Biografie Ensemble Barocco di Napoli e nota di sala

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Biografie Ensemble Barocco di Napoli e nota di sala
L’Ensemble Barocco di Napoli è stato costituito su iniziativa di Tommaso Rossi, Raffaele Di
Donna e Marco Vitali e ha esordito il 2 maggio del 2010 in occasione del 350° anniversario della
nascita di “A.Scarlatti”. Il gruppo è costituito da musicisti da anni attivi nelle più importanti
compagini di musica antica italiane. Nel corso del 2013 il gruppo si è esibito al Festival Cusiano di
Musica Antica, nella stagione estiva del teatro dell'Opera Giocosa di Savona e nell'ambito del
Festival Leonardo Leo. Con l’etichetta Stradivarius ha pubblicato due cd: uno dedicato alle Cantate
e Sonate con flauto di Alessandro Scarlatti con la soprano Valentina Varriale, l’altro dedicato alle
sonate per flauto di Leonardo Leo. Nello scorso gennaio l’Ensemble ha suonato nella stagione in
abbonamento dell’Associazione Scarlatti con il soprano Maria Grazia Schiavo.
L’Ensemble organizza a Pertosa il corso di musica antica Musiche da ricordare in collaborazione
con la Fondazione MidA. A proposito del cd dedicato a Leo, il compositore Carlo Boccadoro ha
scritto “Tra i tantissimi talenti di quella scuola si distingue Leonardo Leo, cui il flautista Tommaso
Rossi (anche valentissimo esecutore della musica di oggi con l’Ensemble Dissonanzen) dedica un
cd con le sonate per flauto dolce e continuo. Sono sette meraviglie che vi delizieranno dal principio
alla fine dell’ascolto grazie alla luminosità delle arcate melodiche, alla perfezione dei fraseggi e
all’inesauribile vena compositiva, che richiede un grande virtuosismo strumentale al protagonista.
L’eccellente Ensemble Barocco di Napoli lo segue in questa avventura da non lasciarsi sfuggire”.
IL SOFFIO DI PARTENOPE
Il flauto dolce a Napoli nella prima metà del XVIII secolo
Appare ormai con chiarezza che a Napoli, a partire dagli anni ’70 del XVI secolo, comincia ad affermarsi
una forte e solida scuola di strumentisti a fiato. Dislocati nei gangli delle istituzioni didattiche napoletane – i
famosi Quattro Conservatori – questi musicisti sono, in realtà, dei polistrumentisti, in grado di suonare con
abilità tutti gli strumenti a fiato. Il primo dei Conservatori napoletani dove è testimoniato l’utilizzo del flauto
(il flauto dolce, che come ben sappiamo in Italia è denominato flauto, laddove con il termine traversa o
traversiere verrà indicato il flauto traverso) è quello dei Poveri di Gesù Cristo. Tuttavia, nel corso di un
trentennio anche tutte le altre istituzioni napoletane cominceranno ad acquistare flauti e a prevedere, nei
mansionari dei docenti, anche l’insegnamento di questo strumento. Alla fine del XVII secolo il flauto (per la
precisione il flauto dolce o flauto diritto) comincia ad affermarsi in Italia come strumento d’elezione di un
intrattenimento colto, legato agli ambienti letterari dell’Arcadia. Questa tendenza, a causa anche dei
mutamenti nelle scelte estetiche e culturali, collegate ovviamente con l’utilizzo sociale e politico della
cultura e delle arti, si traducono in una serie di atteggiamenti e di mode che trovano nell’Accademia
dell’Arcadia - movimento che informa tutte le arti, dalla musica, alla letteratura alla pittura – uno dei centri
più attivi. E quindi proprio quegli ideali pastorali, che richiamano alla mente il mondo armonico e naturale
delle Bucoliche di Virgilio, sono probabilmente la cornice estetica e culturale in cui si sviluppa, negli
ambienti aristocratici italiani, una vera e propria moda per il flauto, dapprima per il flauto dolce e poi , verso
gli anni ’30 del XVIII secolo, anche per il flauto traverso.
Questa moda tocca anche Napoli, dove come abbiamo visto già esisteva una tradizione esecutiva sul flauto e
dove a partire dagli anni ’10 del XVIII secolo assistiamo anche a una “riforma” degli organici orchestrali
cittadini (in primis la Cappella Reale e la Cappella del Tesoro di San Gennaro) con l’introduzione dell’oboe,
strumento che sostituisce il cornetto nella musica sacra, a partire dai primi anni del XVIII secolo. In questo
quadro giocano un ruolo determinante alcune figure di musicisti, che sono protagoniste di questo passaggio
epocale: Ignatio Rion, virtuoso di origine francese o veneta, che a Napoli si stabilì nel 1714 provenendo da
Roma, dove aveva addirittura oscurato l’astro del grande violinista Arcangelo Corelli, supportato però anche
da una schiera di meno famosi maestri locali , autentici polistrumentisti (Paolo Pierro, Francesco Antonio
Izzarelli, Cherubino Corena, Salvatore e Ferdinando Lizio), docenti nei conservatori napoletani, e/o
impiegati presso la Cappella Reale, istituzioni che prontamente reagirono al cambiamento prodotto
dall’arrivo dell’oboe, adeguando, nel senso proprio del termine, la loro “offerta formativa”. In questo quadro
cogliamo oggi meglio le connotazioni specifiche di alcune importanti pagine musicali, alcune già note, altre
ancora inedite, che rappresentano il frutto maturo del nuovo interesse per gli strumenti a fiato, e per il flauto
in particolare, dei compositori napoletani. Si tratta di alcune cantate con flauti obbligati di Alessandro
Scarlatti (1660-1725) scritte nel 1699, delle dodici Sinfonie di concerto grosso (1715) dello stesso Scarlatti,
dei XII Solos (1724) per flauto e basso continuo di Francesco Mancini (1672-1737), pubblicate a Londra,
delle cantate con flauto obbligato scritte da importanti compositori quali Nicola Antonio Porpora (16861768), Domenico Sarri (1679-1744), Johann Adolf Hasse (1699-1783), di altri autori ancora a tutt’oggi
anonimi, oltre alla fondamentale raccolta dei 24 Concerti di diversi autori che costituiscono la raccolta Ms.
31-36 della biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella (Scarlatti, Barbella, Valentine, Sarri, Mele). A
questa produzione si aggiungono i concerti per flauto di Nicola Fiorenza, e vanno inoltre considerate le
innumerevoli apparizioni del flauto (e dell’oboe) nel repertorio vocale profano (serenate, melodrammi), in
cui lo strumento si ritaglia importanti spazi solistici. Tutto questo discorso si intreccia fortemente anche con
le apparizioni sulle scene napoletane d’importanti cantanti quali Faustina Bordoni e Antonia Amerighi,
dedicatarie di arie e cantate con il flauto obbligato, e anche con la presenza a Napoli, nel 1725, del flautista
tedesco Johann Joachim Quantz e forse del virtuoso inglese Robert Valentine, già a Roma dal 1701. Napoli è
crocevia di scambi culturali e musicali importantissimi, e in questo gioca a favore lo scenario internazionale
e i fecondi rapporti con Londra, di cui fu certamente protagonista il castrato Nicolino Grimaldi, protagonista
in Pirro e Demetrio (1708) di Scarlatti e Idaspe Fedele (1710) di Francesco Mancini al teatro Haymarket.
Dilettante di flauto è quel John Fleetwood, console inglese a Napoli, che, animatore anche di attività musicali
nella città partenopea, sarà il dedicatario dei XII Solos di Mancini e che frequentemente organizza nella sua
dimora concerti di musica anche strumentale (vedi su questo Musica e spettacolo nel Regno di Napoli
attraverso lo spoglio della “Gazzetta” (1675-1768) a cura di Ausilia Maguadda e Danilo Costantini, Roma,
ISMEZ, 2011). La ricerca si è mossa lungo due direttrici parallele: una rappresentata dallo studio delle carte
degli archivi dei quattro antichi conservatori napoletani, dove è possibile ricostruire le nomine dei maestri e
la loro specializzazione didattica e gli acquisti di strumenti nel periodo in oggetto, testimonianze che
dimostrano inequivocabilmente il verificarsi di un passaggio epocale, nonché l’avvento e l’affermazione del
flauto. L’altra direttrice si è sviluppata verso il censimento (certamente ancora incompleto, ma probante) e
l’analisi delle partiture che vedono protagonista questo strumento nel periodo preso in considerazione, con
riferimento ai generi della musica strumentale, vocale da camera, operistica, celebrativa.
Il programma proposto presenta un piccolo saggio del repertorio per flauto e basso continuo, rappresentativo
del ruolo del flauto dolce nella Napoli dei primi decenni del XVIII secolo e della qualità musicale delle
composizioni dedicate a questo strumento, provenienti dai fondi musicali del Conservatorio San Pietro a
Majella, della University of Carolina Music Library, della Collezione Harrach della Public Library di New
York. Il programma propone uno scorcio temporale che va, all’incirca, dal 1725 al 1759, toccando alcuni
autori che hanno scritto per flauto dolce pagine di grandissimo livello musicale. Basti pensare soltanto a
Francesco Mancini, figura di grande rilievo nello scenario napoletano settecentesco e Maestro di Cappella
del Conservatorio di Santa Maria di Loreto, o Leonardo Leo, straordinario operista e didatta, maestro di
Niccolò Iommelli. Per non parlare poi di Nicola Fiorenza, violinista ed insegnante al Conservatorio Santa
Maria di Loreto, nonché autore di quattro bellissimi concerti per flauto e archi e di Leonardo Vinci, raffinato
operista di grande successo sui palcoscenici internazionali dell’epoca. Interessante anche la presenza di una
sonata di Johann Adolf Hasse, scritta con ogni probabilità durante il suo soggiorno napoletano (1722-1729),
periodo durante il quale il compositore sassone fu in stretto contatto con il grande Alessandro Scarlatti.