Il Foglio Letterario
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Il Foglio Letterario
EDIZIONI IL FOGLIO SAGGI Edizioni Il Foglio SAGGI Direttore: Gordiano Lupi www.ilfoglioletterario.it Via Boccioni, 28 - 57025 Piombino (LI) © Edizioni Il Foglio – 2015 1a Edizione – Maggio 2015 ISBN 9788876065521 Elaborazione grafica e impaginazione | [email protected] a cura di ANDREA GOZZI APPUNTI DI ROCK 2 * GHOST-TRACK * Edizioni Il Foglio GHOST TRACK/ UN’INTERVISTA Angela Baraldi: la voce post CSI di Andrea Gozzi PER CASO, O MEGLIO: PER CAOS Lo ammetto: mi sono sempre piaciute le ghost track. Certo, non sono l’immagine che il gruppo vuol dare di sé al grande pubblico, ma c’è una grande intimità e senso di sorpresa in quelle canzoni, spesso abbozzi, quasi un regalo nascosto. E forse, proprio grazie a queste, il gruppo si finisce per conoscerlo davvero meglio. Si tratta di lati semi-celati ma che devono emergere, un po’ come se a fine concerto la band si concedesse in sordina a pochi amici per suonare un ultimo brano, qualcosa di completamente diverso, libero, scanzonato. Questa che state leggendo è decisamente più una bonus track che una ghost track. Ma la differenza è che le prime fanno parte integrante dell’album a cui appartengono, le seconde sono più nascoste e appaiono quando meno te lo aspetti, come questa storia. Appunti di Rock 2 è uscito solo qualche mese fa e lo sentivo mancante di qualcosa, almeno nei capitoli ad opera del sottoscritto. Una sensazione confermata dalle prima letture del libro e dai primi commenti a caldo. Il nostro volume si apre con un’intervista ai Post CSI. Possibile non aver pensato di dare voce proprio alla nuova voce di questa formazione di amici e musicisti ritrovati? Se si parla di Post CSI oltre al nucleo storico (Zamboni, Canali, Maroccolo, Magnelli) si intende anche Simone Filippi alla batteria ma soprattutto Angela Baraldi, front-woman e voce. Un libro stampato non lo si può correggere, se non a mano. La telescrittura in questo è molto più furba e veloce ma il rumore spesso è tale che non si presta quasi mai la dovuta attenzione, per questo si finisce a correggere di continuo. Gli errori sono comunque rimediabili e alcune lacune si possono colmare. Per questo nasce questa ghost track online e scaricabile da chiunque. Ponte con il libro e che chiude il cerchio con il primo capitolo. Se l’intervista ai Post CSI era stata fatta in pieno inverno, in una serata piovosa, elettrica e di forte intensità, questa ad Angela, si è svolta in estate, il 24 Giugno 2015 in Toscana, Cecina (LI) in occasione di una delle date toscane del tour di Breviario Partigiano. Così come in occasione del concerto di Firenze di cui abbiamo parlato, l’atmosfera all’interno del gruppo e tra i suoi componenti è rilassata, serena, il divertimento del suonare è nell’aria. Dal vivo appaiono i nuovi brani registrati con il gruppo “ritrovato”: Il Nemico, Senza Domande e Breviario Partigiano. La parola è molto importante in questo disco, perché è memoria. Il Nemico, che apre l’album, inizia proprio con la voce di Angela che recita: Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini, sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se si arresta e si ha paura a scavalcarlo vuol dire che, anche vinto, il nemico è qualcuno. Che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare chi lo ha sparso. Guardare certe morti è umiliante. Non sono più faccende altrui, non ci si sente capitati sul posto per caso. Si ha l’impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi tengano gli altri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà, ci si sente umiliati perché si capisce, si tocca con gli occhi che al posto del morto potremmo essere noi. Non ci sarebbe differenza e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile. Ogni caduto somiglia a chi resta e gliene chiede ragione. Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos’è la guerra, cos’è la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse dovrebbero chiedersi “e dei caduti che facciamo? Perché sono morti?”. Io non saprei cosa rispondere, non adesso almeno, né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti. E soltanto per loro la guerra è finita davvero. Il piano stacca il quattro ed entrano le chitarre, come bombe, su una ritmica ossessiva e cupa. La voce squarcia e con una litania laica spinge ancora più a fondo la lama per un dolce dolore che ha il peso della storia. Le chitarre incendiano il finale che brucia del coro, il feedback negli ultimi secondi è l’ultimo gemito del ricordo. Senza domande è un mantra dal passo pesante, d’acciaio, quasi una Kashmir sovietica. “Delle antiche canzoni non rimane che il suono/ Delle antiche parole non rimane che il coro”. Il basso è un carro armato che avanza inesorabile. Dal vivo di solito succede una cosa curiosa: quando Maroccolo sta su questi tempi ondeggia, a destra e sinistra, chi tra il pubblico vira lo sguardo verso il bassista non può non iniziare a muoversi come e con lui, come una sorta di moderno e involontario sciamano, accade anche su questo brano. La canzone più completa e più densa di Breviario Partigiano è decisamente l’omonima. Dopo una partenza su un arpeggio di chitarra acustica, cresce d’intensità e poesia, grazie anche al parlato di Zamboni, che funge da cuore pulsante di tutto il progetto. Le distorsioni sono messe via per un momento, qui non ce n’è bisogno. Sul disco nel finale appare d’improvviso anche una fanfara, quasi “à la” Beirut, a impreziosire parole che rimangono stampate nella memoria e hanno il peso di un macigno: “Non una fradicia coscienza istrionica/ Nessuna fede totale/ Non una vuota riprova retorica/ Non una legge ideale/ Ma caldo, caldo, caldo/ Di corpo/ Caldo, caldo, caldo/. Finite le prove, raggiungiamo la voce del gruppo all’interno di Villa Guerrazzi, il tramonto colora il parco della villa e filtra dalle finestre aperte. La tua carriera è piena di momenti densi e collaborazioni eccelse, in ambiti artistici che vanno dalla musica al cinema fino al teatro.[1] Cosa hai pensato invece quando ti hanno chiesto di far parte degli – allora ex, oggi post – CSI? ANGELA BARALDI: In realtà non è che mi è stato chiesto formalmente di entrare nei Post-CSI. Non avevano un nome e nemmeno idea di cosa fare. È che io era già un po’ di anni che giravo con Massimo [Zamboni] con questo concerto dove celebravamo i CCCP. [2] Poi con Massimo ho fatto anche un disco.[3] Quindi c’era già una storia dietro. Di questo sono anche traccia due dei brani in Breviario Partigiano (2015), Vorremmo Esserci e In rotta, che di fatto appartengono a questo percorso, giusto? A.B: Esatto, quindi è stato seguendo un po’ questa onda che veramente è nata per caso, o “per caos”, come uno preferisce [risate]. Nel senso che io e Massimo ci siamo ritrovati in un teatro a fare queste canzoni perché Massimo aveva voglia di farle e perché un regista ci ha chiesto di fare una serata nel suo teatro. Ci siamo resi conto che il pubblico era assetato delle canzoni dei CCCP ed è nata così la tournée. Loro non si sentivano tra loro da parecchi anni, quindi è stato intraprendere un percorso umano per me, più che altro, dalla mia prospettiva. Quindi mi sono ritrovata con questa proposta che però è venuta pian piano nel tempo, nel senso che anche quando facevamo “Ortodossia” si è aggiunto Giorgio Canali, quindi era già praticamente metà gruppo [sorriso]. Poi ci sono tutte le loro vicende che io conosco marginalmente, però adesso siamo insieme, in giro. Però davvero, tutto è avvenuto come fare tanti scalini per arrivare in alto, o magari… più in basso! [risate] Non lo so, però diciamo che questo è un percorso che è stato fatto in maniera armonica, senza forzature. Pura curiosità. Visto che domandolo agli altri non sono stati in grado di rispondermi, ci riprovo con te: ti ricordi quale stato il primo brano che avete provato insieme? A.B: La prima volta, il primo momento… no, proprio il brano non me lo ricordo, non ti posso accontentare [sorriso] ma il dove e il come si. Eravamo in campagna, in Toscana, in questa villa pazzesca che fu di Caruso, molto isolati – ti puoi immaginare Canali senza il tabaccaio e il bar come si poteva sentire [risate] – in una sala prove molto parti- colare, con questa madonna dipinta nel soffitto. Non ti so dire con precisione, io ero molto curiosa, in realtà mi sentivo quasi spettatrice di quell’evento, più che dentro ancora. Vedere queste persone che per vicende loro, che io conosco marginalmente, si ritrovano e hanno in comune ancora questa musica che li ha legati, forse sempre, si era capito che forse era un laccio che non era stato del tutto ancora sciolto. Certamente ci sono momenti in cui si sente che tutto può scoppiare da un momento all’altro, credo sia la cifra di questo gruppo. Un po’ come camminare su in filo da equilibristi. Però da qua la vista è molto bella. Avete iniziato a suonare riportando sul palco i brani dei CSI, poi avete scritto nuovo materiale: Breviario Partigiano consacra questa nuova formazione fissandola sul disco con dei nuovi brani. A.B: Esatto, questa cosa ha dato un po’ un’idea di percorso in divenire. In ogni caso si naviga sempre a vista, non è mai la vista su un paesaggio troppo lontano, si pensa così a tempi ancora brevi, poi non so, intanto andiamo avanti, vediamo. C’è un brano in Breviario Partigiano che canti con più piacere rispetto agli altri? Trovo che ognuno abbia un’identità personale fortissima. Con Vorremmo Esserci però – sarà perché forse è il più breve – mi capita sempre di rimandarlo indietro una volta finito. A.B: Mi fa piacere davvero. Anche io lo amo quel brano. Sono molto legata alla canzone. Una cifra stilistica che colpisce delle tue performance è decisamente la presenza scenica. Quanto è importante per te il gesto sul palco? A.B: Tantissimo. Tan’è che mi ha anche impedito di suonare qualcosa mente canto. Mi sono resa conta del rapporto con il tempo: se suono, canto diversamente, ho bisogno di tutto il corpo, è sempre stato così. Il mio idolo era Iggy Pop, quando sono cresciuta mi sono scelta lui come idolo personale perché andando ad un concerto ho visto che cosa poteva fare un corpo e una voce, improvvisando… forse come i jazzisti! Questa cosa mi è rimasta dentro, probabilmente era già latente, mi piace il palcoscenico, anche in teatro, ne sono rimasta sempre affascinata sin da piccola. Una volta un amico attore di mio padre, Carlo Giuffré, mi portò a vedere un palcoscenico. Ero molto piccola ed è sempre rimasto un luogo importante per me. Mi piace molto. Poi, in questa situazione, con i Post CSI, siamo anche molto motivati, mi sembra di avere il turbo nel culo quando suono con loro! [risate] Non è neanche un lavoro per me, quando sono sul palco con loro, è molto più faticoso quello che c’è attorno, lo spostarsi, il dormire tardi, etc. Ultima domanda: riguardando i titoli dei capitoli di Appunti di Rock e Appunti di Rock 2 mi sono reso conto che ci sono molte ragazze che hanno scritto di rock assieme a me e che hanno collaborato al libro, mentre si parla solo di artisti di sesso maschile. Tu pensi che il rock sia – scusa il gioco di parole – un genere “di genere”? [risate] Beh, sì, è nato così. Poi nel tempo ci sono stati personaggi femminili che lo hanno decisamente cambiato. Ma anche maschili, perché i Nirvana in qualche maniera hanno contribuito a questo mettersi in contrasto con un atteggiamento machista e tutto testosterone. [4] Poi ci sono molte donne che si sono date da fare per affermarsi. Con i Nirvana rimasi molto colpita, dissi – finalmente! C’è uno step avanti per quanto riguarda il rock – che invece in qualche modo finisce per essere legato sempre a quello stereotipo secondo me abbastanza ridicolo. Non è solo muscoli insomma. Non a caso i Nirvana sono stati da poco introdotti nella Rock and Roll Hall of Fame e non potendoci essere tutti – per ovvi motivi – hanno deciso di far cantare i propri brani a quattro donne: Joan Jett (Smells Like Teen Spirits), Kim Gordon (Aneurysm), St. Vincent (Lithium) e Lorde (All apologies). Non lo sapevo! Grandi. Ecco, a proposito di donne “in rock” direi proprio che Joan Jett è una di queste. Un personaggio che ha forte- mente voluto influenzare questa cosa. A modo suo. Ma se ci pensi anche già Janis Joplin, Odetta, ce ne sono state tante in passato, e non solo nel rock, seppur in maniera isolata forse, o isolate tra loro. Famose proprio perché donne. Adesso, secondo me, la cosa è cambiata. Almeno lo voglio sperare. Ti dirò la verità: a me è sempre stato un po’ sulle palle l’aggettivo di “donna rock”, come a dover specificare, diventa così un altro stereotipo pure quello. In realtà figure moderne, come PJ Harvey, Bjork – anche se non parliamo di “rock puro” – sono figure autorevoli e riconosciute. Janis Joplin invece era già più vittima di tutto un ingranaggio, era come se il mondo rock fosse ancora mica tanto pronto per le donne. Io sto portando in teatro uno spettacolo che si chiama The Wedding Singer dove racconto nove vite di nove donne esistite realmente, non più viventi adesso, che hanno fatto parte dello star system o comunque l’hanno sfiorato in un momento in cui le donne erano tenute ai margini. Non è uno spettacolo femminista, è un racconto globale. Si tratta di una produzione del Teatro della Tosse di Genova, dove ha debuttato, siamo stati a Milano, Bordighera, Roma, adesso vedremo, anche se non è un momento molto facile per teatro. Si tratta di donne “di contrasto”. Ma se poi ci pensi, dai Beatles – ma anche prima – in poi, se guardiamo il pubblico, è sempre stato pieno di donne, di femmine scatenate. Il rock ’n’ roll alla fine l’hanno fatto loro [sorriso]. [1] Al di là della propria carriera solista come cantante ricordiamo in maniera sintetica le molte collaborazioni. In musica con Lucio Dalla, Francesco De Gregori, Ron, Stadio, Massimo Volume, Delta V, Massimo Zamboni, Giorgio Canali e i Rosso Fuoco tra i tanti. Sul grande schermo appare in Jack Frusciante è uscito dal gruppo (1996) di Enza Negroni su libro di Enrico Brizzi ed è protagonista di Quo vadis, baby? (2005) di Gabriele Salvatores. In teatro porta in scena tra gli altri Maigret e il delitto a teatro (2002) di Carlo Lucarelli, Le cognate di Michel Tremblay (2008) e recentemente The Wedding Singer (2014) di Luca Ragagnin, regia di Emanuele Conte. [2] Per i trenta anni di Ortodossia, primo EP dei CCCP. [3] Si tratta di Un’infinita compressione precede lo scoppio (2014). [4] Si veda a questo proposito A. GOZZI, Appunti di Rock, “Immagini di una carriera. Nirvana: b-sides dell’ultima rivoluzione rock”, Il Foglio Letterario, Piombino, 2014. NELLA STESSA COLLANA www.facebook.com/appuntidirock COMPRA SU 1. Una Canzone: Whole Lotta Love: rock o esperimento? di ANDREA GOZZI; 2. Un Concerto: I Rolling Stones e il Festival di Altamont di ANDREA ORLANDINI; 3. Un album: The Clash, London Calling (1979) di FRANCESCA FERRARI; 4. Contaminazioni: Kind Of Blues ovvero come la Allman Brothers Band gettò un ponte fra southern rock e jazz di MARIO EVENGELISTA; 5. Un iper-strumento, lo studio di registrazione: Plasmare suoni, plasmare spazi nel progressive rock e oltre di LELIO CAMILLERI; 6. Immagini di una carriera: Nirvana: b-sides dell’ultima rivoluzione rock di ANDREA GOZZI; 7. Una svolta nel percorso artistico: Il “non-tradimento” elettrico di Bob Dylan, tra mito e realtà di ALESSANDRO NUTINI; 8. Un periodo di un artista: David Bowie: Berlin years. Ossessioni, mutazioni e strategie di SALVATORE MIELE 9. Uno strumento: Il Sintetizzatore alla conquista del pop: dalle origini agli anni Ottanta di EMANUELE BATTISTI; 10. Testi e parole: Noir Désir: parole, musica e poesia di ANDREA GOZZI.