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S. Clinca
LA PROGRESSIVA EROSIONE DI UN VINCOLO IRRAGIONEVOLE:
ILLEGITTIMO IL DIVIETO DI PREVALENZA
DELL’ATTENUANTE DELLA COLLABORAZIONE PER I REATI DI
NARCOTRAFFICO SULLA RECIDIVA REITERATA
(OSSERVAZIONI A MARGINE DI C. COST., 24.2.2016 N. 74)
di Silvia Clinca
(Perfezionanda in diritto penale; Scuola Sant’Anna di Pisa)
SOMMARIO: 1. La Corte costituzionale si pronuncia (ancora) in
materia di recidiva e automatismi sanzionatori. – 2. La disciplina del
bilanciamento tra circostanze dopo la legge “ex Cirielli”. – 3. La
dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’art. 69 co. 4
Cp – 3.1. Le peculiarità dell’attenuante della collaborazione per i reati
di narcotraffico. – 3.2. Le censure avanzate dal giudice a quo. – 3.3 I
parametri di costituzionalità invocati dalla Consulta. – 4. Osservazioni
conclusive
1. La sentenza 24.2.2016 n. 74 della Corte Costituzionale1 s’innesta – per contiguità di
obiettivi politico-criminali e di cadenze argomentative – nel filone delle pronunce della
Consulta che negli ultimi anni hanno progressivamente mitigato i tratti più dissennati
del rigore punitivo che la c.d. legge “ex Cirielli” ha impresso alla disciplina della recidiva2.
Com’è noto, le ragioni della «paternità rinnegata» 3 di tale provvedimento sono da
1
Pubblicata in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 11.4.2016, con nota di G. Leo, Un nuovo colpo agli
automatismi fondati sulla recidiva: illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante della collaborazione
per i reati di narcotraffico.
2
Sul punto v. G. Flora, Le nuove frontiere della politica criminale: le inquietanti modifiche in tema di
circostanze e prescrizione, in DPP 2005, 1325 ss.; T. Padovani, Una novella piena di contraddizioni che
introduce disparità inaccettabili, in GD 2006 [dossier n. 1], 32 ss.; Id., sub art. 4 l. 5.12.2015 n. 251, in LP
2006, 453; Id., Introduzione, in AA.VV., Libertà dal carcere, libertà nel carcere. Affermazione e tradimento
della legalità nella restrizione della libertà personale, Torino 2013, XXIV; A. Melchionda, La nuova
disciplina della recidiva, in DPP 2006, 176 ss.; Id., sub art. 3 l. 5.12.2015 n. 251, in LP 2006, 453; C.F. Grosso,
Cinque anni di leggi penali: molte riforme (talune contestabili), nessun disegno organico, in DPP 2006, 536;
E. Dolcini, La recidiva riformata. Ancora più selettivo il carcere in Italia, in RIDPP 2007, 521 ss.; L. Pistorelli,
Ridotta la discrezionalità del giudice, in GD 2006 [dossier n. 1], 61 ss.; V. Muscatiello, La recidiva, Torino
2008, 73.
3
Così: F. Giunta, Dal disegno di legge Cirielli alla legge ex Cirielli: l’evoluzione del testo e il suo contenuto,
Le innovazioni al sistema penale, a cura di F. Giunta, Milano 2006, 1.
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ricercarsi nella percezione che si ebbe, a partire dallo stesso firmatario iniziale, di una
perniciosa svolta in senso indulgenziale (e nient’affatto imparziale) nei confronti di
specifici reati, in conseguenza dell’interpolazione del nucleo primigenio del disegno di
legge con la modifica della disciplina prescrizionale. Tuttavia, è proprio nell’embrione
del d.d.l. 2055/2001, concernente la recidiva, che si colgono i più vistosi segni di
irrazionalità della l. 5.12.2005 n. 2514.
Ab origine sollecitata dal condivisibile intento di comprimere l’eccessiva
discrezionalità giudiziale – le cui ricadute sistematiche potenzialmente criminogene5 e il
vulnus arrecato ai principi di legalità e uguaglianza sono ben noti6 – la riforma attuata
dalla legge “ex Cirielli” si è tradotta essenzialmente in un indiscriminato e disarmonico
irrigidimento delle norme in materia di recidiva, tramite l’introduzione di numerosi
automatismi sanzionatori 7 e un consistente ampliamento degli effetti indiretti
dell’aggravante, che hanno stretto «con occhiuta determinazione il cappio sanzionatorio
intorno al collo del recidivo» 8 . Ne è derivato un doppio binario sanzionatorio, che
consente di incanalare con irriducibilità i recidivi verso un percorso scandito da modalità
abnormemente eterogenee rispetto a quelle destinate ai delinquenti cc.dd. “primari”. Il
legislatore ha, in sostanza, dato origine ad una “palingenesi settoriale del sistema
punitivo” 9 , completamente sganciata da un giudizio inerente al disvalore del singolo
fatto, orbitante intorno allo status di recidivo, che proietta i propri effetti su una pluralità
di aspetti del trattamento punitivo: inasprendo le sanzioni e il computo della
continuazione10; limitando la possibilità di concedere attenuanti; sbarrando o riducendo
4
Sulla scarsa considerazione delle modifiche in tema di recidiva, a dispetto della “indignazione” suscitata
dal (forse) meno allarmante abbrevio dei termini di prescrizione v. M. Pavarini, The spaghetti
incapacitation. La nuova disciplina della recidiva, in La legislazione penale compulsiva, a cura di G.
Insolera, Padova 2006, 15 ss., il quale riconduce gli interventi apportati dalla l. 251/2005 al modello
normativo di matrice statunitense del c.d. “tre colpi e sei fuori”. Sul tema cfr. anche S. Corbetta, Il nuovo
volto della recidiva: “tre colpi e sei fuori”?, in Nuove norme su prescrizione del reato e recidiva, a cura di A.
Scalfati, Padova 2006, 53 ss.
5
In merito al legame tra eccessiva discrezionalità giudiziale, indulgenzialismo verso i fenomeni criminosi
ed ineffettività del sistema punitivo, v. relazione della Commissione ministeriale per la riforma del codice
penale presieduta da C.F. Grosso, in RIDPP 1999, 625 ss.
6
Sulle modifiche apportate dalla l. 7.6.1974 n. 220 e sulla dilatazione della discrezionalità giudiziale che
ne è conseguita, v. tra i primi commenti: A.R. Latagliata, Problemi attuali della discrezionalità nel diritto
penale, in Tommaso Natale 1975, 339 ss.; A. Stile, Discrezionalità e politica penale giudiziaria, in StudUrb
1976-77, 275 ss.; F. Bricola, sub art. 27, co. 2 e 3 Cost., in Commento Branca alla Cost., Bologna 1981, 270
ss.; più recentemente sulla discrezionalità giudiziale: G. Piffer, I nuovi vincoli alla discrezionalità
giudiziale: la disciplina della recidiva, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 30.12.2010.
7
Sul tema cfr. G. Leo, Automatismi sanzionatori e principi costituzionali, in
www.dirittopenalecontemporaneo.it, 7.1.2014.
8
T. Padovani, Una novella piena di contraddizioni, cit., 32, che osserva come un simile regime
differenziato «si iscrive nella logica del furore, non in quella della ragione».
9
L’espressione è di L. Bisori, La nuova recidiva e le sue ricadute applicative, in Le innovazioni al sistema
penale, cit., 44.
10
Su cui cfr. A. Gaboardi, Irragionevolezze e fraintendimenti nei rapporti tra recidiva reiterata e cumulo
giuridico delle pene. Osservazioni a margine di C. Cost., 21.10.2015 n. 241, in www.lalegislazionepenale.eu,
22.3.2016.
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la possibilità di accedere ai benefici penitenziari o alle misure alterative alla detenzione;
allungando la prescrizione e così via11.
La potenziale frizione tra un simile assetto normativo e i principi costituzionali trova
conferma nell’elevato numero di ordinanze di rimessione alla Consulta che si sono
succedute a partire dal 200512: dopo una prima fase, ispirata alla cautela, in cui la Corte
si è limitata a “salvare” le disposizioni sottoposte al proprio vaglio, suggerendo
un’interpretazione costituzionalmente conforme, il Giudice delle Leggi ha avviato una
carsica erosione dei contrafforti su cui è stato edificato l’impianto della l. 251/2005,
contraddicendone lo spirito rigoristico e “smussando” la disciplina della recidiva nei
punti di più evidente attrito con la Carta fondamentale. Se in un primo tempo, con una
vistosa forzatura esegetica 13 , la Consulta ha operato esclusivamente a livello
interpretativo, optando per la ricostruzione in termini di discrezionalità degli
aggravamenti di pena contemplati dai primi quattro commi dell’art. 99 Cp14, la stessa ha
assunto una ben più netta posizione nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art.
62-bis Cp15 (come modificato dalla legge “ex Cirielli”) nella parte in cui non consentiva la
concessione delle attenuanti generiche al recidivo reiterato (autore di delitti di cui all’art.
407 co. 2 lett. a Cpp, puniti con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque
anni) sulla base della condotta susseguente al reato. Aperta questa prima “breccia” nel
muro di presunzioni assolute eretto dinanzi al recidivo, i giudici costituzionali hanno più
volte dichiarato l’illegittimità di alcuni dei meccanismi di irrigidimento sanzionatorio
introdotti dal legislatore del 2005, pervenendo da ultimo ad estromettere
11
Sugli effetti diretti e indiretti della recidiva v. L. Gatta, sub art. 99 CP, in Commento Dolcini-Marinucci
al Cp, Milano 2011, 1462 ss.; R. Bartoli, La recidiva davanti allo specchio della Costituzione, in DPP 2012, 19
ss.; Id., Lettura funzionale e costituzionale della recidiva e problemi di razionalità del sistema, in RIDPP
2013, 1699 ss.
12
Per un quadro di sintesi delle prime questioni di costituzionalità avanzate in merito alla l. 251/2005 si
rinvia a G. Insolera, Una nuova grammatica costituzionale di fronte alla palingenesi della ideologia
punitiva, in La legislazione penale compulsiva, cit., 35 ss.
13
Sul punto, v. le notazioni critiche di T. Padovani, sub art. 4 l. 5.12.2015 n. 251, cit., 448 ss.; Id., Una
novella piena di contraddizioni, cit., 34. Sostengono il carattere obbligatorio della recidiva pluriaggravata
e di quella reiterata anche: D. Battista, Recidiva: dalla nuova legge un pericolosissimo ritorno al passato,
in D&G 2005 (46), 105; V. Muscatiello, op. cit., 116 ss.; contra ritengono discrezionali le forme di recidiva
previste dai primi quattro commi dell’art. 99 Cp: A. Melchionda, La nuova disciplina della recidiva, cit.,
176 ss.; Id., sub art. 3 l. 5.12.2015 n. 251, cit., 426 ss.; L. Pistorelli, op. cit., 62; A. Scalfati, Cade il bilanciamento
delle circostanze, in GD 2006 [dossier n. 1], 40; E. Dolcini, Le due anime della legge “ex Cirielli”, in CMer
2006, 56; Id., La recidiva riformata, cit., 532; F. Puleio, Tanto tuonò che piovve. La 1. 5 dicembre 2005, n.
251, in CP 2005, 3700.
14
C. cost. 6.6.2007 n. 192, in DPP 2008, 324 ss. con nota di F. Arrigoni, La consulta riconosce al giudice il
potere di escludere la recidiva reiterata; cfr. anche A. Tesauro, La nuova disciplina della recidiva reiterata
al vaglio della corte costituzionale, in FI 2007, 3357 ss.; C. Bernasconi, Recidiva e bilanciamento delle
circostanze al vaglio della Corte Costituzionale, in GCos 2007, 1861 ss.; Id., Recidiva reiterata e
bilanciamento di circostanze: la duplice presa di posizione della Corte costituzionale, in Criminalia 2007,
291 ss.
15
C. cost. 7.6.2011 n. 183, in DPP 2011, 811 ss., con nota di G. Di Chiara, Attenuanti generiche, condotta
susseguente al reato e rigidi automatismi; cfr. anche G.L. Gatta, Attenuanti generiche al recidivo reiterato:
cade (in parte) un irragionevole divieto, in GCos 2011, 2374 ss.; G. Leo, Un primo caso accertato di
irragionevolezza nella disciplina degli effetti “indiretti” della recidiva, in RIDPP 2011, 1785 ss.
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dall’ordinamento quella che era pacificamente considerata dalla giurisprudenza l’unica
ipotesi di recidiva obbligatoria prevista dal codice (art. 99 co. 5 Cp) 16.
Un ruolo chiave nel processo di “costituzionalizzazione” della disciplina della
recidiva rivestono indubbiamente le pronunce della Corte sui vincoli al giudizio di
comparazione tra circostanze posti dal riformato art. 69 co. 4 Cp nell’ipotesi di recidiva
ex art. 99 co. 4 Cp: la sentenza n. 74/2016 rappresenta l’ultima sul punto, preceduta nel
2012 dalla declaratoria di incostituzionalità del divieto di prevalenza dell’allora
diminuente di cui all’art. 73 co. 5 TuStup 17 sulla recidiva reiterata 18 e nel 2014
dall’eliminazione del divieto di prevalenza su quest’ultima delle attenuanti di cui agli
artt. 648 co. 2 e 609 bis co. 3 Cp19.
2. Preliminarmente all’analisi della questione affrontata nella sentenza de qua, si
rende necessario un sintetico inquadramento sistematico del bilanciamento tra
circostanze e delle modifiche da esso subite nel corso del tempo20.
La costante attenzione legislativa nei confronti dell’istituto disciplinato dall’art. 69
Cp, che permette di “flessibilizzare” in modo penetrante il trattamento sanzionatorio,
induce ad individuare in esso uno dei cardini del sistema punitivo: si tratta del
meccanismo prediletto dal legislatore per dilatare o comprimere la discrezionalità
giudiziale in base al significato che le contingenti istanze di politica criminale intendano
conferire alla sanzione penale21. Il giudizio di comparazione tra circostanze rappresenta,
dunque, uno snodo fondamentale nel periclitante equilibrio tra l’esigenza di certezza del
diritto e istanza di plasmabilità della reazione punitiva, atteggiandosi come uno degli
istituti più delicati da “maneggiare”22.
16
C. cost. 8.7.2015 n. 185, in DPP 2015, 1490 ss., con nota di F. Rocchi, Cadono l’obbligatorietà della recidiva
“qualificata” e il relativo automatismo sanzionatorio; cfr. anche F. Urban, Sulla illegittimità costituzionale
dell’applicazione obbligatoria della recidiva anche ai reati di particolare gravità e allarme sociale, in
www.penalecontemporaneo.it, 4.2.2016, 1 ss.
17
Oggi considerata, in seguito alle modifiche apportate dall’art. 2 d.l. 23.12.2013 n. 146, autonoma figura
di reato (cfr. Cass. 8.1.2014 n. 14288, in GD 2014 [17], 86). Sul punto v. A.M. Piotto, La disciplina del fatto
di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.p.r. n. 309/1990: dalla sentenza della corte costituzionale n. 251
del 2012 alle recenti modifiche legislative, in Stupefacenti e diritto penale: un rapporto di non lieve entità a
cura di G. Morgante, Torino 2015, 140 ss.
18
C. cost. 5.11.2012 n. 251, in CP 2013, 1745 ss. con nota di D. Notaro, La fine ingloriosa, ma inevitabile, di
una manifesta irragionevolezza: la Consulta “lima” il divieto di prevalenza delle attenuanti sulla recidiva
reiterata; cfr. anche A. Tesauro, Corte costituzionale, attenuante del fatto di lieve entità e divieto di
prevalenza sulla recidiva reiterata: un precedente-pilota?, in FI 2013, 2405 ss.; G. Di Chiara, Legge “Ex
Cirielli”, disciplina degli stupefacenti e divieto di prevalenza dell’attenuante della lieve entità sulla recidiva
reiterata: incostituzionale la rigidità del meccanismo, in DPP 2013, 1687 ss.
19
C. cost. 18.4.2014 nn. 105 e 106, in DPP 2014, 1082 ss., con nota di A. Michael, Le attenuanti del “fatto
lieve” in materia di violenza sessuale e ricettazione possono prevalere sulla recidiva reiterata.
20
Per un utile quadro di sintesi si rinvia a S. Puccini, La disciplina del bilanciamento di circostanze tra
prassi applicativa e politica criminale, in La riforma della legittima difesa e della recidiva tra teoria e prassi,
a cura di C. Piemontese, Pisa 2008, 109 ss.
21
Così: F. Rocchi, La discrezionalità della recidiva reiterata “comune”: implicazioni sul bilanciamento delle
circostanze e sugli altri effetti ad essa connessi, in CP 2007, 4102.
22
Sulla tensione tra queste due istanze contrapposte, osserva G. Frigo, Prevale la logica della
frammentazione, in GD 2006 [dossier n. 1], 52: «come ogni rigido automatismo, collegato esclusivamente
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Nella formulazione originaria del codice Rocco il bilanciamento tra circostanze
eterogenee – postulante una valutazione complessiva sulle circostanze del fatto in
termini di prevalenza delle attenuanti o delle aggravanti (art. 69 co. 1 e 2 Cp) o di
equivalenza tra le medesime (art. 69 co. 3 Cp) – estrometteva dal suo campo applicativo
due consistenti categorie di circostanze: quelle comportanti una pena di specie diversa o
determinata in modo indipendente dall’ordinaria (cc.dd. circostanze autonome) e quelle
inerenti alla persona del colpevole23. Tale assetto normativo aveva condotto parte della
dottrina24 a leggere l’istituto de quo come funzionale ad una ricostruzione sintetica del
fatto, determinante una modifica della pena in astratto piuttosto che un adeguamento
della pena in concreto (come generalmente si riteneva sulla base dell’interpretazione
storica della disposizione 25 ). Secondo questa tesi, la finalità “individualizzante” del
bilanciamento era, infatti, smentita dall’esclusione delle due categorie di circostanze
menzionate, idonea ad inverarne la funzione di rideterminazione della pena edittale.
Il fondamento dell’impostazione teorica menzionata ha, tuttavia, iniziato a vacillare
in seguito alle modifiche apportate all’art. 69 Cp dalla l. 220/1974, che ha eliminato
qualsiasi limite oggettivo al giudizio di comparazione, ora comprensivo anche delle
circostanze inerenti alla persona del colpevole e di quelle autonome. Sembra così aver
recuperato piena legittimazione, in sintonia con quanto da sempre sostenuto in
giurisprudenza, l’attribuzione al bilanciamento di un ruolo nell’ambito della
individualizzazione della pena 26 . All’obiezione che, anche dopo la suddetta riforma,
persista – in virtù dello stesso funzionamento del giudizio di comparazione – l’elisione
degli effetti delle circostanze dichiarate soccombenti o equivalenti, ritenuta
incompatibile con la valutazione “globalizzante” del fatto cui mirerebbe l’art. 69 Cp 27, si
è persuasivamente replicato28 come non possa affatto predicarsi una totale eliminazione
delle conseguenze giuridiche delle circostanze soccombenti o equivalenti, comunque
suscettibili di rilevare quali circostanze improprie nell’individuazione della pena base ai
sensi dell’art. 133 Cp 29 , e come – ad ogni modo – il rilievo contestato non sembri
alla qualificazione giuridica del fatto, toglie al giudice ogni potere sulla sua scelta della sanzione (con
rischio di trattamenti uniformi per situazioni concretamente differenti), così a rovescio la discrezionalità
può amplificarlo fino al massimo del limite costituito dalla riserva di legge in materia penale (con ovvi
rischi si sperequazione anche gravi)».
23
Sulle ragioni di tali esclusioni si rinvia a T. Padovani, Circostanze del reato, in DigDPen, II, Torino 1988,
212.
24
A.M. Stile, Il giudizio di prevalenza o di equivalenza fra circostanze, Napoli 1971, 103.
25
Nella Relazione ministeriale sul progetto di codice penale, I, 1929, 123, si legge infatti che l’art. 69 Cp
avrebbe dovuto assicurare «una visione completa ed organica del colpevole e del reato da questo
commesso, in modo che la pena da applicare in concreto sia, per quanto è possibile, il risultato di un
giudizio complessivo e sintetico sulla personalità del reo e sulla gravità del reato, anziché l’arido risultato
di successive operazioni aritmetiche».
26
Cfr. G. Amato, Il recidivo va a caccia di “generiche”, in GD 2006 [dossier n. 1], 60; G. Fiandaca – E. Musco,
Diritto penale. Parte generale7, Bologna 2007, 426. Ex multis in giurisprudenza: Cass. 28.6.2005 n. 30432.
27
Così: A. M. Stile, Il giudizio di prevalenza o di equivalenza fra circostanze, cit., 124 ss.; in senso conforme
anche M. Romano, sub art. 69 Cp, in Commentario sistematico del codice penale, Milano 2004, 709 ss.
28
G. De Vero, Circostanze del reato e commisurazione della pena, Milano 1983, 197 ss.
29
T. Padovani, Circostanze del reato, cit., 215, sul punto osserva: «per evitare l’assurdità dell’elisione che
il giudizio ex art. 69 c.p. determinerebbe, basta tener presente che, per fissare la pena-base, il giudice
“deve escludere dalla propria ricognizione l’elemento oggetto di qualificazione circostanziale, al fine di
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sufficiente a contraddire la funzione di personalizzazione della pena esplicata dal
bilanciamento.
La soluzione prescelta in merito alla natura dello strumento disciplinato dall’art. 69
Cp – lungi dal confinarsi alla mera speculazione teorica – è determinante per
comprendere la questione affrontata dalla Corte nella sentenza n. 74/2016. In dottrina 30
si è, infatti, acutamente rilevato come l’ampiezza del giudizio di costituzionalità sulle
deroghe al bilanciamento sia suscettibile di variare in base all’opzione interpretativa
adottata. Ove si ritenga che lo scopo precipuo del giudizio di comparazione sia la
“personalizzazione” della sanzione, sarebbe ben possibile invocare tra i parametri di
legittimità costituzionale – oltre al principio di uguaglianza e ragionevolezza – il
principio rieducativo della pena ex art. 27 Cost., indubbiamente sacrificato
dall’aprioristica preclusione del bilanciamento ad attenuanti in grado di diminuire –
anche notevolmente – la pena, rendendola eventualmente più proporzionata al caso di
specie31. Nell’ipotesi in cui si ritenga, invece che l’art. 69 Cp svolga eminentemente la
funzione di determinazione della cornice edittale della pena, l’estensione del potere di
censura del Giudice delle Leggi risulterebbe più limitata, dovendosi considerare legittime
norme che comprimano la discrezionalità giudiziale in tale ambito: il vaglio della Corte
sarebbe, quindi, circoscritto al solo principio di uguaglianza, inteso nella duplice
accezione di canone di non discriminazione e parametro di ragionevolezza 32.
3. Sebbene nella pronuncia in esame non si affronti ex professo il tema della
qualificazione del giudizio di comparazione, lasciando semplicemente trapelare in un
obiter dictum l’adesione alla tesi secondo cui esso rappresenterebbe un meccanismo di
modifica della pena in astratto 33, nel dichiarare la parziale illegittimità costituzionale
dell’art. 69 co. 4 Cp, coerentemente con la posizione adottata, si fa riferimento – come si
dirà – al solo principio di ragionevolezza, considerando laconicamente assorbita la pur
avanzata censura relativa all’art. 27 Cost.
evitarne la doppia valutazione”» (citando G. De Vero, op. cit., 199 ss.). Occorre tuttavia specificare come
anche la dottrina che sostiene la tesi del bilanciamento quale strumento di modifica della cornice edittale
riconosca alle circostanze soccombenti rilevanza nell’ambito dell’art. 133 Cp: M. Romano, op. cit., 711;
A.M. Stile, Il giudizio di prevalenza o di equivalenza fra circostanze, cit., 150 ss.
30
F. Rocchi, La discrezionalità della recidiva reiterata “comune”, cit., 4113.
31
Denunciano il rischio che tale automatismo possa comportare l’irrogazione di una pena sproporzionata
al fatto: G. Amato, Il recidivo va a caccia di “generiche”, cit., 59 ss.; A. Scalfati, op. cit., 39 ss.; A. Melchionda,
sub art. 3 l. 5.12.2015 n. 251, cit., 437 ss.
32
F. Rocchi, La discrezionalità della recidiva reiterata “comune”, cit., 4114-4115, argomenta: «non sembra
potersi dubitare, quantomeno in termini generali ed astratti, della legittimità costituzionale della
limitazione dell’ambito di operatività del bilanciamento delle circostanze, perché sarebbe come
sindacare della stessa discrezionalità del legislatore nel determinare la misura dei limiti edittali previsti
per una fattispecie di reato, da sempre ritenuta indiscutibile».
33
Con riferimento alle modifiche apportate dalla l. 220/1974, la Consulta – nel richiamare le osservazioni
di C. cost. 5.11.2012 n. 251, cit. osserva: «L’effetto è stato quello di consentire il riequilibrio di alcuni eccessi
di penalizzazione, ma anche quello di rendere modificabili, attraverso il giudizio di comparazione, le
cornici edittali di alcune ipotesi circostanziali, di aggravamento o di attenuazione, sostanzialmente
diverse dai reati base […]».
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Analogamente alle altre sentenze intervenute sull’art. 69 co. 4 Cp, la legittimità della
norma è stata valutata in relazione al divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata di
un’attenuante ad effetto speciale, in particolare quella prevista dall’art. 73 co. 7 d.P.R.
9.10.1990 n. 309 («Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza»).
3.1. La circostanza interessata dal giudizio della Corte, introdotta in sede di riforma
della disciplina degli stupefacenti del 1990 (TuStup), contempla una consistente
diminuzione della pena (dalla metà a due terzi) per i soggetti attivi dei reati tipizzati
dall’art. 73 d.P.R. 309/1990 che pongano in essere una collaborazione con la Giustizia
«per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando
concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse
rilevanti per la commissione dei delitti».
Lapalissiano è rilevare come la finalità di questa attenuante sia quella di spronare ad
un “ravvedimento” post delictum il colpevole di uno dei reati previsti dai primi sei commi
dell’articolo citato. Pur non essendo la formula utilizzata diafana 34 , sembra corretto
ritenere che la diminuente si riferisca tanto a forme di collaborazione sia sostanziale sia
processuale35, intendendo con le prime quelle che intervengono sulla condotta del reato
o sulle sue conseguenze criminose impedendone l’evento tipico o la permanenza degli
effetti e, con le seconde, quelle che si sostanziano in un contributo prestato nei confronti
dell’autorità giudiziaria idoneo ad agevolare l’attività inquirente 36.
In dottrina si è parlato di un’attenuante “di risultato” 37 , indicando con questa
espressione la necessità – ai fini dell’integrazione della medesima – di un apporto da
parte del reo utile e produttivo di un esito positivo ai fini delle indagini38. A sostegno di
tale tesi si è fatto leva sull’ingente decurtazione della pena da essa garantita; sulle chiare
indicazioni testuali in tal senso (in particolare la pretesa “concretezza” dell’aiuto prestato
e l’aggettivo “rilevanti” riferito alle risorse alla cui sottrazione dal circuito delittuoso
l’imputato abbia contribuito); sul confronto con l’analoga diminuente prevista dall’art.
34
D. Potetti, L’art. 73 comma 7 d.P.R. n. 309 del 1990. Questioni ed incertezze interpretative, in CP 2002,
3877, lamenta come l’ambigua formulazione della disposizione de qua risulti problematica alla luce della
notevole diminuzione di pena da essa consentita, specie in rapporto alla severità delle pene previste
dall’art. 73 co. 1 TuStup.
35
Cfr. G. Amato, I reati in materia di stupefacenti, in Trattato teorico-pratico di diritto penale, diretto da
F. Palazzo e C.E. Paliero, Reati in materia di immigrazione e di stupefacenti, a cura di A. Caputo e G.
Fidelbo, Torino 2012, 395, al quale si rinvia per l’ampia analisi della circostanza e per i riferimenti
bibliografici e giurisprudenziali sul tema. V. altresì: D. Potetti, op. cit., 3877 ss.
36
F. Palazzo, Consumo e traffico degli stupefacenti. Profili penali, Padova 1994, 187.
37
Così G. Amato, Stupefacenti. Teoria e pratica, Roma 2006, 263; Id., I reati in materia di stupefacenti, cit.,
394, 397. In giurisprudenza: Cass. 28.9.1992, Razza ed altri, in CEDCass. m. 192143; Cass. 26.5.1998, Delise,
in CEDCass, m. 211380. Contra: Cass. 4.2.2005, in CP 2005, 2364, che ritiene sufficienti i requisiti della
concretezza e dell’efficacia ai fini investigativi, senza reputare necessario un risultato positivo delle
attività inquirenti scaturite dalle dichiarazioni dell’imputato.
38
La giurisprudenza tuttavia precisa la necessità di tener conto, per valutare l’entità del risultato
ottenuto, del particolare contesto, più o meno ampio, nel quale il collaboratore risulti inserito: Cass.
19.10.1994 n. 375, in CP 1996, 657; Cass. 27.5.1992 n. 789, in CP 1993, 232.
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74 co. 7 TuStup in relazione all’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze
stupefacenti o psicotrope, espressamente applicabile solo a «chi si sia efficacemente
adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive
per la commissione dei delitti»39 e, infine, sul raffronto con le previsioni contenute negli
artt. 289-bis e 630 Cp, che subordinano l’operatività delle misure premiali al
raggiungimento di un risultato utile (applicandosi solo a colui che «si adopera in modo
che il soggetto passivo riacquisti la libertà»). Nel caso in cui fornisca un contributo
collaborativo ma infruttuoso, l’imputato potrà eventualmente beneficiare delle
attenuanti generiche o della sola attenuante comune del c.d. “ravvedimento operoso”
(art. 62 n. 6 Cp), che prevede una diminuzione di pena nettamente inferiore,
coerentemente con la modesta importanza dell’apporto reso40.
Dalla sentenza in esame non è possibile evincere inequivocabilmente
l’interpretazione prescelta dalla Corte remittente in merito alla “consistenza” del
contributo necessario per beneficiare della diminuente, poiché il giudice a quo si è
limitato – nell’illustrare la rilevanza della questione sollevata – a richiamare quanto
dedotto dall’imputato con riferimento alla nota della Direzione Distrettuale Antimafia
di Ancona attestante «la completa, vasta ed incondizionata collaborazione posta in
essere dal S. (anche e soprattutto) dopo la sentenza di primo grado», senza precisare se
tale contegno abbia o meno condotto ad esiti utili sul piano investigativo. Tuttavia, nel
denunciare il potenziale contrasto con l’art. 27 Cost. di una pena che non tenga in debito
conto della «proficua collaborazione prestata», il giudice remittente sembrerebbe non
considerare satisfattivo un mero comportamento “volenteroso” dell’imputato. Ad ogni
modo, la Consulta ritiene adeguatamente descritta la fattispecie e motivata la rilevanza
della questione avanzata dalla Corte di Appello di Ancona, la quale aveva specificato
come «in caso di accoglimento, si dovrebbe irrogare una pena di gran lunga inferiore
rispetto a quella inflitta dal primo giudice, atteso che la ampiezza ed intensità della
collaborazione prestata dall’imputato indurrebbe a ritenere l’attenuante ad effetto
speciale di cui all’art. 73, co. 7°, d.P.R. n. 309/1990 sicuramente prevalente sulla recidiva».
Netta e (condivisibile) è, invece, la posizione dei giudici di secondo grado in merito
alla possibilità di applicare la suddetta circostanza anche nell’ipotesi, verificatasi nel caso
di specie, in cui la cooperazione sia stata prestata dopo il giudizio di primo grado (ragion
39
Equiparano in merito ai requisiti di operatività le circostanze degli artt. 73 co. 7 e 74 co. 7 d.P.R.
309/1990: Cass. 5.12.1996 n. 1138, in CP 1997, 1890; Cass. 30.9.1992, in GI 1993, 656; contra: Cass. 25.5.2006,
in CP 2007, 3451.
40
Così: G. Amato, I reati in materia di stupefacenti, cit., 397, il quale evidenzia (395) la solo parziale
sovrapposizione tra il campo di applicazione dell’attenuante comune e di quella prevista dal TuStup,
poiché quest’ultima prende in considerazione esclusivamente l’ipotesi in cui il ravvedimento post
delictum elida le conseguenze del reato (e non anche quella in cui le attenui); inoltre – a differenza della
circostanza di cui all’art. 62 n. 6 Cp – la circostanza speciale può conferire rilevanza anche ad una
collaborazione di tipo processuale. Nel caso in cui entrambe le circostanze risultino integrate, troverà
applicazione la diminuente dell’art. 73 co. 7 TuStup ai sensi dell’art. 15 Cp (ritengono che sussista un
rapporto di specialità tra le due circostanze: Cass. 27.4.1999 n. 1927, in CP 2000, 3452; Cass. 24.9.1992,
D’Onofrio, in CEDCass, m. 192908).
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per cui in quest’ultimo non era stata neppure considerata) 41 . Stante l’assenza di una
specifica limitazione che subordini l’operatività della diminuente al solo apporto
utilmente intervenuto prima del giudizio (come precisato, per esempio, dall’art. 62 n. 6
Cp), l’esegesi che escluda, ai fini del calcolo della pena in appello, la rilevanza del
comportamento successivo alla condanna del primo grado si risolverebbe in
un’interpretazione in malam partem, come tale palesemente inaccettabile42.
3.2. Passando all’analisi della sentenza n. 74/2016, si rileva in primo luogo come la
Corte di appello di Ancona, con ordinanza del 3 aprile 2015 (r.o. n. 165 del 2015), avesse
sollevato la questione di legittimità de qua facendo riferimento a due parametri
costituzionali: gli artt. 3 e 27 co. 3 Cost., secondo la Corte violati dall’art. 69 co. 4 Cp,
come modificato dalla l. 251/2005, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della
circostanza dell’art. 73 co. 7 d.P.R. 309/1990 sulla recidiva di cui all’art. 99 co. 4 Cp.
In merito al caso specifico, avendo precisato perché la Consulta abbia ritenuto la
censura rilevante ai fini del giudizio a quo, ci si limita ad evidenziare come la genesi della
pronuncia di illegittimità costituzionale debba essere ricercata nella persuasiva
impostazione difensiva dell’imputato 43 , che ha proposto appello non contestando
l’applicazione della recidiva, ma chiedendo il riconoscimento e la prevalenza della
diminuente prevista dal TuStup quale conseguenza della collaborazione processuale. Il
fatto che la statuizione in merito all’art. 99 co. 4 Cp non abbia costituito oggetto di
specifico appello da parte dell’imputato impedisce ai giudici di secondo grado di
“bypassare” il divieto imposto dall’art. 69 co. 4 Cp semplicemente escludendo la
circostanza riconosciuta dai giudici di prime cure: si tratta, peraltro, di un’ opzione
preclusa, perché, come osserva la Corte di appello, «nel caso in esame le condanne già
riportate dall’imputato, in relazione alla natura e al tempo di commissione dei reati
indicano che il reato sub iudice è espressione della medesima “devianza” già denotata in
occasione dei precedenti reati, ed è perciò sicura manifestazione di maggior colpevolezza
e pericolosità dell’imputato».
Nelle parole della Corte riecheggia il richiamo all’argomento più suggestivo 44
utilizzato dal giudice remittente che ha sollecitato la prima dichiarazione di illegittimità
costituzionale dell’art. 69 co. 4 Cp (relativa al divieto di prevalenza sulla recidiva ex art.
41
Contra in giurisprudenza: Cass. 4.5.1998, in CP 1999, 3262. Considerano tuttavia rilevante la
collaborazione prestata dopo la conclusione delle indagini preliminari durante la fase del dibattimento:
Cass. 24.4.2008, in CEDCass, m. 27937 e Cass. 17.5.2007, in GP 2008, 563.
42
Sembra opportuno intendere come momento iniziale della collaborazione l’assunzione della qualità di
persona indagata e come momento finale quello in cui interviene la condanna definitiva, fermo restando
come sia più probabile avvantaggiarsi dell’attenuante di cui all’art. 73 co. 7 TuStup quanto prima sia stato
manifestato il contegno “resipiscente” da parte dell’imputato, stante il maggior tempo a disposizione
degli organi inquirenti per riscontrare le dichiarazioni del medesimo e per raggiungere un risultato utile
(così: G. Amato, I reati in materia di stupefacenti, cit., 403 s.).
43
Condannato in primo grado dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Ancona
(all’esito del giudizio abbreviato) a quattro anni e otto mesi di reclusione e 24.000 euro di multa per
l’illecita detenzione di un chilogrammo di marjuana e 85 grammi di cocaina, ritenendo la recidiva
specifica reiterata e infraquinquennale equivalente alle concesse circostanze generiche.
44
Così: D. Notaro, op. cit., 1763.
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99 co. 4 Cp dell’attenuante dell’art. 73 co. 5 d.P.R. 309/1990 45 ): in particolare, nel
giustificare la novità della questione proposta, questi aveva rilevato il fatto che, per
salvaguardare il potere del giudice di soppesare adeguatamente le circostanze, non sia
sufficiente la discrezionalità nel ritenere sussistenti o meno le condizioni sostanziali ai
fini della recidiva, poiché «il riconoscere o escludere la recidiva reiterata facoltativa è
operazione valutativa radicalmente diversa dal “bilanciare” quella recidiva con
concorrenti circostanze attenuanti», soprattutto in «situazioni in cui, giudicando con
onestà intellettuale, la recidiva non può essere esclusa, e tuttavia viene sentito come
ingiusto negare la prevalenza di determinate attenuanti». L’incontrovertibilità del rilievo
– decisivo nella sentenza menzionata – ha indotto la Consulta anche nel giudizio de quo
a pronunciarsi nel merito, abbandonando ancora una volta la posizione espressa nella
nota sentenza n. 192/2007. Quest’ultima aveva infatti respinto le questioni di
costituzionalità prospettate da molteplici ordinanze di rimessione, denuncianti il
contrasto tra gli artt. 3 co.1, 25 co. 2 e 27 co. 3 Cost. e il nuovo art. 69 co. 4 Co, nella parte
in cui, disciplinando il concorso tra circostanze eterogenee, stabilisce il divieto di
prevalenza delle attenuanti sulla recidiva ex art. 99 co. 4 Cp, e lo aveva fatto proprio
ricorrendo al fragile46 argomento della possibile interpretazione dell’art. 99 co. 4 Cp nel
senso della discrezionalità (che, ormai, costituisce ius receptum nella giurisprudenza di
legittimità e di merito)47.
Dietro al ricorso alla tecnica dell’inammissibilità per omessa interpretazione
adeguatrice, mediante il quale la Corte si era – in sostanza – sottratta alla decisione sulla
questione, può scorgersi la percezione dell’urgenza di un intervento che “attutisse” le
ricadute applicative della l. “ex Cirielli”, necessità che inizialmente ha posto in secondo
piano la fondatezza nel merito della – pur importante – questione sottoposta
all’attenzione dei giudici costituzionali48. Tuttavia, stante il sicuro rilievo delle censure
avanzate, non sorprende come i dubbi in relazione alla legittimità dell’art. 69 co. 4 Cp
siano stati nuovamente riproposti in diverse ordinanze, sia pure “prudentemente”
prospettati con riferimento a singole (e manifeste) ipotesi di incostituzionalità. Nello
specifico – come già rilevato – tutte le pronunce di accoglimento del Giudice delle Leggi
in tema di comparazione tra circostanze hanno riguardato ipotesi di circostanze ad
efficacia speciale: nel caso in cui l’esito vincolato del bilanciamento vada ad operare su
tali circostanze, risulterà, infatti, impossibile recuperare la loro efficacia mitigatrice nel
quadro del giudizio di cui all’art. 133 Cp, poiché la commisurazione della pena dovrà
45
C. cost. 5.11.2012 n. 251, cit.
Per le motivazioni limpidamente esposte dal giudice remittente nella sentenza n. 251/2011: la
discrezionalità giudiziale nel riconoscere la recidiva si pone su un piano diverso da quello della libertà di
valutazione dell’interazione della medesima con le circostanze attenuanti ai fini del bilanciamento.
47
Cfr. Cass. S.U. 27.5.2010 n. 35738, in CEDCass, m. 247838; Cass. S.U. 24.2.2011 n. 20798, in CEDCass, m.
249664; Cass. 12.1.2012 n. 4969, in CEDCass, m. 251809.
48
Sembra dunque possibile convenire con quella dottrina (A. Tesauro, La nuova disciplina della recidiva
reiterata al vaglio della corte costituzionale, cit., 3362) che ha visto nella scelta della Corte costituzionale
«dietro il più rassicurante paravento di un’operazione esegetica asetticamente neutrale» e «nonostante
questa auto-rappresentazione del proprio ruolo più “deferente” che interventista” nei confronti del
legislatore democratico» piuttosto «una manipolazione occulta del dato testuale analoga a quella
compiuta con decisioni apertamente additive».
46
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effettuarsi all’interno di una cornice edittale diversa e più grave rispetto a quella prevista
per la fattispecie attenuata49, rendendo manifesta l’irrazionalità della predeterminazione
legislativa della circostanza prevalente50.
Se, da una parte, la sentenza n. 74/2016, in assonanza con le altre menzionate,
riguarda il divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata di una circostanza ad effetto
speciale, la stessa si distingue dalle precedenti poiché la diminuente di cui all’art. 73 co.
7 TuStup ha una natura soggettiva, mentre quelle previste dagli artt. 73 co. 5 TuStup, 648
co. 2 Cp e 609-bis co. 3 Cp hanno natura oggettiva. Queste ultime attribuiscono rilevanza
alla ridotta offensività del fatto e trovano la propria ratio nella necessità di adeguare la
pena alla minore lesività del reato; la circostanza de qua – essendo concessa in ragione
della “retrocessione nella legalità” manifestata dal reo dopo la commissione del delitto –
concerne, invece, essenzialmente il profilo della capacità a delinquere e ha, dunque,
natura squisitamente soggettiva. Mentre il principio di offensività costituisce un
parametro di costituzionalità cruciale nelle pronunce pregresse, accortamente la Corte
di Ancona contesta esclusivamente la violazione del principio di ragionevolezza e di
quello di proporzionalità della pena.
Nello specifico, secondo il giudice a quo, la questione sarebbe non manifestamente
infondata con riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. «perché la
preclusione assoluta di poter ritenere prevalente l’attenuante della collaborazione ex art.
73, co. 7°, d.P.R. n. 309/1990 ai recidivi reiterati introduce un evidente elemento di
irrazionalità secondo lo scopo della disposizione anzidetta». La Corte osserva, peraltro,
come non solo non possa escludersi, ma sia anzi molto probabile, che il reo che si
determini a cooperare con la Giustizia abbia riportato una pluralità di condanne, essendo
coinvolto nel traffico di sostanze stupefacenti: tuttavia, stante la limitazione di cui all’art.
69 co. 4 Cp, il recidivo reiterato non avrebbe alcun interesse a dissociarsi dall’ambiente
criminoso e a prestare il suo contributo nei confronti dell’autorità giudiziaria. Il rilievo
della Corte d’Appello assume una pregnanza ancor maggiore laddove si acceda alla
prospettata tesi che, ai fini della configurazione della circostanza, richiede un risultato
utile a livello investigativo: l’apporto dell’imputato potrà, infatti, essere tanto più
fruttuoso quanto più questi risulti integrato nella rete criminale dello “spaccio” degli
stupefacenti 51 , di talché il vincolo al bilanciamento impedirebbe alla circostanza di
operare proprio nell’ipotesi in cui la collaborazione potrebbe rivelarsi di maggiore utilità.
49
Cosi: A. Michael, op. cit., 1089.
Per questa ragione non sembra fondata l’eccezione avanzata nel caso de quo dall’Avvocatura generale
dello Stato, intervenuta in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, in merito
all’insufficiente descrizione della fattispecie oggetto di giudizio: secondo la difesa dello Stato il giudice
remittente non avrebbe esplicitato i motivi per i quali nella sentenza di primo grado fossero state
riconosciute le circostanze attenuanti generiche, non consentendo in tal modo di verificare se la loro
concessione fosse stata fondata proprio sulla condotta collaborativa dell’imputato. In questo caso – si
argomenta – l’avvenuta cooperazione con la Giustizia avrebbe comunque spiegato efficacia sul
trattamento sanzionatorio, neutralizzando l’aumento di pena conseguente alla riconosciuta recidiva. È
tuttavia evidente come il riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62 bis Cp sia in grado
esclusivamente di paralizzare eventualmente l’incremento corrispondente alla recidiva, ma non possa
certo produrre un decremento della pena analogo a quello che si avrebbe in caso di prevalenza della
diminuente ad effetto speciale.
51
E abbia, di conseguenza, probabilmente già riportato precedenti condanne.
50
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In secondo luogo, è denunciata l’irragionevolezza della norma impugnata «anche
nell’ottica di sistema», considerato che la circostanza attenuante ad effetto speciale di
cui all’art. 8 d.l. 13.5.1991 n. 152 («Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità
organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa»), conv. –
con modificazioni – in l. 1.12.7.1991 n. 203, innervata dalla medesima ratio di quella
contemplata dal TuStup, è sottratta al giudizio di comparazione tra circostanze
eterogenee ed è obbligatoria, qualora ne ricorrano le condizioni52.
Il giudice remittente contesta, infine, la «violazione del principio di proporzionalità
della pena (principalmente nella sua funzione rieducativa, ma anche in quella
retributiva), di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., perché una pena che non tenga in
debito conto della proficua collaborazione prestata per effetto di una dissociazione postdelictum, spesso sofferta, e che può esporre a gravissimi rischi personali e familiari, da
un lato non può correttamente assolvere alla funzione di ristabilimento della legalità
violata, dall’altro – soprattutto – non potrà mai essere sentita dal condannato come
rieducatrice».
3.3. I giudici costituzionali non prendono in specifica considerazione l’ultima censura
avanzata e ritengono la questione fondata nel merito in relazione alla denunciata
violazione del principio di ragionevolezza. La Consulta rileva come l’estensione del
bilanciamento operata dalla l. “ex Cirielli” (mediante la modifica dell’art. 69 co. 4 Cp),
abbia sovente mostrato incongruenze con riferimento alle circostanze autonome o
indipendenti, inducendo il legislatore a introdurre svariate deroghe al giudizio di
comparazione 53 . Le disposizioni derogatorie volte a sottrarre al bilanciamento la
circostanza c.d. “privilegiata” (in genere, un’aggravante) o ad escluderne la soccombenza,
secondo la Corte Costituzionale, sono pienamente legittime ed espressive della
discrezionalità del legislatore, essendo sindacabili «soltanto ove trasmodino nella
manifesta irragionevolezza o nell’arbitrio» (sentenza C. cost. 23.3.2012 n. 68)54.
Nella motivazione della Consulta, che sottende – come si è detto – una concezione
del giudizio di comparazione tra circostanze quale strumento di rideterminazione della
pena edittale, si evidenzia come la scelta di politica criminale di carattere premiale – di
cui è manifestazione l’art. 73 co. 7 TuStup – risponda sia all’esigenza di tutela del bene
52
Il giudice remittente osserva inoltre che, se prima della riforma attuata dalla l. 251/2005 il trattamento
differenziato garantito dalla l. 152/1991 poteva giustificarsi alla luce del fatto che anche al collaboratore
di cui all’art. 73 co. 7 d.P.R. 309/1990, benché recidivo reiterato «era offerto un incentivo concreto,
essendo possibile, nel caso di giudizio di prevalenza, ottenere il previsto rilevantissimo sconto di pena»,
successivamente questa ragionevolezza sarebbe venuta meno, perché «il recidivo reiterato non potrà mai
beneficiare di tale sconto di pena».
53
La prima ipotesi di circostanza “privilegiata” nell’ordinamento è rintracciabile nell’aggravante della
“finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico” (art. 1 d.l. 15.12.1979 n. 625, recante «Misure
urgenti per la tutela dell’ordine democratico e della sicurezza pubblica» conv. – con modificazioni – in l.
6.2.1980 n. 15), su cui cfr. G. De Francesco, Commento agli arti 1 e 2,1 6 febbraio 1980, n. 15, in LP 1981, 35
ss.
54
Le deroghe al giudizio di comparazione, in quest’ottica, non rappresentano altro che vincoli legislativi
alla discrezionalità giudiziale, che – in virtù della peculiare importanza ad esse riconosciuta – rendono
determinate circostanze non sacrificabili rispetto ad elementi circostanziali di segno opposto: cfr. A.
Peccioli, Le circostanze privilegiate nel giudizio di bilanciamento, Torino 2010, 68 ss.
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giuridico, sia all’istanza di prevenzione e repressione dei reati in materia di stupefacenti,
tuttavia, secondo la Corte, la limitazione al bilanciamento posta dall’art. 69 co. 4 «ne
frustra in modo manifestamente irragionevole la ratio, perché fa venire meno
quell’incentivo sul quale lo stesso legislatore aveva fatto affidamento per stimolare
l’attività collaborativa».
Il primo rilievo non sembra in realtà decisivo: qualsiasi deroga al giudizio di
comparazione che imponga in generale il sacrificio delle attenuanti o escluda tout court
il bilanciamento sarebbe idonea a rendere non operativa una determinata circostanza
frustrandone la ragion d’essere, ma non per questo potrebbe dirsi irragionevole. Peculiari
istanze politico-criminali potrebbero, infatti, suggerire al legislatore l’opportunità di
irrigidire il giudizio di comparazione tra circostanze con riferimento a specifici reati
(come frequentemente è stato fatto nella prassi legislativa)55. Ciò che rende problematica
la disposizione di cui all’art. 69 co. 4 è il suo rivolgersi ad una specifica tipologia
d’autore56: la maggiore criticità dell’approccio della l. 251/2005, infatti, non sta nell’aver
ridotto la discrezionalità giudiziale, ma nell’averla soppiantata con una rigida griglia di
presunzioni legali di pericolosità, regredendo anacronisticamente a modelli punitivi da
tempo demoliti dalla Consulta57. Si è icasticamente rilevato come attorno alla figura del
recidivo reiterato si sia costruito un vero e proprio «girone di diritto penale
dell’eccezione» 58, in cui i delinquenti vengono relegati in base all’inquietante criterio
della “incapacitazione selettiva”, che risponde primariamente all’esigenza di
neutralizzare i soggetti inscrivibili – sulla base di un mero calcolo statistico-predittivo –
in gruppi sociali ad elevato rischio criminale59. La norma colpita dalla scure della Corte
Costituzionale nella sentenza n. 74/2016, in quanto presunzione legale assoluta,
rappresenta la tangibile estrinsecazione di questo approccio: si inferisce – sulla base di
un criterio statistico – la capacità a delinquere dalla sola esistenza di una recidiva
reiterata, ritenuta idonea ad assorbire e neutralizzare gli indici contrari desumibili a
favore del reo dalla condotta successiva al reato60.
55
Per una panoramica: T. Padovani, Circostanze del reato, cit.; C. Bernasconi, Recidiva reiterata e
bilanciamento di circostanze: la duplice presa di posizione della Corte costituzionale, in Criminalia 2007,
294.
56
Così: D. Notaro, op. cit., 1757; F. Rocchi, La discrezionalità della recidiva reiterata “comune”, cit., 4101
ss.; G. Caruso, Recidiva, in DigDPen, Agg. IV, Torino 2008, 1048.
57
Così: T. Padovani, Una novella piena di contraddizioni, cit., 34, il quale denuncia la radicale
incompatibilità con l’art. 3 Cost. delle presunzioni legali di pericolosità introdotte dalla l. “ex Cirielli”.
58
Così: G. Insolera, op. cit., 31.
59
Cfr. M. Pavarini, op. cit., 18 s., il quale descrive quello della “incapacitazione selettiva” come un modello
punitivo improntato a «una cultura tecnocratica e amministrativa della legalità», che ha abdicato al
lessico della giustizia penale per adottare una nuova lingua «quella non più di punire gli individui, ma di
gestire gruppi sociali in ragione del rischio criminale; non più quella correzionalistica, ma quella
burocratica di come ottimizzare le risorse scarse, in cui l’efficacia dell’azione punitiva non è più in ragione
dei telos esterni al sistema (educare e intimidire), ma è in ragione di esigenze intra-sistemiche
(neutralizzare e ridurre i rischi)» (17-18).
60
Contesta la fondatezza di questa inferenza C. cost. 7.6.2011 n. 183, cit. (richiamata anche dalla
Consulta), che osserva come la recidiva reiterata non abbia alcun necessario collegamento con la
condotta successiva al reato perché «mentre la recidiva rinviene nel fatto di reato il suo termine di
riferimento, la condotta susseguente si proietta nel futuro e può segnare una radicale discontinuità negli
atteggiamenti della persona e nei suoi rapporti sociali».
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Il nodo nevralgico della questione viene, quindi, efficacemente individuato dai
giudici costituzionali nell’osservazione secondo cui come l’art. 69 co. 4 Cp violerebbe il
principio di ragionevolezza poiché attribuisce «una rilevanza insuperabile alla
precedente attività delittuosa del reo – quale sintomo della sua maggiore capacità a
delinquere – rispetto alla condotta di collaborazione successiva alla commissione del
reato, benché quest’ultima possa essere in concreto ugualmente, o addirittura
prevalentemente, indicativa dell’attuale capacità criminale del reo e della sua
complessiva personalità».
Tornando alla distinzione già menzionata, si rammenta come la recidiva rappresenti
una circostanza di natura sicuramente soggettiva: se l’inderogabilità della sua prevalenza
su circostanze di natura oggettiva rovescia il rapporto di necessaria subalternità del
disvalore soggettivo rispetto all’offesa61, la predeterminazione a suo favore dell’esito del
bilanciamento con altre circostanze di natura soggettiva è irragionevole perché finisce
per privare il momento della valutazione del disvalore soggettivo dei suoi connotati
essenziali. Orientandosi a senso unico, tale valutazione perde infatti la natura di giudizio
individualizzato (dovendo pervenire al medesimo risultato per ogni recidivo reiterato) e,
non potendo considerare tutti gli elementi – pur esistenti – rilevanti, perde la fisionomia
di giudizio sinottico.
Peraltro, il conferimento – nell’ambito degli effetti indiretti della recidiva sulla
commisurazione della pena – di un ruolo di assoluta prevalenza alla recidiva reiterata
rispetto alle altre circostanze soggettive comporta un automatismo sanzionatorio che
rischia di retroagire ab imis sul momento del riconoscimento della stessa. Infatti, come
precisato dalla Consulta 62 e ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità, la
qualificazione della recidiva quale circostanza aggravante (e non come status
soggettivo) 63 implica la necessità che la valutazione della gravità dell’illecito sia
parametrata alla maggiore attitudine a delinquere del soggetto agente, rilevante ai fini
della reazione punitiva sia sotto un profilo retributivo sia dal punto di vista della
prevenzione speciale «nell’ambito di una relazione qualificata tra i precedenti del reo e
il nuovo illecito da questo commesso, che deve essere concretamente significativo – in
rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, e avuto riguardo ai
parametri indicati dall’art. 133 cod. pen. – sotto il profilo della più accentuata
colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo»64.
Nel valutare, ai fini del riconoscimento della recidiva, la significatività del nuovo
episodio criminoso sotto il profilo della maggiore pericolosità sociale, il giudice deve,
61
Cfr. C. cost. 18.4.2014 nn. 105 e 106, citt.
Tra le varie: C. Cost. 5.7.2010 n. 249, in RIDPP 2010, 1373, con nota di L. Masera, Corte Costituzionale ed
immigrazione: le ragioni di una scelta compromissoria.
63
In questo senso si è espressa la dottrina prevalente: G. De Francesco, Diritto penale, II, Forme del reato,
Torino 2013, 30 ss.; G. Marinucci - E. Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale4, Milano 2012, 533;
F. Palazzo, Corso di diritto penale. Parte generale5, Torino 2011, 540; E.M. Ambrosetti, Recidiva e
recidivismo, Padova 1997, 69; V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, II, Torino 1981, 747; in
giurisprudenza, tra le varie: Cass. 5.3.1999, in CP 2000, 1261; Cass. 1.2.1983, in GP 1983, 723. Contra in
dottrina: F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova 2001, 683; P. Nuvolone, Il sistema del diritto
penale, Padova 1982, 337; G. Bettiol, Diritto penale. Parte generale, Padova 1982, 521.
64
Cfr. Cass. S.U. 24.2.2011 n. 20798, cit.; in senso conforme v. anche: Cass. S.U. 27.5.2010 n. 35738, cit.
62
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dunque, prendere in considerazione anche la condotta del reo contemporanea o
susseguente al reato. L’impossibilità – determinata dalla norma censurata nella sentenza
in esame – di valorizzare in sede di bilanciamento tra circostanze una condotta
successiva al reato ritenuta particolarmente meritevole e preponderante rispetto alla
recidiva, potrebbe indurre il giudice ad attribuire al comportamento collaborativo la
massima importanza al momento della valutazione dei presupposti sostanziali della
recidiva, pervenendo eventualmente all’esclusione della medesima. La logica dell’aut aut
che permea gli automatismi sanzionatori finisce così per contaminare i criteri “interni”
al giudizio sulla recidiva con valutazioni riferibili ad altri istituti, affievolendo
inevitabilmente le capacità preventivo/repressive del sistema 65.
Se la presunzione legale di pericolosità de qua è stata dichiarata dalla Corte
incompatibile con l’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza, la norma censurata
sembra in realtà idonea a ledere il principio di uguaglianza quale canone di non
discriminazione: la preclusione della complessiva valutazione di tutti gli elementi
rilevanti per la capacità a delinquere finisce, infatti, con il sottoporre al medesimo
trattamento sanzionatorio situazioni che possono presentare profili differenziali anche
molto netti 66 , specie ove si consideri il carattere perpetuo e generico della recidiva
reiterata. La Consulta, tuttavia, trascura questo aspetto67, così come tace sulla lamentata
violazione dell’art. 27 co. 3 Cost. (ritenendo tale censura assorbita).
In realtà, la Corte avrebbe ben potuto dichiarare la contrarietà della norma ad
entrambi i parametri (artt. 3 e 27 Cost.), sulla scia della sentenza n. 183/2001, che – come
si è già rilevato – aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 62 bis Cp, nella
parte in cui non consentiva la concessione delle attenuanti generiche al recidivo reiterato
(autore di delitti di cui all’art. 407 co. 2 lett. a Cpp, puniti con la pena della reclusione
non inferiore nel minimo a cinque anni), sulla base della sua condotta susseguente al
reato.
La questione considerata nella sentenza n. 74/2016 presenta, infatti, una singolare
simmetria con la citata pronuncia: entrambe hanno ad oggetto la legittimità della
presunzione assoluta di irrilevanza della condotta susseguente al reato in caso di recidiva
reiterata. Nel dichiarare parzialmente incostituzionale l’art. 62 bis Cp, i giudici osservano
come «escludere che possa assumere rilevanza, ai fini delle attenuanti generiche, una
condotta, successiva al reato, indicativa di una positiva evoluzione in atto della
personalità del condannato significa anche porsi in contrasto con l’art. 27, terzo comma,
Cost.», poiché una simile scelta privilegia un profilo general-preventivo a scapito della
65
Così: G. Leo, Un primo caso accertato di irragionevolezza nella disciplina degli effetti “indiretti” della
recidiva, cit., 1790.
66
Cfr. G. M. Salerno, Un intervento in linea con la Costituzione, in GD 2006 [dossier n. 1], 47; G. Amato,
Il recidivo va a caccia di “generiche”, cit., 60, il quale rileva come «un giudizio (al massimo) di equivalenza
finirebbe con l’essere imposto a prescindere dal numero di circostanze attenuanti che il giudice
apprezzasse nella vicenda sub iudice, parificandosi, in buona sostanza, il trattamento di colui al quale, in
ipotesi, fosse riconosciuta una sola circostanza attenuante (ad esempio, le sole attenuanti generiche) e
quello di colui il quale, invece, fosse ritenuto meritevole di una pluralità di attenuanti (ad esempio, oltre
alle generiche, quella del risarcimento del danno, quella della provocazione ecc.)».
67
Probabilmente perché non formalmente dedotto dal giudice remittente.
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funzione rieducativa della pena. Mutatis mutandis il medesimo ragionamento avrebbe
potuto essere applicato al caso di specie.
È probabile che la Consulta abbia privilegiato il solo principio di ragionevolezza per
un duplice ordine di ragioni.
Innanzitutto, come si è detto, l’aver ricondotto il bilanciamento alla funzione di
rideterminazione della pena edittale e, conseguenzialmente, le deroghe ad esso
apportate alla imperscrutabile discrezionalità del legislatore, ha portato la Corte a
censurare le modalità di esercizio di tale potere esclusivamente sotto il profilo della
manifesta irragionevolezza o dell’arbitrio68.
In secondo luogo, è possibile che sulla decisione dei giudici costituzionali abbia
pesato la peculiare natura dell’attenuante, sostanzialmente riconducibile nell’alveo di
quelle disposizioni premiali evocative del c.d. pentitismo, inevitabilmente affette da
ambiguità e criticità, da tempo stigmatizzata in dottrina 69. Poiché – come nota la stessa
Consulta 70 – la scelta collaborativa da parte dell’imputato non implica assolutamente
un’effettiva resipiscenza, potendo essere anche il frutto di un di un calcolo utilitaristico 71,
è probabile che i giudici costituzionali abbiano reputato inopportuno invocare l’art. 27
Cost. tra i parametri di costituzionalità, specie ove si consideri il fatto che, nella sentenza
n. 183/2001, la violazione dell’art. 27 co. 3 Cost. era stata posta in collegamento
all’impossibilità di attribuire eventualmente rilevanza ad un comportamento
«particolarmente meritevole ed espressivo di un processo di rieducazione intrapreso, o
addirittura già concluso».
4. Nel susseguirsi di pronunce di incostituzionalità che hanno trasfigurato il volto
della recidiva in origine delineato dalla legge “ex Cirielli”, si legge in filigrana
l’improcrastinabilità di una revisione della normativa in materia, specie per quanto
concerne il bilanciamento tra circostanze. La disciplina di quest’ultimo, in virtù dei
plurimi interventi del Giudice delle Leggi, è ormai costellato da deroghe così numerose
da far dubitare della capacità di coesione della regola codicistica, soprattutto alla luce
68
Se l’inquadramento sistematico del giudizio di comparazione tra circostanze è tutt’altro che pacifico,
nessuno potrebbe invece dubitare della collocazione delle attenuanti generiche nel quadro della
commisurazione giudiziale della pena. Si può anzi ritenere che l’art. 62 bis Cp rappresenti
paradigmaticamente lo strumento di mitigazione, in sede giudiziale, del rigore sanzionatorio che
contraddistingue il nostro ordinamento (cfr. G. Leo, Un primo caso accertato di irragionevolezza nella
disciplina degli effetti “indiretti” della recidiva, cit., 1787).
69
Sul tema, v., per tutti: T. Padovani, La soave inquisizione. Osservazioni e rilievi a proposito delle nuove
ipotesi di ravvedimento, in RIDPP 1981, 529 ss.; Id., Il traffico delle indulgenze. “Premio” e “Corrispettivo”
nella dinamica della punibilità, in RIDPP 1986, 398 ss.
70
La Corte osserva, infatti: «è vero che l’attenuante di cui all’art. 73, comma 7, del d.P.R. n. 309 del 1990
non richiede la spontaneità della condotta collaborativa e non comporta necessariamente una
resipiscenza, perché può essere il frutto di un mero calcolo, ma è altrettanto vero che si tratta in ogni
caso di una condotta significativa, anche perché comporta il distacco dell’autore del reato dall’ambiente
criminale nel quale la sua attività in materia di stupefacenti era inserita e trovava alimento, e lo espone
non di rado a pericolose ritorsioni, determinando così una situazione di fatto tale da indurre in molti casi
un cambiamento di vita».
71
Cfr. G. Amato, I reati in materia di stupefacenti, cit., 395; in giurisprudenza, in questo senso: Cass.
27.5.1992 n. 789, in CP 1993, 1232; Cass. 22.11.1996, Torri, in CEDCass, m. 207264.
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della potenzialità “espansiva” dei principi enunciati dalla Corte, di cui la sentenza n.
74/2016 offre plastica conferma.
Se la predeterminazione dell’esito del giudizio di comparazione della recidiva è stato
più volte giudicato dalla Consulta incostituzionale per il soverchiante peso attribuito al
disvalore soggettivo del reato rispetto agli elementi inerenti al profilo oggettivo del reato,
il divieto sancito dall’art. 69 co. 4 Cp – per le ragioni illustrate – non si sottrae a censure
neppure quando prevede la prevalenza della recidiva rispetto a circostanze di natura
soggettiva. Non può, dunque, escludersi – ma sembra anzi inevitabile – che i confini
applicativi del divieto de quo possano essere ulteriormente ridotti da future pronunce di
incostituzionalità: in molti casi, non ancora sottoposti all’attenzione del Giudice delle
Leggi, potrebbe applicarsi la regola di giudizio elaborata dalla Consulta in base alla quale
«le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona,
violano il principio di uguaglianza se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono
a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque
accidit»72. Si tratta di un parametro storicamente enucleato dalla Corte per superare il
meccanismo delle presunzioni di pericolosità che alimentava le misure di sicurezza
(processo culminato nel 1986 con l’approvazione della legge Gozzini73) e tralatiziamente
richiamato dalla giurisprudenza costituzionale nel valutare la ragionevolezza delle
presunzioni assolute, in primis l’adeguatezza della custodia cautelare in carcere di cui
all’art. 275 co. 3 Cpp (estesa nel 2009 a numerosi reati come i delitti sessuali; l’induzione
e lo sfruttamento della prostituzione minorile; l’omicidio doloso e l’associazione
finalizzata al traffico di stupefacenti) 74. Il criterio, in base al quale può si cogliere un
contrasto con l’art. 3 Cost. «tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di
accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa» 75,
è idoneo a mettere in dubbio la legittimità della quasi totalità delle ipotesi in cui si
preveda la prevalenza della recidiva reiterata, per il peculiare atteggiarsi degli elementi
oggettivi nel caso di specie (che possono denotare una lesività particolarmente ridotta
del reato) oppure per l’opportunità di attribuire preponderanza all’attenuante soggettiva
applicabile nel caso sub iudice (in virtù dell’intensità del grado della stessa o della scarsa
significatività della recidiva76) o, ancora, per la molteplicità delle attenuanti in concreto
riconosciute a fronte della sola recidiva reiterata.
Nell’ambito della profonda trasformazione subita negli ultimi anni dalla disciplina
della recidiva, portato all’acme dalla Corte Costituzionale con l’eliminazione della
previsione generale che collegava effetti obbligatori alla recidiva reiterata (art. 99 co. 5
Cp)77, il metodo “casistico” con il quale si sta progressivamente erodendo il divieto di
72
C. cost. 7.6.2011 n. 183, cit.
L. 10.10.1986 n. 663 «Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della libertà».
74
Rileva l’applicazione ai fini della valutazione della ragionevolezza delle presunzioni in materia di
recidiva dei medesimi criteri elaborati dalla Consulta nelle pronunce sulle misure di sicurezza e sulle
misure cautelari: G.L. Gatta, Attenuanti generiche al recidivo reiterato, cit., 2376, al quale si rinvia per gli
ampi richiami della giurisprudenza costituzionale sul punto.
75
C. cost. 7.6.2011 n. 183, cit.
76
Perché, per esempio, riferibile a reati molto distanti nel tempo o disomogenei tra loro.
77
C. cost. 8.7.2015 n. 185, cit.
73
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prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata non si profila, certo, come la soluzione
preferibile dal punto di vista sistematico78, tenuto conto, in primo luogo, delle valide e
fondate ragioni per dubitare della costituzionalità tout court del vincolo posto dall’art.
69 co. 4 Cp. Difatti, ove si ritenga che il bilanciamento tra circostanze possa essere
soggetto solo al vaglio del principio di ragionevolezza, il divieto de quo potrebbe essere
censurato alla stregua del summenzionato parametro enunciato dalla Consulta.
Laddove, invece, si ritenga che la funzione precipua del giudizio di comparazione sia
quella di apprezzare globalmente la personalità dell’imputato e l’effettiva entità del fatto
al fine di adeguare la pena al caso concreto, la preclusione sarebbe censurabile anche
sotto il profilo dell’art. 27 Cost.79.
Non prospettandosi imminente un intervento correttivo del legislatore sul punto, il
tratteggiato quadro della giurisprudenza costituzionale sul divieto di cui all’art. 69 co. 4
Cp sembrerebbe indicare quella attuale come la temperie ideale per riproporre al Giudice
delle Leggi la questione a suo tempo respinta dalla sentenza n. 192/2007, muovendo
questa volta dalla premessa – da cui è efficacemente partita anche l’ordinanza del giudice
remittente da cui è scaturita la sentenza C. cost. n. 74/2016 – dell’inidoneità della
discrezionalità sull’an della recidiva reiterata a sanare l’irrazionalità insita nella
“blindatura” del bilanciamento a favore della circostanza di cui all’art. 99 co. 4 Cp.
78
G. Leo, Un nuovo colpo agli automatismi fondati sulla recidiva, ult. cit., si interroga sull’opportunità di
«un metodo casistico per valutare automatismi minori e più specifici» una volta che sia stata dichiarata
incostituzionale la recidiva obbligatoria.
79
Rileva la violazione del principio rieducativo: G. Amato, Il recidivo va a caccia di “generiche”, cit., 60.
La possibilità per il giudice di assolvere efficacemente il compito di personalizzare la risposta
sanzionatoria risulterebbe infatti sicuramente sacrificata dall’impossibilità di considerare alcuni
elementi rilevanti a tal fine.
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