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Copyright © 2015 A.SE.FI. Editoriale Srl - Via dell’Aprica, 8 - Milano
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Prima edizione Tsunami Edizioni, ottobre 2015 - Le Tormente 8
Tsunami Edizioni è un marchio registrato di A.SE.FI. Editoriale Srl
Progetto copertina e grafica interna: Davide Maspero
Foto in copertina di I. Botti
Foto in retrocopertina di G. Milos
Stampato nel mese di settembre 2015 da GESP - Città di Castello
ISBN: 978-88-96131-81-7
Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, in qualsiasi formato, senza l’autorizzazione
scritta dell’Editore.
Sebbene sia stato fatto ogni sforzo per rintracciare i titolari dei diritti delle immagini pubblicate, ciò non è
stato sempre possibile. L’editore rimane a disposizione per essere contattato dagli aventi diritto.
La presente opera di saggistica è pubblicata con lo scopo di rappresentare un’analisi critica, rivolta alla promozione di autori ed opere di ingegno, che si avvale del diritto di citazione. Pertanto tutte le immagini e i
testi sono riprodotti con finalità scientifiche, ovvero di illustrazione, argomentazione e supporto delle tesi
sostenute dall’autore.
Si avvale dell’articolo 70, I e III comma, della Legge 22 aprile 1941 n.633 circa le utilizzazioni libere, nonché
dell’articolo 10 della Convenzione di Berna.
TUTTI SU DI ME
IMMANUEL CASTO
raccontato da Max Ribaric
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INDICE
INTRODUZIONE:
Suprema e incontenibile, l’ascesa del Casto Divo.......................................... 7
CAPITOLO PRIMO:
Ribelle d’Orobia, da vergineo a deflorato...................................................... 11
APPROFONDIMENTO:
Porn Groove, alle origini della specie.............................................................. 31
CAPITOLO SECONDO:
Musica per palati forti, nel giardino delle delizie terrene.............................. 39
APPROFONDIMENTO:
Stefano “Keen” Maggiore, uomo e macchina, sangue e suono................ 67
CAPITOLO TERZO:
Anal Beat, la scelta di Immanuel...................................................................... 73
APPROFONDIMENTO:
Le Beat Girls, ancelle dell’Olimpo immanueliano.......................................... 93
CAPITOLO QUARTO:
Adult Music, nel rimpianto di quel Long Island di troppo.............................. 97
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INDICE
APPROFONDIMENTO:
Romina Falconi, certi sogni si fanno attraverso un filo d’odio.................... 133
CAPITOLO QUINTO:
Squillo, carte alla mano per il gioco del villano............................................ 143
APPROFONDIMENTO:
Ludicamente Casto, nel regno dei giochi immanueliani............................ 167
CAPITOLO SESTO:
Freak & Chic, vivi e muori così........................................................................ 171
CLIFFHANGER:
Così è, se vi pare….......................................................................................... 203
DISCOGRAFIA.................................................................................................... 208
RINGRAZIAMENTI................................................................................................ 216
FONTI, CITAZIONI E RIFERIMENTI....................................................................... 218
CREDITI FOTOGRAFICI....................................................................................... 223
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MA È GIUSTO DESIDERARE UN’ALTRA VITA.
È GIUSTO L’AMORE E IL DESIDERIO ESPRIMERE
CHE TUTTA LA BELLEZZA TORNI A VIVERE,
E NON MORIR COME LIBELLULE EFFIMERE.
INTRODUZIONE
SUPREMA E INCONTENIBILE
l’ascesa del Casto Divo
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«Il bello è il simbolo del bene morale»
Immanuel Kant
«È vero, sono biondo e ho un corpo perfetto...»
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Immanuel Casto
utto si riduce a una questione di pochi minuti. Il rapporto di amore/
odio pronto a manifestarsi tra Immanuel Casto e i suoi ascoltatori si
gioca nell’immediato, perché in fondo basta una sola canzone: il suo
ritmo, la voce del Vate, il verbo elargito alla folla... nessuno può uscirne indenne. L’opera di Immanuel non può – e non deve – passare inosservata.
Questo primo approccio tra il Divo, smaliziato, spavaldo, perfino irruento, e l’ignaro astante, il più delle volte travolto a freddo (o a secco?) dal pistone sonico e tematico spinto a pieno regime, non lascia prigionieri. Il Porn
Groove di cui Immanuel Casto si fregia quale indomito portabandiera funge
da solido spartiacque, inviolabile barricata. E si traduce in una scelta di campo. Da un lato i suoi detrattori, più o meno accaniti e più o meno inconsapevoli del fatto che i loro strali non faranno altro se non accrescere la turgida
propaganda del Vergineo («Nel bene o nel male, purché se ne parli»), dall’altro
i suoi sodali. Un popolo di sostenitori quanto mai eterogeneo, piuttosto sorprendente nelle forme, così come nelle sfumature e nelle disposizioni.
Il grado di devozione esibito nei confronti del Casto Divo sembra seguire
una rigorosa gerarchia di credo e di intenti. Coloro che, a dispetto degli oppositori al Verbo, non rifuggono subito inorriditi dalle parole di Immanuel,
prima di tutto vengono catturati tra le maglie di una esplicita (e talvolta
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tagliente) ironia, dove lo spiritoso cinismo diventa la tela del ragno. Il tratto
libertino e godereccio dei suoi lavori funge da esca senza pari, ma anche e
soprattutto da primo filtro propedeutico a un processo di successiva sgrezzatura e ascensione. Un processo alchemico in piena regola: il sesso come
(unica) catarsi, l’urgenza primaria-primitiva del coito come insostituibile sinonimo di liberazione.
L’esplorazione in musica del nostro presente, a volte tragico e spietato, è
lo strumento d’eccellenza con cui il Divo sceglie di misurarsi. Ed ecco che
la sua opera può essere vissuta e intesa a più livelli: ci si può accontentare
dell’elemento sfacciatamente ludico, in apparenza superficiale, tanto fruibile quanto immediato (e certo non per questo da deprecare); oppure si può
scegliere di sondare gli abissi, la vera chiave di volta di questa ricerca tra gli
anfratti dell’animo umano. Nella musica adulta di Immanuel Casto trionfa
il binomio di Eros e Thanatos, la pulsione per la vita e quella per la morte.
Eccessi di corredo inclusi.
Laddove l’universo pansessuale impera e troneggia in ogni sua declinazione, costantemente in bilico ecumenico tra rapporti omo ed etero, Immanuel ci conduce con fare sicuro nel buco nero di un universo sottotraccia
dove parole come fist fucking, bukkake, bondage, pissing, rimming, gerbilling o
cock slash, irrompono nel salotto buono del nostro quotidiano con una sfacciataggine e una disinvoltura totalmente inedite. Un’azione disarmante in
piena regola. Ma la sua missione sonora non si limita certo ad un’arida (esasperata?) formulazione dell’orgasmo in ogni sua variabile. Accanto ai giochi
di bocca e di (m)ano, piogge di falli e amori mercenari, si procede a fari spenti e a rotta di collo lungo un tragitto irto di sorprese. Non sempre piacevoli,
ma prepotentemente reali.
«A volte, quando mi esibisco imperlato di sudore e glitter, cantando di violenza, sesso e droghe, mi chiedo se in qualche momento della mia vita qualcosa è
andato storto».
Ed eccoci quindi testimoni di vite degradate, affreschi contemporanei
che giganteggiano tra eccessi di lusso e fame di denaro, escort professioniste
e procaci badanti, oppressione cattolica e ipocrisia borghese, cocktail annacquati e traffici di organi, ketamina e disturbi alimentari, supplizi clandestini
e avventure da marciapiede, violente evirazioni e spiagge immacolate, culto
del corpo e abuso del popper, vernissage assortiti e cronaca nera quanta ne
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si vuole. In tutto ciò Immanuel Casto assurge alla carica di novello Virgilio,
mentre questa bolgia da girone dantesco altro non è se non il duro riflesso
delle nostre stesse miserie umane, polvere sotto il tappeto inclusa. Agognata
concupiscenza e beato dileggio, mano nella mano.
«Il sangue e il sesso sono i pilastri dove si fonda la storia dell’umanità e nonostante questo è difficile trovare qualcuno che affronti certi argomenti in modo così
diretto in musica».
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Immanuel diviene così un impagabile gladiatore mediatico, offrendosi
alle arene contemporanee (catodiche e digitali) come verbo istintuale, fatto
di brame e sussulti terreni, di carne viva, di supplizio. E umano piacere. Un
progetto artistico e di comunicazione senza precedenti il quale, conscio dei
propri esordi inevitabilmente “primitivi”, ha saputo fare di necessità virtù,
scavalcando ogni ostacolo con metodo estroso e stile brillante a dir poco.
Eppure non tutto è così acclarato, pulito, lineare. La storia evolutiva del
fenomeno musicale di cui stiamo parlando merita più di una considerazione. Partendo da un giovinetto d’Orobia chiamato Manuel Cuni, e passando
per il moniker di Immanuel il Vergineo, poi Casto e Casto Divo, arrivando
infine al suo trionfo consacratorio come Immanuel Casto, la vicenda umana
e artistica del nostro è un intreccio di ricerche, pellegrinaggi, provocazioni e
sperimentazioni. Di successi e fallimenti, come di amare sconfitte e fulgide
conquiste. Il dio pagano che oggi calca sicuro i palchi dello Stivale, ammirato
dalle folle quale bellezza ellenica vestita d’Adidas, ha masticato la polvere, è
caduto più volte e più volte ha saputo rialzarsi. Ha tenuto banco a dispetto di
ogni suo avversario e/o avversità, e oggi – con sprezzante gesto napoleonico
– può indossare la principesca corona del Porn Groove, ben consapevole di
essersela conquistata. Il suo è un regno nato sul diritto: di sangue e liquidi di
complemento. La sua suprema ascesa, accompagnata da uno spettacolare effluvio elettronico, è tutt’ora in vigorosa propulsione verticale. Non sappiamo
dove Immanuel avrà modo di condurci, ma sappiamo che ne varrà certamente la pena. Siete pronti a farvi travolgere dalla sua marea?
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vaipureafondo
SENONRISPONDO
ÈPERCHÉSONOST
ATODEFLORATOCO
NVEEMENZAINUN
UGGIOSOPOMERIG
GIODISETTEMBRE
INOLTRATO[...]
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CAPITOLO PRIMO
RIBELLE D’OROBIA
da vergineo a deflorato
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«A chi vuol bene, Dio manda pene»
Giovanni Verga
anuel Cuni viene alla luce un venerdì, il 16 settembre, nell’ospedale di una minuta cittadina della provincia bergamasca.
L’anno è il 1983, lo stesso in cui la futura icona mondiale del
pop, Madonna, si affaccia sulle scene esordendo con il suo
primo 33 giri. Vi è un che di significativo in quello che alcuni potrebbero
considerare solo un azzardato parallelismo: come vedremo molto presto, per
Manuel la musica di Miss Ciccone sortirà l’effetto di un balsamo salvifico,
oltre a divenire un’importantissima fonte di ispirazione.
Ultimogenito di una famiglia non troppo dissimile da molte altre, nel
corso degli anni (e delle numerose interviste rilasciate) Manuel si è sempre dimostrato alquanto restio nel descrivere le mura del focolare domestico
dove è nato e cresciuto. Poche parole, attente e misurate, come a sottintendere la volontà di mantenere una garbata linea di confine tra il personaggio del
“Casto Divo” e il suo borgo natio.
«Non tocco volentieri questo argomento perché sono molto riservato, ma farò
un’eccezione. Sono il terzo di tre figli maschi. I miei fratelli, Diego e Nicola, sono
molto più grandi (hanno quindici e dodici anni in più di me), quindi li ho sempre
visti come degli adulti, da che ne ho memoria. Anche oggi, a quasi trentadue anni,
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Un giovanissimo e biondissimo Manuel Cuni (7 anni) nei panni del “piccolo lord”
io sono il piccolo della famiglia. Sebbene da qualche anno sia diventato zio e stia
per bissare l’esperienza.
I miei genitori, Sergio e Teresina, si sono separati quando avevo circa otto
anni, e io lasciai Villa di Serio per spostarmi a Bergamo città con mia madre e
quello che sarebbe diventato il suo secondo marito. Ho vissuto con loro sino ai diciannove anni, ossia quando mi sono spostato a Bologna.
La mia giornata tipo era: liceo sino alle 14:00, pranzo, studio (pochino...),
cartoni animati del pomeriggio, e sera dedicata alla mia creatività. Il weekend
ero solitamente impegnato perché ho iniziato a lavorare come cameriere all’età
di quindici anni. Lavoravo il fine settimana e la stagione estiva. Può sembrare
strano, ma per quanto fosse fisicamente devastante, mi piaceva. Mi sentivo indipendente e con delle responsabilità. Era un ristorante di un certo livello, ma
questo non mi ha impedito di rimorchiare in un paio di occasioni».
Apparentemente, per il giovane Manuel la vita quotidiana a Bergamo
scorre placida e tranquilla. Casa, scuola, hobby, amici... ma nella realtà dei
fatti, basta volgere lo sguardo giusto un attimo oltre la superficie per rendersi
conto di come stiano realmente le cose. La città assume molto presto le
sembianze di una gabbia senza vie d’uscita: scampoli di inferno quotidiano
vissuti tra senso di isolamento e tormenti che ti segnano dentro. Irrimediabilmente.
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A distanza di anni non meraviglia, quindi, vedere il Vate affermare (con
tono lucido e pacato) di come si sia sempre considerato alla stregua di «un
candido giglio sbocciato in un vaso di feccia». Bèrghem è il non-luogo da cui
Manuel prima o poi dovrà allontanarsi, fuggire, ad ogni costo. Alla ricerca di
una terra promessa capace di dar libero sfogo a tutti i suoi sogni.
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«Non ho la pretesa di dare un giudizio oggettivo sulla mia città natale. Tutto
è filtrato dalle mie esperienze personali, che sono state, nella maggior parte dei casi,
piuttosto spiacevoli. Ho sempre patito una forte emarginazione, soprattutto a partire
dalle scuole medie. Ero un diverso, inutile girarci intorno. Figlio di genitori separati
(che ci crediate o no, all’epoca era ancora uno stigma), immerso nel mio mondo interiore e, soprattutto, omosessuale. Con i maschi non avevo molto da spartire e le femmine,
a quell’età, vogliono solo stare tra di loro. Ed erano gli anni in cui la Lega si affacciava
sulla scena politica, mietendo consensi in quelle zone.
Al liceo le cose andarono anche peggio, tra bullismo (libri e vestiti gettati nel water, ecc.) ed episodi anche più gravi. Per esempio una volta morsi per scherzo una
compagna di classe (mi stava tenendo fermo mentre mi versavano in testa dell’acqua) e questa, arrivata a casa, mostrò il segno del morso alla madre che, sapendo
che ero gay, la portò subito dal medico. Questi disse loro che, in effetti, attraverso le
microabrasioni causate sulla pelle, avrei potuto trasmetterle l’HIV. Smise di venire a
scuola, convinta di essere condannata. Dopo un moto
di orgoglio iniziale, finii per farmi fare tutte le analisi
del caso, mosso dalla pietà. Per la cronaca, la ragazza
in questione ora è trasfigurata dalla chirurgia estetica
e fa la psicologa. Un altro compagno di classe, invece,
si convinse che l’avrei “contagiato” con la mia omosessualità facendolo diventare gay. Quando intervenivo
durante le lezioni, lui sbatteva la testa sul banco in
preda a crisi isteriche.
Va anche detto, però, che fu proprio in quegli anni
che iniziai a scrivere canzoni e a esibirmi in piccoli show caserecci. Forse senza tutte quelle vessazioni
e tutto quel bigottismo oggi non avrei la forza e il
coraggio che sostengono i miei progetti. Non ho altri
pensieri positivi su quelle terre. Non dico che non si
(Im)Manuel a 12 anni
possa essere felici a Bergamo, conosco molte persone che
lo sono; dico solo che io non potrei mai esserlo».
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La musica, come spesso accade, si dimostra uno dei viatici per eccellenza.
Il pop degli anni Novanta, limpido, vivace e dall’indole disincantata, garantisce a Manuel la giusta dose di conforto e sostegno, indirizzandolo – quasi
inconsciamente – lungo il tragitto che lo porterà, giusto un decennio più
tardi, a divenire egli stesso un’icona musicale (seppur declinata in toni “a
luci rosse”). Tutto ha inizio con SpiceWorld, secondo album delle celeberrime
Spice Girls.
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«È stato il primo gruppo che ho iniziato a seguire da fan. Ascoltavo solo loro, e
avendo all’epoca prodotto solo due dischi da dieci canzoni l’uno, potevo godere di
una discografia di soli venti brani (più un paio di b-side, piuttosto bruttine). Venti
brani consumati alla nausea. Ma il mio secondo disco fu Ray of Light di Madonna. E lì mi si aprì un mondo. Non solo per la bellezza dell’album in questione
(un ascolto decisamente più maturo, venendo dalle Spice Girls...), ma perché potei
scoprire una discografia di quasi vent’anni. Una storia di metamorfosi e provocazioni. All’epoca (19981999) Internet non era
ancora particolarmente
fruibile, soprattutto per
quanto riguarda i contenuti multimediali quali
video e canzoni. Dovetti comprarmi tutti i
dischi scoprendoli uno a
uno. Tutto un universo in cui rivedermi ed
emozionarmi. È grazie
a lei che ho formato la
Il Casto Divo che a soli 17 anni
«si pone come guida spirituale per i suoi fan»
mia idea di artista pop.
Fare queste considerazioni mi mette una certezza tristezza, se penso alla Madonna degli ultimi dieci
anni, ma nessuna delle sue recenti oscenità discografiche potrà cancellare quello che
ha fatto per ben tre decenni».
Gettato il seme, non passerà poi molto tempo prima di veder sorgere il
frutto. Manuel si dimostra precoce, e sebbene il suo operato tradisca un retrogusto ancora troppo acerbo, dovuto principalmente all’urgenza istintiva del
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momento, non possiamo che prendere atto di una scintilla ormai scoccata. Il
gatto è uscito dal sacco. Non c’è più modo di rimetterlo dentro, e allora tanto
vale assistere alle sue spericolate avventure.
«Chi è Immanuel? L’identità di questo ambiguo artista è così densa che risulta
difficile ANALizzarla... cercheremo di scoprirlo esaminando la sua discografia».
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Almeno così recitava l’incipit della prima “biografia ufficiale” del Casto
Divo, risalente agli inizi degli anni Duemila.
Le prime avventure musicali del giovane Manuel sorgono in modo spontaneo quando, ancora adolescente, inizia a rimaneggiare i pezzi di cantanti
pop (italiani e stranieri) secondo un gusto tutto personale. Si tratta di cover
storpiate e strapazzate, prive di chissà quali velleità artistiche, tanto meno di
particolari qualità professionali – anzi. Ma si tratta pur sempre di un inizio,
e in breve alle cover si affianca un repertorio tutto inedito e originale, frutto
delle vivaci intemperanze ludico-sessuali del vulcanico sedicenne bergamasco.
Su di un piano meramente tecnico,
la musica è il frutto di soluzioni artigianali: arrangiamenti primitivi su basi
sintetiche preregistrate, voci sgraziate
a dir poco, un’inflessione dialettale che
la fa da padrona e testi che virano sullo
scurrile conclamato – umorismo di grana grossa infarcito di oscenità un tanto
al chilo. Ma appunto, tutto nasce con lo
scopo di dar vita a un intrattenimento
fine a se stesso, circoscritto alle mura domestiche di casa Cuni e poco altro. Né
più né meno di un divertissement d’indole tanto bonaria quanto scollacciata.
Gli esordi casalinghi di Manuel, realizzati a cavallo tra il vecchio e il nuovo
millennio, portano il nome di due lavori
dei quali rimangono solo sparute tracce
Uno scatto promozionale precedente
all’uscita del primo disco di Immanuel,
nella memoria di amici e compagni di
Estasy anale
classe dell’epoca: Estasy anale (1999) e
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Gola profonda (2002). Anche i titoli delle canzoni lasciano ben poco spazio
all’immaginazione – Violentami, La tua libidine, Datemi una verga – ma tra le
tante fanno capolino anche delle versioni embrionali di quelle che, anni dopo,
diverranno delle vere e proprie hit del Casto Divo: Gocce di piacere nel mio sfintere (qui proposta con un allucinante featuring in salsa rap di una compagna
di classe di Manuel, Tecla Maffioletti) e la sempreverde Fellatio... che passione!.
La sperimentazione domestica funziona, eccome, altrimenti non si spiegherebbe la caparbietà con cui Manuel decide di dare alle stampe il suo primo
“best of ” antologico dall’emblematico titolo Aprimi. Siamo nella primavera
del 2003, e in questa raccolta troviamo racchiusa una selezione di brani che
va a pescare in egual misura sia nel repertorio di Estasy anale che in quello di
Gola profonda (entrambi contestualmente rimossi dalla discografia ufficiale).
E se in alcune delle uscite precedenti figurava ancora il suo nome e cognome
(o, alternativamente, le iniziali anagrafiche “MC”), questi primi anni Duemila ci rendono testimoni del nom de plume scelto dal ragazzo lombardo per
tutte le sue future escursioni in campo artistico-musicale: Immanuel.
«Immanuel perché al liceo ne sapevo più della professoressa di filosofia e i compagni mi chiamavano con il nome del grande filosofo tedesco Kant».
CONTINUA SUL LIBRO...
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A questa spiegazione si aggiungerà poi un elemento di natura paradossalmente religiosa, laddove il giovane Cuni citerà anche il Vangelo secondo
Matteo (versetto 1:23) nel quale si fa riferimento alla nascita di Gesù Cristo
«al quale sarà posto nome Immanuel, che tradotto vuol dire “Dio con noi”». Solo
in seguito, diversi anni più tardi, troveremo il nome d’arte di Manuel esplicitato nella sua forma compiuta di Immanuel Casto. E anche per questa
aggiunta non mancherà un’opportuna spiegazione:
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«Casto viene da “Casto divo”, contaminazione della celebre aria Casta diva
tratta dall’opera Norma di Vincenzo Bellini, resa immortale dalla grande Maria
Callas».
Tornando ad Aprimi, possiamo notare come ora i lavori di (Im)Manuel
inizino ad arricchirsi di sempre più dettagli e ricercatezze. Vengono realizzati artwork e packaging ad hoc e i dischi, sebbene rimangano dei meri
CD-R fatti in casa, si presentano con tutti i crismi di una pseudo-produzione professionale, con tanto di crediti e vari disclaimer antipirateria riprodotti
all’interno dei libretti. Come ulteriore tocco di classe, non manca nemmeno
il nome di una compiacente (seppur del tutto fasulla) casa discografica, che
sarebbe responsabile della produzione e distribuzione di tutti gli album del
nostro. In questo caso specifico, le “major” sono addirittura due: la Schizzo
Records e la (profetica) Upupa Records.
Quella che per altri potrebbe sembrare una bislacca scimmiottatura delle
dinamiche di una smaliziata pop star, per Immanuel diviene ben presto un
marchio di fabbrica, un modo di porsi – ed evolversi – secondo un protocollo
personale sviluppato in completa autonomia, da perfetto autodidatta. Una
fortunosa gavetta propedeutica alla maturazione del suo progetto. In poche
parole, il miglior apprendistato concepibile a quel tempo.
Aprimi si compone di una buona quindicina di canzoni dove, a parte tre
cover d’eccellenza (Se telefonando di Mina, T’appartengo di Ambra Angiolini
e la sigla del cartone animato giapponese Bia la sfida della magia), il resto è
tutta farina del sacco di Manuel. Gustate le memorabili title-track di Estasy
anale e Gola profonda, una menzione d’obbligo va alla terna musicale composta da Sederini adulterini («Guarda che birichini, i sederini adulterini»), Regina
di bastoni («Da tanti maschioni voglio farmi montare e da un cavallo dei boschi
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