Descrizione delle maschere

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Descrizione delle maschere
Descrizione delle maschere di Austis – “Sos Colonganos”
La maschera di “Sos Colonganos” prende il nome dal greco “kolos” (pecora).
Sos Colonganos indossano pelli necessarie per invocare la pioggia; sul viso
hanno una maschera di sughero ricoperta di rami di corbezzolo, pianta che
porta in sé i fiori assieme ai frutti, in auspicio di fertilità continua; sul capo
indossano pelli di volpe o di martora e sono muniti di bastoni e forconi che
agitano in continuazione.
A differenza delle altre maschere barbaricine le maschere di Austis portano
sulle spalle ossa di animali anziché i campanacci, ossa che ne ritmo della danza
rituale producono un rumore sordo e meno forte rispetto ai campanacci.
L’uso delle ossa ha un significato rituale perché dalle ossa si rigenera la vita.
Figura importante del gruppo è “S’Urzu”: esso porta addosso pelli di cinghiale
e rappresenta la vittima sacrificale ed è sempre accompagnato da due o più
guardiani vestiti completamente di nero e con i cappucci calati sulla fronte.
Maschere tradizionali di Ortueri “I Sonaggiaoso e s’Urzu”
I sonaggiasa, da cui prendono il nome le maschere, sono le campanelle che si
appendono al collo delle bestie al pascolo per segnalarne la presenza e
facilitarne la ricerca. Le maschere sono la personificazione del gregge, la pelle
di pecora bianca e la faccia annerita dalla fuliggine hanno il compito di celare i
connotati umani e trasformare le maschere in animali, e “s’urzu”, letteralmente
orso seppure sarebbe meglio chiamarlo orco perché indica la presenza del
demone, si agita come un forsennato, si scaglia contro le persone, salta sui
tetti e sugli alberi, grida e si dimena rotolandosi per terra, inscenando l’eterna
lotta del bene contro il male.
Tutta la ritualità è accompagnata dalle ritmiche cadenze segnate dal suono dei
campanacci, che possono raggiungere anche un peso di venti chilogrammi.
“S’urzu” è vestito con una grande pelle di montone esclusivamente di colore
nero che copre anche la testa, mentre la faccia resta indistinta per il colore
nero della fuliggine.
Esso ha una sola sonaggia molto grande “unu bintinu”; viene tenuto a bada con
“sa soga” una striscia di cuoio, dal capo, vestito con “sa cabanella” in orbace,
che si sforza di controllare le intemperanze bestiali di questo essere.
Maschere tradizionali di Mamoiada “Mamuthones e Issohadores”
I Mamuthones sono forse le maschere barbaricine più conosciute; ripetono un
misterioso, antichissimo rito, che si pensa derivi da cerimonie pagane destinate
a favorire la fertilità della natura. I personaggi che celebrano il rito sono gli
Issohadores (con vesti colorate e lacci, destinati a catturare gli spettatori) e i
Mamuthones. Questi hanno il volto coperto da una maschera nera dai
lineamenti grotteschi, e sotto la sopraveste di pelli scure recano un pesante
fardello di campanacci che accompagna la loro danza ritmata.
Maschere tradizionali di Olzai “Murronarzos, Maimones e Intintos”
Come la maggior parte delle maschere sarde anche quelle di Olzai affondano le
loro radici nelle più antiche tradizioni agro-pastorali.
Le maschere ed i rituali tramandano fino ai giorni nostri l’atavica lotta
dell’uomo con la natura per la produttività dei campi e per la sopravvivenza
degli animali e delle proprie famiglie.
Vengono riproposte le paure del remoto passato e l’ansia di allontanare il male,
in particolare la carestia.
Protagoniste sono tre diverse maschere:
Sos Intintos – sono vestiti con “zippone e antalera”, hanno visi imbrattati di
nero e sono travestiti da vedove a lutto per la morte del carnevale;
Sos Murronarzos – indossano abiti d’orbace e campanacci; usano imbrattarsi
il viso con il sughero bruciato: originariamente lo coprivano con autentici musi
di porco o di cinghiale mentre oggi sono stati sostituiti da maschere di legno.
Sfilano sempre in coppia. La maschera, scomparsa all’inizio del Novecento,
forse per il comportamento eccessivamente violento, è stata recuperata in
questi ultimi anni.
Sos Maimones – mezzo uomini e mezzo fantocci dalle fattezze femminili,
hanno quattro braccia, quattro gambe e due teste. Sono maschere
particolarmente allegre ed esplicite che personificano la fertilità umana
Maschera Tradizionale di Orani “Su Bundhu”
Su Bundhu rappresenta l’anima primordiale, lo spirito e l’essenza vitale del
creato identificato nel vento della creazione. La figura facciale di “Su Bundhu” è
totalmente in sughero, provvista di naso prominente, baffoni e pizzo, che ne
identificano chiaramente la natura umana, e sormontata da corna per
sottolineare la fusione con l’animale che ne raddoppia la forza e l’essenza. Le
corna rappresentano le fasi lunari ed anche le tre fasi della vita: nascita, morte
e rigenerazione.
Maschera Tradizionale di Orotelli “Thurpos”
I thurpos sono maschere carnevalesche di origine antichissima, che
rappresentano un antico rito sacro tra l’uomo ed il lavoro di tutti i giorni nei
campi. Gli uomini che si vestono così si anneriscono il volto con fuliggine
ottenuta da un pezzo di sughero che è stato messo a bruciare e calano sulla
testa il cappuccio del cappotto nero d’orbace; da una bandoliera pendono
sonagli e campanacci, “s’utturade”.
Camminano a gruppi di tre: due davanti abbracciati, i “Buoi” ed il terzo dietro,
il “Bovaro” L’azione che mimano comprende la cattura, la ferratura e
l’aggiogamento dei buoi.
Maschera Tradizionale di Ottana “Boes e Merdules”
Il “Merdules” porta la maschera umana e si suppone che il nome abbia origine
nuragica: mere = padrone e ule = bue, quindi padrone del bue. “Sos Boes”
portano la maschera taurina che presenta decori e ornamenti realizzati con lo
scalpello e il coltello; esso rappresenta l’animale che si ribella al padrone:
inizialmente il suo passo cadenzato dà un particolare ritmo ai campanacci ma
poi crea scompiglio tra la gente e si scaglia contro il merdùle, suo padrone e
domatore, che con il bastone “su mazzuccu” o una frusta di cuoio “sa soca”
cerca di riportare l’ordine. Sia i boes che i merdules vestono pelli di pecora
integre di vello e portano in viso maschere di legno fatte di pero selvatico detto
“carazzas”. I boes portano sulle spalle un fitto grappolo di campanacci detti
“sas sonazzas” o “su erru” mentre i merdules non portano campanacci.
Accompagna il gruppo una figura femminile “sa filonzana” che rappresenta una
donna triste che fila la lana col fuso e che con le forbici taglia il filo della vita.
Maschera Tradizionale di Samugheo “Mamutzones”
I “Mamutzones” sono le maschere tipiche di Samugheo e sono quelle che
conservano maggiormente le caratteristiche da cui traggono origine. Anche se
il loro significato primitivo si è in parte perduto, esse rappresentano un tempo
la passione e la morte di Dionisio, dio della vegetazione, le cui feste si
celebravano in quasi tutte le antiche società agrarie. Dionisio, il dio che ogni
anno moriva e rinasceva, come la vegetazione, è rappresentato dalla maschera
zoomorfa de “S’Urtzu”, che indossa una intera pelle di capro, con la testa
attaccata. Il capro era infatti la forma più frequente nella quale il dio si
manifestava.
La rappresentazione della sua passione, che in tempi lontani era una cerimonia
sacra, in periodo cristiano venne banalizzata e declassata a semplice maschera
carnevalesca. In questa forma è giunta fino al nostro secolo. “S’Urtzu”, tenuto
per la vita da “Su Omadore”, il suo guardiano, ogni tanto cade a terra fingendo
la passione che precede la sua morte.
Le maschere dei “Mamutzones” rappresentavano invece i seguaci di Dionisio. Si
vestono di pelli e nascondono il volto con un copricapo di sughero munito di
autentiche corna caprine o bovine, cercano di raggiungere l’estasi dionisiaca e
lasciandosi possedere dal dio per rendersi simili a lui. Ogni tanto circondano
“S’Urtzu” e gli danzano intorno. Un tempo tutti i Mamutzones portavano con sé
un bastone avvolto di pervinca o di edera, a somiglianza del Tirso. Essendo tale
strumento alquanto ingombrante, oggi viene portato solo da qualche maschera
e da colui che conduce il gruppo. I sonagli hanno significato apotropaico,
vogliono cioè, col loro suono tenere lontani dalla cerimonia gli spiriti del male
S'Urtzu: