Mappe concettuali (RIV 41)
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Mappe concettuali (RIV 41)
TEORIA E METODI Mappe concettuali per la valutazione Claudio Bezzi* Per la prima volta da quando stende rapporti, scopre che non necessariamente le parole funzionano, che possono anche oscurare i concetti che tentano di esprimere. Paul Auster, “Fantasmi”, Trilogia di New York Riassunto Le Mappe Concettuali sono un potente strumento per comprendere meglio i concetti, le loro gerarchie e relazioni. Ideato da Joseph Novak in un contesto educativo e scolastico, le Mappe Concettuali sono penetrate più tardi nella valutazione grazie a Trochim, ma con un approccio metodologico differente e comunque in un numero limitato di casi e contesti. Le Mappe Concettuali appaiono invece molto utili per molteplici obiettivi e diversi contesti, per esempio per migliorare il disegno valutativo e la consapevolezza degli attori sociali coinvolti nell’evaluando, nonché per condividerne la conoscenza fra loro. L’articolo mostra diverse Mappe Concettuali, con esempi che vanno al di là dell’uso indicato originariamente da Novak e Trochim, e conclude con una discussione generale sul loro uso. Parole chiave: Mappe concettuali; Conoscenza tacita; Logica (Teoria) del Programma. Abstract Concept Maps are a powerful tool to describe and better understand concepts, their hierarchies and relationships. Invented by Joseph Novak in an educational and scholastic environment, Concept Maps later penetrated the evaluation thanks to Trochim, but with a different methodological approach and in a very limited number of situations. Instead, Concept Maps appear very useful for different evaluative purposes and contexts, for example to improve evaluational design and the stakeholder consciousness around the evaluand and to share knowledge about it. The article shows different Concept Maps, with exemples which extend the use of the original ideas of Novak and Trochim, and concludes with a general discussion over their utilization. Key words: Concept Maps; Tacit Knowledge; Program Theory. * Consulente valutatore, fra i fondatori dell’AIV – Associazione Italiana di Valutazione; fondatore e direttore fino al 2005 della “Rassegna Italiana di Valutazione”. Rassegna italiana di valutazione, a. XII, n. 41, 2008 30 CLAUDIO BEZZI 1. Novak e le mappe concettuali Le mappe concettuali sono rappresentazioni grafiche di concetti, particolarmente utili per compenetrarne la complessità, o le relazioni reciproche, o nessi gerarchici e causali, o più di queste cose assieme. Anche se il termine “mappe concettuali” (in realtà “mappe di concetti”: Concept Maps) e la sua maggiore descrizione si devono a Joseph Novak, che le ha sviluppate in ambito educativo, in questo contributo mostrerò un ventaglio di possibili mappe più articolato di quanto Novak propone, e con utilizzi legati alla ricerca sociale in generale, e a quella valutativa in particolare. In ogni caso, è opportuno partire da Novak. Nel 1984 Joseph Novak pubblicò assieme a Bob Gowin Learning How to Learn, arrivato recentemente alla diciassettesima edizione. Pedagogista ed epistemologo noto, in quest’opera Novak e Gowin inseriscono un importante secondo capitolo dal titolo Concept mapping for meaningful learning, che propone l’uso di mappe concettuali (MC) per migliorare l’apprendimento, mappe concepite dall’Autore nel decennio precedente. Successivamente Novak dedicò un intero volume a questo tema: Learning, Creating, and Using Knowledge: Concept Maps(tm) As Facilitative Tools in Schools and Corporations, oltre ad altre pubblicazioni anche recenti. Il modo migliore per introdurre alle MC è mostrare (Fig. 1) la mappa che Novak propone quale “sommario grafico” del suo libro (Novak, 1998, 4). Fig. 1 – Una mappa concettuale di Novak TEORIA E METODI 31 Fondamentalmente la MC è una rappresentazione grafica di concetti e dimensioni, e delle loro relazioni gerarchiche o, come titolano Grimaldi e Gallina (2004), un formalismo per organizzare e rappresentare la conoscenza. Concept maps are graphical tools for organizing and representing knowledge. They include concepts, usually enclosed in circles or boxes of some type, and relationships between concepts indicated by a connecting line linking two concepts. Words on the line, referred to as linking words or linking phrases, specify the relationship between the two concepts. We define concept as a perceived regularity in events or objects, or records of events or objects, designated by a label. The label for most concepts is a word, although sometimes we use symbols such as + or %, and sometimes more than one word is used. Propositions are statements about some object or event in the universe, either naturally occurring or constructed. Propositions contain two or more concepts connected using linking words or phrases to form a meaningful statement. Sometimes these are called semantic units, or units of meaning. Figure 1 shows an example of a concept map that describes the structure of concept maps and illustrates the above characteristics. (Novak e Cañas, 2006, 1). Potrà stupire, nella precedente citazione, la definizione che gli Autori danno di ‘concetto’, inscrivendolo in una concezione sostanzialmente fenomenologica della realtà che indubbiamente si differenzia da altre che potremmo ritenere più usuali, ma vorrei evitare qui digressioni sugli aspetti – peraltro rilevanti – della teoria novakiana per concentrarmi esclusivamente sugli elementi più operativi. Nell’Appendice 1 del suo volume principale, Novak (1998, 227-228) così sintetizza il processo di costruzione delle mappe: 1. Identify a focus question that addresses the problem, issues, or knowledge domain you wish to map. Guided by this question, identify 10 to 20 concepts that are pertinent to the question and list these. Some people find it helpful to write the concept labels on separate cards or Post-itsTM so that they can be moved around. If you work with computer software for mapping, produce a list of concepts on your computer. Concept labels should be a single word, or at most two or three words. 2. Rank order the concepts by placing the broadest and most inclusive idea at the top of the map. It is sometimes difficult to identify the broadest, most inclusive concept. It is helpful to reflect on your focus question to help decide the ranking of the concepts. Sometimes this process leads to modification of the focus question or writing a new focus question. 3. Work down the list and add more concepts as needed. 4. Begin to build your map by placing the most inclusive, most general concept(s) at the top. Usually there will be only one, two, or three most general concepts at the top of the map. 5. Next select the two, three, or four subconcepts to place under each general concept. Avoid placing more than three or four concepts under any other concept. If there seem to be six or eight concepts that belong under a major concept or subconcept, it is usually possible to identify some appropriate concept of intermediate inclusiveness, thus creating another level of hierarchy in your map. 6. Connect the concepts by lines. Label the lines with one or a few linking words. The linking words should define the relationship between the two concepts so that it reads as a valid statement or proposition. The connection creates meaning. When you hierar- 32 CLAUDIO BEZZI chically link together a large number of related ideas, you can see the structure of meaning for a given subject domain. 7. Rework the structure of your map, which may include adding, subtracting, or changing superordinate concepts. You may need to do this reworking several times, and in fact this process can go on indefinitely as you gain new knowledge or new insights. This is where Post-itsTM are helpful, or better still, computer software for creating maps. 8. Look for crosslinks between concepts in different sections of the map and label these lines. Crosslinks can often help to see new, creative relationships in the knowledge domain. 9. Specific examples of concepts can be attached to the concept labels (e.g., golden retriever is a specific example of a dog breed). 10. Concept maps could be made in many different forms for the same set of concepts. There is no one way to draw a concept map. As your understanding of relationships between concepts changes, so will your maps. In effetti è qualcosa che appare abbastanza semplice. Volendo sintetizzare questa procedura, sottolineando nel contempo i suoi aspetti caratterizzanti che ci porteranno a vedere altri tipi di MC, Novak suggerisce: 1. una preliminare definizione dei concetti da includere nella mappa o, quanto meno, dei principali ai quali aggiungerne altri in seguito (nei numerosi esempi che costellano l’opera del 1998 la maggior parte è del primo tipo perché utilizzati in contesti didattici, dove il ventaglio delle opzioni è già predisposto per l’allievo; Novak accenna comunque ad altri contesti, anche organizzativi, in cui le MC aiutano a riflettere creativamente, e dove quindi sono prefigurati solo i principali concetti che lanciano – per così dire – la costruzione della mappa; si veda Novak 1998, 73-75 per la creatività e 147-152 per le mappe nel lavoro di gruppo); 2. un ordine gerarchico basato sui livelli di generalità dei concetti (in alto i più astratti e generali, in basso i più specifici); anche questa distribuzione gerarchica è stabilita a priori, sulla base di una sorta di logica auto-evidente resa esplicita da etichette (prossimo punto 3); 3. le connessioni fra concetti includono un’etichetta che descrive la natura del legame; nelle mappe di Novak abbondano le etichette come “Requires”, “Determined by”, “Depends on”, “Achieved through”, che appaiono come legami forti di natura causale o quanto meno consequenziale, o come “Considers”, “Studied by”, “Include” che sono legami più deboli, a volte opzionali, o semplicemente spazi creativi e di scoperta che possono esserci o non esserci, a seconda della capacità e volontà di chi compila la mappa; come ricorderò nelle conclusioni questa etichetta contribuisce non poco a caratterizzare le mappe di Novak rispetto ad altre proposte; 4. l’elaborazione finale della mappa, che prevede la possibilità di modificare l’ordine dei concetti finquando si voglia, include anche la ricerca di nuove connessioni fra concetti appartenenti a sezioni differenti della mappa; queste connessioni (crosslink) sono indicate da Novak come particolarmente rivelatrici di nuove dimensioni problematiche prima ignorate. TEORIA E METODI 33 Perché le MC funzionano, e in che modo possono essere utili? Sostanzialmente le MC fanno emergere le conoscenze tacite (Novak 1998, 98-100; Novak e Cañas 2006, 25-26) che fanno parte delle competenze, esperienze, capacità degli individui ma non riescono con facilità ad emergere a livello esplicito; le MC, grazie alla possibilità di esercitare un pensiero significante (meaningful, contrapposto a rote, meccanico; Novak dedica dozzine di pagine a questa contrapposizione, e al valore assoluto del primo), e con la complicità di un sistema grafico che riesce a imprimersi nella coscienza assai più di un normale processo verbale (tornerò su questo nelle conclusioni), consentono di “collegare le nuove informazioni a concetti rilevanti già posseduti, preesistenti nella struttura cognitiva della persona” (Grimaldi e Gallina 2004, 26, riprendendo da Novak che insiste moltissimo sul valore di ciò che si è di già appreso, come base per ogni possibile sviluppo). Come afferma Trinchero (2001 e 2003, citati in Grimaldi e Gallina 2004, 2627) le MC sono un formalismo per l’organizzazione e la rappresentazione della conoscenza esplicita in forma proposizionale, che riproducono in forma grafica gli asserti concernenti un dato flusso di esperienza, evidenziando i concetti coinvolti e le relazioni che li legano. […] Ogni mappa concettuale è lo specchio di un modello mentale che deriva dalla propria esperienza ed è da considerarsi una creazione strettamente personale. Per questo non esistono mappe concettuali corrette o sbagliate ma mappe efficaci o meno a rappresentare e a descrivere domini di conoscenza. È il disvelamento delle conoscenze tacite, la riorganizzazione della conoscenza esplicita e la loro formalizzazione in un modello facilmente condivisibile perché comunicabile, che rende le MC uno strumento estremamente utile anche nelle tecniche basate sui gruppi. Le conoscenze tacite rappresentano un insieme di esperienze difficilmente raggiungibile con tecniche dirette quali i testi scritti e l’intervista (Novak e Cañas 2006, 26) ma di assoluta importanza per quella ricerca, p.es. valutativa, che intenda comprendere l’evaluando, e non solo cercare di misurarlo. La letteratura valutativa sulle conoscenze tacite è piuttosto scarsa, ma voglio segnalare almeno Rist e Stame (a cura di, 2006), in cui diversi autori ne accennano in un contesto interessante: come fare valutazione utilizzando i flussi informativi esistenti prima, attorno e – direi – al di là della specifica ricerca che stiamo conducendo; le conoscenze tacite sono appunto citate come elemento importante da cogliere. Mi interessa insistere su questo punto. Molti approcci valutativi indicano la necessità di definire preliminarmente l’oggetto della valutazione, chiarire gli obiettivi dell’evaluando, ricostruire la logica del programma, e così via (Bezzi 2003 per una discussione generale) e questi esercizi sono solitamente risolti analizzando documenti, realizzando interviste, focus group e altro ancora, tutti approcci necessari e utili che però, spesso, riproducono un’immagine esteriore, formale, rituale dell’evaluando, poco utile per avvicinarsi al cuore dei problemi che il valutatore vorrebbe mettere al centro della sua attività. Le MC non sono l’unica risposta, certamente, ma hanno una capacità veramente straordinaria di avvicinarsi molto e specialmente in una maniera chia- 34 CLAUDIO BEZZI ra, visibile e condivisibile da parte dei diversi stakeholder coinvolti, il committente e gli utilizzatori della valutazione in primis. Come vedremo nelle prossime pagine le MC possono essere qualcosa di più ampio e diverso rispetto a questa semplice gerarchizzazione di concetti, e come spesso capita è difficile stabilire confini ristretti e definitivi. A mio avvio anche il sociogramma (Moreno, 1937; 1952) è una MC; anche il reticolo della Network Analysis (Chiesi, 1999; Durland e Fredericks, 2005); Pert e Gantt utilizzati nella pianificazione delle attività; Vee Diagram (Tiessen, 1993) e così via. In questo testo mostrerò vari esempi differenti di MC, tratte per lo più da diverse esperienze che ho potuto fare in questi anni, e concluderò con osservazioni generali che spero utili per avvicinarsi a questo strumento. Le MC sono largamente e principalmente utilizzate nelle scienze educative, come si può osservare dalla quasi esclusiva presenza di testi pedagogici nella letteratura e nei convegni1 internazionali. Qualche applicazione la si può trovare in antropologia (Cahuzac e Le Blanc, 2004), discipline manageriali (Fourie, Schilawa e Cloete, 2004), scienze sociali in genere (Grimaldi e Gallina, 2004), e altro ancora, ma si tratta di casi veramente sporadici. Anche se in valutazione si trova qualche esempio (Knox, 1995; Leeuw 2003; Yampolskaya, Nesman, Hernandez e Koch, 2004; Rosas, 2004) ai quali dedicherò un paragrafo, l’uso delle MC sembra sporadico e fondato su una tradizione che sembra voler rimarcare delle differenze anche se, come vedremo, con una comprensione più a vasto raggio delle MC tali differenze appaiono procedurali ma non sostanziali. 2. Oltre Novak 2.1. Ancora nella scia di Novak: la rappresentazione gerarchica di concetti Molti lettori avranno notato la somiglianza della mappa in Fig. 1 con le versioni grafiche che si possono trovare del cosiddetto “paradigma lazarsfeldiano”, sul quale sono state spese, anche in Italia, molte parole. Molto in sintesi il paradigma lazarsfeldiano può essere rappresentato come in Fig. 2. Questa figura è puramente esemplificativa: è ovvio che possono esservi, in realtà, più o meno dimensioni e sottodimensioni. Il livello degli indicatori pertiene il modello e le finalità concettuali del paradigma, ma non modifica in nulla la proposta di Novak (gli indicatori sono comunque un tipo particolare di concetto). 1. L’IHMC – Institute for Human and Machine Cognition, ha finora realizzato tre Congressi internazionali: il primo a Pamplona nel settembre 2004 (http://cmc.ihmc.us/CMC2004 Programa.html), il secondo a San José di Costa Rica nel settembre 2006 (http://cmc.ihmc.us/ cmc2006/CMC2006Program.html), e il terzo diviso fra Tallin (Estonia) e Helsinki (Finlandia) nel settembre 2008. TEORIA E METODI 35 Fig. 2 – Schema generale esemplificativo del paradigma lazarsfeldiano (Cannavò, 1999) È evidente la logica razionalista implicata in questo procedimento, comunque già ben chiara leggendo le istruzioni di Novak. La destrutturazione di un concetto nelle sue dimensioni è un processo eminente razionale, in cui si è in grado di argomentare ogni passaggio ai livelli inferiori e quindi (ed è questo lo scopo), si è in grado di risalire l’argomentazione che da ogni indicatore riconduce al concetto indicato. Il concetto di superiore/inferiore, discendere/risalire, è tipico del concetto di gerarchia affermato costantemente da Novak (Novak e Cañas, 2006, 1), e presente in alcuni tipi di MC qui presentate. Tale concetto è fortemente debitore rispetto ai criteri sui quali si basa la gerachizzazione, e questi criteri “also depends on the context in which that knowledge is being applied or considered” (Novak e Cañas, 2006, 1); su questa necessaria contestualizzazione delle MC tornerò ancora più avanti. Poiché la precedente è una figura esemplificativa non basata su un caso reale, ne propongo ora uno concreto. In una vecchia ricerca sui servizi pubblici a Perugia (Bezzi, Raschi e Tirabassi, 1990) gli Autori esplicitarono, nel tradizionale capitolo sul metodo e le tecniche, anche il percorso di concettualizzazione che giustificava il questionario realizzato, e tutte le domande e gli altri item inseriti. La Fig. 3 mostra il principale dei diversi alberi concettuali elaborati (gli ulteriori, qui non riportati, si riferivano ad elementi più specifici e si approssimavano pertanto agli indicatori, poi operativizzati in domande del questionario). 36 CLAUDIO BEZZI Fig. 3 – Esempio di paradigma lazarsfeldiano (mappa concettuale, parte di una serie) nel caso di una ricerca sui servizi pubblici a Perugia Separata dal suo contesto argomentativo questa figura appare in realtà un po’ vaga, a distanza di anni e a lettori che non hanno fatto parte di quel gruppo di ricerca. Le mappe cognitive sono sempre fortemente contestuali, come già accennato, e anche la razionalità del paradigma lazarsfeldiano è comunque tale entro un linguaggio condiviso: • un lessico, innanzitutto: già il concetto generale, “cultura dei cittadini sui servizi”, può apparire criptico se non addirittura ambiguo; riflettendo a quasi vent’anni di distanza mi rendo conto che era una semplificazione linguistica molto più ricca di significati e implicazioni di quanto non appaia oggi, e che all’epoca costituiva una sorta di gioco linguistico (Wittgenstein) fra i ricercatori; • una sintassi: si potrà notare una certa simmetria nella Fig. 3, e una ripartizione di componenti che – se anche hanno una base teorica precisa – potevano essere immaginate e disposte in altro modo; • infine una fondamentale grammatica, che è il reale problema del paradigma lazarsfeldiano e di ogni mappa concettuale: ciò afferisce le logiche compositive, cosa si ritiene “indicante” e perché, quanta “copertura semantica” si suppone di garantire e perché, i significati delle connessioni, etc. Altri esempi valutativi in Bezzi e Matteucci 2004 e Bertin 2007, 169-170 ma, anche al di là della valutazione, sarà facile trovare molte applicazioni del paradigma lazarsfeldiano nella letteratura sociologica. 2.2. Gerarchie non estemporanee A partire da queste prime mappe possiamo immaginarne una forma più strutturata. Un passo avanti in questa direzione è il tipo di MC che deriva dall’uso di un approccio ai testi scritti definita valutazione tassonomica (Scettri 2000; Brunialti e Patassini 2003). TEORIA E METODI 37 La valutazione tassonomica è una tecnica di analisi qualitativa di testi (meglio sarebbe dire: ermeneutica) che produce, di norma, una mappa concettuale. La Fig. 4 mostra una MC (parte di una serie) tratta da una valutazione tassonomica in ambito sanitario (Bezzi e Giaimo, 2004). Fig. 4 – Mappa concettuale (parte di una serie) tratta da una valutazione tassonomica in ambito sanitario Questa mappa è un po’ diversa dalle precedenti; si basa ancora sulla sensibilità del valutatore (o del gruppo di lavoro) in merito alla gerarchizzazione, ma mostra un livello più alto di formalizzazione. In generale nella tassonomica almeno una delle due dimensioni è gerarchica (in questo caso è la dimensione verticale, che esprime una gerarchia di “criticità organizzativa”), ma potrebbero essere entrambe, e ciò non dipende dall’estemporanea capacità grafica del valutatore, né da intuizioni non esplicitate o da logiche implicite e tacite bensì da scelte di merito, rispettose di criteri espliciti, fatte in una fase precedente il disegno della mappa. I box numerati rinviano a “raccomandazioni” (tratte dalla letteratura medica internazionale) in merito alle migliori prestazioni sanitarie da prestare ai pazienti. I box con segno di spunta indicano una selezione in seguito utilizzata in altre attività valutative successive. Un altro caso ancora più strutturato è il tipico risultato della coppia brainstorming + Scala delle Priorità Obbligate che produce mappe come quella riportata in Fig. 5. 38 CLAUDIO BEZZI Fig. 5 – Un caso di mappa concettuale basata su una SPO realizzata nella valutazione dei servizi sociali di Dolianova (CA) I riquadri scuri indicano la posizione dei quattordici indicatori, con la sigla identificativa (di cui qui ometto la legenda); come si vede la matrice è stata divisa in quattro quadranti che – conformemente alle procedure tipiche della SPO – verranno successivamente operativizzati per le finalità valutative del caso (Bezzi e Baldini, 2006). Anche in questo caso ci sono gerarchie (due, rispetto i due assi del piano cartesiano) realizzate prima di tracciare la mappa, secondo criteri e logiche che non coinvolgono il disegno della mappa in sé. A questo punto – ed è ciò che si vuole sottolineare qui – siamo sempre nella logica ordinale di Novak, ma la mappa è diventata momento ancillare di un processo che trova sede altrove, e diviene strumento passibile anche di successiva analisi con strumenti matematici. Quest’ultima affermazione apparirà più chiara portando a conseguenze estreme l’idea di MC, introducendo le matrici. TEORIA E METODI 39 Fig. 6 – Matrice risultante da una Swot relazionale sull’internazionalizzazione delle imprese Ritengo che anche certe matrici siano da considerare delle mappe concettuali. Particolarmente evidente, a mio avviso, è il caso della Swot relazionale che produce una matrice quadrata in cui i marginali di riga indicano i punti di forza e debolezza al netto delle relazioni reciproche, e i marginali di colonna evidenziano il ruolo dei fattori intervenienti, quelli in definitiva sui quali intervenire per migliorare le performance del progetto (Bezzi, 2005). La Fig. 6 mostra un esempio di matrice Swot relazionale, parte della valutazione di un progetto di internazionalizzazione di imprese italiane in Sud America. La Swot aveva mostrato 9 elementi (di forza, debolezza, opportunità e minacce), poi collocati nella matrice quadrata per il confronto a coppie. 40 CLAUDIO BEZZI In questo caso si vede come il gruppo col quale si è lavorato ha giudicato la “crisi finanziaria” (si fa riferimento a un Paese del Sud America di alcuni anni fa), seguita dalla distanza geografica e culturale (fra Italia e Sud America), quali elementi di maggiore attenzione, e trattandosi di fattori negativi il giudizio complessivo sul possibile successo del progetto è fortemente in dubbio. L’analisi per colonne mostra chiaramente come in realtà sia la scarsa propensione degli imprenditori italiani all’investimento all’estero a costituire la reale principale minaccia, seguita dalla distanza geografico-culturale e dagli scarsi incentivi. Questi ultimi sono gli elementi sui quali intervenire (il primo è fortemente connotato in senso culturale, ed evidentemente influenza la percezione degli imprenditori sulle altre dimensioni). Naturalmente non sarebbe difficile trasformare questa matrice in un grafico molto simile alle MC viste finora, per esempio come in Fig. 7. Fig. 7 – Trasformazione in grafico della precedente matrice Swot relazionale Distanza geografica e psicologica Crisi finanziaria in Sud America Scarsa propensione all'investimento degli imprenditori Necesità di incentivi/agevolazioni Anche se rappresentazioni di questo genere sono indubbiamente opportune e utili, e certamente in linea con quanto qui visto a proposito di mappe concettuali, ritengo che anche la matrice in sé sia da annoverare fra le mappe, sia pure di tipo particolare. Le sue righe e colonne ne sono gli oggetti che nelle mappe appaiono graficamente come riquadri od ovali, mentre i valori marginali di riga e di colonna sostituiscono le connessioni, le frecce e le convenzioni grafiche che esprimono relazioni. A saperla leggere, la matrice della Swot relazionale, è assai più ricca di informazioni del disegno che se ne può trarre. 2.3. Produzione estemporanea di mappe non gerarchiche Ritengo che l’uso di mappe concettuali dispieghi la sua grande potenzialità in situazioni meno governate dal razionalismo causale tipico dei precedenti ambiti. TEORIA E METODI 41 Io trovo per esempio che lavorare con un gruppo, e rendere immediatamente in forma grafica ciò che viene detto, sia un modo eccezionale per fare chiarezza evitando una serie di trappole linguistiche. Variazioni dialettali e gergali, vaghezza del linguaggio, ambiguità semantica, sono alcuni dei problemi da affrontare quando, in un gruppo, si affrontano problemi concettualmente complessi e non necessariamente già condivisi (per esempio perché i partecipanti al gruppo non provengono dalla stessa comunità di pratiche). Ho già trattato alcuni di questi problemi altrove (Bezzi, 2006; Bezzi e Morandi, 2007). Un esempio di quanto intendo illustrare in Fig. 8. La figura è stata disegnata dal valutatore “in diretta”, mentre il gruppo era impegnato a rappresentare la logica di programma sottesa al progetto che stava mettendo al centro della valutazione. Il valutatore conosceva già il progetto per come rappresentato nei documenti ufficiali di progettazione, e desiderava capire come realmente era rappresentato nella mente del capo progetto e del suo team, nella realtà concreta della gestione, avviata da un po’ di tempo (ma certamente abbastanza dopo la formalizzazione progettuale). Ogni programma è scritto sulla base di convenzioni stilistiche, che riflettono le preoccupazioni del redattore di far accettare la sua proposta (all’azienda cui risponde, al Ministero che la deve finanziare, e così via). Il progetto quindi risponde ad esigenze di comprensibilità di terzi, di utilizzo di formule retoriche tipiche dell’ambiente che lo deve accogliere e di attenzioni, ovviamente, a questioni organizzativo-strutturali quali l’utilizzo del budget, il coinvolgimento di determinate professionalità, etc., ma è in grado di dire molto poco sul quotidiano, futuro, lavoro di relazioni, costruzione di significati, gestione dei problemi che inevitabilmente si presenteranno. Fig. 8 – Una mappa concettuale per ricostruire la logica del progetto 42 CLAUDIO BEZZI Non è pertanto il progetto scritto a essere realmente significativo, ma la sua rappresentazione operativa come i principali attori sanno renderlo; è in questo modo che si riscontrano rischi progettuali, difficoltà operative, ma soprattutto obiettivi impliciti non esplicitati nel progetto. La figura è parzialmente criptata, ed è stata leggermente modificata successivamente all’incontro col team di progetto per renderla più funzionale al lavoro. Come si può vedere ci siamo allontanati un po’ dalla logica razionale-causale di Novak, a favore di un approccio relazionale: certi elementi sviluppano probabilmente certe conseguenze, hanno certi rapporti privilegiati con altri. Le frecce maggiori – aggiunte in seguito – indicano elementi di criticità da sottoporre a valutazione (indicano i luoghi di possibili domande valutative). Un altro esempio, più complesso del precedente, comportava l’identificazione di indicatori – per la successiva valutazione – nell’ambito delle attività del Dipartimento di Prevenzione dell’Asl di Perugia (Bezzi e Giaimo, 2005). Il Dipartimento disponeva già di un Manuale di qualità, redatto in vista di un processo interno di accreditamento, e tale documento fu messo al centro di una riflessione con un doppio gruppo: medici da una parte, e veterinari dall’altra (un residuo gruppo di tecnici fu diviso fra i due precedenti). In seguito, fatta chiarezza su una serie di concetti, obiettivi, etc., il valutatore – nel ruolo di facilitatore dei processi argomentativi dei gruppi – animò discussioni destinate a rivelare la logica dell’implementazione delle attività del Dipartimento: una discussione per ciascuno degli elementi principali descritti nel manuale di qualità. Le prossime Figg. 9 e 10 mostrano due delle mappe concettuali (di quattro) prodotte dal valutatore man mano che il gruppo discuteva; la Fig. 11 mostra la sintesi delle quattro mappe, collegate in un sistema unico. Fig. 9 – Una mappa concettuale relativa a uno dei principali obiettivi del Dipartimento di Prevenzione di Perugia TEORIA E METODI 43 Fig. 10 – Una seconda mappa concettuale del Dipartimento di Prevenzione di Perugia Fig. 11 – La mappa concettuale di sintesi delle quattro realizzate per il Dipartimento di Prevenzione di Perugia 44 CLAUDIO BEZZI Anche in questo caso, naturalmente, la mappa può risultare criptica per chi non ha fatto parte del gruppo e non è stato attivamente coinvolto nella ricca argomentazione prodotto nel corso di numerosi incontri. Il significato che desidero sottolineare, comunque, è che la rappresentazione grafica delle complesse realtà del Dipartimento, realizzata man mano che il gruppo discuteva, ha consentito al gruppo di non arenarsi sulle incomprensioni linguistico-concettuali, di non avvitarsi sulle ambiguità semantiche, le differenze professionali (per esempio fra medici e veterinari), e così via. Le convenzioni grafiche utilizzate, veramente semplici e intuitive, erano comunque immediatamente chiarite nel processo stesso di disegno. La contestualità fra espressioni verbali e l’immediata loro rappresentazione grafica è la chiave a doppio senso: • i concetti diventano chiari a tutto il gruppo grazie alla rappresentazione grafica; • la rappresentazione grafica, e le sue convenzioni, sono immediatamente comprese grazie all’aggancio con l’argomentazione appena prodotta. 2.4. Molto oltre Novak Abbiamo visto mappe gerarchiche con concetti prestabiliti, mappe non gerarchiche disegnate estemporaneamente, e via via ci siamo allontanati dall’impostazione iniziale di Novak. Da qui in poi ogni lettore potrà immaginare altre forme di rappresentazione grafica di concetti posti al centro dell’indagine. Un esempio piuttosto estremo in Fig. 12 (Cahuzac e Le Blanc, 2004): in questo caso si tratta di uno studio antropologico sull’immagine della città di Bordeaux da parte dei cittadini e, in particolare, dell’impatto (culturale) della nuova tramvia. Fig. 12 – Mappa di sintesi dello spazio concettuale di Bordeaux e della tramvia (Cahuzac e Le Blanc, 2004) TEORIA E METODI 45 Il testo di Cahuzac e Le Blanc procede mappa dopo mappa in una progressione di elementi dove la mezzaluna centrale rappresenta il fiume Garonna con attorno i vari elementi che, in precedenza, sono stati definiti tramite interviste a cittadini in attesa del nuovo tram. La figura, intitolata “Synthetic pre-concept map”, non è l’ultima della serie proposta dagli autori, e rappresenta ancora una fase di analisi che conduce alla prossima (Fig. 13), che torna a somigliare, vagamente, a quelle novakiane. Fig. 13 – Mappa concettuale finale di Bordeaux e della tramvia (Cahuzac e Le Blanc, 2004) Ci siamo allontanati troppo? Non credo. Lo scopo delle MC prescinde da ipotetiche correttezze procedurali (che sono un mezzo, peraltro diversamente declinabile, come abbiamo visto) bensì la loro capacità di rappresentare concetti, e relazioni di concetti. E anche questa pittografica mappa raggiunge lo scopo. 3. Mappe e valutazione, ignorando Novak I pochi testi disponibili chiaramente definibili come valutativi sottolineano e confermano quanto fin qui presentato ma presentano anche alcune differenze. Knox mostra l’uso di MC nella valutazione di policiy innovative in cui i classici monitoraggi e valutazioni quantitative possono risultare insoddisfacenti (Knox, 1995, 66). Le MC, per Knox, sono a process in which a group of people devise a pictorial or graphical representation of their thinking, normally as a result of brainstorming, depicting how their collective ideas relate to one another, and which ideas are more relevant or important for policy planning or evaluation purposes (Knox 1995, 66-67). 46 CLAUDIO BEZZI Credo sia evidente una certa difformità dall’idea originaria di Novak: il lavoro è dichiaratamente di gruppo, lo scopo è il confronto e l’analisi avviene anche con strumenti di analisi multivariata con lo scopo di costruire cluster; la procedura, dettagliatamente illustrata dall’Autore, può essere così sintetizzata: 1. brainstorming di gruppo (nel caso presentato 30 partecipanti) su un tema specifico della policy in oggetto; 2. un successivo gruppo di 15 persone seleziona – con i tipici criteri che solitamente chiamiamo di “giuria” – 90 affermazioni significative tratte dal lavoro del gruppo precedente; 3. le selezioni precedentemente generate vengono elaborate in una forma che genera una mappa cartesiana in qualche modo simile a quelle prodotte dall’S.P.O. (Fig. 5), e quindi clusterizzate ai fini dell’analisi. Come si vede in Knox c’è pochissimo di Novak, neppure citato. Tutto sommato simile il contributo di Yampolskaya e altri, 2004, che intendono sviluppare modelli logici per la comprensione di meccanismi di cambiamento di programmi educativi: One way to articulate or extract a theory of change is to use the elicitation methodology, that is, to construct “mental models” or “cognitive maps” of program developers and stakeholder (Yampolskaya e altri, 2004, 192). Anche qui gli Autori procedono in maniera simile a quella già vista: brainstorming, successiva operazione di selezione (sorting) e di gerarchizzazione (rating); alla fine ciò che viene prodotto, e definito mappa concettuale, è un grafico a dispersione che evidenzia due vettori utili all’indagine (Yampolskaya e altri, 2004, 196). Sostanzialmente stessa cosa per Rosas, 2005, che ripercorre lo stesso metodo di Yampolskaya e altri sottolineando come One technique that can contribute to the specification of program theory is concept mapping (Rosas, 2005, 390). Questi valutatori, che non citano mai Novak e invece molto Trochim (in particolare 1989a e 1989b) si rifanno semplicemente a un’altra tradizione, quella dell’analisi della logica Using Theory to Improve Program and Policy Evaluations del programma (Theory-driven Evaluation) proposta da Chen e Rossi col loro celebre, del 1992 (volume che contiene, appunto, anche un saggio di Trochim, in associazione con Judith Cook, dove però non tratta di MC; nel volume Novak non è citato da alcun contributore). Insomma: in campo educativo Novak inizia negli anni ’70 a testare le MC, e negli anni ’80 e ’90 pubblica le sue opere principali; i valutatori sembrano scoprire le mappe concettuali con Trochim a metà degli anni ’80 in maniera apparentemente indipendente (Trochim and Linton, 1986). Nel suo articolo del 1989, Trochim elenca i sei step del suo procedimento: 1. preparazione del gruppo e definizione dell’argomento; TEORIA E METODI 47 2. generazione – in gruppo – di dichiarazioni (statement) relative all’oggetto; 3. organizzazione (selezione, etc.) delle dichiarazioni; 4. “Representation of Statements in the form of a concept map (using multidimensional scaling and cluster analysis)” (Trochim, 1989a); 5. interpretazione della mappa; 6. utilizzo della mappa. Negli esempi di Yampolskaya e altri e Rosas si sono viste in concreto le applicazioni di questi principi. Nell’articolo in questione, che possiamo considerare il primo contributo valutativo sulle MC, troviamo l’origine della diaspora. Trascrivo per intero: In evaluation, we may want to conceptualize the programs or treatments, samples, settings, measures and outcomes which we believe are relevant. […]. The papers presented here focus on one specific type of structured conceptualization process which we term “concept mapping”. In concept mapping, ideas are represented in the form of a picture or map. To construct the map, ideas first have to be described or generated, and the interrelationships between them articulated. Multivariate statistical techniques — multidimensional scaling and cluster analysis — are then applied to this information and the results are depicted in map form. The content of the map is entirely determined by the group. They brainstorm the initial ideas, provide information about how these ideas are related, interpret the results of the analyses, and decide how the map is to be utilized. The process described here is not the only way to accomplish concept mapping. For instance, Novak and Gowin (1984) suggest that concept maps be drawn “free-hand” after an initial articulation of the major ideas and classification of them into hierarchical concepts. In a similar manner, Rico (1983) has advocated “free-hand” concept mapping or drawing as a useful method for developing a conceptual framework for writing. These and other approaches have value for planning and evaluation, but fall outside of the scope of this paper. The major differences between the method described here and other concept mapping processes are: this method is particularly appropriate for group use — the method generates a group aggregate map; it utilizes multivariate data analyses to construct the maps; and it generates interval-level maps which have some advantages for planning and evaluation, especially through pattern matching as described later. Despite these differences, this paper should be viewed as a clear call for the importance of further exploration of any processes which improve conceptualization in planning and evaluation. Throughout the papers in this volume, however, the term “concept mapping” should be understood to refer only to the process described here, and its variations. (Trochim, 1989a). Il testo citato di Novak e Gowin è quello anche da me ricordato all’inizio di questo articolo, mentre Rico 1983 è un best seller nei testi di scrittura creativa; Trochim li cita come alternativa per disegnare le mappe “a mano libera” ma li liquida come inadatti al lavoro di gruppo e all’analisi multivariata. Sul primo punto ho riportato esempi contrari (Figg. 8, 9, 10 e 11); il secondo potrebbe essere oggetto di riflessione ma la clusterizzazione – effetto della multivariata – è presente anche nell’esempio di Fig. 5 (e in altri esempi di S.P.O. differentemente concepiti e qui non riportati) anche se perseguita in altro modo. 48 CLAUDIO BEZZI In sostanza: Trochim conosce il lavoro di Novak ma ritiene di proporre un approccio differente, comunque non distante da altri riportati in questo mio articolo, e successivamente una specifica tradizione valutativa riprende direttamente da Trochim sviluppando un ramo collaterale, se così si può dire, ma sostanzialmente parallelo, che ignora il contributo di Novak e finisce un po’ col ripetersi nella procedura proposta. L’autopercezione di separatezza fra la tradizione originale di Novak e quella valutativa di Trochim appare chiara in un più recente articolo di quest’ultimo, in cui tratta dell’uso delle MC nell’analisi delle interviste non strutturate: There are several specific metodologies that share the name concept mapping, but they differ considerably both methodologically and in terms of results. One form of concept mapping (Novak, 1998; Novak & Gowin, 1997) widely used in education is essentially an informal process whereby an individual draws a picture of all the ideas related to some general theme or question and shows how these are related. The resulting map usually has each idea in a separate box or oval with lines connecting related ideas and often labeled with “connective” terms (e.g., leads to, results from, is a part of, etc.). This has been done in “freeform,” where the respondents record whatever comes to their minds, and also in a more “fixedform,” where respondents construct meaning among a given set of concepts (Novak, 1998). […] These methods are aimed at representing the mental models of individuals. Another form of concept mapping (Trochim, 1989) is a more formal group process tool that includes a sequence of structured group activities linked to a series of multivariate statistical analyses that process the group input and generate maps. Instead of representing the mental models of individual respondents, it depictsan aggregate representation of the text (across respondents) in the form of thematic clusters as generated by respondents. The process typically involves participants in brainstorming a large set of statements relevant to the topic of interest and then in individually sorting these statements into piles based on conceptual similarità (a free or single-pile sort technique (Weller & Romney, 1988). The individual sort matrices are aggregated simply by adding them together. The analysis includes a two-dimensional multidimensional scaling (MDS) of the sort data and a hierarchical cluster analysis of the MDS coordinates. The resulting maps represent a “structured conceptualization” or a multi-dimensional graphic representation of the group’s set of ideas (Jackson e Trochim 2002, 302). 4. Una prima analisi critica Provando a tirare le somme di quanto visto finora direi: 4.1. Le mappe concettuali servono innanzitutto per comunicare In rari casi (per esempio nella valutazione tassonomica e nella SPO, e quindi in quelli che seguono la tradizione di Trochim) la mappa di per sé ha un valore esplicativo che non si sarebbe dato altrimenti, o che si sarebbe dato con particolare difficoltà; il linea di massima le mappe sono utili per vedere le cose, intuire delle relazioni, rendere palesi delle connessioni. TEORIA E METODI 49 Ho sempre sostenuto, e non certo per primo, il valore della comunicazione in valutazione. Se poi la valutazione viene fatta in maniera partecipata, o comunque se è necessaria una chiara esposizione verso lo sponsor o qualche altro attore rilevante, allora il problema della comunicazione è molto rilevante. Il successo di tecniche quali la SPO, o la Swot relazionale, è dato dall’impatto visivo e dalla conseguente e immediata comprensione dei risultati da parte degli interlocutori. Proprio con riferimento a queste ultime tecniche è bene segnalare che, dal punto di vista delle MC, il processo di produzione del dato va diviso dal successivo ragionamento intorno alla mappa; la SPO, per esempio, produce un doppio livello di gerarchizzazione di indicatori indipendentemente dalla loro successiva rappresentazione grafica, e non sarebbe difficile pensare a loro operativizzazioni non grafiche; eppure è la successiva mappa a rendere palesi le relazioni fra indicatori, ed è a partire dalla mappa che si eseguono determinate operazioni; simile la Swot relazionale: il confronto a coppie esprime delle logiche e afferma delle priorità indipendentemente dal fatto che i risultati di riga e di colonna rendano evidenti determinate dinamiche, a loro volta rappresentabili con mappe. 4.2. Le mappe concettuali producono consapevolezza e conoscenza Proprio le ultime considerazioni portano a riflettere sul fatto che in diversi casi le mappe concettuali, rendendo consapevoli i partecipanti dei concetti che stanno esprimendo, producono una forma di conoscenza aggiuntiva. Occorrerebbe una lunga digressione per la quale non si ha spazio qui, in merito alla natura della realtà e alla conseguenze in valutazione delle diverse risposte che si possono dare a tale quesito. Sto ovviamente alludendo a un approccio costruttivista secondo il quale, sotto la scorza ingegneristica dei progetti, programmi e organizzazioni, c’è in realtà un mondo incerto e vago in attesa di sistematizzazione; in generale è il valutatore, assieme a pochi interlocutori, a definire in maniera stipulativa un simulacro di realtà sulla quale costruire la valutazione. È una cosa nota che assume, in valutazione, molti nomi diversi: chiarificazione degli obiettivi del programma; definizione delle domande valutative; ricostruzione della logica del programma; ... Dietro queste formule (non equivalenti) c’è un’unica preoccupazione: stabilire dei punti fermi e accettati (dallo sponsor, dagli utilizzatori, dal valutatore stesso), di cosa sia l’evaluando e del perché e come lo si intende valutare (Bezzi – a cura, 2003). Aiutare lo sponsor, gli operatori del servizio, il gruppo di lavoro incaricato della valutazione o altri, a chiarire la loro teoria del programma, è un fondamento della valutazione, e fra i molti modi per farlo credo che l’uso di mappe concettuali sia particolarmente proficuo; disegnare le mappe assieme al gruppo (come illustrato in esempi precedenti) è altamente formativo per il gruppo stesso, e lo aiuta ad avere più consapevolezza del programma. Rendere al gruppo forme grafiche delle relazioni fra indicatori dà a ogni partecipante la reale dimensione dei problemi e aiuterà moltissimo il valutatore nella successiva operativizzazione. 50 CLAUDIO BEZZI 4.3. Le parole ingannano; le figure ingannano meno Chi condivide con me l’approccio pragmatico alla valutazione (Bezzi, 2006) ritiene che ogni forma di comunicazione sia di per sé ambigua. La letteratura delle scienze sociali è piena di dimostrazioni di questo punto, e quella linguistica ha eretto biblioteche sul tema. Per ragioni non illustrabili qui è particolarmente il linguaggio verbale a prestarsi all’ambiguità, e ciò è tanto più vero quanto l’oggetto della comunicazione è complesso, gli interlocutori distanti (per cultura, appartenenza), e così via. Il linguaggio grafico non è esente da ambiguità, ma è estremamente più semplice e più chiaro di quello verbale. Quando dico ‘qualità’, ‘effetti’, ‘obiettivi’ lascio intendere una costellazione di possibili significati; quando traccio una freccia da un punto di un grafico a un altro tutti intendono una relazione, che può essere esplicitata chiaramente (come nel caso delle etichette di Novak) o in varie altre forme (ci tornerò fra breve). Che ci sia meno ambiguità nelle figure dipende anche da un elemento importante. Ognuno di noi è già portatore di un ricco lessico, e della sua grammatica, e fa fatica ad accettare differenze lessicali nei suoi interlocutori (questa è una potente causa di ambiguità). Ma pochissimi di noi usano, e raramente, l’espressività grafica. Al di là di qualche diagramma di flusso (qualche Gantt, per esempio), non siamo abituati a vedere trasformate le nostre idee in box, ovali, frecce di collegamento, e così via. Il linguaggio grafico, quindi, viene appreso dal gruppo, contemporaneamente, sotto la guida del valutatore-facilitatore. In questo modo tutti i partecipanti imparano assieme un nuovo lessico, peraltro piuttosto intuitivo, diminuendo drasticamente l’ambiguità semantica. Trovandosi a mediare sui box e le frecce, che sono una rappresentazione semplificata della loro complessità cognitiva, in realtà il gruppo costruisce una specie di esperanto grafico che, pur non potendo rendere la complessità per intero, è certamente uno spazio di significazione condiviso. 4.4. Contestualità delle mappe concettuali Naturalmente la penale che si paga riguarda la contestualità. Quei grafici, quelle mappe, sono chiari al momento per chi li ha costruiti. Possono essere chiari nel tempo per chi condivide determinate competenze e appartenenze. Diventano vaghi e a volte insensati dopo ulteriore tempo e per altri attori non altrettanto compartecipi di quei temi. Ma anche le parole che utilizziamo sono indicali (ovvero la loro significazione è data dal contesto), e tutta la nostra produzione verbale ricade sotto i domini incerti e assolutamente contestuali dell’indicalità; solo che spesso non lo sappiamo e ci arrabbiamo se non siamo capiti. Anche le mappe sono indicali, perché i problemi e i concetti sono prodotti su temi concreti, in un luogo, tramite persone, in una certa data… Sfogliando le mappe contenute in quest’articolo probabilmente diversi lettori hanno stentato a capire fino in fondo di cosa si parlasse. Ovviamente io ho volutamente decontestualizzato i casi di studio, non ho riportato le legende, le specificazioni, spiegazioni, e così via. Ma indubbiamente occorre segnalare il valore indicale, contestuale, di piccolo raggio, di queste rappresentazioni. Sono utili immediatamente, rendono subito possibile l’ulte- TEORIA E METODI 51 riore slancio valutativo, corredano le spiegazioni, rendono visibile una certa visuale della realtà. Il loro valore assiologico è certamente rilevante. 4.5. Il problema del predicato2 Una delle ragioni dell’ambiguità – fuori dal loro contesto – di buona parte di queste mappe è dovuta all’assenza esplicita di un predicato. Mentre Novak etichetta i collegamenti fra i concetti, chiarendo così la natura del legame (e quindi la logica di quelle mappe resta meglio fissata nel tempo, più chiara per chi legge anche se estraneo alla sua costruzione), molte altre mappe da me presentate sono prive di queste indicazioni. Almeno apparentemente. Ho già chiarito che tutte le mappe presentate hanno avuto origini e scopi differenti, e sono state concretamente utilizzate dal gruppo che le ha elaborate, ma a mio avviso la maggior parte dei miei esempi ha un predicato, e quindi una chiave di lettura: • la Fig. 2 (paradigma lazarsfeldiano) trova il suo predicato nella teoria di riferimento (che suggerisce che il legame fra concetto Æ dimensioni Æ indicatori è di carattere semantico); analogamente per la Fig. 3; indubbiamente chi non conosce tale teoria ha più difficoltà a comprendere la logica della figura; • la Fig. 4 ha un predicato rigido e standardizzato: lo si può leggere sul lato sinistro della figura, e indica i livelli di criticità organizzativa (anche qui: andrebbe chiarito cosa si intende per “criticità organizzativa”; per il gruppo di lavoro era certamente molto chiaro); • analogamente nella Fig. 5 (S.P.O.): questa MC è la rappresentazione di un doppio ordinamento gerarchico (quindi ordinale); qui mancano anche evidenti linee di connessione fra concetti ma le connessioni, come il loro significato, è nell’ordinamento e nel piano cartesiano quindi, in un certo senso, qui la logica è chiara e altamente formalizzata; • anche la Fig. 6 (Swot relazionale) è altamente formalizzata: anziché una logica ordinale ce n’è una cardinale, e anziché un piano cartesiano c’è una matrice, ma il predicato è “influenza positivamente/negativamente” (segni “+” e “-”), “in maniera blanda o sostanziale” (valori “1” e “2”); • la Fig. 8 è indubbiamente più debole sotto questo profilo, anche se l’utilizzo di una simbologia propria dei diagrammi di flusso (dove quadrati, rombi e ovali hanno un preciso significato) supplisce in parte all’esplicitazione del predicato; cosa che non avviene per niente nel successivo gruppo di Figg. 9, 10 e 11. In questi casi, e in particolare negli ultimi, le MC hanno indubbiamente un significato e un valore eminentemente contestuale per il gruppo che le ha prodotte. Con esclusione delle ultime mappe citate, quindi, il predicato è presente, e a volte anche esplicitamente, pur non avvalendosi di etichette nello stile di Novak; nei 2. Questa riflessione la devo a Renato Grimaldi, che leggendo una prima versione di questo testo mi ha sottolineato una differenza fondamentale fra le mappe di Novak e buona parte delle altre contenute in questo articolo. 52 CLAUDIO BEZZI casi diversi – e in un certo senso più creativi e meno standardizzati – la natura delle relazioni fra concetti fanno parte del significato nato e prodotto in gruppo, consegnato a rapporti e relazioni di lavoro, e indubbiamente meno comprensibili a terzi. 4.6. Una mappa concettuale delle mappe concettuali La Fig. 14 mostra – nella forma di una MC – le diverse caratteristiche delle mappe introdotte in questo articolo. Fig. 14 – Una mappa concettuale delle mappe concettuali Questa mappa sfrutta le proprietà del piano cartesiano e illustra – in maniera semplificata – le relazioni delle MC viste qui lungo due assi: • gerarchia ¨Æ relazione: anche se la gerarchia è un concetto fondante la proposta di Novak, e largamente presente in molte mappe, ritengo che le MC fondate sulla gerarchia siano più utili in contesti dimostrativi (si riveda l’uso nella valutazione tassonomica e nella SPO) mentre quelle maggiormente attente alla relazione siano più interessanti e utili nella ricostruzione della logica del programma; • standardizzate (dal punto di vista grafico) ¨Æ non standardizzate, ovvero più o meno vincolate da convenzioni grafiche che tendono a irrigidire la figura (in qualche caso, ovviamente, lo scopo è giusto una rigida formalizzazione). 4.7. Riepilogo Vorrei concludere con un riepilogo critico che confronti le differenti logiche illustrate in questo contributo. Paradigma lazarsfeldiano 1 – Identificazione preliminare e chiara del concetto principale; i concetti subordinati (dimensioni e indicatori) sono frutto di logiche compositive da argomentare 2 – Ordine gerarchico dai concetti più generali a quelli più specifici (dimensioni, sotto dimensioni, indicatori) 3 – Nessuna etichetta; la relazione fra concetti sovra ordinati e sotto ordinati è solo di tipo semantico e fa riferimento alla teoria Novak 1 – Identificazione preliminare e chiara del concetto principale da analizzare, e dei concetti correlati 2 – Ordine gerarchico dai concetti più generali a quelli più specifici 3 – Connessione fra i concetti con etichette che descrivono il tipo di relazione (esplicitazione del predicato) 3 – La funzione di predicato è assunta dalla legenda, o dalle indicazioni marginali 2 – Ordine gerarchico lungo almeno un asse cartesiano (a volte due); la gerarchia può riguardare proprietà diverse 1 – Identificazione delle finalità della tassonomia, e dei criteri di analisi e selezione; nessuna preliminare identificazione degli elementi della mappa tranne che della sua “forma” Valutazione tassonomica 3 – La relazione fra elementi della mappa è stabilita dalle logiche cartesiane; l’etichetta definisce un valore (“peso”) dei quadranti o dei cluster 2 – Ordine gerarchico stabilito dai valori di posizione degli indicatori (stabilito precedentemente tramite S.P.O.) 1 – Ribaltamento delle logiche di Novak e Lazarsfeld: nessuna identificazione dei concetti generali ma collocazione di indicatori (precedentemente costruiti) in uno spazio semantico definito da due vettori Scala delle Priorità Obbligate 3 – Etichette se servono, con un utilizzo libero della simbologia adottata 2 – Nessun ordine gerarchico; gli elementi della mappa hanno solo una disposizione relazionale 1 – Nessuna logica inizialmente stabilita; chiarificazione dell’“oggetto” di cui si deve discutere (p.es. la logica di un programma) Mappe estemporanee non gerarchiche 3 – Analisi multivariata e clusterizzazione (la cui precedente operativizzazione di selezione e punteggio offre le chiavi di lettura) 2 – Selezione e ordine degli statement sulla base di criteri prestabiliti 1 – Identificazione preliminare e chiara del concetto principale, poi esplorato in gruppo con tecniche quali il focus o il brainstorming Mappe nella tradizione di Trochim TEORIA E METODI 53 54 CLAUDIO BEZZI Come è facile vedere, da sinistra a destra le MC proposte hanno introdotto via via elementi di flessibilità o variazioni che svincolano dall’impostazione originaria di Novak. La lezione che mi sento di trarre conclusivamente è che, ancora una volta, meno regole cerchiamo di imporre – semmai per un inutile amore per i formalismi – e meglio è. Le MC sono strumenti di grande utilità se le applichiamo diversamente a seconda dei contesti operativi in cui ci troviamo, delle finalità che dobbiamo raggiungere, dei mandati che abbiamo accettato, e così via. Indubbiamente hanno una grande forza illustrativa e comunicativa, e rappresentano un elemento strategico nella gestione dei gruppi. 5. Software Naturalmente ci sono dei software. L’unico che segnalo è scaricabile gratuitamente dal sito http://cmap.ihmc.us e si chiama IHMC CmapTools. IHMC è l’Institute for Human and Machine Cognition, organizzazione non profit dell’Università della Florida, e il sito dispone anche di alcuni documenti. Il software è disponibile per tutti i sistemi operativi e – nella versione per il mio sistema – pesa 34,5 Mega. Si tratta di un programma estremamente semplice, utile per disegnare mappe come quella della Fig. 1. Sul versante commerciale ne ho trovato diversi, e devo dire che una rapida ricerca su Google vi consentirà di trovare strumenti anche più evoluti dell’IHMC CmapTools, che finiscono per somigliare ad alcuni di quelli già segnalati in un precedente testo sul brainstorming (Bezzi e Baldini, 2006) sui quali ho già espresso qualche riserva. Riferimenti bibliografici Bertin G. (2007), Governance e valutazione della qualità nei servizi socio-sanitari, FrancoAngeli, Milano. Bezzi C. (2003), Il disegno della ricerca valutativa. Nuova edizione rivista e aggiornata, FrancoAngeli, Milano. Bezzi C. (2005), “Rendiamo dinamica la SWOT”, Rassegna Italiana di Valutazione, n. 31, pp. 7-15 (versione corretta e aggiornata sul sito web www.valutazione.it). Bezzi C. (2006), “Evaluation Pragmatics”, Evaluation, vol. 12, n. 1, Jan. 2006, pp. 56-76. 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