Rivista di Algologia Clinica e Sperimentale Volume 19

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Rivista di Algologia Clinica e Sperimentale Volume 19
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periodico
Omologato
MI ROSERIO CMP
Rivista di Algologia Clinica e Sperimentale
Volume 19, numero 4, 2012
ISSN 1593-2354
RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE
Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione.
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA
1 ml contiene 10 mg di paracetamolo.
Una sacca da 50 ml contiene 500 mg di paracetamolo.Una sacca da 100 ml contiene 1000 mg di paracetamolo.
Eccipienti: 0,79 mg/ml di sodio.
Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere sezione 6.1.
3. FORMA FARMACEUTICA
Soluzione per infusione.Soluzione limpida da incolore a leggermente giallastra.
4. INFORMAZIONI CLINICHE
4.1 Indicazioni terapeutiche
Tachipirina soluzione per infusione è indicata per il trattamento a breve termine del dolore di intensità moderata, specialmente a seguito di intervento
chirurgico e per il trattamento a breve termine della febbre, quando la somministrazione per via endovenosa sia giustificata dal punto di vista clinico
dall’urgente necessità di trattare il dolore o l’ipertermia e/o quando altre vie di somministrazione siano impossibili da praticare.
4.2 Posologia e modo di somministrazione
Per uso endovenoso.
La sacca da 100 ml è riservata agli adulti, agli adolescenti ed ai bambini di peso superiore a 33 kg.
La sacca da 50 ml è riservata ai neonati nati a termine, alla prima infanzia, ai bambini che iniziano a camminare ed ai bambini con peso inferiore a 33 kg.
Posologia
Il dosaggio deve basarsi sul peso del paziente (riferirsi alla tabella di seguito riportata).
Peso del paziente
Dose per
somministrazione
Volume
per somministrazione
Volume massimo di Tachipirina 10 mg/ml soluzione
per infusione per somministrazione basato
sui limiti di peso superiori del gruppo (ml)***
≤10 kg*
(sono inclusi in questo
gruppo i pazienti che
pesano esattamente
10 kg)
7,5 mg/kg
0,75 ml/kg
7,5 ml
>10 kg a ≤33 kg
(sono inclusi in questo
gruppo i pazienti che
pesano esattamente
33 kg)
15 mg/kg
1,5 ml/kg
49,5 ml
> 33 kg a ≤50 kg
(sono inclusi in questo
gruppo i pazienti che
pesano esattamente
50 kg)
15 mg/kg
1,5 ml/kg
75 ml
60 mg/kg non eccedendo i 3 g
>50 kg con fattori di
rischio addizionali per
tossicità epatica
1g
100 ml
100 ml
3g
>50 kg senza fattori di
rischio addizionali per
tossicità epatica
1g
100 ml
100 ml
4g
Dose massima giornaliera**
30 mg/kg
60 mg/kg non eccedendo i 2 g
* Neonati prematuri: Non sono disponibili dati di sicurezza e di efficacia per neonati prematuri (vedere anche sezione 5.2).
** Dose massima giornaliera: La dose massima giornaliera, così come indicata nella tabella soprariportata, è relativa a pazienti che non assumono altri prodotti contenenti paracetamolo e deve essere modificata di conseguenza tenendo conto dell’assunzione di tali prodotti.
*** Pazienti con peso inferiore richiedono volumi inferiori.
L’intervallo minimo tra ciascuna somministrazione deve essere di almeno 4 ore.
L’intervallo minimo tra ciascuna somministrazione nei pazienti con insufficienza renale grave deve essere di almeno 6 ore.
Non devono essere somministrate più di 4 dosi nelle 24 ore.
Modo di somministrazione
Per evitare errori di dosaggio dovuti alla confusione tra milligrammi (mg) e millilitri (ml), che potrebbero determinare sovradosaggio accidentale e
morte, bisogna prestare attenzione quando viene prescritta e somministrata Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione.
Assicurarsi che sia comunicata e dispensata la dose corretta. Includere nelle prescrizioni sia la dose totale in mg che in volume. Assicurarsi che la
dose sia misurata e somministrata con precisione.
Il paracetamolo in soluzione si somministra come infusione endovenosa in 15 minuti.
Rivista Ufficiale
Federdolore - SICD
Consiglio Direttivo
Federdolore - SICD
Presidente
Francesco Amato
Vicepresidente
Sergio Mameli
Presidente onorario
Guido Fanelli
Segretario
Giovanni Maria Pisanu
Referenti
Area Nord
Gianpaolo Fortini
Area Centro
Laura Bertini
Area Sud
Pasquale De Negri
Isole
Filippo Bellinghieri
Consiglieri
Massimo Allegri
Sergio Chisari
Giuseppe Ciliberto
Leonardo Consoletti
Laura De Martini
Rita Maria Melotti
Vincenzo Palmieri
Alfonso Papa
Quirino Piacevoli
William Raffaeli
www.sicd.net
Direzione scientifica
Francesco Amato
Sergio Mameli
Paolo Marchettini
Guido Orlandini
William Raffaeli
Alessandro Fabrizio Sabato
Maria Luisa Sotgiu
Corrispondenti
Anestesia
F. Bruno (Bari)
S. Codeleoncini (Milano)
A. Marchi (Cagliari)
P. Notaro (Milano)
V.A. Peduto (Perugia)
G. Savoia (Napoli)
Anestesia
ostetrico-ginecologica
D. Celleno (Roma)
Anestesie loco-regionali
e blocchi
V. Moschini (Milano)
G. Ramella (Milano)
Cefalee
C. Caputi (Ancona)
M. Del Zompo (Cagliari)
M. Lacerenza (Milano)
D. Moscato (Roma)
F. Rizzi (Milano)
E. Sternieri (Modena)
Dolore da cancro
e cure palliative
A. Caraceni (Milano)
L. Piva (Milano)
A. Turriziani (Roma)
Dolore neuropatico
P. Marchettini (Milano)
A. F. Sabato (Roma)
Dolore postoperatorio
M. Berti (Parma)
C. Mattia (Roma)
Farmacologia
E. Molina (Parma)
Fisiatria e Riabilitazione
V. Santilli (Roma)
Fisiologia
A. Aloisi (Siena)
Fisiologia clinica
R. Casale (Montescano)
M.A. Giamberardino (Chieti)
Geriatria
D. Cova (Milano)
Medicina del dolore
M. Bevilacqua (Venezia)
C. Bonezzi (Pavia)
G. Colini Baldeschi (Roma)
A. Costantini (Chieti)
V. Iorno (Milano)
F. Paoletti (Perugia)
P. Poli (Pisa)
G. Varrassi (L’Aquila)
Neurochirurgia
I. Dones (Milano)
Neurologia
G. Cruccu (Roma)
F. Nicoletti (Roma)
Pediatria
F. Benini (Padova)
A. Clerico (Roma)
Reumatologia
M. Broggini (Varese)
In copertina:
Immagini dal mondo.
Campagna innevata,
Polonia Sud occidentale.
Archivio fotografico
Fotolia Publiediting.
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
3
Pazienti di peso ≤ 10 kg:
• La sacca non deve essere appesa come nel caso di un’infusione, dato il ridotto volume di prodotto da somministrare a questi pazienti.
• Il volume da somministrare deve essere prelevato dalla sacca e diluito in una soluzione di sodio cloruro allo 0,9% o in una soluzione glucosata al 5%
fino ad un decimo (un volume di Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione in nove volumi di diluente) e somministrato in 15 minuti.
• Usare una siringa da 5 o 10 ml per misurare la dose appropriata al peso del bambino e il volume desiderato. Ad ogni modo questo volume non dovrebbe mai eccedere i 7,5 ml per dose.
• Attenersi scupolosamente alle indicazioni sul dosaggio riportate negli stampati.
Come per tutte le soluzioni per infusione contenute in sacche di PVC, si deve ricordare che uno stretto monitoraggio è richiesto specialmente alla fine
dell’infusione, indipendentemente dalla via di somministrazione. Tale monitoraggio alla fine della perfusione deve essere adottato specialmente nel
caso di infusioni attraverso vie centrali, in modo da evitare embolismo gassoso.
4.3Controindicazioni
Tachipirina soluzione per infusione è controindicata:
• in pazienti con ipersensibilità al paracetamolo o al propacetamolo cloridrato (profarmaco del paracetamolo) o ad uno qualsiasi degli eccipienti.
• in caso di grave insufficienza epatocellulare.
4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego
Avvertenze
Rischio di errori di dosaggio
Fare attenzione ad evitare errori di dosaggio dovuti alla confusione tra milligrammi (mg) e millilitri (ml). Questo potrebbe determinare un sovradosaggio accidentale e morte (vedere paragrafo 4.2)
Si raccomanda l’uso di un adeguato trattamento analgesico per via orale appena questa via di somministrazione sia possibile.
Al fine di evitare il rischio di sovradosaggio, si controlli che altri farmaci somministrati non contengano né paracetamolo né propacetamolo.
Dosaggi più elevati di quelli raccomandati comportano il rischio di gravissimo danno epatico. I sintomi e i segni clinici di danno epatico (incluse epatite
fulminante, insufficienza epatica, epatite colestatica, epatite citolitica) si manifestano generalmente già dopo due giorni di somministrazione del medicinale con un picco dopo 4-6 giorni. Il trattamento con l’antidoto deve essere somministrato prima possibile (vedere paragrafo 4.9).
Tachipirina soluzione per infusione contiene 3,5 millimoli di sodio (79,4 mg) ogni 100 ml, da tenere in considerazione in persone con ridotta funzionalità
renale o che seguono una dieta a basso contenuto di sodio.
Precauzioni d’impiego
Il paracetamolo deve essere usato con cautela in caso di:
- insufficienza renale grave (clearance della creatinina ≤ 30 ml/min) (vedere paragrafi 4.2 e 5.2),
- insufficienza epatocellulare
- patologie epatobiliari,
-funzione epatica alterata,
- alcolismo cronico,
- malnutrizione cronica (bassa riserva di glutatione epatico),
- disidratazione.
4.5 Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione
Il probenecid causa una riduzione della clearance del paracetamolo di circa due volte, inibendo la sua coniugazione con acido glucuronico. In caso di
trattamento concomitante con probenecid si deve considerare una riduzione della dose di paracetamolo.
La salicilamide può prolungare l’emivita di eliminazione del paracetamolo.
Occorre esercitare cautela in caso di assunzione concomitante di induttori enzimatici (vedere paragrafo 4.9).
L’uso concomitante di paracetamolo (4 g al giorno per almeno 4 giorni) con anticoagulanti orali può indurre leggere variazioni nei valori INR. In questo
caso, deve essere effettuato un aumentato monitoraggio dei valori di INR durante il periodo di trattamento concomitante e per una settimana dopo la
sospensione del trattamento con paracetamolo.
4.6 Gravidanza ed allattamento
Gravidanza
L’esperienza clinica sulla somministrazione endovenosa di paracetamolo è limitata. Tuttavia, i dati epidemiologici sull’uso di dosi terapeutiche orali di
paracetamolo non rivelano effetti indesiderati sulla gravidanza o sulla salute del feto/neonato.
Dati prospettici sulle gravidanze esposte al sovradosaggio non hanno mostrato un aumento del rischio di malformazioni.
Non sono stati effettuati, negli animali, studi riproduttivi con la forma endovenosa di paracetamolo. Tuttavia gli studi con la forma orale non hanno
mostrato alcuna malformazione né effetti fetotossici.
Nonostante questo Tachipirina soluzione per infusione deve essere impiegato durante la gravidanza solamente dopo un’attenta valutazione del rapporto beneficio/rischio. In questo caso, la posologia e la durata del trattamento raccomandate devono essere strettamente osservate.
Allattamento
Dopo somministrazione orale, il paracetamolo è escreto nel latte materno in piccole quantità. Non sono stati riportati effetti indesiderati nei bambini
in allattamento. Di conseguenza Tachipirina soluzione per infusione può essere usato nelle donne che allattano al seno.
4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari
Tachipirina soluzione iniettabile non altera la capacità di guidare veicoli o di usare macchinari.
4.8 Effetti indesiderati
Come per tutti i farmaci a base di paracetamolo, le reazioni avverse sono rare (>1/10.000, <1/1000) o molto rare (<1/10.000), e sono di seguito descritte:
Organi e sistemi
Raro (>1/10.000, <1/1000)
Molto raro (<1/10.000)
Patologie sistemiche e condizioni relative alla
sede di somministrazione
Malessere
Reazioni di ipersensibilità
Patologie cardiache e patologie vascolari
Ipotensione
Patologie epatobiliari
Aumento dei livelli di transaminasi epatiche
Patologie del sistema emolinfopoietico
Trombocitopenia, leucopenia e neutropenia
Durante gli studi clinici, sono state segnalate frequenti reazioni avverse alla sede di somministrazione (dolore e sensazione di bruciore).
Sono stati segnalati casi molto rari di reazioni di ipersensibilità, dalla semplice eruzione cutanea o orticaria allo shock anafilattico, che richiedono l’interruzione del trattamento.
Sono stati segnalati casi di eritema, arrossamento, prurito e tachicardia.
Rivista di Algologia
Clinica e Sperimentale
Volume 19, numero 4
Dicembre 2012
www.pathos-journal.com
Sommario
Fondatore
Mario Tiengo
Editoriale
Direttore editoriale
Maria Luisa Sotgiu
Review
Direttore responsabile
Mara Sala
Review
Segreteria di redazione
Martina Serra
Impaginazione
Roberto Colombo
Stampa
Agf, Milano
Pubblicità
Irene Carravieri
Direzione, Redazione
e Pubblicità
Publiediting
Via Galla Placidida 12
20131 Milano
[email protected]
tel 02 93887520
www.publiediting.it
Un clinico in lotta contro un avversario
insidioso e agguerrito: il dolore.
Intervista a Sergio Mameli
M. L. Sotgiu
7
Gli oppioidi e i loro recettori periferici
F. Amato
9
Il dolore centrale.
Definizione, fisiopatologia e terapia
V. Moschini, M. Seveso, V. Iorno
13
Articolo originale
Terapia ipostimolante mediante
blocchi anestetici nel dolore cranio-facciale
C. A. Caputi, V. Firetto
21
Casi clinici
La terapia intratecale nelle vasculopatie
R. Russo, M. Cittadino, A. Russo
27
Letture
Il dolore tra medicina razionale
e medicine “parallele”
G. Pareti
33
Recensione
Guarire il dolore
Tattiche investigative e strategie di cura
38
Pathos
è una rivista edita
da Publiediting
Registrata al Tribunale di Milano
al numero 666 - 210905
Iscrizione R.O.C. n. 15108
ISSN 1593-2354
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
5
4.9Sovradosaggio
Esiste il rischio di danno epatico (incluse epatite fulminante, insufficienza epatica, epatite colestatica, epatite citolitica), specialmente nei soggetti
anziani, nei bambini, nei pazienti con malattie epatiche, in caso di alcolismo cronico, nei pazienti affetti da malnutrizione cronica, e nei pazienti che
ricevano induttori enzimatici. In questi casi il sovradosaggio può essere fatale.
I sintomi generalmente appaiono entro le prime 24 ore e comprendono: nausea, vomito, anoressia, pallore e dolore addominale.
Il sovradosaggio, 7,5 g o più di paracetamolo in singola somministrazione negli adulti e 140 mg/kg di peso corporeo in singola somministrazione nei
bambini, causa citolisi epatica, che probabilmente induce una necrosi completa e irreversibile, che comporta insufficienza epatocellulare, acidosi metabolica ed encefalopatia che possono portare al coma e alla morte. Contemporaneamente, si osservano livelli aumentati delle transaminasi epatiche
(AST, ALT), della lattato deidrogenasi e della bilirubina, insieme ad una diminuzione del valore della protrombina che può mostrarsi da 12 a 48 ore dopo la
somministrazione. Sintomi clinici di danno epatico si manifestano di solito già dopo due giorni, e raggiungono il massimo da 4 a 6 giorni dopo.
Misure di emergenza
Ospedalizzazione immediata.
Prima di iniziare il trattamento e prima possibile dopo il sovradosaggio, prelevare un campione di sangue per determinare i livelli plasmatici di paracetamolo.
Il trattamento include la somministrazione dell’antidoto, l’N-acetilcisteina (NAC), per via endovenosa od orale, preferibilmente prima della 10ª ora.
L’NAC può, tuttavia, dare un certo grado di protezione anche dopo 10 ore, ma in questi casi occorre prolungare il trattamento.
Trattamento sintomatico
Devono essere effettuati dei test epatici all’inizio del trattamento, che saranno ripetuti ogni 24 ore. Nella maggior parte dei casi, le transaminasi epatiche ritornano nella norma in una o due settimane con una piena ripresa della funzionalità epatica. Nei casi molto gravi, tuttavia, può essere necessario
il trapianto epatico.
5. PROPRIETA’ FARMACOLOGICHE
5.1 Proprietà farmacodinamiche
Categoria farmacoterapeutica: Altri analgesici e antipiretici ; codice ATC: N02BE01
Il meccanismo esatto con cui si esplica la proprietà analgesica e antipiretica del paracetamolo è ancora da stabilire; può coinvolgere azioni centrali e
periferiche.
L’azione analgesica di Tachipirina soluzione per infusione inizia dopo 5-10 minuti dall’inizio della somministrazione. Il picco dell’effetto analgesico si
ottiene in 1 ora e la durata di quest’effetto è di norma da 4 a 6 ore.
Tachipirina soluzione per infusione riduce la febbre in 30 minuti dall’inizio della somministrazione con una durata dell’effetto antipiretico di almeno 6
ore.
5.2 Proprietà farmacocinetiche
Adulti
Assorbimento
La farmacocinetica del paracetamolo è lineare fino a 2 g dopo singola somministrazione e dopo somministrazioni ripetute nell’arco di 24 ore.
La biodisponibilità del paracetamolo dopo infusione di 500 mg e 1 g di Tachipirina soluzione per infusione è simile a quella osservata dopo l’infusione di
1 e 2 g di propacetamolo (corrispondente, rispettivamente, a 500 mg e 1 g di paracetamolo).
La concentrazione plasmatica massima (Cmax) del paracetamolo osservata alla fine di una infusione endovenosa di 500 mg e 1 g di Tachipirina soluzione per infusione in 15 minuti è, rispettivamente, di circa 15 µg/ml e 30 µg/ml.
Distribuzione
Il volume di distribuzione del paracetamolo è approssimativamente 1 l/kg.
Il paracetamolo non si lega ampiamente alle proteine plasmatiche.
A seguito dell’infusione di 1 g di paracetamolo, sono state osservate significative concentrazioni (circa 1,5 µg/ml) nel liquido cefalo-rachidiano dopo 20
minuti dall’infusione.
Metabolismo
Il paracetamolo è metabolizzato principalmente nel fegato seguendo due vie epatiche maggiori: coniugazione con acido glucuronico e coniugazione
con acido solforico. Quest’ultima via viene rapidamente saturata a dosaggi che superino le dosi terapeutiche. Una piccola frazione (meno del 4%) è
metabolizzata dal citocromo P450 in un intermedio reattivo (N-acetil-p-benzochinoneimina) che, in normali condizioni d’impiego, viene rapidamente
detossificata dal glutatione ridotto ed eliminata nelle urine dopo coniugazione con cisteina e acido mercaptourico. Tuttavia, nei sovradosaggi massicci,
la quantità di questo metabolita tossico è aumentata.
Eliminazione
I metaboliti del paracetamolo sono escreti principalmente nelle urine. Il 90% della dose somministrata è escreto in 24 ore, per lo più in forma glucuronidata (60-80%) e sulfoconiugata (20-30%). Meno del 5% è eliminato in forma immodificata. L’emivita plasmatica è di 2,7 ore e la clearance totale corporea
è di 18 l/h.
Neonati, prima infanzia e bambini
I parametri farmacocinetici del paracetamolo osservati nella prima infanzia e nei bambini sono simili a quelli osservati negli adulti, ad eccezione dell’emivita plasmatica che è leggermente inferiore (1,5-2 ore) rispetto agli adulti. Nei neonati, l’emivita plasmatica è più lunga che in età infantile, circa 3,5
ore. Nei neonati, nella prima infanzia e nei bambini fino a 10 anni si osserva un’escrezione significativamente inferiore di glucuroconiugati e maggiore
di sulfoconiugati rispetto agli adulti.
Tabella: i valori farmacocinetici correlati all’età (clearance standardizzata, *CLstd/Fos (l.h-1 70 kg -1), sono riportati di seguito:
Età
Peso (kg)
CLstd/Fos (l.h-1 70 kg-1)
40 settimane PCA¹
3,3
5,9
8,8
3 mesi PNA²
6
6 mesi PNA²
7,5
11,1
1 anno PNA²
10
13,6
2 anni PNA²
12
15,6
5 anni PNA²
20
16,3
8 anni PNA²
25
16,3
¹ PCA: età dopo il concepimento (Post-conceptional age)
² PNA: età dopo la nascita (Post-natal age)
* CLstd è la popolazione stimata per CL
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Editoriale
UN CLINICO IN LOTTA CONTRO
UN AVVERSARIO INSIDIOSO E AGGUERRITO:
IL DOLORE
Intervista a Sergio Mameli
Vicepresidente Nazionale Federdolore-SICD
A CLINICIAN ENGAGED IN A FIGHT AGAINST THE PAIN
A cura di Maria Luisa Sotgiu
IBFM-CNR, Milano
Le ricerche degli ultimi anni e la recente legislazione
hanno contribuito ai progressi nella terapia del dolore.
Pathos intervista Sergio Mameli,
responsabile del servizio di terapia del dolore
presso l’Ospedale Oncologico di Cagliari,
che da anni si batte affinché al paziente sia riconosciuto
il diritto fondamentale di non soffrire
e affinché questa giovane disciplina abbia il ruolo che le spetta.
Nella sua esperienza, che rilevanza
ha avuto la Legge 38 del marzo
2010 sulle cure palliative
e la terapia del dolore?
Nella mia esperienza clinica la cosa
più importante è che è stato finalmente
chiarito il ruolo delle due discipline:
essendo complementari, hanno ambiti
completamente diversi. Le cure
palliative, essendo rivolte a pazienti
che hanno ultimato il loro percorso
terapeutico, hanno problematiche
molto complesse, che riguardano
non solo il dolore fisico, ma l’ansia,
la depressione, la perdita di ruolo
sociale e familiare. Devono essere
rivolte anche alla famiglia del malato,
che è pesantemente coinvolta
nel decorso della malattia.
La terapia del dolore è rivolta invece
a individuare i meccanismi
patogenetici e molecolari del dolore,
al fine di definire la diagnosi algologica
e le scelte terapeutiche più adeguate
attraverso una semeiotica attenta
e precisa.
Trova difficoltà nell’applicazione
della Legge?
Sì, trovo difficoltà nell’applicazione
della Legge al di fuori della realtà
del nostro reparto, ma questo credo
che sia legato al baratro culturale
che ha sempre caratterizzato l’approccio
al dolore, per cui è necessario un
percorso formativo condiviso prima
di arrivare a un’applicazione uniforme
di quelle che sono le direttive proposte
dalla Legge. Dobbiamo sforzarci
di far capire che il controllo
del dolore è fondamentale
nella gestione del paziente.
I nuovi metodi di somministrazione
degli analgesici hanno reso più
efficace il trattamento del dolore,
ma dovendo personalizzare il
trattamento, hanno probabilmente
complicato il lavoro dello
staff medico. Pensa che questo
rappresenti un limite per la
diffusione dell’applicazione
di questi metodi?
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
7
Sicuramente la possibilità
di somministrare farmaci
per diverse vie (prediligendo
sempre, quando possibile,
quella orale) ha permesso
di personalizzare le terapie;
la tecnologia ci ha inoltre
consentito di poter somministrare
farmaci anche nel canale spinale,
permettendo quindi di continuare
la somministrazione di farmaci
che, per altre vie, comporterebbero
effetti collaterali gravi.
Sono stati fatti molti progressi
anche nelle tecniche chirurgiche
per eliminare o attenuare il dolore.
Ritiene che queste debbano essere
prese in considerazione solo
dopo un fallimento delle terapie
farmacologiche?
Le tecniche chirurgiche sono
sicuramente uno strumento validissimo
di cui dispone il terapista del dolore.
Ciò che è importante è che queste
devono sempre essere applicate dopo
un’attenta valutazione
del paziente e dopo aver definito
8
una diagnosi algologica corretta.
Possono anche rappresentare la
prima scelta terapeutica e non essere
considerate solo come ultima ratio
dopo il fallimento di tutte le altre
strategie terapeutiche.
L’unificazione FederdoloreSICD è frutto anche della sua
determinazione. Quali saranno
i benefici di questa nuova
organizzazione?
Sono convinto che la dispersione,
in ambito culturale, sia deleteria.
Dal momento che gli obiettivi sono
comuni, se è vero che l’unione fa la
forza, si comprende come non abbia
senso essere divisi e frammentati.
Sino a tempi non lontani, eravamo
rappresentati da piccoli gruppi
che non potevano avere gran voce
e autorevolezza. L’unione e la
condivisione danno sicuramente
più forza e dignità a una giovane
disciplina che stenta ancora ad
affermarsi e che sicuramente la Legge
contribuisce a far sì che raggiunga
il ruolo che le spetta.
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
Review
GLI OPPIOIDI
E I LORO RECETTORI PERIFERICI
OPIOIDS AND THEIR PERIPHERAL RECEPTORS
Francesco Amato
Direttore Unità Anestesia e Terapia del Dolore
AO Cosenza
RIASSUNTO
La flogosi dei tessuti periferici induce
nei neuroni afferenti primari,
in particolare a livello corpi cellulari
situati nei DRG (gangli della radice
dorsale) un aumento della sintesi
di recettori oppioidi determinandone
un “up-regulation”.
Dopo che i recettori oppioidi vengono
trasportati a livello delle terminazioni
nocicettive essi vengono incorporati
nella membrana neuronale diventando
recettori funzionali.
Le suddette proteine recettoriali vanno
a legarsi agli oppioidi prodotti
dalle cellule immunitarie o a quelli
esogeni. Questi legami portano
a una diretta o indiretta soppressione
delle correnti di Ca2+ indotte
da TRPV1 o di correnti del Na+,
con conseguente ridotta eccitabilità
del neurone e diminuzione
dei segnali trasmessi.
L’osservazione che il sistema
immunitario sia in grado di modulare
il dolore mediante ligandi che
interagiscono con i recettori oppioidi
localizzati sui neuroni sensoriali,
può avere ampie implicazioni
per lo sviluppo di farmaci antidolorifici
innovativi e più sicuri.
Parole chiave
Recettori oppioidi, recettori transienti,
beta arrestin, farmaci antidolorifici
innovativi
SUMMARY
The inflammation of peripheral tissues
leads the primary afferent neurons,
in particular at the cell bodies level
located in the DRG (dorsal root
ganglia), to an increased synthesis
of opioid receptors: determining
an “up-regulation”.
After that opioid receptors
are transported at the level
of the nociceptive terminals,
they are incorporated into
the neuronal membrane
becoming functional receptors.
The above receptor proteins bind
to opioid produced by immune cells
or the exogenous ones. This leads
to a direct or indirect suppression
of the Ca2+ currents induced by
TRPV1 or the currents of the Na+,
resulting in neuronal reduced
excitability and in transmitted
signals decrease.
The observation that the immune
system is able to modulate the pain
by ligands that interact with the
opioid receptors located on sensory
neurons, may have broad implications
for the development of innovative
and safer pain drugs.
Key words
Opioid receptors, transient receptors,
beta arrestin, innovative analgesic drugs
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
9
Nel sistema nervoso periferico i neuroni sensoriali primari possono essere
attivati da segnali nocicettivi di tipo
termico, meccanico o chimico attraverso l’apertura di molti canali ionici
che creano un cancello non voltaggio
dipendente. I canali ionici coinvolti
in questo processo sono:
1 - canali sodio Toxin - tetratoxin resistant (TTX, Nav 1.7, Nav 1.8, Nav
1.9), degenerin-epithelial (MDEG),
acid-sensing ion channels (ASIC).1
2 - ATP - sensitive purine receptors
(P2X3).2
3 - Canali calcio: transient receptor
potential vanilloid ion channels: TRIPV1, TRIPV2, TRIPV3, TRPM8,
TRIPA1.3
I recettori “Transient” rispondono oltre che ai diversi livelli termici anche
ad altre modalità di stimoli, agendo
da “sensori del dolore”.4
Il terminale della fibra C presenta una
grande complessità, infatti, per ogni
livello di sensazione è presente uno
specifico sistema di trasduzione.5-8
L’attivazione dei recettori attiva poi la
scarica dei potenziali di azione (Pd’A)
condotti dagli assoni che trasmettono
l’informazione lungo il sistema sensoriale.
In presenza di un dolore acuto così
detto “fisiologico”, solo il 20 per cento della popolazione dei nocicettori
viene attivata; mentre solo durante
un’infiammazione cronica o una lesione tessutale molto forte, che dura
a lungo, si ha un’attivazione del 100
per cento. In particolare durante una
flogosi o una lesione nervosa, la liberazione di sostanze lungo i terminali
periferici provoca evidenti modificazioni, strutturali e/o funzionali.
Queste modificazioni sono dovute al
rilascio di idrogenioni che realizzano
10
uno stato di acidosi locale con riduzione del pH dei tessuti circostanti. A
questo accumulo di H+ si accompagna quello delle sostanze provenienti
dalle cellule danneggiate (K+, ATP,
metaboliti dell’acido arachidonico,
così come delle COX2, PGE2), di
neurotrasmettitori delle fibre C (SP,
CGRP), di sostanze modulatrici delle cellule della GLIA (NGF; GDNF)
o di sostanze, come la bradichinina
(BK) proveniente da cellule vascolari danneggiate. Una miriade di mediatori, dunque, presenti nel tessuto
danneggiato sono coinvolti nei processi infiammatori, che si associano
ad una lesione tissutale e/o alla lesione di un nervo o a un’abnorme reattività immunitaria.
L’attivazione dei nocicettori e la trasduzione dei segnali nocicettivi, che
avviene in recettori come il TRPV1,
o il recettore Purinico P2X3, o il
meccanorecettore DEG, ha come risultato finale una depolarizzazione
della membrana cellulare, che genera
veloci potenziali di azione che lungo
l’assone dell’afferente primario, rag-
Figura 1
Dopo una noxa patogena e la sensibilizzazione degli afferenti primari nel ganglio
della radice dorsale vengono sintetizzati i recettori oppioidi e i neuropeptidi
(come la sostanza P). Tutti vengono poi trasportati lungo i microtubuli intra-assonali
fino alla periferia del neurone afferente primario. A questo livello i recettori oppioidi
vengono incorporati nella membrana neuronale resa più impermeabile e diventano
recettori funzionali. Dopo l’attivazione con oppioidi esogeni o endogeni, si ha
l’inibizione della G-proteina. Questo porta alla diretta o indiretta (tramite la riduzione
dell’adenosina monofosfato ciclico) soppressione delle correnti del Ca2+ o Na+
e conseguente attenuazione del rilascio della sostanza P.
Ganglio della radice dorsale
Midollo spinale
Assone
Sostanza P
Recettori
degli oppioidi
Canali del sodio
cAMP
Microtubuli
Proteina G
Oppioidi
Canali del calcio
Volume 19 PATHOS Nro 4, 2012
giungono i neuroni del corno posteriore del midollo spinale.9-10
Per quanto riguarda il processo di
sensibilizzazione periferica esso molto
verosimilmente è sostenuto dall’attività di diverse sostanze:
- dalla bradichinina che è un mediatore coinvolto in una serie di processi fisiopatologici compreso il dolore
cronico;11
- dal Nerve Growth Factor (NGF)
che va a legarsi al recettore TrKA (tirosin chinasi A). Dopo una lesione
(noxa) sono necessari i fattori di crescita come il nerve growth factor per
riparare il danno, ma in molti casi le
neurotrofine hanno solo scopo puramente flogistico, ovvero di irritazione
locale, che agirà nel tempo come richiamo di leucociti e citochine antiinfiammatorie;12
- da alcuni impulsi che possono viaggiare in senso anterogrado lungo l’assone periferico del neurone sensoriale
periferico, verso i terminali nervosi
distali, con il risultato di rilasciare
neuropeptidi nella zona lesa. Questo rilascio di neuropeptidi provoca
vasodilatazione, permeabilità vasale
venosa, stravaso di plasma, edema e
arrivo di leucociti :“infiammazione
neurogenica”.13
- dalle sostanze prodotte dal sistema
immunitario come l’istamina.14
Elettrofisiologicamente, questa sensibilizzazione è caratterizzata da aumento dell’eccitabilità neuronale (aumento della frequenza di scarica), aumento di risposte agli stimoli nocicettivi e diminuita soglia per gli stimoli
termici e meccanici. Mentre i segnali
nocicettivi si propagano dal neurone
sensoriale primario al midollo spinale
prima ed al cervello poi, dove sono
percepiti come dolore, contempo-
raneamente si attivano meccanismi
endogeni per neutralizzare il dolore
e controllare la situazione infiammatoria.
La flogosi dei tessuti periferici, infatti, porta a livello dei neuroni afferenti primari, in particolare nei corpi
cellulari collocati nei DRG (dorsal
root ganglion), a un incremento della
sintesi di recettori oppioidi: determinando un “up-regulation” dei suddetti recettori .
I recettori degli oppioidi, ma anche
i neuropeptidi (come la sostanza P)
pro-nocicettivi e pro-infiammatori,
dopo essere stati sintetizzati dal ganglio della radice dorsale vengono trasportati lungo microtubuli intra-assonali nei processi centrali e periferici
del neurone primario afferente.
Nel tessuto infiammato la permeabilità del perinevrio aumenta permettendo l’accessibilità dei recettori
oppioidi nella membrana cellulare a
livello distale (Figura 1).15-17
Dunque i neuroni sensoriali periferici
esprimono recettori per i peptidi oppioidi, che possono essere modulati
dagli oppioidi endogeni o dai farmaci
oppiacei. In seguito agli stimoli stressogeni o in risposta ad agenti che rilasciano sostanze come il CRF (Corticotropin Releasing Factor), citochinine, chemochine e catecolamine, i
leucociti secernono oppioidi.
Il legame di peptidi oppioidi, derivati
da cellule immunitarie o di oppiacei
esogeni, rispettivamente con i recettori periferici determina il loro accoppiamento con una proteina G trimerica, che si dissocia nelle seguenti
subunità :
- Complesso G-α
- Complesso G-βγ
Queste subunità inibiscono le adenil-
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
ciclasi e di conseguenza inibiscono la
produzione di c-AMP o interagiscono
direttamente con differenti canali ionici della membrana.18 Questo porta
a una diretta o indiretta (tramite diminuzione di adenosina monofosfato
ciclico) soppressione delle correnti di
Ca2+ indotte da parte dei TRPV1 o
di correnti del Na+, con conseguente ridotta eccitabilità del neurone e
diminuzione dei segnali trasmessi.
Successivamente, il rilascio di SP è
attenuato.
In particolare, all’interno del tessuto leso, questi eventi realizzano un
effetto antinocicettivo e antiinfiammatorio. Così il controllo autogeno
del dolore è realizzato dal legame di
peptidi oppioidi, derivati da cellule
immunitarie, con i recettori degli oppioidi presenti sui neuroni sensoriali
periferici. Il concetto che il sistema
immunitario sia in grado di modulare
il dolore mediante ligandi che interagiscono con i recettori oppioidi presenti sui neuroni sensoriali, può avere
ampie implicazioni per lo sviluppo di
farmaci antidolorifici più sicuri.19
L’osservazione che l’infiammazione
dei tessuti periferici porta ad una
maggiore funzionalità dei recettori
oppioidi sulla superficie dei neuroni
sensoriali distali e alla produzione
locale di peptidi oppioidi endogeni
indica nuove applicazioni. A questo
punto bisogna prendere in considerazione il perché si verifichino fenomeni di tolleranza legati agli oppioidi. Secondo gli studi condotti da
Laura Bohn20, l’attenzione si focalizza
su un particolare processo a cui si associano direttamente gli effetti collaterali (side effects). È stato osservato
come una proteina denominata ‘beta
arrestin’20 determini la invaginazione
11
del bilayer fosfolipidico della membrana dove è posizionato il recettore
oppioideo, dopo essere stato attivato
dal proprio ligando.
Esso poi viene riciclato o degradato
nei lisosomi. Quali obiettivi si possono perseguire in futuro?
Da quanto esposto finora, si evince
che gli obiettivi da raggiungere potranno riguardare le seguenti finalità:
1 - lo sviluppo e l’applicazione periferica di agonisti oppiacei;
2 - il targeting selettivo delle cellule
immunitarie contenenti oppiacei sui
siti di lesione dolorosa;
3 - l’ottimizzazione della selettività
delle cellule contenenti oppioidi a livello della ferita e l’incremento della
sintesi dell’oppioide periferico attraverso la genetica (ad esempio con la
terapia genica);
4 - un intervento mirato sulla beta
arrestin;
5 - la diminuzione dell’attività dei
recettori TRPV1 in fase di sensibilizzazione.
La ricerca futura si soffermerà sulla
farmacologia e biologia molecolare
per lo sviluppo di nuovi farmaci selettivi, allo scopo di ottenere una scelta
razionale dei trattamenti individuali
dei singoli i pazienti, per realizzare,
infine, una combinazione di farmaci
innovativi che consentano di ottimizzare i benefici e minimizzare i rischi
associati alla terapia con oppioidi.
L’obiettivo finale è quello di evitare gli effetti collaterali negativi degli
analgesici attualmente disponibili,
quali depressione respiratoria, deficit
cognitivo, dipendenza, sanguinamento gastrointestinale e complicanze
tromboemboliche.
12
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Review
IL DOLORE CENTRALE
DEFINIZIONE, FISIOPATOLOGIA E TERAPIA
CENTRAL PAIN
DEFINITION, PHISIOPATHOLOGY AND THERAPY
Vincenzo Moschini, Mirella Seveso, Vittorio Iorno
Servizio di Anestesia e Rianimazione Pediatrica
Centro di Medicina del Dolore “Mario Tiengo”
Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
RIASSUNTO
Il dolore centrale è l’espressione di una
lesione e/o disfunzione primitiva o
secondaria del sistema nervoso centrale.1
Dipende quindi da una lesione totale
o parziale lungo le vie spino-talamocorticali e può essere di origine cerebrale
o spinale.
Ha incidenza variabile a seconda
dell’eziologia: 8-10% nei pazienti
colpiti da ictus, 30% in quelli affetti
da sclerosi multipla, 30-60% nei
paraplegici.2-3
A livello midollare le cause più
frequenti sono: lesioni traumatiche,
tumori, placche da sclerosi multipla,
siringomielia.
In questa review si prendono in esame
i principali sintomi che contribuiscono
ad accreditare la diagnosi di dolore
centrale, neuropatico o talamico. La
presenza di lesione nervosa, valutata
in imaging, e i test neurofisiologici
permettono di completare il quadro
diagnostico.
SUMMARY
Central pain is the expression
of an injury and/or a primary
or secondary dysfunction
of the central nervous system.1
It is based on total or partial damage
along the spinal-thalamic-cortical
pathways and it may have cerebral
or spinal origin.
It has variable incidence according
to its etiology: 8-10% in stroke patients,
30% in multiple sclerosis patients,
30-60% in paraplegic patients.2-3
At the spinal level, the most frequent
causes are: traumatic injuries, cancer,
plaques from multiple sclerosis,
syringomyelia.
In this review, we examine the main
symptoms that contribute to confirm
the diagnosis of central pain,
neuropathic or thalamic.
The presence of nerve injury,
evaluated by neuroimaging and
neurophysiological tests, allows us to
complete the diagnostic picture.
Parole chiave
Dolore centrale, sintomi, diagnosi
Key words
Central pain, symptoms, diagnosis
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
13
DEFINIZIONE
Il dolore centrale è un dolore, iniziato
o causato da una lesione primitiva o
da una disfunzione del sistema nervoso centrale,1 che può essere localizzato a una parte più o meno estesa del
corpo, o limitato al viso e/o agli arti.
La distribuzione del dolore dipende
dalla sede della lesione lungo le vie
spino-talamo-corticali.
sione a qualsiasi livello dell’asse (del
corno dorsale del midollo spinale)
spino-talamo-corticale.
Nel dolore post-ictus, in particolare,
il danno e la disfunzione dei neuroni cerebrali possono determinare
anomali impulsi neuronali ectopici e
alterare le comunicazioni tra differenti strutture cerebrali, determinando
disinibizione o eccitamento di determinate aree cerebrali.4 Le forme principali di dolore centrale neuropatico
sono illustrate nella Tabella 1.6
Il dolore centrale talamico può far seguito a lesioni vascolari, ischemiche,
emorragiche, a malformazioni artero-venose, tumori (gliomi), lesioni
traumatiche e infezioni (toxoplasmo-
Tabella 1
Forme principali di dolore
neuropatico di origine centrale
EPIDEMIOLOGIA
Mielopatia compressiva
Mielopatia da HIV
Dolore associato a sclerosi multipla
Nevralgia trigeminale
Dolore associato a malattia di Parkinson
Mielopatia post-attinica
Dolore post-ictus
Dolore da trauma midollare
Siringomielia
L’incidenza e la prevalenza del dolore centrale (che può essere di natura
neuropatica o talamica) sono del 3060 per cento nei pazienti con lesioni traumatiche spinali, dell’8-10 per
cento nei pazienti colpiti da ictus cerebrale con eventi ischemici o emorragici in sede talamica, circa del 30 per
cento nei pazienti affetti da sclerosi
multipla (nevralgia trigeminale).2,3
EZIOPATOGENESI
Il dolore centrale può insorgere dopo
lesioni vascolari, tumori (gliomi), siringobulbie e sclerosi multipla, che
interessino il tronco cerebrale. È
frequente dopo lesioni del midollo
spinale, traumatiche, tumorali, da
siringomielia o da placche di sclerosi
multipla. Può conseguire anche a interventi sul sistema nervoso centrale
effettuati per lenire il dolore cronico
(cordotomie, talamotomie, mesencefalotomie).4,5
Il dolore neuropatico centrale può
originare da un’anomala attività dei
neuroni centrali per un danno o le-
14
Tabella 2
Meccanismi eziopatogenetici ipotizzati nel dolore centrale
Cervello
Midollo spinale
Alterato gate-control
Alterato gate-control
Modificazioni molecolari
Denervazione ipersensività
del corno posteriore
Modificazioni delle espressioni geniche
Modificazioni molecolari
Modificazioni dei campi recettoriali
Modificazioni delle espressioni geniche
Modificazioni dei campi recettoriali
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
si). In ogni caso, perché si verifichi,
è necessario che vi sia un danno del
complesso nucleare ventro-posteriore
(ventro-caudale) del talamo. La sindrome talamica è caratterizzata da
dolore spontaneo o evocato da ogni
tipo di stimolo, emianestesia e talora
emiparesi transitoria. Si ritiene, peraltro, che tutte o la maggior parte delle modificazioni nel sistema nervoso
centrale (Tabella 2), siano dovute a
segnali anomali a partenza dalla periferia che inducono l’ipereccitabilità
dei neuroni sensitivi primari.
Questo processo rappresenta un
obiettivo primario per un intervento
terapeutico.5 Il paziente con dolore centrale può prendere in prestito
termini della tassonomia della nocicezione che non catturano la realtà
del dolore centrale. Alternativamente, il paziente può inventare termini
descrittivi bizzarri o vaghi. Alcuni dei
comuni termini descrittivi del dolore
centrale sono misteriosamente vicini
a quelli che possono essere, in effetti,
i meccanismi.
Per esempio, la comune descrizione
di disestesia, “come acido sotto la
mia pelle”, è parallela all’acidosi perineurale che sensibilizza nocicettori
e vie nocicettive nella pelle, midollo
spinale e talamo.7 La trasmissione
nocicettiva nel dolore centrale può
essere anomala lungo tutta la via fino
alla corteccia. La funzione corticale interpreta i messaggi che passano
dal talamo, permettendo ai neuroni
danneggiati di distorcere la natura e
la gravità del dolore.8 Il dolore percepito è designato a rivelare stimolo
e gravità delle minacce all’organismo
intatto. Una caratteristica del dolore
centrale è che anche il tocco leggero
risulta doloroso.9
CRITERI DIAGNOSTICI
La diagnosi di dolore centrale, (così
come quella di dolore neuropatico periferico), è fondamentale per
sviluppare un piano di trattamento
corretto. Il medico algologo deve approfondire tutti i possibili meccanismi che hanno generato il dolore in
ciascun paziente, includendo fattori
fisiologici, psicologici e sociali.
Tabella 3
Definizione di termini somatosensitivi presenti nel dolore neuropatico
Allodinia: dolore conseguente a stimoli di natura e di intensità normalmente non algogeni.
Iperalgesia: condizione nella quale la risposta a uno stimolo di per sé algogeno
risulta marcatamente maggiore rispetto a quella attesa.
Iperpatia: condizione nella quale le risposte soggettive, sia a stimoli normalmente
dolorosi, che non dolorosi, sono esagerati, spesso persistenti dopo un lungo periodo
di tempo dalla rimozione dello stimolo stesso.
Estensione del dolore: un’area di iperalgesia cutanea che si espande al di là della
distribuzione dermatomerica del nervo alla quale era originariamente associata.
Parestesia: formicolio non doloroso o altre forme di sensazioni distorte.
Quando tali sensazioni divengono dolorose si parla di disestesia.
Ipoalgesia: dolore ridotto in risposta ad uno stimolo normalmente doloroso.
Ipoestesia: diminuita sensibilità allo stimolo tattile.
Tabella 4
I sette sintomi del dolore centrale
Dolori muscolari
Disestesia
Iperpatia
Allodinia
Dolore a tipo scossa elettrica o lancinante
Dolore circolatorio
Dolore peristaltico o viscerale
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
15
I fini della diagnosi sono:
- localizzare il dolore;
- valutarne l’intensità e la qualità;
- studiarne il decorso nel tempo;
- considerarne i fattori precipitanti o
allevianti;
- approfondire le cause fisiopatologiche del dolore centrale del paziente;
- spiegare la risposta comportamentale del paziente al dolore;
- valutare lo stato funzionale del paziente (attività durante un giorno tipico);
- identificare le condizioni di comorbidità correlate al dolore (mediche e
psicologiche);
- valutare i fattori psicosociali che
possono essere una componente integrale della condizione del paziente;
- se necessario, ricorrere all’assistenza di specialisti di altre discipline per
sviluppare una diagnosi e un trattamento multidisciplinari. Non tutti i
fenomeni somatosensitivi presenti nel
dolore neuropatico periferico sono di
solito presenti nel dolore centrale (Tabella 3). I sintomi di solito associati
al dolore centrale sono elencati nella
Tabella 4. I dolori muscolari comprendono la “disestesia cinestesica”
o dolore derivante dal movimento e
la “disestesia isometrica”. I pazienti
con disestesia cinestesica si muovono
il meno possibile, mentre quelli con
disestesia isometrica possono percepire un dolore urente o pulsante, tipico
di chi sia stato seduto in viaggio nella medesima posizione per un tempo
molto lungo. I pazienti possono provare l’urgenza di muoversi, ma essere costretti a immobilità dal dolore
delle estremità.7 La compressione di
muscoli e tendini può alleviare questa
sensazione. La disestesia rappresenta
di gran lunga il sintomo predomi-
16
nante e più frequente nel dolore centrale. È scarsamente localizzata dal
momento che non fornisce alcuna informazione sensitiva discriminante. È
estremamente spiacevole e interessa il
corpo al di sotto della lesione e anche
al di sopra, se è interessato il tratto
discendente del quinto nervo cranico.
I pazienti presentano di solito disestesia urente sia spontanea continua
che evocata. Una caratteristica importante della disestesia evocata nel
dolore centrale è il ritardo temporale
dall’inizio del tocco persistente, alla
percezione dell’aumento del dolore
urente. Questa caratteristica distingue
il dolore centrale da quello neuropatico periferico nel quale il dolore da
tocco leggero è istantaneo.10-16 Il paziente con dolore centrale grave ten-
de a indossare meno vestiti possibile,
cercherà una zona a temperatura ambiente tollerabile, può soffrire di notte del contatto con le lenzuola e sarà
probabilmente labile emotivamente.17 L’iperpatia è stata classicamente
considerata come segno di lesione
del tratto spinotalamico e contiene
informazioni discriminative.18 Si può
riscontrare allodinia localizzata, termica e tattile. Il dolore intermittente
a tipo scossa elettrica o lancinante è
stato paragonato a uno shock elettrico. È essenziale per la diagnosi differenziale.19 Il dolore di tipo vascolare
è comunemente descritto come puntura di aghi o spilli o, se grave, come
“camminare su dei vetri rotti”. Il
dolore viscerale è percepito come un
rigonfiamento intestinale intermit-
Tabella 5
Categorie di farmaci raccomandati nel dolore centrale
AntidepressiviAmitriptilina
Clomipramina
Imipramina
Maprotilina
Paroxetina
Desimipramina
Carbamazepina
AnticonvulsivantiFenitoina
Valproato
Clonazepam
Baclofen
Gabapentin
Antiaritmici Anestetici locali
Mexiletina
OppioidiOrali
TDS
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
tente o come uno stimolo urente o
di ripienezza della vescica. In alcuni
tetraplegici può rappresentare l’unica
manifestazione del dolore centrale.
Solo alcuni test di laboratorio possono essere utili nella diagnosi di dolore
centrale. Le tecniche di neuroimaging
forniscono una dettagliata immagine
strutturale del sistema nervoso e possono identificare l’eventuale lesione
scatenante, la cui rimozione potrebbe
risolvere la sintomatologia dolorosa e
i test neurofisiologici permettono di
completare il quadro diagnostico.
I test sensitivi quantitativi, che misurano lo stato funzionale della fibre
nervose grandi e piccole, possono
rappresentare un test diagnostico importante, ma sono più frequentemente utilizzati nella ricerca sui meccanismi del dolore neuropatico.
In molte sindromi dolorose neuropatiche i risultati di tutti i test di laboratorio disponibili sono normali.
FARMACOTERAPIA
DEL DOLORE CENTRALE
NEUROPATICO
Il dolore centrale neuropatico è una
condizione difficile da trattare.
Una review dei lavori sull’argomento
suggerisce che un singolo farmaco offre nella migliore delle ipotesi un beneficio clinicamente importante solo
nel 40-60 per cento dei pazienti e un
completo sollievo in un numero molto minore. Quando la monoterapia
ha un’azione analgesica insufficiente
può essere utile un approccio basato
sul meccanismo d’azione dei farmaci per la selezione di un trattamento
aggiuntivo. Questo approccio si basa
su combinazioni di farmaci con mec-
canismo d’azione complementare.20,
21
Dal momento che l’ipereccitabilità del sistema nervoso è associata a
un’anomala regolazione dei canali del
sodio, questo processo rappresenta
un obiettivo primario per un intervento terapeutico.6 A livello spinale, il blocco dei canali del calcio, in
particolare di quelli di tipo N, può
modificare significativamente la reazione al dolore.22 La farmacoterapia
del dolore neuropatico si basa su una
serie di osservazioni emerse da studi
clinici e sperimentali. Nelle Tabelle
5 e 6 sono riportati i farmaci in uso
secondo la classe di appartenenza e il
meccanismo di azione. L’uso clinico
di certi farmaci è reso problematico
dalla scarsa maneggevolezza e tollerabilità, soprattutto in pazienti anziani
sottoposti a politerapie.
FARMACI AGENTI
SUI CANALI IONICI
Anestetici locali
L’infusione endovenosa non è diffusa, dal momento che non è un modo
conveniente di somministrazione per
pazienti con condizioni neuropatiche
croniche. Inoltre la lidocaina si lega
in maniera non specifica ai canali del
sodio, nei tessuti nervosi, gastrointestinale e cardiaco con numerosi effetti
indesiderati. Dose efficace: 1,5 - 5 mg/
Kg. È più efficace nel dolore da lesioni
periferiche che nel dolore centrale.
Il patch di lidocaina 5% è raccomandato come trattamento di prima linea
nella NPH, data la sua eccellente sicurezza e tollerabilità. Uno studio
su pazienti con neuropatia diabetica
Tabella 6
Farmaci agenti sui canali ionici
Canali del sodio
Canali del calcio
Anestetici locali
Gabapentin
Lidocaina ev, patch 5%
(900-3600 mg/die)
MexiletinaPregabalin
(> 600 mg/die)
(150-600 mg/die)
FenitoinaTopiramato
(300 mg/die)
(400 mg/die)
CarbamazepinaLamotrigina
Oxcarbazepina
(750-1100 mg/die)
Lamotrigina
(200 mg/die)
Amitriptilina
(10-25 mg/die)
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
17
ipotizza che possa essere efficace nei
dolori neuropatici, anche in assenza
di allodinia.23
Mexiletina
I risultati sono incostanti nella neuropatia diabetica e nelle lesioni periferiche; nessuna efficacia nel dolore dei
medullolesi e nelle neuropatie associate a HIV.
Comune l’effetto collaterale di distress
gastrointestinale.
Dose efficace > 600 mg/die.
Fenitoina
L’inibizione del rilascio presinaptico
di glutammato, in aggiunta al blocco
dei canali del sodio, sembra contribuire al suo meccanismo d’azione nella
nevralgia del trigemino.
Il suo uso è limitato dalle multiple interazioni farmacologiche e dalla complessa cinetica.
Dose efficace 300 mg/die.24
Carbamazepina
Approvata dalla FDA per il trattamento del dolore neuropatico, in particolare nella nevralgia del trigemino.
Il suo uso è limitato dagli effetti collaterali di sedazione, interazioni farmacologiche e necessità di regolare monitoraggio.24
Oxcarbazepina
Induce minori effetti collaterali di
vertigine, affaticamento e sonnolenza
rispetto alla carbamazepina.
Dose efficace 750-1100 mg/die.
Lamotrigina
È efficace nel dolore associato a neuropatia diabetica, nevralgia del trigemino, neuropatia da HIV, dolore centrale neuropatico, dolore post-ictus e nei
18
pazienti con lesioni midollari incomplete con effetto particolare sull’allodinia tattile. Ha un’alta incidenza di
rash e di interazioni farmacologiche.
Dose efficace 200 mg/die.
Antidepressivi triciclici
(amitriptilina)
Sono efficaci nella neuropatia diabetica e nella NPH. L’inibizione del
re-uptake noradrenergico e serotoninergico occorre nelle vie sopraspinali
e probabilmente modula il dolore attraverso le vie inibitorie discendenti.
Non è chiaro quanto il blocco dei
canali del sodio dell’amitriptilina sia
coinvolto nella sua efficacia. L’uso è
limitato dall’alta frequenza di effetti
anticolinergici come tosse secca e costipazione.
È necessaria molta cautela in pazienti
con cardiopatie, glaucoma, ritenzione
urinaria o neuropatia del sistema nervoso autonomo.
Dose efficace 10-25 mg/die.
Gabapentin
È efficace in molti tipi di dolore neuropatico tra cui il dolore cronico dei
medullolesi. Induce effetti collaterali
come vertigini, sedazione, sonnolenza
e atassia.25
Dose efficace 900-3600 mg/die.
Pregabalin
Approvato dalla FDA nella neuropatia
diabetica e nella nevralgia posterpetica
(NPH). La diminuzione dell’influsso
di calcio riduce la presenza di glutammato, sostanza P e noradrenalina nelle
sinapsi.
Dose efficace 150-600 mg/die.
Topiramato
I meccanismi d’azione sono multipli.
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
È efficace nella neuropatia diabetica e
nella nevralgia del trigemino.
Induce alta frequenza di rallentamento psicomotorio, inibizione dell’anidrasi carbonica, calcoli renali e interazioni farmacologiche.
Dose efficace 400 mg/die.
ANALGESICI OPPIOIDI
Esiste finora un solo lavoro randomizzato, in doppio cieco, placebocontrollato mediante test sensitivi
quantitativi, sull’uso degli oppioidi
nel dolore centrale nei medullolesi.26
Gli autori hanno concluso che la morfina per via endovenosa è largamente
inefficace nel dolore spontaneo continuo, ma che riduce in maniera significativa l’allodinia tattile.
Nessun effetto sulla soglia sensitiva o
dolorosa per gli stimoli meccanici e
termici o sull’iperalgesia meccanica o
termica.
La dose di morfina usata è quella massima tollerata.
Uno studio successivo sull’impiego di
butorfanolo per via orale nel dolore
neuropatico, inclusi pazienti con dolore centrale, è giunto a una conclusione analoga, sebbene questo studio
abbia ottenuto i risultati migliori nel
dolore dei medullolesi.27
I risultati di questi due rigorosi studi
confermano i report aneddotici che il
dolore neuropatico di origine centrale
risponde alla terapia oppioide meno
del dolore da lesione nervosa periferica.
Nonostante alcuni risultati positivi
sull’efficacia degli oppioidi nel dolore neuropatico rimangono dei dubbi
riguardo all’opportunità del loro impiego a lungo termine.28-32
TRATTAMENTO
NEUROCHIRURGICO
Circa il 10 per cento dei pazienti colpiti da ictus è affetto da dolore neuropatico intrattabile. La Deep Brain Stimulation (DBP) è stata tentata con successo in passato, ma a causa degli scarsi
successi e della limitata casistica, negli
anni Ottanta questa tecnica è stata abbandonata.33 Tuttavia, con la ripresa
della chirurgia funzionale per i disturbi
del movimento, l’impiego della RMN
per la localizzazione stereotassica del
bersaglio, elettrodi più sicuri con mandrino interno e pacemaker maggiormente affidabili, questa importante
indicazione va rivista. In casi di dolore
intrattabile come il dolore post-ictus,
il dolore neuropatico trigeminale o dolore da deafferentazione di altra origine, può essere efficace la stimolazione
epidurale dell’area corticale motoria.34,
35
La stimolazione elettrica subliminale
dell’area motoria conduce alla modulazione delle aree dolorose quali il talamo mediale, il giro cingolato anteriore
e della parte superiore del tronco cerebrale. Finora circa 350-400 pazienti
in tutto il mondo sono stati trattati
con questa terapia neuromodulatoria,
sebbene non esistano linee guida relative alle indicazioni per l’intervento,
il sito di stimolazione e i parametri di
stimolazione per le differenti sindromi
dolorose. La stimolazione della corteccia motoria rappresenta un’opzione
di trattamento per i pazienti con dolore cronico neuropatico localizzato al
volto e alle estremità superiori. Su 17
pazienti con dolore neuropatico cronico è stata ottenuta una percentuale di
successo del 50 per cento(nevralgia trigeminale) e 43 (dolore post–ictus).36,37
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19
Popolazioni speciali
Insufficienza renale
In casi di grave compromissione renale (clearance della creatinina tra 10 e 30 ml/min) l’eliminazione di paracetamolo è leggermente ritardata, con un’emivita di eliminazione compresa tra 2 e 5,3 ore. Per i glucuroconiugati e i sulfoconiugati, la velocità di eliminazione è 3 volte più lenta nei soggetti con
grave compromissione renale rispetto a soggetti sani. Perciò si raccomanda di aumentare l’intervallo minimo tra due somministrazioni a 6 ore quando
il paracetamolo viene somministrato a pazienti con grave compromissione renale (clearance della creatinina ≤ 30 ml/min) (vedere paragrafo 4.2 Posologia e modo di somministrazione).
Anziani
La farmacocinetica e il metabolismo del paracetamolo non sono modificati nei soggetti anziani. Non si richiede un aggiustamento posologico in questa
popolazione.
5.3 Dati preclinici di sicurezza
I dati preclinici non rivelano rischi speciali per l’uomo oltre le informazioni incluse in altri paragrafi di questo Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto.
Studi di tolleranza locale con paracetamolo soluzione per infusione nei ratti e nei conigli hanno mostrato buona tollerabilità. Nelle cavie è stata testata
l’assenza di ipersensibilità ritardata da contatto.
6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE
6.1 Elenco degli eccipienti
Glucosio monoidrato
Acido acetico
Sodio acetato triidrato
Sodio citrato diidrato
Acqua per preparazioni iniettabili.
6.2Incompatibilità
Tachipirina soluzione per infusione non deve essere miscelato con altri medicinali.
6.4 Precauzioni particolari per la conservazione
Non conservare a temperatura superiore ai 25°C. Non refrigerare o congelare.
Tenere le sacche nell’imballaggio esterno per proteggere il medicinale dalla luce.
Da un punto di vista microbiologico, a meno che il metodo di apertura garantisca contro il rischio di contaminazione microbica, il farmaco deve essere
usato immediatamente. In caso di uso non immediato, i tempi e le condizioni di conservazione sono responsabilità dell’utilizzatore.
6.5 Natura e contenuto del contenitore
Sacche in PVC da 50 ml e 100 ml, dotate di un punto di connessione per il set di somministrazione, racchiuse in un contenitore di plastica argentata.
Confezioni: 1 e 12 sacche.
6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione
La soluzione deve essere ispezionata visivamente e non deve essere utilizzata in presenza di opalescenza, particelle visibili o precipitati.
Non riutilizzare. La soluzione non utilizzata deve essere eliminata.
Il medicinale non utilizzato ed i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità alla normativa locale vigente.
depositato AIFA il 09.10.2012
6.3 Periodo di validità
18 mesi.
7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
Aziende Chimiche Riunite Angelini Francesco - A.C.R.A.F. S.p.A. - Viale Amelia, 70 - 00181 ROMA.
8. NUMERO DELL’ AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO
Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione, 1 sacca da 50 ml
AIC n. 012745232
Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione, 12 sacche da 50 ml
AIC n. 012745244
Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione, 1 sacca da 100 ml
AIC n. 012745257
Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione, 12 sacche da 100 ml
AIC n. 012745269
9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE O DEL RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE
1 Agosto 1957/1 Giugno 2010
10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO
Settembre 2012
INFORMAZIONI AGGIUNTIVE
Tachipirina 10mg/ml soluzione per infusione, conf 12 sacche da 50 ml
- Classe C – OSP
- Prezzo: 54,50 euro
cod. 529370
Tachipirina 10mg/ml soluzione per infusione, conf 12 sacche da 100 ml
- Classe C – RR
- Prezzo: 92,65 euro
Articolo originale
TERAPIA IPOSTIMOLANTE
MEDIANTE BLOCCHI ANESTETICI
NEL DOLORE CRANIO-FACCIALE
HYPOSTIMULATION THERAPY USING ANESTHETIC BLOCKS
IN THE CRANIOFACIAL PAIN
Claudio Antonio Caputi, Vincenzo Firetto
S.O.D. di Medicina del Dolore
Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ospedali Riuniti - Ancona
RIASSUNTO
Si è valutata l’efficacia terapeutica
del blocco dei nervi sovraorbitario
(SN) e grande occipitale (GON) in
262 pazienti affetti da emicrania non
controllata dalla terapia convenzionale.
214 pazienti (82%) hanno risposto
favorevolmente al trattamento che,
privo di effetti collaterali,
ha mantenuto la sua efficacia
per un periodo di osservazione
di sei mesi. Inoltre sono stati sottoposti
ad analogo trattamento 180 pazienti
affetti da nevralgia trigeminale di cui
103 hanno ottenuto una remissione
completa delle crisi dolorose e 45
una remissione parziale ad un followup da 6 a 12 mesi.
Si auspica che tale esperienza, con
un adeguato approfondimento
neurofisiologico, possa rivelarsi un
mezzo utile anche ad un chiarimento
patogenetico.
Parole chiave
Emicrania, nevralgia trigeminale,
blocco anestetico del nervo
occipitale, blocco anestetico del nervo
sovraorbitario, CGRP
SUMMARY
The therapeutic value of greater
occipital and supraorbital nerve
blokade in 262 patients with migraine,
unresponsive to several combinations
of pharmacological treatments, was
investigated. Two-hundred-fourteen
patients (82%) responded well and
maintained a favorable response
during the six-month period of
observation. Furthermore, the same
treatment has been administered
to 180 patients who suffered from
trigeminal neuralgia. 103 of them
received a complete remission of
painful attacks while 45 persons had a
partial remission of the same symptoms
according to a six and twelve month
follow-up survey. The trigeminal nerve
hypersensitization coud be interrupted
by the performed procedure as the
following facial trigger point suppression
would suggest us.
We hope that this clinical
experience, together with a correct
neurophysiological study, could prove be
useful in clarify pathogenetic aspects.
Key words
Migraine, trigeminal neuralgia,
occipital nerve block, supraorbital nerve
block, CGRP
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
21
22
INTRODUZIONE
MATERIALI E METODI
Il dolore cranio-facciale costituisce
sempre un problema diagnostico talora scarsamente definibile per la sua
complessità anatomica e neurofisiologica e per il significato psicologico
che queste aree assumono.
Pertanto risulta difficile anche l’interpretazione dei meccanismi alla
base di trattamenti terapeutici che si
dimostrano efficaci. Osservazioni storicamente datate, ma valide e precise,
già evidenziavano un ruolo centrale
dei vasi cranici e del trigemino nella
patogenesi del dolore cefalico.1,2
È noto, inoltre, che fibre afferenti dalle tre radici cervicali superiori
convergono sui neuroni del nucleo
spinale del trigemino, nella parte superiore del midollo cervicale; perciò
è possibile che un disturbo in corrispondenza di questa regione provochi
dolore in territorio trigeminale.3,4
La dimostrazione, nell’uomo, di un
ricco supporto di fibre contenenti
sostanza P (SP) e calcitonin gene-related peptide (CGRP) nella sostanza
gelatinosa del subnucleus caudalis del
nucleo trigeminale e nelle lamine I e
II di Rexed del livello C1 e C2 del midollo cervicale, correla con l’evidenziazione, sempre nell’uomo, dell’esistenza di una convergenza funzionale
costituita da proiezioni nocicettive
cervicali ai nuclei trigeminali.5-7 Osservazioni cliniche supportano l’idea
che il nervo grande occipitale (GON)
può costituire la struttura irritabile
che, per cause diverse, genera dolore
occipitale e fronto-orbitale, controllabile, con vario grado di successo,
mediante blocchi anestetici e talora
con interventi neurolitici.8-16
Da tali premesse, un nostro studio
prospettico sulla efficacia terapeutica
del blocco ripetuto del nervo sovraorbitario (SON) combinato o meno
al blocco del GON in pazienti emicranici, risultava già conclusivo di
alcune incoraggianti evidenze.17 Successivamente sono stati trattati con
blocchi anestetici 262 pazienti, su
un totale di 531 emicranici osservati
in un periodo di circa cinque anni,
(64 maschi, 198 femmine; età media
43.4; min.12-max 82) di cui 230 con
emicrania senza aura e 19 con emicrania con aura secondo la classificazione della ICHD-II; 13 con cefalea
cervicogenica (CEH). In molti casi la
patologia era presente in media da diversi anni ed insufficientemente con-
trollata dalle terapie farmacologiche.
Il blocco anestetico dei nervi SON
e GON è stato eseguito mediante
iniezione perinervosa di bupivacaina 0,5% a livello dei punti di repere
epicranici, se risultanti dolenti alla
digitopressione, monolateralmente,
bilateralmente o in modo combinato
in relazione alla sede del dolore, per
almeno cinque giorni consecutivi.
L’avvenuto blocco è stato in tutti i casi
verificato dalla presenza di anestesia
nei territori corrispondenti. L’efficacia del trattamento è stata valutata
mensilmente fino a sei mesi per ogni
paziente mediante il conteggio del
numero totale di crisi di emicrania/
mese, il consumo di farmaci analgesici/mese e il Pain TotaI Index (PTI),
espressione integrata dell’intensità e
della durata delle crisi in un mese.
I pazienti sono stati considerati re-
Figura 1
Variazioni mensili (medie ± ES) del Total Pain Index (TPI)
T0 = mese precedente l’inizio del trattamento. T1 - T6 = sei mesi successivi al trattamento
350
T0
T1
T2
300
T3
T4
T5
T6
250
200
150
100
50
0
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
mesi
p=0,0001
sponsivi al trattamento quando il PTI
è diminuito di almeno il 50% dopo il
primo mese di terapia. L’analisi statistica è stata effettuata mediante il test
di Wilcoxon (Figure 1 e 2).
Per il dettaglio dei criteri di valutazione ed i metodi usati si fa riferimento
a nostre precedenti pubblicazioni.17,18
RISULTATI
214 pazienti (82%) hanno risposto
favorevolmente durante i sei mesi di
osservazione. Il trattamento si è dimostrato privo di effetti collaterali ed
ha anche consentito, in molti casi, la
sospensione di ormai inefficaci terapie farmacologiche in atto e, in altri
casi, la quasi immediata sospensione
dell’abusata assunzione di sintomatici. Tale trattamento di profilassi
costituisce un protocollo terapeutico
che viene applicato a circa il 50% dei
pazienti, affetti da vari tipi di cefalee a
prevalente componente vascolare, annualmente osservati nel nostro Centro. La diretta esperienza maturata
nell’ambito delle cefalee ed alcuni reports della letteratura relativi al trattamento della nevralgia trigeminale
mediante il blocco anestetico delle
branche nervose periferiche, ci hanno indotto a verificare l’efficacia dei
blocchi anestetici dei nervi epicranici anche nel controllo delle nevralgie
trigeminali.19-21
Pertanto sono stati sottoposti a ripetuti blocchi anestetici dei nervi
epicranici (da 5 a 8) delle branche
interessate 136 soggetti affetti da nevralgia trigeminale idiopatica e 44 da
nevralgia trigeminale secondaria. 103
pazienti hanno ottenuto una remissione completa della sintomatologia
(n. 39 a 6 mesi, n. 52 a 12 mesi); 45
pazienti hanno ottenuto una remissione parziale, consistente in una riduzione in intensità e frequenza delle
crisi dolorose quotidiane ≥ 50% (n.
24 a 6 mesi, n. 11 a 12 mesi); 32
pazienti hanno ottenuto una insufficiente remissione delle crisi quotidiane (< al 50%) (Tabella 1). L’intensità
del dolore è stata valutata mediante
una scala analogica visiva da 0 a 100
mm. Alcuni pazienti hanno potuto
interrompere o ridurre la terapia farmacologica in atto.
DISCUSSIONE
E CONCLUSIONI
In accordo con le attuali acquisizioni sul ruolo patogenetico centrale
del sistema trigemino-vascolare, noi
riteniamo che la prolungata efficacia
clinica del trattamento nei soggetti
emicranici può ricondursi al blocco dell’infiammazione neurogena
trigeminale perivascolare da parte
dell’anestetico locale, mediante un
meccanismo di inibizione del trasporto assonale e quindi del flusso
antidromico dei mediatori del riflesso
assonale quali la S P e la CGRP.5, 22-24
La mancata depolarizzazione cellulare, per effetto del blocco dei canali del
sodio da parte dell’anestetico locale,
inibendo il rilascio di CGRP interromperebbe la vasodilatazione e la
permeabilizzazione con conseguente
stravaso di peptidi, fattori locali della
sensibilizzazione algogena.
Si otterrebbe in tal modo la normalizzazione della soglia di risposta dei
nocicettori del primo neurone sensitivo.
Figura 2
Variazione medie mensili del numero totale di crisi emicraniche,
del numero delle crisi forti (grado 3) e del numero di dosi di analgesici
N. totale crisi/mese
14
N. totale inten. 3/mese
N. dose analg./mese
12
10
8
6
4
2
0
basale
1° mese
2° mese
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
3° mese
4° mese
5° mese
6° mese
23
Analogamente la tossina botulinica,
la cui somministrazione locale ha
recentemente evidenziato una certa
efficacia terapeutica sugli emicranici,
agirebbe inibendo il rilascio di tutti
i neurotrasmettitori tra cui il CGRP
per effetto del blocco della fusione
della vescicola sinaptica a livello della
membrana cellulare.25,26
Il ricorrere delle crisi nel tempo
può condurre, negli emicranici, ad
un allargamento dei campi ricettivi
epicranici insieme a una diminuzione della soglia nocicettiva cutanea e
intracranica perivascolare e il blocco
del GON può ridurre sia il dolore
che l’allodinia cutanea, espressione di
sensitizzazione centrale.27,28
L’intervento terapeutico, attuato
mediante blocchi anestetici ripetuti,
comporterebbe un durevole effetto
iposensibilizzante sui nocicettori periferici “riequilibrando” la loro soglia
di attivazione e arrestando l’induzione di meccanismi neuroplastici
di ipersensibilizzazione centrale che
potrebbero tradursi clinicamente in
cronicizzazione.
Il trattamento ipostimolante, anche
se attuato perifericamente e senza
influenzare apparentemente il “primum movens”, potrebbe interferire
con la fase di formazione e trasmissione dello stimolo algico su un sistema trigeminale irritabile; inserendosi quindi in un momento centrale
del meccanismo patogenetico della
crisi emicranica. I dati attuali ci permettono di considerare i blocchi dei
nervi epicranici una metodica efficace nel ridurre nel tempo l’intensità e
la frequenza delle crisi emicraniche
e, quindi, assimilabile ad un utile e
conveniente trattamento di profilassi.
Anche nell’ambito delle nevralgie tri-
24
geminali i blocchi anestetici si sono
rivelati sicuramente vantaggiosi per
indurre periodi, anche protratti, di
remissione della sintomatologia con
conseguente sinergia e/o riduzione
della terapia farmacologica, in taluni
casi poco tollerata, e ridurre o procrastinare trattamenti neurolesivi. In
tal caso essi agirebbero interrompendo, seppur temporaneamente, uno
stato di ipersensibilità del nervo con
conseguente soppressione delle zone
trigger. Recenti osservazioni riportate in letteratura evidenzierebbero
l’efficacia nel controllo del dolore da
nevralgia trigeminale refrattaria sia
della somministrazione di sumatriptan sia delle iniezioni di tossina botulinica tipo A.29,30 Nel primo caso
è noto che l’attivazione dei recettori
5-HT1B/1D da parte del triptano
inibisce il rilascio di CGRP. Pertan-
to anche in tal caso è ipotizzabile che
il controllo del dolore è effetto della
inibizione dell’infiammazione neurogenica, probabile induttore di scariche ectopiche
In conclusione il controllo del dolore nell’emicrania e nella nevralgia
del trigemino, patologie a patogenesi sicuramente diversa, ottenuto con
farmaci e trattamenti che, seppur con
meccanismi diversi, agirebbero inibendo il CGRP, evidenzia un ruolo
patogenetico comune ed assolutamente centrale di tale peptide.
In considerazione della semplicità di
esecuzione della metodica, rivelatasi
priva di effetti negativi, rapportata ai
potenziali benefici, riteniamo tali dati
più che incoraggianti sia dal punto di
vista clinico che per la comprensione
dei meccanismi patogenetici di tali
patologie.31
Tabella 1
Risultati clinici del trattamento delle nevralgie trigeminali
mediante blocchi anestetici
Risultato clinico
Pazienti
Durata dell’effetto
3 mesi
6 mesi
12 mesi
Remissione completa
103
12
39
52
Remissione parziale
45
10
24
11
Remissione insufficiente
32
Totale pazienti180 (età media 67 anni; maschi 73; femmine 107)
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
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25
Casi clinici
LA TERAPIA INTRATECALE
NELLE VASCULOPATIE
CASO CLINICO DI ERITROMELALGIA PRIMARIA
INTRATHECAL THERAPY IN VASCULAR DISEASES
CLINICAL CASE OF ERYTHROMELALGIA
Rosario Russo, Marilena Cittadino
S.O.D. Terapia del Dolore
AO Pugliese Ciaccio, PO De Lellis, Catanzaro
Antonio Russo
Biologia Molecolare
AO Pugliese Ciaccio, PO De Lellis, Catanzaro
RIASSUNTO
L’eritromelalgia primaria è una
sindrome clinica rara a eziologia
sconosciuta caratterizzata
da vasodilatazione parossistica
che si presenta con eritema, dolore
urente e aumento della temperatura
cutanea localizzata a livello delle
estremità (piedi, più raramente mani).
La terapia per questa patologia
non è ancora standardizzata
e consiste nella somministrazione
di diversi farmaci o nell’impiego
di tecniche invasive che possono
essere efficaci in alcuni pazienti
e di nessun beneficio in altri.
Riportiamo qui il caso di una paziente
di 31 anni che, dopo varie terapie
risultate inefficaci, è stata trattata
con successo con ziconotide intratecale.
Parole chiave
Ziconotide, infusione spinale,
eritromelalgia primaria
SUMMARY
Erythromelalgia is a rare clinical
syndrome, characterized by erythema,
burning pain and increased skin
temperature in the extremities.
The therapeutic treatment of this
pathology is not yet standardized
and both the administration of
several drugs or the use of invasive
techniques can be effective in some
patients and without effect in others.
We report the case of a 31-yearsold women affected by primary
erythromelalgia that after several
ineffective therapeutic treatments,
was successfully treated with
intrathecal ziconotide.
Key words
Ziconotide, spinal infusion, primary
erithromelalgia
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
27
INTRODUZIONE
L’eritromelalgia è una sindrome clinica molto rara, caratterizzata da vasodilatazione parossistica che si presenta con comparsa di eritema, dolore
urente e aumento della temperatura
cutanea a livello delle estremità inferiori e più raramente delle estremità
superiori.1 La gravità degli attacchi
è variabile, può esprimersi con solo
lieve dolore localizzato, oppure comportare importanti disabilità funzionali.1,2 Per quanto riguarda la localizzazione è stato stimato che nell’88
per cento dei casi vi è interessamento
delle estremità inferiori, nel 26 per
cento delle estremità superiori, ma è
possibile anche che tutte le estremità,
superiori e inferiori, siano interessate
contemporaneamente.1,2
Descritta per la prima volta nel 1834,
solo nel 1878 Mitchell coniò il termine eritromelalgia.1,3 Eritromelalgia
deriva dalla combinazione di tre parole greche: erythros (rossore), melos
(estremità) e algos (dolore).1,2 Si stima che in tutto il mondo solo poche
migliaia siano le persone affette da
tale patologia.2 I sintomi sono esacerbati dal calore ed attenuati dal freddo
e l’eritromelalgia può compromettere
notevolmente la qualità della vita dei
pazienti.
La patologia viene classificata in una
forma primaria e una forma secondaria. La forma idiopatica è causata da
una mutazione del canale del sodio
NaV1,4 localizzata a livello del gene
SCN9A.5 Dal punto di vista patogenetico l’esatta eziologia è sconosciuta
anche perché essendo una patologia
rara le ricerche sono limitate a un esiguo numero di casi. Sono state pro-
28
poste diverse teorie a riguardo. Le più
accreditate sono l’ipotesi neurologica
e l’ipotesi vascolare. La prima ipotesi
prevede una possibile degenerazione
del plesso nervoso autonomo della
cute, che causerebbe una secondaria
alterazione vascolare a cui seguirebbe la comparsa della sintomatologia.
La seconda ipotesi, è quella vascolare
secondo la quale una primaria alterazione della normale vasocostrizione e
vasodilatazione creerebbe stati di iperemia e ipossia tissutale che possono
causare una degenerazione nervosa e
l’insorgenza delle manifestazioni caratteristiche.6
È di vitale importanza una terapia
comportamentale come evitare fonti di calore, non indossare calze, indossare scarpe aperte, tenere basso il
riscaldamento in casa, inoltre è possibile una terapia farmacologica a base
di diversi farmaci che tuttavia non
risultano efficaci in tutti i pazienti,
per esempio aspirina, gabapentin,
inibitori del reuptake della serotonina, prostaglandine, antidepressivi triciclici, magnesio, calcio-antagonisti,
nitro prussiato di sodio.1 In caso di
fallimento sono suggerite procedure invasive come il blocco dei gangli
simpatici, la simpatectomia chirurgica e infusione epidurale di oppiacei.1,2
A oggi, comunque, non esiste un approccio terapeutico standardizzato.
Nel caso presentato in questo report,
una paziente affetta dalla sindrome
descritta, dopo numerosi tentativi terapeutici infruttuosi, è riuscita a trarre grande giovamento dal trattamento con ziconotide intratecale. Il razionale di tale scelta deriva dal fatto che,
come si leggerà più avanti, l’utilizzo
di oppiacei per via intratecale aveva
Figura 1
Prima del trattamento
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
dato risultati positivi ma con effetti
collaterali non accettabili.
Ziconotide
Attualmente la somministrazione intratecale (IT) di farmaci è una delle
pratiche più utilizzate per il trattamento di pazienti con dolore refrattario. Il vantaggio, rispetto ad altre
vie di somministrazione, è quello di
ottenere un effetto analgesico paragonabile o migliore con dosaggi più
bassi e spesso con un maggiore livello di tollerabilità. Uno dei farmaci a
somministrazione IT più studiati è
ziconotide,4,7,8 un analogo sintetico di
un omega-conopeptide, estratto dal
veleno del gasteropode marino conus
magus. Ziconotide agisce sui canali
del calcio Ca2+ voltaggio dipendenti (CCVDs) di tipo N, i CCVDsN,
concentrati soprattutto nelle terminazioni presinaptiche delle fibre afferenti primarie Aδ e C localizzate nelle
lamine superficiali del corno dorsale
del midollo spinale. Mediante l’apertura/chiusura di questi canali viene
regolato il rilascio di neurotrasmettitori come i neuropeptidi e gli aminoacidi eccitatori che attivano i neuroni nocicettivi di second’ordine delle
corna dorsali. Ziconotide, bloccando
i CCVDsN, previene la liberazione
dei neurotrasmettitori e conseguentemente l’attivazione dei neuroni nocicettivi. Ziconotide è destinato esclusivamente a un uso intratecale per
infusione continua attraverso catetere
tramite una pompa meccanica o elettronica esterna o interna, capace di
erogare un volume preciso di soluzione. I risultati di diversi studi hanno
dimostrato l’efficacia e la sicurezza di
ziconotide, utilizzato conformemente
alle linee guida dell’FDA (Food and
Drugs Administration) e dell’EMEA
(European Medicines Agency).
Si è evidenziato anche il vantaggio
che la somministrazione prolungata
non sviluppa dipendenza o tolleranza, a differenza di quanto avviene
con la somministrazione ripetuta di
oppioidi.
CASO CLINICO
Premessa. Questo è un caso del 2010,
l’autore ha preferito osservare la paziente per 2 anni prima di pubblicare
il caso per accertare l’efficacia del trattamento
S.A. 31 aa. Donna caucasica
Affetta dall’età di 6 anni da eritromelalgia primitiva (diagnosi all’età di
18 anni) con vasodilatazione parossistica, dolore urente, aumento della
temperatura cutanea, arrossamento e
gonfiore dei piedi.
Patologie concomitanti:
esoftalmo con megacornea;
glaucoma bilaterale congenito con
perdita del visus a destra e forte riduzione a sinistra.
Nel corso degli anni i sintomi si sono
presentati con sempre maggiore frequenza richiedendo diversi ricoveri
ospedalieri. La paziente è stata trattata fino al 2008 con FANS, riposo
e spugnature fredde con buoni risultati. Nell’ottobre 2008 ha subito un
ennesimo ricovero: dopo circa due
mesi, visto che la sintomatologia
non regrediva e i farmaci in uso risultavano inefficaci, la paziente, che
nel frattempo riposava da mesi in
poltrona con i piedi in una bacinella
con acqua fredda, cambiata ogni 30
minuti, ci viene inviata dal reparto
Figura 2
Ricovero per impianto pompa definitiva
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
29
di dermatologia della nostra Azienda
per una consulenza. Alla prima visita
la paziente risulta molto sofferente:
lamenta intenso dolore con bruciore
continuo e scosse alle dita; cute caldissima, piedi e caviglie gonfi e tumefatti; cute fissurata per la permanenza
in acqua con zone violacee.
Il valore di NRSPI (numeric rating
scale pain intensity): 10.
Presenta zone di allodinia secondaria
nelle regioni perimalleolari bilateralmente e iperalgesia ai polpacci e al
collo del piede bilateralmente. La
paziente viene presa in carico dalla
nostra struttura. Si inizia un trattamento con:
- pregabalin 75 mg. x 2
- ossicodone 5 mg. x 2
Nelle settimane successive, con il
miglioramento della sintomatologia,
(NRSPI: 5-6) il dosaggio viene stabilizzato a:
- pregabalin 150 mg. x 2
- ossicodone 20 mg. x 2 poi ossicodone + naloxone.
Tale dosaggio è mantenuto fino a
giugno 2009 con ulteriore miglioramento (NRSPI: 3-4). Al controllo si
osserva il perdurare del gonfiore agli
arti inferiori, la diminuita sensazione di bruciore con necessità, non più
continua, di spugnature fredde, il riposo notturno regolare a letto. Fino
a febbraio 2010, con periodici aggiustamenti della terapia, la sintomatologia è tenuta sotto controllo. Anche
gli effetti collaterali degli oppiacei e
degli anticonvulsivanti sono ben controllati. Nel marzo 2010 si verifica
un improvviso peggioramento senza
cause scatenanti apparenti. La terapia
non funziona più. La temperatura atmosferica non è particolarmente calda. Si decide di ruotare l’oppioide e
30
di sostituire l’anticonvulsivante, ma
i sintomi non regrediscono (NRSPI:
9-10); l’aumento dei farmaci porta
a effetti collaterali gravi con estrema
sonnolenza, stipsi e profonda astenia.
Si opta per il ricovero e l’impianto di
una pompa intratecale. Si scarta l’ipotesi di un neurostimolatore perché la
scarsa letteratura disponibile non è favorevole per questi casi e inoltre la paziente si dichiara assolutamente contraria perché nel forum dei pazienti
affetti da tale patologia, una paziente, alla quale è stato impiantato un
neurostimolatore, scrive dell’assoluta
inutilità, nel suo caso, di questo device e si dichiara risoluta all’espianto.
Nell’aprile 2010 avviene il ricovero
per i test predittivi di efficacia che
sono routinari nel nostro Centro di
Terapia del Dolore in previsione di
impianto di pompa intratecale.
A tale scopo vengono eseguiti due
test: prima iniezione intratecale con
anestetico a basso dosaggio, seconda iniezione intratecale con oppiacei
a basso dosaggio, intervallate di 24
ore. Test all’anestetico: risposta interlocutoria. Test alla morfina 0.03 mg
in due cc: la paziente risponde positivamente con riduzione immediata
del dolore, ma poi lamenta intensissimo prurito al viso e al collo tanto
da procurarsi lesioni da grattamento.
Consideriamo comunque positiva la
risposta sul dolore della morfina ma
decidiamo di scartarla per l’effetto
collaterale manifestatosi e decidiamo di utilizzare ziconotide, farmaco
con il quale il Centro ha una buona
esperienza già dal 2007 con numerosi pazienti trattati. Dopo 15 giorni
la paziente viene ricoverata per l’impianto di un port-a-cath spinale per
Figura 3
Ultimo refill di ziconotide
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
la titolazione di ziconotide. Il farmaco viene somministrato con titolazione lenta partendo da 0,3 mcg/die
con micropompa CADD MS3 mod.
7400 fino al dosaggio di 1,2 mcg/die.
Risultato: NRSPI: 3, permane un
lievissimo bruciore, scompaiono l’allodinia e l’iperalgesia. L’anticonvulsivante è stato sospeso e l’oppiaceo per
os è ridotto a 5 mg x2. Si rileva inoltre un risultato inaspettato: le gambe
e i piedi, che al ricovero erano gonfi
e tumefatti, migliorano già dopo una
settimana e così permangono fino a
oggi. Alla fine della titolazione, la paziente viene nuovamente ricoverata
per l’impianto della pompa definitiva
modello meccanico Tricumed da 10
ml a 0.26 ml/die e dosaggio giornaliero di ziconotide di 1.8 mcg.
CONCLUSIONI
Il risultato del caso che abbiamo presentato è andato oltre le nostre previsioni e per alcuni aspetti ci appare
inspiegabile con le nostre conoscenze
attuali. Sicuramente ziconotide ha
ridotto sensibilmente il dolore urente alle estremità, ciò ha portato a un
miglioramento della qualità della vita
della paziente permettendole di riposare a letto e non in poltrona come
ormai faceva da mesi. Ha evitato il
perdurare della necessità di stare con
le estremità nell’acqua fredda (cosa
che si era mantenuta per mesi) consentendo un miglioramento delle
condizioni cutanee locali con scomparsa delle lesioni che parevano ormai
croniche.
È pensabile, ma da dimostrare, l’effetto di ziconotide anche su vie diverse da quelle fino a ora studiate e
documentate anche tenendo conto
della mutazione responsabile della
patologia trattata e del sito d’azione
di ziconotide a livello midollare.
Pur essendo limitato a un singolo
caso, questo risultato, inserito anche in un contesto di dati presenti
in letteratura, ci fa sperare di avere a
disposizione un’arma efficace contro
certi tipi di dolore resistenti ad altre
terapie.
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
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31
Letture
IL DOLORE TRA MEDICINA RAZIONALE
E MEDICINE “PARALLELE”
PAIN BETWEEN RATIONAL
AND “PARALLEL” MEDICINES
Germana Pareti
Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione
Università di Torino
RIASSUNTO
Questa breve rassegna si propone
di illustrare i temi di un simposio
internazionale che si è tenuto di recente
a Parigi, dedicato al confronto tra
medicina razionale e medicine parallele
nel mondo antico, ma con riferimenti
anche alla storia moderna
e contemporanea. In questo ambito,
la trattazione del dolore gode di
un’attenta considerazione, poiché
da sempre nella storia della medicina
il dolore è associato alla malattia e
si sono perpetrati notevoli sforzi per
sopprimerlo. Due relazioni hanno
trattato gli effetti placebo e nocebo,
ricostruendone la storia, mettendo in
luce i meccanismi sia neurobiologici
sia psicologici che li attivano,
e mostrando le implicazioni bioetiche
conseguenti all’induzione del nocebo.
Se pure i processi neurali sottostanti
a questi effetti non erano noti alla
scienza del passato, certe pratiche
venivano però impiegate non solo
dai medici, ma anche dalla Chiesa
per suggestionare le masse ignoranti.
SUMMARY
This short review aims to illustrate
some topics of an international
symposium recently held in Paris,
dedicated to the comparison
of rational and “parallel” medicines
in the ancient world, but also
with references to the modern and
contemporary history. In this context
the treatment of pain deserves attention,
since in the history of medicine
it has always been associated with
the disease, and considerable efforts
have made to suppress it. Two
contributions have dealt with the
placebo/nocebo effects, recostructing
their history, highlighting both
neurobiological and psychological
mechanisms triggering them, and
showing the bioethical implications
deriving from induction of nocebo.
Although the neural processes underlying
these effects were not known to the
science of the past, certain pratices were,
however, used not only by doctors, but
also by the Church to influence the
ignorant people.
Parole chiave
Dolore, placebo, nocebo, storia,
suggestione, medicina biopsicosociale,
implicazioni bioetiche
Key words
Pain, placebo, nocebo, history,
suggestions, biopsychosocial model,
bioethical implications
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
33
Il 24 e il 25 settembre scorsi si sono
tenute alla Maison de la Recherche di
Parigi, organizzate dal Laboratoire
d’excellence, Réligions et sociétés dans le
monde méditerranéen (in collaborazione con l’Université de Paris-Sorbonne
(Paris IV), il CNRS -UMR 8167
“Orient et Méditerranée”, laboratoire
“Médecine grecque”), due giornate di
studio dedicate al rapporto tra paziente e medicina, esaminato soprattutto dal punto di vista della “scelta”
del malato.
In luogo di chiedere risposte e aiuto
terapeutico alla medicina razionale e
consolidata dalla tradizione, nel corso
dei secoli, non di rado i pazienti hanno preferito rivolgersi ad “altre” concezioni mediche, in qualche modo
“parallele”, e talvolta addirittura sotterranee, che comunque sembravano
in grado di fornire terapie e soluzioni
efficaci.
Mentre i lavori congressuali del primo giorno hanno riguardato la cultura greca e latina, con l’esame delle
fonti letterarie ed epigrafiche della
storia della medicina, in un’impostazione autenticamente interdisciplinare che coinvolgeva letteratura, filosofia, storia e antropologia, la seconda
giornata prevedeva la disamina delle
stesse tematiche, affrontate però in
una prospettiva moderna e contemporanea da storici della medicina e
specialisti, dai quali poteva provenire qualche spiraglio sui misteri della
“sfera della salute psicosomatica”.
Nella seconda giornata, due interventi, in particolare, di studiosi entrambi dell’Università di Torino hanno
affrontato il tema del dolore da differenti angoli visuali, senza però perdere di vista l’approccio storico, che
ha costituito il contrassegno di questo
34
convegno. Riccardo Torta, del Dipartimento di Neuroscienze, ha riferito su L’effet placebo: de l’histoire à la
science, mentre Germana Pareti, storica della filosofia, è intervenuta su L’effet nocebo dans la médecine rationnelle.
Dopo aver rievocato l’origine del
termine “placebo”, voce che si trova
all’inizio del Salmo 116, nono versetto: Placebo Domino in regione
vivorum, Torta ha spiegato che cosa
si intende precisamente per “effetto
placebo” e ciò che avviene a seguito
della somministrazione di un placebo, cioè di una sostanza inerte che,
qualora presentata in un determinato contesto relazionale e psicologico,
crea nel paziente l’aspettativa di un
beneficio. In qualità di neurologo
sensibile all’inquadramento biopsicosociale della malattia, Torta non si
è limitato a trattare i correlati fisici
dell’effetto placebo, che implicano il
rilascio di oppioidi endogeni in talune aree corticali e subcorticali, ma ha
messo in luce anche gli aspetti fisiologici, cognitivi, emozionali, culturali e
ambientali del dolore.
Secondo l’ipotesi biopsicosociale, infatti, è il rapporto tra corpo, mente e
mondo esterno che plasma l’elaborazione del dolore. In tal caso, prenderne coscienza significa tramutarlo da
stato di malattia (da vivere in maniera
passiva) a esperienza che, attraverso il
rapporto medico-paziente, può concorrere al miglioramento della vita.
Sul piano della storia delle neuroscienze, Pareti ha invece ricostruito
l’origine e lo sviluppo dell’effetto
nocebo nel corso dei secoli, ricordando che il termine stesso “nocebo” fu
introdotto nel 1961 da Walter Kennedy. Benché il lemma “placebo”
nella sua connotazione scientifica sia
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
apparso già nel 1920 in un articolo
pubblicato su «The Lancet» a firma di
T.C. Graves, di solito i neuroscienziati fanno partire la storia di questi due
effetti, placebo/nocebo, in epoca più
recente.
In genere, il “nocebo” di Kennedy è visto come pendant alla parola
“placebo”, apparsa in uno scritto del
1955, Powerful Placebo a firma Henry K. Beecher, che l’aveva impiegata
per denotare un effetto psicologico,
oltre che fisico, nella presa di coscienza del dolore. Pare che il primo tentativo di quantificare gli effetti di un
placebo attraverso una percentuale
abbia preso l’avvio dall’osservazione
di Beecher che i soldati americani di
stanza in Europa occidentale nella II
guerra mondiale, se ricoverati per le
ferite negli ospedali, davano prova di
sopportare il dolore meglio dei civili.
Essi manifestavano aspettative meno
pessimistiche e, in generale, un atteggiamento positivo nei confronti della
vita.
Kennedy aveva parlato di “reazione
nocebo”. Ora, se per effetto nocebo
si intende una reazione opposta a
quella del placebo, è verosimile che,
alla somministrazione di una sostanza inerte, presentata nel contempo
come potenzialmente mal sopportata, si provino effetti indesiderabili e
dolorosi.
Questo effetto negativo è accentuato qualora si diano istruzioni verbali
specifiche, per esempio suggerendo al
paziente che di lì a breve subirà un
aumento della sensazione dolorosa. E
tali anticipazioni negative agirebbero
in maniera ancora più potente, nel
caso in cui la suggestione provenisse
da un’autorità medica.
Per capire la portata e l’efficacia di
questi meccanismi, gli storici delle neuroscienze, in particolare della
Harvard Medical School, hanno approfondito lo studio di talune pratiche in uso presso gli ambienti religiosi del XVI secolo.
All’epoca, soprattutto i protestanti
avevano profuso sforzi notevoli per
denunciare le suggestioni esercitate
dagli esorcisti, specialmente presso
le fasce più deboli e retrograde della popolazione. Questi tentativi di
smascheramento furono perpetrati
soprattutto nella Francia devastata dalle guerre di religione a cavallo
tra Cinque e Seicento, allorquando
i cattolici fecero ricorso alla pratica
dell’espulsione del diavolo dal corpo
degli “indemoniati” come prova del
legame tra gli Ugonotti e le forze del
male.
Ma il più delle volte, invece dell’acqua benedetta o dei testi sacri, i preti
si servivano di acqua pura e di testi
latini, e nondimeno affermavano
di osservare “il Malefico” che usciva
dal corpo dell’indemoniato. Michel
de Montaigne nei suoi Essais, e in
particolare nel capitolo XXI intitolato «La forza dell’immaginazione»,
si era servito di numerosi esempi di
provenienza medica per descrivere la
credenza nei miracoli e nelle visioni,
soprattutto presso le anime più semplici e volgari, «che credono di vedere
ciò che non vedono affatto».
Montaigne si domandava come mai
i medici cercassero di carpire la buona fede dei pazienti, facendo illusorie
promesse di guarigione e fornendo al
malato «l’imposture de leur potion»
che andava ad aggiungersi, potenziandoli, agli effetti dell’immaginazione.
Del resto, uno dei maestri di queste
pratiche aveva asserito che ci sono
persone, per le quali è sufficiente la
vista di un rimedio per essere guarite! Ma Montaigne era ancora più
icastico, e non esitava a paragonare i
medici ai preti, i quali non facevano
mistero di professare il seguente credo: «Une forte imagination produit
l’événément».
Nella letteratura storico-medica,
specialmente di area culturale angloamericana, ha avuto successo il cosiddetto trick trial, che ebbe origine da
questo atteggiamento di scetticismo
nei confronti delle posizioni della
chiesa cattolica.
Lo “svelamento delle imposture” era
praticato già ai tempi di Luigi XVI,
il quale nella seconda metà del Settecento aveva istituito una commissione apposita per accertare gli effetti
del mesmerismo, cioè per provare se
esistesse realmente una nuova forza
fisica, il magnetismo animale che,
secondo il medico austriaco FranzAnton Mesmer, aveva il potere di
curare e produrre effetti benefici sul
paziente, dopo averne provocato crisi
violente con grida e pianti.
Nel 1784 il chimico Antoine Lavoisier e il fisico Benjamin Franklin condussero personalmente esperimenti
per verificare le reazioni dei pazienti
a oggetti che credevano mesmerizzati. Si trattava di una sorta di placebo
ante litteram, giacché alcuni soggetti
entravano in crisi, con urla e convulsioni, all’esposizione ingannevole, per
esempio, di un rametto, che era stato presentato come mesmerizzato e
quindi in grado di guarire.
Al contrario, poteva capitare che lo
stesso paziente non manifestasse alcun segno di reazione se veniva posto
a contatto di un oggetto, per esempio
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
un albero, che a sua insaputa era stato
trattato con il fluido mesmerizzante.
Nel secolo successivo, per effetti del
metodo positivistico che si era diffuso
in Europa, anche in medicina furono
adottati schemi e principi di derivazione fisico-chimica.
L’arte della guarigione diventò scienza, e sotto questa luce la medicina
clinica non vide di buon occhio quelle presunte reazioni, di natura più
psichica che fisica, le quali non si lasciavano ricondurre entro un preciso
modello biochimico.
Verso la fine del secolo, tuttavia, questa rigida impostazione cominciò a
dar segni di cedimento. Si profilavano
malattie che sfuggivano alle maglie
dei postulati di Henle-Koch, secondo
i quali doveva esistere una diretta relazione causale tra agente patogeno e
malattia.
Il paradigma riduzionistico subì un
ulteriore sommovimento, quando si
scoprì che esistevano i portatori sani
di certe malattie, che vi erano soggetti, i quali, pur esposti all’infezione,
non la sviluppavano.
Emergevano poi malattie non riconducibili all’azione di batteri, le
allergie, le malattie autoimmuni, il
cancro, le patologie legate all’invecchiamento.
Parallelamente a questi cambiamenti, tra Otto e Novecento, importanti
scoperte sul piano della neuroanatomia e della neurofisiologia permisero
di individuare le funzioni delle diverse regioni corticali. E a poco a poco
si fecero sempre più chiari il ruolo e
le connessioni di aree quali il sistema
limbico e i nuclei talamici, che partecipano alla formazione degli stati
emotivi e all’elaborazione dei processi
nocicettivi.
35
Frattanto, i confini tra le emozioni e
l’attività razionale si facevano sempre
più sfumati.
Nel secondo Novecento, autori come
Antonio Damasio e Joseph LeDoux
hanno condotto ricerche, secondo le
quali peculiari aspetti della vita emozionale non sembrano doversi ritenere disgiunti dall’attività razionale.
Anzi: alcuni percorsi neurali sottesi
all’espressione di sentimenti ed emozioni sarebbero almeno in parte condivisi anche nell’esplicazione delle
cosiddette facoltà intellettuali e cognitive.
Di pari passo crescevano le conoscenze sui meccanismi del dolore: si
scopriva che esso può venir modulato
e alterato, in modo da alzarne o abbassarne la soglia, anche per mezzo di
eventi mentali o addirittura di suggestioni ipnotiche. Si scopriva come
poteva esserne facilitata la comparsa.
Se ne accertava la sgradevole presenza
concomitante a stati di depressione e
di introversione e disagio sociale, poiché non di rado i soggetti che si trovano in tali condizioni accusano dolori
cranio-facciali.
A completamento di questo capitolo
di storia dell’induzione del dolore,
non è mancato un riferimento a una
possibile esplicazione farmacologica
del nocebo, tanto più doverosa se si
ricorda che proprio l’Università di
Torino vanta ricercatori, i quali sono
stati tra i primi a occuparsi degli effetti placebo/nocebo. In questo contesto, sia pure senza approfondire il
discorso sul piano neurofisiologico,
si è fatto cenno che, nei fenomeni
di iperalgesia, è coinvolto non solo il
sistema delle colecistochinine (CKK,
neurotrasmettitori che, antagonizzando l’azione degli oppioidi endo-
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geni, hanno un effetto nocicettivo),
ma anche l’asse ipotalamo-ipofisosurrenale, cui si accompagna l’azione
dell’ippocampo.
Si sono poi ricordate alcune esperienze significative, consistite nel somministrare a un gruppo di volontari
un’autentica pillola contro l’emicrania e a un altro gruppo un medicamento fittizio.
I due gruppi erano stati informati
della possibile comparsa di disturbi,
come nausea e vomito, come effetto
collaterale della somministrazione
del farmaco. Questi malesseri furono
accusati anche da una considerevole
percentuale (tra il 30 e il 40 per cento) dei soggetti che avevano ricevuto la falsa pillola. In un’altra ricerca
venivano significativamente ridotte
le dosi di morfina a pazienti che avevano subito un’operazione dolorosa,
senza però che tutti i soggetti ne fossero informati.
Dopo quattro ore, i pazienti che
ignoravano la diminuzione progressiva della droga presentavano livelli
di dolore sostanzialmente immutati rispetto al periodo precedente, in
cui erano trattati con la morfina. Al
contrario, gli altri percepivano il male
con un’intensità doppia rispetto al
trattamento precedente e, fatto ancora più singolare, la sensazione dolorosa era rilevata anche per mezzo di
parametri fisiologici, quali l’aumento
della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa.
Nel descrivere i fenomeni biochimici che hanno luogo nel cervello a
seguito della somministrazione di un
placebo o di un nocebo, i neuroscienziati si sono concentrati sui processi
di condizionamento e di aspettativa
negativa che attivano il dolore. La
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
ricercatrice Irene Tracey, che dirige a
Oxford il centro di risonanza magnetica funzionale del cervello, ha condotto esperimenti significativi sull’influenza che le credenze e le aspettative
possono avere sugli effetti terapeutici
di un certo medicamento, nella fattispecie un oppioide potente.
Con il neuroimaging si sono studiati
gli effetti del remifentanil in tre condizioni sperimentali: senza alcuna attesa dell’analgesia; con la speranza di
un effetto benefico da parte dell’analgesico; con un’aspettativa negativa di
analgesia, vale a dire con un’attesa di
iperalgesia o esacerbazione del dolore. I ricercatori hanno impiegato la
risonanza magnetica funzionale per
registrare l’attività cerebrale al fine
di verificare gli effetti delle condizioni di aspettativa (positiva e negativa)
sull’efficacia dell’oppioide e di spiegarne i meccanismi neurali fondamentali.
Mentre la fiducia in un esito positivo del trattamento agevolava (talora
persino raddoppiandolo) l’effetto del
farmaco, l’aspettativa negativa sopprimeva l’azione del remifentanil.
Questi effetti soggettivi trovavano
riscontro in evidenze oggettive, in
quanto si osservavano modificazioni dell’attività neurale sottese a regioni cerebrali preposte alla codifica
dell’intensità del dolore. Sembra che
gli effetti negativi dell’aspettativa circa l’analgesia debbano essere associati
all’attività dell’ippocampo.
Dunque anche in questo caso, i ricercatori sono giunti alla conclusione
che l’attesa dell’effetto di una medicina ne influenza in maniera critica l’efficacia terapeutica e che i meccanismi
autoregolativi del cervello differiscono in funzione dell’aspettativa.
In definitiva, assumendo il dolore
come un modello, e riconoscendo che
la reazione dolorosa è provocata non
solo da uno stimolo fisico, ma anche dalla risposta individuale, vanno
tenute presenti le enormi variazioni
con cui soggetti differenti reagiscono,
in condizioni diversificate, allo stesso
stimolo doloroso.
Questi aspetti che oggi sono all’attenzione dei neurofisiologi, un tempo erano dibattuti soprattutto dai
filosofi e dagli antropologi. James
G. Frazer ne Il ramo d’oro (1911-15)
aveva affermato che l’immaginazione ha sull’uomo esattamente la stessa
influenza della forza gravitazionale.
L’immaginazione può uccidere né più
né meno di una dose di acido prussico – sosteneva Frazer, rilevando che,
a scopo di protezione, le società primitive avevano escogitato un sistema
ben articolato di tabù e di regole cerimoniali.
Questa razionalizzazione delle credenze primitive era stata criticata
aspramente dal filosofo Ludwig Wittgenstein, che aveva giudicato “rozze”
le opinioni di Frazer, reo di aver fatto
apparire quelle concezioni magiche e
religiose alla stregua di errori. Nondimeno lo stesso Wittgenstein riconosceva che anche le società evolute
hanno le proprie magie e i propri
esorcismi, ancorché differenti dalle
usanze dei selvaggi.
Allora, anche nel rapporto medicopaziente e, in generale, nell’ambito
sanitario, gioca l’influenza del comportamento, delle forme di comunicazione, del linguaggio, del contesto,
della gestualità e del modo in cui le
parole sono proferite.
L’effetto nocebo si attiva innescato da
segnali negativi provenienti dall’am-
biente medico o dal contesto psicologico e sociale del paziente.
Alla ricerca del corretto equilibrio tra
“conoscenza e credenza”, tra responsabilità individuale e parametri della
scienza medica contemporanea, il
trattamento della “persona” nell’interazione con l’ambiente dovrà coinvolgere strategie terapeutiche, che
mirino a favorire (e consolidare) gli
effetti del placebo e a prevenire (e impedire) le indesiderabili conseguenze
del nocebo. In tempi recenti, soprattutto le conseguenze di questa seconda reazione hanno suscitato un vivace
dibattito in ambito bioetico.
I bioeticisti, infatti, hanno posto l’accento su un vero e proprio dilemma
etico che perturba il medico: specialmente in quei casi in cui la sopravvivenza è a rischio, per esempio nel
caso di un’operazione o di una terapia
dagli effetti tossici, i medici hanno
ancora l’obbligo di “dire la verità al
paziente”, informandolo degli effetti
secondari anche gravi, che ne possono derivare, o non sarebbe invece più
proficuo minimizzare i danni collaterali e tacere sui rischi eventuali che
una spiegazione esaustiva è tenuta a
prospettare?
Lungo questa linea di pensiero, si auspica l’introduzione di corsi di educazione rivolti al paziente, ma anche
di comunicazione per i medici, i quali sono invitati a imparare a servirsi
delle parole in modo mirato e pacato,
con l’obiettivo di trasmettere suggestioni positive, evitando il più possibile quelle negative.
Partendo dal presupposto che la comunicazione è già di per sé terapia,
gli esperti hanno raccolto in una sorta
di manualetto le espressioni che dovrebbero scomparire dal vocabolario
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
della prassi clinica e che un medico
capace e sensibile non dovrebbe mai
usare, né nel proprio studio né tantomeno in una corsia di ospedale,
specialmente nei reparti oncologici.
Oltretutto, si presume che, con un
migliorato training nell’informazione della prognosi, molti accanimenti
chemioterapici sarebbero rifiutati dai
pazienti, cui spetta la decisione ultima sulla propria sorte. Infine, questa
discussione si rivela tanto più attuale
e proficua sul piano pratico, se si considera che la preparazione dei medici a comunicare le notizie (buone e
cattive) comporterebbe persino una
ricaduta positiva sull’economia, giacché si è calcolato che i costi dell’effetto nocebo per i farmaci ammontano a
cifre strabilianti.
Un aneddoto frequentemente citato nella letteratura medica sull’argomento evoca il caso del malato di
cuore ricoverato in ospedale, per il
quale il cardiologo aveva richiesto
l’estrema unzione. Quando il prete
giunse al capezzale, si sbagliò di letto:
dopo aver ricevuto l’estrema unzione,
il paziente morì. Però si trattava del
malato nel letto vicino…
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Recensioni
GUARIRE IL DOLORE
TATTICHE INVESTIGATIVE
E STRATEGIE DI CURA
A cura della Redazione
In una società che non lascia spazio
a nessun cedimento, improntata
a efficienza e successo, parlare di
dolore è molto difficile. Mentre
di fronte alla malattia non si esita
a rivolgersi al medico, di fronte al
dolore cronico la tendenza è quella
di arrendersi intervenendo solo
per risolvere le fasi acute. Oggi si
sono aperti nuovi orizzonti e accese
incoraggianti speranze per chi soffre,
a patto di scendere in campo con una
strategia di cura vincente e mirata.
E’ quindi fondamentale conoscere a
fondo il proprio nemico.
L’Autore, con un linguaggio
accessibile e accattivante, ne descrive
caratteristiche e funzioni, verifica
i suoi rapporti con personalità
ed emozioni, avvicinando
gradualmente il lettore al concetto
di “Medicina del Dolore”.
Come una sorta di “filo di Arianna”,
il testo guida alla conoscenza
delle più comuni patologie
che sono causa di dolore cronico,
indaga i meccanismi che lo
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alimentano e raccoglie gli indizi
che lascia, per renderlo inoffensivo
con strategie di cura adeguate
che rispettino l’individualità
di ciascun paziente.
Il successo della cura consente
di riconquistare una buona qualità
di vita e di allontanare le insidie
della cronicità. Lasciarsi alle spalle
la sofferenza è oggi un diritto di tutti,
ma è necessario creare una nuova
consapevolezza rispetto alla possibilità
di intraprendere opportuni progetti
di cura per garantire la guarigione.
Paolo Mariconti
GUARIRE IL DOLORE
Tattiche investigative e strategie di cura
Editore: Edizioni Virgilio - Milano
Anno: 2012
Collana: Pagine di Salute
Pagine: 160
Formato: 15 x 21
Legatura: brossura
Prezzo: Euro 20
ISBN: 9788895754048
Volume 19 Pathos Nro 4, 2012
Sistema SCS Precision Plus™
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