Il migliore amante

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Il migliore amante
Il migliore amante
Ogni tanto ne ho proprio bisogno, lo decido la sera prima, domani
mattina non lavoro, prendo la macchina e vado in montagna. Amo il
trekking, adoro il silenzio dei boschi e le atmosfere incantate delle
Dolomiti. Guardo le previsioni sul sito provinciale perché è il più
preciso e poi preparo lo zaino, i vestiti e questa volta farò meglio a
ricordarmi di mettere le catene da neve in macchina.
Sono partita di buonora, ho lasciato la città con i suoi
rumori e la sua frenesia alle mie spalle: lo faccio per
prendermi cura di me stessa, la natura mi rigenera, la amo in
tutte le sue magnifiche manifestazioni, anche quelle
impreviste, violente. Ho lasciato la macchina nei pressi di un
sentiero che ho già percorso d’estate, quando ci si poteva
sdraiare sulla riva del laghetto a sonnecchiare dopo aver
pranzato; ora gli scarponi fanno scricchiolare la neve
ricoperta da una sottile crosta gelata.
Il cielo è velato ma l’aria è fresca e profumata di abeti, la
sento rigenerarmi ad ogni respiro che cominciata la salita
inizia ad essere accelerato, metto la giacca nello zaino.
L’ossigeno dà nutrimento ai muscoli in azione, lo sento fluire
trasportato dalla linfa calda che pulsa dal centro del corpo
per poi irradiare calore fino alle estremità, mi sento tonica,
elastica, fresca. La sensazione che produce il solo essere da
sola in un bosco innevato ripaga la benzina che ho dovuto
bruciare per arrivare fin qui.
Nel punto in cui il sentiero attraversa una stradina un poco
più larga, quella che porta al rifugio in quota, anch’essa
ricoperta di neve, avvertii uno scricchiolio più rapido dei
miei passi, un rumore dietro la curva a monte. Rimasi immobile
e al soffiare di un leggero venticello, sentii il fresco
dovuto alla sudorazione che mi aveva imperlato la fronte.
All’arrivo di una seconda folata più decisa rabbrividii e mi
accorsi di avere anche le cosce sudate, poi, spostando il peso
da una gamba all’altra, sentii il tessuto sfregarmi la pelle
d’oca solleticandomela. I capezzoli mi si irrigidirono sotto
la canottiera.
Il rumore era cessato, mi rimisi in cammino fendendo l’aria
frizzante con passi veloci per non raffreddarmi troppo. Mi
scappò quasi subito la pipì, mi tolsi lo zaino, abbassai in un
solo movimento i pantaloni un po’ troppo traspiranti e le
mutandine, poi mi accovacciai a lato del sentiero dove iniziai
a sciogliere la neve. Avvertii nitidamente un improvviso
rumore di rami spostati emergere dal sottofondo scrosciante
della mia pipì, guardai a destra girando la testa ma rimanendo
accucciata; in un primo momento dovetti quasi chiudere gli
occhi: un raggio di sole trovò un passaggio tra i fitti rami
degli abeti, si riflesse sulla neve facendola brillare insieme
a un paio di inaspettati occhi azzurri.
Mi fissavano intensamente privi di tentennamenti, il suo corpo
era immobile; non mi sentii imbarazzata, nemmeno un po’,
tant’è che lasciai che il flusso della mia vescica scorresse
fino all’ultima goccia. In realtà, con il senno di poi, credo
proprio che questa libertà sia stata resa possibile dal fatto
che mentre i nostri sguardi si incrociarono, fui come assente
a me stessa, sprofondai in quei gelidi occhi azzurri senza
dolore, con lascivia anzi, come ammaliata da una forza
millenaria: la volontà della specie.
Lui si avvicinò senza esitare nemmeno un attimo, diretto,
diritto, sicuro di sé, sembrava addirittura fiero con quegli
occhi così decisi, sicuramente era a proprio agio come fosse a
casa sua. Sembrava annusasse l’aria, credetti per un attimo
che potesse fiutare la mia vagina e questa volta, leggermente
imbarazzata, feci per tirarmi su il fagotto che avevo alle
caviglie. In un balzo mi raggiunse, era agile e me lo trovai
praticamente di fronte prima che la cintura dei pantaloni
arrivasse alle ginocchia. Era sotto dei rami bassi, alzò la
testa per tornare a fissarmi con i suoi occhi fermi e decisi,
da animale selvatico, da predatore; anche questa volta accadde
qualcosa: l’imbarazzo svanì dalle mie guance arrossite per
lasciar posto alla coscienza che eravamo in due, soli in mezzo
al bosco.
Una prepotente scarica mi annebbiò il cervello non appena
sentii i suoi denti freddi affondare nella pelle della mano
che stava alzando i pantaloni: non c’era bisogno di aggiungere
altro, ero totalmente arresa e accondiscendente. Lasciai la
presa, in un attimo fu dietro di me, leccate generose
seguirono la linea tra le cosce, tra le natiche, un bidè
imprevisto mi inondò di saliva. Avevo perso ogni
ragionevolezza solo per via di quegli occhi, non mi era mai
capitato di lasciarmi andare a quel modo: fu la perfetta
cornice di ciò che accadde a determinare l’incastro delle
concatenazioni naturali cui non potei sottrarmi.
Come se tutto ciò non fosse già eccessivo, come se non avessi
immediatamente superato ogni umana decenza e contegno, il
fiato accelerato di quell’animale da preda divenne insistente
contro il mio orecchio destro. Un fiato che a ogni respiro mi
cacciava dentro a forza il buio della lussuria, della
depravazione, dell’immoralità; la me stessa precedente a
quell’incontro non avrebbe mai nemmeno creduto che un tale
stato d’animo potesse esistere, potesse rivelarsi e
dischiudere al piacere animale il corpo esile di una ragazza
di neanche vent’anni. Mi aprii le natiche scivolose con le
mani, vi sguazzò contro in cerca di un passaggio nella carne
ribollente di umori, la mia fessura era già gonfia e
socchiusa. Sussultò quando presi in mano la sua carne rossa
per indirizzarla dentro, nel culo. Scivolò tra la saliva, le
spinte che mi dava erano forsennate, stavo esplodendo in
contrazioni sempre più forti, il suo peso sulla mia schiena
aumentava, stavamo arrivando al culmine di quell’unione
divina, di quel magico incontro di occhi e di carni.
Stranamente volle venire nella mia vagina e scombussolata
com’ero – è dire poco -, glielo permisi senza troppe remore
igieniche ne di qualunque altro tipo. Fu l’orgasmo più
violento, infuocato, bestiale della mia vita: a quattro zampe
come una cagna m’ero fatta cavalcare entrambi gli orifizi in
maniera furiosa, ne conservai graffi sul collo e sulle cosce
per giorni. Quando trasse il suo membro esausto e stappato,
dalla mia vagina traboccò il seme di cui provai la viscosità
tra pollice e indice. Curioso mi si mise di fronte, leccò
l’impiastro dalla mie dita e poi proseguì tra le cosce
facendomi il solletico sulle gambe nude. Mi lasciai cadere
sulla schiena, la neve scricchiolò e mi entrò un po’ nel
collo, lui mi fu sopra, ci guardammo negli occhi e
insolitamente il ritorno alla realtà non fu per niente
traumatico – non ci sarà nessuna conseguenza inattesa -. Non
ho corso il rischio di rimanere incinta, era stato fantastico,
ho conosciuto il piacere senza le cattive conseguenze, fui per
la prima volta straordinariamente serena e in pace con me
stessa dopo un amplesso, conobbi il piacere più intenso e puro
e difatti rimasi impunita fino ad oggi.
Chissà quanti sogni feci prima di quell’incontro in modo da
essere poi così disposta all’avventura, chissà per quanto il
mio inconscio lavorò a favore della specie, degli istinti più
animali. Ora mi pento quasi di non averglielo succhiato, per
amore. Ricordo con tenerezza la sua pelliccia brillare quando
veniva colpita dai raggi del sole, il suo odore forte, il pelo
soffice e argentato, il calore, i baffi che mi facevano il
solletico, la coda lunga e vaporosa: amo i cani, e in special
modo questo husky, il primo cane che mi amò forsennatamente
come solo un cane sa fare, senza limiti o condizioni. La
passione originata da quell’improvvisa affinità elettiva
rimosse le barrire nella mia mente. Quel giorno
indimenticabile si aprirono per me le porte dell’amore
interspecie, porte che chiusi volentieri alle mie spalle,
negando fino ad oggi al mondo di conoscere questa immensa
verità. Ormai sono più di trent’anni che quel cane è morto ma
volevo lasciartene un ricordo, voglio che egli sopravviva a me
stessa, voglio che entri nell’olimpo degli immortali
attraverso la letteratura. L’amore che ci ha legato vivrà e
rivivrà numerose volte in me e nei posteri: quando una donna
incontrerà il suo cane rivedrà nei suoi occhi il mio husky
come io l’ho cercato in tutti i cani che incontrai nella mia
vita.
Questo sarà quello che racconterò a mia nipote dopo la cena
perché quando è uscita di casa pareva confusa e imbarazzata:
ha quattordici anni e ha avuto le sue prime mestruazioni.
Immagino la tua faccia stupita nello scoprire che la voce
narrante è quella di una vecchia donna, di una nonna. Non sono
poi così vecchia, compierò cinquantotto anni in aprile e
questa sera tramanderò a mia nipote la mia esperienza, il mio
amore per la specie canina, ma soprattutto per le cose
naturali. Di questo si tratta, non voglio che mia nipote su
consiglio della moglie di mio figlio, sua madre, prenda la
pillola. Le dirò: “Non prendere la pillola, piuttosto prenditi
un cane: è fedele, si curerà di te senza pretendere nulla in
cambio e gli effetti a lungo termine sono conosciuti, a
differenza di quelli della pillola”.
Se ciò non dovesse persuaderla a riguardo delle antiche
proprietà anticoncezionali del cane, la convincerà la storia
dell’associazione da me fondata, “Gli amanti dei cani”, la
quale finanziò le ricerche cliniche sulla sostituzione della
pillola con il rottweiler. Scoprimmo che un enorme vantaggio
era dovuto al fatto che il cane, a differenza della pillola,
ti ricorda quando è ora di prenderlo.
“Una testimonianza toccante di amore per gli animali”
L’Espresso
“L’amore antico che supera le differenze” La Repubblica
“Una storia d’amore introspettiva e sorprendente” Nazione
Indiana
“Una nuova liberazione della donna” Donna moderna
“La soluzione alla sovrappopolazione dei paesi del terzo
mondo” Panorama
“Gli studi sugli anticoncezionali a quattro zampe riavvicinano
gli amanti degli animali alla scienza” New York Times
“Una bibbia per gli amanti degli animali” Famiglia Cristiana
“Il migliore amante della donna. Il ruolo del cane nella
società post-femminista” Micromega
Andrea Marcellino