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Volume ViII N˚ 4/2016 Periodico trimestrale - POSTE ITALIANE SpA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv. in L. 27/02/2004 n. 46 art. 1, comma 1, DCB PISA Aut. Trib. di Milano n. 208 del 29-04-2009 - dicembre - Finito di stampare presso IGP - Pisa, dicembre 2016 - ISSN: 2282-2453 (Print) – ISSN 2499-7870 (Online) Organo ufficiale SIGENP GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Una Consensus Statement sulla vitamina D nella salute della popolazione europea PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE Disordini nutrizionali a esordio precoce NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY Trattamento della epatite autoimmune giovanile RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE Diarree congenite: una nuova classificazione basata sulle recenti evidenze scientifiche IBD HIGHLIGHTS L’anemia nelle malattie infiammatorie croniche intestinali Volume VIII - N˚ 4/2016 - Trimestrale Consiglio Direttivo SIGENP Presidente Carlo Agostoni Vice-Presidente Costantino De Giacomo Segretario Maria Elena Lionetti Tesoriere Marina Aloi Consiglieri Antonella Diamanti, Erasmo Miele, Maria Immacolata Spagnuolo Direttore Responsabile Patrizia Alma Pacini Responsabile Commissione Editoria Claudio Romano · [email protected] Direttore Editoriale Mariella Baldassarre · [email protected] Capo Redattore Francesco Cirillo · [email protected] Assistenti di Redazione Giulia Medicamento · [email protected] Pietro Drimaco · [email protected] Comitato di Redazione Salvatore Accomando · [email protected] Barbara Bizzarri · [email protected] Osvaldo Borrelli · [email protected] Teresa Capriati · [email protected] Fortunata Civitelli · [email protected] Antonella Diamanti · [email protected] Antonio Di Mauro · [email protected] Monica Paci · [email protected] Salvatore Oliva · [email protected] © Copyright 2016 by Pacini Editore Srl · Pisa Edizione Pacini Editore Srl, Via Gherardesca 1 · 56121 Pisa Tel. 050 313011 · Fax 050 3130300 [email protected] · www.pacinimedicina.it Marketing Dept Pacini Editore Medicina Andrea Tognelli Medical Project - Marketing Director Tel. 050 3130255 · [email protected] · twitter @andreatognelli Fabio Poponcini Sales Manager Tel. 050 3130218 · [email protected] Alessandra Crosato Junior Sales Manager Tel. 050 3130239 · [email protected] Manuela Mori Customer Relationship Manager Tel. 050 3130217 · [email protected] Redazione Lisa Andreazzi - Tel. 050 3130285 · [email protected] Segreteria scientifica Valentina Bàrberi - Tel. 050 3130376 · [email protected] Progetto grafico e impaginazione Massimo Arcidiacono - Tel. 050 3130231 · [email protected] Stampa Industrie Grafiche Pacini · Pisa Rivista stampata su carta TCF (Total Chlorine Free) e verniciata idro. L’editore resta a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare e per le eventuali omissioni. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, [email protected], http://www.aidro.org. I dati relativi agli abbonati sono trattati nel rispetto delle disposizioni contenute nel D.Lgs. del 30 giugno 2003 n. 196 a mezzo di elaboratori elettronici ad opera di soggetti appositamente incaricati. I dati sono utilizzati dall’editore per la spedizione della presente pubblicazione. Ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. 196/2003, in qualsiasi momento è possibile consultare, modificare o cancellare i dati o opporsi al loro utilizzo scrivendo al Titolare del Trattamento: Pacini Editore Srl - Via A. Gherardesca 1 - 56121 Pisa. Sommario 141 EDITORIALE M. Baldassarre 142 GRAZIE A … Seguici sulla pagina dedicata www.facebook.com/giornalesigenp 143 CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW “Early life events” e disordini funzionali gastrointestinali: alla radice del problema Early life events and the onset of childhood functional gastrointestinal disorders V. Rizzo, M. Baldassarre 147 PEDIATRIC HEPATOLOGY Aspetti clinici e fattori di rischio della malattia epatica associata a IBD (risultati dal registro IBD) Clinical features and risk factors of IBD-related autoimmune liver disease: data from the SIGENP IBD registry M. Bramuzzo, S. Martelossi 152 PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE Disordini nutrizionali a esordio precoce Nutritional and feeding disorders C. Romano, S. Spadaro 156 IBD HIGHLIGHTS L’anemia nelle malattie infiammatorie croniche intestinali Anemia in inflammatory bowel disease S. Festa, G. Gallusi, R. Ballanti, C. Papi 162 NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY Trattamento della epatite autoimmune giovanile Management of juvenile autoimmune hepatitis G. Maggiore, S. Nastasio, C. Malaventura, M. Sciveres 167 CASE REPORT Segreteria SIGENP Biomedia srl Via Libero Temolo, 4 - 20126 Milano Tel. 02 45498282 int. 215 - Fax 02 45498199 E-mail: [email protected] COME SI DIVENTA SOCI DELLA Un’ematemesi come un’altra: si parte sempre dall’anamnesi! A hematemesis as another: it always starts by history! S. Iuliano, M. Manfredi, F. Gaiani, B. Bizzarri, P. Gismondi, F. Fornaroli, G.L. de’Angelis 168 ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY Criteri di appropriatezza della colonscopia nel bambino Appropriateness of pediatric colonoscopy G. Lombardi, M.T. Illiceto 172 RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE Diarree congenite: una nuova classificazione basata sulle recenti evidenze scientifiche Congenital diarrheal disorders: toward a new classification deriving from more recent scientific evidence V. Pezzella, G. Castaldo, R. Berni Canani 178 GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Una Consensus Statement sulla vitamina D nella salute della popolazione europea A Consensus Statement about vitamin D in healthy European pediatric population T. Capriati, S. Amarri, G. Lamberti 190 INVITED COMMENTARY Reflusso faringo-laringeo in età pediatrica e otite media effusiva I. La Mantia L’iscrizione alla SIGENP come Socio è riservata a coloro (medici/ ricercatori) che dimostrano interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica. I candidati alla posizione di Soci SIGENP devono compilare una apposita scheda con acclusa firma di 2 Soci presentatori. I candidati devono anche accludere un curriculum vitae che dimostri interesse nel campo della Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica. In seguito ad accettazione della presente domanda da parte del Consiglio Direttivo SIGENP, si riceverà conferma di ammissione ed indicazioni per regolarizzare il pagamento della quota associativa SIGENP. Soci ordinari e aderenti • € 50,00 quota associativa annuale SIGENP senza abbonamento DLD • € 90,00 quota associativa annuale SIGENP con abbonamento DLD Soci junior (età non superiore a 35 anni) • € 30,00 Quota associativa annuale SIGENP con DLD on-line Per chi è interessato la scheda di iscrizione è disponibile sul portale SIGENP www.sigenp.org Editoriale Carissimi, la prima cosa che desidero fare dalle pagine di questo editoriale è augurare buon lavoro al nuovo presidente della SIGENP, Prof. Carlo Agostoni, e ai nuovi consiglieri, Costantino De Giacomo, Immacolata Spagnuolo e Marina Aloi, che si affiancano ad Antonella Diamanti, Erasmo Miele ed Elena Lionetti, già presenti. Il Consiglio Direttivo della Società riparte con nuove energie e nuove competenze. Carlo Agostoni è professore ordinario di Pediatria e direttore della UOC di Pediatria della Fondazione IRCCS Cà Granda, Ospedale Maggiore Policlinico, Università Statale di Milano; Costantino De Giacomo è direttore della UOC di Pediatria e del Dipartimento Maternoinfantile dell’AO Niguarda Cà Granda a Milano, Immacolata Spagnuolo lavora presso il Dipartimento di Pediatria dell’Università “Federico II” di Napoli, con specifiche competenze in nutrizione clinica, Marina Aloi è ricercatrice presso il Dipartimento di Pediatria de “La Sapienza”, Università di Roma. Ognuno di loro saprà arricchire con la propria esperienza il cammino comune verso una maggiore conoscenza dei problemi che riguardano la gastroenterologia, l’epatologia e la nutrizione pediatrica in Italia. In questo numero del giornale desidero segnalarvi innanzitutto l’articolo sulle linee guida della prescrizione della vitamina D. Teresa Capriati e Sergio Amarri si sono sforzati di sintetizzare e commentare in maniera critica varie “consensus” europee e italiane, cercando di “stigmatizzare” i comportamenti prescrittivi più appropriati, alla luce anche delle innumerevoli funzioni attribuite oggi a questa sostanza, che possiamo considerare a tutti gli effetti come un ormone. Si tratta di un articolo ad “alto impatto di conoscenza”, non solo per gli specialisti del settore gastroenterologico, ma anche per i pediatri di famiglia. Claudio Romano (Messina) ci descrive i “disordini nutrizionali a esordio precoce”. Un alterato rapporto col cibo può diventare un autentico catalizzatore di “stress” per tutta la famiglia. L’equazione “mio figlio non mangia quindi io non sono una buona madre” alimenta il senso di inadeguatezza delle madri, soprattutto quando sono alla prima esperienza, e può alterare il rapporto con il bambino, ma anche quello con il partner. L’articolo riferisce che alterazioni dell’interazione madre-figlio sono alla base di disturbi alimentari nel bambino: ansia, ipercontrollo, rigidità, iperprotezione sono le condizioni più comuni. Nella stessa ottica si colloca la review messa a punto da Valentina Rizzo e da me sulla disamina della relazione esistente fra gli eventi di vita precoci (early life events) e i disturbi funzionali gastrointestinali (DFGI). Non dobbiamo mai dimenticare che un disturbo intestinale è a volte un “avatar” di un disagio di relazione o psicosociale. Noi, che ci occupiamo di intestino e di nutrizione, dobbiamo farci osservatori attenti del microcosmo nel quale vive il bambino, prima di medicalizzare magari inutilmente. Le malattie infiammatorie intestinali si arricchiscono in questo numero della descrizione di due aspetti: l’anemia, descritta da Stefano Festa e coll. (Roma), e la malattia epatica, a cura di Stefano Martelossi e coll. (Trieste), a esse correlate. Giuliano Lombardi (Pescara) e coll. ci parla dei criteri di appropriatezza della colonscopia in età pediatrica. Trattandosi di un esame invasivo, che viene effettuato in sedazione e a volte in anestesia generale, è bene avere le idee chiare. Come ci spiega l’articolo, infatti, le colonscopie sono “appropriate” se i benefici superano i rischi attesi con un margine tanto significativo da rendere indicate le procedure. Roberto Berni-Canani (Napoli) e coll. fa una disamina completa delle diarree congenite neonatali, malattie rare ma che vanno prontamente identificate e trattate. Giuseppe Maggiore (Ferrara) e coll. ci parla in questo numero, con un approccio sistematico ed estremamente chiaro, del trattamento dell’epatite autoimmune giovanile. Il caso clinico che ci presentano Silvia Iuliano e Marco Manfredi (Parma) è intrigante e insolito. Troverete poi un “commento su invito” del professor La Mantia, professore associato di otorinolaringoiatria a Catania, sul reflusso faringo-laringeo, problematica a “ponte” con il reflusso gastro-esofageo, per cercare di mettere a fuoco le caratteristiche di tale patologia. È frequente infatti che l’otorino prescriva gli inibitori di pompa protonica per disturbi a carico delle alte vie aeree. Quali sono questi disturbi e quanto è corretto tale comportamento? Prima di terminare, visto che mentre scrivo siamo tra la fine di un anno e l’inizio di un altro, permettetemi di accogliere in un abbraccio virtuale tutto lo staff della redazione del giornale: i coordinatori di rubrica, gli assistenti di redazione, la segreteria. Un grazie speciale a tutti coloro che nel corso di quest’anno hanno dedicato un po’ del loro tempo a scrivere per noi e che ci hanno donato ricchezza attraverso i loro contributi. A tutti noi e a voi, che ci leggete, auguro un anno meraviglioso. Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:141 141 Grazie a… Sponsor 2016 Aurora Biofarma Srl, Di Leo Pietro Spa, Dr. Schar AG, A. Menarini Industrie Farmaceutiche Riunite Srl, Neoox – Sooft Italia, Nutricia Italia Spa Autori articoli annata 2016 Lucia Adamoli, Daniele Alberti, Marina Aloi, Tommaso Alterio, Sergio Amarri, Renata Auricchio, Mariella Baldassarre, Riccardo Ballanti, Lisa Barkley, Roberto Berni Canani, Barbara Bizzarri, Giovanni Boroni, Osvaldo Borrelli, Matteo Bramuzzo, Teresa Capriati, Antonio Cascio, Giuseppe Castaldo, Carlo Catassi, Fortunata Civitelli, Maria Grazia Clemente, Fernanda Cristofori, Salvatore Cucchiara, Giulia D’Arcangelo, Gian Luigi de’Angelis, Antonella Diamanti, Domenica Elia, Stefano Festa, Fabiola Fornaroli, Ruggiero Francavilla, Stéphanie Franchi-Abella, Federica Furfaro, Federica Gaiani, Giulia Gallusi, Antonella Gentile, Daniela Giorgio, Pierpacifico Gismondi, Emmanuel Gonzales, Florent Guérin, Maria Teresa Illiceto, Silvia Iuliano, Ignazio La Mantia, Giulia Lamberti, Robert Lane, Francesca Laureti, Elena Lionetti, Giuliano Lombardi, Vincenzina Lucidi, Giovanni Maconi, Giuseppe Maggiore, Cristina Malaventura, Roberta Mandile, Marco Manfredi, Daniela Marino, Stefano Martelossi, Giovanni Mazzola, Stefano Miceli Sopo, Serena Monaco, Monica Montuori, Silvia Nastasio, Salvatore Oliva, Giuseppe Pagliaro, Claudio Papi, Vincenza Pezzella, Valentina Rizzo, Claudio Romano, Francesca Romano, Giusy Russo, Cardile Sabrina, Silvia Salvatore, Camilla Salvestrini, Elena Scarpato, Marco Sciveres, Marco Silano, Sara Spadaro, Marina Tripodi, Marcello Trizzino, Riccardo Troncone, Chiara Maria Trovato, Pietro Vajro, Francesco Valitutti, Debora Vezzoli Comitato editoriale Mariella Baldassarre (Direttore editoriale) Assistenti di Redazione Pietro Drimaco, Giulia Medicamento Caporedattore Francesco Cirillo Comitato di redazione Salvo Accomando, Barbara Bizzarri, Osvaldo Borrelli, Teresa Capriati, Fortunata Civitelli, Antonella Diamanti, Antonio Di Mauro, Salvatore Oliva, Monica Paci, Claudio Romano 142 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:142 a cura di Osvaldo Borrelli CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW “Early life events” e disordini funzionali gastrointestinali: alla radice del problema Early life events and the onset of childhood functional gastrointestinal disorders Introduzione I disordini funzionali gastrointestinali (DFGI) rappresentano un insieme di sintomi ricorrenti o cronici, variabili per età, non associati a una patologia organica di base; possono essere fisiologici, espressione di un normale sviluppo (es. rigurgito del lattante), o derivare da risposte comportamentali anomali a stimoli interni o esterni (es. stipsi funzionale causata da defecazione dolorosa o da forzato toilet training). Un DFGI può essere considerato, pertanto, il prodotto clinico dell’interazione tra alterata fisiologia intestinale e fattori psicologici e socioculturali, capaci di amplificare la percezione dei sintomi, così che questi vengano vissuti come severi, invalidanti e con un’importante ripercussione sulle attività di vita quotidiana 1. Nonostante i recenti progressi nelle conoscenze dei meccanismi fisiopatologici alla base di alcuni DFGI, non esiste a tutt’oggi alcun “marker” che possa portare alla diagnosi finale. Per valutare il ruolo della componente genetica o ambientale nella patogenesi dei DFGI è stato condotto uno studio sulle famiglie dei bambini affetti da DFGI, in cui si è osservata una significativa aggregazione familiare 2. I fattori genetici possono predisporre alcuni individui a sviluppare i DFGI, attraverso diverse modalità: bassi livelli di IL-10 (citochina antinfiammatoria), polimorfismi del carrier responsabile del reuptake della serotonina, polimorfismi della proteina G, polimorfismi del recettore alfa-2 adrenergico. Tuttavia i fattori genetici da soli non rendono ragione del manifestarsi dei DFGI, se non in associazione a fattori psicosociali e culturali, il cui peso però è difficilmente quantificabile e valutabile per l’estrema variabilità interpersonale, culturale e socio-economica. I fattori psicosociali (forti emozioni, stress) possono esacerbare l’intensità dei sintomi gastrointestinali, causando, per esempio, un’alterata motilità a livello dell’esofago, stomaco, piccolo intestino e colon. I pazienti affetti da DFGI, rispetto a soggetti non affetti, sono caratterizzati da un’alterata risposta motoria in seguito ad esposizione a fattori stressanti 3. Valentina Rizzo (foto) Mariella Baldassarre Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Sezione di Neonatologia e TIN, Università degli Studi “Aldo Moro”, Ospedale Policlinico, Bari Key words Functional gastrointestinal disorders • Early life events • Irritable Bowel Syndrome Abstract Functional gastrointestinal disorders (FGIDs) are common digestive conditions characterized by chronic or recurrent symptoms in the absence of a clearly recognizable etiology. The biopsychosocial model, the most accepted concept explaining chronic pain conditions, proposes that the interplay of multiple factors such as genetic susceptibility, early life experiences, sociocultural issues, and coping mechanisms might affect children at different stages of their lives leading to the development of different pain phenotypes and pain behaviors. Early life events including gastrointestinal inflammation, trauma, and stress may result in maladaptive responses that could lead to the development of chronic pain conditions such as FGIDs. In this review, we discuss novel findings from studies regarding the long-term effect of early life events and their relationship with FGIDs. Indirizzo per la corrispondenza Mariella Baldassarre Dipartimento di Scienze Biomediche e Oncologia Umana, Sezione di Neonatologia e TIN, Università degli Studi “Aldo Moro”, Ospedale Policlinico piazza G. Cesare 11, 70124 Bari E-mail: [email protected] Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:143-146; doi: 10.19208/2282-2453-131 143 V. Rizzo, M. Baldassarre L’ipersensibilità viscerale aiuta a comprendere meglio l’associazione del dolore con molti DFGI; i pazienti affetti da DFGI, infatti, hanno una più bassa soglia di percezione del dolore (iperalgesia viscerale) o un’aumentata sensibilità (allodinia), in presenza di una normale funzione intestinale 4. L’ipersensibilità può dipendere da un’attivazione a livello della mucosa intestinale di chemocettori o meccanocettori presenti sulle fibre nervose che originano dal plesso sottomucoso o dal pleasso meinetrico. Tale attivazione può essere indotta da un’infiammazione mucosale, dalla degranulazione delle mastcellule in prossimità delle fibre nervose, da un’aumentata attività serotoninergica o da un’alterazione della microflora intestinale. La richiesta di cure mediche per disturbi funzionali dipende dal livello di preoccupazione dei genitori, legata a sua volta alle esperienze personali, allo stile di vita, alle aspettative e alla percezione della malattia da parte degli stessi. Un’efficace gestione di questi disturbi si basa dunque sulla creazione di una solida alleanza con la famiglia. Sicuramente la presenza di aspetti psicopatologici nei genitori può condizionare l’eventuale insorgenza di DFGI nel bambino e influenzarne l’outcome. Tuttavia questo aspetto andrebbe considerato all’interno di un contesto più ampio, che tenga conto anche degli eventi pre, peri e postnatali. Già nella vita intrauterina, infatti, il feto vive esperienze somatiche, pur non avendo una vera rappresentazione della propria immagine corporea e della propria individualità. Alla nascita, il tipo di travaglio, di parto, la prematurità e le complicanze a essa correlate, il modo in cui il bambino è accudito dal punto di vista fisico (handling), assieme all’atteggiamento corporeo assunto dalla madre quando 144 lo tiene in braccio e lo contiene (holding), favoriscono lo sviluppo di un Sé allo stesso tempo psichico e somatico, cioè di un senso di esistenza nel proprio corpo, processo che Winnicott ha descritto in termini di integrazione psicosomatica. Le prime interpretazioni sulla relazione fra gli eventi di vita precoci (early life events) e i DFGI risalgono alle cosiddette “ipotesi qualitativa e quantitativa”. La prima afferma che i soli eventi negativi, legati a una perdita o a una situazione non controllabile, hanno un ruolo patogeno. Il modello quantitativo, invece, prevede che “l’evento” sia un fattore rilevante nella vita di ogni soggetto indipendentemente dalla sua positività o negatività, ma in grado di determinare uno squilibrio che si manifesta sotto forma di sintomi. Nel corso degli anni, gli studi scientifici hanno valutato altri aspetti sia psicologici sia biologici, rendendo il panorama ben più complesso. Sembra comunque che gli early life events favoriscano l’esordio dei disturbi non solo in quanto generano uno squilibrio, ma perché interagiscono con fattori individuali, familiari e biologici. Obiettivi Obiettivo di questo articolo è stato quello di eseguire una revisione della letteratura, allo scopo di comprendere la correlazione esistente tra disturbi funzionali gastrointestinali ed early life events e la modalità in cui questi ultimi influenzano insorgenza, andamento e compliance terapeutica. Metodologia Sono stati inclusi in questa revisione tutti gli articoli disponibili su Medline pubblicati negli ultimi 20 anni, inerenti i disturbi funzionali gastrointestinali, definiti secondo i criteri di Roma III, e gli eventi di vita precoci. Le parole usate per la ricerca sono state le seguenti: “Functional gastrointestinal disorder”, “Chronic pain”, Gastrointestinal inflammation”, “Early life events”, “Abdominal pain”. Risultati Sono stati individuati 150 studi pubblicati tra il 1990 e il 2016. Di questi circa 30 hanno soddisfatto i nostri criteri di ricerca e sono stati considerati per questa revisione. Shuller et al. hanno condotto uno studio prospettico multicentrico, arruolando 280 neonati nati tra il 2007 e il 2010, con parto cesareo, parto spontaneo e parto operativo con vacuum extractor, escludendo i neonati pretermine e neonati ricoverati in terapia intensiva neonatale (TIN). Scopo dello studio è stato quello di dimostrare come la modalità del parto e lo stress peripartum potessero influenzare l’insorgenza di DFGI nel bambino, attraverso un’alterazione della percezione del dolore acquisita durante la vita perinatale: a tal proposito è stata misurata la quantità di cortisolo presente nella saliva dei neonati e la risposta allo stimolo doloroso (mediante EDIN scale e “Bernese Pain Scale for Neonates”) durante lo screening neonatale a 72 ore di vita (Guthrie test). I neonati nati con parto operativo con vacuum extractor presentavano una concentrazione di cortisolo significativamente maggiore rispetto ai nati con taglio cesareo e un EDIN score più elevato 5. Nel 2006 Ramchandani et al. hanno dimostrato per la prima volta, attraverso uno studio prospettico di coorte longitudinale arruolando 8272 bambini di età media di 6 anni e mezzo, come l’insorgenza di DFGI fosse strettamente dipen- CLINICAL SYSTEMATIC REVIEW “Early life events” e disordini funzionali gastrointestinali dente da disturbi del comportamento e/o della personalità dei loro genitori; nello specifico, i bambini i cui genitori avevano presentato disturbi d’ansia, di depressione e/o disturbi psicosomatici nel corso del primo anno di vita del proprio figlio, presentavano in epoca scolare coliche addominali, dolori addominali ricorrenti, e IBS (Irritable Bowel Syndrome), con frequenza maggiore rispetto ai controlli 6. Allo stesso modo Bonilla e Saps, nel 2013 in una revisione sistematica, hanno dimostrato come alcuni early life events (tipo di parto, allergia alle proteine del latte vaccino, stenosi ipertrofica del piloro, infezioni gastrointestinali nel primo mese di vita, tipo di allattamento) giochino un ruolo fondamentale nella comparsa di DFGI. Neonati ricoverati in TIN e sottoposti a procedure invasive e dolorose (prelievo venoso o solo utilizzo del sondino naso gastrico) presentavano, rispetto a neonati “sani”, un’inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (APH), valutata mediante misurazione dei livelli del cortisolo, che correlava positivamente con un’alterata risposta agli stimoli dolorosi 7. L’importanza dell’asse cervellointestino e le conseguenze legate alla sua alterazione sono state evidenziate negli studi condotti da Van Oudenhove et al. nel 2004 e confermati da McCrory et al. nel 2010. L’asse cervello-intestino è composto all’incirca di tre parti: il sistema nervoso enterico (SNE), il sistema nervoso autonomo (SNA) e il sistema nervoso centrale (SNC) di cui fanno parte il midollo spinale e il cervello. Il SNE è strutturalmente e funzionalmente complesso e si trova all’interno della parete del tratto gastrointestinale; a volte è chiamato “mini-cervello” o “cervello nell’intestino”, perché condivide alcune caratteristiche importanti con il SNC (comune origine embriologica e presenza di neurotrasmettitori quali serotonina, oppiacei e colecistochinina). Per la frequente associazione tra sintomi e stress, o per la coesistenza di sintomi quali ansia o depressione, i disturbi funzionali gastrointestinali, in particolar modo l’IBS, possono essere descritti come un’alterazione dell’asse “cervello-intestino”. L’integrità di questo asse è coinvolta nella modulazione dei processi digestivi (motilità gastrointestinale e secrezione), della funzionalità immunitaria, della percezione e risposta emotiva a stimoli viscerali. Tale integrità è generalmente modulata sia dal microbiota intestinale, attraverso meccanismi neuro-endocrini non ancora del tutto chiari, che da diversi neurotrasmettitori, in particolar modo la serotonina, considerata una molecola fondamentale per lo sviluppo cerebrale, in particolar modo nelle prime epoche di vita. O’ Mahony et al. nel 2015 hanno infatti dimostrato come una bassa concentrazione di serotonina, alterazioni del microbiota intestinale, dovute a terapie antibiotiche protratte per lunghi periodi, taglio cesareo, mancato allattamento al seno, potessero alterare l’integrità dell’asse APH e quindi predisporre verso l’insorgenza di DFGI 8. Baldassarre et al. recentemente hanno condotto un trial clinico randomizzato, a doppio cieco, per dimostrare come l’assunzione di probiotici da parte della madre sia durante la gravidanza, che durante l’allattamento, potesse avere un ruolo “protettivo” nei confronti della comparsa di DFGI nei loro figli. Sono state arruolate 66 gestanti di età compresa tra 18 e 44 anni ricoverate c/o il Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia del Policlinico di Bari. A 33 donne sono stati somministrati probiotici per os, 4 settimane prima rispetto alla presunta data del parto e 4 settimane dopo il parto, alle restanti è stato somministrato placebo. Il latte delle gestanti che avevano assunto probiotici, sia prima che dopo il parto, presentava livelli di citochine antinfiammatorie, nello specifico IL10 e TGF-β, più elevati rispetto alle gestanti a cui era stato somministrato placebo 9. Conclusioni e prospettive di ricerca per il futuro I disordini funzionali gastrointestinali includono una variabile combinazione di sintomi cronici o ricorrenti, spesso età-dipendenti, non riconducibili a nessuna anomalia biochimica o strutturale. Sono enigmatici, non facilmente trattabili e soprattutto poco interpretabili. Gestire un disordine funzionale non è facile, soprattutto perché ci si trova a dover far fronte, oltre al malessere del piccolo paziente, anche alle preoccupazioni dei genitori, che dal medico cercano risposte concrete. Inoltre interpretare i sintomi in bambini molto piccoli non è lavoro semplice. Una diagnosi fallimentare e un trattamento inappropriato potrebbero causare sofferenze sia fisiche che emozionali. È assolutamente indispensabile una stretta alleanza tra medico e genitori. Stabilire un rapporto di fiducia e mitigare le preoccupazioni della famiglia è sicuramente il primo passo da compiere. È pertanto fondamentale escludere i segni e i sintomi d’allarme, e tranquillizzare la famiglia sulla benignità del disturbo, con un appropriato counselling. Complessivamente, i vari studi analizzati in questa review hanno dimostrato e confermato che diversi fattori eziologici, la cui importanza varia da paziente a paziente, possono rivestire un ruolo cruciale nella patogenesi dei DFGI: eventi precoci di vita avversi, sofferenze pre, peri e postnatali, disturbi della motilità intestinale, 145 V. Rizzo, M. Baldassarre alterazione della soglia del dolore e di altre sensazioni viscerali, infiammazioni e infezioni intestinali, alterazione del microbiota intestinale, stress psicologico e disturbi di personalità. Agire in maniera costante, precisa ed efficace sui fattori di rischio modificabili e in parte noti, potrebbe essere il primum movens verso la prevenzione dei DFGI. È importante pertanto promuovere il bonding per consolidare la diade madre-neonato sin dalla nascita attraverso il contatto fisico, l’allattamento al seno, la riduzione di manovre invasive e dolorose, in particolare in bambini che necessitano di lunghi periodi di assistenza nelle terapie intensive. Recentemente studi di metagenomica stanno tentando di caratterizzare il microbiota comune nei pazienti affetti da DFGI, che sembrerebbe essere diverso rispetto a quello presente nei soggetti normali e, sebbene i risultati degli studi per ora siano molto variabili e non del tutto significativi, la maggior parte di essi indica che nell’IBS le feci contengono concentrazioni significativamente minori di bifidobatteri e di lattobacilli (specie batteriche usualmente presenti nei preparati probiotici). Pertanto l’utilizzo dei probiotici potrebbe rappresentare un ulteriore approccio nei pazienti affetti da DFGI, sebbene gli effetti positivi sono strettamente legati alle singole specie e ceppi batte- rici, che possono anche essere efficaci solo su determinati clusters di sintomi. Sono necessari trial clinici randomizzati (RCT) che coinvolgano popolazioni molto più selezionate e numerose e che utilizzino probiotici con proprietà microbiologiche meglio caratterizzate e definite. L’efficacia reale dei prebiotici invece sui sintomi da IBS, al di là dell’effetto positivo noto sulla replicazione della flora batterica e dei probiotici somministrati, resta tutta da dimostrare: sono indispensabili ampi RCT che valutino, anche con una intention-to-treat analysis, l’effetto sui singoli sintomi di IBS di regimi alimentari con e senza prebiotico e che misurino anche l’impatto di tali diete sul microbiota gastrointestinale. Svariati sono ancora i quesiti da affrontare, le variabili da analizzare e i filoni di ricerca, per ottenere un inquadramento completo del problema “DFGI”. 3 Parkman HP, Hasler WL, Fisher RS. Technical review on the diagnosis and treatment of gastroparesis. Gastroenterology 2004;127:1592622. 4 Drossman DA, Camilleri M, Mayer EA, et. AGA technical review on irritable bowel syndrome. Gastroenterology 2002;123:2108-31. 5 Schuller C, Kanel N, Muller O, et al. Stress and pain response of neonates after spontaneous birth and vacuum-assisted and cesarean delivery. Am J Obstet Gynecol 2012;207:416.e1-6 6 Ramchandani Paul G, Stein FRC, Hotopf M, et al. Early parental and child predictors of recurrent Abdominal pain at school age: results of a large population-based study. JAM Acad Child Adolesc Psychiatry 2006;45:6. 7 Bonilla S, Saps M. Early life events predispose the onset of childhood functional gastrointestinal disorders. Revista de Gastroenterologia de Mexico 2013;78:82-91. 8 O’ Mahony SM, Clarke G, Dinan TG, et al. Early life adversity and brain development: is the microbiome a missing piece of the puzzle? Neuroscience 2015;Oct 1. pii:S0306-4522(15)00895-7 Bibliografia 1 Kroenke K, Mangelsdorff AD. Common symptoms in ambulatory care: incidence, evaluation, therapy, and outcome. Am J Med 1989;86:262-6. 2 Buonavolonta R, Coccorullo P, Turco R, et al. Familial aggregation in children affected by functional gastrointestinal disorders. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2010; 50:500-5. Baldassarre ME, Di Mauro A, Mastromarino P. Administration of a multi-strain probiotic product to women in the perinatal period differentially affects the breast milk cytokine profile and may have beneficial effects on neonatal gastrointestinal functional symptoms. a randomized clinical trial. Nutrients 2016;8. pii:E677. 10 • I DFGI possono essere considerati come derivanti dell’interazione tra alterata fisiologia intestinale e fattori psicologici e socioculturali, capaci di amplificare la percezione dei sintomi con un’importante ripercussione sulle attività quotidiane. • Terapie antibiotiche protratte per lunghi periodi, taglio cesareo, mancato allattamento al seno, possono predisporre all’insorgenza di DFGI, attraverso le alterazioni del microbiota. • È importante promuovere il bonding per consolidare la diade madre-neonato sin dalla nascita attraverso il contatto cutaneo, l’allattamento al seno, la riduzione di manovre invasive e dolorose, in particolare in bambini che necessitano di lunghi periodi di assistenza nelle terapie intensive. 146 a cura di Francesco Cirillo PEDIATRIC HEPATOLOGY Aspetti clinici e fattori di rischio della malattia epatica associata a IBD (risultati dal registro IBD) Clinical features and risk factors of IBD-related autoimmune liver disease: data from the SIGENP IBD registry La malattia di fegato nelle IBD Le patologie a carico del fegato e delle vie biliari sono fra le complicanze extraintestinali che più frequentemente si riscontrano nei pazienti con malattia infiammatoria cronica dell’intestino (Inflammatory Bowel Disease – IBD) potendo coinvolgere fino al 50% dei pazienti adulti 1. Le patologie epatobiliari possono essere principalmente: 1) malattie su base autoimmune che rappresentano l’espressione di una disregolazione basale del sistema immunitario condivisa con l’IBD; 2) la conseguenza dello stato flogistico non controllato che riflette la gravità della malattia; 3) l’effetto avverso delle terapie sia in termini di tossicità diretta che, più raramente, a seguito della riattivazione di virus epatotropi in corso di trattamento immunosoppressivo (Tab. I) 1. In questa discussione ci occuperemo solamente del primo gruppo di patologie che indicheremo di seguito come malattie di fegato autoimmuni (autoimmune liver diseases – AILD). Le AILD coinvolgono circa l’8% dei bambini con IBD e si distinguono principalmente nei quadri della colangite sclerosante e dell’epatite autoimmune 2, 3. La colangite sclerosante è una malattia infiammatoria fibrosante a progressivo andamento concentrico e obliterante delle vie biliari (Fig. 1). È ancora discusso se la colangite sclerosante sia sempre una vera patologia autoimmune; tuttavia, almeno in età pediatrica, è raramente una patologia isolata e, in oltre l’80% dei casi, è associata a una IBD 4. Ne consegue che la colangite sclerosante del bambino impone sempre il sospetto di una IBD associata, anche in assenza di sintomi gastrointestinali. L’epatite autoimmune è una patologia infiammatoria cronica che coinvolge il parenchima epatico e che si esprime con l’aumento degli anticorpi sierici di classe IgG, con la positività di specifici autoanticorpi (antinucleo, ANA, e anti-muscolo liscio, SMA per l’epatite autoimmune (EA) di tipo 1, anti-microsoma di fegato/ rene LKM-1 per l’EA di tipo 2) e, a livello istologico, con un’epatite di interfaccia (Fig. 2) 5. Il legame dell’e- Matteo Bramuzzo (foto) Stefano Martelossi Clinica Pediatrica, Istituto Materno Infantile IRCCS “Burlo Garofolo”, Trieste Key words Inflammatory bowel disease • Autoimmune hepatitis • Sclerosing cholangitis • Overlap syndrome Abstract Autoimmune liver disease is frequently reported in children with inflammatory bowel disease and in those cases the intestinal disease seems to have distinguishing features. We investigated the relation between autoimmune liver disease and inflammatory bowel disease in Italian children analyzing the data from the SIGENP IBD registry. Indirizzo per la corrispondenza Matteo Bramuzzo Clinica Pediatrica, Istituto Materno Infantile IRCCS “Burlo Garofolo” via dell’Istria 65/1, 34137 Trieste E-mail: [email protected] Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:147-151; doi: 10.19208/2282-2453-132 147 M. Bramuzzo, S. Martelossi Tabella I. Associazione tra IBD e manifestazioni epato-biliari (da Navaneethan et al. 2010 1, mod.). Manifestazioni che condividono meccanismi patogenetici con le IBD Colangite sclerosante Colangite dei piccoli dotti Colangiocarcinoma Epatite autoimmune/sindrome da overlap con colangite sclerosante Colangite IgG4-associata Manifestazioni che seguono la fisiopatologia Colelitiasi delle IBD Trombosi della vena porta e ascesso epatico Manifestazioni associate al trattamento delle IBD Epatite farmaco-indotta (mercaptopurine, methotrexate, ciclosporina, infliximab) Riattivazione epatite B (infliximab) Linfoma epatosplenico a cellule T Manifestazioni possibilmente associate alle IBD Steatosi epatica Amiloidosi epatica Granulomatosi epatica Cirrosi biliare primitiva Figura 1. Colangio-RM di un paziente con colangite sclerosante: l’albero biliare intraepatico presenta aree di stenosi e dilatazioni con un aspetto a “corona di rosario”. patite autoimmune con le IBD è meno stretto rispetto a quello del- 148 la colangite sclerosante, poiché solo il 20% dei pazienti con epa- tite autoimmune ha un IBD e solo lo 0,5% dei pazienti con morbo di Crohn e di quelli con rettocolite ulcerosa presenta un’epatite autoimmune associata 5. La distinzione tra colangite sclerosante ed epatite autoimmune non è però sempre netta e i due quadri possono essere sovrapposti, andando a delineare la cosiddetta “sindrome da overlap” detta anche “colangite autoimmune”. Non è chiaro se questa condizione sia data dalla semplice concomitanza delle due patologie, se rappresenti una fase nell’evoluzione di un’unica malattia o se sia una condizione a sé stante. Molti studi hanno però evidenziato come la sindrome da overlap sia forse la manifestazione di AILD associata alla IBD più frequente in età pediatrica. La diagnosi della patologia intestinale origina quasi sempre dalla presenza di sintomi, mentre la malattia di fegato è il più delle volte scoperta occasionalmente a seguito del riscontro di segni di colestasi anche minimi (moderato aumento della transaminasi con gGT elevate). La definizione definitiva di AILD dovrebbe prevedere sia un ima- PEDIATRIC HEPATOLOGY Malattia epatica e IBD dio di coorte analizzando i dati presenti nel registro delle IBD pediatriche stabilito dalla Società Italiana di Gastroenterologia ed Epatologia Pediatrica (SIGENP). Lo studio dal registro SIGENP Figura 2. Biopsia epatica di paziente con sindrome da overlap: marcata fibrosi portale e periportale associata a spiccato infiltrato infiammatorio misto linfo-granulocitario eosinofilo e plasmacellulare, con numerose immagini di epatite di interfaccia e di necrosi lobulare su base flogistica (gentile concessione del dott. Aurelio Sonzogni, Ospedale Papa Giovanni XXIII, Bergamo). ging delle vie biliari (colangioRMN o più raramente, data l’invasività dell’esame e l’esposizione a radiazioni ionizzanti, colangiografia retrograda endoscopica) che la biopsia epatica, poiché nelle fasi precoci di malattia le alterazioni macroscopiche dei dotti possono mancare. Per le forme con una chiara componente autoimmune (epatite autoimmune e sindrome da overlap) il trattamento è codificato, ovvero la doppia immunosoppressione prevista per il trattamento dell’epatite autoimmune classica; mentre la gestione delle colangiti “puramente sclerosanti” è invece meno definita: se da un lato, infatti, l’acido ursodeossicolico permette la normalizzazione degli enzimi epatobiliari, né questo né la terapia immunosoppressiva sembrano in grado di limitare la progressione del danno e l’evoluzione cirrogena. Nella popolazione adulta l’IBD associata ad AILD è quasi sempre una rettocolite ulcerosa e sembra distinguersi per l’interessamento pancolico con risparmio del retto e backwash ileitis 6, 7. L’associazione delle due patologie ha anche importanti risvolti prognostici: sebbene la malattia intestinale sembri caratterizzarsi per un’infiammazione modesta con lunghi periodi di remissione e poche ricadute 6, 7, la malattia epatica è l’unica tra le manifestazioni extraintestinali a influenzare la prognosi quoad-vitam della IBD per l’evoluzione cirrogena e per l’aumentato rischio di colangiocarcinoma e di carcinoma colon rettale. Scarsi sono i dati in età pediatrica e non è chiaro se anche le IBD pediatriche associate a AIDL abbiano un fenotipo distintivo. Per fare maggiore luce sulla relazione tra IBD e AIDL abbiamo quindi condotto uno stu- Abbiamo raccolto i dati dei pazienti inseriti nel registro IBD SIGENP dal 1 gennaio 2009 al 31 dicembre 2014 e abbiamo confrontato le caratteristiche anagrafiche e le caratteristiche della malattia intestinale, compreso il suo decorso clinico, dei pazienti con IBD e malattia di fegato associata e di quelli senza malattia di fegato. Abbiamo poi analizzato e descritto le caratteristiche della malattia epatica. Lo studio ha incluso 677 pazienti, 46 (6,8%) dei quali presentavano una malattia di fegato associata. I pazienti con malattia di fegato non sono risultati distinguibili per età, sesso, età alla diagnosi, durata dei sintomi intestinali prima della diagnosi e familiarità per IBD. La diagnosi di RCU è risultata più frequente nei pazienti con malattia epatobiliare (38/46 [83%] vs 322/631 [51%], odds ratio 6,8) (Fig. 3). In questi casi, l’interessamento pan-enterico e la positività degli anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili (ANCA) sono risultati significativamente più frequenti rispetto ai pazienti con IBD senza malattia di fegato. Il numero di pazienti con malattia di fegato affetti da morbo di Crohn è risultato molto ridotto e non ha permesso di individuare caratteristiche distintive. Non sono state osservate differenze significative tra i due gruppi di pazienti per quanto riguarda la necessità di terapia di terza linea (biologici, ciclosporina, talidomide), mentre la necessità di intervento chirurgico è risultata minore per i pazienti con malattia epatica (0% contro 12%, p < 0,05). 149 M. Bramuzzo, S. Martelossi sodio di colangite batterica, in un paziente si è manifestata ipertensione portale, un paziente ha progressivamente sviluppato un quadro di insufficienza epatica che ha richiesto il trapianto di fegato. Discussione IBDU: IBD-non classificata; CD: malattia di Crohn; UC: rettocolite ulcerosa Figura 3. Distribuzione del tipo di IBD tra i pazienti con o senza AILD. Il percorso diagnostico che ha condotto alla definizione di malattia di fegato ha incluso sia la colangioRM, che la biopsia epatica nel 72% dei pazienti. Nei restanti casi la diagnosi è stata posta sulla base di uno solo dei due esami combinati all’ecografia addominale e agli esami di laboratorio. 28 (61%) pazienti hanno ricevuto la diagnosi di colangite sclerosante, 3/46 (6%) di epatite autoimmune, 15/46 (33%) di sindrome da overlap. La diagnosi di malattia epatica è stata posta contemporaneamente alla diagnosi di IBD in 25 (54%) pazienti; in 10 (22%) pazienti la diagnosi di malattia epatica ha preceduto quella di IBD, mentre in 11 (24%) pazienti è stata successiva. In entrambi i casi l’intervallo tra le due diagnosi è stato in media di circa 6 mesi. Sintomi riconducibili alla malattia epatica, come astenia, anoressia, dolore epigastrico, erano presenti nel 26% dei casi e solo un paziente (2%) riferiva prurito. Escludendo i pazienti con epatite 150 autoimmune isolata, nei 43 pazienti rimanenti il danno a carico delle vie biliari aveva localizzazione sia intra che extra-epatica in 31 (72%) casi, esclusivamente extraepatica in 9 (21%) casi ed esclusivamente intraepatica in 3 (7%). La valutazione degli auto-anticorpi ha evidenziato la positività degli anticorpi anti-nucleo (ANA) in 27/41 (64%) pazienti, degli anticorpi anti-muscolo liscio in 20/37 (54%) e degli anticorpi anti microsoma di fegato e rene di tipo 1 (LKM1) in 1/29 (3%) pazienti. Tutti i pazienti con IBD e coinvolgimento epatico sono stati trattati con acido ursodesossicolico; 39 (85%) sono stati trattati anche con azatioprina; 8 (17%) hanno ricevuto una terapia di seconda linea o una terapia sperimentale: 3 (7%) ciclosporina, 3 (7%) mofetil micofernolato, 2 (4%) vancomicina per via orale. Durante un tempo di follow-up medio di quasi 3 anni (range 6 mesi11,5 anni) alcuni pazienti hanno sviluppato una complicanza della malattia epatica: 2 pazienti un epi- Il nostro studio ha mostrato in una casistica non selezionata di pazienti pediatrici italiani che la diagnosi di AILD coinvolge il 6,8% dei pazienti affetti da IBD, in linea con quanto riportato in analoghe casistiche europee e statunitensi. La diagnosi di rettocolite ulcerosa, specie se caratterizzata dalla localizzazione pancolica e dalla positività degli anticorpi ANCA, è risultata il maggiore fattore di rischio per l’associazione con un AILD. Né il risparmio del retto, né la backwash ileitis sono risultate caratteristiche endoscopiche distintive delle IBD associate a AILD, come invece descritto in altre casistiche. Anche se non abbiamo potuto valutare direttamente gli score di malattia, il numero e l’entità delle ricadute, l’analisi delle terapie messe in atto per il controllo della malattia intestinale non ha evidenziato una diversa aggressività della IBD tra i pazienti con malattia epatica associata e nei casi di controllo. La ridotta necessità di interventi chirurgici suggerisce tuttavia un andamento meno complicato. Il percorso diagnostico che ha condotto alla diagnosi di malattia di fegato ha incluso sia la colangio-RM, che la biopsia epatica nel 72% dei casi. Questo dato, che riflette la pratica clinica dei centri italiani, mette in luce una parziale incompletezza del percorso diagnostico. La conoscenza sia della morfologia delle vie biliari che lo stato istologico del parenchima epatico è fondamentale per inquadrare e definire in maniera PEDIATRIC HEPATOLOGY Malattia epatica e IBD precisa la malattia epatica, stabilirne la prognosi e programmarne il trattamento. La colangite sclerosante con interessamento delle vie biliari intra ed extraepatiche è risultata la forma di coinvolgimento epatico più frequente; in circa un terzo dei casi la colangite è apparsa associata alla flogosi del parenchima epatico (sindrome da overlap), mentre il quadro di epatite autoimmune “pura” è stato raro. La diagnosi della malattia epatica è stata contemporanea a quella della malattia intestinale nella metà dei casi, ma si è confermato come possa sia precedere che seguire di diversi mesi. Come atteso, la malattia di fegato è stata raramente sintomatica e il sospetto diagnostico è nato il più delle volte dall’alterazione degli esami ematochimici di screening. La quasi totalità dei pazienti, anche in assenza di segni di infiammazione del parenchima, ha ricevuto terapia immunosoppressiva con azatioprina, anche se non abbiamo potuto stabilire se per il con- trollo della malattia intestinale o se, come suggerito da alcuni approcci terapeutici, anche per la malattia epatica “solo sclerosante”. Nonostante il limitato follow-up, la malattia di fegato si è dimostrata evolutiva già in età pediatrica nel breve periodo e le complicanze osservate sono state gravi e irreversibili. In conclusione è fondamentale non solo sospettare e cercare una AILD nei pazienti con IBD e arrivare a una diagnosi precisa attraverso l’imaging delle vie biliari e la biopsia epatica, ma anche avviare un attento follow-up sia per il controllo delle possibili complicanze intestinali che, soprattutto, epatiche. angitis, autoimmune hepatitis, and overlap in Utah children: epidemiology and natural history. Hepatology 2013;58:1392-400. Dotson JL, Hyams JS, Markowitz J, et al. Extraintestinal manifestations of pediatric inflammatory bowel disease and their relation to disease type and severity. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2010;51:140-5. 3 Feldstein AE, Perrault J, El-Youssif M, et al. Primary sclerosing cholangitis in children: a longterm follow-up study. Hepatology 2003;38:210-7. 4 5 Maggiore G, Riva S, Sciveres M. Autoimmune diseases of the liver and biliary tract and overlap syndromes in childhood. Minerva Gastroenterol Dietol 2009;55:53-70. Boonstra K, van Erpecum KJ, van Nieuwkerk KM, et al. Primary sclerosing cholangitis is associated with a distinct phenotype of inflammatory bowel disease. Inflamm Bowel Dis 2012;18:2270-6. 6 Bibliografia Navaneethan U, Shen B. Hepatopancreatobiliary manifestations and complications associated with inflammatory bowel disease. Inflamm Bowel Dis 2010;16:1598-619. 1 Deneau M, Jensen MK, Holmen J, et al. Primary sclerosing chol- 2 7 Loftus EV Jr, Harewood GC, Loftus CG, et al. PSC-IBD: a unique form of inflammatory bowel disease associated with primary sclerosing cholangitis. Gut 2005;54:91-6. • Le malattie autoimmuni di fegato e vie biliari (AILD) si riscontrano in circa il 10% dei pazienti con IBD. • La AILD è quasi sempre associata alla rettocolite ulcerosa, la quale ha in genere localizzazione pancolica, positività degli ANCA e un decorso meno complicato. • La malattia epatica è il più delle volte asintomatica ed è necessario avere un alto indice di sospetto diagnostico. • In tutti i casi di sospetta AILD è necessario eseguire sia una colangio-RM che una biopsia epatica • La malattia epatica può avere una rapida evoluzione sfavorevole e necessità di un attento monitoraggio laboratoristico e strumentale. 151 PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE a cura di Antonella Diamanti Disordini nutrizionali a esordio precoce Nutritional and feeding disorders Claudio Romano (foto) Sara Spadaro Dipartimento di Patologia Umana dell’Adulto e dell’Età Evolutiva “G. Barresi”, Università di Messina Key words Eating disorder • Feeding disorder • Nutrition disorder • Non-organic feeding disorder • Early childhood Abstract Nutritional disorders may be present in children and correlated with feeding disorders. Sometimes, these conditions can be secondary to an organic condition. When non-organic etiology is present, inadequate medical interventions can contribute to the maintenance of the problem. The risk of malnutrition or poor growth are present when there is a delay in diagnosis or inadequate interventions. Indirizzo per la corrispondenza Claudio Romano Dipartimento di Patologia Umana dell’Adulto e dell’Età Evolutiva “G. Barresi”, Università di Messina via Consolare Valeria 1, 98124 Messina E-mail: [email protected] 152 Definizione Il DSM-5 fornisce la seguente definizione dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione: “I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un persistente disturbo dell’alimentazione o di comportamenti collegati con l’alimentazione che determinano un alterato consumo o assorbimento di cibo e che danneggiano significativamente la salute fisica o il funzionamento psicosociale”. Il DSM-5 include le seguenti categorie diagnostiche come la Pica, il disturbo di ruminazione, il disturbo da evitamento/restrizione dell’assunzione di cibo, l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa, il disturbo da alimentazione incontrollata, il disturbo della nutrizione o dell’alimentazione con specificazione, il disturbo della nutrizione o dell’alimentazione senza specificazione (e le prime tre riguardano soprattutto i disturbi della nutrizione dell’infanzia) 1. I disturbi alimentari dell’infanzia rappresentano problemi molto comuni. Si stima, infatti, che circa il 25% dei bambini con un normale sviluppo psicofisico e l’80% dei bambini con ritardo dello sviluppo possano presentano un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione. Esso si può manifestare con una incapacità di alimentarsi adeguatamente con conseguente difficoltà a prendere peso o significativo rallentamento della crescita. I gruppi a maggiore rischio sono costituiti dai neonati pretermine, quelli con peso alla nascita inferiore al 10° percentile per l’età gestazionale, i bambini con anomalie craniofacciali e/o sindromi genetiche 2. Tale condizione può avere un esordio molto precoce come nel caso del neonato, manifestandosi con pianto, coliche, interruzione della suzione, ipereccitabilità e irritabilità, o comparire tra il primo e secondo anno di vita. In tal caso possono configurarsi quadri tipici di rifiuto alimentare, caratterizzati da atteggiamenti oppositivi da parte del bambino (allontana o getta il cibo, piange quando gli viene offerto e quindi alla vista del biberon) o da una sua apparente mancanza di interesse verso il cibo (si addormenta e smette di mangiare, tiene il cibo in bocca). In generale un disturbo alimentare può esordire tra i 6 mesi e 4 anni di età quando viene tentato l’avvio del self-feeding e ciò ap- Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:152-155; doi: 10.19208/2282-2453-133 PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE Disordini nutrizionali a esordio precoce pare correlato al periodo di transizione dall’allattamento al “seno” al cucchiaio, bicchiere o tazza, o da una consistenza liquida a una semisolida 3. La variazione nel tipo di bolo (liquido o solido), le caratteristiche (durezza, omogeneità, volume, viscosità, consistenza) e le capacità sensoriali (gusto) rappresentano le tappe principali dello sviluppo delle capacità oromotorie. Nella maggior parte dei bambini, lo sviluppo delle abilità alimentari (masticazione e deglutizione di alimenti morbidi, solidi) inizia tra i 6-8 mesi di età 4. Inoltre, i bambini in questa fascia di età vogliono essere autonomi, cercano l’indipendenza e sono facilmente distraibili dall’ambiente circostante durante il pasto. Diversi studi dimostrano che alterazioni dell’interazione madre-figlio sono alla base di disturbi alimentari nel bambino: atteggiamento ansioso e preoccupato, intrusivo, ipercontrollante, rigido, depressione materna o problemi psicologici di diversa natura, atteggiamento iperprottettivo che non favorisce la ricerca di autonomia nel bambino possono essere considerate le condizioni più comuni 5. In questo ambito ed in questa fascia di età è più frequente il rischio di medicalizzazione o ricerca di presunte cause organiche (allergia al latte, reflusso gastroesofageo ecc.) con vari cambi di latte o uso di farmaci (ranitidina) con accentuazione del problema. La classificazione di tali disordini comprende la distinzione dicotomica tra cause organiche o non-organiche e include la corretta interpretazione del ruolo dei fattori ambientali (atteggiamento dei genitori, cause mediche e disturbi del comportamento o dello sviluppo psicomotorio). Nell’ambito dei disturbi del comportamento alimentare (DCA) di natura non organica si possono riconoscere alcune categorie: 1. Bambino con appetito limi- tato/alimentazione restrittiva: questa categoria (picky eaters) comprende bambini che non solo restringono la scelta dei cibi, ma ne diminuiscono anche la quantità. Essi hanno poco appetito e non sono interessati al cibo. Nonostante ciò, presentano in genere una crescita regolare. È una condizione comune negli anni prescolastici, ma se persiste per molti anni può compromettere il normale sviluppo. 2. Bambino vigoroso con poco interesse per l’alimentazione: questa categoria comprende bambini attivi, energici, curiosi e molto più interessati a giocare che a mangiare. In genere si rifiutano di rimanere seduti durante i pasti, mangiano frequentemente, in piccole quantità e non riescono a prendere peso. Non sono presenti in genere cause organiche e Chatoor associa a questa categoria il termine di “anoressia infantile”. 3. Bambino depresso con poco interesse per l’alimentazione: questa categoria comprende bambini poco attivi, poco interessati al cibo, ma anche all’ambiente che li circonda e con scarsa comunicazione con i genitori. Il rischio di malnutrizione è più frequente in questo ambito. 4. Bambino con alimentazione selettiva: questa categoria descrive bambini che limitano la loro alimentazione a una gamma ristretta di cibi preferiti; mangiano cinque o sei cibi differenti, spesso carboidrati come pane, patate fritte o biscotti. Essi non accettano di provare cibi nuovi (neofobici) e non si riesce a persuaderli a farlo in nessuna circostanza. Hanno lo stimolo “facile” al vomito, anche se non hanno chiaramente difficoltà ad assumere e digerire il loro cibo preferito. Questo rifiuto potrebbe essere correlato ad aspetti sensoriali come il gusto, l’odore o il colore. In genere sono bambini che comunque hanno un apporto calorico adeguato e tendono ad abbandonare questo comportamento quando la scuola e gli incontri sociali diventano parte importante della loro vita. 5. Bambini con paura o fobia specifica verso il cibo: questa categoria comprende bambini con paura a deglutire o che evitano cibi di consistenza aumentata. Spesso è possibile individuare l’evento che ha scatenato questa fobia: un episodio di disfagia o soffocamento, episodi di diarrea e vomito in pubblico, durante i quali si è sporcato di fronte ad altre persone, o procedure orali dolorose o spiacevoli (alimentazione con sondino naso-gastrico) 6. Criteri diagnostici Circa il 20-60% dei genitori ritiene che i loro figli non mangino in maniera sufficiente, o mostrino un atteggiamento di tipo fobico nei confronti dei cibi nuovi 7. Rispetto a quanto riferito dai genitori, solo l’1-5% rispettano realmente i criteri per un sospetto di disturbo della condotta alimentare. Il riconoscimento di un DCA può essere problematico anche in relazione al progressivo e costante stato di revisione dei criteri diagnostici e di classificazione. Di fronte a un bambino con il sospetto di DCA, è opportuno procedere con una attenta anamnesi (personale e familiare), esame obiettivo (compresi dati antropometrici) e diario alimentare. L’anamnesi dovrebbe includere storia prenatale e perinatale; storia familiare di atopia o problemi alimentari; malattie e ricoveri ospedalieri precedenti; e utilizzo, in epoca neonatale, di nutrizione artificiale con sondino naso-gastrico. Un’anamnesi alimentare specifica comprende il tipo di alimentazione alla nascita (allattamento materno versus artificiale), cambi di formule, epoca di introduzione dei solidi, la dieta attuale, 153 C. Romano, S. Spadaro consistenza, modalità, durata dei pasti e postura durante il pasto. Il rilievo di alcuni sintomi correlabili con il sospetto di disfagia o aspirazione dovrebbe indurre a ricercare cause di tipo organico. Indicatori clinici che suggeriscono una deglutizione incoordinata può determinare sintomi quale la tosse o il soffocamento. La valutazione della disfagia dovrebbe comprendere quale fase della deglutizione (orale, faringea o esofagea) è disorganizzata e potrebbe richiedere il supporto di un logopedista con specialità nell’educazione della funzione motoria orale. Lo stridore ai pasti potrebbe essere causato da anomalie glottiche o subglottiche. La coordinazione di succhiare-deglutire-respirare può essere influenzata dalla presenza di un’atresia delle coane. Scarsa crescita, vomito, diarrea e stipsi ostinata dovrebbero indurre a escludere il sospetto di malattia da reflusso gastroesofageo o allergia alle proteine del latte. Un dettagliato diario alimentare dovrebbe essere raccolto e interpretato in termini di adeguato ed equilibrato apporto calorico in rapporto all’età. L’esame obiettivo deve comprendere le misurazioni antropometriche, inclusa la circonferenza cranica, la ricostruzione della curva di crescita, la presenza di anomalie craniofacciali, un esame neurologico completo associato alla valutazione dello sviluppo psicomotorio. La valutazione dello stato nutrizionale è un aspetto importante nella gestione dei DCA. La scarsa crescita è presente nel 40-50% dei pazienti con DCA ed è correlata con un ritardo nella diagnosi. Nessuna indagine di laboratorio è indicata nel bam- 154 bino con esame obiettivo, curve di crescita e sviluppo normali. Una parte integrante dell’approccio al bambino con DCA deve presupporre un’indagine per esplorare la presenza di stress sociali, alterazione delle dinamiche familiari e la presenza di problemi emotivi. Ha una grande valenza diagnostica l’osservazione del pasto e del comportamento dei genitori durante lo stesso. Ciò fornisce indizi sulle interazioni, le tecniche di alimentazione e la risposta agli stimoli fisiologici o sociali del bambino. L’identificazione di alterate tecniche di alimentazione da parte dei genitori (alimentazione notturna, persecutoria forzata, condizionata da distrazioni e pasti prolungati) rappresenta un momento diagnostico fondamentale 8. La gestione multidisciplinare La maggior parte dei bambini con disordini nutrizionali può essere gestita da interventi di nutrizione e educazione del comportamento alimentare all’interno inizialmente dell’ambulatorio del Pediatra di Famiglia, e in taluni casi con un approccio multidisciplinare che prevede il coinvolgimento di uno specialista pediatra/gastroenterologo e/o nutrizionista (ad es. valutazione, diagnosi e trattamento delle carenze della dieta e nutrizione), un logopedista (valutazione della capacità fisica di deglutizione, progettazione e realizzazione dello schema di deglutizione), terapisti della riabilitazione (valutazione di capacità fisiche adeguate all’alimentazione e di sensibilità sensoriale, implemen- tazione di modifiche ambientali per migliorare le abilità d’alimentazione). Gli obiettivi dell’intervento sono i seguenti: a) riabilitazione nutrizionale (garantire adeguate calorie, proteine e altri nutrienti), b) modificazione del comportamento alimentare e nutrizionale, c) educazione della famiglia sulle modalità di nutrimento e comportamento, d) il monitoraggio della crescita e dello stato nutrizionale, e) l’assistenza economica/sociale, quando necessario 9. Conclusioni Nella maggior parte dei casi i disordini nutrizionali sono transitori, ma nel 3-10% si possono associare al rischio di malnutrizione. Nella diagnostica differenziale devono comunque essere prese in considerazione alcune cause organiche come le allergie alimentari, la malattia da reflusso gastroesofageo o i disturbi della deglutizione. L’approccio clinico deve essere rassicurante e “correttivo” nella gran parte dei casi, anche se devono essere evidenziati eventuali segnali d’allarme (vomito, ritardo psicomotorio ecc.) o la tendenza verso la scarsa crescita o la malnutrizione. Il Pediatra dovrebbe avere la capacità di intercettare già nelle prime fasi comportamenti o atteggiamenti suggestivi per un disturbo del comportamento alimentare e fornire indicazioni sulle modalità di gestione delle tecniche di alimentazione (Tab. I). Lo screening per la scarsa crescita/basso peso e difficoltà nell’alimentazione dovrebbero essere parte di regolari check-up della salute. PEDIATRIC NUTRITION & HEALTH AND FOOD SCIENCE Disordini nutrizionali a esordio precoce Tabella I. Come riconoscere un disturbo del comportamento alimentare di tipo non organico. Segni e sintomi di un disturbo alimentare Pasti prolungati Rifiuto persistente dell’alimento Alimentazione notturna Prolungamento dell’allattamento al seno o artificiale Difficoltà a introdurre cibi di maggiore consistenza I “segnali d’allarme” Organici Disfagia Aspirazione Deglutizione incoordinata Vomito e diarrea Ritardo di crescita e dello sviluppo psicomotorio Sintomi cardio-respiratori cronici Comportamentali Fissazione per il cibo (selettiva, estreme limitazioni dietetiche) Tecniche di alimentazione sbagliate (dure e/o persecutorie) Cessazione brusca dell’allattamento dopo un evento scatenante Fornire le regole generali per l’alimentazione Evitare le distrazioni durante i pasti (televisione, telefoni) Mantenere un atteggiamento neutrale e piacevole durante tutto il pasto Porre un limite alla durata del pasto (20-30 min) e al numero dei pasti (4-6 al giorno intervallati solo da acqua) Servire cibi appropriati all’età Riproporre regolarmente nuovi alimenti (fino a 8-15 volte) Incoraggiare self-feeding Bibliografia 1 American Psychiatric Association. Diagnostic and statistical manual of mental Disorders, 5th ed. Text Revision. Arlington VA: American Psychiatric Association 2013. (Edizione italiana: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Milano: Raffaello Cortina 2014). Romano C, Privitera C, Comito D, et al. Non-organic feeding disorders and failure to thrive: approach and clinical patterns. Pediatr Therapeut 2012;2:122. Smith AM, Roux S, Naidoo NT, et al. Food choices of tactile defensive children. Nutrition 2005;21:14e9. 3 Barlow SM. Central pattern generation involved in oral and respiratory control for feeding in the term infant. Curr Opin Otolaryngol Head Neck Surg 2009;17:187e93. 4 5 2 6 Satter E. The feeding relationship: problems and interventions. J Pediatr 1990;117(2Pt2):S181e9. Bernard-Bonnin A. Feeding problems of infants and toddlers. Can Fam Physician 2006;52:1247-51. Reau NR, Senturia YD, Lebailly SA, et al.; The Pediatric Practice Research Group. Infant and toddler feeding patterns and problems: normative data and a new direction. J Dev Behav Pediatr 1996;17:149e53. 7 Kerzner B, Milano K, MacLean W, et al. A practical approach to classifying and managing feeding difficulties. Pediatrics 2015;135:1-10. 8 Romano C, Hartman C, Privitera C, et al. Current topics in the diagnosis and management of the pediatric non organic feeding disorders (NOFEDs). Clinical Nutrition 2015;34:195-200. 9 • Il bambino che non riesce ad avviare un corretto svezzamento, mangia poco o rifiuta diversi alimenti potrebbe presen- tare un disturbo della nutrizione e del comportamento alimentare. • La classificazione di tali condizioni comprende la distinzione dicotomica tra cause organiche o non-organiche. • Quando la crescita è regolare non vi è indicazione a ricercare condizioni patologiche. • La maggior parte dei bambini necessita solo di interventi di educazione al comportamento alimentare all’interno della famiglia e della comunità. • Il Pediatra di Famiglia ha un ruolo determinante nel riconoscere precocemente disturbi del comportamento alimentare di tipo non organico. 155 IBD HIGHLIGHTS a cura di Fortunata Civitelli L’anemia nelle malattie infiammatorie croniche intestinali Anemia in inflammatory bowel disease Stefano Festa1 (foto) Giulia Gallusi2 Riccardo Ballanti1 Claudio Papi1 1 UOC Gastroenterologia, UOS Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, Ospedale san Filippo Neri, Roma; 2 UO Gastroenterologia ed Epatologia, “La Sapienza” Università di Roma, Policlinico Umberto I Key words Anemia • Inflammatory bowel disease • Iron deficiency • Anemia of chronic disease • Erythropoietin Abstract Although anemia is one of the most common extra-intestinal manifestations of Inflammatory Bowel Disease (IBD), it is often overlooked both at diagnosis and during disease course. Anemia influences not only morbidity and mortality but also IBD patient’s quality of life and health care costs. A prompt diagnosis and classification of anemia (mainly iron deficiency and/or anemia of chronic disease) is mandatory for a correct therapeutic approach. Indirizzo per la corrispondenza Stefano Festa UOC Gastroenterologia, UOS Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, Ospedale san Filippo Neri via G. Martinotti 20, 00135 Roma E-mail: [email protected] 156 Introduzione L’anemia è una delle più comuni manifestazioni extraintestinali delle malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI) che incide in maniera significativa sulla disabilità, sulla spesa sanitaria e sulla qualità di vita dei pazienti, oltre ad avere potenzialmente un impatto sulla prognosi e la mortalità. L’eziopatogenesi dell’anemia è multifattoriale ma circa il 90% dei casi possono essere spiegati da una carenza di ferro e/o dall’infiammazione cronica 1. L’anemia nelle MICI è spesso sotto-diagnosticata, non adeguatamente monitorata, e non correttamente trattata 2. Per questi motivi, l’anemia nelle MICI rimane ancora oggi un argomento di estrema attualità per il gastroenterologo pediatra. Epidemiologia e fattori di rischio associati all'anemia Negli ultimi due decenni l’epidemiologia dell’anemia nei soggetti affetti da MICI ha mostrato una diminuzione della prevalenza delle forme lievi e moderate grazie alla diagnosi più precoce delle MICI, una loro migliore gestione globale, e una sempre maggiore efficacia delle terapie 3. Ciononostante, la prevalenza dell’anemia severa è rimasta invariata con tassi globali che rimangono elevati. Da una recente meta-analisi di 8 studi provenienti da diversi paesi europei emerge come la prevalenza globale dell’anemia nelle MICI sia del 24%, con percentuali variabili dal 10 al 70%, che riflettono in parte sia differenti criteri usati per la definizione di anemia, sia differenti popolazioni incluse nei singoli studi 4. Studi osservazionali di coorte hanno dimostrato che la percentuale di pazienti anemici è più alta al momento della diagnosi: fino al 48% dei pazienti con Malattia di Crohn (MdC) e circa il 20% di quelli con colite ulcerosa (CU), con percentuali che tendono a diminuire nel tempo. Inoltre l’anemia è più frequente nella MdC rispetto alla CU. Nella popolazione pediatrica, al momento della diagnosi, la prevalenza dell’anemia è maggiore rispetto alla popolazione adulta 5. I pazienti a maggior rischio di anemia sono quelli con una proteina C reat- Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:156-161; doi: 10.19208/2282-2453-134 IBD HIGHLIGHTS L’anemia nelle malattie infiammatorie croniche intestinali tiva (PCR) elevata e quelli con un fabbisogno di corticosteroidi più elevato, indicatori, rispettivamente, di una malattia in fase di attività e di una malattia a decorso più aggressivo. L'anemia come fattore prognostico nelle MICI Decorso L’anemia è un fattore che influenza negativamente la prognosi nelle MICI e questo è stato dimostrato in diversi studi. Infatti, la presenza di anemia è associata più spesso alla localizzazione colica nella MdC e all’estensione nella CU, due fattori, a loro volta, associati a una prognosi più sfavorevole 6. Inoltre, nei pazienti con MICI ospedalizzati, la presenza di anemia e la necessità di emotrafusioni, si associano a una maggiore necessità di chirurgia 7. Infine, l’anemia, persistente o ricorrente, per tre o più anni si associa a un decorso più aggressivo e a un maggior grado di disabilità essendo correlata al numero maggiore di visite ambulatoriali, ospedalizzazioni e interventi chirurgici 8. Risposta al trattamento È noto che un basso valore di emoglobina al momento dell’attacco severo nella CU rappresenta un fattore predittivo di mancata risposta allo steroide sistemico e, quindi, è associato a un maggior rischio di necessità di terapia di salvataggio e di colectomia nel lungo termine 7. Più di recente, bassi valori di emoglobina (< 14,5 g/dl) al momento della sospensione di farmaci anti-TNF sono stati associati a un maggior rischio di relapse in pazienti adulti affetti da MdC 9. Qualità della vita Tra varie condizioni croniche associate alle MICI (es. comorbidità cardiovascolari, artrite ecc.), la presenza di anemia condiziona in modo significativo la qualità di vita dei pazienti, andando a influenzare gli aspetti che riguardano la salute fisica globale (l’attività fisica, lavorativa e sociale) 10. Va ricordato infatti che la fatica cronica è un sintomo comune nelle MICI in cui è presente anemia e proprio la carenza di ferro è riconosciuta come uno dei principali fattori eziologici. Inoltre, la correzione dell’anemia, (mediante supplementazione di ferro e/o terapia con eritropoietina) è associata a un miglioramento della qualità di vita e degli indicatori di abilità fisica. Eziopatogenesi dell'anemia nelle MICI La patogenesi dell’anemia nelle MICI è complessa 11. Da un punto di vista fisiopatologico i due principali tipi di anemia che si riscontrano nelle MICI sono l’anemia sideropenica e l’anemia da malattie croniche. L’anemia sideropenica, che nella maggior parte delle casistiche riportate è la più comune, può esser legata sia a un ridotto assorbimento di ferro da parte degli enterociti, legato al danno diretto dell’epitelio intestinale, sia a una perdita ematica cronica dalle microerosioni o ulcere che l’infiammazione della mucosa del tratto gastroenterico porta con sé, sia a una condizione di malnutrizione. L’anemia da malattie croniche (presente cioè in quelle condizioni associate ad attivazione cronica dell’immunità cellulo-mediata come le infezioni, le neoplasie maligne o i disordini infiammatori immuno-mediati) invece, è legata a un meccanismo infiammatorio mediato da diverse citochine (Fig. 1) che determina ridotti livelli ematici di ferro, sequestrato al livello del sistema reticolo-endoteliale, con il risultato quindi di una minore disponibilità di ferro per le cellule progenitrici eritroidi a livello del midollo osseo. Lo stato infiammatorio cronico inoltre, porta anche a un’inibizione diretta dell’eritropoiesi midollare e a un ridotto assorbimento di ferro a livello dell’epitelio duodeno-digiunale, rendendo i due meccanismi (quello dell’anemia sideropenica e quello dell’anemia da malattie croniche) strettamente connessi. Singolarmente, o associate tra loro, l’anemia sideropenica e l’anemia delle malattie croniche spiegano circa il 90% dei casi di anemia nelle MICI (Fig. 2). Più raramente l’anemia nelle MICI può essere sostenuta da altri meccanismi: •Carenza di folati e/o vitamina B12. La vitamina B12 è assorbita soprattutto nell’ileo terminale complessata con il fattore intrinseco secreto a livello dello stomaco. L’infiammazione cronica o la resezione dell’ileo, particolarmente nel MdC, possono portare a carenza di vitamina B12. La carenza di acido folico, invece, assorbito nel duodeno e nel digiuno, può essere dovuta a una dieta inadeguata, a malassorbimento (per resezioni o localizzazioni di malattia), o a interazioni con farmaci specifici per le MICI (sulfasalazina, methotrexate); •Anemia da farmaci. Le tiopurine, farmaci utilizzati nella terapia delle MICI, hanno un effetto mielosoppressivo e quindi possono nel tempo causare anemia, più spesso macrocitica. Le tiopurine da sole, però, raramente sono causa di anemia e per tale motivo, prima della definitiva sospensione, altre cause di anemia vanno escluse. Va ricordato che il rischio di svi- 157 S. Festa et al. luppare leucopenia o aplasia è elevato negli individui con bassa attività dell’enzima tiopurinmetiltransferasi (TPMT). L’attività del TPMT è determinata dal genotipo e quindi la genotipizzazione è stata proposta come un metodo di valutazione del rischio di sviluppare aplasia midollare, sebbene la diffusione di tale metodo nella pratica clinica è limitata. CFU-E = cellule progenitrici eritroidi, Epo = eritropoietina, TNFa = tumor necrosis factor a Figura 1. Eziopatogenesi dell’anemia nelle MICI. IRC = insufficienza renale cronica Figura 2. Prevalenza e importanza relativa delle diverse cause di anemia alla prima diagnosi di MICI e nel follow-up. 158 Diagnosi L’attuale definizione di anemia con valori di riferimento stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità si applica anche ai pazienti con MICI (Tab. I). Il work-up diagnostico dell’anemia va iniziato in presenza di sintomi (astenia, disturbi del sonno, deficit dell’attenzione, irritabilità ecc.) e/o quando il valore di emoglobina risulta sotto i limiti della norma. Secondo le linee guida della ECCO (European Crohn’s and Colitis Organization) i test di laboratorio di primo livello includono emocromo completo con formula, ferritina, saturazione della transferrina, PCR e conta dei reticolociti 12. Un work up di secondo livello, volto a indagare cause più rare di anemia, comprende anche il dosaggio di folati, vitamina B12, aptoglobina, lattico deidrogenasi, azotemia, creatinina. Il ragionamento diagnostico iniziale dovrebbe procedere secondo un algoritmo non diverso da quelli comunemente usati in ambito ematologico. In particolare però, nell’ambito dell’anemia associata alle MICI, la distinzione tra componente sideropenica e componente legata all’infiammazione cronica (o comunque il riconoscimento di quella prevalente) è di fondamentale importanza, poiché da essa dipende l’appropriatezza del trattamento (Fig. 3). In primo luogo va quindi valutata l’attività della malattia. In assenza IBD HIGHLIGHTS L’anemia nelle malattie infiammatorie croniche intestinali Tabella I. Valori minimi di emoglobina usati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per la definizione di anemia in persone che vivono al livello del mare. Gruppo di riferimento Valore emoglobina (g/dl) Ematocrito Bambini tra 6 mesi e 5 anni Bambini tra 5 e 11 anni Bambini tra 12 e 13 anni Donne Donne in gravidanza Uomini 11 11,5 12 12 11 13 33 34 36 36 33 39 di segni clinici (diarrea, rettorragia, febbre), biochimici (Leucociti, PCR, calprotectina fecale) o endoscopici di infiammazione attiva, un valore di ferritina sierica < 30 µg/L è suggestivo di una carenza di ferro pura. Se la malattia è in fase di attività, anche con riserve di ferro esaurite o ridotte, i livelli di ferritina possono essere elevati (tra 30 e 100 µg/L) indicando la coesistenza di due meccanismi patogenetici. Valori di ferritina > 100 µg/L sono invece indicativi di una patogenesi legata principalmente allo stato infiammatorio cronico (Fig. 3) 12. La concentrazione sierica del recettore solubile della transferrina (sTfR) è un indicatore delle riserve di ferro destinate all’eritropoiesi più affidabile della ferritina, poiché non è influenzato dall’infiammazione. Oltre a quest’ultimo, può esser d’aiuto nei casi dubbi, il calcolo del rapporto tra il valore del recettore solubile della transferrina e il logaritmo dei livelli di ferritina (sTfR/log Ferritina): se l’indice è maggiore di 2 la carenza di ferro è esclusa 12. significa migliorare la qualità della vita e tale miglioramento è indipendente dall’attività della malattia. In assenza di anemia, ma con ridotti livelli di ferritina, la supplementazione va discussa caso per caso e dipende dalla presenza di sintomi del paziente e dalla sua storia clinica. L’obiettivo della terapia è quello di normalizzare i valori di emoglobina. Di solito, tanto più basso è il valore di partenza e tanto maggiore sarà il tempo per arrivare a normalizzare i valori. Un aumento dell’emoglobina di almeno 2 g/dL nell’arco di 4 settimane dall’inizio del trattamento è considerata una risposta alla terapia accettabile. Il rischio di sovraccarico parziale nei pazienti con sanguinamento cronico/in- Trattamento Anemia sideropenica La supplementazione di ferro è sempre raccomandata in presenza di una componente ferrocarenziale 12. Correggere l’anemia Tsat= saturazione della transferrina Figura 3. Work-up per la diagnosi differenziale delle anemie nelle MICI. 159 S. Festa et al. termittente (come si verifica nelle MICI) è molto basso, ma una saturazione della transferrina > 50% e una ferritina > 800 µg/L vengono considerate le soglie massime, oltre le quali la terapia marziale va interrotta 12. La supplementazione di ferro per via endovenosa (ev) dovrebbe essere considerata la prima linea di trattamento nei pazienti con MICI in fase attiva, in quelli con storia d’intolleranza ai preparati di ferro per os, in quelli con emoglobina < 10 g/dL e in quelli in cui è stata posta indicazione a terapia con eritropoietina 12. Il ferro per via ev è sostanzialmente sicuro, ben tollerato e più efficace rispetto al ferro per os nel correggere l’anemia e nel mantenere le riserve di ferro. È utile ricordare l’importanza di eseguire l’infusione di ferro in ambiente protetto, considerato il potenziale rischio di reazioni d’ipersensibilità che, seppure siano rare, possono essere letali. Nella Tabella II è riassunto uno schema che indica come calcolare in modo semplice il fabbisogno di ferro da somministrare ev. In commercio sono disponibili diverse formulazioni di ferro ev: carbossimaltosio ferrico, saccarato ferrico, sodio ferrogluconato, ma non esistono studi di confronto diretto, in termini di efficacia e sicurezza, fra le diverse formulazioni. L’indubbio vantaggio del carbossimaltosio ferrico, deriva dalla velocità d’infusione (15-30 minuti) e dalla possibilità di sommi- nistrare elevate quantità di ferro (500-1000 mg) in una singola infusione 13. Inoltre in un trial clinico randomizzato controllato contro placebo, il carbossimaltosio ferrico si è dimostrato efficace nel prevenire la ricorrenza dell’anemia in pazienti con MICI per i quali la somministrazione del farmaco (una dose da 500 mg) era prevista se la ferritina scendeva sotto i 100 µg/L 14. In caso di anemia lieve (Hb non inferiore a 11 g/dl), e con malattia in fase di remissione, il ferro per os è l’opzione di scelta. Poiché gli effetti collaterali del ferro per os sono dose-dipendenti e sono legati al contatto della quota di ferro non assorbita con le aree di mucosa ulcerata, la dose giornaliera di ferro elementare non deve superare i 100 mg/die 12. Visto l’elevato tasso di recidive di anemia (circa il 50% a 10 mesi dalla fine della supplementazione) è consigliato un follow-up clinicolaboratoristico (emocromo, PCR, ferritina, TSat) ogni tre mesi per il primo anno ed è appropriato un trattamento marziale prima che i livelli di emoglobina scendano al di sotto dei valori di normalità 14. Una rapida ricorrenza dell’anemia può essere indicativa, di fronte a un paziente in remissione clinica e con test di flogosi normali, di un’attività infiammatoria subclinica. In tal caso l’ottimizzazione del trattamento dovrebbe mirare a un migliore controllo della malattia di base. Tabella II. Schema pratico per la stima del fabbisogno di ferro endovena. Emoglobina (g/dl) Peso corporeo < 70 kg Peso corporeo ≥ 70 kg 10-12 (donne) 10-13 (uomini) 1000 mg 1500 mg 7-10 1500 mg 160 Anemia da malattie croniche I pazienti con anemia da malattie croniche con una risposta insufficiente alla supplementazione con ferro ev, e con un trattamento già ottimizzato per la MICI di base, sono dei candidati al trattamento con eritropoietina. In questo caso il livello target di emoglobina non dovrebbe superare i 12 g/dl. La presenza di anemia da malattie croniche è un chiaro indicatore di malattia in fase di attività e per tale motivo l’ottimizzazione del trattamento per la MICI deve precedere il trattamento con eritropoietina 12. Nel management dell’anemia da malattie croniche va ricordato come altre condizioni concomitanti vanno escluse (infezioni, neoplasie o deficit midollari), soprattutto nei casi di improvvisa anemizzazione o di insufficiente risposta al trattamento. Infine, la trasfusione di emazie concentrate va considerata in caso di emoglobina inferiore a 7 g/dl, o in presenza di sintomi o di particolari comorbidità cardio-polmonari 12. Conclusioni L’anemia è una delle complicanze extra-intestinali più comuni associate alle MICI e, sebbene molto frequente, è un problema spesso sottovalutato dai gastroenterologi. L’eziologia dell’anemia nelle MICI è multifattoriale, ma la carenza di ferro e l’infiammazione cronica sono i fattori patogenetici da tenere in considerazione per impostare il trattamento più appropriato. La corretta gestione dell’anemia non solo aiuta a migliorare la qualità di vita dei pazienti, ma anche a contenere le ospedalizzazioni e i costi sanitari. Bibliografia 1 2000 mg Filmann N, Rey J, Schneeweiss S, et al. Prevalence of anemia in inflammatory bowel diseases in IBD HIGHLIGHTS L’anemia nelle malattie infiammatorie croniche intestinali european countries: a systematic review and individual patient data meta-analysis. Inflamm Bowel Dis 2014;20:936-45. 2 3 4 5 Kulnigg S, Teischinger L, Dejaco C, et al. Rapid recurrence of IBD-associated anemia and iron deficiency after intravenous iron sucrose and erythropoietin treatment. Am J Gastroenterol 2009;104:1460-7. Vijverman A, Piront P, Belaiche J, et al. Evolution of the prevalence and characteristics of anemia in inflammatory bowel diseases between 1993 and 2003. Acta Gastroenterol Belg 2006;69:1-4. Sjöberg D, Holmström T, Larsson M, et al. Anemia in a populationbased IBD cohort (ICURE): still high prevalence after 1 year, especially among pediatric patients. Inflamm Bowel Dis 2014;20:2266-70. Høivik ML, Reinisch W, Cvancarova M, et al.; IBSEN study group. Anaemia in inflammatory bowel disease: a population-based 10year follow-up. Aliment Pharmacol Ther 2014;39:69-76. 6 7 8 9 10 Reinisch W, Reinink AR, Higgins PD. Factors associated with poor outcomes in adults with newly diagnosed ulcerative colitis. Clin Gastroenterol Hepatol 2015;13:635-42. 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Clin Gastroenterol Hepatol 2013;11:269-77. • L’anemia è una delle manifestazioni extra-intestinali più frequenti nelle malattie infiammatorie croniche dell’intestino (MICI). • L’anemia è un problema spesso sottovalutato dai gastroenterologi: una corretta gestione dell’anemia non solo aiuta a migliorare la qualità di vita dei pazienti, ma anche a contenere le ospedalizzazioni e i costi sanitari. • L’eziologia dell’anemia nelle MICI è spesso multifattoriale. La componente ferro-carenziale e quella da malattie cro- niche spiegano circa il 90% dei casi. • L’esecuzione dei test di laboratorio ha lo scopo di differenziare la componente sideropenica da quella da malattie croniche ed è fondamentale per impostare il corretto trattamento. • La supplementazione di ferro per via endovenosa dovrebbe essere preferita a quella per os, soprattutto nei pazienti con MICI in fase attiva e con anemia sideropenica di grado moderato-severo. 161 NEWS IN PEDIATRIC GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY a cura di Monica Paci Trattamento della epatite autoimmune giovanile Management of juvenile autoimmune hepatitis Giuseppe Maggiore (foto) Silvia Nastasio1 Cristina Malaventura1 Marco Sciveres2 1 Dipartimento di Scienze Mediche, Sezione di Pediatria, Azienda Ospedaliero Universitaria Sant’Anna, Università degli Studi di Ferrara; 2 Epatologia Pediatrica e Trapianto di fegato, IRCCS-ISMETT, UPMC, Palermo 1 Key words Juvenile autoimmune hepatitis • Autoimmune hepatitis • Immunosuppressive treatment • Liver tranplantation • Fulminant hepatic failure Abstract Juvenile autoimmune hepatitis characteristically progresses to cirrhosis and organ failure if untreated. Treatment consists of immunosuppressive drugs, mainly prednisone and azathioprine, except in cases presenting with fulminant hepatic failure in which liver transplant may be immediately necessary. The majority of patients respond to immunosuppression. However, this needs to be prolonged, at the lowest possible dose, due to the substantial risk of relapse. Indirizzo per la corrispondenza Giuseppe Maggiore Dipartimento di Scienze Mediche, Sezione di Pediatria, Azienda Ospedaliero Universitaria Sant’Anna, Università degli Studi di Ferrara via Aldo Moro 8, 44124 Cona (FE) E-mail: [email protected] 162 Il trattamento dell’epatite autoimmune giovanile (EAIG) si basa sull’immunosoppressione farmacologica, con l’eccezione di quei casi che esordiscono con il quadro dell’epatite fulminante, per cui può rendersi immediatamente necessario il trapianto di fegato 1. In generale, il trattamento dell’EAIG si articola in due fasi: la fase di induzione della remissione e quella del suo mantenimento. La prima fase si avvale di farmaci ad azione rapida e potente, nella maggior parte dei casi il prednisone o, in alternativa, la ciclosporina. Protagonisti della fase di mantenimento sono i farmaci ad azione più lenta, ma in generale ben tollerati in caso di terapie di lunga durata come, ad esempio, l’azatioprina. Esistono poi trattamenti che non rientrano in nessuna delle due categorie: ad esempio l’utilizzo di farmaci biologici, sempre più frequentemente segnalato in forma aneddotica in letteratura. In Tabella I sono riassunti i farmaci con evidenza di efficacia nel trattamento dell’EAIG. Trattamento d'attacco Nella fase di induzione, l’obiettivo è ottenere: 1) la remissione completa della malattia epatica (segni, sintomi e attività biochimica); 2) la normalizzazione della funzione epatocellulare (attività protrombinica; INR), se alterata alla diagnosi; 3) l’arresto della progressione della malattia in termini di fibrosi. In particolare, transaminasi e gammaGT dovranno essere ricondotte strettamente entro l’intervallo di normalità, così come, più lentamente, anche il livello di IgG. La scomparsa della sieroreattività autoanticorpale non è un requisito obbligatorio per definire la remissione di malattia. La situazione più comune è una fluttuazione della rilevabilità degli autoanticorpi con occasionale presenza a basso titolo 2, 3, 4. La ricomparsa di positività ad alto titolo, specie in corso di variazioni di posologia o tentativi di sospensione, deve tuttavia indurre a particolare prudenza e vigilanza. La remissione clinica e biochimica di malattia non sempre riflette la remissione tissutale; la prova istologica di questa non è richiesta in questa fase del trattamento. Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:162-166; doi: 10.19208/2282-2453-135 GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY Trattamento della epatite autoimmune giovanile NEWS IN PEDIATRIC Tabella I. Farmaci utilizzati per il trattamento dell’EAIG. Farmaco Posologia Note Farmaci per la fase d’induzione Prednisone 2 mg/kg a scalare Farmaco di prima linea nella maggior parte dei casi Ciclosporina A 3-5 mg/kg/die Efficace alternativa al prednisone Tacrolimus nd Uso aneddotico, non chiari vantaggi sulla ciclosporina Budesonide 6-9 mg/die Scarsa esperienza, somministrazione problematica nei pazienti molto giovani IVIG 1-2 g/kg Efficacia temporanea, esperienza aneddotica Farmaci per la fase di mantenimento Azatioprina 1,5-2,5 mg/kg/die Efficace in monoterapia per il mantenimento Micofenolato Mofetil 20-40 mg/kg/die Seconda linea, in alternativa ad azatioprina Rituximab nd Uso aneddotico Alentuzumab nd Uso aneddotico Altri farmaci Nd= non determinata La rapidità della risposta al trattamento dipende dalla severità dell’attività di malattia alla diagnosi; comunque, una risposta clinica e di laboratorio misurabile è ottenibile in almeno il 90% dei casi, entro otto settimane dall’inizio del trattamento, mentre la completa normalizzazione dei parametri di laboratorio può richiedere anche alcuni mesi. Fallimento della terapia d'attacco Si definisce così l’assenza di una risposta biochimica significativa in seguito a una terapia immunosoppressiva con un farmaco di prima linea (tipicamente steroide o ciclosporina) a dose piena. In particolare i pazienti con malattia più aggressiva e/o avanzata e che all’esordio presentano una marcata compromissione della funzione epatocellulare possono presentare una risposta insoddisfacente alla terapia. È quindi fondamentale verificare, nel più breve tempo possibile, l’efficacia del trattamento, per aggiungere, eventualmente, un terzo farmaco immunosoppressore “di salvataggio” (ad esempio associando ciclosporina e steroide), tenendo comunque sempre presente la possibilità del trapianto epatico in emergenza 1. In ogni caso, prima di ogni altra considerazione, sarà necessario anche rivedere criticamente la diagnosi: sono, ad esempio, descritti casi di leishmaniosi viscerale con caratteristiche bioumorali e istologiche che ricordano quelle dell’EAIG 5. Mantenimento della remissione Una volta ottenuta la remissione, l’obiettivo della fase di mantenimento è impedire il verificarsi di recidive che, in ogni caso, devono essere tempestivamente identificate tramite una sorveglianza serrata. Nei singoli centri sono in uso differenti protocolli di riduzione del trattamento, che tuttavia andrebbero il più possibile individualizzati in base alla storia clinica del paziente. In caso di trattamento steroideo, ad esempio, la dose del prednisone dovrà essere ridotta con l’obiettivo di guadagnare nel minor tempo possibile uno schema di somministrazione a giorni alterni, che è associato a una minore incidenza di effetti collaterali, in particolare il rallentamento della crescita staturale 7. L’azatioprina sarà mantenuta a piena dose terapeutica. In questa fase di riduzione posologica, potrà manifestarsi in qualsiasi momento una recidiva, specialmente in caso di scarsa aderenza al trattamento prescritto. Durata della terapia Non esiste certezza sulla durata totale del trattamento, anche se esiste evidenza di come la recidiva sia molto probabile nel caso in cui il trattamento sia sospeso entro i primi due anni 2. L’esperienza personale suggerisce che la remissione debba essere mantenuta per almeno cinque anni prima di qualsiasi tentativo di sospensione. Una volta sospeso il 163 G. Maggiore et al. prednisone, il paziente rimane in monoterapia con azatioprina di solito per almeno un anno, prima di poter intraprendere un tentativo di sospensione. Non esistono elementi di laboratorio o istologici certamente predittivi di assenza di rischio di ricadute. Perfino la dimostrazione di una completa remissione tissutale, tramite biopsia epatica, non risulta predittiva di assenza di rischio 2 e, viceversa, la persistenza di un lieve infiltrato portale, in assenza di attività d’interfaccia, non rappresenta una controindicazione assoluta a un tentativo di sospensione. Di conseguenza la necessità del controllo istologico prima della sospensione della terapia è oggetto di dibattito con ampie diversità di opinione tra differenti centri di riferimento. In alcune particolari forme di EAIG quali quella associata alla malattia celiaca o la forma sieronegativa della EAIG, in particolare se non associata a ipergammaglobulinemia, è possibile tentare una sospensione prima dei cinque anni di trattamento. Il trattamento convenzionale Il trattamento di “prima linea” o “convenzionale” dell’EAIG utilizza il prednisone (2 mg/kg/al giorno fino alla dose massima giornaliera di 60 mg) in monoterapia 2 o in associazione con l’azatioprina 3. L’azatioprina è dosata inizialmente a 1 mg/kg/die con progressivo aumento fino a 2-2,5 mg/kg/die, previa la verifica di assenza di segni di tossicità. Il trattamento combinato prednisone-azatioprina si è dimostrato più efficace del solo prednisone 6; ma, ancora più importante, l’effetto “risparmiatore di steroidi” dell’azatioprina permette una più rapida riduzione della dose del prednisone, limitandone gli effetti collaterali. 164 Questa indicazione posologica si riferisce in particolare alla forma sintomatica all’esordio dell’EAIG (ittero, astenia, marcata epatocitolisi, ipergammaglobulinemia) che caratterizza circa i tre quarti dei pazienti. Più difficile sarà la scelta terapeutica, specialmente nei termini di dose di corticosteroidi, per quei casi il cui esordio è asintomatico, legato al riscontro occasionale di un’epatomegalia e/o splenomegalia o di un’elevazione degli enzimi epatici. In tali casi, la dose dello steroide dovrà essere personalizzata, partendo da 1 mg/kg/die, sulla base di una valutazione globale (biochimica e istologica) dell’attività di malattia. Come già accennato, in caso di schema terapeutico convenzionale, la fase di transizione verso la terapia di mantenimento passa attraverso il passaggio alla somministrazione a giorni alterni dello steroide da completarsi idealmente, e nella migliore delle ipotesi, dopo 6-12 mesi di terapia. L’ulteriore riduzione della dose di prednisone, per una durata complessiva di 2-4 anni andrà compiuto riducendo ulteriormente, di solito per “fette” di 2,5 mg, la dose di prednisone residua, fino a sospensione completa, per lasciare il paziente in monoterapia con azatioprina. L’azatioprina è generalmente efficace nel mantenere la remissione riducendo il rischio di ricadute 8 e andrà mantenuta per almeno un anno, per una durata complessiva di terapia, come si è detto, di circa cinque anni. in particolare, dall’eccessivo aumento del peso e dalla riduzione della velocità di crescita staturale. Questi effetti, trascurabili se i pazienti sono seguiti da medici esperti, potranno sfociare in obesità, blocco della crescita, comparsa di strie cutanee deturpanti, collasso vertebrale, cataratta sintomatica, iperglicemia e disturbi psicotici se la dose di corticosteroidi dovesse essere mantenuta a livelli elevati e per periodi prolungati. L’azatioprina è invece raramente responsabile di effetti collaterali gravi quali, in particolare, una citopenia tale da richiedere la riduzione fino alla sospensione del farmaco. La sua teratogenicità e oncogenità nell’uomo non sono dimostrate con certezza. È certamente auspicabile evitare l’uso dell’azatioprina in corso di gravidanza, anche se sono egualmente segnalate gravidanze con buon esito in corso di trattamento con questo farmaco. In gravidanza basse dosi di prednisolone sono l’alternativa all’azatioprina. La gravidanza è di per sé un potente immunosoppressore nello specifico caso dell’EAIG, tuttavia i pazienti andranno sorvegliati con attenzione sia durante la gravidanza che specialmente nel postpartum, per il possibile rischio di ricaduta. Da quanto detto si possono de- Tabella II. Controindicazioni relative alla terapia “convenzionale”. Obesità/eccesso di peso Diabete mellito/intolleranza glucidica Effetti collaterali del trattamento convenzionale Sono quasi esclusivamente causati dai corticosteroidi, se mantenuti a dosi elevate e per periodi prolungati e sono rappresentati, Spurt puberale Ipertensione arteriosa Ipostaturalità Problematiche psichiatriche Candidiasi muco-cutanea e/o viscerale GASTROENTEROLOGY PHARMACOLOGY Trattamento della epatite autoimmune giovanile NEWS IN PEDIATRIC sumere le controindicazioni, tutte relative, al trattamento convenzionale, riassunte in Tabella II. Trattamenti alternativi La mancata risposta al trattamento convenzionale in circa il 10% dei pazienti e i possibili effetti collaterali dei corticosteroidi hanno stimolato la ricerca di soluzioni terapeutiche alternative. La ciclosporina A, la cui prima segnalazione di efficacia nel trattamento dell’epatite autoimmune risale al 1985, è certamente il farmaco per cui esiste una consolidata esperienza di efficacia e di buona tollerabilità. La ciclosporina A (CYA) è efficace nell’indurre in remissione bambini e adolescenti con EAIG alla dose mediana di 5 mg/kg/ die con ciclosporinemie residuali corrispondenti a 200-250 ng/ml 9. Una volta in remissione, la dose andrà progressivamente ridotta per ottenere ciclosporinemie residuali di 100-150 ng/ml. Il paziente potrà allora essere orientato verso un trattamento convenzionale di mantenimento, sia esso con due farmaci (azatioprina e prednisone a dose intorno a 1 mg/kg/die), sia con azatioprina in monoterapia. Un’altra opzione è quella di continuare a utilizzare la CYA, a dosi ulteriormente decrescenti fino a ottenere ciclosporinemie residuali tra 50 e 100 ng/ml. Gli effetti collaterali della CYA, nel breve e medio termine, sono pochi, ben tollerati e comunque reversibili con la riduzione della dose 9, 10, mentre non sono stati ancora prodotti dati sull’efficacia e sulla sicurezza a lungo termine del trattamento con CYA. Il micofenolato-mofetile (MFM, 20 mg/kg due volte al giorno) è un’alternativa all’azatioprina per consolidare il mantenimento o per potenziare un farmaco di prima linea come lo steroide o la ciclosporina. È stato impiegato con successo in associazione ai corticosteroidi in pazienti intolleranti all’azatioprina o nei pazienti scarsamente responsivi alla terapia convenzionale. Gli effetti indesiderati del MFM includono cefalea, diarrea, vertigini, perdita di capelli e neutropenia. La budesonide, un corticosteroide rapidamente metabolizzato e quindi con bassa distribuzione sistemica, è stato utilizzato in associazione all’azatioprina con minori effetti collaterali rispetto al prednisone 11. Tuttavia la bassa percentuale di remissione osservata in questo studio in rapporto ad altri, suggerisce cautela nel suo impiego come trattamento di prima scelta dell’EAIG. Più recentemente è stato riportato l’uso del rituximab, un anticorpo monoclonale anti-CD20 che produce una marcata deplezione dei linfociti B, come terapia di salvataggio di pazienti non responsivi ai trattamenti succitati. Il trapianto di fegato può essere discusso all’esordio, per quei pazienti che non rispondano al trattamento immunosoppressivo “di salvataggio”, sia nel medio-lungo termine per i pazienti con cirrosi alla diagnosi, che sviluppino una progressiva e irreversibile insufficienza epatica terminale. La sopravvivenza post-trapianto in questi pazienti è dell’86% a cinque anni, tuttavia con un rischio di recidiva dell’epatite autoimmune sul graft variabile dal 15 al 39%, quindi non trascurabile. diagnosi e dove i pazienti che sopravvivevano, sempre senza trattamento, sviluppavano una cirrosi in almeno il 40% dei casi. Tuttavia l’evoluzione a lungo termine dei pazienti con EAIG, che hanno risposto al trattamento immunosoppressivo, rimane ancora poco conosciuta nei dettagli, anche se la prognosi è oggi considerata generalmente buona, anche in termini di qualità di vita. Nelle principali casistiche riportate, la sopravvivenza dei pazienti trattati supera l’80% a dieci anni, con fegato nativo in oltre il 60% dei casi. La presenza di cirrosi all’esordio non sembra impattare negativamente sulla sopravvivenza a lungo termine, mentre valori di bilirubina e INR alterati alla diagnosi sono stati identificati come rilevanti fattori di rischio di morte e/o di ricorso al trapianto di fegato. Un trattamento immunosoppressivo, di solito rappresentato da una monoterapia con azatioprina, è richiesto nella maggioranza dei pazienti per il mantenimento di una remissione nel lungo termine, anche se una percentuale variabile dal 13 al 20% dei casi riesce a mantenere una remissione stabile anche dopo la completa sospensione di ogni trattamento farmacologico. Lo sviluppo di un’insufficienza epatica terminale in pazienti cirrotici in remissione bioumorale farmacologica è tuttavia possibile in un numero limitato di pazienti giovani adulti. Evoluzione a lungo termine Conclusioni Il trattamento immunosoppressivo ha modificato radicalmente l’evoluzione dell’EAIG rispetto alle precedenti esperienze dell’adulto con epatite autoimmune, dove circa il 40% dei pazienti con malattia severa sintomatica, non trattati, decedeva entro i sei mesi dalla L’epatite autoimmune giovanile sintomatica è una malattia rapidamente evolutiva verso la cirrosi e l’insufficienza d’organo. La rapidità della sua evoluzione rende necessaria una diagnosi precoce. La maggioranza dei pazienti risponde efficacemente a un trattamento immunosoppressivo che 165 G. Maggiore et al. deve essere tuttavia mantenuto nel tempo, alla più bassa dose possibile, a causa del consistente rischio di ricaduta della malattia. Le informazioni disponibili sul destino a lungo termine di questi pazienti sono limitate e quindi è auspicabile che siano prodotti nuovi studi concernenti la possibilità di mantenere una condizione di remissione stabile e persistente dopo sospensione del trattamento immunosoppressivo. Questa informazione avrà una fondamentale rilevanza per un adeguato “counselling” dei pazienti alla diagnosi. 2 Maggiore G, Bernard O, Hadchouel M, et al. Treatment of autoimmune chronic active hepatitis in childhood. J Pediatr 1984;104:839-44. 3 Gregorio GV, Portmann B, Reid F, et al. Autoimmune hepatitis in childhood: a 20-year experience. Hepatology 1997;25:541-7. 4 Mieli-Vergani G, Vergani D. Autoimmune liver diseases in children - what is different from adulthood? Best Pract Res Clin Gastroenterol 2011;25:783-95. 5 Sciveres M, Riva S, Campani D, et al. Visceral leishmaniasis mimicking autoimmune hepatitis. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2009;48:639-42. 6 Vitfell-Pedersen J, Jørgensen MH, Müller K, et al. Autoimmune hepatitis in children in Eastern Denmark. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2012;55:376-9. Bibliografia 1 Di Giorgio A, Bravi M, Bonanomi E, et al. Fulminant hepatic failure of autoimmune aetiology in children. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2015;60:159-64. 7 Clark JH, Fitzgerald JF. Effect of exogenous corticosteroid therapy on growth in children with HBsAg- negative chronic aggressive hepatitis. J Pediatr Gastroenterol Nutr 1984;3:72-6. 8 Johnson PJ, McFarlane IG, Williams R. Azathioprine for longterm maintenance of remission in autoimmune hepatitis. N Engl J Med 1995;333:958-63. 9 Debray D, Maggiore G, Girardet JP, et al. Efficacy of cyclosporin A in children with type 2 autoimmune hepatitis. J Pediatr 1999;135:111-4. 10 Sciveres M, Caprai S, Palla G, et al. Effectiveness and safety of ciclosporin as therapy for autoimmune diseases of the liver in children and adolescents. Aliment Pharmacol Ther 2004;19:209-17. 11 Woynarowski M, Nemeth A, Baruch Y, et al. Budesonide versus prednisone with azathioprine for the treatment of autoimmune hepatitis in children and adolescents. J Pediatr 2013;163:1347-53. • Il trattamento dell’EAIG si basa sull’immunosoppressione farmacologica. Nei casi di esordio con epatite fulminante e nei casi di progressione di malattia con insufficienza epatica terminale può invece essere necessario un trapianto epatico. • Il trattamento consta di una prima fase di normalizzazione della funzione epatocellulare e di induzione della remissio- ne clinica e biochimica della malattia e di una seconda fase di mantenimento volta a impedire il verificarsi di ricadute. • Prednisone e azatioprina costituiscono il trattamento cosiddetto “convenzionale”, mentre tra le terapie “alternative” la ciclosporina è il farmaco per cui esiste una più consolidata esperienza di efficacia. • La durata ottimale del trattamento non è nota, ma dato il significativo rischio di ricadute, il trattamento, alla più bassa dose possibile, deve certamente essere prolungato. • La sopravvivenza dei pazienti trattati supera l’80% a dieci anni, con fegato nativo in oltre il 60% dei casi, tuttavia l’evoluzione a lungo termine rimane ancora poco conosciuta. 166 CASE REPORT a cura di ANTONIO DI MAURO Un’ematemesi come un’altra: si parte sempre dall’anamnesi! A hematemesis as another: it always starts by history! Presentazione clinica C. è una bambina di 5 anni e 4 mesi. Peso: 13.850 kg (10-25°pct). Ex pretermine (34 settimane), ricoverata in patologia neonatale. Ipotiroidismo in terapia sostitutiva. Diagnosi di Sindrome di Turner all’età di 3 anni (monosomia X0, forma omogenea). Ipertransaminasemia di ndd di recente insorgenza. La settimana precedente, ricovero di 24 ore presso ospedale limitrofo per disidratazione e calo ponderale (-2 kg) in corso di gastroenterite febbrile. Dopo 4 giorni viene ricondotta presso l’Ambulatorio Urgenze del nostro ospedale per episodio di ematemesi, incostante febbricola e decadimento delle condizioni generali. Esame obiettivo TC 37,2°C, FC 120/bpm, SATO2 97%. Aspetto distrofico, cute ipoelastica e pallida, labbra secche, lingua impaniata. Faringe iperemico. Addome lievemente meteorico, trattabile, non dolente, guazzamenti sparsi. Organi ipocondriaci in sede. Si evidenziano: anemia normocromica normocitica (Hb 11,3 g/dL), leucocitosi neutrofila (12,970/Ul), lieve rialzo degli indici di flogosi (PCR 12,8 mg/dL) e di funzionalità epatica (AST 72 U/L), riduzione della p-colinesterasi (4732 U/L) e aumento della LDH (727 U/L). Diselettrolitemia (Na 132mEq/L, Cl 93, K 3 mEq/L). PT ratio 1,57 secondi. Intrapresa idratazione ev con correzione degli elettroliti. Nuovo rialzo febbrile (TC 37,6°C). Addome teso, scarsamente trattabile. All’ecografia addominale: ascite discreta, fegato con ecostruttura accentuata, a carico del lobo sn “area micronodulare ipoecogena” (6 x 5 cm), ispessimento delle pareti della vena porta con lume ristretto. Modica splenomegalia (Fig. 1). Silvia Iuliano1 (foto) Marco Manfredi1 Federica Gaiani2 Barbara Bizzarri2 Pierpacifico Gismondi1 Fabiola Fornaroli2 Gian Luigi de’Angelis1, 2 1 Unità Operativa di Clinica Pediatrica, Scuola di Specializzazione in Pediatria, Dipartimento MaternoInfantile, Azienda OspedalieroUniversitaria di Parma; 2 Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Dipartimento MaternoInfantile, Azienda OspedalieroUniversitaria di Parma Indirizzo per la corrispondenza Marco Manfredi Unità Operativa di Clinica Pediatrica, Dipartimento Materno-Infantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, Ospedale dei Bambini “Pietro Barilla” via Gramsci 14, 43126 Parma E-mail: [email protected] Possibili ipotesi diagnostiche •Epatopatia autoimmune •Malformazione epatica congenita •Neoformazione epatica •Cavernoma portale con epatopatia Sviluppo e soluzione del caso clinico a pagina 187 Figura 1. Nodulo epatico del lobo sn con parenchima a impronta steato-fibrotica. Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:167; doi: 10.19208/2282-2453-136 167 ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY a cura di Salvatore Oliva Criteri di appropriatezza della colonscopia nel bambino Appropriateness of pediatric colonoscopy Giuliano Lombardi (foto) Maria Teresa Illiceto UOC Pediatria Medica, Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva Pediatrica Ospedale Civile “Spirito Santo”, Pescara Key words Pediatric colonoscopy • Guidelines • Appropriateness of colonscopy Abstract Appropriate care is a crucial element of quality. In 2008, the ASGE and NASPGHAN published guidelines for the appropriate use of gastrointestinal endoscopy in children. Few data are available in Literature about their applicability in clinical practice. A retrospective observational multicenter exploratory review was performed in 13 Italian Centers of Pediatric Gastroenterology. No statistically differences were found between clinical practice and NASPGHAN-ASGE guidelines. Indirizzo per la corrispondenza Giuliano Lombardi UOC Pediatria Medica, Unità di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva Pediatrica, Ospedale Civile “Spirito Santo” via Fonte Romana 8, 65125 Pescara E-mail: [email protected] 168 Introduzione Negli ultimi decenni la colonscopia ha rappresentato uno strumento diagnostico sempre più utilizzato per la sua elevata sensibilità e specificità nell’identificare le diverse patologie del colon, per l’ampia facilità di diffusione e per la capacità di campionamento dei tessuti come pure per eseguire manovre terapeutiche. Considerata la crescente necessità di garantire assistenza sanitaria di alta qualità e di contenerne i costi, risulta quindi di fondamentale importanza l’appropriatezza delle procedure mediche, inclusa la colonscopia. I criteri di appropriatezza di una procedura dovrebbero essere basati sull’evidenza di efficacia, effetti collaterali e risultati, e idealmente dovrebbero essere valutati in trial controllati randomizzati. Tuttavia l’evidenza sperimentale spesso non è facilmente applicabile e in grado di rispecchiare adeguatamente la pratica clinica. background Nel 1998 un Panel di esperti europei (European Panel on the Appropriateness of Gastrointestinal Endoscopy – EPAGE) ha utilizzato il “metodo di appropriatezza RAND/UCLA” 1 per combinare le maggiori evidenze scientifiche con le proprie esperienze personali, redigendo una lista di criteri di appropriatezza della colonscopia 1, poi revisionati nel 2008 (EPAGE II). Le colonscopie vennero definite appropriate se i benefici superavano i rischi attesi, con un margine tanto significativo da rendere indicate le procedure. Tali indicazioni furono ulteriormente valutate per determinare la necessità delle colonscopie non “appropriate”, che venne definita tale “nel caso in cui i benefici ottenuti fossero così significativi da ritenere la procedura l’unica scelta eticamente corretta”. Nel 2000, anche la Società Americana di Endoscopia Digestiva (ASGE) ha redatto le proprie linee guida sull’uso appropriato dell’endoscopia nell’adulto, classificando le procedure “generalmente indicate” o “generalmente non indicate” 2. La colonscopia in età pediatrica è un esame strumentale estremamente utile in casi selezionati, ma presen- Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:168-171; doi: 10.19208/2282-2453-137 ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY Criteri di appropriatezza della colonscopia nel bambino TABELLA I. Indicazioni alla colonscopia in età pediatrica ASGE-NASPGHAN. Diagnostica rappresentate da megacolon tossico, recente perforazione intestinale e/o resezione intestinale. Diarrea (cronica, perdita di peso clinicamente significativa, febbre, anemia) Progetto SIGENP Ematochezia/melena Anemia di n.d.d. Dolore addominale clinicamente significativo Poliposi (diagnosi e sorveglianza) Rigetto in trapianto intestinale Lesioni del tratto gastro-intestinali “basso” evidenziate all’imaging Scarso accrescimento/perdita di peso Terapeutica Polipectomia Rimozione corpo estraneo Dilatazione stenosi Controllo sanguinamento intestinale “basso” ta delle peculiarità proprie rispetto all’età adulta, sia per le indicazioni sia per le procedure da mettere in atto. Nel 2008, la stessa ASGE insieme alla Società Nord-Americana di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica (NASPGHAN) ha revisionato le proprie linee guida, aggiungendo chiare indicazioni per l’endoscopia in età pediatrica (Tab. I) 3. In letteratura sono riportati diversi studi che hanno cercato di valutare l’applicabilità nella pratica clinica delle linee guida per l’adulto, dimostrando che la percentuale di procedure inappropriate rimane comunque alta (13-37% nel mondo) 4. Diversi autori, in un sistema prescrittivo “open-access”, ritengono efficace un adeguato programma educativo per medici generici e specialisti, al fine di ridurre la percentuale di procedure inappropriate 5. Per l’età pediatrica purtroppo sono disponibili dati molto limitati. Lee et al. 6 hanno condotto una valutazione su un campione di 345 procedure endoscopiche (di cui solo 70 colonscopie), rilevando che le linee guida ASGENASPGHAN risultano più efficaci nell’indicare un riscontro endoscopico positivo, e meno sensibili nel modificare la diagnosi clinica iniziale o il conseguente piano terapeutico. Più recentemente la Società Europea di Endoscopia Gastrointestinale (ESGE) e la Società Europea di Gastroenterologia Epatologia e Nutrizione Pediatrica hanno pubblicato nuove linee guida, basate sull’evidenza e sul Consenso di un Panel di esperti, definendo chiare indicazioni cliniche alle procedure endoscopiche diagnostiche e terapeutiche, anche rispetto al loro timing. Per la colonscopia in età pediatrica le linee guida ESGENASPGHAN differiscono da quelle ASGE-NASPGHAN per la esclusione del dolore addominale tra le indicazioni diagnostiche, e l’inserimento della riduzione di volvolo del sigma tra quelle terapeutiche; definite non-indicate le procedure per disturbi gastrointestinali funzionali e stipsi, mentre controindicazioni assolute sono In 13 Centri italiani di Endoscopia digestiva pediatrica (Brescia, Firenze, Foggia, Genova, Messina, Milano, Napoli Federico II, Padova, Parma, Pescara, Roma La Sapienza, Roma OPBG, Trento) è stato condotto uno studio multicentrico esplorativo retrospettivo osservazionale, per valutare la applicabilità e la corrispondenza delle linee guida ASGE/NASPGHAN della appropriatezza della colonscopia in età pediatrica nella pratica clinica in Italia. 660 pazienti con età media 9,2 ± 4,8 anni, (365 M e 295 F) sottoposti a colonscopia sono stati valutati riportando: sintomi, indicazione alla colonscopia, tipo di sedazione e di ricovero, riscontri endoscopici e istologici, diagnosi definitiva, grado di appropriatezza. Quest’ultima è stata definita dal Panel in base a: A) scala di appropriatezza “quantitativa” da 1 a 9 (1-3 inappropriata; 4-6 dubbia; 7-9 appropriata), B) linee guida ASGE/NASPGHAN e C) giudizio di “necessità” definito dal Coordinatore del Centro. È stata poi valutata l’accuratezza diagnostica della colonscopia correlando diagnosi endoscopica e diagnosi istologica (ritenuta gold standard), al fine di capire se le procedure ritenute appropriate siano statisticamente “accurate” ai fini diagnostici. Inoltre, al fine di meglio valutare il concetto di necessità, è stato considerato il “valore contributivo positivo e negativo” della procedura rispetto all’iter diagnostico-terapeutico del paziente. Infatti, una colonscopia “negativa” (non patologica macroscopicamente né istologicamente) potrebbe comunque modificare positivamente l’iter 169 G. Lombardi, M.T. Illiceto TABELLA II. Multicentrica SIGENP: frequenza e percentuali di colonscopie ritenute appropriate rispetto ai sintomi. ASGE NASPGHAN Inappropriata Non 1-3 Appropriata Dubbia appropriata Appropriata 7-9 Necessaria 4-6 Dolore addominale 178 (46) 181 (47) 29 (7) 314 (81) 51 (13) 23 (6) Diarrea cronica 161 (49) 152 (46) 14 (5) 288 (88) 30 (9) 9 (3) Rettorragia 145 (48) 134 (44) 22 (8) 246 (82) 34 (11) 9 (3) Stipsi cronica 119 (56) 81 (38) 11 (6) 167 (79) 31 (15) 13 (6) Perdita peso 76 (48) 77 (49) 5 (3) 140 (89) 11 (7) 7 (4) Febbre 50 (44) 57 (50) 6 (6) 98 (87) 9 (8) 6 (5) Scarso accrescimento 38 (56) 26 (38) 4 (6) 60 (88) 8 (12) - Ragadi anali 29 (52) 21 (37) 6 (11) 41 (74) 9 (16) 6 (10) Fistola perianale 9 (60) 5 (33) 1 (7) 13 (87) 2 (13) - Ascesso perianale 9 (60) 5 (33) 1 (7) 12 (80) 3 (20) - Melena 8 (67) 4 (33) - 5 (42) 3 (25) 4 (33) Totale 822 (49) 743 (45) 99 (6) 1384 (83) 191 (12) 88 (5) Sintomi diagnostico e/o terapeutico (valore contributivo positivo). Risultati I risultati dello studio, già presentati in ambito SIGENP e in fase di valutazione per pubblicazione, hanno identificato come indicazioni più comuni alla colonscopia dolore addominale (58,8%), diarrea cronica (49,5%) e sanguinamento rettale (45,6%). Le colonscopie definite appropriate dal Panel erano il 94%, verso il 95% delle linee guida ASGE/ NASPGHAN, con un’elevata corrispondenza tra le due valutazioni (Tab. II). L’accuratezza diagnostica complessiva è risultata del 74% (il grado di accordo tra diagnosi endoscopica e diagnosi istologica stimato tramite l’indice K pari a 0,66 indicava un valore statisticamente significativo; test Z = 27,4; p < 0,001). La percentuale di colonscopie con effetto contributivo positivo è risultata statisticamente rilevante (95,4%). 170 Conclusioni e messaggi Tanto maggiore risulta il grado di appropriatezza di una procedura, tanto più efficiente ed efficace risulta il sistema di assistenza sanitaria. L’applicazione delle linee guida ASGE-NASPGHAN per la colonscopia in età pediatrica risulta efficace nella pratica clinica, anche se ulteriori studi sono necessari. Verosimilmente a questo contribuisce l’indicazione diretta alla procedura da parte degli endoscopisti pediatri che, più spesso dei loro colleghi dell’adulto, sono i diretti prescrittori oltre che esecutori della colonscopia. Sarà interessante valutare se e quanto le nuove linee-guida ESGE-ESPGHAN possano migliorare l’appropriatezza della colonscopia nel bambino. Bibliografia 1 Gonvers JJ, Harris JK, Wietlisbach V, et al. A European view of diag- nostic yield and appropriateness of colonoscopy. Hepatogastroenterology 2007;54:729-35. 2 American Society of Gastrointestinal Endoscopy. Appropriate use of gastrointestinal endoscopy. Gastrointest Endosc 2000;52:831-7. North American Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition; and American Society for Gastrointestinal Endoscopy. Modifications in endoscopic practice for pediatric patients. Gastrointest Endosc 2008;67:1-9. 3 Harris JK, Froehlich F, Gonvers JJ, et al. The appropriateness of colonoscopy: a multi-center, international observational study. Int J Quality Health Care 2007;19:150-7. 4 Grassini M, Verna C, Battaglia E, et al. Education improves colonoscopy appropriateness. Gastrointest Endosc 2008;67:88-93. 5 Lee WS, Zainuddin H, Boey CCM, et al. Appropriateness, endoscopic findings and contributive yield of pediatric gastrointestinal endoscopy. World J Gastroenterol 2013;19:9077-83. 6 Thomson M, Tringali A, Landi R, 7 ENDOSCOPY LEARNING LIBRARY Criteri di appropriatezza della colonscopia nel bambino et al. Pediatric Gastrointestinal Endoscopy: European Society of Pediatric Gastroenterology Hepa- tology and Nutrition (ESPGHAN) and European Society of Gastrointestinal Endoscopy (ESGE) Gui- delines. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2016;Sep 12 [Epub ahead of print]. • Un elevato grado di appropriatezza delle colonscopie corrisponde a una buona pratica clinica, a una riduzione della spesa sanitaria e a una riduzione/adeguamento delle liste di attesa. • Per l’età pediatrica si fa riferimento alle linee guida ASGE-NASPGHAN e più recentemente alle nuove linee guida ESGE-ESPGHAN. • Lo studio condotto in 13 Centri italiani di endoscopia digestiva pediatrica ha evidenziato un elevato grado di appro- priatezza delle colonscopie effettuate. 171 RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE a cura di Salvatore Accomando Diarree congenite: una nuova classificazione basata sulle recenti evidenze scientifiche Congenital diarrheal disorders: toward a new classification deriving from more recent scientific evidence Vincenza Pezzella1 Giuseppe Castaldo2, 3 Roberto Berni Canani3, 4, 5 (foto) Dipartimento della Donna, del Bambino e Chirurgia Generale e Specialistica, Seconda Università degli Studi di Napoli, Napoli; 2 Dipartimento di Medicina Molecolare and Biotecnologie Mediche, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli; 3 CEINGE Biotecnologie Avanzate, Università di Napoli Federico II, Napoli; 4 Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione Pediatria, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli; 5 Laboratorio Europeo per lo Studio delle Malattie Indotte dagli Alimenti, ELFID, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli 1 Key words Chronic diarrhea • Genes • Molecular analysis Abstract Congenital diarrheal disorders (CDDs) represent an evolving group of rare chronic enteropathies with a typical onset early in the life. Severe chronic diarrhea represents the main clinical manifestation, but in some patients diarrhea is only a component of a more complex systemic disease. The number of conditions has gradually increased, and many new genes have been indentified and functionally related to CDDs, opening new diagnostic and therapeutic perspectives. Indirizzo per la corrispondenza Roberto Berni Canani Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Sezione Pediatria, Università degli Studi di Napoli, Federico II via Sergio Pansini 5, 80131 Napoli E-mail: [email protected] 172 Introduzione Le diarree congenite (CDD) sono un gruppo di rare enteropatie a eziologia eterogenea ed esordio nei primi giorni di vita. Le forme più severe sono caratterizzate da diarrea cronica con massiva perdita di fluidi a livello intestinale, che richiede spesso una nutrizione parenterale. La diarrea può essere il risultato di un meccanismo secretivo e/o osmotico o infiammatorio. La diarrea secretiva si caratterizza per un aumento delle secrezioni di fluidi nel lume intestinale, come accade spesso nella malattia da inclusioni microvillari (MVID). La diarrea osmotica è causata dalla presenza di nutrienti non assorbiti che richiamano fluidi nel lume intestinale. Un esempio tipico è rappresentato dal malassorbimento di glucosio-galattosio. La forma infiammatoria riconosce una disregolazione del sistema immunitario che conduce a infiltrato infiammatorio e danno della mucosa intestinale, come si osserva nella sindrome legata all’X da immunodisregolazionepoliendocrinopatia-enteropatia (IPEX). Le nuove conoscenze sulla patogenesi suggeriscono l’utilità di un sistema di classificazione basato sul principale meccanismo patogenetico (Fig. 1). Questa classificazione comprende difetti: 1) della digestione e assorbimento di nutrienti ed elettroliti; 2) della struttura enterocitaria; 3) della differenziazione delle cellule enteroendocrine; 4) dell’omeostasi immunitaria intestinale 1. Difetti nella digestione e assorbimento di nutrienti ed elettroliti È il gruppo più numeroso. Non si osservano in genere alterazioni istologiche e ultrastrutturali a livello intestinale. Classici esempi sono il malassorbimento di glucosiogalattosio e la cloridorrea congenita, ma nuove condizioni sono state descritte più recentemente 2, 3 (Tab. I). Diarrea sindromica familiare Riscontrata in 32 membri di una famiglia norvegese e caratterizzata da diarrea cronica a esordio precoce, meteorismo, dolore addominale, dismotilità e IBD (in una Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VII:172-177; doi: 10.19208/2282-2453-138 RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE Diarree congenite: nuova classificazione si nella gestione di questi pazienti con la nutrizione parenterale e il trapianto intestinale hanno ridotto il tasso di mortalità. Figura 1. Classificazione eziopatogenetica delle diarree congenite. parte dei pazienti). Tutti i pazienti mostrano una mutazione missenso in eterozigosi (p.Ser840Ile) del gene GUCY2C, codificante per il recettore della guanilato ciclasi intestinale. La mutazione provoca aumento di cGMP responsabile a sua volta dell’attivazione di protein chinasi GII che fosforilano il canale CFTR con conseguente severa diarrea secretiva cronica 4. Si ipotizza che i diacilgliceroli e acidi grassi non utilizzati per la sintesi dei trigliceridi raggiungono l’intestino e agiscono come composti tossici tramite vie del segnale dei lipidi oppure come detergenti 5. Deficit di DGAT1 Una rara mutazione a carico del gene DGAT1 (codificante per una acyl CoA: diacylglycerol acyltransferasi1) è stata descritta in due neonati con diarrea severa ed enteropatia proteino-disperdente. Questo enzima è importante nelle ultime fasi di sintesi di trigliceridi. Si distinguono per le tipiche caratteristiche istologiche e ultrastrutturali, includono 2 condizioni principali: MVID e l’enteropatia a ciuffi (CTE). La diarrea sindromica, detta anche diarrea fenotipica o syndrome trico-entero-epatica (THE), è comunemente inclusa in questo gruppo (Tab. I). I progres- Difetti della struttura dell'enterocita Malattia da inclusioni microvillari La caratteristica patognomonica è la perdita del brush border apicale e la formazione di inclusioni microvillari intracellulari. La maggior parte dei pazienti con esordio precoce presenta una mutazione inattivante del gene della miosina Vb (MYO5B) 6, che insieme alle GTPasi della famiglia RAB, è responsabile della polarità cellulare, del traffico intracellulare e della crescita dei microvilli. Un’alterazione di questo meccanismo conduce a una riduzione nei processi di assorbimento cellulare. Oltre alla diarrea cronica, i pazienti MVID possono sviluppare colestasi. Il sequenziamento genico di pazienti con MVID con fenotipo clinico più sfumato, ha messo in evidenza un’alterazione nel gene della sintaxina 3 (STX3), responsabile del traffico proteico, fusione vescicolare e polarità cellulare a livello intestinale, epatico, renale e gastrico. Enteropatia a ciuffi I pazienti mostrano le tipiche cellule a ciuffo che possono essere presenti dal duodeno al grosso intestino. La patologia è da correlare a mutazioni a carico del gene delle molecule di adesione cellulare epiteliale (EPCAM). Questi pazienti, in genere, mostrano solo diarrea cronica in assenza di altri sintomi extra-intestinali, a eccezione di una parte di pazienti che sviluppano artrite a esordio tardivo. Un secondo gruppo di pazienti mostra una mutazione in SPINT2, conosciuto anche come inibitore del fattore di crescita epatocitaria. Bambini con la variante SPINT2 presentano una forma sindromica di CTE, caratterizzata da diarrea cronica, cheratite puntata ed atre- 173 V. Pezzella et al. Tabella I. Genetica ed epidemiologia delle principali diarree congenite. Difetti nell’assorbimento e trasporto di nutrienti ed elettroliti Malattia Gene Incidenza e (Numero OMIM) trasmissione Attività biologica alterata e proteine coinvolte Cloridorrea congenita SLC26A3 (126650) AR; comune in Finlandia, Alterata attività dello scambiatore Cl–/HCO3– Polonia, Golfo Persico; poche centinaia di casi in altri gruppi etnici Sodiorrea congenita* SPINT2* (605124) AR; pochi casi descritti Alterata funzione dello scambiatore Na+/H+ a livello digiunale dovuto a una ridotta attività dell’inibitore di serina peptidasi Kunitz tipo 2 Deficit congenito di lattasi LCT (603202) AR; 1:60,000 in Finlandia; poche centinaia di casi in altri gruppi etnici Ridotta attività idrolasica dell’enzima lattasi Deficit saccarasi-isomaltasi SI (609845) AR; 1:5,000; più alta in Groenlandia, Alaska e Canada Ridotta attività dell’enzima saccarasi-isomaltasi Deficit maltasiglucoamilasi MGAM (154360) AR; pochi casi descritti Ridotta attività dell’enzima maltasi-glucoamilasi Malassorbimento glucosiogalattosio SLC5A1 (182380) AR, poche centinaia di casi descritti Alterato assorbimento di sodio-glucosio Sindrome di Fanconi-Bickel SLC2A2 (138160) AR, poche centinaia di casi descritti Alterata attività di un trasportatote di glucosio a livello epatico, pancreatico ed enterocitario Acrodermatite enteropatica SLC39A4 (607059) AR; 1:500.000 Alterata attività del trasportatore di Zn2+ Intolleranza alle proteine con lisinuria SLC7A7 (603593) AR; poche centinaia di casi descritti Alterato trasporto di amminoacidi Diarrea da acidi biliari primari SLC10A2 (601295) AR, pochi casi descritti Ridotto riassorbimento enteroepatico di acidi biliari Deficit di enterochinasi TMPRSS15 (606635) AR, pochi casi descritti Alterata attivazione di tripsinogeno da parte di una serina proteasi transmembrana Abetalipoproteinemia MTTP (157147) AR; 150 casi descritti Alterata attività trasferasica di trigliceridi microsomiali, sintesi più bassa di VLDL e ridotto assorbimento di lipidi Ipobetalipoproteinemia Apo B (107730) Autosomica codominante 1:1,000–1:3,000 Alterata struttura e attività di apolipoproteinaB e conseguente ridotto assorbimento di lipidi Malattia da accumulo di chilomicroni SAR1B (607690) AR, 40 casi descritti Alterato trasporto di chilomicroni a livello enterocitario dovuto all’alterata attività di piccole GTPase Diarrea sindromica familiare GUCY2C (601330) AR, una famiglia descritta Aumentata attività di guanil ciclasi 2C aumenta i livelli di cGMP, iperattivandoCFTR intestinale Diarrea associata a mutazione di DGAT1 DGAT1 (604900) AR, una famiglia Ashkenazi descritta Alterata attività della diacilglicerolo aciltrasferasi 1; effetti sconosciuti *Analisi del brush border intestinale dei pazienti affetti ha rivelato che la condizione è causata da un difetto funzionale in uno degli scambiatori Na+/H+ localizzati sulla membrana apicale delle cellule epiteliali del piccolo intestino. Nessuna mutazione è stata riscontrata a carico dei geni codificanti per uno degli scambiatori Na+/H+ identificati fino a oggi segue tab. I (NHE1,NHE2,NHE3, and NHE5). 174 RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE Diarree congenite: nuova classificazione Continua tab. I Difetti nella struttura degli enterociti Malattia Gene (Numero OMIM) Incidenza e trasmissione Attività biologica alterata e proteine coinvolte Malattia da inclusioni microvillari MYO5B (606540) AR; rara; frequenza più alta tra i Navajo Ridotta attività della miosina 5B causa un anomalo riciclo di endosomi STX3 (600876) AR; 2 pazienti descritti Alterata attività di sintassina 3, coinvolta nella fusione apicale delle vescicole alla membrana EPCAM (185535) AR; 1:50-100.000; più alta tra gli Arabici Difetto nell’attività delle molecole di adesione epiteliale SPINT2 (605124) 12 pazienti descritti Alterata attività dell’inibitore della serina peptidasi Kunitz Tipo 2, coinvolto nella rigenerazione cellulare TTC37 (614589) AR; pochi casi descritti Alterata sintesi o localizzazione di trasportatori di membrana dovuto a una ridotta attività di TTC37 SKIV2L (600478) AR; pochi casi descritti Meccanismo non conosciuto dovuto all’alterata attività dell’elicasi SKIV2L Enteropatia congenita a ciuffi* Sindrome Tricoepatoenterica (Diarrea sindromica) * L’enteropatia congenita a ciuffi associata a mutazioni di EPCAM è caratterizzata solo dall’interessamento intestinale, mentre mutazioni in SPINT2 conducono a una forma sindromica con capelli lanugginosi, basso peso alla nascita, deficit immunitari e diarrea con alta concentrazione di sodio nelle feci. Difetti nella differenziazione delle cellule enteroendocrine Malattia Gene (Numero OMIM) Incidenza e trasmissione Attività biologica alterata e proteine coinvolte Anendocrinosi enterica NEUROG3 (604882) AR, pochi casi descritti Neurogenina-3 alterata, regola lo sviluppo delle cellule epiteliali intestinali in cellule endocrine Lissencefalia X-linked e MR ARX (300382) X-linked, pochi casi descritti Attività alterata del fattore di trascrizione ARX, che regola lo sviluppo delle cellule enteroendocrine Deficit di proproteina convertasi 1/3 PCSK1 (162150) AR, pochi casi descritti Attività ridotta della proproteina convertasi 1/3 coinvolta nella attivazione di pro-ormoni prodotti dalle cellule enteroendocrine Sindrome di Mitchell-Riley RFX6 (612659) AR, pochi casi descritti Ridotta attività del fattore regolatore X6 coinvolto nella morfogenesi e sviluppo del pancreas segue tab. I sia delle coane, insieme ad altre anomalie più rare 7. Sindrome trico-entero-epatica Questi pazienti si caratterizzano per diarrea cronica, dismorfismi facciali e anomalie dei capelli, che possono associarsi o meno ad altri segni e sintomi, come il ritardo di crescita intrauterino, immunodeficienze, anomalie cutanee, pa- tologia epatica, difetti cardiaci e anomalie delle piastrine. Il quadro istologico varia da una moderata a severa atrofia dei villi con infiltrazione incostante di cellule mononucleate. È causata nel 60% dei casi da una mutazione in TTC37 e nel 40% dei casi da una mutazione in SKIV2L. Entrambi i geni fanno parte del sistema di sorveglianza della produzione di mRNA 8. Difetti nella differenziazione delle cellule enteroendocrine La caratteristica principale di queste condizioni è un’anomalia dello sviluppo o della funzione delle cellule enteroendocrine, che si può manifestare con diarrea osmotica cronica, associata o meno ad altre anomalie endocrine sistemiche (Tab. I). 175 V. Pezzella et al. Continua tab. I Difetti nell’omeostasi dell’immunità intestinale Malattia Gene (Numero OMIM) Incidenza e trasmissione Attività biologica alterata e proteine coinvolte Sindrome IPEX FOXP3 (300292) X-linked, poche centinaia di casi descritti Alterata attività di FOXP3 coinvolto nello sviluppo delle cellule TREG CD4+CD25+ Sindromi IPEX-like CD25 (147730) AR Alterata sintesi delle catene del recettore per IL-2 sulle cellule TREG STAT5b (604260) AR Alterata attività di STAT5b coinvolto nel segnale di IL-2 delle cellule TREG STAT-1 (600555) AD, perdita/guadagno di funzione Alterata attività di STAT-1 causa la riprogrammazione delle cellule TREG in cellule TH1-like ITCH (606409) AR (una famiglia) Alterata attività di ITCHY E3 ubiquitina ligasi implicata nello sviluppo delle cellule TREG LRBA (606453) AR, 3 famiglie descritte Alterata attività di LRBA, coinvolto nell’apoptosi delle cellule TREG IL-10 (124092 AR Alterato IL-10 o subunità del suo recettore coinvolti nel controllo della risposta intestinale agli stimoli microbici Enteropatia a esordio precoce con coliti IL-10R 146933 IL-10R 123889 Anendocrinosi enterica Bambini con deficit di neurogenina 3 presentano scarse cellule enteroendocrine e sviluppano diabete mellito insulino dipendente nel corso dell’infanzia, in assenza di altre anomalie endocrine 9. Sindrome di Mitchell–Riley Mutazioni in omozigosi di RFX6 sono associate ad atresia duodenale, anomalie biliari, diabete mellito neonatale e malassorbimento. RFX6 è una proteina legante il DNA ed è fondamentale per lo sviluppo e la funzione delle cellule enteroendocrine, senza intaccarne il numero 10. Mutazioni nel gene ARX A trasmissione X-linked, è caratterizzata da ritardo mentale, epilessia, lissencefalia, anomalie dei genitali e in alcuni casi diarrea congenita 1. Più del 50% dei pa- 176 zienti con perdita di funzione del gene ARX ha espansioni di polialanina che potrebbe essere responsabile dell’elevata variabilità dei segni neurologici e intestinali 1. Difetti nell'omeostasi dell'immunità intestinale Una diarrea cronica severa ad esordio precoce può derivare anche da mutazioni a carico dei geni codificanti proteine che hanno un importante ruolo della regolazione della risposta immunitaria intestinale. La diarrea può derivare da tre meccanismi principali: risposta immunitaria alterata contro gli agenti patogeni, infiammazione o assenza di regolazione immunitaria. Le enteropatie a base autoimmune si riconoscono nei pazienti che mancano di mecca- nismi specifici di regolazione immunitaria, responsabili dell’aggressione tissutale incontrollata (Tab. I). IPEX È il prototipo di questo gruppo. È dovuta a una mutazione nel gene FOXP3, fondamentale fattore di trascrizione per la funzione delle cellule timiche T-regolatorie (TREG) 1. Queste cellule sono in grado di controllare le funzioni indesiderate delle cellule T effettrici. Le mutazioni sono distribuite lungo tutto il gene e determinano perdita di funzione. Il quadro clinico severo già nei primi giorni di vita, fa supporre che il danno intestinale inizi durante la vita fetale, indipendentemente da fattori esterni, come la nutrizione e il microbioma intestinale. Utili nella diagnosi sono gli anticorpi antiarmonina 1, una proteina espres- RECENT ADVANCE IN BASIC SCIENCE Diarree congenite: nuova classificazione sa a livello delle cellule epiteliali. Diversi pazienti con la syndrome IPEX sono stati trattati con un trapianto di cellule staminali emopoietiche 1, ma questo approccio è limitato dalla disponibilità di donatori HLA-compatibili. Sindromi IPEX-like Queste condizioni sono associate a mutazioni in geni responsabili della funzione di mantenimento, segnale ed espansione delle cellule TREG 1. La diagnosi può essere agevolata dal dosaggio della percentuale di specifiche regioni TREG metilate del gene FOXP3 (TSDR) nel sangue periferico. Mutazioni in STAT5B, responsabili dell’attivazione del segnale dell’IL-2 dal CD25 a FOXP3, sono state descritte in associazione a un numero ridotto di cellule TREG 1. Bambini con questa mutazione presentano altri sintomi oltre quelli intestinali, come ritardo di crescita e patologia polmonare interstiziale. Una condizione IPEXlike (caratterizzata da diarrea) con un profondo deficit delle cellule TREG, ma normale gene FOXP3, è stata associata a una mutazione non-senso nel gene LRBA (fattore responsivo ai lipopolisaccaridi) 1. Questi pazienti hanno immunodeficienza comune variabile e alterazioni dell’autoimmunità 1. Deficit di IL-10 o IL10R Caratterizzate da enterocoliti con lesioni ulcerative in regione peria- nale e a livello della mucosa intestinale 1. Fistole e ascessi possono essere presenti, richiendo multipli interventi chirurgici. Diversi farmaci anti-infiammatori sono stati usati con efficacia limitata. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche è stato usato con successo 1. Conclusioni Negli ultimi anni, molti progressi sono stati fatti sulla comprensione della patogenesi di queste condizioni 1. La diagnosi molecolare ha ulteriormente cambiato lo scenario delle CDD, aprendo la strada a nuove strategie terapeutiche come il trapianto di cellule staminali emopoietiche 1 e la terapia genica con endo-nucleasi, inclusi TALENs o CRISPR/Cas9 1. Studi a lungo termine sono necessari per fornire altre informazioni riguardo la prognosi di queste condizioni. Bibliografia 1 Berni Canani R, Castaldo G, Bacchetta R, et al. Congenital diarrhoeal disorders: advances in this evolving web of inherited enteropathies. Nat Rev Gastroenterol Hepatol 2015;12:293-302. Berni Canani R, Terrin G, Cardillo G, et al. Congenital diarrheal disorders: improved understanding of gene defects is leading to advances in intestinal physiology and clinical management. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2010;50:360-6. 2 Terrin G, Tomaiuolo R, Passariello A, et al. Congenital diarrheal disorders: an updated diagnostic approach. Int J Mol Sci 2012;13:4168-85. 3 Fiskerstrand T, Arshad N, Haukanes BI, et al. Familial diarrhea syndrome caused by an activating GUCY2C mutation. N Engl J Med 2012;366:1586-95. 4 Haas JT, Winter HS, Lim E, et al. DGAT1 mutation is linked to a congenital diarrheal disorder. J Clin Invest 2012;122:4680-4. 5 Ruemmele FM, Müller T, Schiefermeier N, et al. Loss-of-function of MYO5B is the main cause of microvillus inclusion disease: 15 novel mutations and a CaCo-2 RNAi cell model. Hum Mutat 2010;31:544-51. 6 Salomon J, Goulet O, Canioni D, et al. Genetic characterization of congenital tufting enteropathy: epcam associated phenotype and involvement of SPINT2 in the syndromic form. Hum Genet 2014;133:299-310. 7 Fabre A, Martinez-Vinson C, Roquelaure B, et al. Novel mutations in TTC37 associated with trichohepato-enteric syndrome. Hum Mutat 2011;32:277-81. 8 Wang J, Cortina G, Wu SV, et al. Mutant neurogenin-3 in congenital malabsorptive diarrhea. N Engl J Med 2006;355:270-80. 9 Suzuki K, Harada N, Yamane S, et al. Transcriptional regulatory factor X6 (Rfx6) increases gastric inhibitory polypeptide (GIP) expression in enteroendocrine K-cells and is involved in GIP hypersecretion in high fat dietinduced obesity. J Biol Chem 2013;288:1929-38. 10 • Le diarree congenite (CDD) sono un gruppo di rare e severe enteropatie con tipico esordio nei primi giorni di vita. • All’interno delle CDD possiamo distinguere: I. Difetti nell’assorbimento e trasporto di nutrienti ed elettroliti; II. Difetti nella struttura dell’enterocita; III. Difetti nella differenziazione delle cellule enteroendocrine; IV. Difetti dell’omeostasi immunitaria intestinale. • Il numero di condizioni incluse nel gruppo delle CDD sta progressivamente aumentando, molti nuovi geni sono stati identificati e correlati funzionalmente a queste patologie. • La diagnostica molecolare sta acquistando un ruolo sempre più importante e oggi consente di ricorrere a efficienti procedure di sequenziamento genico esteso a costi ragionevoli. 177 GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE a cura di Teresa Capriati Una Consensus Statement sulla vitamina D nella salute della popolazione europea A Consensus Statement about vitamin D in healthy European pediatric population Teresa Capriati (foto) Unità Operativa Semplice di Nutrizione Artificiale, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, Roma Key words Vitamin D • Metabolism of calcium and phosphorus • Milk derivatives Abstract In this position paper the ESPGHAN summarize the published data on vitamin D intake, prevalence of vitamin deficiency in the European paediatric population and provide recommendations for the prevention of vitamin D deficiency in this population. The serum concentration > 50 nmol/L (> 20 ng/mL) indicate sufficiency and a serum concentration < 25 nmol/L (< 10 ng/mL) indicate severe deficiency. Infants should receive an oral supplementation of 400 IU/day of vitamin D and should be encouraged to follow a healthy lifestyle associated with a normal body mass index, including a varied diet with vitamin D – containing foods (fish, eggs, dairy products) and adequate outdoor activities with associated sun exposure. Indirizzo per la corrispondenza Teresa Capriati Unità Operativa Semplice di Nutrizione Artificiale, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” piazza S. Onofrio 4, 00165 Roma E-mail: [email protected] 178 Le raccomandazioni La Consensus statement 1 della Società di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione (ESPGHAN) riassume le conoscenze relative al metabolismo e agli effetti sulla salute della vitamina D e i dati relativi alla assunzione della vitamina D e alla prevalenza di carenza di vitamina D nella popolazione pediatrica europea. Al termine della Consensus vengono riportate le raccomandazioni per la prevenzione della carenza di vitamina D nella popolazione sana; vengono esclusi da queste raccomandazioni i bambini con malattie croniche e i neonati prematuri, per i quali sono state pubblicate dall’ESPGHAN raccomandazioni a parte 2. La Consensus è stata realizzata andando a identificare le pubblicazioni rilevanti uscite fino a novembre 2012 tratte dai database di PubMed, ISI Web of Science, e dalla Cochrane Library. La vitamina D è un nutriente, ma può anche essere sintetizzata nella pelle umana attraverso l’esposizione alla luce solare. Alcuni studi sottolineano che l’esposizione solare è il fattore più importante nel determinare il livello sierico di vitamina D. La principale funzione della vitamina D è di regolare il metabolismo calcio-fosforo ed è quindi essenziale per il mantenimento della salute delle ossa. Sono stati studiati tuttavia nei bambini e negli adolescenti tanti altri effetti della vitamina D ed in particolare la prevenzione di malattie immuno-correlate (asma, diabete mellito tipo 1), di malattie infettive (infezioni respiratorie, influenza), e delle malattie cardiovascolari. Negli adulti, inoltre, la vitamina D avrebbe un ruolo nel corretto funzionamento neurofisiologico e nella prevenzione del cancro. Nella Tabella I sono riassunti i momenti fondamentali del metabolismo della vitamina D e nella Tabella II gli effetti principali della vitamina D sulla salute di lattanti, bambini e adolescenti secondo quanto riportato dalla Consensus. Per scopi scientifici e clinici, il Committee of Nutrition dell’ESPGHAN raccomanda l’uso pragmatico di una concentrazione sierica di 25 (OH) vitamina D > 50 nmol/L (> 20 ng/mL) per indicare la sufficienza e una concentrazione sierica < 25 nmol/L (< 10 ng/mL) Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:178-186; doi: 10.19208/2282-2453-139 GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Una Consensus Statement sulla vitamina D nella salute della popolazione europea TABELLA I. Fonti, assorbimento, metabolismo e conservazione della vitamina D (calciferolo). FONTI Fonti alimentari Pesci grassi (salmone, sgombro, sardine) Tuorlo d’uovo e alcune specifiche qualità di funghi (in minore quantità) Alimenti fortificati con vitamina D come latte, derivati del latte, margarina, cereali e succhi di frutta (in certi paesi europei) NB: Il contenuto di vitamina D nei latti formulati deve essere da 40 a 100 UI/100 kcal e da 40 a 120 UI/100 kcal nei latti di proseguimento (Direttiva 2006/141/EC Commissione europea) 3 Fonti solari La pelle umana produce vitamina D con l’esposizione al sole (UVB con lunghezza d’onda 280-315 nm), per conversione del naturale 7-deidrocolesterolo (presente in alte concentrazioni nella pelle umana) in vitamina D3. Tuttavia, la quantità di sole può variare notevolmente da persona a persona. La produzione di vitamina D dipende dalla quantità di UVB e quindi da: • pigmentazione della pelle; • uso di creme solari: la produzione cutanea di vitamina D può essere completamente abolita quando ci si attiene alla quantità di crema solare e fattore di protezione solare (SPF) raccomandato dalla OMS; • tipo di abbigliamento; • stagione dell’anno; • latitudine geografica. L’esposizione al sole non può portare a concentrazioni di vitamina D tossiche. METABOLISMO Le 2 forme principali sono la vitamina D2 (ergocalciferolo) e la vitamina D3 (colecalciferolo). Le vitamine D2 e D3 derivanti da fonti nutrizionali vengono assorbite nel piccolo intestino. L’assorbimento è dipendente dalla presenza dei grassi, in quanto questi stimolano la produzione di lipasi pancreatica e di acidi biliari. Le vitamine D2 e D3 sono entrambi pro-ormoni inattivi che si legano alla vitamina D-binding protein per essere trasportati al fegato, dove vengono convertiti in 25-idrossivitamina D (25-(OH)-D) grazie all’enzima 25-idrossilasi. La 25-(OH)-D subisce ulteriore idrossilazione da parte dell’enzima 1a-idrossilasi nel rene e diventa il metabolita attivo 1,25-diidrossivitamina D (1,25-(OH)-D). Questo secondo step di idrossilazione è regolato da calcio e fosfato e le concentrazioni dall’ormone paratiroideo (PTH). L’escrezione di metaboliti della vitamina D avviene principalmente attraverso la bile, e, in misura molto minore, attraverso l’urina. DEPOSITO La vitamina D si deposita e viene mobilizzata dal tessuto adiposo con meccanismi ancora sconosciuti. Bambini, adolescenti e adulti obesi hanno una concentrazione sierica di 25-(OH)-D, inferiore rispetto ai soggetti con BMI normale probabilmente a causa della sequestro della vitamina D da parte del tessuto adiposo in eccesso. Attualmente, tuttavia, non ci sono prove che la carenza di vitamina D associata ad aumento del grasso corporeo abbia conseguenze negative sulla densità minerale ossea e sulla salute delle ossa in età pediatrica. per indicare la grave carenza. Il dosaggio della 1,25 (OH) vitamina D, invece, non è utilizzabile per i suddetti scopi, in quanto ha una breve emivita sierica e il suo livello non è regolato solo dalla assunzione di vitamina D, ma anche da altri fattori quali il paratormone (PTH). Nella Tabella III sono riportate le definizioni di sufficienza e carenza di vitamina D secondo l’ESPGHAN e i gruppi a rischio per lo sviluppo di carenza di vitamina D. A completamento dei dati riportati nella Consensus nella Tabella IV vengono riportati gli intake di vitamina D confrontati con la prevalenza nella popolazione pediatrica del deficit di vitamina D e i dati relativi alla tossicità della vitamina D. Nella Tabella V riportiamo infine le raccomandazioni per la prevenzione del deficit di vitamina D nella popolazione europea pediatrica. 179 T. Capriati TABELLA II. Conclusioni dell’ESPGHAN sugli effetti principali della vitamina D sulla salute di lattanti, bambini e adolescenti. Salute dell’osso L’importanza della vitamina D per la salute ossea in neonati e bambini è ben nota (in base a studi epidemiologici infatti la supplementazione di vitamina D durante l’infanzia impedisce il rachitismo e l’osteomalacia). L’integrazione con vitamina D nei bambini < 1 anno di vita con deficit può determinare un aumento della densità minerale ossea, mentre non ci sono prove a sostegno della supplementazione nei bambini con > 1 anno di vita e negli adolescenti con vitamina D. Non vi sono prove sufficienti per sostenere o rifiutare la supplementazione di routine di vitamina D oltre l’anno di vita. Forza muscolare I neonati e bambini con grave carenza di vitamina D e rachitismo possono presentarsi con sviluppo motorio ritardato, ipotonia muscolare, e debolezza (associati o no a ipocalcemia). Nonostante questa associazione ben nota (carenza di vitamina D e funzione muscolare alterata), il Committee of Nutrition ESPGHAN non ha potuto identificare rilevanti evidenze di un effetto benefico della supplementazione di vitamina D sulla funzione muscolare in neonati sani, bambini e adolescenti. Prevenzione delle malattie infettive Diversi studi suggeriscono che le malattie infettive hanno una maggiore prevalenza tra i neonati e i bambini con carenza di vitamina D e alcuni studi suggeriscono che la supplementazione di vitamina D possa essere associata a un ridotto rischio di infezioni respiratorie. In realtà su questo argomento ci sono dati contrastanti per cui il Committee of Nutrition dell’ESPGHAN conclude che “i dati attuali non sono sufficienti per raccomandare la supplementazione di vitamina D allo scopo di prevenire le malattie infettive nei neonati e nei bambini europei in buona salute”. Prevenzione delle malattie allergiche Un trial clinico randomizzato (RCT) ha suggerito una riduzione degli attacchi di asma (outcome secondario dello studio) in chi assumeva vitamina D. Uno studio osservazionale, tuttavia, ha riportato un’associazione tra supplementazione di vitamina D durante l’infanzia e aumento del rischio di malattie allergiche in seguito nella vita. Il Committee of Nutrition ESPGHAN conclude che “le evidenze disponibili sono insufficienti per sostenere la relazione tra supplementazione di vitamina D nei neonati e nei bambini e la prevenzione di malattie allergiche”. Prevenzione del diabete mellito tipo 1 Prove fornite da 5 studi osservazionali, 1 revisione sistematica e una meta analisi suggeriscono che la supplementazione di vitamina D può ridurre il rischio di diabete mellito tipo 1 durante l’infanzia e l’adolescenza. Nessun RCT ha mai affrontato la questione. Il Committee of Nutrition ESPGHAN conclude che i dati attualmente sono insufficienti per provare o confutare una relazione tra supplementazione con vitamina D e il rischio di diabete tipo 1. Prevenzione delle malattie cardiovascolari Ci sono alcune evidenze relative alla supplementazione di vitamina D come marker surrogato di rischio cardiovascolare; tuttavia, il Committee of Nutrition ESPGHAN conclude che sono necessari ulteriori studi prima di affermare l’effetto della supplementazione di vitamina D sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari. TABELLA III. Definizioni di carenza di vitamina D secondo il Committee of Nutrition ESPGHAN e categorie a rischio per lo sviluppo di tale carenza. In base a concentrazioni sieriche di 25-(OH)-D Categorie a rischio di insufficienza di vitamina D 180 Grave carenza Carenza Sufficienza < 25 nmol/L (= < 10 ng/mL) < 50 nmol / L (= < 20 ng/mL) > 50 nmol /L (= > 20 ng/mL) Pelle scura; Insufficiente esposizione solare (uso eccessivo di filtri solari, stare in casa molto tempo, abiti che coprono la maggior parte della cute, vivere a latitudini nordiche durante l’inverno); Obesità; Malattie croniche (epatiche, intestinali, renali); Uso di farmaci: antiepilettici (fenitoina e carbamazepina) e glucocorticoidi sistemici. GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Una Consensus Statement sulla vitamina D nella salute della popolazione europea TABELLA IV. Intake e livelli di vitamina D nella popolazione pediatrica europea e dati sulla tossicità della vitamina D. Intake di vitamina D in Europa % bambini con assunzioni < a 200 UI (raccomandate da OMS) Media di assunzioni Germania 80% tra 1 e 12 anni 76 UI/die (bambini) 100 UI (adolescenti) Finlandia / 100-200 UI/die (inclusi integratori) Spagna 86,9% 113,2-130,8 UI/die Livelli di assunzione massima tollerabili (UL) EFSA 4 IOM 1000 UI/die per i bambini da 0 a 12 mesi; 2000 UI/die per bambini da 1 a 10 anni; 4000 UI/die per bambini da 11 a 17 anni (e adulti). 1000 UI/die per i bambini età da 0 a 6 mesi; 1500 UI/die per lattanti dai 7 ai 12 mesi; 2500 UI/die per bambini da 1 a 3 anni; 3000 UI/die per i bambini dai 4 a 8 anni; 4000 UI/die per i bambini e gli adolescenti età 9 a 18 anni (e adulti). Legenda OMS: Organizzazione Mondiale della Sanità UL: tolerable upper intake level ossia livelli di assunzione massima tollerabili EFSA: European Food Safety Authority IOM: Institute of Medicine TABELLA V. Raccomandazioni ESPGHAN relative alla carenza di vitamina D. Una concentrazione sierica di 25 (OH) vitamina D > 50 nmol/L (> 20 ng/mL) indica una condizione di sufficienza di vitamina D mentre una concentrazione sierica < 25 nmol/L (< 10ng/mL) indica una grave carenza. Tutti i lattanti fino a 1 anno di età dovrebbero ricevere una supplementazione orale di 400 UI/die di vitamina D. Tale somministrazione va fatta sotto la supervisione di pediatri o altri operatori sanitari. In accordo con l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, il limite superiore di sicurezza per la supplementazione di vitamina D è fissato a 1000 UI/die per lattanti fino a 1 anno, 2000 UI/die per bambini dai 1 a 10 anni, e 4000 UI/die per bambini e adolescenti dagli 11 ai 17 anni. I bambini sani e gli adolescenti dovrebbero essere incoraggiati a seguire uno stile di vita sano (che si associa a un BMI normale), una dieta sana con alimenti contenenti vitamina D (ad esempio, pesce, uova, latticini) e a effettuare attività all’aria aperta con un’adeguata esposizione solare. Per bambini appartenenti a gruppi a rischio, deve essere considerata la supplementazione orale di vitamina D anche al di là di 1 anno di età. Le autorità nazionali dovrebbero adottare politiche volte a migliorare lo stato della vitamina D utilizzando misure come raccomandazioni dietetiche, fortificazione degli alimenti, supplementazione di vitamina D, esposizione solare corretta in base alle caratteristiche ambientali. 181 GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Sergio Amarri (foto) Giulia Lamberti UO Pediatria, Azienda Ospedaliera IRCCS Santa Maria Nuova Reggio Emilia Indirizzo per la corrispondenza Sergio Amarri UO Pediatria, Azienda Ospedaliera IRCCS Santa Maria Nuova viale Risorgimento 80, 42100 Reggio Emilia E-mail: [email protected] Il commento La vitamina D è un micronutriente importantissimo in quanto contribuisce alla regolazione del metabolismo calcio-fosforo (ne aumenta l’assorbimento intestinale) e quindi ai processi di acquisizione della massa ossea. In presenza di livelli di vitamina D e quindi di calcio inadeguati nella dieta è possibile il riscontro, durante l’infanzia, anche di una condizione di osteomalacia e rachitismo come conseguenza dell’aumentato riassorbimento osseo del calcio e del fosforo. La vitamina D, inoltre, ha non solo importanti funzioni scheletriche, ma anche extrascheletriche immuni e non immuni. La vitamina D e la patologia correlata a una sua carenza, il rachitismo, sono da sempre oggetto di interesse, studio e ricerca da parte delle principali società scientifiche di pediatria, nutrizione ed endocrinologia. La Consensus presentata in questo commento 1 è stata scritta nel 2012 dall’ESPGHAN, la società scientifica di riferimento per l’epatologia, la gastroenterologia e la nutrizione pediatrica europee e concentra la sua attenzione sulla popolazione sana pediatrica europea, analizzando le attuali conoscenze sulla vitamina D (fonti alimentari e non, metabolismo, effetti benefici sulla salute del bambino, dati epidemiologici sul deficit di vitamina D in Europa) ed esprimendo delle raccomandazioni relative alla prevenzione del deficit di vitamina D in una popolazione considerata non a rischio. Accanto a que- 182 a cura di Teresa Capriati sta importante pubblicazione vanno ricordate anche le raccomandazioni dell’American Academy of Pediatrics (AAP) prodotte nel 2008 5 e aggiornate in 2 occasioni successive (2012 e 2013) 6, i nuovi apporti raccomandati di vitamina D pubblicati nel 2011 da parte dell’Institute of Medicine (IOM) 7 e nel 2012 in Italia, nell’ambito dei LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti e di Energia) 8 e infine la Consensus “globale” sulla prevenzione e il trattamento del rachitismo realizzata all’inizio del 2016 dall’Endocrine Society (ES) con la collaborazione di autori di tutti i continenti 9, e la Consensus italiana sull’argomento 10, redatta congiuntamente dalla Società Italiana di Pediatria (SIP) e dalla Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS). Nelle raccomandazioni ESPGHAN 1 si precisa come il deficit di vitamina D debba essere definito attraverso la determinazione delle concentrazioni sieriche di 25-(OH)-D. Questo è infatti il migliore indicatore di stato della vitamina D a seguito di apporto nutrizionale e sintesi cutanea di vitamina D, in quanto la 1,25 (OH) vitamina D ha una più breve emivita sierica e ha un livello che è regolato non solo dall’apporto nutrizionale e dalla sintesi cutanea ma anche da altri fattori, come ad esempio il livello di paratormone. L’ESPGHAN poi utilizza nella definizione del deficit di vitamina D un approccio semplificato: una concentrazione di 25-(OH)-D > 50 nmol/L (ossia > 20 ng/mL) è considerata condizione di sufficienza, mentre una concentrazione < 25 mmol/L (ossia < 10 ng/mL) descrive una condizione di deficit (nella Tabella VI sono riportate abbreviazioni ed equivalenze relative ala vitamina D). Altre società (soprattutto nord-americane) definiscono con maggiore dettaglio lo spettro dei livelli sierici di vitamina D introducendo il concetto di insufficienza e differenziandolo da quello di deficit. Per esempio l’ES nella sua Consensus “globale”, distingue tre livelli: sufficienza (> 50 nmol/L ossia > 20 ng/mL), insufficienza (30-50 nmol/L ossia 13-20 ng/mL) e deficit (< 30 TABELLA VI. Terminologia ed equivalenze relative alla vitamina D. Equivalenze 1 µg = 2,5 nmol = 40 UI 1 ng/mL = 2,5 nmol/L Abbreviazioni e sinonimi 25 idrossivitamina D = 25(OH)D = calcidiolo 1,25-diidrossivitamina D=1,25(OH)2D = calcitriolo Vitamina A = calciferolo Vitamina D2 = ergocalciferolo Vitamina D3 = colecalciferolo GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Una Consensus Statement sulla vitamina D nella salute della popolazione europea nmol/L ossia < 13 ng/mL). Questi ultimi soggetti e quelli con un deficit grave (come definito in alcune pubblicazioni) possono meritare una terapia importante per ripristinare con maggiore efficacia livelli di vitamina D normali. I fabbisogni di vitamina D definiti nel 2011 dall’IOM 7, accolti dall’AAP 6 e successivamente confermati anche dalla pubblicazione della “IV revisione dei LARN per la popolazione italiana” 8 vengono espressi sempre in termini di apporto adeguato o Adequate Intake (AI) ossia come livello di assunzione di un nutriente ritenuto adeguato a soddisfare i fabbisogni della popolazione e non di RDA (recommended dietary allowance, ossia dose giornaliera raccomandata), in quanto non ci sono sufficienti evidenze scientifiche per calcolare l’RDA o il fabbisogno medio. Relativamente, dunque, alla profilassi con vitamina D nel primo anno di età la maggior parte delle società scientifiche è concorde nell’iniziare la profilassi sin dai primi giorni di vita alla dose di 400 UI/ die, indipendentemente dal tipo di allattamento e in assenza di fattori di rischio di deficit di vitamina D. Infatti, i neonati e i lattanti vengono scarsamente esposti alla luce del sole. Il loro livello di vitamina D dipende da quello materno e il latte materno contiene quantità di vitamina D insufficienti (< 80 UI/l) per la prevenzione dell’ipovitaminosi D. La vitamina D contenuta nel latte materno, infatti, è circa 22 UI/l (range: 15-50 UI/l) in una madre con vitamina D sufficiente. Ipotizzando un consumo medio di 750 ml di latte al giorno, l’allattamento al seno esclusivo senza l’esposizione al sole fornirebbe solo 11-38 UI al giorno di vitamina D, che risulta di gran lunga inferiore anche alla vecchia assunzione minima raccomandata dall’OMS di 200 UI al giorno. Pertanto 400 UI al giorno (= 10 μg/die) sono sufficienti a prevenire il rachitismo e sono consigliate per tutti i bambini dalla nascita fino a 12 mesi di età, indipendentemente dalla loro modalità di alimentazione. Le indicazioni dell’AAP si discostano solo lievemente raccomandando 400 UI/die sicuramente per tutti i bambini allattati esclusivamente al seno, mentre per i bambini allattati con latte formula fortificato con vitamina D la fortificazione va consigliata solo nel caso in cui il volume giornaliero di latte sia inferiore a 1 litro. In realtà però 1 litro di latte formulato al giorno viene assunto solo da un bambino di 5-6 kg di peso corporeo (quindi alcuni mesi dopo la nascita) nell’epoca in cui un lattante avvia anche il divezzamento e quindi riduce la quota di latte formulato assunta, per cui sostanzialmente le indicazioni dalla AAP non si discostano da quelle dell’ESPGHAN. Tale integrazione con vitamina D deve essere avviata nei primi giorni di vita, non ha effetti avversi significativi e non ha costi alti. I lattanti prematuri e i lattanti/ bambini di pelle nera potrebbero avere bisogno di integrazioni maggiori, soprattutto se risiedono ad alte latitudini (ad esempio intorno a 40° di latitudine). L’ESPGHAN 1 non consiglia il dosaggio di routine della vitamina D, ma piuttosto una profilassi capillare sotto l’anno con una prescrizione individualizzata nei soggetti appartenenti a categorie a rischio. La AAP 6, per parte sua, aggiunge delle indicazioni su quando effettuare uno screening per valutare un’ipotesi di deficit di vitamina D: in particolare in caso di sintomi non specifici (scarsa crescita, ritardo neuromotorio, irritabilità inusuale), bambini con pelle nera che vivono ad alte latitudini (in inverno e primavera), bambini che fanno terapie croniche (anticonvulsivanti, glucocorticoidi, antiretrovirali, antimicotici) o bambini con patologie croniche (insufficienza epatica e renale cronica) che sono associate a malassorbimento (fibrosi cistica e malattie infiammatorie croniche, celiachia alla diagnosi), bambini con frequenti fratture e bassa densità minerale ossea (in cui potrebbe essere importante mantenere un livello ottimale di vitamina D allo scopo di ottimizzare l’assorbimento del calcio). Tali situazioni corrispondono a quelle che vengono identificate dall’ESPGHAN come categorie di rischio. Lo scenario diventa molto più discorde fra le diverse società scientifiche se si considerano bambini di età superiore ai 12 mesi di età (vedi Tabella VII). Diverse società, infatti, e tra queste l’ESPGHAN, consigliano la profilassi solo in presenza di fattori di rischio per deficit di vitamina D. Altre società invece danno indicazioni differenti. In particolare la Society for Adolescent Health and Medicine nel 2013, in funzione del fatto che gli adolescenti (insieme ai bambini di età compresa tra 0-12 mesi) presentano un aumentato rischio di rachitismo e osteomalacia da carenza di vitamina D a causa del rapido accrescimento, indica la necessità di supplementazione di 600 UI/die anche negli adolescenti senza fattori di rischio e una supplementazione di 1000 UI/die in quelli a rischio di insufficienza di vitamina D. Altre società consigliano la supplementazione solo nei periodi considerati a rischio, per esempio la profilassi (a dosi giornaliere o intermittenti) durante il periodo invernale se l’esposizione solare durante l’estate precedente è stata scarsa. Quest’ultima indicazione viene data anche nella recente Consensus italiana 10 in cui si suggerisce la profilassi continuativa nei bambini con fattori di rischio persistenti per deficit di vitami- 183 S. Amarri, G. Lamberti TABELLA VII. AI o PRI nelle diverse fasce di età per le diverse società scientifiche. Età Fonte AI o PRI 0-6 mesi IOM, 2011; AAP, 2012 LARN, 2012 ES, 2011 10 µg/die = 400 UI/die Non specificato 10-25 µg/die = 400-1000 UI/die 6-12 mesi WHO/FAO, 2004 5 µg/die = 200 UI/die IOM, 2011; LARN, 2012; ESPGHAN, 2013; ES, 2016 10 µg/die = 400 UI/die DACH, 2013; Nordic Council of Minister, 2014; Afssa, 2001 20-25 µg/die = 800-1000 UI/die WHO/FAO, 2004 Health Council of the Netherlands, 2012; DACH, 2013; Nordic Council of Minister, 2014 IOM, 2011; LARN, 2012; ESPGHAN, 2013; ES, 2016 DACH, 2013 5 µg/die = 200 UI/die 12-36 mesi 10 µg/die = 400 UI/die 15 µg/die = 600 UI/die 20 µg/die = 800 UI/die Legenda PRI (population reference intake): assunzione raccomandata per la popolazione per soddisfare i fabbisogni di quasi tutti (97,5%) i soggetti sani in uno specifico gruppo di popolazione AI (adequate intake): assunzione adeguata, osservata in una popolazione sana ed esente da carenze. Si ricava quando PRI non è desumibile da evidenze scientifiche AAP: American Academy of Pediatry LARN: livelli di assunzione raccomandati di nutrienti ed energia ES: Endocrine Society WHO/FAO: World Health Organization/Food and Agricolture Organization ESPGHAN: European Society for Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition; DACH: Germania, Austria e Svizzera Afssa: Agence francaise de sécurité sanitaire des alimentes na D e profilassi solo nel periodo invernale nei bambini in cui il fattore di rischio è legato a una scarsa esposizione solare nell’estate precedente. Un aspetto interessante è che mentre l’ESPGHAN non si esprime chiaramente in merito alla necessità di profilassi nei bambini e adolescenti obesi (si limita a dire che non ci sono evidenze che la carenza di vitamina D associata all’obesità abbia conseguenze negative sulla densità minerale ossea e sulla salute delle ossa in età pediatrica), la Consensus italiana mette l’obesità tra i fattori di rischio indicando la necessità di supplementare con vitamina D (dosi di 1000-1500 UI/ die) tra il termine dell’autunno e l’inizio della primavera (novembreaprile) ed eventualmente in tutto l’anno nei bambini obesi che non 184 hanno usufruito durante l’estate di un’adeguata esposizione solare. Naturalmente queste indicazioni vanno associate a quelle relative a un corretto stile di vita analoghe a quelle indicate dall’ESPGHAN. È importante sottolineare che la necessità o meno di profilassi con vitamina D oltre l’anno di vita dipende dall’esposizione al sole e dall’accesso a cibi fortificati. Una questione estremamente importante, ma ancora aperta, è la determinazione all’interno della popolazione europea della percentuale media di vitamina D derivante dalla produzione a livello cutaneo rispetto alla vitamina D fornita dal cibo. La maggior parte della vitamina D circolante sembrerebbe essere sintetizzata a partire dall’esposizione della pelle ai raggi ultravioletti B (UVB). Il 90% delle scorte di vitamina D di un individuo derivano dall’esposizione alla luce solare, mentre piccole quantità di vitamina D sono presenti in alcuni alimenti. Le radiazioni UVB stimolano la produzione di vitamina D da parte dell’epidermide, e un’adeguata esposizione solare dovrebbe consentire la sintesi di tutta la vitamina D necessaria all’individuo. Da 5 a 10 minuti di esposizione al sole di braccia, gambe o viso tre volte a settimana dovrebbero essere sufficienti a coprire il fabbisogno. In realtà esiste una notevole diversità geografica: per esempio tutta la penisola italiana si trova al di sopra del 34°N di latitudine, quindi interamente nella zona del così detto vitamin D winter, all’interno della quale la sintesi cutanea di vitamina D non è completamente GUIDELINES: WHAT IS THE BEST FOR CLINICAL PRACTICE Una Consensus Statement sulla vitamina D nella salute della popolazione europea efficace per l’intero anno. Pertanto la maggioranza dei pediatri di famiglia italiana ha promosso e prescritto l’utilizzo di supplementazione con vitamina D almeno nel periodo del tardo autunno e inizio primavera. In merito alle fonti nutrizionali di vitamina D va ricordato che la vitamina D si trova in un numero limitato di alimenti, e l’assunzione alimentare, a eccezione dei cibi fortificati, ha poco impatto sull’apporto complessivo. Le fonti naturali di vitamina D includono pesci grassi come salmone, sgombro e sardine, olio di fegato di merluzzo, fegato e frattaglie (che presentano un elevato contenuto di colesterolo), e tuorlo d’uovo (che presenta un contenuto variabile di vitamina D). Anche la modalità di cottura degli alimenti può alterare il contenuto di vitamina D. Ad esempio, la frittura del pesce riduce il contenuto di vitamina D attiva di circa il 50%, mentre la cottura al forno del pesce non ne influenza il contenuto. La maggior parte delle fonti naturali di vitamina D non vengono comunemente consumate dai bambini, pertanto, diventa importante fortificare gli alimenti con vitamina D se l’esposizione al sole risulta inadeguata. Esempi di alimenti fortificati con vitamina D sono: latte, olio, succhi di frutta. Negli Stati Uniti le formule per lattanti devono contenere da 40 a 100 UI di vitamina D per 100 kcal, perché questo contenuto potrebbe essere sufficiente a soddisfare la dose giornaliera raccomandata per i bambini. In Canada, la fortificazione con vitamina D è obbligatoria per alcuni alimenti come il latte e la margarina. Negli Stati Uniti la fortificazione di vitamina D degli alimenti non è un requisito obbligatorio, ma è necessario se l’etichetta indica che il cibo è fortificato. Per il latte e il succo d’arancia, il contenuto di vitamina D dopo la fortificazione dovrebbe includere 400 UI/l. L’utilizzo di cibi fortificati con vitamina D, in particolare il latte, è molto diffuso in Nord America (U.S. latte fortificato con 100 IU/250 ml e Canada 35-40 IU/100 ml). I dati della letteratura indicano che questa pratica è efficace nel prevenire il rachitismo e il deficit di vitamina D. Alla variabilità del contenuto di vitamina D degli alimenti, occorre aggiungere la variazione naturale di vitamina D a seconda della stagione e delle condizioni climatiche, lo stato di fortificazione degli alimenti sul mercato, e le variazioni nelle procedure utilizzate per fortificare il latte. Le indagini di conformità dei vari caseifici che effettuano processi di fortificazione in vitamina D negli Stati Uniti hanno indicato che molti campioni non risultano conformi (sono per lo più poco fortificati). In Europa, la margarina e alcuni cereali vengono arricchiti con vitamina D, mentre negli Stati Uniti viene presa in considerazione la fortificazione obbligatoria di formaggi, pane e cereali. Dopo la fortificazione del latte con la vitamina D nel Nord America e del latte, margarina e cereali nel Regno Unito, la prevalenza di rachitismo è drasticamente diminuita. La fortificazione obbligatoria degli alimenti con la vitamina D e calcio assicura un’adeguatezza nutrizionale. La fortificazione di cibi comunemente consumati fornisce un adeguato apporto per prevenire la carenza. La tossicità della vitamina D è un ultimo ma non meno importante aspetto su cui soffermarsi. Le raccomandazioni ESPGHAN non indicano chiaramente dei livelli massimi tollerabili, ma riportano i dati dell’European Food Safety Authority (EFSA) 4 e dello IOM 7 (vedi Tabella IV), nonostante vi sia una sostanziale carenza di dati relativi alle dosi tossiche di vitamina D in neonati, bambini e adolescenti. L’ESPGHAN ricorda anche come non vi sia nessun accordo sulla soglia di tossicità per la vitamina D. La prolungata assunzione giornaliera di vitamina D fino a 10.000 UI o fino a concentrazioni sieriche di 25-(OH)-D di 240 nmol/L sembra essere sicura. L’intossicazione acuta da vitamina D è rara e di solito si ha per concentrazioni molto superiori a 10.000 UI/die, anche se non è stata stabilita la soglia chiara per definire il rischio di tossicità acuta. La Consensus italiana 10 ricorda come i metaboliti o gli analoghi dei metaboliti (calcifediolo, alfacalcidiolo, calcitriolo, didrotachisterolo) non devono essere utilizzati per la profilassi del deficit di vitamina D, a parte casi particolari (condizioni patologiche specifiche), sia perché espongono a un rischio significativo di ipercalcemia, sia perché sono prodotti che in realtà non sono in grado di mantenere e/o ripristinare le scorte di vitamina D. Conclusioni La Consensus prodotta dall’ESPGHAN nel 2012 affronta solo alcuni degli aspetti relativi alla problematica della vitamina D. In particolare rivolge la sua attenzione alla profilassi del deficit nella popolazione europea sana, rimandando ad altre pubblicazioni sia la profilassi di alcune delle categorie a rischio (pretermine per esempio), che l’eventuale terapia di deficit effettivi. Le indicazioni date dall’ESPGHAN sono al momento ben recepite dai pediatri del territorio, che sempre più frequentemente somministrano una profilassi prolungata nel primo anno di vita. Più discorde è lo scenario relativo alla supplementazione nel bambino con più di un anno di età. 185 S. Amarri, G. Lamberti Bibliografia 1 2 3 4 Braegger C, Campoy C, Colomb V. Vitamin D in the healthy european paediatric population. JPGN 2013;56:692-701. Agostoni C, Buonocore G, Carnielli VP, et al. Enteral nutrient supply for preterm infants: commentary from the European Society of Paediatric Gastroenterology, Hepatology and Nutrition Committee on Nutrition. JPGN 2010;50:85-91. Commission Directive 2006/141/ EC of 22 December 2006 on infant formulae and follow-on formulae and amending Directive 1999/21/ EC. Off J Eur Union 2006. EFSA Panel on Dietetic Products NaACA. Scientific opinion on the tolerable upper intake level of vitamin D. EFSA J 2012;10:45. 5 Misra M, Pacaud D, Petryk A, et al. Vitamin D deficiency in children and its management: review of current knowledge and recommendations. Pediatrics 2008;122:398-417. 6 American Academy of Pediatrics. Statement of endorsement. Dietary reference intakes for calcium and vitamin D. Pediatrics 2012;130:5. 7 IOM. Dietary reference intakes for calcium and vitamin D. Committee to review dietary reference intake for calcium and vitamin D. Washington, DC: National Academy Press 2011. 8 Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU). Livelli di assunzione di riferimento di nutrient ed energia per la popolazione italiana. LARN IV Revisione. Società Italiana di Comunicazione Scientifica e Sanitaria 2014. 9 Munns CF, Shaw N, Kiely M, et al. Global Consensus Recommendations on Prevention and Management of Nutritional Rickets. J Clin Endocrinol Metab 2016;101:394-415. 10 Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale. Consensus vitamina D in età pediatrica. Pediatria Preventiva & Sociale 2015;3:142-58. • Il dosaggio sierico della concentrazione di 25-(OH)-D se è > 50 nmol/L (20 ng/mL), indica una condizione di sufficien- za, se < 25 nmol/L (< 10 ng/mL) indica grave carenza. • Tutti i lattanti fino a 1 anno di età dovrebbero ricevere una supplementazione orale di 400 UI/die di vitamina D. • Oltre l’anno di età non ci sono chiare indicazioni sulla supplementazione di vitamina D e l’ESPGHAN rimanda alle raccomandazioni nazionali. Sicuramente i bambini sani e gli adolescenti dovrebbero essere incoraggiati a seguire uno stile di vita sano (comprendente adeguate attività all’aria aperta) associato con un BMI normale e una dieta sana con alimenti contenenti vitamina D (ad esempio, pesce, uova, latticini). La supplementazione dovrebbe essere considerata nelle categorie a rischio anche oltre l’anno di età. • I bambini appartenenti ai gruppi a rischio sono bambini con pelle nera che vivono ad alte latitudini (in inverno e pri- mavera), bambini che fanno terapie croniche (anticonvulsivanti, glucocorticoidi, antiretrovirali, antimicotici) o bambini con patologie croniche (insufficienza epatica e renale cronica), che sono associate a malassorbimento (fibrosi cistica e malattie infiammatorie croniche, celiachia alla diagnosi), bambini con frequenti fratture e bassa densità minerale ossea. • In conformità con l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, il limite superiore di sicurezza è fissato a 1000 UI/die per lattanti, a 2000 UI/die per bambini dai 1 a 10 anni, e a 4000 UI/die per bambini e adolescenti dagli 11 ai 17 anni. 186 CASE REPORT a cura di ANTONIO DI MAURO Soluzione del caso clinico di pagina 167 Sviluppo caso clinico e risoluzione I valori di albumina (3,3 g/dl) e protidemia (5,2 g/dl) sono inferiori ai limiti di norma. L’EGDS eseguita a 12 ore dall’episodio di ematemesi ha mostrato la presenza di varici esofagee di grado F1-F2, non attivamente sanguinanti con gastropatia congestizia (Fig. 1A, B). Le ricerche infettivologiche sono negative. Lo screening per la celiachia, la funzionalità tiroidea e l’autoimmunità nella norma, così come il dosaggio dell’alfafetoproteina. L’eco-color-doppler dell’asse spleno-portale evidenzia una riduzione dell’albero venoso portale intraepatico con fibrosi epatica e irregolarità del lume portale in corrispondenza dell’ilo portale. Ipertensione portale di grado medio-alto. La RM addominale conferma la presenza di un’immagine a carico del lobo sn epatico, ascrivibile a nodulo di rigenerazione in epatopatia con steatosi epatica diffusa. L’aspetto della vascolarizzazione epatica è compatibile con agenesia o cavernoma portale. Non visibili le vene sovraepatiche. Identificabile un vaso anomalo fra lobo epatico dx e sn, terminante in atrio destro. L’ECG e l’ecografia cardiaca non hanno comunque mostrato anomalie vascolari. Alla portografia retrograda (eseguita presso altro centro, dopo stabilizzazione nutrizionale): ostruzione dei rami segmentari e del recesso di Rex della vena porta, esclusiva opacizzazione di una vena epatica accessoria e del tratto terminale della vena cava inferiore. Non possibile la riperfusione epatica mediante by-pass meso-Rex, né altri interventi di correzione portale. È stata intrapresa terapia di profilassi primaria del sanguinamento di varici esofagee con beta-bloccante e avviato follow-up. Silvia Iuliano1 Marco Manfredi1 Federica Gaiani2 Barbara Bizzarri2 Pierpacifico Gismondi1 Fabiola Fornaroli2 Gian Luigi de’Angelis1, 2 1 Unità Operativa di Clinica Pediatrica, Scuola di Specializzazione in Pediatria, Dipartimento MaternoInfantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma; 2 Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Dipartimento MaternoInfantile, Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma Key words Portal cavernoma • Portal hypertension • Turner syndrome • Liver disease Abstract We report the case of a child of 5 years old, affected by Turner syndrome and hypothyroidism, admitted for hematemesis during a prolonged gastroenteritis. Upper GI endoscopy showed non-bleeding esophageal varices. Radiological investigations showed hepatic fibrosis, a portal cavernoma and portal hypertension, confirmed later by portography. Oral treatment with propanolole was started and close follow-up set up. Punti critici diagnostica differenziale Nella gestione clinica del caso, l’ematemesi e la marcata disidratazione sono state in prima istanza interpretate quali possibili complicanze in corso di gastroenterite febbrile protratta. L’esofago-gastro-duodenoscopia ha mostrato la presenza di varici esofagee. Il riscontro Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:187-189 187 S. Iuliano et al. A B Figura 1 a-b. Varici esofagee. di splenomegalia, ascite e “nodulo epatico” ha portato a una valutazione epatica approfondita, consentendo di escludere infezioni/infestazioni con tropismo epatico (pur essendo in tal caso il rialzo delle transaminasi molto modesto) e l’esordio di un’epatopatia autoimmune. Benché rara, il sospetto diagnostico di neoplasia epatica è stato indagato mediante l’esecuzione integrata dei markers neoplastici e successivamente di RM addominale. L’attenta valutazione anamnestica e la chiara diagnosi descrittiva delle lesioni alla RM hanno costituito lo snodo principale per la risoluzione del caso. La storia positiva per incannulamento della vena ombelicale in epoca neonatale ha reso chiara la diagnosi di cavernoma portale da pregressa trombosi (fino a quel momento ignota); inoltre, la Sindrome di Turner, da cui è affetta la bambina, rientra fra le cause genetico-metaboliche di epatopatia steatosica non alcolica 1. La sindrome è associata infatti sia a vasculopatia (rientra fra le sindromi che predispongo- 188 no al sanguinamento gastrointestinale) 2, che allo sviluppo di disordini epatici (alterata funzionalità epatica, steatosi, steatoepatite, coinvolgimento biliare, cirrosi, iperplasia nodulare rigenerativa) secondo un meccanismo eziopatogenetico non ancora chiaro 3. L’alterata funzionalità epatica, più frequente in età adolescenziale-adulta non è direttamente correlata allo sviluppo di epatopatia e non controindica la terapia con estrogeni (è prudente, a ogni modo, usare con cautela farmaci epatotossici). Qualora si associ epatopatia, può essere necessario effettuare una valutazione dei flussi mediante eco-color-doppler e talvolta la biopsia epatica; tuttavia, nella gran parte dei casi, in assenza di fattori di rischio, non si assiste a una progressione della malattia stessa 3. Il rialzo delle transaminasi e/o di altri indici di funzionalità epatica in pazienti affette da sindrome di Turner, richiede un follow-up laboratoristico ed ecografico 3; la contestuale epatopatia e/o ipertensione portale devono invece essere trattate secondo le evidenze disponibili 4-6. Bibliografia 1 Vajro P, Lenta S, Socha P, et al. Diagnosis of nonalcoholic fatty liver disease in children and adolescents: position paper of the espghan hepatology committee. JPGN 2012;54:700-13. 2 Romano C, Barabino A, Betalli P, et al. Consensus Statement on gastrointestinal bleeding in children. Società Italiana di Gastroenterologia Epatologia e Nutrizione Pediatrica 2005. 3 Bondy CA. Practice guideline care of girls and women with turner syndrome: a guideline of the turner syndrome study group. J Clin Endocrinol Metab 2007;92:10-25. 4 Garcia-Tsao G, Sanjal AJ, Grace ND, et al.; the Practice Guidelines Committee of the American Association for the Study of Liver Diseases, the Practice Parameters Committee of the American College of Gastroenterology. Prevention and management of gastroesophageal varices and variceal hemorrhage in cirrhosis. Am J Gastroenterol 2007;102:2086-102. 5 Gugig R. Management of portal hypertension in children. World J CASE REPORT Soluzione del caso clinico 6 Gastroenterol 2012;18:1176-84. in children: expert pediatric opin- ology of Diagnosis and Therapy Schneider B, Bosch J, de Franchis R, et al. Portal hypertension ion on the report of the Baveno V in Portal Hypertension. Pediatr Consensus Workshop on Method- Transplantation 2012;16:426-37. • L’esecuzione di un’anamnesi completa e dettagliata rimane il punto di partenza nell’approccio al paziente, anche di fronte a casi clinici apparentemente “semplici”. • L’ematemesi costituisce un’urgenza endoscopica e va sempre indagata, in quanto potrebbe anche rappresentare il primo segno di un’ipertensione portale scompensata. • Nelle pazienti affette da Sindrome di Turner il rialzo delle transaminasi è un’evenienza frequente, per cui è necessario un approfondimento strumentale al fine di escludere l’insorgenza di epatopatia. • Il follow-up dell’epatopatia associata è laboratoristico ed ecografico; il management dell’eventuale ipertensione por- tale va affidato a centri di riferimento con équipe dedicata. 189 INVITED COMMENTARY a cura di Mariella Baldassarre Reflusso faringo-laringeo in età pediatrica e otite media effusiva L’otite media effusiva (OME) è una delle più comuni malattie dell’infanzia e si caratterizza per una flogosi Ignazio La Mantia essudativa dell’orecchio medio, in assenza di segni Prof. Associato di Audiologia, clinici d’infezione acuta ma con una sintomatologia UOC di Otorinolaringoiatria subdola e sottostimata, con importanti ricadute in terPO S. Marta e S. Venera, mini economici e sociosanitari: l’ipoacusia trasmissiva. ASP CT, Università di Catania È certamente un disordine complesso, legato a fattori anatomo-fisiologici individuali e ambientali, che può talvolta rappresentare l’unica manifestazione atipica della lesione diretta del refluito acido sulle mucose delle vie aeree superiori. Sin dal 1903 Coffin ipotizzò che la “eruttazione di gas dallo stomaco” e la “iperacidità” fossero responsabili di sintomi laringei e naso-faringo-tubarici in pazienti con disfonia e post nasal drip. A partire dagli anni ’80, accanto alla definizione di “Reflusso gastro-esofageo” (RGE), nasce il nuovo concetto di reflusso laringo-faringeo (RLF) con sintomatologia atipica, espressione di differenti meccanismi fisiopatologici, differente modalità di presentazione e risposta alla terapia medica. Tra tutte le patologie otorinolaringoiatriche che riconoscono nel RLF il possibile fattore eziologico causale o concausale, le manifestazioni a carico del distretto rino-faringo-tubarico sono sicuramente quelle “meno studiate”. Alla base della manifestazione clinica vi è una disfunzione della funzionalità tubarica e conseguente versamento endotimpanico responsabile di un deficit uditivo trasmissivo, principalmente sulle frequenze mediogravi, solitamente inferiore a 40 dB, e di eventuali complicanze quali l’atelettasia della membrana timpanica, la timpanosclerosi e l’otite media cronica. Recenti studi evidenziano, dal punto di vista fisiopatologico, che la disfunzionalità della ventilazione tubarica possa essere legata a un danno mucosale tubarico da parte dell’acido cloridrico e della pepsina, i quali possono creare edema e iperplasia della mucosa peritubarica, iperplasia del tessuto linfatico adenoideo da stimolazione diretta dei linfociti e un importante blocco della clearance muco-ciliare, facilitando anche la formazione di biofilm. Uno studio in particolare ha evidenziato, nell’80% dei casi, la presenza della pepsina a elevate concentrazioni nell’essudato endotimpanico di bambini sottoposti a paracentesi timpanica. Il RFL sarebbe quindi responsabile della patologia otologica sia mediante il danno mucosale diretto, sia mediante l’edema peritubarico e l’ipertrofia adenoidea, conseguenza della prolungata esposizione del rinofaringe al RLF. La malattia da RLF può quindi essere considerata un’entità clinica, le cui manifestazioni atipiche nel distretto aero-digestivo superiore sono rappresentate, oltre che dall’OME, anche da tosse cronica, laringospasmo, rinofaringiti e iperplasia adenotonsillare. È importante quindi tenere sempre presente che i sintomi atipici di pertinenza ORL possono essere talvolta l’unica manifestazione clinica di reflusso e per questo motivo lo specialista deve sempre attuare provvedimenti terapeutici nei casi di sintomi cronici e/o ricorrenti a carico del distretto ORL in assenza di chiara eziopatogenesi e/o scarsa risposta alle terapie convenzionali. Indirizzo per la corrispondenza Ignazio La Mantia UOC di Otorinolaringoiatria, PO S. Marta e S. Venera, ASP CT, Università di Catania via Caronia, 95024 Acireale (CT) E-mail: [email protected] 190 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2016;VIII:190; doi: 10.19208/2282-2453-130