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ALL. 1
L'elefante incatenato", di Jorge Bucay
“Non posso” - gli dissi - “Non posso!”
“Ne sei sicuro?” - mi chiese lui.
“Sì, mi piacerebbe tanto sedermi davanti a lei e dirle quello che provo... Ma so che non
posso farlo”.
Jorge si sedette come un Buddha su quelle orribili poltrone azzurre del suo studio.
Sorrise, mi guardò negli occhie, abbassando la voce come faceva ogni volta che voleva
essere ascoltato attentamente, mi disse:
“Ti racconto una storia...”.
E senza aspettare il mio assenso iniziò a raccontare:
“Quando ero piccolo adoravo il circo, mi piacevano soprattutto gli animali. Ero attirato in
particolar modo dall’elefante che, come scoprii più tardi, era l’animale preferito di tanti altri
bambini. Durante lo spettacolo quel bestione faceva sfoggio di un peso, una dimensione e
una forza davvero fuori dal comune… ma dopo il suo numero, e fino ad un momento
prima di entrare in scena, l’elefante era sempre legato ad un paletto conficcato nel suolo,
con una catena che gli imprigionava una delle zampe.
Eppure il paletto era un minuscolo pezzo di legno piantato nel terreno soltanto per pochi
centimetri. E anche se la catena era grossa e forte, mi pareva ovvio che un animale in
grado di sradicare un albero potesse liberarsi facilmente di quel paletto e fuggire.
Era davvero un bel mistero.
Che cosa lo teneva legato, allora?
Perchè non scappava?
Quando avevo cinque o sei anni nutrivo ancora fiducia nella saggezza dei grandi. Allora
chiesi a un maestro, a un padre o a uno zio di risolvere il mistero dell'elefante. Qualcuno di
loro mi spiegò che l’elefante non scappava perchè era ammaestrato. Allora posi la
domanda ovvia: “Se è ammaestrato, perchè lo incatenano?”. Non ricordo di aver ricevuto
nessuna risposta coerente.
Con il passare del tempo dimenticai il mistero dell’elefante e del paletto e ci pensavo
soltanto quando mi imbattevo in altre persone che si erano poste la stessa domanda.
Per mia fortuna, qualche anno fa ho scoperto che qualcuno era stato abbastanza saggio
da trovare la risposta giusta:
l’elefante del circo non scappa perchè è stato legato a un paletto simile fin da quando era
molto, molto piccolo.
"L'Aquila che si credeva un Pollo", di Anthony De Mello Einstein diceva: " Ognuno è un genio, ma se si chiede ad un pesce di salire su un
albero si sentirà sempre uno stupido.
Un uomo trovò un uovo d’aquila e lo mise nel nido di una chioccia. L’uovo si schiuse
contemporaneamente a quelle della covata, e l’aquilotto crebbe insieme ai pulcini. Per
tutta la vita l’aquila fece quel che facevano i polli del cortile, pensando di essere uno di
loro.
Frugava il terreno in cerca di vermi e insetti, chiocciava e schiamazzava, scuoteva le ali
alzandosi da terra di qualche decimentro. Trascorsero gli anni, e l’aquila divenne molto
vecchia. Un giorno vide sopra di sè, nel cielo sgombro di nubi, uno splendido uccello che
planava, maestoso ed elegante, in mezzo alle forti correnti d’aria, muovendo appena le
robuste ali dorate.
La vecchia aquila alzò lo sguardo, stupita: “Chi è quello?”, chiese. “E’ l’aquila, il re degli
uccelli” rispose il suo vicino. “Appartiene al cielo. Noi invece apparteniamo alla terra,
perchè siamo polli.”
E così l’aquila visse e morì come un pollo, perchè pensava di essere tale.
Le lenzuola sporche Anonimo
Una giovane coppia di sposi novelli andò ad abitare in una zona molto tranquilla della
città.
Una mattina, mentre bevevano il caffè, la moglie si accorse, guardando attraverso la
finestra, che una vicina stendeva il bucato sullo stendibiancheria.
"Guarda che sporche le lenzuola di quella vicina!
Forse ha bisogno di un altro tipo di detersivo...
Magari un giorno le farò vedere come si lavano le lenzuola!"
Il marito guardò e rimase zitto.
La stessa scena e lo stesso commento si ripeterono varie volte, mentre la vicina stendeva
il suo bucato al sole e al vento.
Dopo un mese, la donna si meravigliò nel vedere che la vicina stendeva le sue lenzuola
pulitissime, e disse al marito:
"Guarda, la nostra vicina ha imparato a fare il bucato!
Chi le avrà fatto vedere come si fa?"
Il marito le rispose:
"Nessuno le ha fatto vedere; semplicemente questa mattina, io mi sono alzato più presto
e, mentre tu ti truccavi, ho pulito i vetri della nostra finestra!"
Così è nella vita.
Tutto dipende dalla pulizia della finestra attraverso cui osserviamo i fatti.
Prima di criticare, probabilmente sarà necessario osservare se abbiamo pulito a fondo il
nostro cuore per poter vedere meglio...
La storia della matita di Paulo Coelho
Il bambino guardava la nonna scrivere una lettera.
Ad un certo punto, chiese: "Stai scrivendo una storia su di noi? E' per caso una storia su
di me?".
La nonna smise di scrivere, sorrise e disse al nipote: "In effetti, sto scrivendo su di te.
Tuttavia, più importante delle parole, è la matita che sto usando. Mi piacerebbe che tu
fossi come lei, quando sarai grande."
Il bimbo osservò la matita, incuriosito e non vide niente di speciale.
"Ma è identica a tutte le matite che ho visto in vita mia!".
"Tutto dipende dal modo in cui guardi le cose. Ci sono 5 qualità in essa che, se tu riuscirai
a mantenere, faranno sempre di te un uomo in pace con il mondo.
Prima qualità: tu puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una mano
che guida i tuoi passi: questa mano noi la chiamiamo Dio e Lui ti dovrà sempre indirizzare
verso la Sua volontà.
Seconda qualità: di quando in quando io devo interrompere ciò che sto scrivendo ed usare
il temperino. Questo fa sì che la matita soffra un poco, ma alla fine essa sarà più affilata.
Pertanto, sappi sopportare un po' di dolore, perché ciò ti renderà una persona migliore.
Terza qualità: la matita ci permette sempre d'usare una gomma per cancellare gli sbagli.
Capisci che correggere qualcosa che abbiamo fatto non è necessariamente un male, ma
qualcosa di fondamentale per mantenerci sulla retta via.
Quarta qualità: ciò che è davvero importante nella matita non è il legno o la forma
esteriore, ma la grafite che è all'interno. Dunque fai sempre attenzione a quello che
succede dentro di te.
Infine la quinta qualità della matita: lascia sempre un segno. Ugualmente, sappi che tutto
ciò che farai nella vita lascerà tracce e cerca d'essere conscio d'ogni singola azione.
Lettera di A. Lincoln all'insegnante di suo figlio -
Pare che questa lettera sia stata scritta nel 1830 da A.
Lincoln, avvocato e politico statunitense, nonché sedicesimo presidente degli
U.S.A.
Al di là dell'autenticità della lettera ci sono comunque ottimi spunti di riflessione su
tematiche educative e pedagogiche, oltre che una interessante visione del mondo.
Buona lettura.
Caro professore, insegni al mio ragazzo che non tutti gli uomini sono giusti, non tutti dicono la
verità; ma la prego di dirgli pure che per ogni malvagio c'è un eroe, per ogni egoista c'è un leader
generoso. Gli insegni, per favore, che per ogni nemico ci sarà anche un amico e gli faccia capire che
vale molto più una moneta guadagnata con il lavoro che una moneta trovata. Gli insegni a perdere,
ma anche a saper godere della vittoria, lo allontani dall'invidia e gli faccia riconoscere l'allegria
profonda di un sorriso silenzioso.
Lo lasci meravigliare del contenuto dei suoi libri, ma gli conceda anche il tempo per distrarsi con gli
uccelli nel cielo, i fiori nei campi, le colline e le valli. Nel gioco con gli amici, gli spieghi che è meglio
una sconfitta onorevole di una vergognosa vittoria, gli insegni a credere in se stesso, anche se si
ritrova solo contro tutti. Gli insegni ad essere gentile con i gentili e duro con i duri e gli faccia
imparare a non accettare le cose solamente perché le hanno accettate anche gli altri. Gli insegni ad
ascoltare tutti ma, nel momento della verità, a decidere da solo. Gli insegni a ridere quando è triste e
gli spieghi che qualche volta anche i veri uomini piangono. Gli insegni ad ignorare le folle che
chiedono sangue e lo esorti a combattere anche da solo contro tutti, quando è convinto di aver
ragione. Lo tratti bene, ma non da bambino, perché solo con il fuoco si tempera l'acciaio.
Gli faccia conoscere il coraggio di essere impaziente e la pazienza di essere coraggioso. Gli trasmetta
una fede sublime nel Creatore e gli insegni ad avere fiducia anche in se stesso, perché solo così può
avere fiducia negli uomini. So che le chiedo molto, ma veda cosa può fare, caro maestro
Abraham Lincoln
Il primo giorno (di scuola) che vorrei
Che cosa avrei voluto sentirmi dire il primo giorno di scuola dai miei professori o cosa vorrei che mi
dicessero se tornassi studente?
Il racconto delle vacanze? No. Quelle dei miei compagni? No. Saprei già tutto. Devi studiare? Sarà
difficile? Bisognerà impegnarsi di più? No, no grazie. Lo so. Per questo sto qui, e poi dall’orecchio dei
doveri non ci sento.
Ditemi qualcosa di diverso, di nuovo, perché io non cominci ad annoiarmi da subito, ma mi venga
almeno un po’ voglia di cominciarlo quest’anno scolastico. Dall’orecchio della passione ci sento
benissimo.
Dimostratemi che vale la pena stare qui per un anno intero ad ascoltarvi.
Ditemi per favore che tutto questo c’entra con la vita di tutti i giorni, che mi aiuterà a capire meglio il
mondo e me stesso, che insomma ne vale la pena di stare qua.
Dimostratemi, soprattutto con le vostre vite, che lo sforzo che devo fare potrebbe riempire la mia vita
come riempie la vostra. Avete dedicato studi, sforzi e sogni per insegnarmi la vostra materia, adesso
dimostratemi che è tutto vero, che voi siete i mediatori di qualcosa di desiderabile e indispensabile, che
voi possedete e volete regalarmi.
Dimostratemi che perdete il sonno per insegnare quelle cose che – dite – valgono i miei sforzi. Voglio
guardarli bene i vostri occhi e se non brillano mi annoierò, ve lo dico prima, e farò altro. Non potete
mentirmi. Se non ci credete voi, perché dovrei farlo io?
E non mi parlate dei vostri stipendi, del sindacato, della Gelmini, delle vostre beghe familiari e
sentimentali, dei vostri fallimenti e delle vostre ossessioni. No.
Parlatemi di quanto amate la forza del sole che brucia da 5 miliardi di anni e trasforma il suo idrogeno
in luce, vita, energia. Ditemi come accade questo miracolo che durerà almeno altri 5 miliardi di anni.
Ditemi perché la luna mi dà sempre la stessa faccia e insegnatemi a interrogarla come il pastore errante
di Leopardi. Ditemi come è possibile che la rosa abbia i petali disposti secondo una proporzione divina
infallibile e perché il cuore è un muscolo che batte involontariamente e come fa l’occhio a trasformare la
luce in immagini.
Ci sono così tante cose in questo mondo che non so e che voi potreste spiegarmi, con gli occhi che vi
brillano, perché solo lo stupore conosce.
E ditemi il mistero dell’uomo, ditemi come hanno fatto i Greci a costruire i loro templi che ti sembra di
essere a colloquio con gli dei, e come hanno fatto i Romani a unire bellezza e utilità come nessun altro.
E ditemi il segreto dell’uomo che crea bellezza e costringe tutti a migliorarsi al solo respirarla. Ditemi
come ha fatto Leonardo, come ha fatto Dante, come ha fatto Magellano. Ditemi il segreto di Einstein, di
Gaudì e di Mozart. Se lo sapete ditemelo.
Ditemi come faccio a decidere che farci della mia vita, se non conosco quelle degli altri? Ditemi come
fare a trovare la mia storia, se non ho un briciolo di passione per quelle che hanno lasciato il segno?
Ditemi per cosa posso giocarmi la mia vita. Anzi no, non me lo dite, voglio deciderlo io, voi fatemi
vedere il ventaglio di possibilità.
Aiutatemi a scovare i miei talenti, le mie passioni e i miei sogni. E ricordatevi che ci riuscirete solo se
li avete anche voi i vostri sogni, progetti, passioni. Altrimenti come farò a credervi? E ricordatemi che la
mia vita è una vita irripetibile, fatta per la grandezza, e aiutatemi a non accontentarmi di consumare
piccoli piaceri reali e virtuali, che sul momento mi soddisfano, ma sotto sotto sotto mi annoiano…
Sfidatemi, mettete alla prova le mie qualità migliori, segnatevele su un registro, oltre a quei voti che
poi rimangono sempre gli stessi. Aiutatemi a non illudermi, a non vivere di sogni campati in aria, ma
allo stesso tempo insegnatemi a sognare e ad acquisire la pazienza per realizzarli quei sogni, facendoli
diventare progetti.
Insegnatemi a ragionare, perché non prenda le mie idee dai luoghi comuni, dal pensiero dominante,
dal pensiero non pensato.
Aiutatemi a essere libero. [….]
E per favore, un ultimo favore, tenete ben chiuso il cinismo nel girone dei traditori.
Non nascondetemi le battaglie, ma rendetemi forte per poterle affrontare e non avvelenate le mie
speranze, prima ancora che io le abbia concepite.
Per questo, un giorno, vi ricorderò.
A. D’Avenia, «Avvenire», 10 settembre 2011