Qala-e-Hif
Transcript
Qala-e-Hif
56 Qala-e-Hif IL RACCONTO di Massimiliano Pieraccini Uno schifo di posto, Qala-e-Hif! Ma è acceso? Sta registrando? Mica lo manderà in onda? Ah ecco. Lo tagli. Non so più parlare come si deve con una donna. Mi scusi, signorina. Jane, ha detto che si chiama. Della NBC. È un gran bel pezzo…, lo sa? Eh, sì certo. È del Wisconsin, vero? Perché mi sono arruolato, vuol sapere? Che domanda è? Per servire il mio paese, per cosa sennò? Anche per i soldi, certo. Ma non lo scriva. Insomma, lo tagli. A me l’inno nazionale fa sciogliere il cuore. Questo lo registri. Più del Super Bowl. No, non ho chiesto io di essere assegnato a Qala-e-Hif. Io vado dove mi mandano. Ma poi nessuno chiamava così quel posto. Qala-e-Hif era solo quello che c’era scritto nella mappa. Loro lo chiamano il castello, o l’isola. Cento miglia di sassi in tutte le direzioni. Morirebbe di sete una capra. Eh sì, un posto ideale per una prigione. Cosa altro ci potevano fare? Ma mica l’abbiamo costruita noi americani. Era già così. Noi abbiamo solo tirato su la guardiola nel mezzo del piazzale. Le buche c’erano già. Sessantaquattro. Otto file da otto come in una scacchiera. Larghe dieci piedi e profonde ventiquattro. Tutte uguali. I prigionieri scendono con una scala, poi si tira su e buonanotte. Le pareti sono lisce come uno specchio. Eh già, perché l’isola è un unico pezzo di granito. Nero e lucido. Quando lo vedi per la prima volta dal Black Hawk, sembra il ponte di una portaerei. Ne ha anche la forma. Cinquanta piedi sopra il deserto più piatto che tu possa immaginare. Chi ha scavato le buche? Per quello che ne so ci sono sempre state. Questo posto ha due o tremila anni. In questo dannato paese non c’è niente che abbia meno di un migliaio di anni. Sarebbe l’ora di dargli una bella spianata! Ma sto divagando, vero? Immagino che lei voglia sapere… cosa diavolo stanno ancora cercando quelle teste d’uovo. Lo so che lei non ci crede. Ma è tutto vero. Lo scriva e lo registri. Io non sparo balle. Magari qualche volta mi sbronzo. Ma non a Qala-e-Hif. Se ti trovavano con una birra andavi dritto alla corte marziale. Quando sono arrivato c’erano già delle voci. Ma in questo paese ci sono voci su tutto. Sulle donne, il caldo, gli scorpioni, i serpenti. Se le ascoltassi tutte ne usciresti pazzo. Ma poi… Avviene sempre quando non vedi. Non importa quanto sei attento, o cosa ti inventi per assistere al preciso istante quando succede. Te ne accorgi sempre dopo. Per me la prima volta fu dopo circa una settimana. Nel turno di notte. Me ne ero stato tutto il tempo in guardiola. Da lassù vedi tutte le buche. Non che ci sia possibilità che qualcuno possa uscire. Ognuna è chiusa con un’inferriata. Ma anche se non lo fosse, neppure David Copperfield potrebbe uscire da laggiù senza una corda o una scala. Insomma, sono sicuro di non essermi appisolato neanche un minuto, ma la sera prima nella 27 c’era un prigioniero e la mattina dopo non c’era più. Ho aperto l’inferriata e buttato giù la scala. Cristo, ho rischiato veramente di volarci dentro! Ma nel pozzo non c’era nulla. E dico proprio nulla. Neppure il secchio per urinare. Nulla di nulla. Il pavimento e le pareti erano tirate a lucido come al solito. Bel capolavoro: ero lì da meno di una settimana e proprio durante il mio turno c’era stata la prima evasione da quando era stata istituita quella dannata prigione militare. E ora dovevo dare l’allarme. Per quello che ne sapevo avevo fatto la boiata del secolo. Doppia, perché non eravamo autorizzati a scendere da soli nei pozzi. Sono risalito, ma ho aspettato un attimo prima di scatenare il putiferio. Non lo so perché. Però è stata la mia fortuna. Una volta tanto nella vita ho fatto qualcosa per il verso giusto: ho guardato nel pozzo accanto. Cristo santo! La sera prima era vuoto, ma ora c’era qualcuno. Ho puntato la torcia e c’era uno di quei cenciosi che dormiva. Credo di avergli gridato qualcosa del tipo “Ehi, animale, alzati!”. Quello si è messo in piedi e mi ha guardato con occhi spenti dietro Sapere, giugno 2014 la barba fitta. “Torna a dormire!” gli ho detto, e me ne sono andato. Poi ho contato le celle occupate: 18 su 64. Esattamente come la sera prima. Nessuna evasione durante la notte. La mia dannata distrazione, ho pensato. I prigionieri non passano da una cella all’altra attraverso il granito. E la storia sarebbe finita qui se non fossi la testa dura che sono. Due notti dopo era di nuovo il mio turno, ma prima di salire in guardiola ho voluto farmi una mia mappa personale dei pozzi. Ogni mezz’ora scendevo nel piazzale a controllare. Ebbene, dopo un paio d’ore, sarà stato il quinto o il sesto giro, mi accorgo che il 16, che nella mappa risultava vuoto, era occupato. E guarda caso il 24, che nella mappa invece risultava occupato, era vuoto. Per tutta la notte non successe altro. La mattina dopo scesi nel 24, il granito era più solido che mai. Ed è così che è cominciata la mia ossessione. Quasi a ogni turno di guardia un prigioniero, e qualche volta anche due, passavano dal loro pozzo a uno vuoto. Di solito era quello accanto, raramente uno più distante. Questi “spostamenti di cella” (non so come altro chiamarli) avvenivano del tutto a caso in tutti i pozzi. Allora ho pensato che sorvegliandone uno in maniera continua, prima o poi avrei visto il prigioniero aprire una botola o magari sparire come il mago Houdini. Ho passato ore immobile con gli occhi aperti, ma immancabilmente gli spostamenti avvenivano in altre celle. Ma io non mi faccio certo fare fesso da due straccioni. Mi sono fatto mandare da mia madre nel pacco settimanale una dozzina di microtelecamere comprate su e-bay. Le ho installate durante il mio turno in modo da filmare tutte le celle e, come per incanto, gli spostamenti sono cessati. Beh, questo almeno aveva un senso. Ma una notte dimenticai di registrare. Le potrà sembrare pazzesco, ma la mattina dopo c’erano stati due spostamenti. Nessuno poteva sapere se le telecamere stessero registrando o meno. Eppure loro, i prigionieri, era come se lo sapessero. IL RACCONTO 57 Il resto della storia non è necessario che gliela racconti io. Se digita su Google “pozzi quantistici di Qala-e-Hif” trova migliaia di pagine. C’è persino una setta. Si definiscono adoratori della cromodinamica quantistica e pregano cinque volte al giorno rivolti verso Qala-e-Hif. E poi tutti quegli scienziati intervistati dalle televisioni. Ora non li chiamano neanche più pozzi, ma “lacune”. I prigionieri sono sempre lì, ma ora li chiamano “elettroni”. Su YouTube c’è un video con quel premio Nobel intervistato da Lara Logan che dice che il granito di Qala-e-Hif è un nuovo materiale: un “macro-semiconduttore”, o qualcosa del genere. L’ha visto anche lei. No? Ah già, lei non è della CBS. illustrazione di Pierluigi Rotelli Sapere, giugno 2014