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Tutto TeKnemedia Cerca » ArsKey Magazine | Articolo L’attività “sociologica” di Lewis Hine. New York e il suo immaginario Autore: Valeria Ottolenghi Data: 11.01.2014 Gli artisti correlati: Lewis Hine L’Empire State Building: straordinaria impresa collettiva Se la sociologia permette di conoscere la realtà umana nella sua dialettica tra individui e gruppi etnici, classi lavoratrici e associazioni varie indagando su fenomeni migratori, adattamento ambientale, rapporti familiari ed economici, Lewis Hine, docente di sociologia, dimostra meravigliosamente come un’immagine possa raccontare, spiegare, in sintesi folgoranti, situazioni di vita che erano insieme della persona e di tutto un gruppo, per chi arrivava in America con la speranza di un lavoro o altre realtà, la fabbrica, lo sfruttamento minorile - ma sapendo mettere in luce anche la tenacia, l’efficienza, l’orgoglio dell’impegno collettivo per un grande progetto, esempio straordinario la costruzione dell’Empire State Building, realizzato in soli 14 mesi, in piena depressione. Bellissima ora la mostra al CMC /Centro Culturale di Milano, godibile da più punti di vista, ideata da Camillo Fornasieri, “Costruire una nazione. Geografia umana e ideale”, a cura di Enrica Viganò, con sessanta vintage print dalla Collezione Rosenblum di New York: c’è il piacere dell’osservazione ravvicinata, tanti particolari a fuoco, ma anche della scoperta di speciali composizioni formali, percependo il fascino del tempo, della narratività “sociologica”, nelle didascalie grande la cura nell’indicare non solo le date ma anche, per esempio, il paese di provenienza delle persone fotografate, informazioni rintracciabili nel retro delle fotografie, un’attenzione dello stesso Hine, sempre distaccato e assolutamente partecipe ad un tempo. Lewis Hine, Una famiglia italiana alla ricerca del proprio bagaglio smarrito New York, 1905 dalla serie Ellis Island Nel suo articolo d’apertura al catalogo - settimo volume dei Quaderni del CMC, Admira Edizioni - Mario Calabresi ricorda come nella Library of Congress di Washington, tra i suoi 150 milioni di pezzi che documentano la vita americana, ci siano centinaia di foto di Hine. “E in gran parte - è la frase di chiusura - sono dedicate a documentare l’immigrazione italiana, a raccontare quando gli immigrati eravamo noi”. Un invito all’identificazione con quelli che eravamo allora e insieme con chi ora arriva alle nostre spiagge? E “Ellis Island” - l’isola che per molti anni è stata tappa d’ingresso per gli immigrati che sbarcavano negli Stati Uniti, ora sede dell’Immigration Museum - comprende proprio la prima sezione d’immagini, con foto di gruppi italiani, ma anche slovacchi, volti diversi e pure affini, la stanchezza del viaggio e dell’attesa, intorno valigie e bauli legati con la corda. Ma ci sono anche figure singole, una donna albanese dal bel viso serio, e una madre italiana che tiene sulle ginocchia la figlia: si riconosce negli abiti l’abitudine - il bisogno, il desiderio - a indossare elementi della propria identità, ricordando così l’origine, sentendosi meno soli conservando forte il sentimento d’appartenenza a un proprio mondo ormai lontano. Lewis Hine, Frank Luzzi, uno strillone di 10 anni, Marzo 1909 “Madonna delle case popolari” è il titolo, New York 1904, per la donna seduta con un bimbo in braccio e un altro vicino, una citazione colta per questo tondo che conserva intatta la sua immediata, semplice verità dello scatto “sociologico”. C’è il manifesto in italiano per una rappresentazione di “Traviata” sulla vetrina di un negozio, “Estate nell’East Side”, 1910: si avverte il caldo, una bimba stesa su un panno sul marciapiede, un adulto seduto vicino. Sono tutte intorno a tale data - massimo 1911 - queste fotografie di “Quartieri popolari” che mostrano donne che trasportano lavoro a domicilio, bambini che intorno a un tavolo producono fiori ornamentali in una sorta di laboratorio casalingo, gli spazi angusti di un’abitazione, una bimba che fa il bagno dentro un lavandino in pietra, un banco di pegni con esposti gli oggetti più vari, bambini che giocano sulla via, una New York dalle strade fitte di gente e movimento, biancheria stesa. Per “Le photometropolis di Lewis W.Hine”, Nicolò Leotta scrive, in catalogo, di “ritratto ambientato”, con New York “che vedeva i suoi quartieri colorarsi a seconda delle varie nazionalità”, una sorta di mosaico urbano per aree contigue, in un continuo impegno di adattamento. Lewis Hine, Edith, 5 anni, raccoglitrice di cotone, Settembre 1913 Nel ciclo “Child Labour” le immagini/ denuncia che arrivarono quindi a limitare tale sfruttamento: non è anche questo il compito dell’indagine sociologica? svelare situazioni cui è dunque urgente porre rimedio anche in termini politici, con precisi provvedimenti di legge? Si lavora dentro le case, così come in laboratori che si avvicinano sempre più alle forme della produzione industriale. Qui, spiega ancora Leotta, la figura umana perde in parte la sua centralità per “una presa di possesso dell’immagine di un sistema socio-economico in pieno sviluppo, in cui la dimensione della città del futuro comincia a inglobare l’attore sociale nei suoi meccanismi produttivi”. E un cotonificio sembra incorporare - strumento del meccanismo - la ragazzina che fila mentre un bambino sostituisce i fusi; sono ragazzini, i visi sporchi, un autista e uno scavatore in miniere di carbone; e ci sono ragazzi di quindici anni al lavoro in una vetreria, bambini in attesa della paga, e lustrascarpe e venditori di giornali, strilloni, fattorini - ma ci sono anche tanti giovanissimi raccoglitori di cotone. Ma anche se gli spazi, i luoghi di lavoro, sembrano in qualche modo fare proprie le persone, Hine non dimentica i volti, gli sguardi: così in “Classe operaia” per “Operaio metallurgico italiano”, Pittsburgh, 1910, o per “Ingegnere in cabina”, Pennsylvania, 1924 ca., o, ancora, per “Donna che lega cordini a bottiglie di vetro in una fabbrica”, 1920 ca. Lewis Hine, Madonna delle case popolari New York, 1904 Ma poi appaiono i cieli. La superba verticalità della metropoli per eccellenza: New York, “la città in piedi”. La geometria d’acciaio del grattacielo che cresce. Così per l’ultima sezione, dedicata all’Empire State Building, “3400 operai impegnati a dare la scalata al cielo - ricorda Calabresi - ...un’impresa pazzesca per dimensioni, complessità e velocità”. E Hine fa in qualche modo parte di quello stesso progetto, sospeso nell’aria, tra le nuvole anche lui a documentare quella magica avventura. Un immediato successo il volume fotografico “Men at work” uscito poco dopo, 1932. In mostra a Milano operai che trasportano pesanti funi, in bilico su ganci di gru, tra pilastri d’acciaio, figure scure che sono sagome di lavoratori sospesi nella nebbia, per la posa di geometriche travi, la città lontana dall’alto. Immagine della mostra “Operaio sull’Empire State Building mentre dà indicazioni all’operaio addetto al gancio, New York, 1931”: è in uno strano equilibrio, distanti, molto più in basso, gli edifici di quella fantastica metropoli, il cui immaginario delle origini, nella nostra mente, si è formato in gran parte proprio con il lavoro fotografico di Lewis Hine. In copertina: Lewis Hine, Men with derricks (particolare), Empire State Building, ca. 1931, gelatin silver print, 9.5 x 12.0 cm, © Collezione Walter Rosenblum Scopri ARSKEY - il cartaceo bimestrale di TeKnemedia.net