri casi, tutti i documenti che accompagnano i campioni vengono digitalizzati. Nella fase di accettazione dei campioni viene
stampata l’etichetta con codice a barre (con il Numero di Registro
Generale - NRG), apposta sulla prima pagina del documento e
sui campioni (Figura 1). In maniera asincrona, in fase di scansione, un apposito programma, tramite lettura dell’etichetta, salva i
documenti in singoli file inseriti automaticamente nel Database e
disponibili da SILAB.
•Modifiche all’organizzazione dell’Accettazione
L’Accettazione attualmente si svolge su più “sportelli abilitati“ dei
201
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quali solo uno è di “front-office”. I campioni vengono controllati ed
etichettati come anche i documenti di accompagnamento e la ricevuta da consegnare al cliente. Operando in questo modo è stato
eliminato il Registro cartaceo di accettazione.
•Eliminazione dei fogli di lavoro
La distribuzione dei campioni ai singoli reparti veniva accompagnata dal “foglio di lavoro” stampato e pinzato insieme al campione da esaminare, con il dettaglio delle prove richieste.
Nel corso del 2010 questo sistema è stato sostituito dalla visualizzazione di una lista complessiva riportante i campioni accettati e le
prove richieste da utilizzare per il controllo in reparto dei campioni.
•Schemi di reparto
I reparti diagnostici effettuano ogni anno circa 1.300 prove.
Per registrare i dati grezzi ottenuti durante le fasi di esecuzione della prova vengono utilizzati schemi associati alle procedure.
Lo schema digitale riporta le indicazioni relative alla revisione, al Responsabile dell’approvazione e tutte le revisioni vengono salvate e conservate. Oltre a raccogliere i “dati grezzi”,
lo schema digitale permette la registrazione del risultato finale
della prova direttamente sul SILAB in modo da evitare doppi
inserimenti manuali di dati e conseguenti verifiche.
Figura 1: esempi di modelli di accompagnamento con etichetta
202
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
RISULTATI E CONCLUSIONI: Gli schemi grafici sono stati
sviluppati per le esigenze dei reparti di Sierologia e Virologia
(Figura 2). Si accede allo schema direttamente dall’applicazione SILAB. Dopo l’esecuzione della prova è sufficiente modificare solo i risultati diversi dal valore di default proposto,
operazione semplificata dall’utilizzo di schermi touch-screen.
I dati riportati nello schema vengono verificati e salvati nel
Database insieme all’immagine dello schema in formato pdf
immodificabile. In caso di errori, è possibile correggerli e sottoporre i dati ad una nuova validazione; in automatico, si riproduce il file pdf e si modificano i risultati nel SILAB.
Gli schemi non grafici sono numerosi e più complessi rispetto
a quelli grafici. Per questo motivo si è preferito realizzare un
applicativo (Sistema Informativo Schemi Diagnostici – SISD)
che permettesse oltre alla registrazione dei dati d’uso, anche
il disegno e la gestione dello schema direttamente da parte
del personale del laboratorio, che opera disegnando autonomamente lo schema tramite la composizione di elementi
di base predefiniti. Nel corpo dello schema si registrano, in
sequenza, le diverse fasi operative. Ogni fase può essere
dichiarata obbligatoria e può essere comune a tutti i campioni
gestiti da quello schema o ripetuta per ogni campione (Figura
3). La fase conclusiva della prova permette l’inserimento del
risultato finale e degli ulteriori campi che devono essere riportati nel SILAB al fine dell’emissione del rapporto di prova.
L’applicativo SISD è quindi un programma autonomo, che
può essere utilizzato anche indipendentemente dal SILAB
pur rappresentandone un’estensione e adoperando lo stesso
Database.
DISCUSSIONE
La riorganizzazione delle modalità di gestione del processo
diagnostico ha prodotto evidenti vantaggi: permette una maggiore sicurezza nell’identificazione del campione e, una lettura
semplificata degli identificativi tramite lettori di codici a barre. Il
sistema di etichettatura garantisce l’immediata rintracciabilità
di tutti i documenti legati al campione e la disponibilità di dati
grezzi. È stato quindi possibile eliminare completamente il Registro cartaceo di accettazione e i diversi supporti cartacei precedentemente utilizzati con una riduzione delle registrazioni
da parte degli operatori, minori errori di digitazione migliorando
la qualità dei dati. Il sistema di registrazione dei dati grezzi con
modalità completamente digitali è stato verificato per la prima
volta nel corso dell’ultima visita di riaccreditamento di Accredia
(novembre 2011) dimostrandosi adeguato alle attività e all’avanguardia rispetto ad altre soluzioni adottate finora.
Figura 2: maschera di SILAB che riproduce lo schema per l’Immunofluorescenza
203
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Figura 3: inserimento dati nello schema; nell’esempio ci sono 2 campioni i cui dati sono riportati in 2
fogli distinti per Identificativo Campione.
BIBLIOGRAFIA:
1. IZS TE AQ SOP010 TITOLO: Gestione dell’archiviazione,
IZS TE B4.3 SOP007 TITOLO: Archiviazione registri sanitari
documento i2010 eGovernment Action Plan http://ec.europa.
eu/information_society/eeurope/i2010/index_en.htm
2. Ricerca Finalizzata 1998: MSRFTE0298 Sistema informativo dei laboratori
3. Decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 pubblicato in G.U.
del 16 maggio 2005, n. 112 - S.O. n. 93 “Codice dell’amministrazione digitale” aggiornato dal D.Lgs. n. 159 del 4 aprile
2006 pubblicatoin G.U. del 29 aprile 2006, n. 99 – S.O. n.
105
4. Quality assurance in veterinary diagnostic laboratories
Caporale V., Nannini D., Ricci L. 1998 Rev Sci Tech, 17(2),
459-468
5. La gestione elettronica dei referti diagnostici. L’esperienza
dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del
Molise Colangeli P. 2006 Iged.it, 15(4), 69-74
6. Il percorso verso la qualità Nannini D., Ricci L., Caporale
V. 1998 De Qualitate, 7(3), 61-68
204
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
PIANO DI MONITORAGGIO DELLA REGIONE CAMPANIA SUI REQUISITI
MICROBIOLOGICI DEI PASTI DI ORIGINE ANIMALE SOMMINISTRATI NELLA
RISTORAZIONE PUBBLICA E COLLETTIVA: ANALISI PRELIMINARE DEI RISULTATI
Colarusso G.*[1], Giannoni A.[2], Peirce E.[1], Pellicanò R.[1], Cavallo S.[1], Caligiuri V.[1], Baldi L.[3]
Keywords: ristorazione, criteri microbiologici, monitoraggio
ORSA - Osservatorio Regionale Sicurezza Alimentare c/o IZSM Portici (NA) ~ Portici,
[2]
Assessorato alla Sanità della Regione Campania -Settore Veterinario- ~ Napoli,
[3]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici
[1]
SUMMARY: A monitoring was conducted to evaluate the microbiological quality of the most consumed meals in Campania
region. Cold gastronomy products, cooked warm-served products, and cooked cold-served products were tested for bacterial contamination. Throughout the regional monitoring, 379
samples were examined for total counts of aerobic bacteria,
counts of indicator organisms and pathogen). The aim of this
study was to evaluate the microbiological quality of foodstuff
and gastronomic preparations.
INTRODUZIONE: La somministrazione al pubblico di alimenti
e bevande è regolata dalla legge 287 del 25/08/91. Per somministrazione s’intende “ la vendita per il consumo sul posto, che
comprende tutti i casi in
cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell’esercizio
o in una superficie aperta al
pubblico, all’uopo attrezzati”.
Il mercato della ristorazione viene in sostanza suddiviso in due
macroaree (PRI 2011-14):
• la ristorazione pubblica che comprende quelle attività di produzione e somministrazione effettuate negli esercizi pubblici
tipo “A”, “B” e “C” ex L. 287/91 (ad esempio ristoranti, bar, pizzerie etc. etc.);
• la ristorazione collettiva che comprende quelle attività di produzione e somministrazione in grado di fornire un gran numero
di pasti a un gran numero di persone nello stesso momento o
in un tempo relativamente breve in rapporto al numero di utenti
( ad esempio ristorazione aziendale, ristorazione scolastica,cat
ering,ristorazione socio-sanitaria etc.).
La vocazione turistica della Campania e le mutate tendenze
comportamentali degli ultimi anni, che inducono sempre più
spesso l’utenza a consumare pasti al di fuori della propria dimora, rendono tale settore della filiera alimentare particolarmente Strategico in Campania.
Le operazioni a cui sono sottoposti gli alimenti durante la preparazione de pasti (cottura,trasporto e somministrazione) aumentano il rischio di contaminazione da parte di germi patogeni
con conseguenze che si potrebbero ripercuotere su un gran
numero di consumatori.
Questo rende indispensabile un controllo costante, eseguito
seguendo le procedure riportate nel Piano regionale Integrato
dei Controllo 2011-2014. Il monitoraggio è svolto allo scopo di
verificare il rispetto dei requisiti microbiologici è degli ingredienti, dei pasti pronti preparati e degli alimenti somministrati negli
esercizi di ristorazione pubblica e collettiva.
MATERIALI E METODI: I campioni sono stati prelevati dai
medici del servizio veterinario delle AASSLL della regione
Campania nel periodo da ottobre 2011 a giugno 2012.
La distribuzione del campionamento per ciascuna ASL è
omogenea nel tempo in quanto si prelevano un numero di
campioni fisso per mese.
Per ogni campione è stata richiesta la determinazione di un
solo parametro tra i seguenti:
§ Listeria monocytogenes in alimenti pronti che costituiscono
terreno favorevole alla crescita.
§ di L. monocytogenes diversi da quelli destinati ai lattanti e
a fini medici speciali.
§ Salmonella in prodotti elencati nel Reg. CE 2073/05.
§ Salmonella in prodotti non compresi nel Reg. CE 2073/05.
§ E. coli O157:H7 in prodotti vari.
§ Enterobatteriacee in prodotti elencati nel Reg. CE 2073/05.
§ E.coli in prodotti elencati nel Reg. CE 2073/05.
§ Bacillus cereus.
§ Anaerobi solfito riduttori.
In taluni casi sono state effettuate alcune ricerche analitiche
al di fuori di quelle indicate nel Piano, ciò è avvenuto solo
quando all’atto del campionamento sono state sospettate
condizioni di rischio particolari.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Nel periodo di riferimento
sono stati raccolti 379 campioni. Questi sono stati consegnati
ai laboratori dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ed analizzati con i metodi ISO. In particolare sono
stati analizzati 130 campioni nella ristorazione pubblica nessuno dei quali è risultato non conforme rispetto ai parametri
microbiologici normati(tabella 1). Nella ristorazione collettiva
sono stati, invece, raccolti 249 campioni ,risultati, anche in
questo caso, tutti conformi rispetto alle indicazioni legislative
(tabella 2). Solo in un campione di carne cotta è risultata la
presenza del Clostridium perfringens in quantità degna di
nota; molto probabilmente si è trattato di una contaminazione
pregressa dovuta a scarsa igiene nella manipolazione dell’alimento.
Le matrici campionate sono varie, ma come si evince nel
grafico 1 e 2 c’è una netta prevalenza di preparazione gastronomiche pronte al consumo e dei prodotti a base di carne
cotti sia negli esercizi di ristorazione pubblica che collettiva.
In conclusione si può affermare che la qualità igienico-sanitaria delle matrici oggetto di studio può esser considerata
complessivamente molto soddisfacente se si fa riferimento ai
parametri normativi.
Sebbene possa essere considerata ristretta una ricerca che
prevede la determinazione di un unico parametro microbiologico per campione è d’obbligo ricordare che tale scelta è
stata dettata dalla volontà di condurre un “monitoraggio”sulla
qualità degli alimenti prodotti in questo ambito e non una sorveglianza puntuale che avrebbe comportato un maggior numero di ricerche per campione. Tale attività, sebbene auspicabile, non collima con le necessità del controllo ufficiale che
205
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
deve garantire sicurezza e salubrità in molti campi contemporaneamente e che, per questo motivo, lavora sulla base dei
principi di analisi del rischio.
Dall’analisi dei dati emerge la necessità di un aggiornamento
legislativo in materia di sicurezza alimentare degli alimenti
somministrati nella ristorazione; persistono nell’attuale normativa vuoti nell’indicazione di limiti microbiologici per i diversi alimenti pertanto le autorità competenti ed i laboratori
di riferimento si attengono ai soli dati presenti in letteratura in
assenza di un riferimento di legge solido.
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
BIBLIOGRAFIA: 1. Piano regionale Integrato dei controlli ufficiali in materia di alimenti, mangimi, sanità e benessere
animale,sanità delle piante 2011-2014
2. Legge 287 del 25/08/91
3. Cenci Goga, B., Ortensi, R., Bartocci, E., Codega De Oliveira, A., Clementi, F., & Vizzani, A., 2005. Effect of the implementation of HACCP on the microbiological quality of meals
at a university restaurant. Foodborne Pathogens and Disease,
vol. 2 n°2
4. Nadja G. Santana, Rogeria C.C. Almeida,, Jeane S. Ferreira,
Paulo F. Almeida “Microbiological quality and safety of meals
served to children and adoption of good manufacturing practices in public school catering in Brazil” Food Control 20 (2009)
255–261
207
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
ANALISI DELLA VARIABILITA’ DEL GENE NOD2/CARD15 QUALE MARCATORE DI
RESISTENZA/SUSCETTIBILITA’ ALLA PARATUBERCOLOSI
BOVINA NELLA RAZZA FRISONA
Colussi S.*[1], Bertuzzi S.[1], Peletto S.[1], Modesto P.[1], Dondo A.[1], Giorgi I.[1], Goria M.[1], Romano A.[1], Gennero M.S.[1],
Bergagna S.[1], Bozzetta E.[1], Varello K.[1], Chiavacci L.[1], Vitale N.[1], Acutis P.L.[1]
Keywords: Paratubercolosi, Gene NOD2/CARD15, Variabilità genetica
Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino
[1]
SUMMARY: Johne’s disease is a chronic enteritis of domestic
ruminants caused by Mycobacterium avium ssp. paratuberculosis (MAP). It determines a financial damage for cattle industry
and poses a public health risk as MAP has been linked to human Chron’s disease. Genetic factors are reported to be involved in susceptibility to MAP infection and marker assisted selection could help to obtain resistant populations. In this work, a
survey on Friesian cattle was carried out to assess the genetic
variability of the NOD2/CARD15 gene in order to create a marker set to be subsequently analyzed in a case-control study.
INTRODUZIONE: La paratubercolosi bovina o malattia di
Johne, causata da Mycobacterium avium spp. paratuberculosis (MAP), è una patologia diffusa a livello mondiale, associata a gravi perdite economiche per l’industria zootecnica. Oltre
a ciò essa sembra rappresentare un importante rischio per la
salute poiché si ipotizza un’associazione tra MAP e Malattia
di Crohn, una patologia dell’uomo che colpisce l’intestino e la
cui incidenza è in aumento. Non esistono vaccini, né terapie
efficaci, l’unico sistema di controllo al momento in uso si basa
sull’implementazione di piani di gestione sanitaria; ciò risulta
comunque complesso a seguito di una bassa specificità che
caratterizza i test diagnostici disponibili, associata in particolare
alla capacità di rilevare le forme subcliniche.
È noto come la suscettibilità all’infezione da MAP sia in parte
determinata da fattori genetici pertanto l’individuazione di geni
target che possano essere utilizzati quali marcatori in piani di
selezione, può facilitare la gestione della malattia creando una
popolazione di bovini resistenti.
NOD2/CARD15 (Caspase Recruitment Domain 15) rappresenta un promettente gene candidato: alleli e aplotipi descritti in
questo gene nell’uomo e nel bovino sono stati infatti associati a
suscettibilità/resistenza al morbo di Chron e alla paratubercolosi (1, 3, 4). Questo gene codifica per un recettore intracellulare
impegnato nel riconoscimento del patogeno e nell’attivazione
del fattore nucleare kB legato alla formazione dei granulomi e
all’attivazione dell’apoptosi. Scopo del presente lavoro è stato analizzarne la variabilità genetica mediante una survey su
bovini di razza Frisona e procedere con un’analisi funzionale
in silico dei polimorfismi rilevati, al fine di predirne il ruolo biologico. Ciò per ottenere un panel di polimorfismi da utilizzare in
un studio caso-controllo su animali di focolaio, al momento in
corso, al fine di stabilire eventuali associazioni tra il gene e la
suscettibilità/resistenza alla malattia.
MATERIALI E METODI: Il DNA è stato estratto mediante il kit
Pure LinkTM Genomic DNA Mini Kit (Invitrogen) da 13 campioni di sangue appartenenti a bovini di razza Frisona, provenienti
da allevamenti diversi, non imparentati tra loro, di differente età
e con una ratio tra i sessi di 1:1.
Il gene NOD2/CARD15 è costituito da 12 esoni, analizzati me-
diante 18 reazioni di PCR (2).
La PCR è stata condotta su un volume di reazione pari a 25 ml
mediante utilizzo di Platinum® qPCR Supermix-UDG (Invitrogen), con aggiunta dei primer suddetti [300 nM] in PCR singole.
La quantità di DNA utilizzata è stata pari a 50-60 ng/ml.
L’amplificato è stato sottoposto a sequenziamento diretto utilizzando i primer della reazione di PCR e la chimica BigDye
3.1 (Applied Biosystems). Le sequenze forward e reverse di
ciascun campione sono state allineate mediante il Software
SeqMan (Lasergene) con il quale è stato creato un consensus
analizzato poi mediante il programma BLAST (Basic Local Alignment Search Tool).
I consensus ottenuti sono stati allineati alle sequenze di riferimento mediante allineamento multiplo utilizzando il programma Clustal V fornito dal Software MegAlign (Lasergene). Come
sequenze di riferimento sono state utilizzate sia la sequenza
sulla quale sono stati disegnati i primer, riportante la somma
degli esoni (Bovine Reference Sequence GenBank accession
number AH03658), sia quella depositata da Taylor (7) riportante la somma delle sequenze codificanti (CDS) utilizzata come
riferimento nei differenti lavori bibliografici considerati (Bovine
Reference Sequence GenBank accession number AY518737);
ciò poiché ciascun amplificato prodotto con i primer descritti,
consta dell’intera CDS e di parziali regioni regolatrici fiancheggianti.
Per ciascun polimorfismo è stato calcolato l’equilibrio di HardyWeinberg e mediante il software PHASE v.2.1 (6) sono stati
definiti gli aplotipi.
I polimorfismi presenti nella regione del promotore sono stati indagati con il software TFSEARCH v. 1.3 per individuare
eventuali punti di interazione con siti di legame per fattori di
trascrizione creati o soppressi dalla presenza della mutazione.
E’ stata effettuata un’analisi con il software UTRScan per rilevare l’eventuale presenza di siti polimorfici all’interno di motivi
consensus.
RISULTATI E CONCLUSIONI: L’analisi della variabilità genetica ha dato i seguenti risultati: gli esoni 1, 2, 7, 8 e 9 non sono risultati polimorfi (l’amplificato ottenuto da ciascuna PCR è costituito dalla CDS e da parziali regioni regolatrici fiancheggianti).
Gli SNPs rilevati negli altri esoni e le relative collocazioni, frequenze e p-value per la verifica del rispetto dell’equilibrio di
Herdy-Weinberg sono riportati in tabella 1: la dicitura riportata
in tabella E3(-7) indica un sito 7 basi a monte dell’inizio della
regione codificante dell’esone 3 e analogamente E10(+106) indica un sito posto 106 basi a valle dell’esone 10.
Tutti gli SNPs riscontrati sono risultati in equilibrio di HardyWeinberg. In tabella 2 sono riportati gli aplotipi rilevati e le frequenze ad essi relative.
Tre mutazioni riportate hanno dato luogo a sostituzioni aminoacidiche non sinonime: 773 g>a determina la sostituzione
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
aa 258 R>H; 2984 c>g, aa 995 T>S e la mutazione 3020 a>t,
aa1007 Q>L; quest’ultima precedentemente riportata in bibliografia ed associata a suscettibilità alla malattia secondo alcuni
studi e non associata secondo altri (3, 4). La matrice di sostituzione aminoacidica per proteine intracellulari riporta per
le prime due sostituzioni il valore 0 indicante una sostituzione
neutrale, mentre la mutazione aa 1007 Q>L è risultata sfavorevole. La mutazione 1194 c>t, anch’essa precedentemente
descritta, dà luogo alla sostituzione sinonima S>S all’aminoacido 398.
Per quanto concerne invece le regioni regolatrici a livello intronico, il polimorfismo E4(-37) t>c appartiene al motivo regolatorio ACCATGG; E3(-7) g>a, E10(+106) ed E11(-15) analizzati con TFSearch hanno mostrato invece l’alterazione di siti
putativi di interazione con fattori di trascrizione. La mutazione
in E3(-7) genera un sito putativo per il fattore di trascrizione C/
EBP coinvolto nel differenziamento e funzionalità macrofagica.
Analogamente E10(+106) crea un sito di interazione per i fattori GATA1 e 2, importanti nella regolazione della fagocitosi; nel
caso di E11(-15) viene invece alterato un sito interazione con
GATA 3 anch’esso coinvolto nella regolazione dei meccanismi
di fagocitosi.
Mutazioni all’interno della regione 3’ UTR sono state indagate
con il software UTRScan ed alcune risultano far parte di motivi
consensus che possono alterare la stabilità dei trascritti primari: 4648 c>a appartiene infatti alla regione CTCCCTCCATTC e
5098 c>t a ATTTGCT.
I risultati ottenuti relativi al ruolo funzionale dei polimorfismi,
associati alla frequenza allelica dell’allele minore (MAF>0.05)
e al rispetto dell’equilibrio di HW, saranno utilizzati per costituire un pannello di marcatori da indagare in uno studio caso-controllo su bovini di razza Frisona, attraverso la messa
a punto di tecniche di genotipizzazione ad alta resa quali il
pirosequenziamento.
Tabella 1: Descrizione degli SNPs, frequenze e p-value H-W ad essi relative
Tabella 2: Descrizione degli aplotipi rilevati e frequenze ad essi relative
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
BIBLIOGRAFIA:
1. Behr M.A. and Schurr E., 2006. Mycobacteria in Chron’s disease: a persistent hypothesis. Inflamm Bowel Dis, 12: 10001004.
2. Pant S.D., Schenkel F.S., Baca I. L., Sharma B.S., and Karrow N.A., 2007. Identification of single nucleotide polymorphisms in bovine CARD 15 and their associations with health and
production traits in Canadian Holsteins. BMC Genomics 8:421
3. Pinedo P.J., Buergelt C.D., Donovan G.A., Melendez P.,
Morel L., Wu R., Langaee T.Y., Rae D. O., 2009. Association
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4. Ruiz-Larranaga O., Garrido J.M., Iriondo M., Manzano C., Molina E., Koets A. P., Rutten V. P. M. G., Juste R.A., and Estonba
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and infection by Mycobacterium avium ssp. Paratuberculosis in
Holstein-Friesian cattle. Animal Genetics, 41: 652-655.
5. Stephens M., and Donnelly P., 2003. A comparison of Bayesian methods for haplotype reconstruction from population genotype data. American Journal of Human Genetics, 73: 11621169.
6. Taylor K., Taylor J.F., White S. N., Womack J.E., 2006. Identification of genetic variation and putative regulatory region in
bovine CARD 15. Mammalian Genome, 17: 892-901.
210
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
DIVERSITA’ GENETICA DEL MTDNA D-LOOP MITOCONDRIALE IN BUBALUS BUBALIS
Corrado F.*[1], Girardi S.[1], Cutarelli A.[1], De Roma A.[1], Coletta A.[2], Guarino A.[1], Galiero G.[1]
Keywords: mtDNA D-loop, Murrah, Bufalypso
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (NA),
[2]
Associazione Nazionale Allevatori Specie Bufalina ~ Caserta
[1]
SUMMARY: The origins of the domestic water buffalo remain
contentious. This study aimed to characterize the genetic
structure of different buffalo breeds by using DNA sequence variation in mtDNA control region D-loop. It is the most
variable portion of the mammalian mtDNA genome making it
useful for studies of genetic variability among populations and
phylogenetic analysis. The clustering used for the 4 populations analyzed (Bufalypso, Murrah, Mediterranean from Italy
and Turkey) confirmed low genetic distance values between
Bufalypso and Murrah, and between Italian and turkey buffalo.
INTRODUZIONE: I bufali appartengono alla classe Mammiferi, ordine Artiodattili, sottordine Ruminanti, famiglia Bovidi,
sottofamiglia Bovini, genere Bubalus specie bubalis. Si distinguono due sottogeneri: bufalo asiatico e bufalo africano.
Il primo (Bubalus bubalis detto anche water buffalo) è diffuso
nell’India orientale e settentrionale, mentre il secondo (Syncerus caffer) è diffuso nell’Africa occidentale, centrale ed orientale (1-2). A tutt’oggi le origini del bufalo domestico sono controverse. Pertanto, al fine di capirne meglio le origini, abbiamo
sequenziato il gene mitocondriale D-loop (3) di 54 campioni in
rappresentanza di quattro popolazioni di razze di bufalo (Bufalypso, Murrah, e razza mediterranea proveniente dall’Italia e
dalla Turchia). Lo scopo di questo studio è stato quello di caratterizzare la struttura genetica delle diverse razze di bufalo
utilizzando le variazioni delle sequenze del DNA nella regione
del gene mitocondriale D-loop. Questo è la parte più variabile
del DNA mitocondriale dei mammiferi ed è pertanto molto utile
per studi di variabilità genetica tra le popolazioni e per l’analisi
filogenetica.
Cockrill WR 1974 FAO
MATERIALI E METODI: - Campionamento ed analisi morfologica
Sono stati analizzati 54 campioni di sangue di bufalo di cui 20
appartenenti alla razza di bufalo mediterraneo provenienti dalla Campania, 22 bufali mediterranei provenienti dalla Turchia,
10 Bufalypso (bufali provenienti dalla Colombia) e due bufali
Murrah provenienti dalla India. Tutti i campioni sono inviati all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno dall’ANASB (Associazione Nazionale Allevatori Specie Bufalina) tranne
i due campioni di bufalo Murrah estrapolati dal comparison test
dei bufali inviato dall’ ISAG 2010 (International Society and the
International Foundation for Animal Genetics).
211
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
- Estrazione del DNA e PCR
IL DNA è stato estratto dal sangue mediante il “QIamp DNA miniKIT” (Qiagen). Il DNA mitocondriale D-loop è stato amplificato
mediante i primers indicati in tabella 1.
Tabella 1.
Primers impiegati per la PCR e il sequenziamento
Buff2A 5’-CATGCATGATAGTACATAGTA-3’
Buff2B 5’-GAGATGGCCCTGAAGAAAGAAC-3’
Buff3A 5’- GTACATAGCACATTTAAGAC -3’
La mix di reazione (50µL) includeva: 25µL di Master Mix 2x
(Applera), 1µL di ogni primer (10µM), 18µL di acqua DNAse/
RNAse free e 100 ng del DNA estratto. Il profilo termico di reazione era il seguente:
1° step di denaturazione di 15 min a 95°C, 35 cicli di: 30 sec a
94°C, 30 sec a 55°C, e 45 sec a 72°C, uno step di elongazione
finale di 5 min a 72°C.
I prodotti di PCR sono stati visualizzati su un gel di agarosio al
2% e successivamente sottoposti a sequenziamento.
- PCR di sequenziamento e BLAST
I prodotti di PCR sono stati purificati mediante Qiaquick PCR
purification Kit (Qiagen) e successivamente sottoposti a PCR
di sequenziamento bi-direzionale utilizzando il kit di sequenziamento ABI PRISM Big Dye3.1 Terminator Cycle Sequencing
Kit (Applied Biosystems) secondo le istruzioni contenute nel
kit. Le sequenze sono state poi purificate del Dye terminator
mediante DyeEX 2.0 spin kit (Qiagen) ed infine sottoposte ad
elettroforesi capillare con lo strumento ABI Prism 3130 Genetic
Analyzer (Applied Biosystems). Gli Elettroferogrammi sono stati analizzati mediante software SeqScape v.2.5 (Applied Biosystem). Le sequenze ottenute sono state analizzate attraverso il
BLAST (http://blast.ncbi.nlm.nih.org).
RISULTATI E CONCLUSIONI: Le analisi delle sequenze del
mtDNA D-loop hanno mostrato una differenziazione genetica
tra le 4 popolazioni di bufali in esame.
I metodi che utilizzano la distanza genetica (Tabella 1) per
costruire l’albero filogenetico di un set di unità tassonomiche
sfruttano particolari algoritmi, detti di clustering.
Il “clustering” utilizzato per le 4 popolazioni in esame, ha mostrato una vicinanza genetica tra il bufalo mediterraneo italiano
e quello turco, confermando un ancestore comune, mentre la
vicinanza genetica tra Bufalypso e Murrah: mostra un miscuglio
genetico e una differenziazione minima tra le popolazioni, forse
perché alcune di esse erano le razze di origine della maggior
parte degli animali nelle diverse aree geografiche Fig.1.
Distanze Matrice delle distanze dA (divergenza del nucleotide D-loop tra le popolazioni) tra le 4 popolazioni di water buffalo
Albero filogenetico (metodo Neighbor-Joining) basato sulla sequenza nucleotidica di una parte del gene D-loop . I valori di confidenza sono stati stabiliti con l’opzione bootstrapping. Il D-loop canis è stata impiegato come outgroup. JQ 320003.1 -Bubalus
bubalis haplotype UP_19 D-loop
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La regione mtDNA D-loop è la porzione del genoma mitocondriale più variabile ed è comunemente variabile a livello intraspecifico, rendendolo pertanto molto utile per studiare la variabilità genetica tra popolazioni, come eseguito in questo studio.
Ulteriori indagini, già in corso, vertono sullo studio di variabilità
genetica all’interno della specie Bubalus bubalis, utilizzando
una regione del gene mitocondriale per la citocromo b, in quanto la variazione intraspecifica della cyt b è minore rispetto a
quella interspecifica e questo fornisce la chiave che permetterà
la differenziazione della specie (4).
BIBLIOGRAFIA: 1) Chen Y.C. & Li X.H. (1989) New evidence
of the origin and domestication of the Chinese swamp buffalo
(Bubalus bubalis). Buffalo Journal 1, 51–5.
2) Cockrill WR, Mahadeven P (1974) The buffaloes of Latin
America. In: The Husbandry and Health of the Domestic Buffalo (ed. by Cockrill WR), pp. 676–707. FAO, Rome.
3)Kierstein G., Vallinoto M., Silva A., Schneider M.P., Iannuzzi
L. & Brenig B. (2004) Analysis of mitochondrial D-loop region
casts new light on domestic water buffalo (Bubalus bubalis)
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4) Lau C.H., Yusoff K., Tan S.G. & Yamada Y. (1995) A PCR
cycle sequencing protocol for population mitochondrial cytochrome b analysis. BioTechniques 18, 262±5.
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
ANISAKIS SPP. IN SPECIE ITTICHE MARINE DI INTERESSE COMMERCIALE
NELLA REGIONE SICILIA: DIFFUSIONE E CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI
GENOTIPI RICOMBINANTI
Costa A.*[1], Martuscelli L.[1], Pisano P.[1], Roccuzzo E.[1], Sciortino S.[1], Di Noto A.M.[1]
Keywords: Anisakis spp., PCR-RFLP, hybrid genotype
IZS Sicilia ~ Palermo
[1]
SUMMARY: The aim of the present work was to investigate, using RFLP genetic, the occurrence and species variability of Anisakis larvae collected in different commercial fish
species at different sites off the Sicilian coasts. 250 Anisakis
larvae were identified by PCR-RFLP on the basis of the diagnostic restriction banding patterns.These were identified as
belonging to A. pegreffii (88.4%), A. simplex s.s.(4.8%) and
A. physeteris (2.0%).12 specimens(4.8%) showed the profile
corresponding to recombinant genotype between A. pegreffii
and A. simplex s.s.: DNA sequencing confirmed the two heterozygote position of the polymorphism in 4 individuals.
INTRODUZIONE: Forme larvali di anisakidi nematodi del
genere Anisakis (Dujardin 1845) si ritrovano comunemente
nei visceri e nella muscolatura di diverse specie di pesci e
cefalopodi marini (12): infezioni umane accidentali possono
verificarsi in seguito al consumo di pesci parassitati crudi o
poco cotti e la conseguente malattia, anisakiasi, è ben documentata da diversi autori, anche in Sicilia (4). Recenti lavori evidenziano l’importanza della corretta identificazione
dei nematodi anisakidi allo scopo anche di approfondire la
conoscenza sulla loro tassonomia, ecologia, epidemiologia
e per la diagnosi ed il controllo nell’ambito della sicurezza
alimentare dei prodotti della pesca (9,10). Negli ultimi venti
anni l’applicazione di metodi molecolari quali, in particolare,
di marcatori molecolari basati su PCR-RFLP nella regione
genomica nucleare ITS-1,5.8 S e ITS-2 (7), ha permesso
una più precisa identificazione delle nove specie di Anisakis
attualmente descritte e, nel contempo, di riscontrare genotipi
eterozigoti tra A. simplex sensu stricto (s.s.) e A. pegreffii.
Scopo del presente lavoro è stato quello di effettuare un’indagine, mediante PCR-RFLP, sulla diffusione di larve di Anisakis spp in alcune specie ittiche di interesse commerciale, già
note come ospiti intermedi, campionate in diversi siti lungo le
coste della regione Sicilia.
MATERIALI E METODI: Forme larvali L3 di nematodi anisakidi
sono state raccolte, mediante osservazione visiva e stereomicroscopio della cavità viscerale e dei muscoli, da 7 differenti
specie di teleostei (Tab 1) campionati nel periodo gennaio 2010
- primo semestre 2012, in diversi siti della regione Sicilia.
I campioni di teleostei attenzionati, appartenenti a specie ittiche
già note per la presenza di Anisakis, provenivano da mercati ittici o direttamente da imbarcazioni per la pesca, di varie zone
lungo le coste siciliane, trasportati entro 24 ore e conservati
a temperatura di refrigerazione. Un totale di 250 larve, identificate morfologicamente al microscopio ottico come appartenenti al genere Anisakis -Tipo I e Tipo II sensu Berland (2)- e
conservate in etanolo 70%, sono state sottoposte ad identificazione molecolare mediante PCR-RFLP. Dopo estrazione e
amplificazione del DNA (6), per la restrizione enzimatica sono
stati utilizzati due enzimi di restrizione (HhaI, HinfI) per l’identificazione di specie di Anisakis (7): i prodotti di digestione sono
stati rivelati tramite elettroforesi su gel di agarosio al 2% con
SYBR Safe, aggiungendo un controllo positivo e il ladder 100
e visualizzati tramite acquisitore d’immagine Gel Doc. I profili
di restrizione ottenuti sono stati letti mediante le chiavi riportate in bibliografia (7). I campioni che presentavano un pattern
di restrizione eterozigote tra A. simplex s.s. e A. pegreffii con
l’enzima HinfI (Fig 1) sono stati sottoposti a sequenziamento
delle intere regioni ITS, per la conferma della presenza della
doppia posizione eterozigote(1). Le reazioni di sequenza sono
state condotte con l’impiego del kit Applied Biosystems versione 3.1; i frammenti di PCR amplificati sono stati passati su
colonnine G50 (GE Healthcare), denaturati e analizzati tramite
sequenziatore automatico ABI Prism 3130 Genetic Analyzer
(Applied Biosystems). Gli elettroferogrammi risultanti sono stati analizzati mediante software “Sequencing Analysis 5.2” e le
sequenze nucleotidiche corrispondenti inserite in WU-BLAST e
allineate con le sequenze di riferimento di A. simplex s.s.e A.
pegreffii presenti in GeneBank.
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RISULTATI E CONCLUSIONI: La metodica di PCR-RFLP,
sulla base dei tipici profili di restrizione ottenuti con l’enzima
di restrizione HinfI (7), ha permesso di identificare le larve
del genere Anisakis Tipo I come appartenenti alla specie A.
pegreffii (88.4%), A. simplex s.s.(4.8%) e al genotipo ricombinante descritto in letteratura (1) che mostra tipicamente 4
frammenti corrispondenti a tutte le bande di restrizione osservate in A. simplex s.s ed in A. pegreffii (Fig 1). Tale pattern
eterozigote A. pegreffii/A. simplex s.s. in particolare è stato
osservato in 12 larve (4 da spatola, 3 da alici, 2 da suro e 1
rispettivamente da sgombro, nasello e rana pescatrice)(Tab
1). Il sequenziamento genico delle regioni ITS ha evidenziato
che 2 forme larvali (da spatola) presentavano l’eterozigosi C/T
in prima posizione e T nella seconda mentre 6 larve mostravano C in entrambe le posizioni: in quest’ultimo caso il pattern
eterozigote è probabilmente dovuto ad incompleta digestione
del DNA amplificato. L’analisi dell’elettroferogramma (Fig 2)
ha confermato la presenza di entrambe le posizioni eterozigoti
(C/T) in 4 larve (1 da alice, 1 da sgombro e 2 da suro) evidenziandone l’identità ibrida: tali forme larvali provenivano da
campioni ittici prelevati lungo le coste meridionali della Sicilia.
Larve di A. pegreffii sono state isolate da tutte le specie ittiche
esaminate mentre la specie A. simplex s.s. è stata identificata
solo in campioni di sgombro catturati lungo le coste occidentali e del sud della Sicilia.Riguardo le larve morfologicamente riferibili al Tipo II, queste sono state identificate come A.
physeteris (2.0%) e provenivano da campioni di pesce pescati
nello stretto di Messina.
I risultati da noi ottenuti aggiungono ulteriori dati riguardo le
specie di Anisakis presenti nei nostri mari nonché agli aspetti
ecologici ed epidemiologici di tali parassiti. A. pegreffii, specie
isolata in diversi casi di anisakiasi umana in Italia, è la specie
dominante nel Mar Mediterraneo, in diverse specie ittiche pe-
lagiche e demersali,che riconosce come ospiti definitivi varie
specie di delfini (9). A. simplex s.s. è la specie prevalente nelle coste nord-est dell’Atlantico ed è occasionalmente presente nelle acque del Mediterraneo occidentale a seguito della
migrazione di specie ittiche pelagiche dall’Atlantico al Mar di
Alboran (10) e si ritrova in S. scombrus nei mari delle coste
nord africane (8). E’ inoltre nota la presenza di A. physeteris
nel Mar Mediterraneo, che riconosce come ospite definitivo
il capodoglio (Physeter macrocephalus), mammifero marino
presente nelle acque dello Stretto di Messina.
Il nostro studio inoltre aggiunge nuovi dati sul riscontro di larve di genotipi ricombinanti di Anisakis nel Mar Mediterraneo.
Dati bibliografici mostrano che il pattern ibrido A. pegreffii/A.
simplex s.s. è stato identificato in forme larvali di Anisakis raccolte da campioni ittici provenienti da diverse zone del Mar
Mediterraneo (1,3,5,8,11).
BIBLIOGRAFIA: 1.Abollo E., Paggi L, Pascual S., D’Amelio
S. (2003) Occurrence of recombinant genotype of Anisakis
simplex s.s. and Anisakis pegreffii (Nematoda: Anisakidae) in
an area of sympatry Infect. Genet. Evol 3,175-181
2.Berland B.(1961) Nematodes from some Norwegian marine
fishes Sarsia 2:1-50
3.Burzacca F., Antonini S., D’Amelio S., Cavallero S., Angeletti M., Favia G. (2012) SOIPA XXVII Abstracts Mappe parassitologiche 18:171-2
4.Cancrini G., Magro G. , Giannone G.(1997) 1st case of extra-gastrointestinal anisakiasis in a human diagnosed in Italy
Parassitologia 39 (1);13-17
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Tyrrhenian Sea (NW Mediterranean) Vet Parasitol 187:563566
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
6.Sciortino S., Palumbo P., Reale S., Macrì D., Costa A.(2009)
Applicazione della PCR-RFLP per l’identificazione di specie di
larve di Anisakis isolate da prodotti della pesca Atti XI Congresso
Nazionale S.I.Di.L.V :66-67
7.D‘Amelio S., Mathiopoulos K.D., Santos C.P., Pugachev
O.N.,Webb S.C.,Picanço M., Paggi L.(2000) Genetic markers in
ribosomal DNA for the identification of members of the genus Anisakis (Nematoda: Ascaridoidea) defined by polymerase-chainreaction-based restriction fragment length polymorphism Int J
Parasitol 30:223-26
8.Farjallah S., Slimane B.B.,Busi M., Paggi L., Amor N., Blel H.,
Said K.,D’Amelio S.(2008) Occurrence and molecular identification of Anisakis spp from the North African coasts of Mediterranean Sea Parasitol Res 102(3);371-9
9.Mattiucci S., Abaunza P., Ramadori L., Nascetti G.(2004) Genetic identification of Anisakis larvae in European hake from Atlantic and Mediterranean waters for stock recognition J Fish Biol
65:495-510
10.Mattiucci S. Nascetti G. (2008) Advances and trends in the
molecular systematics of anisakid nematodes, with implications
for their evolutionary ecology and host-parasite co-evolutionary
processes Adv Parasitol 66:47-148
11.Meloni M., Angelucci G., Merella P., Siddi R., Deiana C., Orrù
G, Salati F.(2011) Molecular characterization of Anisakis larvae
from fish caught off Sardinia J Parasitol 97;908-14
12. Orecchia P., Paggi L., Mattiucci S., Di Cave D., Catalini N.
(1989) Infestazione da larve di Anisakis simplex e Anisakis physeteris in specie ittiche dei mari italiani Parassitologia 31:37-43
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FIORITURE ALGALI DI ALEXANDRIUM SPP IN IMPIANTI DI MITICOLTURA DELLA
REGIONE SICILIA: RISCHI PER LA TOSSICITA’ DA PSP (PARALYTIC SHELLFISH POISON)
Costa A.*[1], Giacobbe M.G.[3], Cangemi E.[2], Penna A.[4], Borzì S.[2], Alio V.[1], Nicastro L.[1], Rabito A.[5]
Keywords: P.S.P. algal toxins, toxic phytoplankton monitoring, sanitary control
IZS Sicilia ~ Palermo,
[2]
IAMC ~ Messina,
[3]
IAMC ~ Messina,
[4]
Dip Scenze Biomolecolari Sez Biol Ambientale ~ Urbino,
[5]
ARPA ~ Siracusa
[1]
SUMMARY: One of the main problems in such regions worldwide is the increased frequency of HABs (Harmful Algal Blooms),
including blooms of toxic dinoflagellates, such as several Alexandrium species producing potent neurotoxins (saxitoxins
and/or gonyautoxins). Bloom impact on aquaculture may be
dramatic, with economic consequences and risks for human
health.
Recent toxic blooms of Alexandrium spp (Dinophyceae), A.
minutum and first records of A. catenella, are reported in an
Ionian bay of Sicily, the Syracuse harbour, hosting shellfish
aquaculture practices.
INTRODUZIONE: Il problema delle fioriture algali tossiche
(HAB) e della presenza delle tossine algali nei molluschi ha
assunto negli ultimi decenni grande rilevanza dal punto di vista
economico nonchè igienico-sanitario. Ciò è dovuto, probabilmente, al flusso commerciale internazionale dei molluschi che
vengono posti in zone di stabulazione, oppure veicolati dal traffico navale (1). La presenza di tossine nei molluschi bivalvi oltre
i limiti stabiliti dalla normativa vigente, ne comporta il divieto di
raccolta e di commercializzazione ai fini della tutela della salute
pubblica. E’ noto che i molluschi bivalvi vivi possono concentrare pericolose tossine, prodotte da varie specie microalgali, e
pervenire così all’uomo a seguito del loro consumo, anche dopo
cottura. In particolare, la tossina PSP (Paralyzing Shellfish Poison) responsabile di sindromi neurotossiche e rappresentata
dalla saxitossina e dai suoi analoghi, è prodotta da microalghe
come i dinoflagellati Alexandrium (A. minutum, A. tamarense,
A. catenella) e Gymnodinium (G. catenatum), con ampia distribuzione geografica e presenti in varie zone del mar Mediterraneo (4,5). La presenza di alghe tossiche per PSP (A. minutum) è riportata già da alcuni anni anche nelle acque del Porto
di Siracusa (2,8) presso il quale sono ubicati degli impianti di
miticoltura, classificati come acque “zona B”. Precedenti nostri
lavori riportano nel contempo la positività per tossina PSP nei
mitili (Mytilus galloprovincialis) con concentrazioni di saxitossina superiori al limite di legge (2), e contemporanea presenza
di specie tossiche (A. minutum) nelle acque della stessa zona
(2,5). In questo lavoro vengono riferiti episodi di recenti fioriture
algali da Alexandrium spp nelle acque della stessa zona riportando per la prima volta la presenza di A. catenella.
MATERIALI E METODI: Lo studio di microalghe tossiche da
noi effettuato nelle acque del Porto di Siracusa ha previsto l’applicazione di tecniche di biologia molecolare, come valido supporto al monitoraggio di specie tossiche e problematiche HAB,
in accoppiamento alle metodiche tradizionali di microscopia per
lo studio morfologico. In particolare tale studio includeva:
1) identificazione di specie tossiche come Alexandrium spp. in
base alle caratteristiche morfologiche osservate al microscopio
ottico; 2) identificazione e conferma della specie bersaglio mediante tecnica PCR quantitativa Real Time; 3) studio di tossinogenicità delle colture di Alexandrium e ricerca della tossicità
per i molluschi (studio attualmente in corso)
Estrazione del DNA e amplificazione. I campioni di acqua (10
ml) sono stati centrifugati a 4000 g x 15 min a T.a. per ottenere
il pellet cellulare: da questo è stato estratto il DNA mediante
DNeasy Plant Mini kit (Qiagen).
La prima identificazione molecolare, effettuata mediante PCR
utilizzando primers specifici e amplificando la zona ITS-5.8S
rDNA (3), ha permesso la rapida conferma dell’identità di diversi specie tossiche sospette quali A. minutum e A. catenella.
La metodica PCR è descritta in Penna et al (7). La presenza di
cellule di A. catenella nei campioni delle retinate è stata confermata per la prima volta in questa area mediante l’amplificazione della regione 5.8S-ITS.
Nel contempo è stata effettuata mensilmente la determinazione di biotossine algali PSP sui campioni di mitili, campionati
nella stessa zona, mediante metodo biologico ufficiale AOAC
959.08.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Lo studio del plancton marino
costiero è di primaria importanza ai fini di una corretta gestione delle risorse ambientali, specialmente in aree interessate
da attività umane con ricadute di tipo socio-economico sul territorio. Gli ambienti confinati come baie, lagune, porti e mari
interni, hanno un ruolo predominante, tra le diverse tipologie
di aree costiere, in quanto spesso sono siti idonei ad attività
di pesca ed acquicoltura e, allo stesso tempo, proprio a causa
delle loro caratteristiche di segregazione con scarsa circolazione e ricambio delle acque, sono sede di fenomeni eutrofici/distrofici come i bloom algali, che possono causare danni
all’ecosistema ed alla sua produttività. A questo si possono
aggiungere problemi di tipo sanitario se i bloom sono causati
da specie produttrici di tossine, con possibili danni diretti agli
stock ittici e/o con l’accumulo di tossine lungo la catena alimentare, per es. attraverso i mitili, fino all’uomo.
La zona del Porto di Siracusa rappresenta come l’area siciliana più idonea allo studio, in termini di area più a rischio
a causa della presenza di varie specie fitoplanctoniche produttrici di Harmful Algal Blooms (HAB). Questo sito confinato,
che ospita la coltivazione di mitili, è fra l’altro soggetto all’insorgenza ricorrenti fioriture tossiche o nocive di A. minutum
e di altre specie tossiche di Dinoflagellate, fioriture che si verificano ogni primavera, con una densità massima di 106 cell/l
(4). Riguardo i risultati ottenuti, la ricerca di tossine algali PSP
effettuata sui campioni di mitili mediante mouse test ha dato
esito negativo. L’analisi del fitoplancton ha invece permesso
di evidenziare la presenza di una nuova specie di alga tossica appartenente al genere Alexandrium, A. catenella, per la
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
prima volta riscontrata nelle acque di questa località mediterranea (Fig 1).
Si ipotizza una recente introduzione della specie nella nostra regione, poiché i dati ottenuti da precedenti monitoraggi
del fitoplancton tossico mediante indagini microscopiche e
molecolari non avevano mostrato la presenza di A. catenella
nelle acque del porto di Siracusa, o in altre località siciliane.
Il problema delle alghe tossiche e delle ricorrenti fioriture in
varie zone delle coste italiane, sedi di impianti di molluschicoltura, è da tempo noto (1): il conseguente rischio sanitario
è soggetto a continua attenzione grazie alle attuali normative
comunitarie e nazionali che impongono monitoraggi sistematici di acqua e MBV per rilevare rispettivamente l’eventuale presenza di plancton tossico e di biotossine nelle aree
di produzione, nonché provvedimenti di rapida chiusura delle
aree di pesca quando accumulate a livelli superiori ai limiti di
legge. Riteniamo opportuno nei periodi riconosciuti da anni
più a “rischio fioritura”, quali la primavera ed inizio estate,
tenuto conto anche delle temperature della nostra regione,
intensificare le analisi per la ricerca di tossine PSP nei molluschi d’allevamento, al fine di controllare e limitare l’impatto
pesante di queste fioriture sulla salute pubblica e sulla molluschicoltura.
(Ricerca finanziata
IZI-2008-1139874)
dal
Ministero
della
Salute-
RF-
BIBLIOGRAFIA: 1.Ade P. , Funari E., Poletti R. Il rischio sanitario associato alle tossine di alghe marine (2003) Ann Ist
Sup Sanità 39 (1):53-68.
2.Costa A., Di Noto A.M. ,Russo Alesi E.M., Alio V. , Milandri
A., Pompei M. , Poletti R. Giacobbe M.G. , Caracappa S.
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Shellfish Poison ) in mitili allevati nel porto grande di Siracusa, Sicilia Atti LXI Convegno Nazionale SISVeT; 375-376
3.L. Galluzzi, A. Penna, E. Bertozzini, M.G. Giacobbe, M. Vila,
E. Garcés, S. Prioli, M. Magnani (2005) Development of a qualitative PCR method for the Alexandrium spp. (Dinophyceae)
detection in contaminated mussels (Mytilus galloprovincialis).
Harmful Algae 4:973-983.
4. Giacobbe M.G., M. Maso’, A. Milandri, A. Penna, R. Poletti.
(2006) Plankton toxicity and shellfish contamination by phycotoxins in a new Mediterranean locality. In: Proceedings of the
5th International Conference on Molluscan Shellfish Safety,
(Eds K.Henshilwood, B. Deegan, T. McMahon, C. Cusack, S.
Keaveney, J. Silke,, M. O’ Cinneide, D. Lyons, P.Hess). Marine
Institute, Rinville, Oranmore, Galway, Ireland, p.206-214
5.A. Milandri, M. Cangini, A. Costa, M.G. Giacobbe, R. Poletti,
M. Pompei, E. Riccardi, S. Rubini, S. Virgilio, S. Pigozzi (2008)
Caratterizzazione delle tossine PSP (Paralytic Shellfish Poisoning) in mitili raccolti in differenti aree marine italiane Biol. Mar.
Mediterr. 2008, 15(1), 38-41
6.Penna A., S. Fraga, M. Masò, M.G, Giacobbe, I. Bravo, E.
Garcés, M. Vila, E. Bertozzini, F. Andreoni, A. Lugliè,C. Vernesi. (2008) Phylogenetic relationships among the Mediterranean Alexandrium (Dinophyceae) species based on sequence of
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European Journal of Phycology. 43: 163-178.
7. Penna A., Bertozzini E., Battocchi C., Galluzzi L., Giacobbe
M.G., Vila M., Garcès E., Lugliè A., Magnani M. (2007) Monitoring of HAB species in the Mediterranean Sea through molecular methods. Journal of Plankton Research, 29 (1): 19-38.
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Sampedro N., Azzaro F., Camp J., Galluzzi L. (2005) A comparative study on recurrent blooms of Alexandrium minutum in
two Mediterranean harbours. Harmful Algae, 4: 673-695.
218
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
ISOLAMENTO DI MICROSPORUM COOKEI DA ESEMPLARI DI SCOIATTOLO GRIGIO
E SCOIATTOLO ROSSO IN UMBRIA
Crotti S.[1], Agnetti F.*[1], Tentellini M.[1], Sebastianelli M.[1], Danesi P.[2], Marini C.[1], Papa P.[1], Paoloni D.[3]
Keywords: scoiattolo grigio, scoiattolo rosso, Microsporum cookei
IZS Umbria e Marche ~ Perugia,
IZS delle Venezie ~ Legnaro (PD),
[3]
DBCA, Università degli Studi ~ Perugia
[1]
[2]
SUMMARY: Eastern grey squirrel is an invasive alien species
in Europe. Its introduction is causing a dramatic decline of the
native red squirrel. Its presence as well as determines some
health threats to the autochthonous species, represents a potential risk for the human health.
In Umbria a management plan involving trapping and euthanasia of the grey squirrel is carrying out.
In order to evaluate the two Sciurids healthy, a sampling protocol including a mycological survey has been applied.
Microsporum cookei, a geophilic dermatophyte, was isolated
and identified from red and grey squirrels.
Collezione campioni:
ad oggi le indagini micologiche sono state condotte su 35
campioni così suddivisi:
• 26 da scoiattolo grigio, rappresentati da peli e unghie, raccolti immediatamente dopo l’eutanasia, eseguita tramite inalazione in camera ermetica saturata con CO2.
• 9 da scoiattolo rosso, rappresentati solo da peli raccolti durante la fase di procedura di manipolazione in vivo.
Il materiale biologico è stato conservato in contenitori di plastica sterili a temperatura ambiente fino al momento della semina.
INTRODUZIONE: Lo scoiattolo grigio Sciurus carolinensis
Gmelin, 1788 è una specie di origine nord-americana, introdotta e divenuta invasiva in Europa, dove è presente in Inghilterra,
Irlanda e Italia. Esso tramite il processo di esclusione competitiva determina la scomparsa della specie autoctona, lo scoiattolo comune europeo (o rosso) Sciurus vulgaris Linnaeus,
1758. Inoltre lo scoiattolo grigio rappresenta una minaccia per
l’intera biocenosi forestale e, potenzialmente, anche per talune attività antropiche. In Inghilterra uno dei principali fattori di
estinzione e sostituzione della specie autoctona è rappresentato dalla veicolazione da parte della specie aliena del Poxvirus
(6); mentre sono, ad oggi, sconosciuti eventuali impatti sanitari
sia su altre specie selvatiche che sull’uomo, considerate le abitudini sinantropiche del taxon alloctono.
In Umbria, la specie è presente dai primi anni del 2000 nell’area urbana e peri-urbana della città di Perugia e si trova attualmente in una fase di forte espansione sia numerica che spaziale (5). Per tentare di arginarne la diffusione è in atto un Piano
di Controllo Regionale che prevede la cattura e la conseguente
soppressione eutanasica di individui di scoiattolo grigio.
Sulla base dell’attività gestionale, si è avviata una ricerca su
entrambi gli sciuridi al fine di valutarne lo stato sanitario e le
conseguenti eventuali implicazioni legate alla sanità pubblica.
Uno dei campi di indagine è rappresentato dalla ricerca, da
campioni di peli ed unghie, di dermatofiti. Per quest’ultimi si
è proceduto anche ad identificazione molecolare, tramite sequenziamento, per confermare quanto emerso dall’osservazione macro e microscopica.
Ricerca e identificazione dei dermatofitiTecnica morfologica:
peli e/o unghie sono stati seminati su terreno colturale Dermasel Agar base addizionato con supplemento selettivo (Cloramfenicolo e Cycloheximide) Oxoid ® e incubati a 25°C in atmosfera normale per 4-6 settimane, procedendo, per le letture
delle piastre, come descritto da Lewis et al. (1975) (4). Successivamente le colonie sono state sottoposte ad osservazione macro e microscopica (microscopio ottico 40X, 100X).
Tecnica molecolare:
il Dna delle colonie è stato estratto da coltura di 10 gg, amplificato mediante primers ITS1/ITS2 e successivamente sequenziato. Il sequenziamento è stato allineato mediante programma Clustal W (7) e le sequenze comparate con quelle presenti
nel MycoBank database (http://www.mycobank.org).
MATERIALI E METODI: Tra Novembre 2011 e Luglio 2012
sono stati catturati 49 scoiattoli grigi (poi soppressi) e 11 scoiattoli rossi (rilasciati dopo raccolta di campioni biologi e dati
biometrici e marcatura individuale) in 4 diverse aree di trappolamento, tutte ricadenti all’interno del Sito di Importanza Comunitaria IT5210021 Monte Malbe (Perugia). Sono state inoltre
raccolte 17 carcasse in seguito ad investimenti stradali: 8 individui appartenenti alla specie alloctona e 9 a quella autoctona.
Tutti gli esemplari sono stati sottoposti ad indagine necroscopica, durante la quale sono stati effettuati anche i prelievi per le
successive indagini di laboratorio.
RISULTATI E CONCLUSIONI: 4 campioni, ovvero l’11,4% del
totale, sono risultati positivi per Microsporum cookei. Le colonie di questo dermatofita geofilo sono cresciute su Dermasel
in un tempo medio di 12 gg (da un minimo di 6 ad un massimo
di 24 gg). Esse presentavano la superficie (recto) di colore
rosa chiaro e aspetto polveroso e il fondo (verso) caratterizzato da bande concentriche di colore rosso-bruno, tendenzialmente più chiare in periferia. La forma delle colonie è risultata
circolare con margini frastagliati. Microscopicamente è stato
possibile osservare numerosi macroconidi di forma ellittica, a
parete spessa e multisettati (da 3 a 7 setti) (Foto 1 e Foto 2).
Il sequenziamento ha mostrato alta similarità con le sequenze di Artroderma cajetani, ovvero la forma teleomorfa di Microsporum cookei confermando dunque l’identificazione morfologica.
In nessun caso la presenza del dermatofita era associata a
lesioni evidenti della cute.
Le 4 positività sono riferibili ad individui trappolati, nello specifico 3 di queste sono state rilevate in Sciurus vulgaris ed una
in Sciurus carolinensis. Dal punto di vista spaziale gli individui
positivi per il dermatofita si localizzano in due diverse aree di
cattura (ciascuna con 2 individui) distanti tra loro circa 2,5 km.
Entrambi i siti di trappolamento sono caratterizzati da vegetazione forestale.
219
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
L’identificazione morfologica del dermatofita si è basata sulle
seguenti caratteristiche:
- velocità di crescita moderata su terreno selettivo che inibisce
lo sviluppo di contaminanti;
- aspetto macro-microscopico della colonia.
L’utilizzo di strumenti diagnostici avanzati, come il sequenziamento, è stato indispensabile per confermare quanto emerso
dalle ricerche di laboratorio tradizionali, attribuendo maggior
valore scientifico al dato osservato, anche considerando la
complessa tassonomia dei taxa in oggetto.
Microsporum cookei è stato descritto per la prima volta da Ajello nel 1959 (1) ed isolato in campioni di suolo provenienti da diverse aree degli Stati Uniti d’America. Successivamente la sua
presenza è stata osservata a scala globale, sia su campioni di
suolo che su specie animali in presenza di lesioni cutanee (2).
In Italia Caffara e Scagliarini segnalano il suo primo isolamento
sullo scoiattolo grigio nel 1999 (3).
Microsporum cookei, nonostante sia un dermatofita geofilo,
non di frequente isolamento in corso di affezioni cutanee, tuttavia si ritrova anche sul mantello di specie domestiche e selvatiche (prevalentemente roditori) e può potenzialmente infettare
l’uomo ed essere responsabile di forme di Tinea.
Considerando la distribuzione di Sciurus carolinensis in Umbria, legata ad ambienti fortemente antropizzati (oltreché naturali e semi-naturali) compresi parchi e giardini, possiamo affermare che l’interfaccia di contatto tra la specie alloctona e
l’uomo sia molto ampia.
Per tale motivo e per le caratteristiche etologiche dello scoiattolo grigio (adattabile e molto confidente) si ritiene di fondamentale importanza, per la tutela della salute pubblica, continuare ad indagare taluni aspetti sanitari legati alla presenza
dello sciuride alloctono. Tra questi, i dermatofiti sembrerebbero
rivestire al momento una delle criticità maggiormente significative nel breve e medio periodo.
Foto 1. Colonia di M. cookei su Dermasel Agar: verso (a)
Foto 1. Colonia di M. cookei su Dermasel Agar: recto (b)
220
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Foto 2. Macroconidi di M. cookei (microscopio ottico, 100x)
BIBLIOGRAFIA: 1) Ajello L. - 1959. A new Microsporum and its
occurrence on man and animals. Mycologia 1959; 51: 69-76.
2) Badillet G. - 1991. Dermatophyties et Dermatophytes. Atlas
Clinique et Biologique, 3rd edn. VARIA, Paris. 1991: 190-191.
3) Caffara M., Scagliarini A. - 1999. Study of diseases of the
grey squirrel (Sciurus carolinensis) in Italy. First isolation of the
dermatophyte Microsporum cookei. Medical Micology 1999, 37:
75-77.
4) Lewis E., Hoff G.L., Bigler W.J., Jefferies M.B. - 1975. Public
health and the urban grey squirrel: micology. Journal of Wildlife
diseases, 1975, 11: 502-504.
5) Paoloni D., Minciarelli L., Croce M., Sergiacomi U., Ver-
cillo F., Ragni B. - 2012. A contribute to biodiversity: Eastern
grey squirrel management approach for the conservation of red
squirrel in Umbria (Central Italy).
6) Thomas K., Tompkins D.M., Sainsbury A.W., Wood A.R.,
Dalziel R., Nettleton P. F., McInnes C.J. - 2003. A novel poxvirus lethal to red squirrels (Sciurus vulgaris). Journal of General
Virology 2003, 84: 3337–3341.
7) Thompson J.D., Higgins D.G., Gibson T.J. - 1994. CLUSTAL
W: improving the sensitivity of progressive multiple sequence
alignment through sequence weighting, position-specific gap
penalties and weight matrix choice. Nucleic Acids Research,
1994, Vol. 22, No. 22 :4673-4680.
221
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
OGM: MESSA A PUNTO E VALIDAZIONE DI UN SISTEMA MULTI-SCREENING IN FAST
PCR REAL-TIME PER LA RILEVAZIONE DI DIVERSE SPECIE VEGETALI
Curcio L.*[1], Pierboni E.[1], Madeo L.[1], Tovo G.[1], Rondini C.[1]
Keywords: PCR, FAST, MULTI-SCREENING
Istituto Zooprofilatico Sperimentale dell’ Umbria e delle Marche ~ Perugia
[1]
SUMMARY: The official laboratories verify compliance with
labelling legislation of EU and Italian laws. A multi-screening
system detects any possible unauthorized transgenic feeds
and foods. In this paper we show setting up and application
of Fast Real-Time PCR, tested on GM soya, maize, rice and
potato certified reference materials, on a multi-screening system that detects 5 targets: P35S, PAT, NPTII, CP4-EPSPS
and CTP2-CP4EPSPS. This analytical method providing a
powerful analytical tool for cost but especially for time reduction: only 30 minutes vs. 1 hour and 30 minutes.
INTRODUZIONE: Per effettuare i controlli necessari alla rilevazione di un qualunque elemento transgenico in mangimi
ed alimenti, i laboratori hanno la necessità di ricorrere ad un
sistema rapido che consenta la messa in evidenza di OGM
sia autorizzati dalla legislazione vigente che non autorizzati.
Un metodo di multi-screening consente di rilevare contemporaneamente da differenti specie vegetali (quali mais, soia,
riso, patata, ecc.) diversi OGM. Il sistema presenta altri vantaggi: restringe il campo di indagine nel processo analitico,
riduce ulteriormente i costi, ma soprattutto abbrevia i tempi
di risposta dato che l’analisi in Fast PCR Real Time ha una
durata di 30 minuti. Il Laboratorio ha messo a punto e validato in Fast PCR Real Time questo metodo con cinque bersagli:
promotore 35S del virus del mosaico del cavolfiore (P35S),
terminatore NOS del gene nopalina sintasi di Agrobacterium
tumefaciens (T-NOS), gene pat, derivato da Streptomyces
viridochromogenes (PAT), gene nptII, derivato da Escherichia coli (NPTII), gene cp4-epsps derivato dal ceppo CP4 di
Agrobacterium tumefaciens (CP4-EPSPS) ed infine il costrutto ctp-cp4epsps, derivato dalla congiunzione della sequenza codificante per il peptide segnale CTP (chloroplast transit
peptide), derivato da Arabidopsis thaliana e la sequenza epsps derivata dal ceppo CP4 di Agrobacterium tumefaciens
(CTP2-CP4EPSPS) (1,7,8). In particolare, in fase di messa
a punto per il costrutto CTP2-CP4EPSPS sono stati presi in
esame dei primers e delle sonde in bibliografia affinchè non
inficiassero il risultato con dei falsi negativi per il peptide di
transito dei cloroplasti (2).
MATERIALI E METODI: MATERIALI DI RIFERIMENTO CERTIFICATI (MRC): farine di soia contenenti diverse percentuali
di soia GM RR (ERM) e farina GM MON89788 (AOCS), infine
DNA di soia GM A2704-12 (AOCS); farine di mais contenenti
varie percentuali di mais MON810, Bt176, GA21, MON863,
DAS1507, NK603, MIR604, DAS59122 (ERM) e DNA di mais
GM T25 (AOCS); farine di patata EH92-527-1 (ERM); ed infine DNA di riso GM LL62 (AOCS).
ESTRAZIONE DAI MRC: l’estrazione del DNA dalle farine
di soia e mais è stata eseguita con metodica CTAB e purificazione mediante kit commerciale QIAamp DNA Mini Kit
(Qiagen), mentre per l’estrazione dalla farina di patata si è
adoperato un metodo interno con kit commerciale DNeasy
mericon Food (Qiagen). Il DNA estratto è stato quantificato
fotometricamente (3). L’assenza di inibitori di PCR è stata
testata tramite “Fast Monitor Run” ovvero una PCR taxonspecifica eseguita sul DNA tal quale e sul diluito 1:4.
OLIGONUCLEOTIDI (PRIMER) E SONDE (PROBE): le sequenze per la rilevazione del target P35S sono state testate
quelle del metodo normato (5); mentre, per i costrutti specifici PAT, NPTII, CP4-EPSPS si riferiscono a quelle testate
nel corso della Ricerca Corrente** (1,7). Per la rilevazione
del costrutto CTP2-CP4EPSPS sono stati messi a confronto
quelli utilizzati nella R.C./2007 con delle sequenze oggetto di
uno studio scientifico (2).
MESSA A PUNTO METODO: l’ottimizzazione della concentrazione dei primers si è ottenuta testando tre diverse concentrazioni di primers combinate tra loro, ogni combinazione
è stata verificata in quadruplice copia; la combinazione migliore è stata individuata in base al Ct più basso, un basso
scarto tipo ed un alto ∆Rn. L’ottimizzazione della concentrazione della probe si è ottenuta testando in quadruplice copia
6 diverse concentrazioni crescenti (50nM, 100nM, 150nM,
200nM, 250nM, 300nM).
METODI FAST PCR REAL-TIME: tutte le prove sono state
ottimizzate su piattaforma Applied Biosystems ABI 7900HT,
utilizzando una concentrazione finale di 1x TaqMan® Universal FAST PCR Master Mix in un volume di 20 µL e adottando
il seguente profilo di amplificazione: stage 1 a 95°C per 20
secondi, stage 2 composto dal primo step a 95°C per 1 secondo e dal secondo step a 60°C per 20 secondi, ripetuto per
40 cicli (4).
VALIDAZIONE IN PCR REAL-TIME: per la validazione del
metodo qualitativo si è calcolato il LOD ed è stata testata la
sensibilità, la specificità e la robustezza (6).
LOD: sono state allestite 8 diluizioni a numero di copie decrescenti di DNA bersaglio di MRC ad alta percentuale transgenica. Per ciascuna diluizione sono stati saggiati 10 replicati
in modalità Standard PCR Real-time, l’esperimento è stato
ripetuto due volte per un totale di 20 dati sperimentali.
SENSIBILITÀ E SPECIFICITÀ: sono stati testati per ogni metodo 10 campioni contenenti il DNA bersaglio e 10 campioni
non contenenti il DNA bersaglio, scelti tra i MRC.
ROBUSTEZZA: è stata allestita la stessa prova su MRC per
ogni target da validare sia su ABI 7900HT che StepOne Plus
PCR Real-time.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Il costrutto genico CTP2CP4EPSPS è stato ottimizzato con entrambe le sequenze
nucleotidiche a disposizione. I primers e la probe utilizzati
nella R.C./2007 hanno dato origine a falsi negativi. In particolare, non sono in grado di amplificare il bersaglio nel mais
GM NK603. Il problema non si presenta con gli oligonucleotidi e la sonda dello studio di Grhomann L. et al. (1) ottimizzati
come descritto nella messa a punto del metodo.
Per ogni singolo elemento genetico sono state definite la
concentrazione ottimale dei primers e della sonda come riportato nella tabella 1.
222
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Tabella 1. Risultati dell’ottimizzazione dei primers e della probe.
Si è proceduto così alla validazione per l’esecuzione di prove qualitative.
La tabella 2 riporta il numero di copie genomiche del LOD, in relazione ad ogni singolo evento.
Tabella 2. LOD ottenuti per ogni singolo evento genetico.
Nella prova di verifica dei parametri di specificità e sensibilità,
si sono riscontrati amplificati in MRC che avrebbero dovuto dare
esito negativo al target testato. È stata evidenziata la presenza della specie vegetale soia nei seguenti mais GM: MON810,
GA21 e DAS1507. Tuttavia, avendo questi MRC mostrato Ct
>40 sono considerati non rilevati. Nella verifica della soia GM
MON89788 si è riscontrata una contaminazione per il P 35S e
CP4-EPSPS, che dalla tipizzazione ha dato esito positivo per
soia GM RR. Terminate le prove di verifica della contaminazione,
la sensibilità e la specificità sono risultate del 100% per ogni me-
todo. Dalle prove di robustezza, il risultato ottenuto su entrambe
le apparecchiature non ha mai superato il criterio di accettabilità.
Attualmente, grazie al sistema multi-screening, il Laboratorio è
in grado di identificare ed orientare verso la successiva tipizzazione, gli eventi GM riportati in tabella 3.
L’innovazione nei confronti di una PCR Real-Time standard risiede maggiormente nella tempistica della reazione, dato che
avviene in circa 30 minuti contro circa 1ora e 30 minuti.
Per il futuro si vorrebbe proporre la metodica validata all’accreditamento ed aumentare il numero dei target.
Tabella 3. Combinazioni positività al multi-screening.
223
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
BIBLIOGRAFIA:
1) Alexander TW, et al. J. of Biotechnology 112:255-266
(2004). “Use of quantitative real time and conventional PCR to
assess the stability of the cp4 epsps transgene from Roundup
Ready® canola in the intestinal, ruminal, and fecal contents of
sheep”
2) Grhomann L. et al. J Agric Food Chem. 57:8913-8920
(2009). “Collaborative trial validation studies of real-time PCR
based GMO screening methods for detection of the bar gene
and the ctp2-cp4epsps construct”.
3) ISO 21571:2005 (Annex A.3 e B.1).
4) Real-Time PCR Systems, Applied Biosystems 7900HT Fast
Real-Time PCR System and 733/7500 Real-Time PCR Systems “Chemistry Guide”.
5) UNI EN ISO 21570:2006 (Annex B.1).
6) Verification of analytical methods for GMO testing when
complementing interlaboratory validated methods, ENGL 2011
(ISBN 978-92-79-19925-7).
7) Waiblinger H.U. et al. Anal Bioanal Chem (2009). “A pratical
approach to screen for authorised and unauthorised genetically modified plants”.
8) Waiblinger H.U. et al.- Eur Food Res Technol. 226:12211228 (2008). “Validation and collaborative study of a P35S and
T-nos duplex real-time PCR screening method to detect genetically modified organisms in food products”.
* Ricerca Corrente MINSAL IZSUM 2010 - Ampliamento ed
evoluzione della filiera analitica relativa agli OGM: messa a
punto e validazione di prove in Fast PCR Real-Time per la
rilevazione e la quantificazione di organismi transgenici non
ancora e/o recentemente approvati in Europa.
** Ricerca Corrente MINSAL IZSLT (CROGM) 2007 –– Sviluppo ed applicazione di sistemi analitici per l’analisi del rischio e
per il controllo ufficiale degli OGM.
224
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
OGM: STUDIO DEI COSTRUTTI T-NOS E CTP2-CP4EPSPS NELLA MESSA A PUNTO
E VALIDAZIONE DI UN SISTEMA PCR REAL TIME MULTI-SCREENING
Curcio L.*[1], Pierboni E.[1], Madeo L.[1], Tovo G.[1], Rondini C.[1]
Keywords: PCR, GMO, MULTI-SCREENING
Istituto Zooprofilatico Sperimentale dell’ Umbria e delle Marche ~ Perugia
[1]
SUMMARY: Detection any possible unauthorized transgenic feeds and foods is the mission of the official laboratories that verify compliance with labelling legislation of Italy. In
this paper we show setting up and application of Real-Time
PCR, tested on GM soya, maize, rice and potato certified reference materials, on a multi-screening system that detects 6
targets: P35S, T-NOS, PAT, NPTII, CP4-EPSPS and CTP2CP4EPSPS. It is very important method to identify unauthorized GMOs whereas the lack of event-specific methods and
reference materials.
INTRODUZIONE: Per effettuare i controlli necessari alla rilevazione di OGM in mangimi ed alimenti, i laboratori hanno la
necessità di ricorrere ad un sistema che consenta la rapida
messa in evidenza di qualunque elemento transgenico, sia
presente tra gli OGM autorizzati dalla legislazione vigente che
tra i non autorizzati.
Il metodo multi-screening consente di rilevare contemporaneamente da differenti specie vegetali (quali mais, soia, riso,
patata, ecc.) diversi OGM.
Il sistema presenta altri vantaggi: restringe il campo di indagine nel processo analitico e riduce ulteriormente i costi ed i
tempi di risposta. Tale metodo, nel corso della R.C./2007**
è stato messo a punto e validato in PCR Real Time con sei
target: promotore 35S del virus del mosaico del cavolfiore
(P35S), terminatore NOS del gene nopalina sintasi di Agrobacterium tumefaciens (T-NOS), gene pat, derivato da Streptomyces viridochromogenes (PAT), gene nptII, derivato da
Escherichia coli (NPTII), gene cp4-epsps derivato dal ceppo
CP4 di Agrobacterium tumefaciens (CP4-EPSPS) ed infine
il costrutto ctp-cp4epsps, derivato dalla congiunzione della
sequenza codificante per il peptide segnale CTP (chloroplast
transit peptide), derivato da Arabidopsis thaliana e la sequenza epsps derivata dal ceppo CP4 di Agrobacterium tumefaciens (CTP2-CP4EPSPS) (1,2,7,8).
In fase di messa a punto, per gli elementi genetici T-NOS
e CTP2-CP4EPSPS sono state prese in esame sequenze
differenti di primers e sonde (1,2,7,8) che permettessero di
ottenere un metodo uniforme, nel caso del gene terminatore
nopalina sintasi, e che non inficiassero il risultato con dei falsi
negativi per il peptide di transito dei cloroplasti.
MATERIALI E METODI: MATERIALI DI RIFERIMENTO CERTIFICATI (MRC): farine di soia contenenti diverse percentuali di soia GM MON-40-3-2 (ERM), farina GM MON89788 e
DNA di soia GM A2704-12 (AOCS); farine di mais contenenti
varie percentuali di mais MON810, Bt176, GA21, MON863,
DAS1507, NK603, MIR604, DAS59122 (ERM) e DNA di mais
GM T25 (AOCS); farine di patata EH92-527-1 (ERM); ed infine DNA di riso GM LL62 (AOCS).
ESTRAZIONE DAI MRC: l’estrazione del DNA dalle farine di
soia e mais è stata eseguita con metodica CTAB e purificazione mediante kit commerciale QIAamp DNA Mini Kit (Qiagen),
mentre per l’estrazione dalla farina di patata si è adoperato
un metodo interno con kit commerciale DNeasy mericon Food
(Qiagen). Il DNA estratto è stato quantificato fotometricamente (3); l’assenza di inibitori di PCR è stata testata tramite “Fast
Monitor Run”, ovvero una PCR taxon-specifica eseguita sul
DNA tal quale e sul diluito 1:4.
OLIGONUCLEOTIDI (PRIMER) E SONDE (PROBE): per la
rilevazione del target P35S sono state utilizzate le sequenze citate nel metodo normato (5), mentre, per il PAT, NPTII,
CP4-EPSPS si riferivano a quelle testate nel corso della
R.C./2007** (1,7).
Per i geni T-NOS e CTP2-CP4EPSPS le sequenze utilizzate
nel corso della R.C./2007** (1,7) sono state messe a confronto con delle altre oggetto di studio in due differenti pubblicazioni scientifiche (2,8).
MESSA A PUNTO METODO: l’ottimizzazione della concentrazione dei primers si è ottenuta testando 3 diverse concentrazioni di primers combinate tra loro, ogni combinazione è
stata verificata in quadruplice copia; la combinazione migliore
è stata individuata in base al Ct più basso, un basso scarto tipo ed un alto ∆Rn. L’ottimizzazione della concentrazione
della probe si è ottenuta testando in quadruplice copia 6 diverse concentrazioni crescenti (50nM,100nM,150nM,200nM,
250nM,300nM).
METODI PCR REAL-TIME: tutte le prove sono state ottimizzate su piattaforma Applied Biosystems ABI 7900HT, utilizzando una concentrazione 1x di TaqMan® Universal PCR
Master Mix in un volume finale di 20 µL. Il profilo di amplificazione adottato è: stage 1 a 50°C per 2 minuti, stage 2 a 95°C
per 10, stage 3 composto da uno step a 95°C di 15 secondi ed
un secondo step a 60°C per 1 minuto, ripetuto per 50 cicli (4).
VALIDAZIONE IN PCR REAL-TIME: per la validazione del
metodo qualitativo si è calcolato il LOD ed è stata testata la
sensibilità, la specificità e la robustezza (6).
LOD: sono state allestite 8 diluizioni a numero di copie decrescenti di DNA bersaglio di MRC ad alta percentuale transgenica. Per ciascuna diluizione sono stati saggiati 10 replicati in
modalità Standard PCR Real-time, l’esperimento è stato ripetuto due volte per un totale di 20 dati sperimentali.
SENSIBILITÀ E SPECIFICITÀ: sono stati testati per ogni metodo 10 campioni contenenti il DNA bersaglio e 10 campioni
non contenenti il DNA bersaglio, scelti tra i MRC.
ROBUSTEZZA: è stata allestita la stessa prova su MRC per
ogni target da validare sia su ABI 7900HT che StepOne Plus
PCR Real-time.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Il sistema T-NOS della
R.C./2007** si differenziava nell’allestimento dagli altri bersagli, pertanto per uniformare le modalità operative, si sono stati
testati i primers e la sonda dello studio di Waiblinger H.U, et
al. (8) con una variazione: 5 concentrazioni diverse combinate
tra loro da 600nM a 1000nM, per un totale di 22 combinazioni,
lasciando inalterate le modalità di preparazione. Tutte sono
state amplificate.
Il costrutto genico CTP2-CP4EPSPS della R.C./2007** nella
225
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
prova di specificità e sensibilità, ha dato origine a falsi negativi. In particolare, non viene amplificato il bersaglio nel mais
GM NK603. Il problema non si presenta con i primers e la
sonda dello studio di Grhomann L. et al. (2) ottimizzati come
descritto nella messa a punto del metodo.
Per ogni singolo elemento genetico è stata definita la concentrazione ottimale dei primers e della sonda (Tab. 1). La
tabella 2 riporta il numero di copie genomiche del LOD per
ogni singolo target.
Tabella 3. Combinazioni positività al multi-screening.
Tabella 1. Risultati dell’ottimizzazione dei primer e della probe.
Tabella 2. LOD ottenuti per ogni singolo costrutto e media Ct.
Nella prova di verifica dei parametri di specificità e sensibilità,
si sono riscontrati amplificati in MRC che avrebbero dovuto
dare esito negativo al target testato. È stata evidenziata la
presenza della specie vegetale soia nei seguenti mais GM:
MON810, GA21 e DAS1507. Tuttavia, avendo questi MRC
mostrato Ct >40 sono considerati non rilevati. Nella verifica
della soia GM MON89788 si è riscontrata una contaminazione per il P 35S, T-NOS e CP4-EPSPS, che dalla tipizzazione
ha dato esito positivo per soia GM MON 40-3-2. Terminate le
prove di contaminazione, la sensibilità e la specificità sono
risultate del 100% per ogni metodo. Dalle prove di robustezza, il risultato ottenuto non ha mai superato il criterio di accettabilità.
Grazie al sistema multi-screening, si è in grado di identificare
ed orientare verso la successiva tipizzazione, gli eventi GM
riportati in tabella 3. Nell’immediato futuro l’obiettivo principale del Laboratorio è proporre la metodica validata all’accreditamento; in seguito riuscire a validare la stessa in modalità
Fast, non solo per tutti i sei target oggetto di questo studio,
ma contestualmente di riuscire ad inserirne altri.
BIBLIOGRAFIA: 1) Alexander TW, et al. J. of Biot 112:255-266
(2004). “Use of quantitative real time and conventional PCR to
assess the stability of the cp4 epsps transgene from Roundup
Ready® canola in the intestinal, ruminal, and fecal contents of
sheep”
2) Grhomann L. et al. J Agric Food Chem. 57:8913-8920
(2009). “Collaborative trial validation studies of real-time PCR
based GMO screening methods for detection of the bar gene
and the ctp2-cp4epsps construct”.
3) ISO 21571:2005.
4) Real-Time PCR Systems, Applied Biosystems 7900HT Fast
Real-Time PCR System and 733/7500 Real-Time PCR Systems “Chemistry Guide”.
5) UNI EN ISO 21570:2006.
6) Verification of analytical methods for GMO testing when
complementing interlaboratory validated methods, ENGL 2011
(ISBN 978-92-79-19925-7).
7) Waiblinger H.U. et al. Anal Bioanal Chem (2009). “A pratical
approach to screen for authorised and unauthorised genetically
modified plants”.
8) Waiblinger H.U. et al.- Eur Food Res Technol. 226:12211228 (2008). “Validation and collaborative study of a P35S and
T-nos duplex real-time PCR screening method to detect genetically modified organisms in food products”.
* Ricerca Corrente MINSAL IZSUM 2010 - Ampliamento ed
evoluzione della filiera analitica relativa agli OGM: messa a
punto e validazione di prove in Fast PCR Real-Time per la rilevazione e la quantificazione di organismi transgenici non ancora e/o recentemente approvati in Europa.
** Ricerca Corrente MINSAL IZSLT (CROGM) 2007 –– Sviluppo ed applicazione di sistemi analitici per l’analisi del rischio e
per il controllo ufficiale degli OGM.
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
STUDIO DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN TOPI VACCINATI CON BRUCELLA
MELITENSIS REV1: PARTE 1 – APPROFONDIMENTI SULLA RISPOSTA INNATA
Curina G.[1], Montagnoli C.[2], Paternesi B.[1], Severi G.[1], Forti K.[1], Rizzo G.[1], Cagiola M.*[1]
Keywords: Brucella melitensis REV1, Flow Cytometric, Innate immune response
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia,
[2]
Università degli Studi di Perugia ~ Perugia
[1]
SUMMARY: Sheep brucellosis, a zoonosis mainly due to Brucella melitensis (biovar 1, 2 or 3), remains widespread world-wide. It is responsible for genital disorders and abortions in sheep
and also a source of significant economic losses. The aim of
this first part of the study was to investigate the innate immune
response induced in mouse Balb-c vaccinated with a live B.
melitensis REV1 vaccine produced in bioreactor (1) in order to
develop innovative vaccine and diagnostic test DIVA.
INTRODUZIONE: Le malattie provocate da Brucella hanno una
notevole importanza sia dal punto di vista sanitario, in quanto
causano zoonosi, sia da un punto di vista economico, a seguito dei frequenti aborti ed infertilità che provocano nei piccoli ruminanti. Nelle zone endemiche dei paesi del Mediterraneo, la
profilassi immunitaria con vaccino vivo attenuato REV1 risulta
ancora oggi l’unico strumento valido per controllare l’infezione negli ovini e caprini. L’unico risvolto negativo nell’impiego
di tale presidio immunizzante è che induce una produzione di
anticorpi non facilmente distinguibili, con test impiegati routinariamente nei laboratori, da quelli prodotti dagli animali infetti.
Questo è infatti il motivo principale che limita l’utilizzo del vaccino REV1 nei paesi in cui sono in corso piani di eradicazione
basati su test sierologici e sull’abbattimento degli animali ad
essi risultati positivi. Scopo di questa prima parte della nostra
indagine è stato approfondire, mediante la tecnica citofluorimetrica, le conoscenze in merito all’interazione tra tale agente
microbico e le cellule immunitarie, al fine di sviluppare nuovi
presidi immunizzanti e test diagnostici DIVA (Differentiating Infected from Vaccinated Animals).
MATERIALI E METODI: Animali e modello sperimentale
Sono stati utilizzati 80 topi Balb-c femmina (20-30 gr) di 6 settimane di età, suddivisi in 4 gruppi, ciascuno composto da 20
animali di cui n° 5 animali infettati per via intraperitoneale con
1*106 C.F.U. (2) e n° 3 animali usati come controllo (inoculati
con 0,5 ml di S.F). Gli animali sono stati abbattuti a 24h(1),
48h(2), 72h(3) e 7(4), 14(5), 21(6), 30(7), 60(8), 90(8), 120(9)
giorni dopo l’inoculazione sperimentale (DPI) del vaccino.
Allestimento vaccino REV1
Il ceppo batterico impiegato per l’allestimento del vaccino è stato fornito dall’INRA, Nouzilly. I batteri sono stati risospesi in PBS
(pH 6.8) e coltivati in Trypticase Soy Agar supplementati con
0,5%(v/v) di siero equino sterile. La coltura vaccinale è stata
ottenuta su 20 litri di terreno liquido in fermentatore impiegando
la tecnica del U.S. Department of Agriculture (1).
Preparazione campioni per analisi citofluorimetrica
Le diverse popolazioni cellulari ottenute da ogni campione di
milza sono state poste ad incubare a temperatura controllata (+
4°C), alla concentrazione di 1*106 cellule, con anticorpi monoclonali primari PE anti-mouse F4/80-Pan Macrophage marker
(eBioscience), PE anti-mouse N.K. 1.1 (eBioscience), primari
PE anti-mouse CD11c (Serotec) come marcatore delle cellule
dendritiche; (PE-Cy5) anti-mouse CD62L (eBioscience) come
marcatore della selectina 62L; FITC rat anti-mouse CD80 (Serotec) come marcatore della molecola costimolatoria B7-1; PECy5 Anti-mouse CD86 (eBioscience) come marcatore della molecola costimolatoria B7-2.
Analisi in citometria a flusso
I campioni allestiti sono stati processati usando lo strumento
FACSCalibur (BD), equipaggiato con un laser BLUE 488 nm.
Il settaggio dello strumento è stato ottimizzato utilizzando le
CALIBRITErmTM 3 (BD Biosciences). I dati fluorimetrici sono
stati analizzati utilizzando il software CellQuest Pro (Becton
Dickinson Immunocytometry Systems) e Kaluza 1.1 Beckman
Coulter. La distinzione delle diverse popolazioni cellulari è stata
effettuata attraverso l’analisi morfologica utilizzando i parametri
di Forward e Scatter caratteristici.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I dati ottenuti dallo studio fenotipico delle popolazioni cellulari coinvolte nella risposta immunitaria innata hanno evidenziato un netto aumento nel tempo dei
macrofagi (f4/80) a partire dalle 48 ore dopo la vaccinazione
(Fig. 1B). Infatti, si assiste non solo ad una loro espansione clonale ma anche ad una attivazione, questo in relazione alla loro
funzione di cellule presentanti l’antigene (APC). La massima variazione percentuale si ha a 14 DPI (Fig. 1A) mentre la massima
attivazione si ha tra 24 e 48 ore dopo la vaccinazione (Fig. 1B).
Il ruolo svolto dall’immunità aspecifica nel corso dell’infezione
è stato evidenziato anche dall’espansione clonale delle cellule
Natural Killer a 48h dopo la vaccinazione raggiungendo il picco
massimo a 72 ore (Fig. 2).
I dati ottenuti dall’analisi delle cellule dendritiche, (MHCII/
CD11c) che svolgono anche esse un importante ruolo nella presentazione degli antigeni ai linfociti T, sono stati illustrati in Fig.
3A.
Tali cellule vanno incontro ad un’espansione clonale nei primi
21 giorni per tornare gradualmente ai livelli basali 90 giorni dopo
la vaccinazione. I dati relativi all’intensità di fluorescenza dimostrano anche una loro attivazione proprio in concomitanza della
loro espansione (Fig. 3B).
Un altro marcatore molto importante studiato è stato la L-selectina (CD62L), una proteina di superficie utilizzata dai linfociti T
naïve per migrare verso i siti d’infezione (Fig. 4).
Analizzando i dati, si assiste ad una sua attivazione già nei
primi giorni dopo la vaccinazione, dimostrando un ruolo fondamentale nell’attivazione e nel reclutamento degli stessi. La proliferazione e la differenziazione dei linfociti T naïve è stata evidenziata mediante lo studio delle molecole espresse dalle APC,
come il B7-1 (CD80) e il B7-2 (CD86) che legandosi al CD28
trasmettono all’interno dei linfociti T un segnale che amplifica la
sopravvivenza, la produzione di citochine e la differenziazione
dei linfociti T naïve in linfociti effettori e di memoria. Dall’analisi
dei dati si evince che la percentuale di cellule che esprimono
il recettore B7-1 e B7-2 è significativamente aumentata già 2
giorni dopo la vaccinazione (Fig. 5A e B).
227
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Dall’analisi dei dati ottenuti nel presente lavoro, è emerso
che il vaccino REV1 allestito nel nostro laboratorio, espleta
una stimolazione di tutte le cellule immunocompetenti coinvolte nella risposta immunitaria innata. Infatti, è stata dimostrata
l’attivazione dei macrofagi (Fig. 1A e B) e delle NK (Fig. 2) con
il loro aumento soprattutto nelle prime fasi della vaccinazione.
Quest’ultime, producendo una citochina (IFN-gamma), stimolano ulteriormente l’attivazione dei macrofagi, garantendo
una prima importante difesa, in attesa di uno sviluppo della
risposta immunitaria specifica (2). Inoltre è stata dimostrata la
capacità da parte dei macrofagi attivati di secernere importanti citochine in grado di attivare le cellule endoteliali a secernere selectine (Fig. 4), ligandi delle integrine e chemochine (3,
4). Relativamente ai linfociti T e B naïve la loro attivazione
è stata dimostrata mediante la presenza di molecole definite costimolatorie. Tali molecole, sono rappresentate da una
coppia di proteine tra loro correlate, denominate B7-1 (CD80)
e B7-2 (CD86) espresse sulle cellule dendritiche e sui macrofagi attivati. Analizzando i grafici relativi ai marcatori CD80 e
CD86 (Fig. 5A e B) si è visto proprio come queste due molecole siano presenti sulle APC già dalle primissime ore dopo la
vaccinazione rimarcando la loro funzione di cellule attivanti i
linfociti. I dati ottenuti da questa preliminare indagine possono
rappresentare le basi per studi più approfonditi al fine di sviluppare presidi immunizzanti innovativi da impiegare contro la
brucellosi ovi-caprina.
Fig.1: Variazione nel tempo della popolazione dei macrofagi f4/80+ (A) e cinetica dei macrofagi (f4/80) (B)
228
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Fig.2: Cinetica delle NK
Fig. 3: Cinetica delle cellule dendritiche APC (A) e cinetica di attivazione delle cellule presentanti l’antigene (B)
Fig. 4: Cinetica della L- selectina (CD62L)
229
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Fig. 5: Variazione nel tempo dell’espressione del CD80 (A) e variazione nel tempo dell’espressione del CD86 (B)
BIBLIOGRAFIA:
1. G.G. Alton, L.M. Jones, R.B. Angus, J.M. Verger “ Techniques for brucellosis laboratory “ 1988 INRA, Paris.
2. Chrysanthi Paranavitana, Elzbieta Zelazowska, Mina
Izadjoo,
David Hoover - Interferon-g associated cytokines and chemokines produced by spleen cells from Brucella-immune
mice. Cytokine 30 (2005) 86-92.
3. Lapaque N, Moriyon I, Moreno E, Gorvel JP: Brucella
lipolysaccharide acts as a virulence factor.Current Opinion
in Microbiology 2005,8:60-66.
4. B. Raupach, S. HE Kaufmann “Immune responses to intracellular bacteria” 2001, Current Opinion Immunology, 13,
417-428
230
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
STUDIO DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA IN TOPI VACCINATI CON BRUCELLA
MELITENSIS REV1: PARTE 2 – APPROFONDIMENTI SULLA RISPOSTA ACQUISITA
Curina G.[1], Montagnoli C.[2], Paternesi B.[1], Severi G.[1], Forti K.[1], Rizzo G.[1], Cagiola M.*[1]
Keywords: Brucella melitensis REV1, Flow cytometric, cellular specific immune response
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia,
[2]
Università degli Studi di Perugia ~ Perugia
[1]
SUMMARY: The live Brucella melitensis REV1 strain is currently considered as the best vaccine available for the control of sheep and goats brucellosis, especially when used at
the standard dose. In a previous study we investigate about
innate immune response induced in mice balb-c vaccinated
with a live B. melitensis REV1 vaccine produced in bioreactor. In this second part of the study we investigated the
cellular specific immune response induced in mice Balb-c
vaccinated with REV1 strain. This further investigation was
carried out as improvement of the previous study showed in
the first part.
INTRODUZIONE: La brucellosi rappresenta, ad oggi, una
delle più importanti malattie sia per il carattere zoonosico
che per gli aspetti economici. Nel precedente lavoro sono
stati valutati gli aspetti relativi alla risposta immunitaria innata in topi vaccinati con il REV1. Scopo del presente studio,
è invece quello di indagare in merito alla risposta immunitaria acquisita, restando valide tutte le considerazioni presenti
nell’introduzione del precedente lavoro.
MATERIALI E METODI: Animali e modello sperimentale
Sono stati utilizzati 80 topi Balb-c femmina (20-30 gr) di 6
settimane di età, suddivisi in 4 gruppi, ciascuno composto
da 20 animali di cui n° 5 animali infettati per via intraperitoneale con 1*106 C.F.U. (2) e n° 3 animali usati come controllo
(inoculati con 0,5 ml di S.F). Gli animali sono stati abbattuti
a 24h(1), 48h(2), 72h(3) e 7(4), 14(5), 21(6), 30(7), 60(8),
90(8), 120(9) giorni dopo l’inoculazione sperimentale (DPI)
del vaccino.
Allestimento vaccino REV1
Il ceppo batterico impiegato per l’allestimento del vaccino
è stato fornito dall’INRA, Nouzilly. I batteri sono stati risospesi in PBS (pH 6.8) e coltivati in Trypticase Soy Agar supplementati con 0,5 (v/v) di siero equino sterile. La coltura
vaccinale è stata ottenuta su 20 litri di terreno liquido in fermentatore impiegando la tecnica del U.S. Department of
Agriculture (1).
Preparazione campioni per analisi citofluorimetrica
Le diverse popolazioni cellulari ottenute da ogni campione
di milza, sono state poste ad incubare a temperatura controllata (+ 4°C), alla concentrazione di 1*106 cellule, con
anticorpi monoclonali primari PE anti-mouse CD152 (CTLA4) (eBioscience) come marcatore dei linfociti CD4+ e CD8+
recentemente attivati; FITC anti-mouse CD45RB (BD Pharmingen) come marcatore delle cellule della memoria; PE rat
anti-mouse CD45RA (BD Pharmingen) come marcatore delle cellule naïve; PE anti-mouse/human CD45R (eBioscience) come marcatore dei linfociti B; anti-mouse Foxp3 (eBioscience) come marcatore del fattore di trascrizione espresso
dai linfociti T regolatori.
Analisi in citometria a flusso
I campioni allestiti sono stati processati usando lo strumento
FACSCalibur (BD), equipaggiato con un laser BLUE 488
nm.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I dati ottenuti relativi ai CD3
sono illustrati in Fig. 1A. E’ stata riscontrata un’attivazione in
graduale aumento già dai primi giorni dopo la vaccinazione
per poi avere un picco massimo a 21 giorni. Dal trentesimo
giorno si assiste ad un ritorno verso valori del gruppo di controllo.
E’ stata rilevata la stimolazione dei linfociti naïve CD3+ e
la loro differenziazione in CD4+CD8- e CD4-CD8+. I linfociti CD4+ hanno mostrato un’attivazione progressiva fino a 7
DPI per poi rimanere costanti per tutta la durata della prova.
Invece i linfociti CD8+ hanno mostrato un andamento fluttuante nel tempo (Fig. 1B).
Analizzando i dati ottenuti dai linfociti T della memoria (Fig.
2) si evince chiaramente che il vaccino sviluppa memoria
immunologica già dal 7° giorno e si mantiene attiva almeno
fino a tre mesi. Questo è dimostrato dal fatto che si assiste
ad un aumento esponenziale del recettore CD45RB, presente sulle cellule T di memoria, a discapito di una diminuzione
progressiva dell’attivazione del recettore CD45RA, marcatore dei linfociti T naïve.
Infine, l’analisi del marcatore CD45R, caratteristico dei linfociti B, ha messo in evidenza un loro aumento esponenziale
a partire dal 2° giorno, a conferma del coinvolgimento della
risposta immunitaria umorale nel processo infettivo (Fig. 3).
Relativamente ai linfociti T regolatori è stata valutata l’attivazione del recettore Cytotoxic T-Lymphocyte Antigen 4
(CTLA-4 o CD152), espresso sui linfociti T CD4+ e CD8+
recentemente attivati, la cui funzione è quella di inibire l’attivazione della risposta T. Analizzando i dati ottenuti sull’espressione del CTLA-4 si nota come questo recettore inizia
ad attivarsi al 7° giorno con un picco massimo 21 giorni dopo
la vaccinazione (Fig. 4).
Analizzando i dati, si assiste ad una quasi totale mancanza
delle cellule regolatorie nelle fasi iniziali della vaccinazione.
Solo dopo 28 giorni dall’inoculo del vaccino, si assiste ad
un aumento importante nel numero dei linfociti T regolatori
(Fig. 5A).
Al fine di valutare la risposta delle cellule T regolatorie alla
vaccinazione con REV1, è stato analizzato il FoxP3 (forkhead box P3), un fattore trascrizionale molto importante per
la loro attivazione. Un incremento statisticamente significativo di tali cellule CD4+/CD25+/FoxP3+ è stato osservato 90
giorni dopo la vaccinazione (Fig. 5B).
Dallo studio fenotipico delle cellule coinvolte nella risposta
immunitaria al vaccino REV1, prodotto in bioreattore, è emerso un coinvolgimento delle cellule sia “innate” (vedi lavoro
parte 1) che “adaptive”. Durante la sperimentazione non si
231
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
è registrata una variazione percentuale dei linfociti T CD3+
statisticamente significativa (dati non mostrati). Da un punto
di vista dell’attivazione si assiste, invece, ad un graduale aumento già dalle prime ore dopo la vaccinazione (Fig. 1A). La
popolazione linfocitaria CD4+ ha mantenuto valori piuttosto
elevati per tutta la durata dell’esperimento, dimostrando un
ruolo chiave nella protezione da B. melitensis ceppo REV1.
Le cellule CD8+, invece, hanno presentato una partecipazione discontinua nella risposta immunitaria (Fig. 1B). L’andamento altalenante riscontrato in quest’ultima popolazione
è stato forse determinato dal fatto che il ceppo variante S
stimola prevalentemente una risposta di tipo Th1. Inoltre,
sono stati valutati i linfociti T della memoria per verificare
se il vaccino fosse in grado di sviluppare memoria immunologica, caratteristica essenziale per la protezione conferita
dalla vaccinazione. Nel presente lavoro è stata evidenziata
la comparsa di tali cellule. Infatti, i linfociti T con recettore
CD45RB hanno mostrato un aumento esponenziale a par-
tire da 7 giorni dalla vaccinazione, mantenendosi su valori
alti per tutto il periodo dell’esperimento a discapito di una
diminuzione progressiva del recettore CD45RA, marcatore
dei linfociti T naïve (Fig. 2). Infine l’aumento esponenziale
dei linfociti B (CD45R) conferma il loro coinvolgimento nelle
fasi tardive della risposta immunitaria alla vaccinazione. A
motivo di quanto sopra riportato risulta quanto mai importante programmare ulteriori esperimenti che permettano di
studiare ed indagare il comportamento di tali cellule nel lungo periodo.
I dati ottenuti da questo studio preliminare nel modello murino, impiegando la tecnica citofluorimetrica, hanno confermato e chiarito i meccanismi che si attivano nella risposta
immunitaria cellulare ed umorale (4,5) a seguito dell’inoculazione del vaccino vivo attenuato REV1. L’implementazione
di tali studi può essere determinante per lo sviluppo di nuovi
presidi immunizzanti e test diagnostici innovativi in grado di
individuare gli animali infetti da quelli vaccinati.
Fig. 1: Cinetica dei linfociti T CD3+ (A) e cinetica dei linfociti CD4+/CD8+ (B)
232
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Fig. 2: Cinetica dei marcatori di linfociti T della memoria
Fig. 3: Cinetica dei linfociti B
Fig. 4: Cinetica del recettore CTLA-4 (CD152)
233
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Fig. 5: Cinetica dei linfociti T regolatori (A e B)
BIBLIOGRAFIA:
1. G. G. Alton, L.M. Jones, R.B. Angus, J.M. Verger “ Techniques for brucellosis laboratory “ 1988 INRA, Paris
2. M.J. Grillo’, M.J. De Miguel, P.M. Munoz, C.M. Marìn and J.M.
Plasco “Efficacy of several antibiotic combinations against Brucella melitensis Rev1 experimental infection in BALB/c mice”
2006 Journal of Antimicrobial Chemiotherapy 58, 622-626
3. B. Raupach, S. HE Kaufmann “Immune responses to intracellular bacteria” 2001, Current Opinion Immunology, 13,
417-428
4. M.E. Hamdy, S.M. El-Gibaly, A.M. Montasser “Comparision
between immune responses and resistance induced in BALB/c
mice vaccinated with RB51 and Rev1 vaccines and challenged
with Brucella melitensis bv.3” 2002 Vet. Microbiol. 88, 85-94
5. G. Splitter, S. Oliveira, M. Carey, C. Miller, J. Ko, J. Covert “
T lymphocyte mediated protection against facultative intracellular bacteria” 1996, Vet. Immunology and Immunopatology, 54,
309-319
234
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
IMPORTANZA DI UNA CORRETTA IDENTIFICAZIONE TASSONOMICA DI
STAFILOCOCCHI COAGULASI POSITIVI
Currò V.[1], Piazza A.[1], Persichetti M.F.[1], Galluzzo P.[1], Caracappa S.[1]
Keywords: , ,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia, Palermo
[1]
SUMMARY: Staphylococci are important opportunistic pathogens in most animal species. Among the most relevant species
are the coagulase positive species Staphylococcus aureus and
Staphylococcus pseudintermedius. Methicillin resistance has
emerged as an important problem in both of these organisms,
with significant concerns about animal and public health. Misidentification of S. aureus with S. pseudintermedius should be
avoided in order to establish the best therapy and to avoid the
onset of antimicrobial resistance.
INTRODUZIONE: Il genere Staphylococcus comprende patogeni opportunisti di varia importanza in veterinaria. Gli stafilococchi più importanti da un punto di vista clinico sono gli stafilococchi coagulasi positivi S. aureus e i membri del gruppo S.
intermedius in particolare S. pseudointermedius.
S. intermedius è stato descritto per la prima volta nel 1976 (3), ma
nel corso degli ultimi anni, si è creata confusione sulla classificazione tassonomica. Nel 2005 è stata descritta la nuova specie,
S. pseudintermedius (1). Isolati in precedenza classificati come
S. intermedius per le loro caratteristiche fenotipiche, sono stati
riclassificati sulla base di tecniche di biologia molecolare, grazie
alle quali isolati appartenenti al gruppo S. intermedius sono stati divisi in tre gruppi: S. intermedius, S. pseudintermedius e S.
delphini (6). Questo ha chiarito che S.pseudintermedius e non
S. intermedius è la specie del gruppo di S. intermedius (SIG),
che colonizza e provoca infezioni in cani e gatti (4).
S. pseudintermedius è un patogeno opportunista agente eziologico di infezioni della pelle e dell’orecchio, di altri tessuti e cavità
corporee e di ferite post-operatorie (7)
Una caratteristica degli stafilococchi è quella di divenire resistenti ai farmaci antimicrobici. L’acquisizione della resistenza
alla meticillina è di particolare importanza sia in medicina umana che in veterinaria. S. pseudintermedius resistenti alla meticillina (MRSP), al pari dei noti MRSA sono stati descritti. Anche
per gli MRSP la resistenza sarebbe dovuta alla presenza del
gene mecA
In passato gli isolati di S. pseudintermedius erano sensibili agli
antibiotici beta lattamici, ma dal 2006 MRSP sono emersi come
serio problema in medicina veterinaria (7).
Gli MRSP rappresentano una minaccia per l’uomo e per gli animali poiché il loro trattamento in animali che ospitano MRSA
possono portare a resistenze addizionali negli MRSA con un
elevato rischio/potenziale zoonotico.
MATERIALI E METODI: Tamponi sono stati effettuati da cani
e gatti che presentavano disturbi ricorrenti (otite cronica, scolo
nasale, dermatiti, fauciti o gengivostomatiti) presso laboratori
privati. Il materiale prelevato è stato stoccato nel terreno di trasporto in condizioni di refrigerazione fino all’arrivo in laboratorio.
Presso la sezione di Diagnostica dell’Area Palermo dell’Istituto
Zooprofilattico “A. Mirri” di Palermo. Da ogni tampone è stata
eseguita una coltura batterica su terreni positivi per ricercare
stafilococchi coagulasi positivi (CPS). Le colonie sospette sono
state caratterizzate mediante colorazione di Gram, test della catalasi e dell’ossidasi. Successivamente sono stati condotti saggi
per la produzione di coagulasi e infine è stata effettuato il test
APIStaph (Biomerieux).
L’identificazione molecolare di specie è stata effettuata mediante l’amplificazione e il sequenziamento del gene 16S rDNA
utilizzando primer universali. Le sequenze ottenute sono state
confrontate con quelle presenti nel database BLAST.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Questo lavoro si inserisce
nell’ambito di una ricerca mirata allo studio della diffusione di
stafilococchi meticillino resistenti in animali domestici (cani e
gatti). Nel periodo preso in esame (Febbraio Giugno 2012) sono
stati sottoposti a esame microbiologico tamponi effettuati su circa 100 cani e circa 30 gatti.
Gli isolati che mostravano le caratteristiche fenotipiche e biochimiche di S. aureus sono state ulteriormente caratterizzate.
In questo modo sono stati isolati circa 25 ceppi di stafilococchi
coagulasi positivi. Quattro di questi si sono rivelati essere meticillino resistenti.
L’analisi biochimica condotta con API20 STAPH ha consentito
di identificare gli isolati come S. aureus, sebbene la possibilità
di identificazione non accurata sia stata suggerita nella fase di
interpretazione del risultato (il software utilizzato suggerisce la
possibilità di S. pseudointermedius se il campione è di origine
veterinaria).
L’analisi molecolare effettuata sui ceppi meticillino resistenti mediante l’amplificazione e il sequenziamento del gene 16S rRNA
ha consentito, l’identificazione tassonomica come S. pseudointermedius.
Il sequenziamento del gene 16S rDNA è stato condotto esclusivamente sui ceppi meticillino-resistenti, il che non esclude che
altri ceppi da noi isolati durante questa indagine epidemiologica
non debbano essere riclassificati
Nelle analisi di routine l’identificazione della coagulasi è frequentemente usato come criterio per distinguere S. aureus dagli
alti campioni di stafilococchi isolati da campioni animali. Questa semplice procedura di identificazione può portare all’errata
classificazione tassonomica degli isolati (5). Una nuova tossina
esfoliativa, EXI, simile alla tossina ETB di S. aureus, è stata
recentemente riscontrata nel 23,3% degli isolati di S. pseudintermedius da cani affetti da pioderma (2).
Nella diagnosi di routine acquisisce una notevole importanza
la corretta identificazione dei ceppi poichè per le infezioni causate da MRSP infatti, come suggerito dall’European Medicine
Agency (http://www.ema.europa.eu/docs/en_GB/document_library/Scientific_guideline/2011/02/WC500102017.pdf)
sono
preferibili trattamenti che non prevedano l’uso di molecole antimicrobiche. E’ auspicabile inoltre un’incremento della sorveglianz sulla diffusione e sulle resistenze degli MRSP e l’utilizzo
di tecniche che consentano la corretta classificazione tassonomica.
Studi clinici, epidemiologici e microbiologici, che coinvolgano la
popolazione animale e l’interfaccia uomo-animale sono sempre
più richiesti per chiarire il ruolo degli MRSA e degli MRSP, per
comprendere l’entità della minaccia per la salute pubblica e per
sviluppare efficaci misure di controllo e prevenzione.
235
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
BIBLIOGRAFIA:
1. Devriese, L. A., Hermans, K., Baele, M. & Haesebrouck, F.
(2009). Staphylococcus pseudintermedius versus Staphylococcus intermedius. Vet Microbiol, 133, 206-7.
2. Futagawa-Saito K., Ba-Thein W, Sakurai N.and Fukuyasu T. (2006) Prevalence of virulence factors in Staphylococcus intermedius isolates from dogs and pigeons BMC Veterinary Research 2:4
3. HAJEK, V. (1976) Staphylococcus intermedius, a new
species isolated from animals. Int. J. Syst. Bacteriol, 26,
401-408
4. Perreten, V., Kadlec, K., Schwarz, S., Gronlund Andersson, U., Finn, M., Greko, C., Moodley, A., Kania, S. A.,
Frank, L. A., Bemis, D. A., Franco, A., Iurescia, M., Battisti,
A., Duim, B., Wagenaar, J. A., Van Duijkeren, E., Weese, J.
S., Fitzgerald, J. R., Rossano, A. & Guardabassi, L. (2010).
Clonal spread of methicillin-resistant Staphylococcus pseudintermedius in Europe and North America: an international
multicentre study. J Antimicrob Chemother, 65:1145-54
5. Riegel P., Jesel-Morel L., Laventie B., Boisset S., Vandenesh F., Prevost G., (2011) Coagulase-positive Staphylococcus pseudintermedius from animals causing human endocarditis. Int. J. Med. Microbiol. 301:237–239.
6. Sasaki, T., Kikuchi, K., Tanaka, Y., Takahashi, N., Kamata, S. & Hiramatsu, K. (2007). Reclassification of phenotypically identified Staphylococcus intermedius strains. J Clin
Microbiol, 45, 2770-8.
7. Weese, J. S. & Van Duijkeren, E. (2010). Methicillin-resistant Staphylococcus aureus and Staphylococcus pseudintermedius in veterinary medicine. Vet Microbiol, 140, 418-29.
236
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
SVILUPPO E VALIDAZIONE DI UN MODELLO PREDITTIVO PER STIMARE
LA CRESCITA DI BACILLUS CEREUS DURANTE IL RAFFREDDAMENTO
POST-PASTORIZZAZIONE DEL MASCARPONE
Daminelli P.*[1], Cosciani Cunico E.[1], Fierro A.[2], Finazzi G.[1], Bertasi B.[1], Dalzini E.[1], Varisco G.[1]
Keywords: Bacillus cereus, mascarpone, microbiologia predittiva
IZSLER ~ BRESCIA,
Centrale del latte di Brescia S.p.A. ~ Brescia
[1]
[2]
SUMMARY: B. cereus is a spore forming gram-positive bacterium (1). There are numerous research reports on the prevalence of B. cereus in dairy products (2). Mascarpone is an
unripened, soft spread cheese obtained from thermal-acidic
coagulation of milk cream (3). The presence of spore-forming
bacteria able to survive the heat treatments applied to milk cream during the manufacturing represents the most important
problem (1). The objective of this work was to development and
validation of a model to predict growth of B. cereus in mascarpone cheese during the post-pasteurization cooling process.
INTRODUZIONE: B. cereus è un microrganismo gram-positivo, anaerobio facoltativo, in grado di produrre spore che sono
insensibili a trattamenti termici di pastorizzazione, D92 = 96’,
alle radiazioni, ai disinfettanti e ad ambienti fortemente acidi o
alcalini (1). Numerosi studi, riportano la diffusione di B. cereus
in prodotti caseari (2), in particolare, in quei prodotti sottoposti a
pastorizzazione e successivo raffreddamento, come il mascarpone, che è un prodotto ottenuto da coagulazione termo-acida
della crema di latte (3). La pastorizzazione, infatti, non garantisce l’abbattimento delle spore di B. cereus, che, in condizioni
favorevoli, possono germinare in cellule vegetative in grado di
produrre tossine altamente dannose per l’uomo (2). Nel 2005
EFSA ha emesso un parere scientifico in merito a B. cereus
nei prodotti alimentari sottolineando come il controllo delle temperature e la creazione di un sistema basato sull’ analisi dei
rischi rappresenti, ad oggi, la più importante strategia per la
prevenzione e il contenimento dello sviluppo di Bacillus spp..
Negli ultimi dieci anni, sono state pubblicate le linee guida su
come integrare modelli di microbiologia predittiva per la valutazione quantitativa del rischio microbiologico (MQRA) (4). Scopo
del lavoro è stato, quindi, la costruzione e la validazione di un
modello matematico, alimento specifico, in grado di valutare
l’evoluzione del B. cereus durante la fase di raffreddamento
post-pastorizzazione del mascarpone, in presenza quindi di un
profilo termico dinamico.
MATERIALI E METODI: Preparazione degli inoculi.
Tre ceppi di B. cereus (ATCC® 11778TM, NCTC® 11143TM e
D1_C06) sono stati separatamente rivitalizzati in brodo Brain
Heart Infusion (BHI) (Oxoid, UK) a 30°C per 24 ore. Le sospensioni cellulari sono state conservate in frigorifero a 4°C per
sette giorni e poi sottoposte a pastorizzazione per 30 minuti a
63°C. Le spore sono state centrifugate, titolate e diluite in soluzione fisiologica sterile al fine di realizzare una contaminazione
del mascarpone pari a 2-3 log10cfu g-1.
Sviluppo del modello predittivo
Due lotti di mascarpone prodotti da un’industria locale sono
stati utilizzati in questo esperimento. Per ogni lotto, novanta
sacchetti contenenti 10 g di mascarpone sono stati separatamente inoculati con 0,1 ml di sospensione per ciascun ceppo B.
cereus (campioni contaminati) o con 0,1 ml di acqua distillata
(campioni di controllo). Tutti i campioni sono stati incubati a 12,
25, e 30°C (condizioni isotermiche).
Per stabilire il disegno sperimentale (tempi di campionamento)
è stato usato ComBase (www.combase.cc). Ad ogni intervallo di tempo sono stati prelevati due campioni di mascarpone
sui quali è stata condotta la numerazione di B. cereus (ISO
7932:2004). All’inizio e alla fine di ogni periodo di incubazione,
nei campioni di controllo sono state analizzate le modificazioni
chimico-fisiche (pH e aw) e l’eventuale presenza di batteri lattici
(LAB).
Il tasso di crescita (rate) di B. cereus nel mascarpone è stato
calcolato utilizzando il software DMfit basato su modello primario Baranyi (5). Come modello secondario è stato utilizzato il
modello Ratkowsky (6), che relaziona la rate alla temperatura
del substrato.
Validazione del modello predittivo.
A termine del processo di pastorizzazione, il mascarpone è stato confezionato a caldo in vaschette da 500 g cad; un totale di
42 confezioni di mascarpone sono state separatamente contaminate con B. cereus ATCC® 11778TM, NCTC® 11143TM
e D1_C06 (livello di contaminazione pari a 2-3 log10cfu g-1).
Le confezioni sono state poste all’interno della cella di raffreddamento dell’azienda che ha fornito il prodotto e ad intervalli di
tempo definito è stata eseguita la numerazione di B. cereus.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Sviluppo del modello predittivo
Al fine di valutare le caratteristiche intrinseche del mascarpone, all’inizio e alla fine di ciascun periodo di incubazione,
sono stati analizzati quattro campioni di controllo (tabella 1).
La concentrazione di lattobaclli è risultata essere inferiore a 1
log10cfu g-1.
Le rate delle curve di crescita dei tre ceppi di B. cereus incubati
nel mascarpone a tre diverse temperature, e i relativi parametri
del modello primario, sono riportate in tabella 2.
Nel grafico in figura 1 è riportata la radice quadrata della rate
in funzione della temperatura. Mettendo in relazione la radice
quadrata delle rate sperimentali con le temperature di conservazione dell’alimento, si ottiene l’equazione 1, che descrive il
modello secondario alimento specifico, generato dagli stessi
dati e l’errore standard del modello (7). Il coefficiente di correlazione (R2) del modello è risultato essere pari a 0.99.
Eq1
örate=0,022*Temp-0,09 ± 0,006
Integrando il profilo termico dinamico della cella di raffreddamento, con l’equazione che descrive il modello secondario, si
ottiene il grafico riportato in figura 2, che rappresenta il comportamento predetto di B. cereus durante il raffreddamento del
mascarpone.
Validazione del modello predittivo
237
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Il modello predittivo è risultato safe, la concentrazione batterica predetta è risultata sempre maggiore rispetto a quella osservata con uno scarto medio di 0.8 log10cfu g-1 (figura 3).
Uno degli obiettivi più importanti della microbiologia predittiva sin dalla fine degli anni 1990 è stato lo studio del comportamento dei patogeni di maggior interesse alimentare in situ,
cioè, nell’alimento stesso, invece che in vitro, ossia, in terreni
sintetici di coltura (8). La costruzione di modelli predittivi, e la
loro validazione negli alimenti, offrono un importante aiuto al
fine di migliorare la precisione e il valore dei modelli, in modo
che essi possano fornire previsioni realistiche, senza essere
necessariamente ‘fail-safe’. Nel presente lavoro, è stato creato
un modello sperimentale in grado di prevedere lo sviluppo di
B. cereus in condizioni dinamiche. Il modello sviluppato, anche
se generato con un numero esiguo di variabili (tre temperature) descrive l’andamento di B. cereus nel mascarpone in modo
soddisfacente (R2=0.99).
Confrontando i dati del challenge test con il modello sperimentale (fig. 3) si può affermare che esso genera una safe
prediction.
Tabella 1: valori di pH e aw del mascarpone incubato a 12, 25 e 30°C.
Tabella 2: descrizione del ceppo, del lotto, della temperatura e dei parametri statistici del modello (fit), SE e R2.
Figura 1: örate di ceppi di B. cereus a diverse temperature
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Figura 2: concentrazione predetta di B. cereus (▬) durante il raffreddamento (- -) del mascarpone
Figura 3: concentrazione osservata (■) e concentrazione predetta di B. cereus (▬) durante il raffreddamento (- -) del mascarpone
BIBLIOGRAFIA:
1. Shaheen, R., Svensson, B., Andersson, M.A., Christiansson,
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2. Stenfors Arnesen, L.P., Fagerlund, A., Granum, P.E., 2008.
From soil to gut: Bacillus cereus and its food poisoning toxins.
FEMS Microbiol. Rev. 32, 579–606.
3. Anonymous, 1998. Mascarpone cheese. Definition of specificity, composition, characteristics. Norma Italiana UNI 10710.
Italian Institute for Standardization (U.N.I.).
4. EFSA, 2005. Opinion of the scientific panel on biological
hazards on Bacillus cereus another Bacillus spp in foodstuffs.
EFSA J. 175, 1-48.
5. Baranyi, J., & Roberts, T. A. (1994). A dynamic approach to
predicting bacterial growth in food. Int. J. Food Microbiol. 23,
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6. Ratkowsky, D.A., Olley, J., McMeekin, T.A., Ball, A., 1982.
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cultures. J.Bacteriol. 149, 1-5.
7. Pin, C., Sutherland, J.P., Baranyi, J., 1999. Validating predictive models of food spoilage organisms. J. Appl. Microbiol. 87,
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8. Ross, T., McMeekin, T.A., 2003. Modeling microbial growth
within food safety risk assessments. Risk Analysis 23, 179–197.
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
DEFINIZIONE DEI LIVELLI DI ALCUNI PARAMETRI DI IMMUNITÀ INNATA
NELLA SPECIE BUFALINA
De Carlo E.*[1], Martucciello A.[1], Schiavo L.[1], Vecchio R.[1], Palermo P.[2], Guarino A.[2], Amadori M.[3]
Keywords: benessere animale, bufalo, immunità innata
I.Z.S.M., Centro di Referenza Nazionale sull’igiene e le tecnologie dell’allevamento e delle produzioni bufaline ~ Salerno,
[2]
I.Z.S. Mezzogiorno ~ Portici, [3]I.Z.S.L.E.R. ~ Brescia
[1]
SUMMARY: For the buffalo the drive to improve productivity has
led to an objective increase in the risk of full-blown pathologies
and/or serious metabolic dysfunctions. Some laboratory tests can
depict the immune status of the individuals, thereby indicating
their predisposition to developing diseases that are conditioned by
stressful events of whatever kind.
INTRODUZIONE: L’incremento delle performance produttive
comporta anche per i bufali un aumento del rischio di patologie
conclamate o di gravi disfunzioni metaboliche. Al fine di fornire
un accertamento del livello di benessere sarebbe necessario un
approccio combinato multidisciplinare, basato su competenze di
clinica, zootecnia, etologia e immuno-biochimica, che consentano
non solo di verificare e controllare lo stato di benessere, ma anche
di prevenire lo stato di stress e mantenere in piena efficienza le
capacità adattative dei soggetti. In tal senso rivestono un ruolo di
fondamentale importanza le indagini di laboratorio atte a rivelare
lo stato immunitario dei soggetti in modo da conoscerne la predisposizione a sviluppare malattie condizionate da eventi stressanti
di qualsivoglia natura.
MATERIALI E METODI: In due aziende bufaline, una a conduzione estensiva e l’altra intensiva, sono stati effettuati prelievi ematici
in bufale a inizio e a fine lattazione e in asciutta, manze e vitelli nei
periodi estivo e autunno/invernale.
Sono stati effettuati, altresì, prelievi in soggetti malati ( vitelli con
diarrea e bufale che hanno presentato aborto), nonché in soggetti
sani conviventi in gruppi con elevata carica microbica ambientale
(Salmonella spp. e E. coli).
I parametri di immunologia clinica indagati sono: complemento
emolitico (via alternativa), lisozima, battericidia sierica ed aptoglobina.
Il metodo di dosaggio dell’aptoglobina si basa sulla differenza di
attività perossidasica in ambiente acido della emoglobina libera
e di quella legata all’aptoglobina. L’attività perossidasica della
emoglobina legata è direttamente proporzionale alla quantità di
aptoglobina presente nel campione. I sieri in esame sono stati
analizzati impiegando il kit Phase Haptoglobin Colorimetric Assay
(Tridelta Development, Ireland). La titolazione semiquantitativa
del complemento emolitico si basa sulla quantificazione dell’attività litica del siero nei confronti delle emazie di coniglio (3). I sieri
vengono diluiti con una sospensione di globuli rossi di coniglio ed
incubati. Segue centrifugazione e recupero del surnatante con
lettura a λ 550 nm. Il lisozima presente nei campioni è stato titolato mettendo a contatto il siero con il Micrococcus lysodeikticus
incorporato in un gel di agar e valutando l’alone di lisi del microrganismo attorno al pozzetto di deposizione del campione (4). La
concentrazione di lisozima, è proporzionale al diametro dell’anello
di chiarificazione osservabile attorno al pozzetto e viene stabilita in
base ad una curva standard ottenuta a seguito della incubazione
di concentrazioni note di lisozima. Per la determinazione della battericidia sierica, il siero viene messo a contatto con una quantità
nota di E. coli. La valutazione della capacità da parte del siero di
inibire la crescita del germe viene stabilita in base alla variazione
della torbidità dei pozzetti di coltura in presenza e in assenza del
campione in esame, attraverso la lettura spettrofotometrica della
loro densità ottica (2).
RISULTATI E CONCLUSIONI: Tutti i parametri indagati sono
applicabili con successo alla specie bufalina al fine di valutare lo
stato di immunità innata, ciò confortato anche dai dati sui soggetti
malati, da cui si evince che in corso di malattia i valori oscillano
significativamente. Infatti la valutazione degli esami eseguiti su
animali malati (fig.1) evidenzia consumo di complemento, aumento dei livelli di aptoglobina, e un abbassamento della percentuale
di battericidia (fig.5).
I livelli di complemento emolitico (fig.2) sono risultati abbastanza
uniformi per categoria, con valori differenti tra allevamento estensivo ed intensivo, laddove nell’estensivo, soprattutto nei vitelli, il
complemento mostra valori medi molto più elevati.
Dalla valutazione dei valori medi di lisozima risulta che i livelli di
questo enzima nella specie bufalina sono compresi tra quelli dei
bovini da carne e delle lattifere (1). Inoltre, in tutte le categorie
zootecniche si evince che il parametro lisozima ha valori più bassi
nell’allevamento intensivo e nella stagione invernale (fig.3).
I valori medi del parametro aptoglobina (fig.4) risentono della stagionalità. In particolare le categorie asciutta, manze ed inizio lattazione presentano valori più alti nella stagione invernale.
I parametri valutati sono risultati influenzabili dalla stagione del
prelievo data l’origine tropicale della specie. A tale condizione di
fondo corrispondono assetti differenziati dei parametri di immunologia clinica, da valutare con attenzione. In particolare, l’aptoglobina ha valori molto variabili tra le stagioni, mentre la battericidia
sembra essere il parametro meno influenzato.
L’aptoglobina presenta due distinte peculiarità rispetto alla specie
bovina: valori medi molto più elevati e una produzione più elevata
in asciutta rispetto alla lattazione.
Quest’ultimo elemento ricorda in sostanza quanto avviene nella
capra, dove la risposta positiva di fase acuta (aptoglobina) si associa a infiammazione e chetosi in gravidanza e si riduce dopo il
parto (5). In sostanza, aptoglobina potrebbe avere nel bufalo ruoli
e funzioni diversificate in funzione delle diverse caratteristiche di
specie e di diverse strategie di adattamento all’ambiente. Oltre a
giocare un ruolo probabilmente importante nell’adattamento ai comuni ambienti di allevamento, aptoglobina mantiene comunque
nel bufalo una funzione di “reporter system” degli eventi di malattia. E’ auspicabile che la problematica degli elevati valori medi
di aptoglobina possa essere affrontata in futuro anche in un adeguato modello in vitro, utilizzando epatociti di bufala in coltura in
presenza di concentrazioni controllate di diverse citochine infiammatorie e di cortisolo.
L’andamento dei parametri di immunologia clinica nei vitelli merita
un’ulteriore riflessione.
Colpisce soprattutto la co-variazione combinata verso l’alto dei
valori di aptoglobina e complemento, che raggiungono i massimi
valori nella stagione estiva e in allevamenti estensivi.
240
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Pertanto, le ben note difficoltà di adattamento all’ambiente di tali
animali in presenza di ricoveri inadeguati nella stagione invernale
(evenienza più frequente di solito negli allevamenti di tipo estensivo) potrebbero correlarsi ad una ridotta espressione dei parametri di immunologia clinica oggetto di studio. Sembra pertanto
che talune funzioni del sistema immunitario innato del bufalo si
esprimano in condizioni ambientali favorevoli a livelli ben superiori
di quelli osservati nel bovino, il che potrebbe indicare un maggiore
stato reattivo del comparto monocitario-macrofagico.
L’andamento di tali parametri nei vitelli è comunque bifasico: lo
stato reattivo di cui sopra tende a decadere nella stagione invernale, mentre in soggetti malati si assiste a ulteriori forti decrementi
dei valori medi di complemento e battericidia sierica, cui si associano invece incrementi della risposta in aptoglobina. Ovvero, in
soggetti malati i criteri interpretativi dei parametri di immunità innata sono fondamentalmente simili a quelli in uso per la specie
bovina.
La criticità assai maggiore della stagione invernale
rispetto a quella estiva è in perfetto accordo con gli standard sanitari e produttivi della specie bufalina. I valori riscontrati per tutti i
parametri di cui sopra possono costituire il fondamento per l’elaborazione di valori di riferimento propri della specie, differenziabili anche per categoria zootecnica, nonché di valori di cut-off per
ciascun parametro analizzato che indichi situazioni a rischio per
l’insorgenza di patologie condizionate.
Figura 1. Mean values of the immunological parameters in healthy and sick individuals.
Figura 2. Haemolytic complement levels.
Figura 3. Lysozyme levels.
241
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Figura 4. Haptoglobin levels.
Figura 5. Bactericidal levels.
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approach to the evaluation of welfare in Holstein Frisian cattle.
J. Vet. Med. B 44, 321-327.
2. Amadori M., Archetti I.L., Mondelli M.M., Fazia M., 2002, La
valutazione del benessere animale. Quaderni Fondazione Iniziative Zooprofilattiche e Zootecniche, volume 51, 51-54.
3. Barta V., Barta O. Testing of Hemolitic Complement and its
components. In: Barta O. ed. 1993, Vet Cl Imm Lab, bar-Lab,
Blacksburg, USA.
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Lysozyme (murimidase) in monocytic and monomylociticleukemia. J Exp Med; 124:921-952.
5. Trevisi, E., D’Angelo, A., Gaviraghi, A., Noé, L., Bertoni G.,
2005. Blood inflammatory indices in goats around kidding. Italian Journal of Animal Science. 4 (suppl. 2), 404.
242
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI PCV2 NEI SUINI SELVATICI
E DOMESTICI IN SARDEGNA
Dei Giudici S.*[1], D’Avino C.[1], Salaris A.A.[1], Sulas A.[1], Madrau M.P.[1], Sanna M.L.[1], Oggiano A.[1]
Keywords: Porcine Circovirus Type II, Phylogenetic analysis,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna ~ Sassari
[1]
SUMMARY: The aim of this work is to establish the genetic
characteristics of Porcine Circovirus Type II (PCV2) strains
circulating in Sardinian swine. The molecular characterization was done on 20 positive samples collected among swine
samples from all over the island. The viral DNA extracted from
tissues was detected by Real time PCR. The results were compared with those previously obtained from wild boars and have
showed that the predominant genotype in Sardinia is PCV2b
and there are no differences between PCV2 strains circulating
in swine and wild boars.
INTRODUZIONE: Il circovirus suino Tipo 2 (PCV2) è responsabile, da solo e/o in associazione con altri patogeni, di diverse
sindromi patologiche che colpiscono i suini e i cinghiali, indicate
con il termine generico di Porcine Circovirus Disease (PCVD),
ed è causa di ingenti danni economici e sanitari.
PCV2 è diffuso in tutti i paesi a suinicoltura avanzata e nella quasi totalità degli allevamenti europei è presente positività
sierologica. Il virus appartiene alla famiglia Circoviridae, genere
Circovirus, ha un diametro di circa 17-22 nm, simmetria icosaedrica ed è privo di envelope; il genoma è costituito da ssDNA
circolare con polarità ambisenso di 1.767-1.768 kb e contiene
tre principali ORF. La proteina Cap è la maggiore proteina strutturale espressa dall’ORF2 ed è la responsabile dell’alta variabilità antigenica del virus, uno dei fattori a cui è dovuta la difficoltà
di controllo delle patologie associate al PCV2 (1). Attualmente
si distinguono tre genotipi differenti di PCV2: PCV2a suddiviso
in cinque cluster (2A, 2B, 2C, 2D e 2E), PCV2b suddiviso in tre
cluster (1 A, 1B ed 1C) e PCV2c di cui si conoscono solo tre
ceppi isolati in Danimarca (3).
Il nostro gruppo ha di recente tipizzato alcuni isolati rinvenuti in
cinghiali sardi (3), ma non esistono informazioni sulle caratteristiche dei ceppi circolanti nei suini in Sardegna o in Italia.
Lo scopo del presente lavoro è stato quello di analizzare le sequenze genomiche di alcuni ceppi di PCV2 ottenuti dai suini e
confrontarle con quelle precedentemente ottenute dai cinghiali
per evidenziare eventuali differenze filogenetiche fra gli stipiti.
MATERIALI E METODI: Sono stati esaminati campioni di tessuto, milza o linfonodi, prelevati da 124 suini. I campioni sono
stati scelti fra quelli, provenienti da tutta l’isola, recapitati presso l’Istituto Zooprofilattico per attività correlate al piano di eradicazione della peste suina africana negli anni 2011 e 2012;
non vi erano informazioni sull’eventuale presenza di patologie
legate al PCV2.
I campioni di cinghiali, analizzati in precedenza (3), erano stati
raccolti durante la campagna venatoria e di riduzione della popolazione effettuata nel centro-nord dell’isola negli anni 20092012.
L’estrazione del DNA genomico è stata eseguita con il Kit High
Pure PCR Template Preparation (Roche) su omogenati d’organo al 10% in PBS.
La ricerca del genoma di PCV2 è stata condotta mediante Real
Time PCR, come precedentemente descritto (4). In tutte le
reazioni è stato inserito un controllo positivo, costituito da un
isolato di campo, che è stato sequenziato insieme ai campioni
positivi (KPCV2).
Per la reazione di sequenza è stata amplificata una porzione dell’ORF2 di 481 bp compresa fra i primers PMWS150 e
PMWS1443 secondo quanto descritto in precedenti lavori (5).
20 amplificati positivi, indicati con la sigla S1-S20, di cui si riportano le caratteristiche nella tabella 1, sono stati purificati con il
kit Wizard SV Gel and PCR Clean-Up (Promega), secondo le
istruzioni della ditta e sottoposti a sequenziamento diretto utilizzando BigDye terminator® v1.1 Cycle Sequencing Kit e lo strumento 3500 Genetic Analyzer (Applied Biosystems, CA, USA).
Le sequenze ottenute sono state inviate in banca dati (Blastn)
per verificare la corretta identificazione ed allineate mediante il
software ClustalW con sequenze di riferimento e con quelle di
15 cinghiali precedentemente ottenute. Le sequenze prelevate
dalle banche dati sono state scelte in base all’anno, al paese
di isolamento ed allo stato sanitario (sconosciuto, clinicamente
sano o affetto da PCVD). L’analisi filogenetica è stata effettuata utilizzando il metodo Neighbor-Joining (NJ) con il modello
Kimura 2-parametri ed il software MEGA (versione 5.1). L’analisi statistica è stata condotta con il metodo Bootstrap su 1000
replicati.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Dei 120 campioni di suino analizzati, 98 sono risultati positivi per la ricerca del PCV2 in real
time PCR (81,6%). Le sequenze parziali della proteina Cap,
ottenute da 20 amplificati hanno mostrato una similarità del 92100% fra di loro e del 87-100% con quelle dei cinghiali.
La figura 1 mostra l’albero filogenetico ottenuto dalla comparazione delle sequenze con quelle riportate in banca dati. E’
possibile osservare come il genotipo prevalente nei suini domestici e selvatici in Sardegna sia il PCV2b (34/35 campioni).
17 suini e 14 cinghiali appartengono al sottotipo 1A/B e 3 suini
al sottotipo 1C. Un solo campione, un cinghiale, appartiene al
genotipo PCV2a, sottotipo 2E.
I campioni clusterizzano insieme a ceppi di riferimento isolati
in tutto il mondo in anni differenti ed indipendentemente dallo
stato sanitario degli animali. Infatti è noto che non esiste un
legame fra le caratteristiche genetiche dei ceppi isolati e la
presenza dei sintomi clinici ascrivibili alle patologie correlate
al PCV2. Invece è stata dimostrata con studi retrospettivi l’esistenza di uno shift genetico fra il PCV2a ed il PCV2b associato
alla comparsa delle PCVD in tutto il mondo fra gli anni 90 e
2000 (6). I nostri dati sembrerebbero confermare che, come
accaduto in altri paesi, il genotipo 2a sia stato quasi completamente sostituito dal 2b.
Non si evidenziano differenze sostanziali fra i ceppi circolanti
nelle due specie, suino e cinghiale, né relazioni con l’area geografica di provenienza, con l’eccezione dei campioni S4, S17
ed S20 appartenenti al sottotipo 1C del PCV2b che provengono
da due allevamenti diversi situati nel comune di Alà dei Sardi.
Questi ceppi appartengono ad un cluster formato quasi esclusivamente da isolati cinesi. Lavori recenti riferiscono che si tratti
243
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
del sottotipo prevalente in Cina negli anni 2009-2010 mentre
dal 2001 al 2008 il principale sottotipo era rappresentato da
1A/B (7). Gli isolati di ciascun genotipo di PCV2 possiedono un
motivo specifico fortemente conservato, localizzato fra gli aminoacidi 86 e 91 (86-SNPRSV-91) della proteina capsidica che
è stato associato alla virulenza di PCV2b. Il sottotipo PCV2b1C presenta una mutazione (R in L) in posizione 89 rispetto al
PCV2b-1A/B che potrebbe influenzare la sua patogenicità, la
quale andrà ulteriormente indagata. Sarebbe interessante ve-
dere se anche in Sardegna questo sottotipo in futuro tenderà
a prevalere su quello 1A/B. In Europa sono stati segnalati solo
due ceppi appartenenti a questo cluster, uno olandese ed uno
tedesco, e a nostra conoscenza questa è la prima segnalazione in Italia. I nostri risultati indicano che, a parte il cluster 1C,
non vi sia differenza fra i ceppi circolanti fra i suini e i cinghiali.
Estendere l’analisi ad un maggior numero di campioni su un’area più vasta del nostro territorio, potrà permettere di confermare e integrare i risultati ottenuti.
Tabella 1: caratteristiche dei campioni di suini e cinghiali tipizzati in questo studio, distinti per comune, specie,
anno di isolamento e genotipo
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Figura 1. Albero filogenetico NJ ottenuto dal confronto delle sequenze parziali del gene codificante per la proteina Cap del
PCV2 dei ceppi sardi con quelle presenti in banca dati. I simboli rossi indicano i campioni analizzati. Cerchio: suini; triangolo:
cinghiali; quadrato: controllo positivo. La sigla accanto ai ceppi di referenza indica lo stato sanitario.
U: unknow, H: healty. Nessuna sigla: animale con PCVD.
BIBLIOGRAFIA: 1. Nawagitgul P., Morozov I., Bolin S.R., Harms P.A.,
Sorden S.D., Paul P.S., (2000). Open reading frame 2 of porcine circovirus type 2 encodes a major capside protein. J. Gen. Virol. 81: 2281-228.
2. Segalés L., Olvera A., Grau-Roma L. et al., (2008) PCV2 genotype
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3. Dei Giudici S., Angioi P., Manca A.F., Vidili M.L., Zinellu S., Oggiano
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cinghiali in Sardegna. Atti SIDILV, p.203-204
4. Yu S., Opriessnig T., Kitikoo P.,.Nilubol D, Halbur P. G., Thacker E.
(2007).Porcine Circovirus type 2 (PCV2) distribution and replication in
tissues and immune cells in early infected pigs. Veterinary Immunology
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5. Meehan BM., McNeilly F., McNair I., Walker I., Ellis JA., Krakowka
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syndrome. Archives of Virology 2001; 146(4): 835-42.
6. Dupont K., Nielsen E.O., Baekbo P., Laersen L.E. (2008) Genomic
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case-control study supports a shift in genotype with time. Australian Veterinary Journal 128, 56-64.
7. Cai L, Ni J, Xia Y, Zi Z, Ning K, Qiu P, Li X, Wang B, Liu Q, Hu D, Yu X,
Zhou Z, Zhai X, Han X, Tian K. (2012) Identification of an emerging recombinant cluster in porcine circovirus type 2.Virus Res. Apr;165(1):95102
245
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI ALCUNI CEPPI DI PARVOVIRUS
CANINO CIRCOLANTI IN SARDEGNA
Dei Giudici S.*[1], Cubeddu T.[2], Giagu A.[3], Rocca S.[3], Cadalanu R.[5], Balzano F.[3], Oggiano A.[4]
Keywords: Canine Parvovirus, Phylogenetic analysis,
Biovetlab S.r.l.; Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna ~ Sassari,
[2]
Biovetlab S.r.l.; Dipartimento di Medicina Veterinaria (UNISS) ~ Sassari,
[3]
Dipartimento di Medicina Veterinaria (UNISS) ~ Sassari,
[4]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sardegna ~ Sassari,
[5]
Biovetlab S.r.l. ~ Sassari
[1]
SUMMARY: 48 samples from dogs and cats living in the area of
Sassari, Sardinia, were tested by PCR for the detection of canine
parvovirus (CPV). 13 dogs were found positive. The sequence
analysis of the gene coding for the VP2 protein revealed the presence of punctiform nucleotide mutations, some of which result
in aminoacid substitution. 11 amino acid substitutions were detected, four of which in informative sites (297, 300, 305 and 426).
The phylogenetic analysis, has allowed to further characterize
our samples and showed that in northern Sardinia all currently
known strains of CPV are circulating.
INTRODUZIONE: Alla fine degli anni 1970 venne identificata
una variante del virus della Panleucopenia Felina (FPV) con
attività patogena nei cani. Il nuovo virus, designato Parvovirus
Canino tipo-2 (CPV-2), per distinguerlo dal CPV-1 precedentemente descritto, causò nei cani di tutto il mondo un’epidemia di
gastroenteriti emorragiche fatali e miocarditi subacute (5). Dal
punto di vista tassonomico, venne classificato nel genere Parvovirus insieme al FPV, al virus dell’enterite del visone (MEV) ed al
parvovirus del procione (RPV).
I Parvovirus sono virus piccoli (diametro 25nm), privi di envelope, che infettano vertebrati e insetti. Il virione è costituito da
un capside sferico, contenente ssDNA lineare di circa 5000 nucleotidi. Il genoma del parvovirus codifica per due proteine non
strutturali (NS1 ed NS2) e per due proteine strutturali (VP1 e
VP2) originate per splicing differenziale (5). La replicazione virale avviene nel nucleo di cellule in rapida divisione.
Le differenze tra FPV e CPV-2 consistono nella sostituzione di
sei/sette aminoacidi, localizzati principalmente nella porzione
della VP2 che interagisce con il recettore per la transferrina delle
cellule dell’ospite (TfR). Negli anni 80 sono comparse due varianti antigeniche del virus (CPV-2a e CPV-2b) con sostituzioni aminoacidiche a carico dei residui 267 e 498 della VP2. Nel
2000 è stata rilevata una nuova variante, denominata CPV-2c
(1), caratterizzata da una mutazione nell’aminoacido 426 (3,4)
che risulta essere acido glutammico invece dell’asparagina o
dell’acido aspartico presenti in CPV-2a e CPV-2b (1,6). Infine
un’ulteriore variazione è stata riscontrata nel residuo 297 (Serina
in Alanina) di alcuni ceppi, che sono stati designati New CPV-2a
e New CPV-2b (2).
In Sardegna sembra non ci siano informazioni riguardanti le caratteristiche dei parvovirus presenti nella popolazione canina e
felina; ci è sembrato quindi interessante caratterizzare i ceppi
circolanti nell’isola attraverso amplificazione e sequenziamento
di una porzione della proteina VP2.
MATERIALI E METODI: Sono stati esaminati 10 campioni di feci
provenienti da cani con sintomatologia compatibile con infezione
da Parvovirus, 29 campioni di intestino di cane e 9 campioni di
intestino di gatto. Gli intestini sono stati prelevati durante le ne-
croscopie da animali morti per trauma o cause naturali e sono
stati sottoposti ad esame istopatologico. I campioni provenivano
da animali residenti a Sassari o nell’hinterland. La ricerca del
genoma di CPV è stata condotta mediante PCR, utilizzando i primer Hfor/Hrev che amplificano una porzione di 611 bp della proteina VP2 che comprende residui aminoacidici significativi per la
caratterizzazione del virus (1). Il DNA totale è stato purificato utilizzando kit della Qiagen, l’amplificazione è stata effettuata nelle
condizioni indicate in precedenti lavori (1). In tutte le reazioni
è stato inserito un controllo positivo (campione 6), acquistato
presso la ditta B.V. European Veterinary Laboratory (EVL, ND) e
sequenziato insieme ai campioni positivi.
I prodotti di PCR sono stati purificati da gel utilizzando il QIAquick
Gel Extraction Kit (QIAGENTM) e sottoposti a sequenziamento
diretto utilizzando BigDye terminator® v1.1 Cycle Sequencing
Kit e lo strumento 3500 Genetic Analyzer (Applied Biosystems,
CA, USA). L’allineamento delle sequenze con quelle di riferimento e la traduzione in proteina è stato ottenuto mediante il software Bioedit. L’analisi filogenetica è stata effettuata utilizzando il
metodo Neighbor-Joining con il modello Kimura 2 parametri ed
il software MEGA (7). L’analisi statistica è stata condotta con il
metodo Bootstrap su 1000 replicati.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono risultati positivi al Parvovirus canino 5 campioni di feci e 8 di intestino di cane. Il sequenziamento ha rivelato la presenza di diverse mutazioni nucleotidiche puntiformi alcune delle quali determinano sostituzione
aminoacidica. In particolare sono state rilevate 11 sostituzioni di
aminoacidi rispetto al ceppo CPV-2 (M38245), 4 delle quali in siti
informativi (Tabella 1). Come si può osservare le differenze maggiori si trovano nel codone 426 e caratterizzano la variante antigenica. Altre 2 mutazioni aminoacidiche informative secondo i
software di analisi, sono presenti nel campione 23I relativamente
agli aminoacidi 371 (A in G) e 418 (I in T), tali variazioni non compaiono in altre sequenze da noi ottenute, né in quelle depositate
in banca dati. Si potrebbe quindi trattare di una nuova variante.
L’analisi filogenetica dei campioni, ottenuta dal confronto con
ceppi provenienti da tutto il mondo, ha permesso di classificarli
come New CPV-2a (campioni 1F, 2F, 10I, 13I, 33I, 39I e 42I),
New CPV-2b (campioni 3F, 5F, 9I, 23I,) e CPV-2c (campioni 4F
e 11I) (Figura 1).
L’esame istopatologico dell’intestino ha messo in evidenza lesioni di diverso grado riconducibili a forme di enterite cronica. In
particolare i campioni 10I, 33I, 39I e 42I presentavono enterite
linfoplasmocitaria da lieve a moderata; il campione 13I risultava
autolitico e mostrava iperplasia delle placche del Peyer; nel campione 23I era presente linfoadenite emorragica e nel campione
11 si osservava enterite cronica e necrotico-emorragica con necrosi centrale delle placche del Peyer. Il campione 9I merita un
discorso a parte, l’analisi della sequenza ha mostrato una omolo-
246
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
gia del 100% con due ceppi vaccinali e con due isolati di campo
(Figura 1). Poichè proveniva da un cane di 6 mesi ed all’esame
istopatologico non erano presenti segni di enterite, è possibile
che si tratti di un ceppo vaccinale.
In conclusione in Sardegna sembrerebbero presenti esclusivamente le varianti antigeniche più recenti, con una maggiore diffusione del New CPV-2a (7 positivi su 13), seguito dal New CPV
2b (4 positivi su 13), mentre CPV-2c sembrerebbe meno diffuso (2 positivi su 13). La presenza delle tre varianti non sembra
essere correlata al periodo di campionamento, infatti i campioni
dall’1 al 5 risalgono agli anni 2005-2009, mentre tutti gli altri sono
stati raccolti negli anni 2011-2012.
Allo stato attuale non possiamo fare una stima della reale distribuzione dei ceppi di CPV nell’isola, in quanto il campionamento
è limitato alla sola area di Sassari. Vista la mancanza di dati per
la Sardegna, e considerando le implicazioni di carattere sanitario
della patologia, ci riserviamo di aumentare il numero di campioni
e di ampliare l’area di campionamento.
Tabella 1. Sostituzioni aminoacidiche rilevate nei campioni analizzati rispetto al ceppo di riferimento del parvovirus canino
(CPV-2 M38245), al virus della Panleucopenia felina(FPV M38246) e alle varianti antigeniche CPV-2a, CPV-2b, CPV-2c,
NewCPV-2a e New CPV-2b. F: feci; I: intestino.
247
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Figura 1. Albero filogenetico ottenuto dal confronto delle sequenze di un tratto di 611bp del gene codificante per la proteina VP2
del CPV ottenute dai nostri campioni con quelle presenti in banca dati del National Center for Biotechnology Information (NCBIhttp://www.ncbi.nlm.nih.gov). I simboli rossi indicano i campioni da noi sequenziati. Cerchio: feci; quadrato: intestino; rombo:
controllo positivo.
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Tempesta, M., Cavalli, A., Buonavoglia,D., Bozzo, G., Elia, G.,
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
OSSERVAZIONI PRELIMINARI SU ISOLAMENTI DI ESCHERICHIA COLI PRODUTTORI DI
VEROCITOTOSSINE IN PIEMONTE IN UNGULATI SELVATICI
D’Errico V.*[1], Giorgi I.[1], Perosino M.[1], Sant S.[1], Grattarola C.[1], Mei D.[1], Perruchon M.[1], Di Gregorio V.[1], Goria M.[1],
Radaelli C.[1], Chiavacci L.[1], Dondo A.[1], Zoppi S.[1]
Keywords: wild ungulates, E. coli O157, E.coli O145
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino
[1]
SUMMARY: The presence of Shiga toxin-producing E. coli in
wildlife is not easily controllable and only few studies were
conducted to establish their epidemiological role in maintenance and transmission to livestock. In this preliminary study
conducted in Piedmont Region, low positivity for serogroups
O157 (wildboar, 2,6%) and O145 (wild ruminants, 2,2%) limited to specific areas were detected. Furthe studies have to
be conducted to establish the role of wildlife in these areas
and to assess the risk that wildlife-carried strains could be
transferred to human.
INTRODUZIONE: Escherichia coli è un batterio Gram negativo, appartenente alla famiglia delle Enterobacteriaceae,
generalmente conosciuto come normale saprofita dell’intestino dell’uomo e degli animali, ma alcuni sierogruppi, provvisti
del gene eae, sono in grado di causare, nell’uomo, patologie
estremamente gravi come la colite emorragica e la sindrome
emolitico-uremico (SEU).
Oltre a O157 e al più recente O104 (1), altri sierogruppi sono
stati comunemente associati ad episodi di SEU nell’uomo:
O26, O103, O111 e O145 (8) e le indagini epidemiologiche
condotte hanno evidenziato un ruolo attivo degli animali zootecnici (4), in particolare del bovino (3,6,7,9), mentre informazioni sul coinvolgimento dei selvatici nell’epidemiologia degli
STEC sono piuttosto scarse (5, 10).
A livello nazionale, e in particolare nel Trentino Alto Adige,
sono stati segnalati casi sporadici di E. coli O157 produttore
di Verocitotossine in caprioli e cervi (2).
La Regione Piemonte, in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta,
nel 2010 ha rivisto e integrato il Piano di Controllo Sanitario
della Fauna Selvatica già previsto dal DPR 607/96, includendo, tra gli altri enterobatteri patogeni la ricerca di STEC nelle
feci di ungulati selvatici (ruminanti selvatici e suidi).
Questo report rappresenta la prima segnalazione di STEC negli ungulati selvatici in Piemonte.
MATERIALI E METODI: Sono stati raccolti complessivamente 173 campioni di feci (Gennaio 2011- Agosto 2012), di cui
38 prelevati da cinghiali (22%) e 135 da ruminanti selvatici
(78%).
1 g di feci sono state risospese in 9 ml di acqua peptonata
tamponata (BPW) e incubate a 37°C in aerofilia per 18 ore.
Successivamente 1 ml di brodocoltura è stato sottoposto ad
immunomagnetoseparazione (IMS) e successiva semina su
CT-SMAC per l’isolamento selettivo di O157 (ISO/TC34/SC9/
WG), e in parallelo un’aliquota da 500 µl di brodocoltura inattivata a 95°C per 45 minuti, è stata sottoposta a PCR realtime.
Il DNA è stato estratto utilizzando il kit ChargeSwitch gDNA
mini bacterial (Life Technologies); le determinazioni per la presenza dei fattori di patogenicità (stx1, stx2, eae) e per l’identificazione del sierogruppo (O157, O111, O26, O145, O103)
sono state condotte in realtime PCR con metodo TaqMan; le
sequenze di primers e sonde sono riportate in Annex E di ISO/
TS 13 136 :2011 (E) (ISO/T/SC9/WG).
Le piastre di CT-SMAC sono state incubate a 37 °C per 1824 ore. Le colonie sospette sorbitolo negative di colore giallo
sono state sottoposte a conferma mediante PCR real time,
utilizzando la metodica descritta in precedenza.
In aggiunta alla ricerca sistematica di O157, in caso di positività in PCR della brodo coltura per altro sierogruppo, 1 ml di
brodo coltura è stato sottoposto a IMS con biglie specifiche,
e successivamente il campione è stato seminato su terreno
cromogeno messo a punto da Possè et al. (11). Anche in questo caso, eventuali colonie sospette sono state sottoposte a
conferma mediante PCR real time.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Per quanto riguarda i ruminanti selvatici la ricerca specifica di O157 sia in PCR real
time, sia all’esame colturale ha dato esito negativo su tutti i
135 campioni esaminati. La PCR real time ha tuttavia evidenziato positività per eae e vtx2, come indicato in tabella 1, oltre
alla presenza di positività per altri sierogruppi.
Tre ruminanti selvatici sono infatti risultati positivi al sierogruppo O145, confermato anche mediante isolamento batteriologico. Di questi tre campioni, due erano stati prelevati rispettivamente da un daino (eae+/vtx1-/vtx2-) e da un capriolo
(eae-/vtx1-/vtx2+), provenienti dallo stesso areale di caccia,
nel Novarese. Il campionamento non è stato contestuale, ma
differito di sei mesi, per cui è ipotizzabile che ci sia una fonte
comune e continua d’infezione, probabilmente correlata alla
forte vocazione zootecnica della zone. Il terzo campione proveniva da un capriolo (eae+/vtx1-/vtx2+) trovato morto nella
zona di Verbania.
Per quanto riguarda i cinghiali, la ricerca specifica di O157
ha dato esito positivo per un campione (eae+/vtx1-/vtx2+) su
38, proveniente da un animale prelevato nella zona di Perosa
Argentina (Torino). La PCR real time ha evidenziato, anche
nel caso dei cinghiali, positività per eae e vtx2, come indicato
in tabella 2.
Questi risultati preliminari consentono di supporre che, anche
nella nostra regione, gli ungulati selvatici possano rivestire un
ruolo significativo nel mantenimento e nella trasmissione di
STEC non solo agli animali domestici ma potenzialmente anche all’uomo, specie se si considerano la abituali pratiche di
eviscerazione della selvaggina cacciata. E’ inoltre interessante, e sicuramente sarà argomento di ulteriori approfondimenti,
il riscontro di positività legato ad uno specifico contesto geografico, che fa supporre quindi la presenza di cluster d’infezione nell’area ticinese in provincia di Novara.
I risultati del presente lavoro confermano quindi l’importanza
strategica delle indagini messe in atto sui selvatici presenti
sul nostro territorio regionale per monitorare la presenza e la
distribuzione di STEC.
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Tabella 1: esiti PCR (eae, vtx1 e 2) su feci di ruminanti selvatici
Tabella 2: esiti PCR (eae, vtx1 e 2) su feci di cinghiale
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
BIBLIOGRAFIA:
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
RICERCA DI CALICIVIRUS E VIRUS DELL’EPATITE E IN SUINI CON DIARREA
Di Bartolo I.*[1], Angeloni G.[1], Tofani S.[1], Ponterio E.[1], Maione E.[2], Marrone R.[2], Cortesi M.L.[2],
Ostanello F.[3], Ruggeri F.M.[1]
Keywords: Hepatitis E, Caliciviridae, suino
1Dip. Sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare, Istituto Superiore di Sanità ~ Roma,
[2]
2 Dip. di Scienze Zootecniche e Ispezione Alimenti (DISCIZIA)
Facoltà di Medicina Veterinaria Università degli Studi di Napoli Federico II; ~ Napoli,
[3]
Dip. di Scienze mediche veterinarie, Università di Bologna ~ Ozzano Emilia (BO)
[1]
SUMMARY: Sapovirus (SaV) and norovirus (NoV) can infect both
human and animals. Direct zoonotic transmission appears to be
rare, however human and swine strains are correlated. In this
study, wide presence of SaV, exhibiting high genetic variability,
was confirmed in pigs affected with diarrhea. None of the porcine
samples was positive for NoV. Samples were also investigated
for Hepatitis E virus (HEV) that is an emerging zoonotic disease.
This study confirms wide spread of HEV RNA in swine. Nucleotide sequences confirm that the strains belong to genotype 3, also
identified in human cases in Italy.
INTRODUZIONE: Norovirus (NoV) e sapovirus (SaV) sono virus a
RNA monocatenario appartenenti alla famiglia Caliciviridae. NoV
e SaV rappresentano la seconda causa di ricovero ospedaliero
per gastroenterite (GE) pediatrica e, i NoV da soli, sono responsabili di oltre il 50% delle epidemie di GE nell’adulto. NoV e SaV infettano anche alcuni animali domestici, in particolare suini e bovini,
che potrebbero essere potenziali serbatoi di infezione per l’uomo.
Anche se la trasmissione di ceppi di NoV suino, vicini geneticamente ai ceppi umani, e di ceppi di SaV non è stata dimostrata, il
loro potenziale zoonotico non può essere escluso in considerazione del numero limitato di studi ad oggi condotti.
L’Epatite E è una malattia infettiva con caratteristiche cliniche di
epatite acuta causata da un virus a RNA (HEV), classificato nella
famiglia Hepeviridae. Il genoma è costituito da 3 ORFs con organizzazione simile a quella dei NoV. Nei paesi in via di sviluppo, la
malattia si manifesta con episodi epidemici associati al consumo
di acqua contaminata. Casi sporadici di origine autoctona sono
stati descritti anche in numerosi paesi industrializzati, Italia compresa. A partire dal 1997, ceppi suini di HEV sono stati identificati
in suini (SwHEV) clinicamente sani nei diversi continenti e casi
umani di Epatite E sono stati correlati con il consumo di carne
o organi crudi o poco cotti di suino, cinghiale e cervo. Queste e
altre evidenze, quali la vicinanza genetica tra ceppi umani e suini, portano a considerare HEV un agente di zoonosi. Numerose
indagini condotte nel nostro laboratorio, su campioni prelevati da
popolazioni di suini clinicamente sani appartenenti a varie classi di
età, hanno dimostrato l’elevata diffusione di HEV in Italia, anche in
animali adulti prossimi alla macellazione.
Il presente lavoro ha valutato la prevalenza di calicivirus e del virus dell’Epatite E in suini di diverse fasce di età affetti da diarrea,
provenienti da allevamenti dell’Emilia Romagna e dalla Basilicata.
MATERIALI E METODI: Nei primi 6 mesi del 2012 sono stati esaminati 81 campioni di feci prelevati da altrettanti suini di 3 classi
d’età (3-10; 10-30 e 30-90 giorni di vita), affetti da diarrea. I campioni sono stati raccolti in 2 allevamenti in Emilia Romagna e da
un allevamento nella provincia di Potenza.
L’RNA virale è stato estratto da sospensioni fecali al 10% (in acqua) utilizzando il kit Qiamp-Viral RNA (Qiagen) e analizzato mediante trascrizione inversa e PCR (RT-PCR), a cui è seguita, per
HEV, una nested-PCR.
Per la ricerca del genoma dei calicivirus è stata utilizzata la coppia
di primer p289-290, che appaia in una regione della RdRp conservata e amplifica un frammento di 319 bp per NoV e di 331 bp per
i SaV (2). Per i campioni negativi, è stata effettuata una seconda
RT-PCR specifica per NoV del suino con i primer PNV7-PNV8,
che amplificano 211 bp della RdRp. Per la ricerca del genoma
di HEV, sono state utilizzate due coppie di primers degenerati,
HE40-HE044 per la prima PCR e HE110-041 per la nested-PCR,
che amplificano 400 bp nel gene ORF2 del capside virale (3). Gli
amplificati ottenuti sono stati sequenziati e le sequenze sono state
utilizzate per studi filogenetici mediante il software Bionumerics
(maximum parsimony tree, Applied Maths, Belgium).
RISULTATI E CONCLUSIONI: Il genoma di HEV è stato messo in evidenza in 31 degli 81 campioni fecali esaminati (38,3%).
Sono risultati positivi per calicivirus 5/81 campioni (6,2%) (Tab. 1)
e l’analisi delle sequenze ha rivelato che si trattava di SaV (Fig. 1).
Quattro di questi ceppi appartenevano al genotipo GIX e un solo
campione al GX. I ceppi GIX mostravano identità nucleotidica tra
il 70% e il 100%, e due campioni provenienti dallo stesso allevamento risultavano identici. Ceppi di SaV del genotipo GIX sono
stati precedentemente identificati in Italia nel 2006 in animali asintomatici (4); tuttavia, pur appartenendo allo stesso genotipo, essi
mostravano identità nucleotidica dell’81%. Il genotipo GX non era
ancora stato identificato in Italia, pur essendo già stato descritto in
suini con diarrea in altri paesi Europei.
Nessuna positività per calicivirus è stata evidenziata nell’allevamento di Potenza e nessun campione è risultato positivo all’RTPCR specifica per i NoV suini. In linea con quanto riportato in letteratura, i 5 campioni positivi per calicivirus provenivano tutti da
animali tra 30 e 90 giorni di vita.
Il genoma di HEV è stato rilevato in 31 campioni provenienti da
animali di tutte le fasce di età, con prevalenza più alta (45,4%)
nella fascia di età 10-30 giorni (Tab. 1).
I 16 campioni positivi per HEV sequenziati appartenevano a diversi sottotipi del genotipo 3: 10 al sottotipo h, 1 al sottotipo c, e
5 al sottotipo f. Non è risultata correlazione tra le fasce d’età e il
sottotipo identificato, mentre sembrava esistere un’associazione
geografica con la distribuzione dei sottotipi: il sottotipo h è stato
identificato solo in un allevamento dell’Emilia Romagna, mentre il
sottotipo f era l’unico identificato nell’allevamento di Potenza.
I risultati ottenuti confermano la diffusione dei SaV nei suini di
30-90 giorni di vita. La prevalenza osservata (8,6%) è di poco superiore a quella riscontrata (6,8%) in un precedente lavoro da noi
condotto su suini asintomatici (4). Ciò potrebbe suggerire un possibile ruolo, come co-fattore, delle infezioni da SaV nell’insorgenza
di diarree nelle fasi di svezzamento, potenziando l’azione di altri
agenti eziologici. L’analisi di sequenza ha confermato l’assenza di
ceppi di SaV di genotipo III, che è stato il primo genotipo di SaV
identificato ed è tuttora considerato il prototipo dei ceppi suini. I
252
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
genotipi di SaV identificati in questo studio, così come nel precedente studio del 2006 (4), sono molteplici, e alcuni di essi sono
considerati vicini geneticamente ai ceppi umani, sebbene mai
identificati nell’uomo. L’assenza di positività per NoV (che presenta prevalenze molto basse nei suini) potrebbe essere spiegata dal
ridotto numero di campioni analizzati.
E’ stata confermata l’elevata diffusione di HEV in Italia. La prevalenza osservata del 38,3% è paragonabile con quella ottenuta in
lavori precedenti da noi condotti (1) su animali asintomatici (circa
40%). Come riportato in diversi studi, HEV non appare associato
all’insorgenza di diarrea. Negli animali esaminati, la causa della
diarrea non è stata chiarita e l’eventuale presenza di altri agenti
eziologici batterici o virali responsabili di enterite sarà oggetto di
studi successivi. Va sottolineato che nessun animale è risultato
contemporaneamente positivo per SaV e HEV. Inoltre, l’analisi di
sequenza dei campioni positivi per HEV ha evidenziato un’ampia
variabilità dei sottotipi del genotipo 3 circolanti nei 3 allevamenti
analizzati (Fig. 2). I ceppi suini identificati in questo studio appartenenti al g3 sottotipo h sono i più vicini ai ceppi umani identificati
in Italia, mostrando con questi un’identità nucleotidica del 91%. In
futuro, verranno condotte analisi di sequenza in regioni più ampie
del genoma, così da valutare la possibile emersione di ceppi suini
vicini ai ceppi umani e possibilmente dotati di maggiore capacità
di trasmissione zoonotica.
Tabella 1. Risultati delle RT-PCR per HEV e per calicivirus condotte sui campioni di feci di suino, divisi per fasce di età.
Figura 1. Albero filogenetico in cui sono stati inclusi ceppi di SaV suini appartenenti a diversi genotipi.
I ceppi suini italiani identificati sono indicati (con dot neri e stella per distinguere i due allevamenti di provenienza).
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Figura 2. Albero filogenetico in cui sono stati inclusi gruppi rappresentativi dei ceppi suini di HEV appartenenti a diversi
genotipi, inclusi diversi sottotipi g3. I ceppi suini italiani identificati sono indicati (dot e stelle neri).
BIBLIOGRAFIA:
1. Di Bartolo I, Diez-Valcarce M, Vasickova P, Kralik P, Hernandez M, Angeloni G, Ostanello F, Bouwknegt M, RodríguezLázaro D, Pavlik I, Ruggeri FM. 2012. Hepatitis e virus in pork
production chain in Czech republic, Italy, and Spain, 2010.
Emerg Infect Dis. 18:1282-9.
2. Li K, Zhuang H, Zhu W, Ruan B, Jiang J, Li S, Zhai Q, Yao Z,
Tang R, Chen Y.1999. A preliminary study on hepatitis E virus
antibody IgG and IgM for the diagnosis of acute hepatitis E.
Zhonghua Nei Ke Za Zhi 38:733-6.
3. Mizuo H, Suzuki K, Takikawa Y, Sugai Y, Tokita H, Akahane Y,
Itoh K, Gotanda Y, Takahashi M, Nishizawa T, Okamoto H. 2002.
Polyphyletic strains of hepatitis E virus are responsible for sporadic cases of acute hepatitis in Japan. J Clin Microbiol. 40:3209-18.
4. Reuter G, Zimsek-Mijovski J, Poljsak-Prijatelj M, Di Bartolo I, Ruggeri FM, Kantala T, Maunula L, Kiss I, Kecskeméti S,
Halaihel N, Buesa J, Johnsen C, Hjulsager CK, Larsen LE, Koopmans M, Böttiger B. 2010. Incidence, diversity, and molecular epidemiology of sapoviruses in swine across Europe. J Clin
Microbiol. 48:363-8.
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EFFETTO DELL’EMOLISI SULLA QUANTIFICAZIONE DELLE PRINCIPALI
SIEROPROTEINE DEL SUINO
Di Martino G.*[1], Stefani A.L.[1], Gagliazzo L.[1], Gabai G.[2], Signor F.[3], Bonfanti L.[1]
Keywords: emolisi, sieroproteine, suino
[1]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie ~ Legnaro (PD),
Università di Padova, Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione ~ Legnaro (PD),
[3]
ULSS 3 di Bassano, Dipartimento di Prevenzione ~ Bassano (VI)
[2]
SUMMARY: Swine erythrocyte fragility is likely to produce a
variable degree of haemolysis during blood sampling and free
haemoglobin may unexpectedly affect the analytes quantification. The aim of this work was to determine the cut-off thresholds to consider some seroproteins as acceptable. To this
end, we induced steady levels of physical haemolysis in 3 aliquots from 30 unhaemolytic sera and evaluated its effect on
analytes quantification. To determine haemolysis level we compared a visual estimation (score 0 to 3) to haemolysis index
(analytical), with optimal correlation at level 0-1-2.
INTRODUZIONE: La specie suina risulta fisiologicamente caratterizzata da una fragilità eritrocitaria circa doppia rispetto alle
altre specie domestiche (1). Tale fragilità genera molto facilmente fenomeni di emolisi sia in corso di prelievi ematici, sia in
risposta a condizioni di stress (2). Ne deriva che, anche nelle
migliori condizioni e in presenza di personale qualificato, le fasi
di prelievo/trasporto e conservazione rappresentano un notevole punto critico per l’idoneità dei campioni (3), con percentuali di
marcatamente emolitici fino al 7-8% (3, 4). Dati non pubblicati
evidenziano percentuali anche molto maggiori (oltre il 20%) tra
fine svezzamento e inizio ingrasso. La diffusione di emoglobina
libera nel siero e, più in generale, l’emolisi possono interferire in modo variabile con la determinazione di diversi parametri
ematologici, attraverso interazione chimica o impedenza ottica.
Il fenomeno è segnalato dalle Ditte produttrici di kit commerciali
ed è stato oggetto di approfondimenti in medicina umana, ambito in cui la quota di campioni emolitici si attesta normalmente
attorno al 3,3% (5). Sono invece ancora molto limitati gli studi
specifici in campo veterinario, in particolare in relazione alle
proteine di fase acuta, di crescente interesse nella valutazione
del benessere animale. Aptoglobina sierica (HP), Proteina C
reattiva (CRP) e frazioni globuliniche sono infatti considerate
nella specie suina non solo marker precoci dell’insorgenza di
patologie (esprimibili come flogosi subclinica), ma anche indicatori di condizioni di allevamento non adeguate (6). Risulta
fondamentale, nei contesti di ricerca ove sono impiegate, sia
mantenere una numerosità campionaria predefinita riducendo
al minimo le perdite, sia garantire l’affidabilità della loro quantificazione. L’obiettivo di questo lavoro è quindi la definizione di
soglie cut-off oltre le quali l’emolisi altera in modo significativo
la quantificazione di HP, CRP, albumina e globuline. Inoltre è
stata effettuata una verifica di quanto siano correlabili la routinaria valutazione visiva (attribuzione di un punteggio da 0 a 3)
e quella analitica, (quantificazione di un indice di emolisi che
riflette la concentrazione di emoglobina libera).
MATERIALI E METODI: In sede di macellazione, a 30 suini
scelti casualmente è stato prelevato un campione ematico
ripartito in 4 aliquote (A,B,C,D). I campioni sono stati trasportati a 4°C al laboratorio e centrifugati a 2400xg per 10 minuti
a 20°C. Su ciascuna delle aliquote B,C e D è stata indotta
fisicamente emolisi in modo progressivo così da raggiungere rispettivamente un punteggio visivo di 1, 2 e 3 (attraverso
confronto con una scala colorimetrica di riferimento). I sieri
sono poi stati stoccati a -20°C fino al momento dell’analisi. La
concentrazione di HP sierica è stata determinata attraverso
kit commerciale ELISA (Phase Haptoglobin, Tridelta Develpoment Ltd, Maynooth, County Kildare, Irlanda). La concentrazione di CRP sierica è stata determinata mediante kit ELISA
(Phase Porcine CRP, Tridelta Development Ltd). La percentuale delle frazioni proteiche è stata determinata attraverso
elettroforesi semiautomatizzata (Hydrasis LC, SEBIA, EVRY
Cedex, Francia) su gel di agarosio allo 0,8% (Hydragel 30
Protein, SEBIA, EVRY Cedex, Francia). Per determinare la
concentrazione di albumina e globuline le proteine totali del
siero sono state quantificate con analizzatore automatizzato
(Cobas C501, ROCHE, Basel, Svizzera) attraverso kit colorimetrico con reagente di Biureto (TP, ROCHE, Basel, Svizzera). L’indice di emolisi è stato determinato mediante utilizzo
della metodica SI2 (Serum Index Gen. 2, Roche) applicata al
Cobas C501. Per valutare la corrispondenza tra metodo visivo e analitico è stata applicata una determinazione di cut-off
attraverso analisi con curve ROC. Per valutare la significatività delle differenze nella quantificazione dei diversi parametri
analitici in relazione ai livelli di emolisi è stato applicato il test
di Friedman. Infine è stato applicato il test di Wilcoxon per i
confronti a coppie tra livelli di emolisi.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati di distribuzione dei
valori di punteggio visivo in relazione all’indice di emolisi sono
indicati in Fig.1. L’analisi attraverso curve ROC conferma una
corrispondenza ottimale tra i due metodi per livelli 0-1 (cut off
stimato: 36mg/dL con sensibilità 100%, specificità 100%) e
1-2 (cut off stimato: 72 mg/dL con sensibilità 100%, specificità
96,7%) di emolisi, mentre si evidenzia una certa sovrapposizione per livelli 2-3 tra 127 mg/dL (sensibilità 100%, specificità
70%) e 177 mg/dL (sensibilità 80%, specificità 100%). Questi
dati confermano l’affidabilità della valutazione visiva effettuata
da personale tecnico adeguatamente formato. I risultati della
correlazione tra livelli crescenti di emolisi e quantificazione
delle diverse sieroproteine sono indicati in Tab.1. L’analisi statistica ha permesso di evidenziare come il fenomeno di emolisi abbia un effetto variabile in base al grado e al diverso analita. La CRP non ne risulta influenzata: l’interferenza da emolisi
negli immunodosaggi viene infatti riportata meno frequentemente rispetto ai dosaggi fotometrici (7); la valutazione delle sieroproteine viene invece influenzata anche da livelli lievi
di emolisi, con particolare riferimento alle α e β2-globuline.
E’ descritto anche in medicina umana come, durante l’elettroforesi, i complessi emoglobina-HP e l’emoglobina libera
diffondano proprio a livello di queste bande proteiche (5). Le
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albumine hanno evidenziato una sottostima proporzionale al
livello di emolisi: questo dato è in accordo con gli studi di medicina umana, che tuttavia non sempre hanno rilevato variazioni
significative (8). Le variazioni delle frazioni proteiche non proporzionalmente correlabili al grado di emolisi possono essere
giustificate dalla presenza di bande diffuse in seguito all’elettroforesi dei campioni emolitici, che rendono meno semplice
e netta la separazione delle frazioni stesse. Inoltre l’aumento
reale di alcune frazioni elettroforetiche legato all’emoglobina
potrebbe spiegare il decremento apparente delle altre frazioni,
ma comunque non si verifica in quantità tale da determinare
una variazione significativa delle proteine totali. In letteratura
i dati relativi alla specie suina sono molto limitati; Petersen et
al. (9) confrontano 30 campioni non emolitici con 30 emolizzati in vivo, evidenziando un decremento significativo della HP
nel gruppo emolizzato. In questo lavoro abbiamo al contrario
evidenziato come l’HP subisca un incremento significativo, ma
solo per livelli molto elevati di emolisi. Studi di medicina umana
riconoscono nella diminuzione dell’HP un marker di emolisi in
vivo dovuto alla formazione di complessi HP-emoglobina, ma
non segnalano questo effetto in vitro, poichè questi sono eliminati per captazione monocito-macrofagica (5).
In conclusione questo studio ha evidenziato la complessità
dell’interferenza dell’emolisi anche in campo veterinario, ma
ha permesso di identificare per diversi parametri dei cut-off di
idoneità, con un interessante risvolto pratico.
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BIBLIOGRAFIA: 1 Oyewale J.O. (1992). Changes in osmotic
resistance of erythrocytes of cattle, pigs, rats and rabbits during
variations in temperature and pH. J. Vet. Med. 39, 98-104.
2 Adenkola A.Y., Ayo J.O., Sackey A.K.B., Adelaiye A..B.
(2010). Erythrocyte osmotic fragility of pigs administered ascorbic acid and transported by road for short-term duration during
the harmattan season. African J. Biotech. 9, 226-233.
3 Rota Nodari S., Archetti I., Guerra P., Candotti P. (2009) Intervalli di riferimento di alcuni parametri biochimici in scrofe.
In: “Atti della società Italiana di Patologia ed Allevamento dei
Suini”. XXXV Meeting annuale, Modena, 12-13 marzo 2009.
4 Di Martino G., Stefani A., Gottardo F., Scollo A., Schiavon E.,
Capello K., Bonfanti L. (2011). Effetto dell’età e del sesso in
alcuni parametric ematici correlate allo stress in suini pesanti
in fase di ingrasso. In: “Atti della società Italiana di Patologia
ed Allevamento dei Suini”. XXXVII Meeting annuale, Piacenza,
24-25 Marzo 2011.
5 Lippi G., Blanckaert N., Bonini P., Green S., Kitchen S., Palicka V., Vassault A.J., Plebani M. (2008), Haemolysis: an overview of the leading cause of unsuitable specimens in clinical
laboratories. Clin. Chem. Lab. Med. 46, 764-72.
6 Kaneko J.J. (2008). “Clinical biochemistry of domestic animals”. 6th ed. Academic Press, San Diego, California.
7 Selby C., Interference in immunoassay (1999). Ann. Clin.
Bioch. 36, 704-21.
8 Lippi G., Salvagno G.L., Montagnana M., Brocco G, Guidi
G.C. (2008). Influence of hemolysis on routine clinical chemistry testing. Clin. Chem. Lab. Med. 44, 311-316
9 Petersen H.H., Nielsen J.P., Jensen A.L., Heegaard P.M.H.
(2001). Evaluation of an enzyme linked immunosorbent assay
(ELISA) for determination of porcine haptoglobin. J. Vet. Med.
A 48, 513-523.
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RILEVAMENTO DI E. COLI E COLIFORMI IN ACQUE MINERALI NATURALI
IMBOTTIGLIATE MEDIANTE METODO INNOVATIVO
Di Pasquale S.*[1], De Medici D.[1]
Keywords: Metodo rapido, Acque Minerali, E. coli e coliformi
[1]
Istituto Superiore di Sanità ~ Roma
SUMMARY: The bottled natural mineral water can be a potential health hazard to consumers, if contaminated with E.coli
and/or coliforms or other pathogenic bacteria and not detected
by routine analyzes to the source, after bottling, during storage,
and distribution. In this study, an innovative method, able to
determine the parameters of E.coli and coliforms in bottled mineral water using a new chromogenic medium RAPID’E.coli2
agar, has been validated. The method was sensitive, specific,
accurate, easy to perform, and may be used as a valid substitute of the reference methods.
INTRODUZIONE: Negli ultimi dieci anni c’è stato un incremento globale della domanda mondiale di acqua minerale imbottigliata e dati relativi al 2010 evidenziano un consumo di circa
148 miliardi di litri ed il maggior consumatore a livello mondiale
risulta l’Italia (186 litri/anno pro capite), seguita da Germania
(160 litri/anno pro capite), Messico (149 litri/anno pro capite),
Turchia (126 litri/anno pro capite) e Francia (115 litri/anno pro
capite).
Nel 2011 nel nostro paese, sono state imbottigliate circa 12.200
milioni di litri di acqua minerale, registrando un fatturato pari a
2.240 milioni di euro; per questa ragione le autorità sanitarie
mostrano un grande interesse in termini di rischi associati con
il consumo di acqua minerale e adottano norme in materia, che
hanno l’obiettivo prioritario di: proteggere la salute del consumatore, evitare che i consumatori siano ingannati e assicurare la lealtà delle operazioni commerciali. Tali norme come, il
DLvo 8/10/2011 n. 176 con cui è stata recepita recentemente
la Direttiva 2009/54/CE del 18/06/2009, il DM del 12/10/1992
n.542, la Cir.del Min. della San. n.17 del 13/9/1991 e il successivo DM del 13/1/1993 (2), indicano i requisiti minimi di purezza
delle acque minerali ed i metodi microbiologici di riferimento
per la ricerca degli indicatori di contaminazione fecale. Nelle
acque minerali gli indicatori ricercati sono gli E.coli ed i coliformi, che attraverso la tecnica delle membrane filtranti, vengono
concentrati e con l’uso di terreni di coltura selettivi e prove di
conferma, vengono isolati ed identificati.
Negli ultimi decenni, al fine di ridurre i tempi di analisi ed i costi
per prove di conferma, sono stati sviluppati metodi di analisi
innovativi per la ricerca degli E.coli e coliformi fecali. Molto interessante è stato l’utilizzo di nuovi terreni di coltura cromogeni,
che per mezzo di molecole fluorofore e cromofore, riescono a
determinare i batteri per la presenza di particolari enzimi che
sfruttano l’attività β-galattosidasica e β-glucuronidasica. Obiettivo dello studio, è stato la validazione di un metodo innovativo
in grado di determinare i parametri di E.coli e coliformi nelle
acque minerali imbottigliate, senza effettuare prove di conferma o di identificazione biochimiche delle colonie sospette o
difficilmente interpretabili. Tale metodo, impiegava un nuovo
terreno cromogeno RAPID’E.coli2 agar, che veniva sottoposto
ad un’unica temperatura di incubazione di 37°C per 24 ore.
Nell’ambito del processo di validazione, il metodo innovativo
è stato confrontato sia con il metodo microbiologico specifico
per le acque minerali come riportato nella Cir. del Min. della
San. n.17 del 13/9/1991 e nel DM del 13/1/1993, sia con il me-
todo ISO 9308-1 (4), impiegato per la ricerca di E.coli e batteri
coliformi nell’acqua per il consumo umano come previsto dal
DLgs. 31/2001, al fine della valutazione dell’efficacia ed efficienza del metodo ISO anche per le acque minerali, e non solo
per le acque destinate al consumo umano come riportato nel
campo di applicazione.
MATERIALI E METODI: Nell’ambito del processo di validazione (3) sono stati determinati i seguenti parametri: inclusività
ed esclusività, limite di quantificazione, sensibilità, specificità
e accuratezza.
Per gli studi di inclusività ed esclusività sono stati utilizzati 4
ceppi di E.coli, 10 ceppi di coliformi e 35 ceppi di patogeni non
target. La semina dei microrganismi è stata effettuata sul terreno cromogeno (terreno RAPID’E.coli2 agar), e sui terreni previsti dai metodi di riferimento.
Per quanto riguarda il LOD, per ciascun gruppo di microrganismi, E.coli e coliformi, sono state contaminate 12 bottiglie
da 1,5 litri di acqua minerale, 3 delle quali con una concentrazione compresa tra 100-1000 ufc/250ml, 3 bottiglie con una
concentrazione compresa tra 10-100 ufc/250ml, 3 bottiglie con
una concentrazione compresa tra 1-10 ufc/250ml e le ultime 3
bottiglie non contaminate, utilizzate come controllo negativo.
Successivamente si è proceduto con la filtrazione su membrana di 18 aliquote prelevate da ciascun campione costituito da
3 bottiglie. Sei aliquote sono state seminate sul terreno cromogeno, 6 sui terreni indicati dalla Circ. Min. n°17 e le ultime 6
sono state seminate sui terreni indicati dal metodo ISO.
I parametri di accuratezza, precisione e sensibilità, sono stati
valutati, per ciascun gruppo di microrganismi (E.coli e coliformi) su 30 campioni: 10 campioni sono stati contaminati con la
brodo-coltura di lavoro con una concentrazione di batteri che
corrispondeva al livello di contaminazione superiore a 10 volte
il LOD, 10 campioni sono stati contaminati con una concentrazione di batteri che corrispondeva al livello di contaminazione
prossime al LOD e 10 campioni utilizzati come controlli negativi. Anche in questo caso, lo studio ha previsto le filtrazioni dei
campioni su membrana, con conseguente semina sul terreno
cromogeno e sui terreni previsti dai metodi di riferimento.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati relativi ad inclusività ed esclusività hanno mostrano che, i 4 ceppi di E.coli
utilizzati, sono stati rilevati con il metodo RAPID’E.Coli2 producendo colonie tipiche di colore viola ottenute dall’attività
β-galattosidasica e β-glucuronidasica, quest’ultima esclusiva
dell’E.coli. I 10 diversi ceppi di coliformi, analizzati con il terreno cromogeno, hanno presentato invece una tipica colorazione
verde delle colonie, dovuta alla sola attività enzimatica della
β-galattosidasi. Tra i 33 ceppi di microrganismi non target presi in considerazione, 16 non hanno determinato la crescita di
colonie tipiche sul terreno cromogeno RAPID’E.coli2 agar, 15
ceppi batterici sul medesimo terreno hanno mostrato colonie
bianche non caratteristiche per l’assenza dei due enzimi. Infin,
2 ceppi di Shigella sonneii sul terreno cromogeno hanno presentato colonie viola.
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Dai dati ottenuti per il LOD si evince che, il metodo innovativo
è stato in grado di rilevare anche poche cellule batteriche di
E.coli e di coliformi in 250 ml di acqua minerale calcolato su sei
replicati; dati equivalenti sono stati ottenuti con i due metodi di
riferimento sia per E.coli che per i coliformi.
I risultati, ottenuti hanno evidenziato che il metodo innovativo
nei riguardi degli E.coli e dei coliformi era sensibile, specifico e
accurato.
Infine, dallo studio di valutazione dell’efficacia e dell’efficienza
del metodo ISO i risultati ottenuti, hanno mostrato una equivalenza con i dati raggiunti con il metodo di riferimento per le
acque minerali.
In Conclusione è stato dimostrato che il metodo innovativo RAPID’E.Coli2, che prevede l’impiego di un terreno cromogeno
per la ricerca di E.coli e coliformi, è sensibile, specifico e accurato, semplice da utilizzare e poco costoso con una sola eccezione per la specie Shigella sonnei che ha sviluppato colonie
viola tipiche dell’E.coli; quindi un eventuale presenza di questo
microrganismo nelle acque minerali potrebbe indicare risultati
falsi positivi ma va sottolineato che, pur non appartenendo al
genere E.coli tale microrganismo è comunque di origine fecale.
Il metodo innovativo è stato quindi validato, sia nei confronti del
metodo riportato nella Cir. Min. n°17 sia nei riguardi del metodo
ISO. L’utilizzo del terreno cromogeno (RAPID’E.Coli2 agar) ha
permesso di discriminare con un’unica incubazione a 37°C per
24 ore le colonie di E.coli e di coliformi, quindi potrebbe essere
utilizzato come valido sostituto dei metodi di riferimento citati, in
quanto non prevede prove di conferma o di identificazione biochimiche di colonie sospette o difficilmente interpretabili come
previsto dai metodi di riferimento. In conclusione, le acque minerali naturali imbottigliate possono costituire un potenziale pericolo per la salute dei consumatori, se contaminate da E.coli
e/o coliformi o da altri batteri patogeni e non rilevati dalle analisi
routinarie effettuate alla sorgente, dopo l’imbottigliamento e durante lo stoccaggio presso i depositi degli stabilimenti, e della
distribuzione ma anche presso i punti vendita.
BIBLIOGRAFIA:
1) DM del 12 /11/1992, n. 542 Regolamento recante i criteri di
valutazione delle caratteristiche delle acque minerali naturali.
2) DM del 13/1/1993: “Metodi di analisi per la valutazione delle
caratteristiche microbiologiche e di composizione delle acque minerali naturali e molalità per i relativi prelevamenti dei campioni.
3) EN ISO 16140:2005, “Microbiology of food animal feeding
stuff-protocol for the validation of alternative methods”.
4) UNI EN ISO 9308-1 Qualità dell’acqua. Ricerca ed enumerazione di E. coli e batteri coliformi. Metodo di filtrazione su
membrana
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STUDIO SU ALCUNI NEMATODI GASTROINTESTINALI (SPIRURIDA) DEI RAPACI
DIURNI (FALCONIFORMES AND ACCIPITRIFORMES) E NOTTURNI (STRIGIFORMES)
IN CALABRIA: DIVERSITÀ, SPECIFICITÀ ED EFFETTO PATOGENO
Di Prisco F.[1], D’Alessio N.[1], Degli Uberti B.[1], Guarino A.[1], Veneziano V.[1], Troisi S.[2], Santoro M.*[3]
Keywords: nematodi gastrointestinali, spirurida, rapaci
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno; Sezione di Avellino ~ Portici (NA),
[2]
Istituto Gestione Della Fauna Onlus ~ Napoli,
[3]
Università Sapienza di Roma, Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sezione di Parassitologia ~ Roma
[1]
SUMMARY: Nematodes belonging to Order Spirurida are
the most important endoparasites reported in raptors regarding both diversity and pathological effects. Here we
studied the diversity, specificity and pathological changes
by gastrointestinal spirurid nematodes in birds of prey and
owls from Calabria, Southern Italy. A total of 13 spirurid
species were found in 257 raptors including 135 birds of
prey and 122 owls. Just a single helminth species (Synhimantus laticeps) was common to both birds of prey and
owls suggesting different alimentary habits between the
2 raptor groups. Pathological changes including petechial
haemorrhages, ulcers and necrosis were the most common
lesions associated to Cheilospirura falconis, Dispharynx
falconis, D. nasuta, Parachordatortilis mathewossianae,
Physaloptera alata, P. mexicana, Procyrnea leptoptera,
P. mansioni, Synhimantus affinis, S. laticeps, and S. robertdollfusi
INTRODUZIONE: I nematodi dell’Ordine Spirurida sono
considerati tra i più importanti endoparassiti degli uccelli rapaci sia per quanto concerne la diversità di specie che per la
loro azione patogena (1, 2, 3). In letteratura esistono poche
informazioni riguardo la loro specificità nell’ambito di una
popolazione di rapaci (4), mentre ancora meno si conosce
riguardo gli effetti e le lesioni che tale gruppo di nematodi è
in grado di determinare. In questo lavoro riportiamo la diversità, la specificità e le lesioni causate dai nematodi dell’Ordine Spirurida nei rapaci diurni e notturni della Calabria.
MATERIALI E METODI: Per questo studio sono stati esaminati un totale di 257 uccelli rapaci (135 rapaci diurni Accipitriformese e Falconiformes e 122 rapaci notturni Strigiformes), deceduti per differenti cause durante il periodo
compreso tra gennaio del 2000 e dicembre del 2011 e raccolti nel Centro di Recupero Animali Selvatici di Rende, in
provincia di Cosenza. I rapaci esaminati appartenevano a
11 diverse specie: 35 poiane (Buteo buteo), 20 sparvieri
(Accipiter nisus), 21 falchi pecchiaioli (Pernis apivorus), 17
falchi di palude (Circus aeruginosus), 25 gheppi (Falco tinnunculus), 17 falchi pellegrini (Falco peregrinus), 30 civette
(Athene noctua), 31 allocchi (Strix aluco), 41 barbagianni
(Tyto alba), 10 gufi comuni (Asio otus), e 10 assioli (Otus
scops). Durante l’esame anatomo patologico l’intero tratto
digestivo (esofago, stomaco e intestino) è stato esaminato per la ricerca di endoparassiti. Gli elminti rinvenuti sono
stati contati, preparati ed identificati secondo i protocolli e le
tecniche usate da Krone (5). Un campione per ogni specie
di parassita identificato è stato depositato nel “U.S. National Parasite Collection Beltsville. Campioni di tessuti su cui
furono osservate lesioni macroscopiche o la presenza di
nematodi furono prelevati per gli esami istopatologici al fine
di valutare se tali lesioni fossero associate in qualche modo
ai parassiti presenti.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono stati identificati un totale di 12 specie di spiruridi (10 nei rapaci diurni e 3 nei
rapaci notturni). Prevalenza e intensità d’infezione per ciascuna specie di rapace esaminato sono presentate nelle
Tabelle 1 e 2. La specificità per l’ospite per ciascuna delle
specie parassitarie identificate è illustrata in Tabella 3. Delle 12 specie di spiruridi identificati, solamente Synhimantus laticeps fu comune ai due gruppi di rapaci esaminati
(diurni e notturni). Lesioni del tratto digestivo, consistenti
prevalentemente in petecchie emorragiche, ulcere e lesioni
necrotiche, furono associate alla presenza di Cheilospirura
falconis, Dispharynx falconis, D. nasuta, Parachordatortilis
mathewossianae, Physaloptera alata, P. mexicana, Procyrnea leptoptera, P. mansioni, Synhimantus affinis, S. laticeps, e S. robertdollfusi.
Lo spettro alimentare e la capacità di selezionare le prede
da parte dell’ospite vengono considerati tra i più importanti fattori che influenzano la fauna parassitaria dello stesso
ospite. Le specie parassitarie qui identificate utilizzano
come ospiti intermedi una grande varietà di insetti. Tuttavia
ogni genere parassitario preferisce determinati gruppi di insetti da cui si può dedurre le abitudini alimentari dell’ospite.
Per esempio, membri del genere Dispharynx e P. mathevossianae usano isopodi; membri del genere Physaloptera spp.
usano coleotteri, dermatteri, dictiotteri e ortotteri; mentre i
membri del genere Procyrnea usano ortotteri; membri del
genere Synhimantus usano dermatteri, isopodi, e odonati
(6). I risultati qui ottenuti suggeriscono un più ampio spettro
alimentare per lo meno per quanto concerne la predazione
su insetti, da parte dei rapaci diurni rispetto a quelli notturni.
Questo è un aspetto importante soprattutto se si considera
che i rapaci notturni si alimentano prevalentemente di insetti e roditori. La presenza di una singola specie in comune
ai due gruppi di rapaci (S. laticeps; tra l’altro presente con
scarsa prevalenza e intensità nei rapaci notturni rispetto ai
rapaci diurni) conferma le differenze dei costumi alimentari
tra i due gruppi esaminati consistente in un range di prede
molto più ristretto nei rapaci notturni.
L’azione dei parassiti sullo stato di salute dei rapaci è ancora un argomento molto dibattuto. Gli elminti possono giocare
un ruolo patogeno importante soprattutto quando combinati
con fattori stressanti. Tuttavia è stato visto come infestazioni parassitarie possano direttamente influenzare negativamente le performance di volo o di caccia predisponendo per
esempio a traumi secondari. La maggioranza degli animali
esaminati durante questo studio aveva lesioni traumatiche,
ma se le infezioni parassitarie abbiano contribuito o meno
a tali lesione rimane difficile da stabilire.
260
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Tabella 1. Prevalenza (P) e Intensità media (In) dell’infezione da nematodi spiruridi identificati in 6 specie di rapaci diurni in Calabria
Tabella 2. Prevalenza (P) e Intensità media (In) dell’infezione da nematodi spiruridi identificati in 5 specie di rapaci diurni in Calabria
261
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Tabella 3. Classificazione dei nematodi spiruridi rinvenuti nei rapaci diurni e notturni della Calabria secondo la specificità dell’ospite; “specialista”: riportato come parassita adulto in una singola specie di rapace; “generalista in rapaci”, riportato come parassita
adulto in almeno due specie di rapaci”; “generalista in altri uccelli”, riportato come parassita adulto in altri uccelli diversi dai rapaci
BIBLIOGRAFIA: 1) Santoro M, Kinsella JM, Galiero G, degli Uberti B, Aznar FJ (2012) Helminth community structure in
birds of prey (Accipitriformes and Falconiformes) in southern
Italy. Journal of Parasitolology 98: 22-29.
2) Santoro M, Tripepi M, Kinsella JM, Panebianco A, Mattiucci
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and Falconiformes) in southern Italy. Veterinary Journal 186:
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3) Mutafchiev Y, Santoro M, Georgiev BB (2010) Parachordatortilis n. g. (Nematoda: Spirurida: Acuariidae), with a redescription of P. mathevossianae (Petrov & Chertkova, 1950) n. comb.,
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4) Sanmartín ML, Alvarez A, Barreiro G, Leiro J (2004) Helminth fauna of falconiform and strigiform birds of prey in Galicia, northwest Spain. Parasitology Research 92: 255-263.
5) Krone O (2007) Endoparasites. In: Bird DM, Bildstein KL
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Hancock House Publishers. pp. 318–328.
6) Anderson RC (2000) Nematode parasites of vertebrates:
Their development and transmission. Wallingford: CABI Publishing. 650 p.
262
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
AGENTI MASTIDOGENI DEL BOVINO IN VALLE D’AOSTA: RISULTATI DEL PIANO DI
MONITORAGGIO CONDOTTO NEL TRIENNIO 2009-2011
Domenis L.*[1], Doglione L.[1], Orusa R.[1], Gallina S.[1], Bianchi D.M.[1], Vevey M.[2], Vitale N.[1], Dezzutto D.[1],
Gennero S.[1], Bergagna S.[1]
Keywords: mastitis pathogens, bovine, Aosta Valley Region
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta ~ Torino,
ANABORAVA (Associazione Nazionale Allevatori Bovini Razza Valdostana) ~ Gressan (AO)
[1]
[2]
SUMMARY: We report the results of control program against bovine mastitis pathogens performed in Aosta Valley Region during
the period 2009-2011. The prevalence of positive herds for Streptococcus agalactiae decreased (from 28.8 % to 18.2 %) while for
Staphylococcus aureus remained almost the same (from 39.1
% to 38.5 %). About environmental pathogens we registered the
prevalence of staphylococci coagulase negative and streptococci (especially Streptococcus uberis and Streptococcus disgalactiae). All the strains were resistant to cloxacillin, one of the most
used antimicrobial drug in the mastitis’ therapy.
INTRODUZIONE: “Le mastiti costano molto all’allevatore. A seconda della frequenza e della gravità le mastiti possono comportare perdite di reddito fino a oltre 20.000 euro in un allevamento
di soli 100 capi in lattazione” 1. Questo titolo, che introduce un
articolo pubblicato nel 2006 da Daprà et al., descrive con una
formula sintetica ma efficace il danno economico provocato dalle
infezioni mammarie nelle bovine da latte. Come è noto, la mammella bovina può essere colonizzata, per fattori legati sia all’animale sia alle condizioni di allevamento e mungitura, da batteri
contagiosi (Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus)
e batteri ambientali od opportunisti (streptococchi, coliformi, stafilococchi coagulasi negativi) oltre che da microrganismi meno
comuni come Pseudomonas aeruginosa, Nocardia spp., lieviti e
alghe. Premesso che le mastiti sub-cliniche, proprio per la loro
scarsa evidenza sintomatica, provocano i maggiori danni in stalla,
le perdite economiche legate alle infezioni mammarie nella bovina
da latte si concretizzano come segue: riduzione della produzione
lattea, effetti negativi sulla composizione del latte (diminuzione
grasso e proteine, difficoltà di caseificazione), perdita (ovvero
scarto) del latte con residui di antibiotici nel caso di terapia, eliminazione prematura (o decesso in caso di mastiti gravi) di animali
in produzione, costo di interventi e farmaci veterinari, rischio per
la salute pubblica (Staphylococcus aureus può essere produttore
di enterotossine così come ceppi bovini di Streptococcus agalactiae, seppur sporadicamente, possono infettare l’uomo).
Alla luce di queste considerazioni, dalla fine degli anni novanta è
attivo in Valle d’Aosta un piano di lotta alla mastite bovina, promosso dall’Anaborava (Associazione Nazionale Allevatori Bovini
Razza Valdostana) in collaborazione con l’Istituto Zooprofilattico
Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, presso i cui
laboratori sono stati condotti gli esami batteriologici per la ricerca
dei principali agenti mastidogeni.
MATERIALI E METODI: Nel 2009 sono stati esaminati 963 allevamenti (per un totale di 12429 capi), nel 2010 808 allevamenti
(9710 capi) e nel 2011 764 allevamenti (10507 capi). Il latte
individuale (pool proveniente dai quattro quarti mammari) dei
capi in produzione è stato sottoposto ad esame batteriologico
mediante i seguenti terreni di coltura (non selettivi e selettivi):
AS (Agar Sangue), BPR – RPF (Baird Parker - Rabbit Plasma
Fibrinogen), TKT (Tallium Kristalviolette Tossin) e AG (Agar
Gassner). L’identificazione dei ceppi mastidogeni contagiosi
(Staphylococcus aureus e Streptococcus agalactiae) e ambientali (Staphylococcus spp. Streptococcus spp., Escherichia coli,
Pseudomonas spp. ecc.) è stata confermata, in caso di dubbio
e a seconda del germe in causa, mediante sieroagglutinazione, CAMP test, prove biochimiche (Sistemi API Biomerieux) e
biomolecolari (sequenziazione del gene 16 S rRNA), condotte
secondo metodiche di routine. I dati raccolti sono stati elaborati
con il software SAS@ 9.2 e per i patogeni Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus è stata calcolata la prevalenza
a livello regionale e di allevamento.
RISULTATI E CONCLUSIONI:
a) Streptococcus agalactiae:
2009: prevalenza di aziende positive pari a 28.8 % (269 su
958) con una prevalenza media intrallevamento pari a 28.2 %.
Prevalenza di capi positivi nella popolazione bovina testata: 12
%.
2010: prevalenza di aziende positive pari a 20.7 % (166 aziende su 804) con una prevalenza media intrallevamento pari a
27.8 %. Prevalenza di capi positivi nella popolazione bovina
testata: 12.5 %.
2011: prevalenza di aziende positive pari a 18.2 % (139 aziende su 763) con una prevalenza media intrallevamento pari a
27.9 %. Prevalenza di capi positivi nella popolazione bovina
testata: 6.5 %.
b) Staphylococcus aureus:
2009: prevalenza di aziende positive pari a 39.1 % (377 aziende su 963) con una prevalenza media intrallevamento pari a
32.4 %. Prevalenza di capi positivi nella popolazione bovina
testata: 16 %.
2010: prevalenza di aziende positive pari a 32.7 % (263 aziende su 807) con una prevalenza media intrallevamento pari a
29.8 %. Prevalenza di capi positivi nella popolazione bovina
testata: 18 %.
2011: prevalenza di aziende positive pari a 38.5 % (293 aziende su 761) con una prevalenza media intrallevamento pari a
28.7 %. Prevalenza di capi positivi sulla popolazione bovina
testata: 16.7 %.
In Tabella 1 è riportata la distribuzione delle classi di prevalenza intraaziendale di Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus registrate nel triennio.
c) Mastidogeni ambientali:
in Tabella 2 viene riportato l’elenco dei mastidogeni ambientali
con le relative prevalenze registrate nel triennio
263
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Per quanto riguarda Streptococcus agalactiae, agente della
mastite contagiosa, i risultati rivelano una tendenza favorevole, con una diminuzione delle aziende positive statisticamente
significativa (Test di trend Cochran-Armitage = 4.9 p <.0001),
a testimonianza di una corretta applicazione delle misure di
profilassi (separazione dei soggetti infetti, terapia antibiotica in
asciutta e riforma degli animali con infezioni croniche). Una prevalenza di allevamenti infetti pari circa il 18 % rimane rilevante
se confrontata con quella dei paesi più “virtuosi” (ad es. 6.1%
nel 2009 in Danimarca 2; infezione pressochè eradicata nelle
Fiandre-Belgio 3) anche se rimane comunque in linea con i dati
registrati in numerosi stati dell’area occidentale (ad es. in USA,
11% nel 1991 in Alberta e 47% nel 1985 nel Vermont 4, 56% nel
1992 nell’Ohio 5; 29% nel 2006 in Brandeburgo, Germania 6).
Per quanto riguarda Staphylococcus aureus la prevalenza di
allevamenti infetti e di capi positivi è rimasta pressochè invariata nel triennio (test di trend = 0.47, p<0.67 non significativo); a
commento di questo dato, come riferito dalla bibliografia 7, si
sottolinea come le infezioni mammarie da Staphylocoocus aureus siano di difficile controllo sia per il fatto che i ceppi in causa
sono frequentemente di origine ambientale sia per la particolare resistenza di questo germe (variabile a seconda del biotipo/
genotipo coinvolto) alle terapie antibiotiche convenzionali.
In merito infine ai mastidogeni ambientali, stafilococchi coagulasi negativi e streptococchi (in particolare Streptococcus uberis
e Streptococcus disgalactiae) risultano i germi principalmente
coinvolti nell’eziologia delle infezioni mammarie non determinate da Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus.
Il numero di stalle coinfettate da Streptococcus agalactiae e
Staphylococcus aureus è diminuito da 165 nel 2009 a 93 nel
2011; tra queste, analizzando un campione di 139 allevamenti che sono risultati infetti sia nel 2009 che nel 2010, solo 29
aziende erano dotate di mungitrice fissa mentre le restanti 110
si avvalevano di mungitrice mobile, strumento che pertanto dovrebbe essere ulteriormente valutato in future indagini come
potenziale fattore di rischio per le infezioni da mastidogeni contagiosi.
Infine, pressochè tutti i ceppi isolati, al di là di quelli specificamente multiresistenti alle più comuni molecole di antibiotici,
sono risultati costantemente insensibili alla cloxacillina; analogamente a quanto segnalato da altri autori 6, anche in Valle
d’Aosta la cloxacillina (da sola o in combinazione con altri antibiotici) appare dunque uno dei principi attivi più utilizzati, attualmente o nel passato, per la terapia antimastitica.
Tabella 1: distribuzione delle classi di prevalenza intraaziendale di Streptococcus agalactiae e Staphylococcus aureus nel triennio 2009-2011 (n= numero aziende).
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Tabella 2: mastidogeni ambientali e relative prevalenze nel triennio 2009-2011
BIBLIOGRAFIA:
1. Daprà V., Piccinini R., Zecconi A. 2006. Le mastiti costano
molto all’allevatore. L’informatore Agricolo, 2: 59-63.
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problem in Scandinavia. Report from Denmark. The Nordic
Dairy Association Commitee for Milk Quality symposium, Rebild, Denmark, 9 june 2010: 1-11.
3. Piepers S., De Meulemeester L., de Kruif A., Opsomer G.,
Barkema HW, De Vliegher S. 2007. Prevalence and distribution of mastitis pathogens in subclinically infected dairy cows
in Flanders, Belgium. J Dairy Res, 74 (4): 478-83.
4. Keefe G. P. 1997. Streptococcus agalactiae mastitis: A re-
view. Can Vet J, 38:429-437.
5. Bartlett P.C., Miller G.Y., Lance S.E., Hancock D.D., Heider
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with Streptococcus agalactiae in dairy herds in Ohio. Am J Vet
Res, 53(9): 1715-21.
6. Tenhagen B.A., Köster G., Wallmann J., Heuwieser W.
2006. Prevalence of mastitis pathogens and their resistance against antimicrobial agents in dairy cows in Brandeburg,
Germany. J Dairy Sci, 89 (7): 2542-51.
7. Green M., Bradley A. 2004. Clinical Forum – Staphylococcus aureus mastitis in cattle. UK Vet, 9: 1-9.
265
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
CONFRONTO DI METODI MICROBIOLOGICI E BIOMOLECOLARI PER LA RICERCA DI
ESCHERICHIA COLI O:157 DA FECI DI BOVINI MACELLATI IN UMBRIA.
Ercoli L.*[1], Cibotti S.[1], Magistrali C.F.[1], Scuota S.[1], Tentellini M.[1], Cucco L.[1], Farneti S.[1]
Keywords: E. coli STEC, PCR, feci
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche ~ Perugia
[1]
SUMMARY: Verocytotoxin producing Escherichia coli O: 157
can cause serious illness in humans. Ruminants are generally healthy carriers of this microorganism, and cattle are considered to be the main reservoir of pathogenic E. coli O: 157.
The presence of STEC in faeces cattle represents a potential
source of contamination of the food chain. For this purpose, an
analysis was made on the spread of E. coli O: 157 in the faeces
of cattle slaughtered in Umbria, comparing the traditional method of isolation and biomolecular methods.
INTRODUZIONE: Nel 1988 in Italia, è stato descritto il primo
caso di infezione umana da Escherichia coli O:157 (2); da allora il gruppo degli E. coli produttori di shigatossine (STEC) ha
assunto sempre maggiore rilevanza nell’ ambito della sicurezza alimentare, in quanto tali microrganismi sono in grado
di provocare, specialmente nei pazienti pediatrici, una grave
sintomatologia a livello enterico (CE) e sistemico (HUS e PPT).
I ruminanti, in particolare i bovini, rivestono il ruolo principale
di reservoir di STEC, eliminando generalmente nell’ambiente
il microrganismo senza manifestare segni clinici. La trasmissione di STEC all’uomo può avvenire per contatto diretto con
animali portatori o per diffusione da persona a persona per via
oro-fecale. La presenza di E. coli STEC negli alimenti rappresenta tuttavia la causa principale di trasmissione all’uomo. Gli
alimenti più frequentemente implicati negli episodi tossinfettivi
sono il latte crudo e le carni bovine, come conseguenza di una
contaminazione fecale di queste matrici durante la mungitura
o durante la macellazione. Anche i vegetali possono essere
contaminati da reflui zootecnici o in seguito a pratiche di fertirrigazione (3).
Tutte queste possibili vie di trasmissione, associate alla bassa
dose infettante che caratterizza E. coli STEC e alla loro buona
capacità di sopravvivere in diverse condizioni ambientali, hanno reso questi patogeni oggetto di una crescente attenzione
da parte delle autorità sanitarie (1, 6).
A tale scopo si è inteso intraprendere un’analisi in merito alla
diffusione di E. coli STEC O:157 in feci di bovini macellati in
Umbria, mettendo a confronto il metodo di isolamento tradizionale con metodiche biomolecolari.
MATERIALI E METODI: Da maggio 2011 ad aprile 2012, sono
stati analizzati 250 campioni di contenuto cecale di bovini macellati presso quattro diversi impianti distribuiti sul territorio
umbro. Le feci sono state refrigerate e analizzate entro 24 h
dall’arrivo in laboratorio. Per l’analisi microbiologica si è seguita
la procedura descritta dal manuale OIE (4): in breve, 5 grammi
di feci sono stati prearricchiti con 45 ml di mTSB (BioKar Diagnostics), incubati a 37°C ± 1°C per 6h, sottoposti a immunoseparazione magnetica (Dynabeads®, Invitrogen) seguita da
semina su terreno CT-SMAC (Biokar Diagnostics). Le colonie
tipiche sono state sottoposte a identificazione biochimica e a
siero-agglutinazione rapida mediante sieri del commercio (Statens Serum Institut – Copenhagen, DK).
Per le analisi biomolecolari, dopo incubazione per 16-18 h a
37°C ± 1°C, si è proceduto all’estrazione del DNA dal brodo di
prearricchimento mediante l’impiego di kit commerciali (DNeasy Blood and Tissue kit, QIAGEN). Sul templato sono state
eseguite una Real-time PCR, tramite kit ADIAFOOD Detection
System E. Coli O:157:H7 (AES Chemunex) e una multiplex
PCR (5), volta a evidenziare la presenza di geni codificanti
l’antigene somatico dei principali sierogruppi di E. coli STEC,
fra cui O:157.
Successivamente, sui ceppi isolati e ulteriormente confermati
come E. coli O:157 in Real-time PCR, si è provveduto al rilevamento dei geni vtx1, vtx2 ed eae tramite multiplex PCR, per valutare l’eventuale appartenenza al gruppo di STEC classificati
come altamente patogeni per l’uomo, conformemente a quanto
indicato nella ISO/TS 13136:2011(E).
RISULTATI E CONCLUSIONI: I risultati ottenuti con il metodo
tradizionale e con i metodi biomolecolari sono riportati in Tabella 1.
Il metodo microbiologico ha reso possibile l’isolamento di 31
(12.4 %) ceppi batterici negativi al test dell’ossidasi, identificati
come Escherichia coli tramite test biochimici in micrometodo
e positivi all’agglutinazione rapida con sieri anti E. coli O:157.
Con i metodi biomolecolari impiegati nel presente lavoro, sono
stati evidenziati i geni codificanti per E. coli O:157 in 82 campioni ( 32.8 %).
Il confronto tra le due metodiche biomolecolari è riportato in
Tabella 2: sono stati ottenuti risultati concordanti nel 92,8% dei
casi, con 168 campioni negativi e 64 positivi; di questi ultimi, 22
(34,38%) si sono dimostrati positivi anche per i geni codificanti
H:7.
Ne consegue una percentuale di positività per il sierogruppo
O:157, variabile dal 27,6% al 30,8%, a seconda del metodo
biomolecolare impiegato. Sarebbe quindi opportuno uniformare i protocolli per gli esami biomolecolari al fine di ottenere risultati più omogenei per la ricerca di STEC da matrici complesse, come quelle fecali. Tale tipologia di campioni infatti non è
tuttora inclusa nel campo di applicazione di procedure normate
relative alla ricerca di STEC tramite metodi biomolecolari.
Le percentuali di positività ottenute con i metodi biomolecolari
appaiono notevolmente più alte rispetto a quelle ottenute con il
metodo microbiologico; questo era comunque prevedibile, dato
che i metodi biomolecolari permettono di rilevare nel campione anche il DNA batterico di microrganismi morti, stressati o
comunque non vitali, che conseguentemente non è possibile
isolare.
L’immunoseparazione magnetica è quindi indispensabile per
agevolare l’isolamento del microrganismo al fine di confermare
la reale presenza di STEC nella matrice in esame e di consentire l’esecuzione di ulteriori esami volti a valutare caratteristiche
genotipiche e fenotipiche del ceppo in questione, allo scopo di
definirne la patogenicità.
D’altra parte, dei 31 ceppi isolati con il metodo microbiologico
e successivamente subcolturati e sottoposti a Real-time PCR,
solo 20 (8% dei 250 campioni fecali sottoposti ad immunose-
266
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
parazione) si sono confermati come realmente appartenenti
al sierogruppo O:157, a riprova del fatto che la identificazione
basata solo su criteri fenotipici può dar luogo a falsi positivi
dovuti a reazioni crociate.
Sui 20 ceppi di E. coli O:157 isolati da campioni risultati positivi
ad entrambi i metodi, è stata effettuata una multiplex PCR per
la ricerca dei geni vtx1, vtx2 ed eae; di questi, 14 (5,6%) erano classificabili come STEC altamente patogeni per l’uomo, in
quanto dotati sia del gene eae codificante per l’intimina sia di
almeno uno dei due geni codificanti per la produzione di verocitotossine, o di entrambi.
Pertanto, la prevalenza di E. coli O:157 altamente patogeni
(5.6%) nelle feci bovine non si discosta significativamente da
quella riportata da EFSA CDC (7); tuttavia tali batteri possono rappresentare un pericolo, anche nel territorio umbro, per
la sicurezza sanitaria di tutti quegli alimenti, consumati crudi
o poco cotti, potenzialmente oggetto di contaminazione fecale
durante la produzione primaria o durante le fasi successive di
lavorazione o di preparazione al consumo.
In conclusione tale progetto ha permesso di implementare e
confrontare diverse metodiche atte all’individuazione e alla sierotipizzazione di STEC O:157 e di gettare le basi per indagini
epidemiologiche sulla diffusione di tali microrganismi nella realtà locale umbra.
Tab. 1 – Confronto tra metodo microbiologico e metodi biomolecolari
Tab. 2 – Confronto tra i due metodi biomolecolari
BIBLIOGRAFIA:
1. Bonardi S, Maggi E, Pizzin G, Morabito S, Caprioli A; 2001.
Faecal carriage of Verocytotoxin-producing Escherichia coli
O157 and carcass contamination in cattle at slaughter in northern Italy. Int J Food Microbiol, 66: 47-53.
2. Caprioli A, Edefonti A, Bacchini M, Luzzi I, Rosmini F, Gianviti
A, Matteucci M C, Pasquini P;1990. Isolation in Italy of a verotoxin-producing strain of Escherichia coli O:157 H:7 from a child
with hemolytic-uraemic syndrome. Eur J Epidemiol, 6:102-104.
3. Caprioli A, Morabito S, Brugère H, Oswald E; 2005. Enterohaemorrhagic Escherichia coli: emerging issues on virulence
and modes of transmission. Vet Res, 36:289-311.
4. Manuale OIE: http://www.oie.int. Manual of diagnostic
tests and vaccines for terrestrial animals. OIE Terrestrial Manual,2008: 1294-1304.
5. Monday S R, Beisaw A, Feng P C H; 2007. Identification
of Shiga toxigenic Escherichia coli seropathotypes A and B by
multiplex PCR. Mol Cell Probes,21:308-311.
6. Scallan E, Hoekstra R M, Angulo F J, Tauxe R V, Widdowson
M A, Roy S L, Jones J L, Griffin P M; 2011. Foodborne illness
acquired in the United States-Major pathogens. Emerg Infect
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7. Scientific Report of EFSA and ECDC - The European Union
Summary Report on Trends and Sources of Zoonoses, Zoonotic Agents and Food-borne Outbreaks in 2010 EFSA Journal
2012;10(3):2597.
267
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
MONITORAGGIO DI PCDD/F E PCB-DIOSSINA SIMILI IN AZIENDE ZOOTECNICHE
Esposito M.*[1], Serpe F.P.[1], Cavallo S.[2], Colarusso G.[2], Rosato G.[4], Neri B.[3], Ubaldi A.[3], Caligiuri V.[1],
Rocca R.[2], Sarnelli P.[4], Guarino A.[1], Baldi L.[1]
Keywords: diossine , PCB, latte
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici,
Osservatorio Regionale sulla Sicurezza Alimentare ~ Portici,
[3]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle regioni Lazio e Toscana ~ Roma,
[4]
Servizio Veterinario - Regione Campania ~ Napoli
[1]
[2]
SUMMARY: An area at high risk of contamination was identified in Campania (Italy), based on the processing of the
results of the analysis of dioxins in food and environmental samples. The Regional Health Authorities have therefore
prepared a plan for monitoring of farms, requiring milk and
feed samples to determinate dioxins and PCBs content. In
this work we present the results of analysis providing also
an opportunity to examine trends of milk concentrations of
PCDD/Fs and dioxin-like compounds (dl-PCBs) over time,
as well as to examine level of contamination in different animal species. The results of the first year of monitoring show
a decrease of general contamination respect of previous
years, probably due to improved management of livestock
activities.
INTRODUZIONE: L’analisi dei dati sui livelli di diossine
(PCDD/F) e PCB diossina simili (dl-PCB) in alimenti per l’uomo (latte) e per gli animali (fieno, insilato, ecc.) oltre che in
matrici ambientali (suolo, acque) ha permesso di identificare
in Campania, un’area localizzata tra fiume Volturno e Regi
Lagni, ad alto rischio di contaminazione.
L’origine di questi inquinanti organici persistenti è stata attribuita all’incenerimento incontrollato di rifiuti e a errate pratiche zootecniche con la conseguente contaminazione dell’alimento destinato agli animali e da qui al passaggio nel latte
e nelle carni. L’analisi della distribuzione dei congeneri ha
evidenziato come il profilo si discosti da un profilo tipico di
contaminazione di origine industriale ma sia sovrapponibile
piuttosto a quello caratteristico dell’incenerimento non corretto di rifiuti, fenomeno che rappresenta un’emergenza ambientale del territorio. Inoltre, la non corretta gestione degli
alimenti zootecnici (produzione e stoccaggio) e la loro mancata tracciabilità sono da considerarsi importantissimi fattori
determinanti dei livelli di contaminazione.
In molti casi, gli esiti delle analisi su campioni prelevati negli
stessi allevamenti, hanno evidenziato che il numero di alimenti zootecnici non conformi era esiguo rispetto al numero
di non conformità riscontrate nei campioni di latte; questo
ha fatto pensare che la contaminazione degli animali sia
avvenuta attraverso un alimento diverso rispetto a quello
presente al momento del prelievo. Questa ipotesi, seppure
supportata dalle evidenze bibliografiche nelle quali si sottolinea che l’accumulo di diossine nel grasso animale avviene
in tempi più o meno lunghi, spiega la difficoltà di risalire
con certezza all’alimento contaminato anche perché spesso
il campionamento dell’alimento zootecnico è stato effettuato
molto tempo dopo il prelievo del latte.
Tenendo conto di queste considerazioni e nell’ottica di tenere sotto controllo il territorio ai fini della tutela della salute
dell’uomo e degli animali, la Regione Campania ha elaborato
un Piano di Monitoraggio triennale sulla Contaminazione da
Diossine e dl-PCB. In questo lavoro sono riportati i dati relativi a latte e alimento zootecnico prelevati nel primo anno
di attività.
MATERIALI E METODI: Campioni
Sulla base della valutazione dei dati sanitari ed ambientali,
sono state identificate 50 aziende zootecniche a vocazione
lattifera in aree definite a rischio. Presso ciascuna di queste
aziende sono stati prelevati un campione di latte di massa
e, contestualmente, un campione di alimento destinato agli
animali in lattazione. Successivamente, a distanza di circa sei
mesi, presso le stesse aziende sono stati nuovamente prelevati un campione di latte e uno di alimento per animali così da
monitorare l’andamento dei livelli di diossine e dl-PCB.
Analisi chimiche
Per la ricerca di PCDD/F e dl-PCB è stato stabilito un accordo
di collaborazione scientifica con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle regioni Lazio e Toscana.
Le analisi sono state effettuate con metodi validati e accreditati come previsto dalle normative comunitarie. Il campione di
latte o di alimento è addizionato con standard marcati 13CPCDD/F e 13C-PCB e sottoposto a estrazione con solvente allo scopo di ottenere la componente lipidica. L’estratto è
quindi purificato su colonna di silice acida e successivamente mediante un sistema automatizzato Power-Prep. Le due
frazioni ottenute contengono separatamente PCDD/F e PCB
diossina simili. La frazione dei PCB è ulteriormente purificata
su colonna di Envi-Carb allo scopo di separare i PCB non
diossina simili da quelli diossina simili. I due estratti finali ridotti a piccolo volume sono addizionati di uno standard di siringa e analizzati in HRGC/HRMS.
RISULTATI E CONCLUSIONI: La prima fase del Piano di
Monitoraggio è partita nel mese di luglio 2011 e si è conclusa nel gennaio 2012. Nelle 50 aziende selezionate sono stati
prelevati 17 campioni di latte bovino, 28 di latte bufalino e 5
di latte ovino. Contestualmente sono stati prelevati gli alimenti
destinati agli animali, costituiti per la maggior parte da fieno
(21 campioni) e insilato di mais (22 campioni) che rappresentano la più diffusa forma di alimentazione nelle aziende zootecniche.
La seconda fase del Piano si è svolta tra febbraio 2012 e
giugno 2012; in questo periodo sono stati campionati nuovamente gli allevamenti selezionati, prelevando sia il latte che
l’alimento. La distribuzione per specie dei campioni di latte
ricalca la prima fase con alcune piccole variazioni riguardo
l’alimento zootecnico, inoltre non è stato ricampionato un allevamento per cui i dati disponibili sono stati 49 su 50.
La figura 1 illustra la localizzazione dei cinquanta allevamenti
oggetto nello studio nella Regione Campania. L’aria maggiormente campionata corrisponde a quella dove nei precedenti
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Piani è stata rilevata la maggiore incidenza di non conformità.
I risultati della prima fase del Piano di Monitoraggio sono riportati nelle tabelle 1 (latte) e 2 (alimento per animali). Per tutte le specie animali prese in esame, i livelli medi di PCDD/F e
dl-PCB sono risultati inferiori ai limiti massimi consentiti dalla
normativa comunitaria, tranne in un solo caso, un campione
di latte ovino, con un tenore di PCDD/F superiore al limite
massimo ammesso mentre solo in un campione di latte bufalino è stato superato il livello d’azione previsto per PCDD/F. In
nessun campione di alimento per animali sono stati riscontrati
livelli di PCDD/F e PCB superiori ai limiti massimi.
Nel secondo semestre di attività del Piano di Monitoraggio
non è stata riscontrata nessuna non conformità né per il latte
né per l’alimento zootecnico. I livelli di azione, oltre i quali è
necessario l’avvio di indagini per individuare la fonte di contaminazione, sono stati superati solo per PCDD/F in un campione di latte bufalino e per dl-PCB in un campione di latte ovino.
Tutti i dati per i valori TEQ di PCDD/F e dl-PCB sono stati ottenuti mediante l’utilizzo dei nuovi TEF2005 che la raccomandazione 516/2011 e i Regolamenti UE 1259/2012 e
277/2012 hanno stabilito di dover usare. Questo, se da un lato
impedisce un confronto immediato con i dati dei precedenti
Piani di controllo, consente dall’altro, una prima elaborazione
statistica (Figure 2 e 3) da cui è possibile evidenziare che i
valori delle due classi di contaminanti sul totale dei campioni
di latte diminuiscono dal primo al secondo semestre seppure
in maniera statisticamente non significativa. Tuttavia questa
diminuzione può essere considerata come un trend positivo che tra l’altro si trova in accordo con la recente relazione
dell’EFSA sulla diminuzione della contaminazione da diossine
e PCB negli alimenti con conseguente diminuzione dell’esposizione della popolazione.
In conclusione, i risultati del primo anno del Piano di Monitoraggio Regionale costituiscono un importante segnale
di ulteriore riduzione della contaminazione da diossine e dlPCB in Campania, in una zona che in passato ha evidenziato numerose irregolarità. L’adozione delle Buone Pratiche di
Conduzione Agricola, nonché il controllo sul pieno rispetto del
Regolamento n. 183/2005 sull’igiene dei mangimi da parte
dei conduttori delle aziende zootecniche a vocazione lattifera,
sono tra i più importanti fattori che hanno contribuito al miglioramento delle condizioni ambientali e alimentari. Ulteriori
informazioni sull’andamento della contaminazione in Campania, in un’area caratterizzata da un elevato rischio ambientale,
si otterranno con il prosieguo del Piano di Monitoraggio nei
due anni successivi.
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BIBLIOGRAFIA: - Scientific Report of EFSA: Update of the
monitoring of levels of dioxins and PCBs in food and feed.
EFSA Journal 2012;10(7):2832
- Neugebauer F, Esposito M, Opel M, Päpke O, Gallo P, Cavallo
S, Colarusso G, D’Ambrosio R, Sarnelli P, Baldi L, Iovane G,
Serpe L Organohalogen Compounds 2009; 71: 1203-1208
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GESTIONE DELLA CONFORMITA’ DEL DATO:
PERCORSO E RISULTATI DELL’IZS UMBRIA E MARCHE
Faccenda L.*[1], Olivieri E.[1], Biasini G.[1], Berretta C.[1], Tonazzini S.[1], Saccoccini R.[1], Mingolla A.[1]
Keywords: flussi informativi, errori accettazioni, applicativi di supporto
Istituto Zooprofilattico Sperimentale Umbria e Marche ~ Perugia
[1]
SUMMARY: Informational debt on control plans that Istituto
Zooprofilattico holds against other institutional entities has
been evolving, from a simple manual data aggregation to
complex computerized procedures.
To ensure a correct data circulation it is necessary that all
compulsory information are filled in the database from the
moment of sample acceptance. Hence, we used a warning
system that led to an immediate reduction in number of errors.
This work presents the results achieved.
INTRODUZIONE: Negli ultimi anni si è affermata anche negli Istituti Zooprofilattici l’esigenza di poter disporre di dati di
attività in modo rapido e preciso. Questo vale sia per i flussi
dati istituzionali relativi ai diversi piani per i quali è previsto
un debito informativo ben definito, sia per l’attività analitica
svolta negli altri ambiti (ricerche, progetti, ecc.).
Dal 2005 presso il nostro Istituto, la gestione dei flussi è
stata oggetto di studi ed attività dedicate che hanno coinvolto chi si occupa di reportistica, i sistemi informativi e le
accettazioni in un percorso graduale, partito dalla formazione degli operatori delle accettazioni, con produzione di linee
guida specifiche per ogni flusso (istituzionale e no), fino ad
arrivare alla creazione di procedure applicative di supporto
che li affiancassero nella routine quotidiana.
Il presupposto di base è che, per avere dati corretti e subito
fruibili, è necessario che, già al momento dell’accettazione
del campione, vengano inseriti nel sistema informativo sanitario, tutte le informazioni necessarie, affinché la successiva attività di reportistica avvenga in modo veloce e preciso,
senza dovere ancora intervenire sul dato con correzioni o
aggiornamenti.
In questo lavoro verranno presentati i risultati ottenuti dall’inizio del percorso fino ad oggi, valutando l’andamento della
percentuale di errore dei principali flussi dati istituzionali:
BSE, Scrapie, Blue Tongue, Risanamento, Malattia Vescicolare, Anemia Infettiva equina, fornendo un dato complessivo
di Istituto e suddiviso per sezione accettante: sede centrale
(Perugia) e sezioni periferiche (Ancona, Fermo, Macerata
e Pesaro).
In particolare, si metterà in evidenza la riduzione drastica
della percentuale di errore, proprio in seguito all’attivazione
delle procedure applicative di supporto e si rifletterà anche,
più in generale, sul percorso effettuato fino ad oggi, sulle
criticità riscontrate e sulle attività future.
MATERIALI E METODI: Redazione delle linee guida per gli
operatori delle accettazioni: le prime linee guida risalgono al
2005 e contenevano indicazioni per i principali piani nazionali che avevano flussi dati obbligatori con cadenze ravvicinate nel tempo (1), successivamente è stato ampliato il target, e oggi le linee guida prevedono istruzioni non solo per
i piani istituzionali, ma anche per l’accettazione di campioni
di ricerche o progetti interni all’Istituto. Si tratta di semplici
indicazioni che spiegano all’operatore come popolare i campi del sistema informativo sanitario in dotazione al nostro
Istituto: SIGLA (Sistema Informativo Gestione Laboratori).
Sistemi di controllo automatico della conformità dei dati:
Si tratta di una collezione di applicazioni di supporto in grado di operare, in modalità trasparente, sul dominio dei dati
transazionali di SIGLA evidenziando, via posta elettronica,
le eventuali difformità rilevate. I dati controllati sono quelli
destinati ad alimentare il debito informativo e le segnalazioni sono trasmesse automaticamente al gestore del sistema,
che opera funzioni di controllo, e all’utente che dovrà rimuovere l’errore. Il processo automatico interviene sui dati dopo
l’accettazione controllando la conformità rispetto alle relative linee guida. La tempistica permette la rimozione degli
errori prima della refertazione. In caso di inesattezze, l’operatore accettante, riceve una notifica puntuale che consente
di intervenire dove necessario (2).
Per verificare l’efficacia di tali procedure si è confrontata,
per ogni flusso e per ogni sede accettante, la percentuale di errore rilevata nel periodo 2007 – 2012 (I semestre).
Fa eccezione la malattia vescicolare per la quale il periodo
considerato parte dal 2009. Per percentuale di errore si intende: il numero di accettazioni di un determinato flusso con
almeno un errore / il totale delle accettazioni per quel flusso.
L’errore viene conteggiato quando permane nella richiesta,
anche dopo che sono stati inviati i messaggi di errore, non
vengono considerati errori quelli che vengono corretti prima
che la richiesta venga rapportata.
RISULTATI E CONCLUSIONI: BSE
La percentuale di errore complessiva, scesa drasticamente
proprio con l’attivazione della messaggistica di errore (avvenuta ad aprile 2008), fino a tutto il 2011 continua a mantenersi intorno all’1% (Fig.1 e Tab.1). L’introduzione di un
nuovo campo obbligatorio (il sesso dell’animale testato), a
partire dall’1 gennaio 2012, fa aumentare notevolmente la
percentuale di errore nel primo semestre dell’anno. Infatti
circa il 70% degli errori riscontrati nel I semestre 2012 è
appunto rappresentato dalla mancanza del dato relativo al
sesso dell’animale.
Anemia Infettiva Equina
Rispetto al periodo 2008 – 2010, in cui la percentuale di
errore era scesa al di sotto del 2%, nel 2011 si assiste all’aumento delle accettazioni errate, che coincide con l’introduzione di un nuovo parametro obbligatorio (la razza), a partire proprio dai primi mesi del 2011 (Fig.2 e Tab.2). Nel 2012
le percentuali di errore complessive scendono nuovamente,
passando dall’89% del 2011 al 13%.
Blue Tongue, Scrapie e Risanamento
Per questi flussi dopo l’attivazione della messaggistica di
errore le percentuali sono calate in maniera evidente, attestandosi intorno all’1% in quasi tutte le sedi accettanti
(Fig.3-4-5 e Tab.3-4-5).
Malattia Vescicolare
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Anche per questa malattia l’attivazione della procedura di
supporto porta una riduzione della percentuale di errore che
passa da circa il 30% al 10% nel 2011.
I dati parziali del 2012 (primo semestre) evidenziano un
ulteriore calo delle percentuali di errore che, se venissero mantenute fino alla fine dell’anno, renderebbero il flusso
dati di questa malattia comparabile agli altri, con percentuali
sotto il 2% (Fig.6 e Tab.6).
Le percentuali di errore di tutti i flussi esaminati si mantengono su percentuali piuttosto basse, in particolare per
3 flussi su 6 negli ultimi tre anni sono al di sotto del 2%,
valori comunque compatibili con le variabili aleatorie che
possono aver influito in accettazione (turnover del personale, maggiore carico di lavoro concentrato in alcuni mesi,
emergenze). La valutazione della tipologia di errore riscontrata per ogni flusso e la suddivisione per sede territoriale
accettante, permette di individuare con precisione come e
dove si presenta il problema, permettendo di intervenire con
la formazione mirata agli operatori. Inoltre, questi dati hanno evidenziato che le accettazioni reagiscono decisamente
meglio all’introduzione di flussi dati che partono ex novo,
che al cambiamento di pochi campi in quelli consolidati da
tempo. Nel contempo però non è inconsueto che un Centro
di referenza modifichi il tracciato record e, per motivi vari
per lo più legati a nuove norme legislative, trasformi in obbligatori dati che in precedenza erano facoltativi. Questo ci
conduce alla riflessione che, quando si affronta un nuovo
flusso dati e si producono le linee guida per le accettazioni,
è meglio un data set più restrittivo (che magari contempli
anche campi facoltativi) sin da subito, piuttosto che introdurre successivamente modifiche che portano confusione
negli operatori.
In conclusione, il percorso attivato dall’IZS Umbria e Marche mette in evidenza l’efficacia delle procedure applicative
di supporto, che però devono essere applicate in un contesto preparato ad accoglierle con la giusta motivazione. Per
questo motivo la formazione degli operatori delle accettazioni è fondamentale, così come il monitoraggio continuo delle
loro attività. Non bisogna però dimenticare l’importanza del
concetto di coerenza del dato, che deve essere recepita da
tutti coloro che operano sul campione, dall’accettazione,
all’analisi, fino alla refertazione. Proprio in questo contesto,
nel nostro Istituto si è cominciato questo tipo di percorso, ormai consolidato per i piani istituzionali, anche per i progetti
e le ricerche che, esattamente come altri flussi dati, hanno
necessità di rendicontazioni precise e veloci.
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Flusso BSE e AIE
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Flusso BT e Scrapie
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Flusso Risanamento e MVS
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BIBLIOGRAFIA: 1.Faccenda L., Mingolla A., Biasini G., Donati D.,Duranti A., Isa C., Saccoccini R., Taylor J., Violetta N., Berretta C., 2009. Sistema di controllo automatico della conformità
dei dati. Epivet 2009: V Workshop Nazionale di Epidemiologia
Veterinaria . Torino, 10-11 dicembre 2009
2.Berretta C., Maresca C., Mingolla A., Saccoccini R., Scoccia
E., Taylor J., Faccenda L. Scrapie, Anemia Infettiva Equina, Bovine Spongiform Encephalopathy, Bluetongue. Flussi dati dei
campioni presso l’accettazione dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche: valutazione delle percentuali di errore negli anni 2007-2009.2011. Webzine Sanità
Pubblica Veterinaria 65
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VALUTAZIONE DEL BENESSERE ANIMALE NELL’ ALLEVAMENTO DEI VITELLI BUFALINI
IN RELAZIONE ALLE TECNICHE DI SVEZZAMENTO E ALLA CORTISOLEMIA
Fagiolo A.*[1], Ruggeri M.T.[1], Dionisi L.[1], Cavallina R.[1]
Keywords: welfare; , buffalo calves; , cortisol
Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle regioni Lazio e Toscana ~ Roma
[1]
SUMMARY: Buffalo calves serum cortisol was measured
monthly until 5 months of age, according to different nursing
techniques. Farm A used nurses, farm B fed milk replacer and
farm C nursed by an automatic feeder. Farm A decreasing
trend represents an evidence of copying with the environment
and the management. Farm B shows a similar trend, but the
cortisol level decreases later, after 2 months of age, when they
are transferred in multiple boxes. Farm C cortisol increase at
2-3 months of age can be due to lack of space allowance and
roughage introduction causing stressful competition among
calves.
INTRODUZIONE: Il benessere degli animali di interesse zootecnico viene notevolmente influenzato dai fattori connessi
alle pratiche di allevamento. In ambito normativo, la tutela del
benessere animale dei vitelli in allevamento si riferisce solo alla
specie bovina (Dl.vo 331/98; Dl.vo 533/92; direttiva 2008/119/
CE), mentre la specie bufalina è inclusa nel Decreto L.vo
146/01 che definisce le norme minime per la protezione degli
animali negli allevamenti. Precedenti studi hanno valutato gli
aspetti relativi al benessere nel bufalo adulto (2, 3), mentre per
i vitelli bufalini sono stati correlati alcuni aspetti di management
con parametri fisiologici e comportamentali (1,4). Lo scopo di
questo studio è la valutazione del benessere in vitelli bufalini
appartenenti ad aziende caratterizzate da una diversa gestione per questa categoria e di cui è stato monitorato il livello della
concentrazione di cortisolo durante i primi 5 mesi di vita.
MATERIALI E METODI: Sono state selezionate tre aziende
bufaline (A, B, C) che allevano i vitelli per la produzione di
carne. Le informazioni sulle caratteristiche strutturali e gestionali delle aziende sono state acquisite mediante apposite
schede. I vitelli dell’azienda A restano sotto la madre per cinque giorni, poi sono trasferiti in ampi box multipli in cui due
volte al giorno viene introdotta una vacca nutrice e verso i
due mesi di età iniziano ad assumere l’unifeed. Nell’azienda
B, il periodo sotto la madre dura due giorni, dopodiché, per
tre mesi, i vitelli sono ricoverati in box singoli senza possibilità di interagire con i conspecifici e allattati al secchio, con latte di bufala per le prime due settimane, poi con latte ricostituito, mangime da svezzamento e paglia. L’azienda C, dopo
un giorno sotto la madre, alleva i vitelli in coppia in box (<1,5
m2/capo) passando gradualmente, entro il decimo giorno di
vita, dal latte materno a quello ricostituito (secchio) e, dopo
due settimane, mediante allattatrice automatica. Dall’8° settimana i vitelli hanno a disposizione anche alimenti solidi.
Sono stati selezionati casualmente 12 vitelli per ciascuna
azienda, nati nello stesso periodo, monitorati mensilmente,
dalla nascita (una settimana di vita) fino a 5 mesi di età. I
prelievi di sangue si sono effettuati dalla vena giugulare con
sistema vacutainer in provette Plain (senza anticoagulante),
inviate al laboratorio entro 24h a temperatura di refrigerazione. I dosaggi ormonali per cortisolo (Diasorin) sono stati
effettuati con metodo radioimmunologico (RIA).
RISULTATI E CONCLUSIONI: In tutte le aziende il primo
prelievo risulta caratterizzato dai più alti livelli medi di cortisolemia ascrivibile ad eventi stressanti quali il parto, la separazione dalla madre e i cambiamenti ambientali (tab.1). In
particolare, l’azienda A esprime il valore più alto, con differenze significative, ma nei successivi prelievi si osserva una
regolare diminuzione della concentrazione del cortisolo come
possibile segnale della capacità di adattamento degli animali
all’ambiente e alle modifiche gestionali. Nell’azienda B l’andamento del cortisolo, dopo il primo prelievo, si rivela pressoché costante in tutti i soggetti nelle differenti categorie di
età e privo di differenze significative. Infine nell’azienda C si
verifica un aumento della cortisolemia, verso i 2 e 3 mesi di
età, probabilmente a causa della carenza di spazio nei box e
dell’introduzione della dieta solida che causano stress competitivi tra i vitelli.
Tab. 1 Valori medi della concentrazione di cortisolo in 36 vitelli
bufalini relativamente a tre differenti gestioni aziendali
BIBLIOGRAFIA:
1. Campanile G., Taccone W., Palladino M., Di Meo C., Di
Palo R. (1993). Influenza dell’età e del mese di prelievo su enzimi serici e quadro elettroforetico in vitelli bufalini nella fase di
allattamento. Nota I. Atti III Convegno FeMeSPRum: 211-219.
2. Fagiolo A., Lai O., Alfieri L., Nardoni A., Cavallina R. (2004).
Environmental factors and different managements that influence metabolic, endocrine and immune responses in water buffalo during lactation. Proc. 7th World Buffalo Congress ManilaPhilippines Vol. II: 24-26.
3. Grasso F., Napolitano F., De Rosa G., Quarantelli T., Serpe L. and Bordi A. (1999). Effect of pen size on behavioral,
endocrine, and immune responses of water buffalo (Bubalus
bubalis) calves. J. Anim. Sci.: 77(8): 2039-2046.
4. Napolitano F., De Rosa G., Grasso F., Pacelli C., Bordi A.
(2004). Influence of space allowance on the welfare of weaned
buffalo (Bubalus bubalis) calves. Livest. Prod. Sci. 86: 117-124.
278
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MONITORING OF GROUPS A AND D AVIAN ROTAVIRUSES IN ITALIAN POULTRY FLOCKS
Falcone E.*[2], Monini M.[2], Canelli E.[1], Lavazza A.[1], Ruggeri F.M.[2]
Keywords: Avian Rotavirus, Rotavirus group, RT-PCR
[1]
Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna ~ Brescia,
Dipartimento di Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare. Istituto Superiore di Sanità ~ Roma
[2]
SUMMARY: Rotaviruses, the major etiological agents of enteric viral diseases in several mammalian and avian species,
are classified into seven distinct groups (A-G), based on the
antigenicity of the VP6 protein. In avian species, group A and
group D rotaviruses are represented with high frequency,
while the two putative rotavirus groups (F and G) are only
occasionally described. In this study we investigated the distribution of avian rotaviruses from diseased avian species
reared in Northern Italy, in the two predominant rotavirus
groups (A and D). The results of this study give the basis for
further genomic studies to better understand the characteristics of avian rotaviruses circulating in Italy.
INTRODUZIONE: I rotavirus, tra i principali agenti eziologici di malattie enteriche virali negli individui giovani di molte
specie aviarie, vengono distinti in sette elettroferogruppi (AG), sulla base della mobilità elettroforetica su gel di poliacrilamide degli 11 segmenti di RNA a doppio filamento, e in
altrettanti siero gruppi (A-G) sulla base delle caratteristiche
antigeniche della proteina capsidica VP6 (1).
Nelle specie aviarie sono stati riscontrati con maggiore frequenza rotavirus appartenenti ai gruppi A e D, mentre solo
occasionalmente sono stati identificati rotavirus aviari appartenenti ai gruppi F e G (1,4).
Lo scopo di questo studio è stata la valutazione della distribuzione dei rotavirus aviari circolanti in Italia relativamente ai due gruppi antigenici (A e D) maggiormente diffusi tra
queste specie, per l’acquisizione di dati epidemiologici sulla
diversità e la variabilità nel tempo dei ceppi prevalenti.
MATERIALI E METODI: Sono stati esaminati un totale di
102 campioni (feci e contenuti intestinali) risultati positivi per
rotavirus alla microscopia elettronica. Tutti i campioni, rac-
colti tra il 2006 e il 2010 e appartenenti a diverse specie
aviarie (quaglia, pollo, faraona, tacchino, starna, fagiano),
provenivano da allevamenti con focolai di enterite del Nord
e del centro Italia.
I campioni fecali e i contenuti intestinali sono stati sospesi
al 10% vol/vol in ddH2O e conservati a -80°C. A partire da
140µl di ciascuna sospensione è stata effettuata l’estrazione dell’RNA virale usando un kit commerciale (QIAamp Viral
RNA Kit; Qiagen, Hilden, Germany), seguendo le indicazioni
fornite dal produttore. L’RNA virale è stato conservato a -80°
fino all’analisi in RT-PCR.
Tutti i campioni sono stati sottoposti ad RT-PCR per la identificazione dei rotavirus di gruppo A e di gruppo D, utilizzando le coppie di primers disegnati da Otto et al (4) sui geni codificanti per la proteina VP6 dei rispettivi gruppi (Tabella 1).
La RT-PCR è stata eseguita in un formato “one-step”usando
il kit commerciale QIAGEN OneStep RT-PCR (Qiagen, Hilden, Germany). Brevemente, 10 µl di RNA estratto sono stati
miscelati con 1,5 µl di ciascun primer (20µM ), sottoposti ad
una incubazione a 98°C per 5 minuti, per permettere la denaturazione del doppio filamento dell’RNA virale, e raffreddati immediatamente su ghiaccio. Successivamente è stata
aggiunta la miscela di reazione, contenente: 10 µl di tampone 5X, 2 µl di enzyme mix, 2 µl di dNTP Mix (10mM ogni
dNTP) e ddH2O fino ad un volume finale di 50 µl.
Le condizioni di amplificazione prevedevano: 1 ciclo di retro
trascrizione a 50°C per 30 min e 1 ciclo di attivazione della
polimerasi a 95°C per 15 min, seguiti da 40 cicli di denaturazione a 94°C per 30 sec, annealing a 52°C per 1 min,
estensione a 72°C per 1 min, ed estensione finale a 72°C per
7 min. I prodotti di PCR sono stati esaminati mediante su gel
di agarosio al 2%, colorati con GelRed (6 µl in 100 ml di gel)
e visualizzati al transilluminatore.
Tabella 1: Primers utilizzati per l’RT-PCR sul gene VP6 di rotavirus di gruppo A e di gruppo D (4).
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RISULTATI E CONCLUSIONI: L’analisi dei risultati delle RTPCR gruppo specifiche ha rivelato che il 51% dei rotavirus
aviari presenti nei campioni esaminati conteneva rotavirus
aviari appartenenti al gruppo A, il 70,6% al gruppo D e che il
30,4% rotavirus appartenenti ad entrambi i gruppi. Solo in 7
fra tutti i campioni esaminati, positivi per rotavirus alla microscopia elettronica, non è stato possibile individuare rotavirus
aviari appartenenti al gruppo A e/o D (Tabella 2)
Numerosi studi hanno messo in evidenza la presenza di rotavirus negli allevamenti di diverse specie aviarie. (2,5,6,7).
In Italia, in particolare, la presenza di rotavirus in focolai di
enterite della starna e del fagiano è stata evidenziata alla
microscopia elettronica già dalla fine degli anni ’80 (3).
Lo studio della circolazione dei ceppi di rotavirus aviari appartenenti ai diversi gruppi antigenici è uno strumento utile
per l’acquisizione di dati epidemiologici e per comprendere
meglio l’ecologia dei rotavirus aviari in natura.
La RT-PCR gruppo-specifica utilizzata nel nostro studio, si
è dimostrata una metodica affidabile per individuare i gruppi
più comuni di rotavirus aviari circolanti in Italia nel periodo
2006-2010. L’indagine ha confermato i risultati di uno studio
precedente, condotto mediante esame della mobilità elettroforetica su gel di poliacrilamide, su campioni fecali e di intestino prelevati in allevamenti della stessa zona, nel periodo
2000-2005 (3).
Questo lavoro è parte integrante di un progetto che mira
alla caratterizzazione dei ceppi di rotavirus aviari circolanti
in Italia, per monitorare la diversità e la variabilità nel tempo
dei ceppi prevalenti.
In futuro, l’analisi dettagliata delle sequenze di rotavirus
aviari contribuirà alla definizione di eventuali correlazioni
con gli stipiti isolati nei mammiferi e alla eventuale individuazione di ceppi appartenenti a gruppi meno diffusi tra la popolazione aviaria.
Tabella 2. Risultati della amplificazione in RT-PCR di regioni del gene VP6 per la classificazione dei rotavirus aviari
win gruppo A e gruppo D.
BIBLIOGRAFIA:
1. Estes, M.K., Kapikian, A.Z., 2007. Rotaviruses, in: Knipe,
D.M., Howley, P.M., Griffin, M.A.., Lamb, R.A., Martin, M.A.,
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Lippincott, Williams and Wilkins, Philadelphia, PA, pp. 1917–
1974.
2. McNulty, M.S., Todd D., Allan G.M., McFerran, J.B., Greene, J.A.. 1984 Epidemiology of rotavirus infection in broiler
chickens: recognition of four serogroups. Arch Virol. 81(12):113-21.
3. Murgia, M.V., Cerioli M., Catelli, E., Lavazza, A., Istituto
Superiore di Sanità Roma, 1-2 dicembre 2005 Riassunti. V°
Workshop Nazionale Enter-net Italia Sistema di sorveglianza delle infezioni enteriche; Sorveglianza e prevenzione delle
infezioni gastroenteriche. Caratterizzazione di rotavirus della starna (perdix perdix) e del fagiano (phasianus colchinus)
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4. Otto,P.H., Ahmed, M.U., Hotzel, H., Machnowska, P., Reetz, J., Roth, B., Trojnar, E., Johne, R. 2012 Detection of avian
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5. Otto, P., Liebler-Tenorio, E.M., Elschner, M., Reetz, J., Löhren, U., Diller, R., 2006. Detection of rotaviruses and intestinal
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6. Pantin-Jackwood, M.J., Spackman, E., Day, J.M., Rives,
D., 2007. Periodic monitoring of commercial turkeys for enteric viruses indicates continuous presence of astrovirus and
rotavirus on the farms. Avian Dis. 51, 674–680.
7. Reynolds, D.L., Saif, Y.M., Theil, K.W., 1987a. A survey of
enteric viruses of turkey poults. Avian Dis. 31, 89–98.
280
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
EPIDEMIOLOGIA DELL’ANTRACE IN BANGLADESH E NEPAL
Fasanella A.[1], Di Taranto P.*[1], Hossain M.[2], Shamsuddin M.[3], Joshi D.[4], Hugh - Jones M.[5]
Keywords: ANTHRAX, BANGLADESH, NEPAL
Istituto Zooprfilattico Sperimentale of Puglia and Basilicata, Anthrax Reference Institute of Italy, Foggia , Italy ~ Foggia,
[2]
Programme on Infectious Diseases & Vaccine Sciences, Health System & Infectious Disease Division,
International Centre for Diarrheal Disease Research, Bangladesh (ICDDR,B), ~ Dhaka,
[3]
Community-based Dairy Veterinary Foundation, Department of Surgery & Obstetrics,
Bangladesh Agricultural University ~ Mymensingh,
[4]
National Zoonoses and Hygiene Research Center of Kathmandu ~ Kathmandu,
[5]
Department of Environmental Sciences, Louisiana State University, Baton Rouge, ~ Baton Rouge
[1]
SUMMARY: The epidemiological investigation in several
Asian countries is showing that in Bangladesh and Nepal
the main source of anthrax infection is represented by contaminated feed. The CanSNP analysis indicated that all the
genotype of Bacillus anthtacis belong to sublineage A.Br.
001/002 confirming that the strains circulating in Bangladesh
are closely related to those circulating in China and other
countries of south-west Asian. This is to conflict with those
that are the historical relations between India and Bangladesh due that in India is predominant lineage Br. Austr. 94.
INTRODUZIONE: L’antrace è una malattia infettiva non contagiosa che colpisce molte specie animali tra cui l’uomo, anche se sono i ruminanti domestici e selvatici i più sensibili
alla malattia. L’agente batterico è Bacillus anthracis la cui
principale caratteristica è quella di formare spore che possono sopravvivere in ambiente esterno per diversi decenni. La
conoscenza della malattia, l’agente patogeno, la trasmissione, lo sviluppo di vaccino e soprattutto la comprensione che
la rapida rimozione di carcasse infette dall’ambiente riduce
il processo di produzione di spore, ha contribuito alla quasi
scomparsa della malattia nei paesi industrializzati. Tuttavia
essa rappresenta un problema sanitario molto importante
molte aree del pianeta soprattutto nei paesi poveri o in via di
sviluppo in cui la mancanza di un sistema sanitario efficiente in grado di prevenire o contrastare emergenze sanitarie
favorisce la diffusione di infezioni, che evolvono a forma epidemica. I programmi di cooperazione internazionale rappresentano il mezzo più efficace di lotta alle malattie infettive in
quanto il controllo nei paesi di origine garantisce di limitare la
diffusione di pericolosi agenti in paesi in cui essi sono assenti. Il presente lavoro nasce da una collaborazione tra l’Istituto
Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata
(IZSPB) e le autorità sanitarie del Bangladesh e del Nepal,
paesi nei quali l’antrace rappresenta un serio problema.
Il Department of Livestock del Bangladesh dichiara che nel
2008 sono stati registrati ben 437 focolai animali mentre
2009 sono stati 449. Nel 2010, nell’arco di tre mesi, sono stati
registrati 104 focolai animali a cui sono correlati ben 607 casi
umani. Le cause di tanti casi umani sono da addebitare al
fatto che una pratica diffusa è quella di macellare gli animali
malati o in fase preagonica.
In Nepal nel periodo intercorso tra il 1996 e il 1998 sono stati registrati 23 focolai di antrace animale in cui sono morti
137 animali. Non ci sono altre segnalazioni fino al 2010 dove
sono stati registrati 9 focolai con 36 animali morti. Il National
Zoonoses and Hygiene Research Center of Kathmandu non
ha segnalato casi umani.
Nel presente lavoro si focalizza l’attenzione sulle fonti di infezione e in particolare sui mangimi ed integratori destinati al
bestiame dato che in una precedente indagine sul campo è
stato evidenziato che il principale metodo di allevamento dei
bovini è quello della stabulazione fissa (5).
MATERIALI E METODI: L’International Centre for Diarrhoeal
Disease Research of Dhaka ha raccolto e inviato a Foggia n.
10 campioni di mangime di circa 50 grammi ciascuno, prelevati in 5 diversi distretti del Bangladesh e rispettivamente: 4
campioni dal distretto di Shahazadpur, 3 campioni dal distretto di Faridpur, 1 campione da Santhia, 1 campione da Saratul
e 1 da Ullapara.
Il National Zoonoses and Hygiene Research Center of Kathmandu ha inviato 15 campioni di farina di ossa animali con un
peso complessivo di circa 15 grammi, prelevati da differenti
industrie mangimistiche in Nepal.
Isolamento
Per l’isolamento è stato utilizzato il metodo Ground Anthrax
Bacillus Refined Isolation (5). Questo test, messo a punto nei
laboratori del Centro di Referenza Nazionale per l’Antrace
di Foggia, consente l’isolamento di B. anthracis da campioni
ambientali a basso livello di contaminazione.
Brevemente, 7.5 grammi di mangime di ognuno dei 10 campioni del Bangladesh sono stati addizionati a 22.5 ml di washing buffer (soluzione di acqua sterile distillata contenente
0.5% di Tween 20) e tenuti in agitazione continua per 30 minuti. La soluzione ottenuta è stata centrifugata a 2000 rpm
per 5 minuti e il sopranatante è stato incubato a 64°C per 20
minuti. Dopo questa incubazione, 3 ml di sovranatante sono
stati mescolati con 3 ml di Brodo Triptosio Fosfato contenente
Fosfomicina ( 50 mg/ml). 1 ml della mix è stato seminato su
piastre del terreno semiselettivo Agar Trimethoprime - Sulfametossazolo – Polimixina (TSMP Agar) contenente 5% di
sangue ovino. Le piastre sono state incubate a 37°C per 24
ore in aerobiosi.
Dopo l’incubazione si è proceduto ad un esame morfologico
delle colture ottenute ed all’allestimento su vetrini di preparati
per esame microscopico previa colorazione di Gram. Lo stesso protocollo è stato utilizzato per la lavorazione dei 15 campioni di mangime provenienti dal Nepal, i quali sono stati mescolati per l’ottenimento di un unico pool di circa 15 grammi.
Estrazione del DNA e PCR
Ogni colonia sospetta di B.anthracis è stata seminata su piastra di Agar sangue ovino 5% e successivamente incubata a
37°C per 24 ore. Dalle colonie è stato estratto il DNA utilizzando il DNAeasy Blood and Tissue kits (Qiagen) e seguendo il protocollo per i batteri Gram-positivi. Per l’identificazione
è stata utilizzata una PCR con primers specifici per cromosoma, plasmide pXO1 e pXO2 di B. anthracis (4).
281
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Canonical Single Nucleotide Polymorphism (SNP) e MLVA
La ricerca dei polimorfismi per i CanSNP’s è stata effettuata con
13 saggi di PCR per discriminazione allelica secondo quanto
indicato da Van Ert et al. (6). E’ stata applicata una MLVA a 15
loci come descritto da Van Ert et al. (6).
RISULTATI E CONCLUSIONI: B. anthracis è stato isolato in
tre campioni di mangime proveniente dal Bangladesh e precisamente in quelli raccolti nei distretti di Faridpur, Saratul e
Santhia. Anche la farina di ossa proveniente dal Nepal è risultata contaminata da spore di antrace.
L’analisi dei Can SNP’s ha mostrato che tutti gli isolati appartengono al lignaggio maggiore A nel sottogruppo A Br. 001/002.
Il test MLVA a 15 loci ha evidenziato che nel campione di mangime prelevato nel distretto di Faridpur vi era la contemporanea
presenza di due differenti genotipi di B. anthracis che differivano tra loro nel locus pXO2 e nel locus vntr17. Uno dei due genotipi di Faridpur e gli altri provenienti dal Bangladesh e dalle
farine di ossa animali del Nepal hanno mostrato un’omologia
del 100%.
I risultati presentati in questo lavoro sono preliminari di una indagine epidemiologica che sta riguardano diversi paesi asiatici
e dalla quale sta emergendo che la principale fonte di infezione
dell’antrace è rappresentata dai mangimi contaminati. L’aspetto particolare di questi risultati è che l’analisi CanSNP sta dimostrando che tutti i genotipi appartengono al sublineage A.Br.
001/002. Questo risultato indica i ceppi di B. anthracis circolanti
in Bangladesh sono strettamente correlati a quelli circolanti in
Cina e in altri paesi del sud-ovest asiatico paesi. Ciò sembra in
contrasto con quelli che sono i rapporti storici e commerciali tra
India e Bangladesh. Matt Van Ert et al (6) hanno indicato che
in India è predominante lineage Br.Austr. 94. Tuttavia va sottolineato che tale lavoro è stato effettuato su un esiguo numero
di ceppi. Un aspetto molto importante ai fini epidemiologici è
la pratica diffusa in Bangladesh di macellare i ruminanti infetti
in fase preagonica e di lavorane le pelli. I dati pubblicati sul
“Trade Nosis indicano che l’Italia ha importato pelli e cuoio dal
Bangladesh per un valore di circa 32 milioni di dollari nel 2009,
di 42 milioni nel 2010 e di circa 58 milioni di dollari nel 2011 (2).
Il Nepal ha esportato verso l’Italia un quantitativo in pelli (diverse da quelle per pellicceria) e cuoio per un valore di circa 2,5
milioni di dollari nel 2009, di circa 3,4 milioni di dollari nel 2010
e di circa 2,8 milioni di dollari nel 2011 (3).
Le pelli, se provenienti da un animale infetto, potrebbero rappresentare un pericolo per l’uomo, basti pensare che nel 2008
in Inghilterra si è verificato il decesso di un musicista per inalazione di spore liberate dalla pelle del suo tamburo che aveva
acquistato in Africa e realizzata con materiale proveniente da
un animale infetto di carbonchio (1).
BIBLIOGRAFIA:
1. Anaraki S, et al Investigations and control measures following
a case of inhalation anthrax in East London in a drum maker
and drummer. Euro Surveill. 2008 Dec 18;13(51). pii: 19076.
2. http://trade.nosis.com/it/Comex/Importazione-Esportazione/
Bangladesh/Raw-hides-skins-leather/BD/41
3. http://trade.nosis.com/it/Comex/Importazione-Esportazione/
Nepal/Raw-hides-skins-leather/NP/41
4. Fasanella A, et al. Detection of antrhax vaccine virulence
factors by Polymerase Chain Reaction. Vaccine 2001; 19: 4214
– 4218.
5. Fasanella A, et al. Bangladesh anthrax outbreaks are probably caused by contaminated livestock feed. Epidemiol Infect.
2012 Jul 20:1-8.
6. Van Ert MN, et al. Global genetic population structure of
Bacillus anthracis. PLoS ONE 2007; 2 : e461
282
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
VALUTAZIONE DEL RISCHIO ANISAKIASI NELLE PREPARAZIONI GASTRONOMICHE
CONTENENTI PRODOTTI DELLA PESCA DESTINATI AD ESSERE CONSUMATI CRUDI:
RISULTATI PRELIMINARI DI UN PIANO DI MONITORAGGIO DIPARTIMENTALE
IN CAMPANIA MEDIANTE METODO DIGESTIVO
Fraulo P.*[1], Morena C.[1], Costa A.[2], Guarino A.[3], Improta A.[4], De Carlo E.[1]
Keywords: Anisakiasi, metodo digestivo,
I.Z.S. Mezzogiorno ~ Salerno,
[2]
I.Z.S. Sicilia ~ Palermo,
[3]
I.Z.S. Mezzogiorno ~ Portici, [4]ASL ~ Salerno
[1]
SUMMARY: The authors have made, validated and accredited
analytical method to be used for the official control of foodstuffs
ready to eat at risk for Anisakiasis. The method uses a artificial
digestion with magnetic stirrer heated. It proved to be suitable for the detection of live and dead larvae anisakidae in food
preparations containing fish or cephalopods raw or almost raw.
The method showed high levels of sensitivity and specificity
and has been used as part of a monitoring plan proposed by
the department ASL Salerno. Is confirmed the suitability of the
method for use in official food control.
INTRODUZIONE: Ogni anno in regione Campania sono numerose le segnalazioni sul riscontro di larve di anisakidi in preparazioni gastronomiche contenenti prodotti della pesca crudi e
non sono rari i casi di anisakiasi nell’uomo. La normativa nazionale e comunitaria, già da tempo, ha introdotto, per i prodotti
della pesca da consumarsi crudi, l’obbligo della “bonifica preventiva” mediante congelamento, avente lo scopo di uccidere i
parassiti eventualmente sfuggiti all’esame visivo. Il riscontro di
larve di parassiti vive, in prodotti ittici destinati ad essere consumati crudi o quasi crudi, pertanto, rivela la mancata o non efficace applicazione di tale obbligo, potendo configurare l’ipotesi
di reato ai sensi della legislazione vigente. La messa a punto
ed il relativo accreditamento di una metodica analitica in grado
di rilevare la presenza (con elevata sensibilità e specificità, anche di una sola larva di parassita nei prodotti a rischio (prodotti
ittici salati, marinati, affumicati o semplicemente preparati) e
di distinguere la presenza di larve vive di parassiti dalle larve
morte senza interferire sulla vitalità delle prime, ha consentito
di programmare un piano di monitoraggio dipartimentale, in collaborazione con la ASL Salerno, finalizzata alla valutazione del
rischio anisakiasi in tali prodotti nonché alla sensibilizzazione
dell’OSA su tale problematica.
MATERIALI E METODI: E’ stata messa a punto, validata ed
accreditata una metodica analitica basata sulla tecnica della digestione artificiale in soluzione cloro-peptica, mantenuta
sotto agitazione a 44-46°C per circa 30 minuti. La digestione
artificiale è stata effettuata mediante l’ausilio di un agitatore
magnetico riscaldato con termoregolatore a sonda. Il metodo
è stato sperimentato sul muscolo di teleostei e di molluschi
cefalopodi nonché su preparazioni alimentari contenenti prodotti della pesca, da consumarsi crudi o praticamente crudi
con risultati soddisfacenti. Dopo la digestione, le larve presenti nella soluzione digerita, sono state evidenziate con l’osservazione visiva del sedimento raccolto in piastre di Petri, con
l’ausilio di uno stereomicroscopio. Successivamente è stata
effettuata la identificazione morfologica delle larve con osservazione microscopica microscopicamente, previa chiarificazione con Lattofenolo di Amman o con glicerina. La metodica
è stata applicata ad un piano di monitoraggio dipartimentale
che prevede la esecuzione di almeno n°6 campioni al mese,
da effettuarsi in occasione di altrettante verifiche ispettive ufficiali, presso le strutture interessate (attività di preparazione,
imprese di produzione e di distribuzione). Durante le verifiche
ispettive sono oggetto di valutazione i requisiti strutturali e gestionali previsti dalla normativa vigente, mediante l’ausilio di
una check-list e, se è disponibile il materiale, viene effettuato il campionamento mediante il prelievo di 4 o 5 aliquote,
composte da una unità campionaria ciascuna, di almeno 50
grammi di prodotto. Quest’ultima viene esaminata totalmente
in una o più sedute analitiche. Per far salvo il diritto alla difesa
viene applicato l’art.223 del D.L.vo 28/07/1989 n.271.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Per la messa a punto del metodo sono state condotte circa 250 prove di cui circa 120 per
la validazione. I campioni positivi sono stati contaminati artificialmente con una larva viva di Anisakis spp. ed una morta fissata in etanolo al 70%, quest’ultima fornita dal Centro di Referenza Nazionale per le Anisakiasi (C.Re.N.A). Tutte le larve
introdotte artificialmente nelle diverse matrici sono state rilevate dal metodo, che ha riportato elevati livelli di performance
(Sensibilità: 100%, Specificità 100%, Ripetibilità: 100%). La
digestione artificiale non ha influito in alcun modo sulla vitalità
delle larve immesse artificialmente nei campioni e tutte le larve vive introdotte, sono state recuperate ancora vive e vitali.
Le larve morte, non fissate in etanolo e che avevano iniziato i
processi di degradazione, sono state recuperate parzialmente
digerite, a causa della degradazione della cuticola del parassita, che le conferisce la resistenza alla digestione cloropeptica.
Ciò non inficia in alcun modo l’applicabilità della metodica in
ambito di controllo ufficiale degli alimenti, in quanto l’obiettivo
prioritario è l’isolamento di larve ancora vive e vitali. Durante
la fase di messa a punto del metodo, inoltre, conducendo le
prove su campioni di pesce intero ed analizzando anche i visceri, sono state isolate anche larve di altri anisakidi, tra cui
il genere Contracaecum sp. più piccolo e delicato, rivelando
la idoneità della metodica alla ricerca anche di altri anisakidi.
E’ stato necessario aumentare i tempi di digestione a circa
45-60 minuti per i molluschi cefalopodi, in quanto il mantello
è più difficile da digerire rispetto al muscolo dei teleostei. Il
metodo ha superato la verifica di accreditamento dell’organismo ufficiale nel Gennaio 2012. Tale metodica è risultata,
pertanto, indicata per l’impiego in ambito di controllo ufficiale
e, l’elevata sensibilità e la capacità di non interferire sulla vitalità delle larve, la rende particolarmente idonea per rivelare
il mancato rispetto dell’obbligo di bonifica delle materie prime.
Per ridurre ulteriormente la probabilità di interferire sulla vitalità delle larve più piccole e delicate, sono in corso studi per la
valutazione della riduzione della temperatura di digestione. Il
283
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
piano di monitoraggio dipartimentale, anche se ancora in una
fase iniziale, sta mostrando risultati interessanti, con particolare riferimento alla ricaduta sugli operatori del settore, in termini di sensibilizzazione e formazione degli stessi sul rischio
anisakiasi. Non sono, invece, ancora disponibili dati sufficienti
per una analisi statistica.
BIBLIOGRAFIA: 1. (G.J.Jackson, J.W.Bier, W.L.Playne, F.D.
McClure, 1981) Recovery of Parasitic Nematodes from Fish
by Digestion or Eluition. Applied and Environmental Microbiology. 41, n.4, p.912-914;
2. (Brent R.Dixon, 2006) Isolation and Identification of Anisakid Roundworm Larvae in Fish. OPFLP-2 Health Products
and Food Branch Ottawa. Available at: http://www.ht-sc.gc.ca/
fn-an/res-rech/analy-meth/microbio-index_e.html;
3. (W.Huang, 1988) Anisakides et Anisakidoses humaines.
Ann. Parasito. Hum. Comp. 63, n°3 pag.197-201.
4. (W.Huang, 1988) Anisakides et Anisakidoses humaines.
Ann. Parasito. Hum. Comp. 63, n°2 pag.119-124.
5. (Smith J.W.et Wotten R. 1984) Parasitose des poissons
par les larves du nematode Pseudoterranova. Fiches d’identification des maladies et parasites des poissons, crustaces et
mollusques. Fiche n.7.
6. (Smith J.W.et Wotten R. 1984) Parasitose des poissons par
les larves du nematode Anisakis. Fiches d’identification des
maladies et parasites des poissons, crustaces et mollusques.
Fiche n.8
7. (Smith J.W.et Wotten R. 1984) Parasitose des poissons par
les larves du nematode Phocascaris/Contracecum. Fiches d’identification des maladies et parasites des poissons, crustaces et mollusques. Fiche n.9
8. (Berland B. 1991) Hysterothylacium aduncum (nematoda)
in fish. ICES Identification leaflets for diseases and parasites
of fish and shellfish. Leaflet n.44.
284
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
VALIDAZIONE DI DUE METODI DI PROVA IMMUNOENZIMATICI (ELISA)
PER LA RICERCA DI ALLERGENI NEGLI ALIMENTI
Gagliardi R.*[1], Biondi L.[1], Esposito M.[1], Guarino A.[1], Nava D.[1]
Keywords: ELISA , ovoproteine, ß-lattoglobuline
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (NA)
[1]
SUMMARY: Allergens are substances that are normally harmless to most people, but can potentially cause adverse reactions
in some people. These reactions range from mild symptoms to
severe symptoms. Directive 2003/89/EC, implemented at national
level by decree n. 114 of 02.08.2006 states, therefore, obliged to
declare all ingredients on the label of food products. In this paper
we report the results of the validation of two test methods ELISA
immunoassays for the detection of β-lactoglobulin and Egg Protein
INTRODUZIONE: Gli allergeni sono sostanze, generalmente di
natura proteica, innocue per la maggior parte della popolazione,
in grado però di indurre reazioni avverse in alcuni soggetti. Al
fine di tutelare la loro salute, la Direttiva 2003/89/CE (1) obbliga
i produttori a dichiarare in etichetta tutti gli ingredienti dei prodotti
alimentari. Per verificare l’ottemperanza a quanto previsto da tale
Normativa, con l’obiettivo finale di tutelare la salute dei cittadini, la
Regione Campania ha inserito nel Piano Regionale Integrato dei
controlli ufficiali in materia di Alimenti, Mangimi, Sanità e Benessere Animale, Sanità delle Piante (P.R.I.) 2011 – 2014 (4), uno
specifico programma di monitoraggio per la ricerca negli alimenti
di alcuni allergeni non dichiarati in etichetta, quali le ovoproteine
e le β-lattoglobuline. Per la ricerca di tali sostanze, i metodi immunoenzimatici ELISA sono considerati metodi di riferimento (gold
standard), in quanto in grado di rivelarne la presenza anche in
tracce. In questo lavoro si riportano i risultati della validazione di
due metodi di prova immunoenzimatici ELISA, per la ricerca delle
ovoproteine e delle β –lattoglobuline.
MATERIALI E METODI: Per la validazione dei metodi di prova
sono state scelte diverse matrici alimentari tra quelle previste dal
piano di monitoraggio: carne tritata bovina, salsiccia di suino, wurstel misto (suino, pollo, tacchino), omogeneizzato di pollo, carne
in scatola, yogurt di soia, succo di arancia e prodotto di pasticceria (Tab. 1).I kit diagnostici immunoenzimatici utilizzati, entrambi prodotti dalla ditta R-Biopharm AG, sono di tipo “sandwich”
diretto. La preparazione dei campioni e l’allestimento del saggio
sono stati effettuati secondo le istruzioni della ditta produttrice:
l’estrazione è stata attuata mediante tamponi di estrazione forniti
dal kit, sulle matrici precedentemente omogeneizzate mediante
stomacher (Lab System-Stomacher®80, Biomaster). Per la valutazione dei risultati è stato utilizzato il software RIDA®SOFT Win,
fornito dal produttore del kit. I calcoli sono stati eseguiti impiegando la funzione di spline cubica. La lettura è stata effettuata a
450nm, mediante spettrofotometro Microplate Reader mod. 680,
BIO-RAD. Per entrambi i metodi il campo di misura è dato dalla
concentrazioni degli standards forniti dal kit, ovvero 0 ppm - 0,5
ppm - 1,5 ppm - 4,5 ppm e 13,5 ppm, dai quali si ottiene una curva standard di taratura. La lettura del
Per la validazione del metodo di prova sono stati valutati i seguenti indici di prestazione: specificità, sensibilità, LOQ e robustezza.
Per la verifica della specificità, per entrambi i metodi sono stati analizzati 20 campioni, costituiti da diverse matrici alimentari
(Tab.1). Per l’analisi dei campioni sono stata seguite le procedure
interne, elaborate secondo le istruzioni della ditta produttrice dei
kit. Le prove sono state eseguite in doppio su tutti i campioni,
estratti in un’unica seduta. Le concentrazioni finali sono state lette
direttamente sulla curva standard.
La sensibilità dei metodi è stata valutata analizzando i 20 campioni utilizzati per le prove di specificità, fortificati a 2 ppm con
Materiale di Riferimento Certificato Fapas®, specifico per ogni
allergene.
Il calcolo del limite di quantificazione (LOQ) in ppm per entrambi i metodi è stato determinato in tampone, utilizzando specifico
materiale di riferimento certificato Fapas® Test Material Specification Sheet. Tale materiale è stato, per entrambi i metodi, opportunamente sottoposto a diluizioni scalari. Il LOQ è stato fissato in
0,5 ppm, in quanto il programma per l’analisi dei dati fornito dalla
ditta produttrice del kit consente di rilevare ma non quantificare
valori intermedi tra lo standard 0 e 0,5 (Tab. 2- 3).Dalla diluizione corrispondente al LOQ sono state successivamente effettuate
19 repliche. Infine è stata determinata la robustezza dei metodi, intesa come l’affidabilità della procedura analitica rispetto alle
variazioni nei parametri del metodo, mediante valutazione della
performance dei kit al variare di + 5% del volume dei campioni e
dell’enzima coniugato.
285
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
RISULTATI E CONCLUSIONI: Relativamente alla verifica della specificità, testata su 20 diverse matrici alimentari per ogni
kit, dall’analisi dei risultati si evince perfetta concordanza tra
risultati attesi ed ottenuti: pertanto la specificità di entrambi i
kit è pari al 100%.Relativamente alla sensibilità dei metodi, in
tutti i campioni esaminati per entrambi i metodi si è evidenziata la presenza dell’allergene ricercato e non si sono verificati
effetti di inibizione da matrice; la verifica dei valori attesi ed
ottenuti ha evidenziato una perfetta concordanza. La sensibilità dei kit è risultata pertanto del 100%.Relativamente al LOQ,
fissato a 0,5 ppm, tutte le 19 repliche, effettuate dalla diluizione
corrispondente al valore del LOQ stesso, hanno dato risultati
sovrapponibili per entrambi i metodi.Relativamente alla robustezza, verificata durante le fasi di messa a punto dei metodi,
non si sono notate differenze significative; pertanto i metodi
possono considerarsi robusti. I risultati della validazione indicano che i metodi sviluppati sono adeguati alle esigenze del
laboratorio, in grado di soddisfare lo scopo per il quale sono
stati applicati. Inoltre, per le loro caratteristiche di robustezza e
rapidità di esecuzione, risultano pratici e vantaggiosi dal punto
di vista economico. L’utilizzo di metodiche validate ed accreditate, oltre che richiesto dalla Normativa vigente, è un ausilio
al laboratorio nel superare le criticità insite nel settore della
ricerca di allergeni alimentari, quali la mancanza di metodi
ufficiali di controllo per i laboratori; l’utilizzo, in ogni sessione
analitica, dei controlli negativo e positivo, in accordo alla ISO
17025 (5), garantisce inoltre la qualità dei risultati in ogni fase,
rappresentando la necessaria garanzia nell’efficacia dei piani
di monitoraggio Regionali, nonché nelle attività di controllo
ufficiale, entrambi con l’obiettivo finale di tutelare la salute del
consumatore.
BIBLIOGRAFIA: 1)Direttiva 2003/89/CE del Parlamento Europeo del Consiglio del 10 novembre 2003 che modifica la direttiva 200/13/CE per quanto riguarda l’indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari.
2)Decreto Legislativo n.114 dell’8 febbraio 2006. Attuazione
delle Direttive 2003/89/CE, 2004/77/CE e 2005/63/CE in materia di indicazione degli ingredienti contenuti nei prodotti alimentari.
3)Direttiva 2006/142/CE: Direttiva della Commissione, del 22
dicembre 2006, che modifica l’allegato III° bis della Direttiva
2000/13/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio concernente l’elenco degli ingredienti che devono essere citati in ogni
caso sull’etichettatura dei prodotti alimentari.
4)Piano Regionale Integrato dei Controlli Ufficiali in materia di
alimenti, mangimi, sanità e benessere animale e sanità delle
piante (P.R.I.) 2011-2014 – DGRD 377/11.
5)UNI CEI EN ISO/IEC 17025:2005. Requisiti generali per la
competenza dei laboratori di prova e di taratura.
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
VALUTAZIONE DEL RISCHIO PER LA PRESENZA DI CONTAMINANTI CHIMICI
NEL LATTE DI BUFALA DELLA CAMPANIA
Gallo P.*[1], La Nucara R.[1], Salini M.[1], Haubr T.[1], De Crescenzo M.[1], Guadagnuolo G.[1], Rossini U.[1],
Urbani V.[1], Maglio P.[1], Bianco R.[1], Guarino A.[1], Serpe L.[1]
Keywords: latte di bufala , metalli pesanti, aflatossina M1
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici
[1]
SUMMARY: In this project we present preliminary data regarding the contamination levels from aflatoxin M1, lead and cadmium in milk from buffalo herds in Campania, measured during
2011-2012. The following data have been produced and evaluated in the frame at a research project, funded by the Italian
Health Ministry, in cooperation with others Istituti Zooprofilattici Sperimentali; the aim is to compare and evaluate possible
health risk from consumption of raw milk from different species
and Italian regions.
INTRODUZIONE: La valutazione del rischio è uno dei pilastri
della moderna politica per la sicurezza alimentare dell’Unione
Europea. Negli ultimi anni, l’attenzione è focalizzata sull’analisi
dei processi di filiera, per individuare, caratterizzare, eliminare
o ridurre i possibili rischi chimici e microbiologici, e migliorare
la sicurezza del prodotto finale. Inoltre, è aumentata l’attenzione alle conseguenze della contaminazione ambientale, quale
causa imprevista per l’introduzione di rischi per il consumatore, soprattutto alla luce di recenti emergenze sanitarie.
In Campania il latte di bufala è considerato un alimento di
particolare rilevanza economica e sociale, per l’entità dell’allevamento bufalino e per tutte le attività produttive e terziarie
che ne derivano. Pertanto, questo settore produttivo è stato
incentivato, soprattutto dopo la recente emergenza diossine,
attraverso la valorizzazione del latte di bufala dal punto di vista
igienico-sanitario, implementando un piano di monitoraggio
per la contaminazione chimica e microbiologica (Legge 3/2005
della Giunta della Regione Campania) (1).
In questo progetto di ricerca sono stati valutati i risultati delle
analisi eseguite nel 2011-2012 per la determinazione di aflatossina M1 (AFM1), piombo (Pb) e cadmio (Cd) nei campioni
di latte bufalino prelevati in Campania, in applicazione della
Legge 3/2005. Il lavoro si inserisce in un progetto di ricerca
finanziato dal Ministero della Salute, in collaborazione con altri
Istituti Zooprofilattici Sperimentali, per la valutazione igienicosanitaria, secondo lo schema risk-benefit, del latte crudo proveniente da diverse specie animali in diverse regioni italiane.
Considerata la rilevanza dell’allevamento bufalino della Campania a livello nazionale ed internazionale, i risultati rappresentano il più ampio monitoraggio eseguito per la presenza di
AFM1, Pb e Cd nel latte di bufala.
MATERIALI E METODI: I campioni sono stati analizzati usando metodi di prova accreditati.
Analisi di Aflatossina M1 - Per il metodo di screening qualitativo è stato usato il kit ELISA a competizione EuroClone, con
analisi diretta del campione previa centrifugazione per separare il grasso; il limite di quantificazione (LOQ) = 0.004µg/kg .
L’analisi di conferma quantitativa è stata eseguita in cromatografia HPLC su colonna Synergi Polar-RP 80 Å 250 ‘ 4.6 mm
(Phenomenex) con rivelazione fluorimetrica, previa separazione del grasso, e purificazione su colonna di immunoaffinità
AFM1 (Vicam). Il limite di quantificazione (LOQ) = 0.002 µg/kg.
Analisi di Pb e Cd - Il metodo di prova si applica al latte di
massa e termicamente trattato di mammiferi e si basa sulla
determinazione del contenuto di cadmio e piombo mediante spettrofotometria di assorbimento atomico con fornetto di
grafite THGA con correzione per effetto Zeemann, usando
uno strumento Perkin Elmer Aanalyst 800, dopo mineralizzazione del campione eseguita per via umida mediante forno a
microonde Ethos (Milestone, FKV).
I risultati sono stati calcolati mediante standardizzazione
esterna. I metodi di prova hanno limiti di quantificazione
(LOQ) di 0.007 mg/kg (Pb) e 0.002 mg/kg (Cd).
RISULTATI E CONCLUSIONI: Il numero di campioni analizzati e di quelli risultati contaminati è riportato nelle Tabelle 1,
2 e 3. Sono stati analizzati 213 campioni di latte per AFM1, di
cui solo 3 positivi (1.4%), con livelli di contaminazione nell’intervallo 0.005 – 0.007 µg/kg, ben al di sotto del limite massimo a 0.025 µg/kg stabilito dalla legge comunitaria. Il risultato
conferma quanto già emerso in precedenti studi circa la scarsa rilevanza della presenza di questa micotossina nel latte di
bufala, a garanzia anche della salubrità dei prodotti lattierocaseari derivati, con particolare riferimento alla mozzarella di
bufala campana.
Dall’esame della Tabella 2, si osserva che 56 campioni di
latte su 151 analizzati (37.1%) contengono piombo, con concentrazioni tra 0.005 – 0.019 µg/kg, inferiori al limite massimo
a 0.020 µg/kg stabilito dalla legge comunitaria.
I livelli di distribuzione del piombo nei campioni di latte analizzati sono rappresentati nell’istogramma in Figura 1.
I dati in Tabella 3 indicano che nessuno dei 143 campioni di
latte analizzati contiene cadmio; si noti che per questo metallo non sono stati fissati limiti massimi tollerabili dalla legislazione comunitaria e nazionale.
Complessivamente, i dati dimostrano che il latte di bufala
prodotto in Campania è conforme alla legislazione comunitaria per micotossine e metalli pesanti.
Il contaminante chimico più frequentemente riscontrato è il
piombo, presumibilmente perché questo metallo è ancora
diffuso nell’ambiente agricolo e zootecnico o come conseguenza di attività industriali e manifatturiere. I dati 2012 sono
relativi solo al primo semestre, durante il quale sono pervenuti al laboratorio un numero di campioni superiore a quelli
analizzati nel 2011, pertanto i risultati sembrano descrivere
più ampiamente i livelli di contaminazione presenti negli allevamenti.
A tal riguardo, questo studio pone le basi per la valutazione
dei livelli di piombo anche nella mozzarella di bufala e mista,
sebbene non siano previsti limiti legali dalle leggi vigenti.
Per quanto riguarda l’aflatossina M1, che deriva dal metabolismo di mangimi contaminati da aflatossine B e G, i bassi
livelli di contaminazione potrebbero essere correlati al tipo di
alimentazione della bufala campana.
287
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BIBLIOGRAFIA: (1) Legge della Giunta Regionale della Campania N.3 del 1 Febbraio 2005, BURC n.9 del 7 Febbraio 2005
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
DETERMINAZIONE DI MICROCISTINE IN INTEGRATORI A BASE DI ALGHE
MEDIANTE LC/ESI-MS/MS IN TRAPPOLA IONICA
Gallo P.*[1], Fabbrocino S.[1], Serpe L.[1], Guarino A.[1]
Keywords: spettrometria di massa, microcistine, integratori alimentari
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (NA)
[1]
SUMMARY: Cyanotoxins are emerging pollutants produced
by cyanobacteria in drinking waters. Microcystins (MCCs)
are the most relevant group of cyanotoxins, because of
their large presence and significant poisoning effects, both
in humans and animals.
Herein, we present a method based on ion trap LC/ESI-MS/
MS, for determination of microcystins in food supplements
contaminated by cyanobacteria. A survey on some brands
of food supplements from the Italian market was performed;
MC-LR and other MCCs were detected in some samples
containing Aphanizomenon, Spirulina and Chlorella as ingredients.
INTRODUZIONE: Per molti contaminanti ambientali non
esistono limiti massimi tollerabili, a causa della mancanza
di adeguate informazioni riguardo la loro diffusione e tossicità. Fra queste sostanze vi sono le cianotossine, ovvero
prodotti del metabolismo secondario dei cianobatteri, che
crescono in acque dolci e salmastre in quasi tutte le parti del mondo (1,2). Le microcistine (MCCs) costituiscono il
gruppo di cianotossine più comune e più studiato; questo
interesse è dovuto alla loro elevata epatossicità e nefrotossicità; inoltre, è stato dimostrato che sono promotori tumorali (3).
I generi di cianobatteri più comuni che producono MCCs
sono Anabaena, Microcystis e Planktothrix, identificate in
acque di superficie usate sia come fonti di acque potabili,
sia negli impianti di aquacoltural farming per la produzione
di integratori alimentari a base di alghe. Nonostante i potenziali rischi derivanti dall’esposizione alle cianotossine in
prodotti contaminati, questi integratori alimentari non sono
soggetti a controlli ai fini della sicurezza alimentare.
Per l’analisi delle MCCs sono noti metodi di prova ELISA,
dosaggi enzimatici con la fosfatasi e cromatografia liquida
con rivelazione in spettrometria di massa (4,5,6).
In questo lavoro è presentato un metodo multi-residuo per
l’analisi delle MCCs mediante cromatografia liquida accoppiata alla spettrometria di massa tandem in trappola ionica (IT-LC/ESI-MS/MS). Il metodo è stato sviluppato, sono
state valutate le sue prestazioni analitiche e quindi usato per l’analisi di alcuni campioni di integratori alimentari
a base di alghe, acquistati in negozi di erboristeria, dove
sono venduti come prodotti da banco. Non vi sono lavori
precedentemente riportati per l’analisi di MCCs in integratori alimentari a base di alghe che si avvalgono di LC/ESIMS/MS in trappola ionica, una tecnica analitica affidabile in
termini di specificità, identificazione, recupero, ripetibilità e
riproducibilità.
MATERIALI E METODI: Reattivi, materiali di riferimento
e solventi
La Microcistina-LR (MC-LR), Microcistina-YR (MC-YR),
Microcistina-RR (MC-RR) Microcistina-des-Metil-RR (desMe-MC-RR) Microcistina-des-Metil-LR (desMe-MC-LR)
sono state fornite dalla DHI Water and Environment (Danimarca); la Microcistina-LF (MC-LF) e la Microcistina-LW
(MC-LW) sono prodotte dalla ditta ALEXIS (ALEXIS Corporation, Lausen, Switzerland) e sono state fornite dalla Vinci
Biochem (Vinci, Italia). Tutti i materiali di riferimento sono
puri per analisi.
Le colonne ISOLUTE C18 (EC) SPE con 1 g di adsorbente
sono di produzione della ditta Biotage (Uppsala, Sweden). I
filtri da centrifuga Microsep 100K OMEGA con cut-off di 100
KDa sono di produzione della ditta PALL Life Science (Pall
Corporation, Port Washington, NY, USA).
Soluzioni Materiali di riferimento delle MCCs
Per lo sviluppo dei metodi analitici sono state impiegate soluzioni di materiali di riferimento delle 5 microcistine
MC-RR, MC-YR, MC-LR, MC-LW, MC-LF, e 2 analoghi desmetilati, ovvero desMe-MC-RR, e desMe-MC-LR.
Campioni di integratori alimentari
I prodotti utilizzati in questo studio contengono sia alghe
propriamente dette, sia cianobatteri; su ogni confezione è
indicato il dosaggio dell’alimento (quantità/die in termini di
compresse oppure opercoli).
Estrazione e clean-up dei campioni di integratori alimentari
Il campione polverizzato in mortaio è stato pesato ed
estratto con 0.1 % TFA 1/3 v/v metanolo/acqua MilliQ , sonicato e centrifugato. Il filtrato è stato raccolto e portato a
volume di 20 mL con acqua MilliQ, e purificato su colonna
SPE C18 (EC); l’eluato portato a secco sotto flusso d’azoto
a 40°C, e sciolto in 0.5 mL di metanolo, poi analizzato in ITLC/ESI-MS/MS. In questo modo sono stati analizzati campioni bianchi, campioni fortificati ed i campioni di integratori
alimentari riportati in Tabella 1.
Apparecchiature
Sistema per cromatografia liquida spettrometria di massa (LC-MS/MS) equipaggiato con pompe quaternarie Surveyor LC Plus Pumps, autocampionatore modello Surveyor
Autosampler Plus, e spettrometro di massa Ion Trap modello LCQ Advantage con sorgente ionica electrospray (ESI)
(Thermo Fisher). Colonna cromatografica Synergi-MAX-RP.
Analisi LC/ESI-MS/MS in trappola ionica
L’analisi in cromatografia liquida e spettrometria di massa
tandem è stata eseguita caricando 50 µL di campione, in
condizioni isocratiche ( Tabella 1), e modalità SRM (Selected Reaction Monitoring).
289
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Tabella 1. Condizioni strumentali in cromatografia liquida.
Le condizioni strumentali per l’analisi ESI-MS/MS in trappola ionica sono riportate in Tabella 2.
Tabella 2. Condizioni strumentali ESI-MS/MS in trappola ionica in modalità SRM.
290
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
RISULTATI E CONCLUSIONI: Sono stati analizzati 9 prodotti commerciali elencati in Tabella 3.
Tabella 3. Risultati delle analisi di MCCs nei 9 campioni di integratori alimentari in IT-LC/ESI-MS/MS. I risultati sono riportati in ng/g.
Per l’analisi quantitativa e qualitativa delle 7 microcistine in
integratori alimentari, le prestazioni del metodo sono state valutate considerando diversi parametri:
- la specificità, analizzando 20 campioni bianchi e verificando
l’assenza di segnali interferenti;
- l’esattezza, mediante prove di recupero eseguite al livello di
fortificazione di 100 ng/g; i dati sono stati elaborati per calcolare
esattezza, ripetibilità intra-die (su una sessione da 6 prove),
riproducibilità inter-die (su due sessioni da 6 prove ciascuna
eseguite in giorni differenti e da diversi analisti) (Tabella 4).
Tabella 4. I parametri statistici calcolati al livello di fortificazione di 100 ng/g.
La Figura 1A mostra i cromatogrammi SRM di uno standard in matrice delle 7 molecole analizzate, mentre nella Figura 1B sono
mostrati i cromatogrammi SRM dei recuperi a 100 ng/g da integratore alimentare; per ogni molecola sono anche riportati i rispettivi
spettri MS/MS.
291
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Confrontando il segnale dei materiali di riferimento preparati in solvente e quelli in matrice, è stato osservato un
enhancement del segnale per MC-RR, MC-LR, MC-YR,
desMe-MC-RR e desMe-MC-LR che consente di migliorare il rapporto segnale/rumore (S/N) e quindi la sensibilità
dell’analisi.
I risultati indicano che tutte le sostanze sono identificate
univocamente con il criterio dei punti di identificazione, con
almeno 3 ioni diagnostici (1 precursore e 2 ioni prodotto),
mostrando un’alta selettività del metodo, sia nei campioni
fortificati artificialmente che sui campioni risultati positivi.
BIBLIOGRAFIA: (1) “The cyanotoxins”. In: Callow, J.A.
(Ed.). Advances in Botanical Research, Vol. 27. Academic
Press, London, p. 211-256, 1997. Carmichael W.W.
(2) “The toxins of cyanobacteria”. Scientific American 270
:78-86., 1994. Carmichael W.W.
(3) “Assessing potential health risks from microcystin toxins
in blue-green algae dietary supplements”. Environmental
Health Perspect. 2000 May;108(5):435-9.
Gilroy DJ, Kauffman KW, Hall RA, Huang X, Chu FS.
(4) “Characterisation of biotoxins produced by a cyanobacteria bloom in Lake Averno using two LC-MS-based
techniques”. Ferranti P, Fabbrocino S, Cerulo MG, Bruno
M, Serpe L, Gallo P. Food Addit Contam. 2008 Jul 22:1-8.
(5) “Determination of cylindrospermopsin in freshwaters
and fish tissue by liquid chromatography coupled to electrospray ion trap mass spectrometry”. Gallo P, Fabbrocino S,
Cerulo MG, Ferranti P, Bruno M, Serpe L. Rapid Communication in Mass Spectrometry. 2009 Oct 30;23(20):3279-84.
(6) “Liquid chromatography coupled to quadruple time-offlight tandem mass spectrometry for microcystin analysis in
freshwaters: method performances and characterisation of
a novel variant of microcystin-RR”. Ferranti P, Fabbrocino
S, Nasi A, Caira S, Bruno M, Serpe L, Gallo P. Rapid Commun Mass Spectrom. 2009 May;23(9):1328-36.
292
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
METODO MULTI-RESIDUO PER LA DETERMINAZIONE DEGLI ANTI-INFIAMMATORI
NON STEROIDEI IN MUSCOLO MEDIANTE LC/ESI-QTRAP-MS/MS
Gallo P.*[1], Salini M.[1], Guadagnuolo G.[1], Danese V.[1], Guarino A.[1], Serpe L.[1]
Keywords: spettrometria di massa, NSAID, muscolo
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Portici (NA)
[1]
SUMMARY: A novel multi-residue method based on liquid
chromatography coupled to tandem mass spectrometry was
developed to determine 16 non steroidal anti-inflammatory
drug residues and 2 metabolites (NSAIDs) in muscle tissue
from different animal species. The method was developed to
introduce this new monitoring activity in the Italian National
Program for veterinary drug residue control; a hybrid triple
quadrupole mass spectrometer was employed for determination and identification. The method was validated according to the Decision 2002/657/EC, then accredited and used
for monitoring samples from all Italian regions.
INTRODUZIONE: Gli anti-infiammatori non steroidei
(NSAIDs) sono usati come farmaci veterinari per il trattamento di diverse specie animali, per la loro capacità di ridurre gli effetti degli stati infiammatori ed alcune patologie
muscolo-scheletriche. Sono farmaci di categoria B, autorizzati in maniera specifica per alcune specie animali da reddito
e per la produzione di alimenti. Dal punto di vista della struttura chimica, gli NSAIDs sono farmaci appartenenti a diverse
classi di composti basici ed acidi. La loro somministrazione
alle specie animali può avere effetti collaterali, soprattutto a
livello epatico, e causare la presenza di residui nel latte e nei
tessuti (muscolo, fegato, rene). La potenziale presenza di
residui di NSAIDs negli alimenti è un rischio per la sicurezza
alimentare, perché alcuni di questi farmaci causano anemia
aplastica, patologie gastrointestinali e sono sospetti teratogeni e carcinogenici.
La legislazione della Commissione Europea ha regolamentato l’uso degli NSAIDs e raccomandato agli Stati Membri
di introdurre la loro ricerca nei piani di monitoraggio nazionali per il controllo dei residui di farmaci veterinari; il latte,
il tessuto muscolare, il fegato, il rene e il plasma sono stati
scelti come matrici da analizzare. Il nostro laboratorio è specializzato da anni per l’analisi multi-residuo degli NSAIDs,
pertanto siamo stati incaricati dal Ministero della Salute di
sviluppare un metodo di conferma anche nel tessuto muscolare, introdotto come nuova matrice per l’attività di controllo
nel Piano Nazionale Residui (PNR) 2012.
Il metodo è stato sviluppato per l’identificazione univoca ed
analisi quantitativa di diclofenac (DCF), flunixina (FLU) e il
suo metabolita 5-idrossi-flunixina (5OH-FLU), meloxicam
(MLX), piroxicam (PIR), acido tolfenamico (TLF), acido mefenamico (MFN), acido meclofenamico (MCF), acido niflumico (NFL), naproxene (NPX), ketoprofene (KTP), ibuprofene
(IBP), vedaprofene (VDP), carprofene (CPF), suxibutazone
(SBZ), fenilbutazone (PBZ) e il suo metabolita ossifenbutazone (OBZ), flurbiprofene (FLB). La determinazione è stata eseguita mediante LC/ESI-QTRAP-MS/MS, usando uno
spettrometro di massa ibrido in modalità MRM (multiple reaction monitoring) in polarità negativa e positiva, dopo separazione cromatografica su colonna a fase inversa. Il Regolamento UE 37/2010 (1) stabilisce limiti massimi di residuo
(LMR) nel muscolo per DCF (5 µg/kg in suini e bovini), FLU
(10 µg/kg, 20 µg/kg e 50 µg/kg in bovini, suini ed equidi rispettivamente), MLX (20 µg/kg), TLF (50 µg/kg in suini e
bovini), VDP (50 µg/kg in equidi), CPF (500 µg/kg in equidi
e bovini). Il metodo è stato validato per la conferma quantitativa secondo i requisiti previsti dalla Decisione 2002/657/
CE (2) , ed accreditato UNI EN ISO/IEC 17025:2005, poi
utilizzato per l’analisi dei campioni provenienti dall’intero territorio nazionale.
MATERIALI E METODI: I campioni di muscolo sono omogenati, estratti con 1 ml di acqua, 4 ml di etile acetato e 4 ml
di acetonitrile; dopo sonicazione e centrifugazione, 5 ml di
surnatante sono portati a secco, ridisciolti in fase mobile ed
analizzati mediante LC/ESI-QTRAP-MS/MS, costituito da:
− Sistema cromatografico HPLC Agilent 1200, (pompe ed
autocampionatore) gestito dal software Analyst (Applied
Biosystems/MDS-Sciex)
− Sistema spettrometro di massa QTRAP 4000, dotato di
sorgente TurboIonSpray e software di gestione ed elaborazione dei dati Analyst (Applied Biosystems/MDS-Sciex)
− Colonna cromatografica MAX-RP, con particelle da 4 micron (Phenomenex).
La cromatografia è eseguita in gradiente, con le fasi mobili
acqua-0.1% acido acetico (A)/e acetonitrile contenente 0.1%
acido acetico (B), ad un flusso di 1.0 ml/min, iniettando 2
microlitri
L’analisi ESI-MS/MS è eseguita nelle seguenti condizioni
sperimentali:
− modalità MRM ioni positivi (+MRM) e ioni positivi (-MRM)
− ionizzazione negativa per CPF, FBP, FLU, IBP, MCF, MFN,
MLX, NPX, OBZ, PBZ, DCF, 5OH-FLU e PIR
− ionizzazione positiva per NFL, SBZ, TLF e KTP
Sono stati ottimizzati i seguenti parametri strumentali per le
due transizioni MRM eseguite per ogni analita:
- Q1 – Q3 : transizione MRM
- DP : Declustering potential (V)
- EP : Entrance potential (V)
- CE : Collision energy (eV)
- CXP : Collision cell exit potential (V)
- Q : ione diagnostico per analisi quantitativa
- q : ione diagnostico per analisi qualitativa
Il calcolo della concentrazione di ciascun NSAID è effettuato
per interpolazione della retta di regressione lineare ottenuta
riportando in grafico l’area dei picchi cromatografici delle soluzioni di lavoro in matrice iniettate in HPLC in funzione delle
loro concentrazioni.
La presenza di un residuo di farmaco è confermata univocamente dai picchi cromatografici dei due ioni diagnostici
(ione quantificatore, Q, e ion qualificatore, q) delle rispettive
transizioni MRM, al tempo di ritenzione del corrispondente
materiale di riferimento; i due ioni equivalgono a 3 IP, previsti
per i farmaci di categoria B.
RISULTATI E CONCLUSIONI:
293
Il metodo sviluppato con-
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
sente la separazione dei 18 NSAIDs analizzati, senza interferenze nei rispettivi cromatogrammi MRM. L’efficienza di
separazione è ottimale per tutti i composti, con picchi cromatografici simmetrici.
I risultati dello studio di validazione per quanto riguarda l’esattezza e la precisione del metodo sono riportati in Tabella
1, riferiti a tutte le sessioni analitiche e diversi livelli di fortificazione dei campioni.
Tabella 1. Gli intervalli dei valori di esattezza (recupero %) e riproducibilità intra-laboratorio (RSD %) per le prove eseguite
in muscolo a diversi livelli di fortificazione e sessioni analitiche.
L’esattezza e precisione del metodo sono soddisfacenti e conformi sia ai requisiti della Decisione 2002/657/CE che alle prestazioni minime richieste per l’applicazione al controllo ufficiale del
tessuto muscolare. Per ogni farmaco sono stati calcolati il limite
di decisione (CCα,0) e la capacità di rivelazione (CCβ,0) al livello
più basso rivelabile, nonché i corrispettivi valori per le sostanze
per le quali è stabilito un LMR (CCα,LMR, e CCβ,LMR ); in particolare, il metodo consente di determinare alcuni NSAID a concentrazioni inferiori a 1 ng/g (FLB, NPX, MCF, MFN, 5OH-FLU),
mostrando elevata sensibilità.
Tabella 2. Limiti di decisione e capacità di rivelazione del metodo.
294
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
Il metodo sviluppato è stato accreditato e quindi utilizzato per
eseguire le analisi dei campioni di muscolo di bovini, ovi-caprini, equidi, suini, volatili da cortile.
Attualmente, il nostro laboratorio è l’unico in grado di garantire,
nel network degli IIZZSS, la determinazione degli NSAIDs nel
muscolo di animali, sia in applicazione del PNR che per il controllo di merci di importazione ed indagini giudiziarie. L’impiego
di un rivelatore triplo quadrupolo ibrido, con una elevata velocità di acquisizione dati è fondamentale per l’analisi quantitativa
e qualitativa di 18 sostanze contemporaneamente, e consente
di eseguire un ampio monitoraggio dei farmaci usati.
BIBLIOGRAFIA: (1) REGOLAMENTO (UE) N. 37/2010 DELLA COMMISSIONE del 22 dicembre 2009 concernente le sostanze farmacologicamente attive e la loro classificazione per
quanto riguarda i limiti massimi di residui negli alimenti di origine animale, Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea L 15, 1-72
(2) DECISIONE DELLA COMMISSIONE 2002/657/CE del
12 agosto 2002, che attua la direttiva 96/23/CE del Consiglio
relativa al rendimento dei metodi analitici e all’interpretazione dei risultati, Gazzetta ufficiale delle Comunità Europee, L
221, 8-36
295
XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
VALUTAZIONE DEI RISULTATI DELL’INTRADERMOTUBERCOLINIZZAZIONE (IDT)
E DI DUE KIT ELISA GAMMA INTERFERON DISPONIBILI IN COMMERCIO,
IN UN FOCOLAIO CONCLAMATO DI TUBERCOLOSI BUFALINA.
Gamberale F.*[1], Barlozzari G.[1], Scaramella P.[1], Volpi C.[1], Maggiori F.[1], Saralli G.[1]
Keywords: Mycobacterium bovis, Bufalo (Bubalus Bubalus), g-IFN/TBC
IZS Lazio e Toscana ~ Roma
[1]
SUMMARY: The aim of the present study was to evaluate, through an explorative approach, the performances given on the field
by the use of different gamma-IFN test kits based on different
Tuberculine PPD in in an outbreak of tuberculosis in a buffalo
farm in Latium region. The results obtained on the same samples
using three different gamma–IFN tests were evaluated.
INTRODUZIONE: Nella provincia di Frosinone si sono registrati, negli ultimi 5 anni, focolai di tubercolosi (TBC) a carattere recrudescente e persistente in alcune aziende bufaline. Le aziende in oggetto sottostanno al disciplinare per la denominazione
di origine controllata della mozzarella di bufala Campana (1) e
rivestono pertanto una notevole importanza ai fini dell’economia territoriale.
La diagnosi in vita della TBC viene effettuata con la tecnica
ufficialmente riconosciuta della intradermotubercolinizzazione
(IDT) singola o comparativa. La IDT presenta tuttavia sensibilità e specificità variabili (2), pertanto, le normative di riferimento
prevedono l’utilizzo del test gamma-interferon (g-IFN) come
prova ancillare per accelerare le operazioni di risanamento in
focolai già confermati/conclamati (3, 4).
Data la scarsa bibliografia riguardante l’applicazione del test
g-IFN per TBC nel bufalo, è stata condotta una indagine esplorativa in un focolaio confermato di TBC, su un numero limitato
di capi, comparando i risultati ottenuti utilizzando due kit commerciali ELISA per la rilevazione del g-IFN prodotti da due ditte:
Prionics ed ID-Vet.
I campioni in esame sono stati sensibilizzati con tubercoline
nazionali ed estere.
MATERIALI E METODI: I 212 capi bufalini di un allevamento
situato nel comune di Amaseno (FR), sede di un focolaio persistente di tubercolosi, sono stati sottoposti in parallelo a IDT e a
prelievo di sangue per l’esecuzione del test del g-IFN nell’ambito del Piano di Eradicazione regionale (4).
I campioni di sangue con litio eparina, raccolti in condizioni di
sterilità, sono stati immediatamente trasportati in laboratorio.
Ogni aliquota, distribuita in piastre da colture cellulari, è stata
sottoposta a stimolazione con PBS (NIL) e tubercolina australiana bovina ed aviare (PPD australiane).
Dopo 16 ore circa di incubazione a 37°C è stato raccolto il plasma e saggiato, in doppio, con test ELISA “Mycobacterium bovis Gamma Interferon Test Kit for Cattle Bovigam” PrionicsÒ.
I 7 campioni che avevano dato esito positivo alla IDT (N=5) o
al g-IFN (N=2) (gruppo I) sono stati prelevati nuovamente e
saggiati in parallelo con Kit Prionics mediante stimolazione con
PPD australiane e tubercolina ricombinante fornita dal Centro
di Referenza Nazionale per la tubercolosi da M. bovis IZSLER,
Sede di Brescia (PPD Brescia) e con un altro kit ELISA disponibile in commercio “ID Screen Ruminant g-IFN”, ID-VetÒ, previa
stimolazione con PPD australiane e PPD Brescia e tubercoline
spagnole CZVÒ (PPD spagnole).
Dopo 42 giorni, nell’ambito del controllo ufficiale i 199 capi rima-
sti in azienda sono stati sottoposti a IDT e test g-IFN Prionics.
Solo su un gruppo di 45 capi (gruppo II) è stato possibile eseguire il test g-IFN Prionics con stimolazione di PPD australiane e di
Brescia ed il test g-IFN ID-Vet previa stimolazione con PPD australiane, PPD Brescia e PPD spagnole, a scopo comparativo.
RISULTATI E CONCLUSIONI: I gruppo: (N=7) 5 capi sono
risultati positivi all’IDT e 2 capi, diversi dai precedenti, sono risultati positivi al test ELISA Prionics con PPD australiane.
Il kit PrionicsÒ ha riconfermato i 2 campioni positivi della prima
seduta, mentre in seguito alla stimolazione con PPD di Brescia,
con lo stesso kit ELISA, è risultato positivo solo 1 campione dei
precedenti.
Il kit ID-VetÒ con PPD australiane e spagnole ha confermato i 2 campioni positivi al kit PrionicsÒ, mentre in presenza di
stimolazione con PPD di Brescia ha evidenziato 3 campioni
positivi, di cui 2 concordanti con il kit Prionics. Il terzo campione positivo rilevato proveniva da uno dei 5 bufali che avevano
risposto positivamente alla IDT (Tab. 1)
II gruppo: (N=45) Tutti i capi sono risultati negativi all’ IDT e al
kit Prionics con entrambe le PPD.
Il kit ID-Vet stimolato con PPD spagnole ha dato esito positivo
in 2 capi mentre la stimolazione con PPD Brescia ha dato esito
positivo in 1 solo capo, nel caso di stimolazione con tubercoline
australiane i capi positivi sono stati 6.
I capi positivi rilevati dal kit ID-Vet stimolato con le diverse tubercoline non hanno mostrato concordanza tra di loro eccetto
nel caso di stimolazione con tubercolina australiana e spagnola
dove è stato rilevato un capo positivo ad entrambe, pur con
notevoli differenze di densità ottica (97% e 63%: soglia di positività >60%). (Tab. 2).
I risultati ottenuti, come atteso, evidenziano la discordanza degli esiti dell’IDT e del g-IFN nel I gruppo (Tab. 1). Nel II gruppo
possiamo osservare la concordanza degli esiti del kit Prionics
con le PPD australiane e di Brescia. Comparando i risultati con
quelli del kit ID-Vet notiamo una mancata concordanza degli
esiti positivi (Valore K: non significativo) ed una discreta concordanza degli esiti negativi inter ed intra-kit.
Il kit Id-Vet con PPD australiane e di Brescia ha fornito un maggior numero di esiti positivi (tab.2).
Il risanamento degli allevamenti dalla TBC mediante l’applicazione di un protocollo basato sulla valutazione in parallelo degli
esiti di IDT e g-IFN test, con conseguente eliminazione di capi
positivi ad una delle due prove, rappresenta anche nella specie
bufalina un prezioso strumento per accelerare le operazioni di
risanamento attraverso la rimozione di un maggior numero di
capi possibili infetti.
L’indagine esplorativa condotta, seppur effettuata su un numero limitato di capi ed in assenza di un disegno di studio sistematico, tuttavia evidenzia una discordanza tra i gli esiti dei
diversi g-IFN test saggiati. I risultati ottenuti suggeriscono la
necessità di valutare attentamente le performance dei diversi
kit e reagenti disponibili nell’ambito di protocolli di risanamento
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degli allevamenti che assicurino da un lato la necessaria elevata sensibilità e dall’altro caratteristiche di specificità in grado di
contenere il numero di falsi positivi. Ulteriori e necessari studi
sono in corso, su un maggior numero di focolai, per valutare
su campo le performance diagnostiche dei due kit g-IFN con le
varie tubercoline in commercio.
BIBLIOGRAFIA: 1-Decreto 10 maggio 1993- “Riconoscimento
della denominazione di origine del
formaggio Mozzarella
di Bufala Campana”. G. U. n. 219 del 17 settembre 1993.
2-R. de la Rua-Domenech, A.T. Goodchild, H.M. Vordermeier,
R.G. Hewinson, K.H. Christiansen, R.S. Clifton-Hadley., “Ante
mortem diagnosis of tuberculosis in cattle: a review of tuberculin tests, g-interferon assay and other ancillary diagnostic tec-
niques”. Research in Veterinary Science 81 (2006) 190-210.
3-Regolamento (CE) N.1226/2002, 8 luglio 2002 Gazz. Uff. delle Comunità europee 9 luglio 2002.
4- D.G.R. n 240 1 giugno 2012 “ Piani di eradicazione e sorveglianza nel territorio regionale delle malattie dei bovini, bufalini
ed ovi-caprini oggetto di risanamento. Piano operativo 2012”.
BURL n 23 Parte prima 21 giugno 2012.
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XIV Congresso Nazionale S.I.Di.L.V. - Sorrento (NA), 24-26 Ottobre 2012
L’IMPORTANZA DEL MONITORAGGIO DI LISTERIA
Garofalo F.*[1], Pesce A.[1], Salzano C.[1], Cioffi B.[1], Romano M.[1], Guarino A.[1]
Keywords: Listeria spp, food,
Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno ~ Caserta
[1]
SUMMARY: Aim of this study is to monitor the circulation
of Listeria spp, that could be used as an alarm bell for the
circulation of L. monocytogenes, since growing conditions
and ways of transmission are considered overlapping. The
study was conducted testing a total of 848 samples, mostly
of typical local productions, such as mozzarella and ricotta
cheese, milk and prepared meat. Moreover, a recent study
has shown that the growth of L. monocytogenes can be inhibited by the growth of other Listeria non monocytogenes,
thus leading to false negative results.
INTRODUZIONE: Listeria monocytogenes è un batterio bastoncellare, Gram positivo, non sporigeno e ubiquitario.
Il genere Listeria annovera sei specie: L. monocytogenes,
L. ivanovii, L. innocua, L.seeligeri, L. welshimeri e L. grayi,
delle quali è dimostrato che soltanto L. monocytogenes e
L. ivanovii siano patogene per gli animali e che la sola L.
monocytogenes sia patogena anche per l’uomo, di solito per
via alimentare.
Dal momento che L. monocytogenes è termolabile ma in
grado di proliferare anche a temperature di refrigerazione,
si può ritrovare in tutti gli alimenti consumati crudi o poco
cotti o che, dopo cottura, hanno subito una successiva contaminazione.
Nonostante la bassa incidenza, le listeriosi di origine alimentare sono caratterizzate da un alto tasso di mortalità
nelle persone anziane e negli immunocompromessi, oltre
che essere un serio rischio per il feto di donne in gravidanza
(6).
Se consideriamo inoltre l’evoluzione della crescita di Listeria
spp. in un campione alimentare durante la fase di arricchimento, sono segnalate una complessa serie di interazioni
quali: produzione di vari inibitori (2), competizione dovuta
alla crescita di altri batteri (4), velocità di crescita differenti
per le diverse specie di Listeria (5, 3, 7, 1, 2) e altre interazioni di matrice che possono influenzare negativamente il
suo rilevamento in alcuni alimenti.
Un recente studio ha inoltre dimostrato che in casi in cui il
campione sia contaminato da diverse specie di Listeria, la
crescita di L. monocytogenes può essere inibita per competitività, durante la fase di arricchimento, dando così dei falsi
negativi o rendendo difficile un confronto con i dati clinici
(9).
Lo scopo di questo lavoro è di monitorare la circolazione
di Listeria spp. in quanto la presenza di queste forme non
patogene potrebbe essere utilizzata come campanello di allarme per la circolazione sul territorio anche di L. monocytogenes, considerato che le condizioni di crescita e le vie di
trasmissione sono sovrapponibili.
MATERIALI E METODI: La ricerca di Listeria monocytogenes è stata condotta, come disposto dal Reg. (CE) n°
2073/2005 e SMI per gli alimenti “Ready To Eat”, mediante
la metodica UNI EN ISO 11290-1:2005. In breve, tale me-
todica consiste in un doppio arricchimento in brodo selettivo
Half Fraser (per 24 h a 30 °C) e in Fraser broth (per 48 h
a 37 °C), seguiti dal passaggio in terreno selettivo di isolamento in piastra.
Invece, per gli alimenti da consumarsi previa cottura, è stata
utilizzata la metodica Most Probable Number (MPN) come
disposto dalla legislazione italiana vigente (O.M. 7/12/93).
Entrambe le metodiche evidenziano la crescita di tutte le
Listerie, che vengono poi successivamente identificate mediante il CAMP test e test biochimici. Presso il nostro laboratorio è stata inoltre effettuata una identificazione con il Vitek
2® (Biomerieux).
RISULTATI E CONCLUSIONI: Negli anni 2010, 2011 e nel
primo semestre del 2012 sono stati analizzati un totale di 847
campioni per la ricerca di Listeria monocytogenes prevalentemente su mozzarella, latte, ricotta e carni lavorate. Di tutti i
campioni analizzati abbiamo riscontrato 790 negativi, 23 positivi per L. monocytogenes regolarmente denunciati e 34 campioni positivi per Listeria spp (22 L. innocua e 12 L. welshimeri).
Nelle matrici mozzarella, ricotta e latte è stata riscontrata una
bassissima positività, relativa esclusivamente al riscontro di
Listeria innocua in campioni di latte congelato e formaggio fresco ovino (grafico 1). Invece nelle preparazioni di carne quali
insaccati freschi, salsicce e hamburger di bovino, di suino, di
pollo e di tacchino le positività risultano essere più numerose
(grafico 2).
Osservando i dati Europei del RASSF (Rapid Alert System for
Food and Feed) relativi agli anni 2010 e 2011, emerge che L.
monocytogenes viene rilevata principalmente in prodotti quali
salmone affumicato, formaggi erborinati e formaggi a base di
latte crudo, matrici notoriamente imputate di possibile contaminazione.
Nel nostro studio, invece, il dato di positività è nettamente prevalente nella matrice carni lavorate, dato ancor più interessante
considerando che la maggior parte dei campioni da noi analizzati è costituita da formaggi a latte crudo, vista la tipicità delle
produzioni locali (grafico 3).
Dai nostri risultati, inoltre, si evince che la percentuale dei campioni risultati positivi per Listeria monocytogenes è del 3 %,
valore quasi sovrapponibile al 4 % di positività osservata per le
altre listerie (grafico 4), suggerendo una distribuzione ambientale similare.
Quindi, considerando che le listerie non patogene potrebbero
nascondere e/o inibire la crescita della L. monocytogenes dando falsi negativi, la nostra frequenza di isolamento potrebbe
essere sottostimata.
In bibliografia sono stati inoltre segnalati casi di listeriosi animale sostenuti anche da L. innocua (8); è dunque possibile che
nei prossimi anni altre listerie quali L. ivanovii, L. seeligeri e L.
innocua divengano dei patogeni emergenti.
Pertanto sarebbe opportuno nei casi di positività per Listeria
non monocytogenes effettuare ulteriori indagini nella filiera produttiva.
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grafico 1
grafico 2
grafico 3
grafico 4
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BIBLIOGRAFIA: (1) Beumer, R.R., Giffel, M.C., Anthonie,
S.V.R., Cox, L.J., 1996. The effect of acriflavine and nalidixic
acid on the growth of Listeria spp. in enrichment media. Food
Microbiology 13, 137–148
(2) Cornu, M., Kalmokoff, M., Flandrois, J.P., 2002. Modelling
the competitive growth of Listeria monocytogenes and Listeria
innocua in enrichment broths. International Journal of Food Microbiology 73, 261–274
(3) Curiale, M.S., Lewus, C., 1994. Detection of Listeria monocytogenes in samples containing Listeria innocua. Journal of
Food Protection 57, 1048–1051
(4) Dallas, H.L., Tran, T.T., Poindexter, C.E., Hitchins, A.D.,
1991. Competition of food bacteria with Listeria monocytogenes during enrichment culture. Journal of Food Safety 11,
293–301
(5) Duh, Y.S., Schaffner, D.W., 1993. Modeling the effect of
temperature on the growth rate and lag time of Listeria innocua and Listeria monocytogenes. Journal of Food Protection
56, 205–210
(6) Farber, J.M., Peterkin, P.I., 1991. Listeria monocytogenes,
a food-borne pathogen. Microbiological Reviews 55, 476–511
(7) MacDonald, F., Sutherland, A.D., 1994. Important differences between the generation times of Listeria monocytogenes
and Listeria innocua in two Listeria enrichment broths. Journal
of Dairy Research 61, 433–436
(8) McLauchlin, J., Mitchell, R.T., Smerdon, W.J., Jewell, K.,
2004. Listeria monocytogenes and listeriosis. A review of hazard characterization for use in microbiological risk assessment
of foods. Int. J. Food Microbiol. 92, 15–33
(9) Nathalie Gnanou Besse a, Lena Barre a, Colin Buhariwalla b, Marie Léone Vignaud a, Elissa Khamissi a, Emilie Decourseulles a, Marjorie Nirsimloo a, Minyar Chelly a, Martin Kalmokoff bù The overgrowth of Listeria monocytogenes by other
Listeria spp. in food samples undergoing enrichment cultivation
has a nutritional basis International Journal of Food Microbiology 136 (2010) 345–351
300
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CARATTERIZZAZIONE MOLECOLARE DI CEPPI BRUCELLA ABORTUS
E BRUCELLA MELITENSIS ISOLATI IN ITALIA MEDIANTE MLVA-16 LOCI E
MULTICOLOR CAPILLARY ELECTROPHORESIS
Garofolo G.*[1], Ancora M.[1], D’Emidio F.[1], Zilli K.[1], Cammà C.[1], Di Giannatale E.[1]
Keywords: MLVA, Brucella, Italia
Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G.Caporale” ~ Teramo
[1]
SUMMARY: Summary:
The Multi Locus Variable-Number Tandem Repeat Analysis
(MLVA) has been used to characterize the Brucella abortus and
Brucella melitensis clones isolated in Italy in 2011. MLVA apply a
joint strategy of amplification of Multiplex PCR and capillary electrophoresis technique able to separate individual DNA fragments.
The development of a new, quick and inexpensive typing system
showed an high discrimination capacity and it is a valuable tool in
molecular epidemiology studies.
INTRODUZIONE: Introduzione:
L’agente eziologico della brucellosi è un batterio intracellulare
Gram negativo, immobile, aerobio ed asporigeno appartenente al
genere Brucella. Sebbene la malattia sia stata eradicata in molti
paesi occidentali, la brucellosi rimane ancora endemica nel bacino
del Mediterraneo ed in altre aree del mondo rappresentando una
costante minaccia di reintroduzione della malattia anche in regioni
riconosciute ufficialmente indenni da brucellosi causando notevoli perdite economiche a causa di aborto e infertilità del bestiame
(1). La malattia può essere trasmessa all’uomo per contatto diretto
con animali infetti o indirettamente mediante il consumo di prodotti
lattiero-caseari contaminati.
La conoscenza delle specie e biovarianti presenti in un Paese
rappresenta un importante strumento epidemiologico in grado di
individuare l’eventuale presenza di specie di nuova introduzione
fornendo strumenti utili allo studio e necessari alla formulazione
di strategie per l’eradicazione della brucellosi nelle popolazioni
animali (2).
La scarsa variabilità genetica (omologia DNA > 90%) è stata a
lungo un problema nello sviluppo di strumenti molecolari. Negli
ultimi anni il metodo Multi locus variable number tandem repeat
(VNTR) analysis (MLVA-16) (3) si è imposto come utile strumento
di discriminazione di ceppi Brucella grazie all’utilizzo di marcatori
capaci di individuare mutazioni presenti nell’intero genoma e in
grado di fornire informazioni utili ad approcci epidemiologici locali.
Lo sviluppo di un sistema di analisi MLVA ad alta processività ci
ha permesso di caratterizzare 222 ceppi Brucella isolati nel 2011
sull’intero territorio nazionale e di analizzarne la clusterizzazione
su base molecolare. Queste informazioni permetteranno di seguire l’andamento epidemico della malattia sul territorio e di valutare
l’origine dei singoli focolai, come anche le vie ed i tempi d’introduzione di ceppi esotici.
MATERIALI E METODI: Materiali e Metodi:
Per valutare la modifica allo schema MLVA-16 è stato analizzato
in triplicato il DNA di 5 ceppi di riferimento di Brucella (NCTC) e 19
ceppi di campo isolati in Italia. La progettazione di PCR multiplex
ha reso necessario ridisegnare i primers per i markers bruce04,
bruce16, bruce21 e 06 al fine di evitare qualsiasi sovrapposizione
di frammenti VNTR amplificati. I nuovi frammenti tandem repeat
(TR) sono stati controllati mediante il programma online Tandem
Repeat Finder 4,04 (http://tandem.bu.edu/trf/trf.submit.options.
Primers html) per valutare la congruenza con i vecchi frammenti TR di genoma di Brucella melitensis 16M. I primers sono stati
disegnati nelle nuove flanking regions di DNA satellite mediante il
software Primer3plus (http://www.bioinformatics.nl/cgi-bin/primer3plus/primer3plus.cgi/primer3manager.cgi).
Tutti i primers del pannello a 16 marcatori per la PCR-MLVA sono
stati utilizzati in quattro reazioni PCR multiplex in un volume finale
di 10μl. Per ridurre gli artefatti, sono state eseguite due multiplex
con lo stesso profilo termico ma per 24 cicli di amplificazione. I
prodotti amplificati sono stati diluiti 1:225 e con 0.25μl di LIZ 1200
e sottoposti a 3 corse in elettroforesi capillare mediante Abi Prism
3500 Genetic Analyzerand POP-7 (Applied Biosystems Inc.). Le
dimensioni dei frammenti VNTR sono state calcolate mediante
GeneMapper 4.1 (Applied Biosystems Inc.). I profili allelici sono
stati confermati mediante sequenza diretta di ogni allele.
Un totale di 88 ceppi Brucella melitensis e 135 ceppi Brucella
abortus isolati in diversi focolai di brucellosi bovina e ovicaprina
registrati in Italia nel 2011 sono stati tipizzati con la tecnica della
MLVA-16 loci messa a punto come descritto sopra.
RISULTATI E CONCLUSIONI: Risultati:
L’analisi MLVA, relativa ai ceppi di campo analizzati, per i primi
8 loci del pannello detti anche minisatelliti e caratterizzati da frequenza di mutazione più bassa, è stata effettuata interrogando
i dati sul database internazionale (http://mlva.u-psud.fr/brucella/)
che ha permesso di suddividere i 222 ceppi analizzati in 12 cluster
genetici maggiori di cui 5 propri di Brucella abortus e 7 di Brucella melitensis Tab.1. Di questi, solo 5 cluster genetici sono stati
correttamente identificati nel database mentre i rimanenti 7 sono
risultati nuovi.
L’analisi MLVA 16-loci, integrando i dati ottenuti dai precedenti 8
loci con quelli dei rimanenti 8 loci denominati microsatelliti e dotati
di un mag