Endometriosi, nemica della fertilità e della sessualità delle donne

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Endometriosi, nemica della fertilità e della sessualità delle donne
02-06-2016
Lettori
21.401
http://www.lastampa.it/ Endometriosi, nemica della fertilità e
della sessualità delle donne
Sul nostro sito abbiamo dedicato diversi articoli a questa patologia. Oggi offriamo una sorta di riassunto con un testo e i link
collegati ai servizi più interessanti degli ultimi mesi
LAURA PREITE
L’endometriosi ha la stessa incidenza del diabete ma è una malattia poco conosciuta. Colpisce solo le donne,
in Italia stime parlano di tre milioni di donnecolpite ma manca un registro nazionale, il numero esatto non
si conosce, quello che sappiamo però per certo è che i costi sociali e sanitari sono altissimi.
Come spiega il dottor Carlo De Cicco, ginecologo del Policlinico Campus Bio-medico di Roma la malattia
consiste nella crescita dell’endometrio, il tessuto che ricopre l’utero, fuori dall’utero. Con la mestruazione il
tessuto si infiamma e sanguina provocando forti dolori. Sono dolori simili a quelli mestruali ma molto più
intensi, che si possono avere anche durante i rapporti sessuali e in tutta la zona pelvica.
Come racconta Mario Malzoni, direttore del centro di chirurgia pelvica avanzata dell’omonima clinica e
presidente della Società italiana di endoscopia ginecologica: «Fondamentale per la diagnosi della malattia è
l’ecografia pelvica realizzata in un centro di riferimento per la malattia. Tra questi, oltre al centro Malzoni
che ha sede ad Avellino, il centro Negrar di Verona, la clinica Mangiagalli di Milano e l’ospedale San
Raffaele e il Sant’Orsola di Bologna».
In particolare per i casi di endometriosi infiltrante che ha attaccato quindi altri organi vicini all’utero la
diagnosi va fatta «nei centri di riferimento con ginecologi ed ecografisti esperti. Non sempre c’è dolore
nell’endometriosi infiltrante anche se in genere con una anamnesi accurata il dolore emerge».
Molto importante è poi farsi operare da mani esperte perché gli interventi posso andare a toccare la «riserva
ovarica», e quindi la fertilità. Gli interventi sono in laparoscopia, una tecnica che consiste in una sonda
introdotta attraverso l’ombelico e nonostante si tratti di una tecnica poco invasiva ma praticata in anestesia
generale se non fatta correttamente, le aderenze si riformano.
Curarsi può rappresentare una roulette russa a partire dalla diagnosi, in capo ai ginecologi che non sempre
sono adeguatamente informati della malattia. Come racconta Mara che si è sentita rispondere che aveva solo
una colite da stress e da allora ha già subito diverse operazioni, un’isterectomia e il taglio di parte della
vescica (ASCOLTA L’AUDIO DELLA SUA TESTIMONIANZA ).
Come Elvira a cui i medici hanno detto che aveva un tumore al sigma e dopo nove interventi convive ancora
con i dolori e ha un elettrostimolatore sacrale. (ASCOLTA L’AUDIO DELLA SUA TESTIMONIANZA )
Come Nicoletta che è diventata sterile ed è riuscita a stare meglio solo grazie a una dieta vegetariana.
(ASCOLTA L’AUDIO DELLA SUA TESTIMONIANZA )
Le cure non ci sono, dopo le operazioni chirurgiche la malattia torna e una terapia farmacologica a base di
estrogeni aiuta a tenere sotto controllo la patologia. La pillola «è come un paio di scarpe, bisogna trovare
quella adatta all’assetto ormonale della paziente» spiega il primario del centro di eccellenza di
Negrar, Marcello Ceccaroni.
I problemi per chi soffre di questa patologia sono anche i costi di assistenza. Non è riconosciuta tra le
patologie croniche nonostante la ministra della Salute Beatrice Lorenzin abbia annunciato da più di un anno
l’inserimento nei LEA delle cure che quindi diverrebbero gratuite ma non si capisce se ci sarà anche un
aggiornamento delle tabelle di invalidità come chiedono le associazioni di pazienti tra cui l’Ape che
organizza anche gruppi di sostegno per le malate.
I costi di mancata diagnosi sono molto alti e anche i tempi assai lunghi: in media si aspettano 9 anni. Poi ci
sono le cure: una delle pillole di ultima generazioni usate per curare la malattia costa 60 euro al mese e non
viene passata dal servizio sanitario nazionale.
Si possono arrivare a spendere tra terapie farmacologiche per il dolore o riabilitative e acquisto di alimenti
speciali, anche 500 euro al mese. In media 10 mila euro l’anno.
Poi ci sono i giorni di lavoro persi, in media cinque al mese, i costi sociali e di vita: un’indagine conoscitiva
del Senato ha evidenziato che nel 73% dei casi la malattia cambia la vita e nel 77% dei casi se si ha una
relazione, ci si separa o divorzia. Inoltre se la malattia non è presa in tempo porta a infertilità: oltre la metà
delle donne che ne soffrono hanno dai 29 ai 39 anni e scoprono la malattia quando provano ad avere un
figlio, perché il dolore associato alla mestruazione viene giudicato dal medico normale.
Rimanere incinta può essere molto difficile, come spiega uno dei massimi esperti mondiali della malattia
Paola Viganò, biologa, responsabile del laboratorio del Centro di scienze della natalità dell’ospedale San
Raffaele di Milano: «L’endometriosi non determina in senso assoluto infertilità, dipende dal tipo di
manifestazione della malattia: quella ovarica è associata a infertilità perché la donna ovula meno e gli ovociti
prodotti sono meno performanti, se invece l’endometriosi è presente a livello peritoneale la donna può
concepire. Si dice che l’infertilità non è data dalla malattia ma dall’infiammazione conseguente alla
malattia».
La soluzione può essere ricorrere alla fecondazione assistita e congelare le uova prima degli interventi «di
pulizia» anche se i costi sono tutti a carico della paziente (2500 circa più 200 all’anno) ma può valerne la
pena in vista di una futura gravidanza.
03-06-2016
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21.401
http://www.lastampa.it/ A Chicago il top degli oncologi
spiega i prossimi 10 anni di terapie
“Potenzieremo il sistema immunitario e agiremo sui geni del tumore”
DANIELE BANFI
Venerdì prossimo a Chicago inizia uno degli appuntamenti internazionali più importanti nella lotta
al cancro. I maggiori oncologi si riuniranno al congresso dell’Asco - l’American Society of Clinical
Oncology - per fare il punto sulle terapie contro i tumori. Di strada, rispetto alla prima edizione del
1965, ne è stata fatta molta. Se oggi alcuni dei principali tumori possono essere curati il merito è del
mix di cure a base di chirurgia, chemio-radioterapia e immunoterapia. Approcci in evoluzione i cui
costi, come testimoniato al congresso del Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri
(il Cipomo), cominciano però a farsi insostenibili.
Spiega Richard Schilsky, presidente di Asco: «Fino a qualche tempo fa i tumori venivano affrontati
osservando le caratteristiche macroscopiche. Orientare le scelte terapeutiche era, purtroppo,
relativamente semplice, poiché le armi erano limitate e la decisione di utilizzare un farmaco anziché
un altro dipendeva dalla localizzazione e dalla dimensione del tumore». Negli anni, grazie alle
ricerche e al concomitante sviluppo di tecniche di analisi del Dna sempre più sofisticate, l’approccio
è radicalmente cambiato. Oltre al deciso contributo di chirurgia e radioterapia - approcci che ancora
oggi garantiscono ottimi risultati - la prima svolta si è avuta con i farmaci a bersaglio molecolare:
sono molecole capaci di interferire - a differenza della chemioterapia - solo ed esclusivamente sui
meccanismi che le cellule tumorali mettono in atto per replicarsi e metastatizzare.
Ma l’ulteriore passo in avanti è arrivato nell’ultimo decennio con l’immunoterapia. L’idea è
semplice quanto geniale: sfruttare e pilotare il sistema immunitario affinché risponda in modo
adeguato alla presenza di un agente estraneo come il cancro. «Questo approccio - continua Schilsky
- ha consentito di estendere l’aspettativa di vita media. Esempi sono il melanoma e alcuni tumori del
sangue. Con l’immunoterapia è possibile cronicizzare la malattia e tumori che in passato lasciavano
poche speranze oggi possono essere affrontati con migliori risultati». Non è un caso che da diverse
edizioni il convegno «Asco» sia molto focalizzato sugli studi relativi a questo approccio.
Attenzione, però, a pensare che l’immunoterapia sia la sola via. «Nello stabilire quali cure è meglio
somministrare è fondamentale conoscere l’identikit genetico del tumore. Solo così è possibile
decidere in che modo intervenire. Non è detto che ciò che funziona estremamente bene per un
tumore lo sia anche per un altro. Oggi, grazie alla ricerca, abbiamo a disposizione diverse armi.
Decidere quale utilizzare dipende dalla conoscenza di cosa abbiamo di fronte».
La ricerca sta già lavorando a quello che in futuro sarà probabilmente un altro pilastro terapeutico.
«I farmaci del futuro - continua Schilsky - agiranno a livello della “produzione di energia” da parte
della cellula tumorale. Interrompendo questo processo metabolico, il tumore avrà difficoltà a
crescere. Non solo: altri promettenti risultati riguardano l’epigenoma: sono allo studio molecole che,
agendo sulla regolazione della trascrizione di alcuni geni, potrebbero impedire al tumore di
replicarsi».
La strada per il prossimo decennio, dunque, è tracciata: riuscire a cronicizzare la malattia. Ma,
allora, dove trovare i fondi per somministrare questi costosissimi farmaci? Nel 2014 la spesa globale
degli antitumorali è stata di 100 miliardi di dollari e solo in Europa questi rappresentano il 14% dei
costi della Sanità. Ora le proiezioni prevedono un incremento, entro il 2018, pari al 18% e quindi
difficilmente sostenibile. «Rinegoziare il prezzo dei vecchi farmaci, effettuare prescrizioni più
mirate, evitare inutili accanimenti terapeutici e promuovere un atteggiamento responsabile da parte
dei produttori: sono questi - conclude Schilsky - alcuni degli interventi da mettere in atto per evitare
il collasso del sistema».
02-06-2016
Lettori
1.632.940
http://www.repubblica.it/ Cervice uterina, nuove linee
guida Usa: "Qualità delle cure in
base al reddito"
L'American Society of Clinical Oncology fornisce le indicazioni da seguire per la gestione di
questa neoplasia, modulandole per la prima volta sulla disponibilità di risorse, che variano da
paese e paese, ma anche all'interno dello stesso Paese. Cure 'di base' per chi è povero;
'massimalì' per i ricchi. Pinto (Aiom): "Ora si può capire il valore del nostro sistema che
consente a tutti l'accesso ai migliori trattamenti"
di MARIA RITA MONTEBELLI
Le nuove indicazioni sono state redatte analizzando le linee guida esistenti e le
analisi di costo-efficacia LA CRISI economica è una realtà consolidata ormai da anni per i paesi
occidentali e studi recenti dimostrano che ha contribuito non poco all'aumento della mortalità per cancro,
soprattutto delle forme trattabili. Ma per gran parte del mondo in via di sviluppo l'assistenza sanitaria è
da sempre un lusso per pochi. Partendo da queste considerazioni l'American Society of Clinical
Oncology (ASCO) con pragmatismo tutto americano, ha redatto una nuova edizione di linee guida per la
gestione del tumore della cervice uterina, 'modulando' le possibilità di diagnosi e di trattamento sulla
base dei diversi contesti economici ( 'di base', 'limitato', 'potenziato' 'e massimale') e per ogni stadio della
malattia.
Le differenze d'accesso alle terapie. L'accesso alle cure per il cancro della cervice uterina varia
moltissimo sia da un paese all'altro, che all'interno dello stesso Paese. Le nazioni a basso reddito
spesso non dispongono neppure di programmi di screening, con il risultato che le donne arrivano alla
diagnosi di cancro della cervice solo in fase molto avanzata, quando richiederebbe dei trattamenti
importanti e in genere non disponibili in questi Paesi.
Il cancro della cervice uterina. Quello della cervice è un tumore che si può ampiamente prevenire,
eppure sono almeno 250 mila le donne che ogni anno muoiono a causa di questa neoplasia nel mondo.
E non è un caso dunque che l'87% di questi decessi si registrino nelle realtà più disagiate del sud-est
asiatico, dell'area del Pacifico occidentale, in India e in Africa. "Il tumore della cervice in fase avanzata afferma il professor Carmine Pinto, presidente dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) - è
una realtà importante soprattutto per i paesi in via di sviluppo. Eppure questo è un tumore che potrebbe
essere praticamente debellato con un'adeguata prevenzione, fatta di vaccinazione anti-HPV e
di screening cervico-vaginale."
LEGGI - Tumori, così sviluppo e povertà cambiano la mappa mondiale della malattia
Manca lo screening. Due terzi dei decessi per carcinoma della cervice uterina si verificano infatti nelle
donne che non sono state sottoposte ascreening regolari. "Se riuscissimo a migliorare gli screening e la
vaccinazione anti-HPV nel mondo - sostiene Jonathan S. Berek, co-presidente del paneldi esperti delle
linee guida ASCO e professore di ginecologia oncologica alla Stanford University (USA) - potremmo
ridurre in maniera sostanziale la mortalità per questo tumore".
"In queste regioni - dice Linus Chuang, condirettore del panel di esperti delle linee guida ASCO e
ginecologo alla Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York - l'accesso ai servizi di patologia,
la disponibilità di chirurghi esperti, di apparecchi per la radioterapia, per la brachiterapia, di
chemioterapia e di cure palliative può essere decisamente limitato".
L'Asco e la discriminazione. Raccomandare percorsi diagnostici e di terapia differenziati seconda del
contesto economico fa l'effetto di un pugno nello stomaco per i sostenitori dell'assistenza sanitaria
universale. Ma per quanto cruda, è la realtà che milioni di persone si trovano ad affrontare in tutto il
mondo, anche negli Stati Uniti dove la mortalità è maggiore in alcuni Stati (Texas, Arkansas, Mississippi)
e tra le donne di colore. Da questo punto di vista, questa impostazione delle linee guida è sia un
esempio di pragmatismo che una provocazione. "A prescindere dalle risorse disponibili sottolineaBerek - i medici dovrebbero sempre lottare per offrire il miglior livello di cure possibile a tutte le
donne con cancro della cervice. Queste linee guida rappresentano un punto di partenza; speriamo che
generino un dibattito e un filone di nuove e tanto attese ricerche in questo campo".
Il sistema sanitario di tipo universalistico. "L'esempio di queste linee guida - sottolinea Pinto consente di cogliere pienamente il significato di un sistema sanitario di tipo universalistico come il nostro,
che permette a tutti i pazienti, indipendentemente dalla categoria sociale alla quale appartengono, di
accedere alle migliori cure. E questo fa la differenza tra quello che facciamo in Italia e quello che avviene
ad esempio negli USA e in altri Paesi dell'Europa occidentale. Quel che è certo è che noi non andremo
mai a stratificare il trattamento per categorie sociali. Certo, anche da noi, il costo dei farmaci è un
problema concreto che minaccia la sostenibilità del sistema. Lo stiamo affrontando da una parte con una
buona contrattazione del prezzo dei farmaci da parte di AIFA, dall'altra con lo sviluppo
dell'appropriatezza e le linee guida nazionali. Dovremo inoltre cercare di sviluppare sempre di più le reti
oncologiche regionali per evitare sprechi e pratiche inappropriate che riguardano non solo i farmaci, ma
anche la chirurgia e la diagnostica, per permettere il miglior rapporto di costo-efficacia".
LEGGI - Reti oncologiche, attive solo in 6 Regioni su 20
Diagnosi e terapie in base alle condizioni economiche. Il panel autore delle linee guida ASCO, che
comprende esperti da tutte le parti del mondo (Cina, Messico, Spagna, Canada, USA , Turchia,
Argentina, Zambia, Uganda, Corea del Sud, India) ha passato in rassegna tutta la letteratura scientifica
sull'argomento dal 1966 al 2015 ed ha analizzato le varie linee guida esistenti e le analisi di costoefficacia. Per i contesti più economicamente disagiati, senza accesso alla radioterapia, gli esperti
consigliano di sottoporre le donne con tumore in stadio IA1-IVA a isterectomia extra fasciale,
eventualmente associata alla chemioterapia. Nelle nazioni ad alto reddito, per le donne con tumore in
stadio IB-IVA andranno associate all'intervento chirurgico (che potrà prevedere procedure per il
risparmio della fertilità e isterectomia radicale o radicale modificata) sia la radioterapia che la
chemioterapia.
Nei contesti 'poveri' dove non sia disponibile la brachiterapia, gli esperti ASCO raccomandano
l'intervento chirurgico (isterectomia extra-fasciale) per le donne con tumore residuo dopo 2-3 mesi di
chemio e radioterapia. Nel caso in cui non sia possibile effettuare trattamenti con intenti curativi, la
radioterapia palliativa rimane una risorsa preziosa per ridurre il dolore e il sanguinamento. Nei paesi a
basso reddito per le pazienti con tumore in stadio IV o con recidive tumorali, la raccomandazione è
di somministrare un singolo agente chemioterapico (come carboplatino o cisplatino). Nelle nazioni ad
economia più solida, invece, per le pazienti con tumori dallo stadio IB al IVA, il consiglio degli esperti è di
trattare le donne con radio e chemioterapia, seguite dalla brachiterapia.
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